CRONACHE FERMANE DELL’ARCIVESCOVO Alessandro BORGIA tradotte dal latino da TASSI EMILIO anni 1725 1726 1727 1728 1729

CRONACHE FERMANE DURANTE L’EPISCOPATO DI ALESSANDRO BORGIA 1724\1758 qui gli anni 1724   1725   1726   1727   1728   1729

SCRITTE IN LATINO DALLO STESSO A. BORGIA E TRADOTTE IN ITALIANO DA TASSI DON EMILIO

1724\1725.1  Le modalità con le quali il pontefice Benedetto XIII mi trasferì dalla diocesi di Nocera Umbra alla Chiesa Fermana il 20 novembre 1724[1] e come il 7 gennaio dell’anno seguente mi impose con le sue stesse mani il pallio arcivescovile, sono descritti nella Cronaca Nocerina.[2]

In questa è anche detto che delegai mio fratello Fabrizio Borgia, allora canonico a Velletri, a prendere possesso, in mio nome, dell’arcidiocesi fermana, come di fatto egli fece il giorno 7 dicembre 1724. Nel giorno del mio trasferimento, frattanto, diedi alle stampe la prima lettera pastorale indirizzata al clero e al popolo dell’arcidiocesi e dell’intera provincia  fermana. E’ da ricordare che il 24 di febbraio, festa di san Mattia apostolo, feci il solenne ingresso in questa provincia.

ANNO 1725

1725.2   L’arrivo dell’arcivescovo Alessandro Borgia nella provincia e nella diocesi.

Il 21 febbraio 1725 feci ingresso nel territorio della provincia; in tale giorno infatti giunsi a Tolentino, che per chi proviene da Roma, è la prima città che si incontra in questa provincia. Qui pernottai nel convento di san Nicola dell’ordine degli eremitani di sant’Agostino.[3] La mattina del 22 febbraio, celebrai la Messa nella chiesa del convento, dove venerai il braccio di San Nicola, il quale era nato nel castello di Sant’Angelo in Pontano, appartenente all’arcidiocesi di Fermo. Uscito da quella città lungo la pianura, mi vennero incontro su una carrozza, trainata da tre cavalli, due nobili fermani delegati dalla città di Fermo: Giovanni Agostino Costantini, capo delle guardie e Giovanni Simone conte Vinci e, poco più avanti, due canonici, inviati dal capitolo della chiesa metropolitana e cioè Ippolito Graziani arcidiacono[4] e Valentino Paccaroni canonico.

Accompagnato da tutti costoro, dopo entrato nel territorio della diocesi fermana, giunsi nel monastero di san Claudio, appartenente a questa mensa episcopale dove, consumato il pranzo, non essendovi il necessario per trascorrere la notte, mi recai nella casa del Collegio Romano dei Gesuiti presso Santa Maria in Rocciano[5] e nella mattina seguente giunsi nel castello di <Monte> San Giusto, accolto in casa della famiglia Romani, ricco nobile del luogo e vi trovai ottima ospitalità.

1725.3   Arrivo nella città di Fermo.

Poco prima di mezzogiorno del 24 febbraio, mentre ero in viaggio verso Fermo, ho notato una grande folla di gente lungo la strada, soprattutto ai crocevia,  proveniente dalle campagne e dai paesi vicini, accorsa per vedere il nuovo arcivescovo, chiedendo di essere benedetti. Circa le ore 22  giunsi in città, essendo con me nella carrozza l’arcidiacono, il canonico Costantini nonché Giacomo Brancadoro, prefetto di camera.

Entrando nella città,  diedi il saluto con queste parole: Pace a questa città e a tutti i suoi abitanti. Mi recai al convento dei francescani cappuccini sito nel Girfalco. Qui, deposta la veste da viaggio, indossai quella più lunga e, assunta la cappa e lo zucchetto pontificale, accompagnato dai priori della città, in segno di onore, attorniato da una numerosa folla di fedeli, feci ingresso nella chiesa metropolitana, accolto dall’intero capitolo, secondo il rito previsto dal Pontificale romano per l’accoglienza di un nuovo vescovo e impartii la solenne benedizione al popolo. Subito dopo raggiunsi il palazzo arcivescovile che sorge nei pressi della piazza principale della città.

