MONTE GIBERTO Santuario delle Grazie. Storia dell’edificio e del culto.

IL SANTUARIO DI MONTEGIBERTO

La partecipazione personale e pubblica nel santuario gibertense ha rilevanza e risonanza di fraternità umile e di elevazione spirituale. Sin dalle più antiche epoche la città che più ha influito sulla cultura di questa parte del territorio piceno è stata Fermo, con la sua cattedrale dedicata alla Vergine Maria Assunta. Questo culto mariano ha ispirato la fondazione di chiese e di altari dedicati alla stessa Maria, Madre di Gesù.

Per esplorare le origini del santuario gibertense, occorre riferirsi all’epoca degli antichi romani.   I cristiani poterono costruire all’aperto i loro edifici di culto dopo che nel 313 l’imperatore Costantino concesse tolleranza  per loro. Poi nel 387 l’imperatore Teodosio, per non lasciare andare in totale rovina i templi e tempietti pagani, autorizzò a farli usare dai cristiani. Allora le edicole accanto alle ville romane furono riusate, trasformate in chiesine. Così  sorsero molte chiesine rurali che hanno lasciato il nome alle contrade.

E’ pensabile, come ipotesi, che nel territorio gibertense la chiesina di santa Margherita e la chiesina di santa Maria siano sorte nell’alto medioevo. Scriveva alla fine del secolo VI il papa Gregorio Magno a due missionari in Inghilterra(Lorenzo prete e Melito abate) ‘ Non bisogna abbattere il templi degli idoli, ma (abbattere) solo gli idoli. Benedire i templi stessi e consentire le antiche usanze religiose convertendole in nuove solennità cristiane. Tra i nuovi luoghi di culto cristiano e  monasteri, non pochi furono dedicati alla Madre di Gesù.  I Franchi chiamavano la Madonna: ‘ La nostra amata Signora. ‘.

Il monastero più influente (non unico) nel Piceno fu quello di Farfa, coadiuvato dall’arcivescovo di Fermo nel suo sviluppo. I farfensi costruirono a Ponzano la chiesa di Santa Maria Mater Domini, documentata nell’alto medioevo dalla carte Farfensi, tra cui l’anno 946. Questa ebbe chiesine dipendenti in territorio di Montegiberto, tra cui santa Margherita, titolo che  si usava dare alle chiese delle monache le quali praticavano  l’ospitalità.

I fedeli onoravano la Madre di Cristo in una chiesina, costruita dai farfensi. Poi gli amministratori dei beni farfensi, i quali erano detti sindaci, costruirono per proprio conto altri edifici di loro proprietà sul colle, poi avviarono  la creazione dei Comune.

Si diffondeva allora la riforma ecclesiastica. I papi vollero che le pievi fossero affidate ai vescovi che controllassero la pratica cristiana. Come modello esemplare della santità, dopo Gesù Cristo, si guardava alla sua madre, Maria.  San Francesco pregando alla Porziuncola (chiesetta già benedettina: Santa Maria degli Angeli) chiedeva alla Madonna di rendere GRAZIE alla SS. Trinità per ogni bene. Si usava dire (con s. Bernardo) Santa Maria mediatrice delle Grazie. Montegiberto fu tanto sensibile al francescanesimo che agli inizi del secolo XV, vi alloggiò un gruppetto dei Fraticelli, molto spirituali. Questo succedeva nel periodo del diffondersi del grande scisma d’occidente dal 1378 al 1417.

Molto famoso divenne allora il culto a Santa Maria di Loreto. A Massignano nel 1406 è documentato un altare lauretano. A Fermo c’era una chiesa di Santa Maria di Loreto. Molti i pellegrini in movimento verso questo santuario della santa Casa. Si diffuse anche la confraternita di Santa Maria, dall’abito bianco.

La chiesa di Santa Maria delle Grazie fa pensare che qui le preghiere personali e pubbliche per le pestilenze e le calamità ( molte nel secolo XV) fossero esaudite con l’ottenere le grazie. Ci domandiamo: a chi si deve l’origine del santuario mariano di Montegiberto? Questa origine si deve alla generosità del popolo.