1725.4   Visita del governatore di Fermo all’Arcivescovo.

Poco tempo dopo, Alessandro Marucelli di Firenze fu trasferito come governatore[6] da Ascoli a Fermo, successore di Cosmo Imperiali che aveva lasciato l’incarico poco prima del mio arrivo. A lui mandai le mie congratulazioni per la nomina ricevuta, tramite un mio famigliare. Egli, informatosi presso i suoi predecessori sui comportamenti da tenere nei confronti del nuovo arcivescovo, mi rese visita per porgermi il suo ossequiente saluto, rivestito con le insegne prelatizie; ed io gli restituii subito la visita per salutarlo e ringraziarlo.

1725.5    Nomina degli officiali ed amministratori.

Il mio primo impegno è stato quello di procedere alla nomina degli officiali e dei collaboratori: decisi di designare come vicario generale, Fabrizio Borgia, mio fratello; Fabrizio Francolini come pro-vicario e mio uditore[7] e Virginio Provenzali di Lucca, gesuita, come teologo. Questi due ultimi avevano esercitato gli stessi incarichi sotto l’arcivescovo Girolamo Mattei, mio predecessore. Ho confermato nell’ufficio di cancelliere Severino Mariotti, così come ho confermato, nella maggior parte degli uffici centrali e periferici, coloro che li ricoprivano in precedenza. Tuttavia, in breve tempo, ho cambiato l’ufficio di cancelliere a Severino Mariotti, che non era più in grado di esercitarlo a causa della tarda età e l’ho sostituito con Giovanni Battista Gallo, sacerdote proveniente da Montalto. Per un privilegio a me concesso da papa Benedetto XIII, ho gratificato il Mariotti, con il titolo di protonotario apostolico e di vescovo assistente.[8] Considerando poi che egli aveva ricoperto l’ufficio di cancelliere durante l’episcopato dei miei predecessori gli ho assegnato anche una pensione vitalizia di venti scudi di moneta romana, da trarre dai proventi della cancelleria arcivescovile.

1725.6   Stima della somma da spendere per la sistemazione degli edifici.

Sia il palazzo vescovile che le case rurali, ad uso dell’arcivescovo e dei coloni, necessitavano di molti lavori di restauri. I calcolo di una sommaria stima prevedeva la spesa di circa 1500 scudi. Posi mano a quest’impresa, evitando di incolpare il mio predecessore. Alcuni degli edifici sono stati subito riparati, lasciando per gli anni successivi tutti gli altri.[9]

1725.7   Incarico di predicare le missioni al popolo in tutta la diocesi affidato di padre Scaramelli    e a  padre Bianchi.

Ho pensato fin da allora al dovere di fare la visita pastorale della diocesi, nell’impegno di governo. A questo fine mi sono rivolto a Giovanni Battista Scaramelli[10] e a Francesco Saverio Bianchi, sacerdoti della Compagnia di Gesù, pregandoli di dedicarsi alla predicazione delle missioni al popolo in tutti i centri della diocesi.  Ricordando l’esempio offerto da Cristo Signore, li ho inviati prima del mio arrivo nelle varie località, dove avrei dovuto compiere la visita pastorale.

Dopo le feste di Pasqua i predetti religiosi hanno dato inizio alla predicazione nei castelli della costa adriatica; seguitando durante il periodo della primavera e dell’autunno. La loro predicazione continuò nei due anni successivi in tutte le altre località dell’intera diocesi.

1725.8   Visita pastorale alla città e ai paesi della costa Adriatica.

Frattanto il primo di maggio ho dato inizio alla visita pastorale nella chiesa metropolitana, visitai poi la collegiata di san Michele Arcangelo, e tutte le altre chiese e monasteri femminili della città.

Il 4 giugno lasciai Fermo per iniziare la visita ai castelli costieri della diocesi, recandomi nel castello di Monte Santo <= Potenza Picena> posto ai confini della diocesi verso Loreto. Da questa cittadina hanno avuto origine molte nobili e ricche famiglie. a Roma viveva il cardinal Prospero Marefoschi, uditore generale di Benedetto XIII, nato proprio a Monte Santo. Il porporato mi aveva raccomandato di recarmi subito in visita proprio nel suo paese natale. Lì, il 17 di giugno, mi recai alla chiesa delle monache di santa Caterina dell’ordine di san Benedetto, e vi trovai due altari laterali: il primo dedicato all’Annunciazione e l’altro a santa Lucia vergine e martire; da me sono stati solennemente consacrati. Da lì salii a Montecosaro e discesi verso Civitanova, dove dicono sorgesse l’antica Novana. E’ una località nobile e intensamente popolata, che è di diritto della diocesi di Fermo ed è tenuta con il titolo di ducato, anticamente dai signori Cesarini, e attualmente dagli Sforza, principi romani.