Un merito del Comune gibertense risulta da un atto notarile ascolano, dell’anno 1478: pagò 34 ducati e 39 bolognini al pittore veneto Carlo Crivelli (il migliore allora reperibile) per avere  un’icona della Madonna. Era un solo quadro forse destinato alla chiesa di santa Maria gibertense. Ad esso furono affiancati due altri dipinti dei santi titolari delle due parrocchie, forse ad opera del fratello Vittore Crivelli che visse più a lungo di Carlo. Le tre tavole crivellesche nel 1771 esistevano nella chiesa curata di San Giovanni Battista. Poi non più rintracciate.

Straordinaria fu la fioritura in tutta Europa e nel Piceno, Fermano compreso, della diffusione dei santuari mariani nel secolo XV. Il santuario gibertense, dagli atti successivi risulta dedicato alla Natività di Maria, festeggiata in data 8 settembre, con grande solennità e frequenza di devoti.

Nel 1481 in Istria i fratelli Giacomo e Andrea di Liberacio fusero una campana che fu portata in questo santuario. Era un momento di fuga dalla terra slava per l’avanzare dell’occupazione da parte dell’impero turco. Molti profughi vennero a Fermo e si stabilirono nel territorio Piceno e nei paesi dell’Aso. Viene il pensiero che siano stati essi a portare insieme con la  campana anche l’antica statua mariana di stile orientale. Non abbiamo documenti dato che l’archivio fu distrutto alla venuta del regno sabaudo.

Tutte le confraternite (nessuna esclusa) fruivano di indulgenze. Tre notizie inedite sono fornite dall’archivio arcivescovile. Anzitutto che  nel portico del santuario gibertense si vedeva un mattone con scritta la data 1527. Inoltre sopra al portone si leggeva l’anno 1547. Ai lati c’erano due finestre, sopra alle quali erano dipinti due stemmi: da una parte quello del Comune di Montegiberto, fondatore della Chiesa; dall’altra parte quello della Chiesa di San Giovanni in Laterano. Nel 1694 lo stemma pontificio delle due chiavi fu posto anche sulla campana grande in segno di annessione alla sacrosanta basilica lateranense, per il godimento delle indulgenze che si davano per 15 anni e poi si rinnovavano.

Risulta anche che la confraternita di Santa Maria delle Grazie era menzionata nei più antichi atti che si avevano del comune gibertense risalenti al 1550. Altre notizie dicono che nel 1566 il venerato simulacro fu protetto entro un tabernacolo ligneo. Nel decennio successivo la navata centrale della chiesa fu ampliata. Si aggiunse una navata laterale per costruirvi nuovi altari, di conseguenza anche il portico fu allungato e tutto attorno, ai quattro lati dell’edificio, c’era la strada pubblica.  L’opera edilizia fu compiuta da esperte maestranze della Lombardia. Viene in mente la chiesa di Santa Maria dei Lombardi esistente a Venezia che ha un arco alla sommità della navata centrale. Il capomastro  qui fu Pietro detto Lombardo.

A chi spettava l’amministrazione del santuario gibertense?  Il visitatore  apostolico mons. Maremonti riscontrò nel 1573 che la chiesa era della Confraternita la quale ne doveva fare il resoconto al vescovo fermano. Il Comune amministrava una chiesa, costruita con le offerte dei fedeli, in contrada Pescara, dedicata alla Madonna della neve, titolo della basilica romana di Santa Maria Maggiore.

Attorno al 1580 la confraternita locale del Santo Rosario ( che ricorda la vittoria di Lepanto) stabilì il suo altare con un bel dipinto. Il proprio cappellano vi celebrava la santa Messa, una volta a settimana e ogni prima domenica del mese recitava anche il santo Rosario.

Nel 1587 nella visita pastorale la confraternita di S. Maria delle Grazie ebbe l’impegno di ‘illustrare la cappella dell’altare (maggiore) con pitture.’  L’idea ha avuto altre esecuzioni nei secoli fino alle attuali  tele dei dipinti della Natività di Maria Ss. nell’abside ed ai lati del presbiterio la Visitazione ad Elisabetta e la Presentazione di Gesù al Tempio.

Il santuario era il punto di riferimento più agevole per i gibertensi e per i pellegrini e l’arcivescovo Giannotto Gualtieri nel 1680 vi amministrò il sacramento della Confermazione a 238 cresimandi. Le famiglie facevano offerte per mantenere ed abbellire questa chiesa con nuovi dipinti. La famiglia Ricci da Monte Vidon Combatte poté erigere un altare a san Carlo Borromeo nel 1623. Due statue  con le figure di san Filippo Neri e di san Francesco d’Assisi furono portate nel 1626 (esistono in sacrestia). La famiglia Antognozzi poté erigere un altare dedicato a  san Giuseppe ed a san Francesco d’Assisi (il dipinto è in sacrestia). La navata centrale fu rialzata nel 1629. A fine secolo, nel 1691 dalla famiglia Bernetti fu fatto un altare a s. Francesco da Sales.

Il lascito più grande ed importante venne nel 1632 da don Giacomo Mida gibertense che istituì sei cappellanie per le celebrazioni delle sante Messe. Tre cappellani per il santuario Mariano ed altri tre nella parrocchia san Nicolò. Questi si dedicavano anche al sacramento della Penitenza o Confessione ed accompagnavano i defunti nelle esequie. Erano gli assistenti spirituali delle confraternite. Nel santuario celebravano ogni domenica la Messa Cantata. Nel 1704 la famiglia Avi poté erigere l’altare dedicato alla Concezione di Maria Ss.ma e nel dipinto v’erano anche i santi Francesco Saverio e Filippo Benizi. Sopra all’arco del presbiterio due sculture raffiguravano l’Annunciazione: la beata Vergine e l’arcangelo Gabriele.

Le dimensioni della chiesa di Santa Maria delle Grazie nel 1728 erano palmi 120 in lunghezza, comprese la sacrestia e l’abitazione del sacrestano, poco meno di 29 metri; mentre la larghezza era di 84 palmi, circa 20 m. le aggiunzioni erano per gli altari. La grande ristrutturazione della chiesa si fece in pieno secolo XVIII nel 1757 sotto la spinta della razionalità illuminista e dell’armonia neoclassica, ad opera di famosi artisti. La devozione era intensa e molti gli ex voto tra cui 55 oggetti preziosi elaborati in oro ed in argento. Tra i trentanove confratelli, ben dieci erano sacerdoti: Tutti  vollero un edificio grande e bello.

Il disegno e la direzione edilizia furono affidati all’architetto Giambattista Vassalli da Lugano che diede soddisfazione. Per l’ornato in stucchi venne da Lugano Gian Pietro Gabuti associato al ravennate Giovanni Campana (Inventario della chiesa anno 1766 a tempo dell’arcivescovo Urbano Paracciani).

Dopo tanti successi arrivò l’orrenda burrasca. Nel 1798 giunsero i soldati di Napoleone Bonaparte. Per l’armistizio furono consegnati molti oggetti in oro ed in argento. Avocate  allo Stato francese in Italia le proprietà ecclesiastiche furono svendute dal 1808 al 1814. Le confraternite furono soppresse. Il santuario veniva con franchezza tenuto aperto e non cessò mai la partecipazione dei fedeli. Nel mese di maggio, ogni sera, si recitava il santo Rosario, come nelle prime domeniche di ogni mese, per tradizione. Tuttavia la confraternita del Rosario soppressa per l’usurpazione demaniale, non si riprese più.

Dopo cessato nel 1815 il dominio napoleonico, tornò lo Stato Romano pontificio: nel 1822 la confraternita di Maria Ss.ma delle Grazie dichiarò all’arcivescovo fermano card. Cesare Brancadoro, che non aveva i mezzi per esercitare la manutenzione ordinaria della chiesa e vi rinunciò ufficialmente. L’arcivescovo stabilì un’apposita deputazione locale, sussidiata dalle offerte del popolo. Nel 1837 tra confratelli e consorelle erano 57 componenti che si incaricarono della raccolta dei covoni  di grano in campagna presso chi li offrisse liberamente.