Mi sono accorto che l’arciprete della chiesa collegiata non era in grado di esercitare, da solo, la cura delle anime nell’ambito di circa quattro miglia di territorio, ed  ho disposto che alla collegiata venisse unita la chiesa del Suffragio, fino ad allora amministrata da laici. Ho deciso che, dalle rendite di questa, fossero prelevati ogni anno venti scudi di argento, da attribuirsi ad uno dei canonici, il quale venga impegnato a coadiuvare l’arciprete nella cura delle anime. Le restanti rendite dovevano essere utilizzate per aumentare le distribuzioni corali che erano assai tenui. Allora la predetta chiesa del Suffragio, dopo il trasferimento del titolo e dell’icona nella detta collegiata, venne affidata all’altro parroco, il priore di san Pietro che non aveva alcuna chiesa all’interno del castello.[11]

In seguito ho visitato il monastero di santa Croce, sito tra i fiumi Ete e Chienti, costruito in territorio appartenente alla mensa arcivescovile, la quale raccoglie da quei ricchi campi una gran quantità di grano. Finalmente mi diressi verso Sant’Elpidio a Mare, il centro più popoloso di tutta la diocesi. Vi si contano circa seimila abitanti, parte entro le mura del castello, parte residenti nel suo vasto territorio. Al termine del mese di luglio sono tornato a Fermo.

Dato il fatto che, da circa dieci anni, non era stata svolta alcuna visita pastorale, si era ammassata una gran mole di problemi da risolvere, c’era un grandissimo numero di fedeli ai quali si doveva conferire la Cresima; ho infatti conferito la Cresima a più di tremila giovani, in una popolazione diocesana di poco più di centomila abitanti.

1725.9   Consacrazione della chiesa matrice a Grottazzolina.

Celebrai con splendore e magnificenza la festa dell’Assunta, alla quale è dedicata la chiesa metropolitana, secondo l’antica tradizione della città di Fermo e con la frequentatissima fiera  di agosto. All’inizio di settembre, proseguendo la sacra visita alla diocesi, raggiunsi il castello di Grottazzolina, dove il giorno 9 ho consacrato la chiesa della pievania e l’altare maggiore dedicandolo a san Giovanni Battista.

Passai poi al castello di Monteverde che è soggetto all’arcivescovo di Fermo anche nell’amministrazione civile. Subito dopo raggiunsi il castello di Santa Maria in Giorgio (=Montegiorgio); poi mi recai a Falerone e a Monte San Martino.

1725.10   L’arcivescovo si reca a Loreto e ad Ancona – Visita pastorale a Montolmo.

Nel frattempo, ricevetti l’invito da parte del cardinal Giovanni Battista Bussi, vescovo di Ancona e visitatore apostolico di Loreto, a fargli visita.[12] Sospesi per breve tempo la visita pastorale, per il desiderio di esprimere la mia devozione alla Santa Casa e anche per offrire il mio filiale ossequio al mio protettore e maestro: raggiunsi Loreto e mi recai poi ad Ancona.

All’inizio di novembre mi sono recato a compiere la visita a Montolmo (=Corridonia) con il proposito di trattenermi colà per tutto il mese. Il mio principale proposito era quello di istituire una nuova parrocchia e nominarvi un parroco per gli abitanti del villaggio di Colbuccaro[13], posto tra il Chienti e il Fiastra al confine con la diocesi di Tolentino.

Dal momento che il pievano di San Donato di Montolmo, da cui Colbuccaro dipendeva, per la distanza del luogo, per le difficoltà di raggiungerlo e per la scomodità delle strade, difficilmente poteva sovvenire alle necessità spirituali di quella popolazione rurale, vi ho trasferito il beneficio parrocchiale e le rendite del convento soppresso degli Agostiniani, esistenti nel castello di Montolmo, al fine di ampliare la chiesa di quel villaggio e costruirvi la casa (canonica) in modo che vi potesse abitare il nuovo parroco ed esercitarvi la cura delle anime. Da questa decisione sono scaturiti vantaggiosi effetti spirituali per quella popolazione. Poi ho raggiunto il monastero di san Claudio che è annesso alla mensa episcopale.