Nel 1839 iniziò la cappellania di don Nicola Arpili che era anche laureato in diritto e durò un sessantennio sino alla morte nel 1901. Egli fece fare vari restauri, ampliò la casa adiacente ad uso del cappellano e fondò l’opera pia che da lui ha nome a vantaggio dell’ospedale e del santuario   Con l’arrivo dell’esercito del re di Savoia, ritornò la spoliazione dei beni. Furono soppresse le proprietà ecclesiastiche. Don Arpili non si scoraggiò. Nel 1870 insieme con Giambattista Bernetti procurò il campanone e nel 1873 fece rinnovare la facciata ed il portico del santuario per mezzo dell’ingegnere Pietro Corsi e del capomastro  muratore Giovanni Nardinocchi. Nel 1899 don Arpili procurò due corone in oro per il simulacro e si fece la solenne incoronazione. La confraternita fu formata con donne sposate.

Per le giovani nubili l’arcivescovo mons. Carlo Castelli indicò l’aggregazione alle Figlie di Maria. Per i giovani ci fu l’associazione di san Luigi Gonzaga, del quale fu posta la statua nel santuario che fu arricchito delle 14 immagini della Via Crucis,  e di altri quadri raffiguranti santa Anna e santa Filomena.

Nel 1916 si fece il progetto di dipingere il volto dell’abside. Don Carlo Nardinocchi e don Ruffino Brunelli coinvolsero il pievano don Giuseppe Narcisi ed il curato don Giuseppe Moreschini, inoltre la Società di mutuo soccorso, la Cassa rurale, l’Unione popolare cattolica, le Suore della Carità.

La Congregazione di carità fece una transazione con il santuario delle Grazie. Ma la guerra impedì le realizzazioni desiderate. Finalmente, finita la guerra si riprese il progetto e si compirono restauri e dipinti, raccogliendo offerte tra la popolazione. Il pittore fu il professore Lodovico Catini. Contribuirono con le loro offerte l’arcivescovo di Fermo mons. Castelli ed anche il papa Benedetto XV.

Don Carlo facilitava  la frequenza del santuario in quanto era assistente non solo delle Consorelle della Madonna delle Grazie, anche delle Madri cristiane del Terz’ordine di san Francesco, e dei circoli della gioventù cattolica di san Luigi e di sant’Agnese, santa della quale nel 1925 fu posta la statua in chiesa.

Fu ribadito lo scopo della Confraternita, secondo gli statuti che recitano: ‘Scopo primario è quello di onorare la Madonna delle Grazie nel suo santuario che è la prima gloria della popolazione di Monte Giberto.’

La confraternita avanzò  il progetto di costruire una propria cappellina per le sepolture al cimitero. Sopraggiunse poi la seconda guerra mondiale con le sue miserie. Don Guido Pagliuca nel 1944 sistemò simmetricamente i confessionali al posto dei due altari vicini al presbiterio, togliendo quello di san Carlo e l’altro del Rosario. Affidò al valente pittore fermano Armando Moreschini i dipinti sul soffitto (volto) della navata centrale.

Nel dopoguerra alacremente la popolazione, sempre partecipe alle funzioni sacre, contribuì generosamente per fare nuovi sia il pavimento come anche il tetto e fu messo l’impianto di riscaldamento. Due nuove corone furono messe nel 1980 sul capo della santa Vergine e del divin Bambino, dato che in passato erano state rubate. Furono procurati anche otto lampadari.

Diceva il papa Giovanni Paolo II ai rettori dei santuari: I santuari parlano allo Spirito e al cuore delle persone credenti e non credenti, che risentono in pieno l’asfissia di una società ripiegata su se stessa e talvolta disperata. ( Il loro)  impatto sulla vita del popolo cristiano e su tanta gente, situata alle frontiere della fede, sembra attualmente in piena ripresa.

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