1725.11   Relazione presentata alla congregazione dei cardinali interpreti del concilio di Trento    sulla situazione della Chiesa Fermana.

Tornato a Fermo, ho preparato la relazione sulla situazione della mia Chiesa da inviare in breve sunto alla congregazione dei cardinali interpreti dei decreti del concilio  di Trento sulla base di quanto previsto per la visita alla Sede Apostolica, cosa che non era stata compiuta dal mio predecessore e quindi competeva a me, come mi era stato comunicato da Roma con lettera del 14 dicembre.

1725.12   Sussidio caritativo dovuto al nuovo arcivescovo.

Per tradizione alla venuta di un nuovo arcivescovo, a Fermo, tutto il clero doveva dargli un sussidio caritativo. Esso fu dato ai miei predecessori fino al cardinal Francesco Ginetti nella misura di scudi cinquecento. Ma gli arcivescovi Cenci e Mattei o se ne dimenticarono o non se ne presero cura; io stesso lo ignorai.

La città di Fermo, secondo l’antica usanza aveva l’obbligo di offrire al nuovo arcivescovo il baldacchino di seta damascata che, insieme ad altre insegne, spetta alla dignità principesca dell’arcivescovo; me ne donò uno di colore purpureo ed io lo regalai alla chiesa metropolitana, aggiungendovi un telo dello stesso colore che servisse, come ricambio, per l’avvenire.

ANNO 1726

1726.1   Indizione del Concilio provinciale

Nella festa dell’Epifania ho indetto il Concilio provinciale per la prossima domenica in Albis. L’iniziativa rispondeva ad un desiderio del papa Benedetto XIII, ma presentava molte difficoltà; infatti non si ricordava a memoria di uomo che ne fosse stato celebrato alcuno. Allorché il papa Sisto V, di felice memoria, elevò questa Chiesa, che fino ad allora era vescovile, alla dignità arcivescovile e metropolitana nel 1589, allora Sigismondo Zanettini, primo arcivescovo di Fermo, celebrò, nel 1590 il primo sinodo provinciale.[14] Attualmente non si ha notizia che ne sia stato celebrato alcun altro. In seguito, leggendo ed esaminando i sinodi che erano stati indetti da Benedetto XIII, di felice memoria, quando era arcivescovo di Benevento, mi sono accorto che erano state fissate le regole procedurali da osservare anche nei concili provinciali.

Hanno partecipato alla nostra assise provinciale i quattro vescovi suffraganei, ossia Alessandro Varano, vescovo di Macerata e Tolentino, Luca Accoramboni di Montalto, Gregorio Lauri di Ripatransone, Cesare Compagnoni di Sanseverino. Erano presenti anche alcune dignità dei capitoli di dette Chiese suffraganee, ad eccezione di quella di Montalto poiché il capitolo di quella cattedrale dichiarò che non aveva alcun interesse per il sinodo provinciale. Naturalmente hanno partecipato le dignità e i canonici della chiesa metropolitana, il clero della città e la gran parte del clero della arcidiocesi. Non intervennero invece i vescovi del Piceno immediatamente soggetti alla Sede Apostolica poiché, nonostante che in forza del Concilio di Trento e del recente Sinodo romano, anche loro avrebbero dovuto scegliere un metropolita al cui sinodo provinciale partecipare; non avevano però ancora scelto alcun metropolita.

Ho offerto l’ospitalità nel mio palazzo ai vescovi suffraganei; tuttavia due soli furono miei ospiti: il vescovo di Montalto e quello di Ripatransone. Il vescovo di Macerata e Tolentino preferì stare presso l’arciprete della metropolitana. Quello di S. Severino accettò l’ospitalità dei padri Cappuccini. Tutti i giorni però venivano da me, e spesso erano alla mia mensa.

La prima sessione si tenne il giorno 28 aprile 1726, domenica in Albis. Prima ho celebrato il solenne pontificale e ho rivolto ai presenti il discorso di introduzione. Poi il canonico Nicola Calvucci, primicerio della cattedrale e segretario del concilio, promulgò i seguenti decreti: “Disposizioni preliminari; disposizioni per iniziare il Sinodo; decreto di non assentarsi; nomina dei ministri del Sinodo; formula per la professione di fede; annotazione delle presenze“.

Il giorno 1 maggio con la celebrazione della Messa pontificale del vescovo di Macerata e Tolentino, sull’altare maggiore, è iniziata la seconda sessione e dopo il discorso tenuto dal canonico della metropolitana Filippo Montani, è iniziata la formulazione dei decreti “Sulla Riforma“ che sono stati approvati nella terza sessione completata a pranzo il 5 di maggio, nella seconda domenica di Pasqua. La finalità era quella di recepire le costituzioni emanate da Benedetto XIII e portarle nella prassi della gente e di adottare molti decreti del recente Concilio Romano che erano adatti alla nostra provincia ecclesiastica.

Il sinodo si è concluso con la sottoscrizione mia e dei vescovi suffraganei, presso l’altare maggiore dopo le consuete formule di ringraziamento, pubblicamente pronunciate dal canonico Marco Antonio Francolini. Al mattino dello stesso giorno, alla presenza dei vescovi e di tutto il clero ivi convenuti, ho consacrato solennemente l’altare maggiore della metropolitana da me precedentemente restaurato, dedicandolo alla Vergine Maria Assunta in Cielo, dopo avervi collocato le reliquie dei santi martiri Alessandro, primo vescovo di Fermo e Savino vescovo, il cui capo, per ordine del papa Gregorio Magno, era giunto qui dalla Chiesa di Spoleto. Dalla reliquia del suo capo, il giorno precedente, avevo tentato con appositi strumenti di ferro di togliere qualche frammento, senza però riuscirvi; dopo di me il vescovo di Montalto fece lo stesso tentativo, riuscendo a fatica a ricavarne piccolissimi frammenti, il che fu considerato come un prodigio.

In memoria di ciò ho dotato l’altare di una lastra di venti libbre di purissimo argento da porsi sul frontale; in essa erano raffigurate le effigi dei santi martiri fermani Alessandro e Filippo, di san Savino e di  sant’Adamo abate, con la seguente iscrizione: ”Alessandro Borgia, arcivescovo e principe di Fermo, ha concluso le sessioni del Concilio provinciale con la cerimonia della dedicazione dell’altare maggiore il giorno 5 maggio dell’anno della salvezza 1726 seconda domenica dopo Pasqua. In memoria dell’evento, ad ornamento dell’altare aggiunse questa opera scolpita in argento”.  In un altro giorno della settimana seguente, ho fatto celebrare una solenne Messa pontificale, in suffragio dei vescovi ed arcivescovi defunti, officiata dal vescovo di Ripatransone.

1726.2   Benedetto XIII approva e loda i decreti del Concilio provinciale.

Le sessioni sinodali tenute nella chiesa metropolitana, venivano preparate nelle riunioni che facevo tenere nella cappella dell’arcivescovato dai vescovi suffraganei, dai procuratori delle cattedrali, dai teologi e dai dottori di diritto e dagli altri officiali del sinodo. Queste poi venivano precedute dalle riunioni segrete che tenevo con i soli suffraganei nelle quali si decideva tutto ciò che doveva essere oggetto dei decreti, essendo attenti a seguire il metodo e le decisioni che erano state prese con il consenso dei partecipanti alle assemblee generali. Il clero poi nei momenti nei quali non era in dovere di partecipare alle funzioni conciliari, partecipava agli esercizi spirituali nella chiesa dei Gesuiti. Nei limiti delle mie possibilità non ho tralasciato alcun dovere di urbanità e di generosità verso i vescovi e verso tutti gli altri. Alla fine ho proclamato solennemente la conclusione del Sinodo.

Nel mese di giugno ho inviato mio fratello Fabrizio Borgia, vicario generale, a Roma con l’incarico di presentare i decreti al papa. Benedetto XIII accolse e approvò il tutto ad eccezione di pochi punti che ordinò di modificare, in particolare di eliminare dalle firme di sottoscrizione mia e dei vescovi suffraganei il cognome, quantunque noi avessimo seguito il metodo usato dal Concilio Romano e di quello di Milano celebrato da san Carlo Borromeo.

Alla mia richiesta che il papa concedesse ai vescovi che avevano partecipato al Concilio fermano la facoltà di ridurre  gli oneri di messe la cui dote era di sessanta scudi di moneta romana per tutte le messe quotidiane o che non fossero stati fissati dall’inizio o che fossero diminuiti per le condizioni attuali; egli aderì subito, come aveva fatto per i vescovi che avevano partecipato al Concilio Romano e come aveva concesso anche a me, prima del Concilio Fermano. Pertanto nell’anno presente e negli anni seguenti (infatti tale privilegio fu prorogato per un triennio) da me e dai miei suffraganei nella diocesi e nella provincia, il numero di messe fu ridotto, secondo le offerte.

Papa Benedetto inoltre con breve apostolico, a me indirizzato in data 26 luglio, pieno di simpatia verso di me, dei miei suffraganei e anche verso mio fratello, volle comunicarmi la piena e completa approvazione e la sua gratitudine. Dopo aver ricevuto il breve, disposi l’edizione a stampa dei decreti del Sinodo provinciale e la pubblicazione di essi in tutta la provincia ecclesiastica. L’edizione ha visto la luce all’inizio dell’anno seguente, cioè il primo giorno di aprile del 1727, data in cui ho emanato il decreto di entrata in vigore delle norme approvate dal papa con il breve edito nel sinodo. <Concilium provinciale Firmanum quod Alexander Borgia archiepiscopus metropolita … habuit anno a Christo nato 1726 diebus 28 aprilis ac 1 et 5 maij. Firmi, Bolis, 1727>

1726.3   Scaramelli tiene la predicazione delle sacre missione a Fermo – I funzionari della   basilica Vaticana compiono degli abusi. – Viene istituita nella collegiata di Morrovalle   una prebenda canonicale il cui titolare dovrà svolgere le funzioni di coadiutore   del parroco.  – Visita pastorale ai paesi della zona montana.

Concluso il sinodo, i padri Giovanni Battista Scaramelli e Francesco Saverio Bianchi vennero a Fermo per predicare le missioni nella città, come era stato fatto l’anno precedente per tutta la diocesi. La loro opera di cura delle anime fu di grande utilità al bene di tutti i fedeli.

Frattanto Giuseppe Melis, commissario della Fabbrica della basilica di San Pietro si era recato ad Ortezzano per esaminare i conti dei pii legati e delle fondazioni ivi esistenti. Appresi questa notizia con molto fastidio per il fatto che, mentre si stava svolgendo la mia visita pastorale, la diocesi veniva incomodata da simili ispettori. Da tener presente inoltre che, nel corso della visita pastorale, ho saputo che questi commissari avevano soppresso molti legati pii, benefici, cappellanie di scarsa rendita per favorire la Fabbrica, ma con grave meraviglia (scandalo) dei fedeli. In realtà non era affatto opportuno abrogarli, in considerazione del fatto che alcuni benefici e istituzioni precedentemente abrogati, furono ripristinati da me, suscitando non poche controversie e spese presso la curia Romana  per avanzare i ricorsi. Prima di tutto, diffidai quel commissario a non proseguire la sua ispezione; protestai poi presso l’economo della Fabbrica di S. Pietro per questo modo ingiusto di precedere.

Ho proseguito la visita pastorale nella cittadina di Morrovalle, dove poco prima avevo istituito una nuova prebenda canonicale in modo che il nuovo canonico aiutasse il canonico parroco, a cui competeva la cura delle anime quasi dell’intero paese. Poi mi sono recato a (Monte) San Giusto e a Monte Granaro e, alla fine del mese, sono ritornato a Fermo.

Trascorsa l’estate, il 5 settembre ho ripreso la visita pastorale, recandomi nel castello di Sant’Angelo in Pontano, a Gualdo di Fermo, ad Amandola, dove, il 6 di ottobre, ho dedicato la collegiata al nome e alla memoria di san Donato. Sono andato poi a Montefortino dove, nonostante le molte resistenze, ho disposto che i parroci del vasto territorio, che avevano introdotto l’abitudine di risiedere nel centro del paese, tornassero a risiedere presso le proprie chiese rurali. Mi sono recato poi nelle località del territorio ascolano che sono soggette alla giurisdizione della diocesi fermana. Tali località, addossate alle pendici dell’Appennino, sono scomode, sia per le condizioni climatiche, sia per la conformazione del territorio.[15] Il viaggio avveniva con la lettiga quando mi dovevo trasferire nei villaggi e nei dintorni; ma spesso non era possibile viaggiare né con la lettiga né con il cavallo, e allora era necessario andare a piedi. Alla fine di ottobre ero di ritorno a Fermo.

1726.4   Il tesoriere della provincia impugna il diritto di esportare e di commerciare per via di   mare il frumento prodotto nella mensa vescovile; tale diritto viene difeso nel documento  del ricorso inoltrato e riconosciuto nella sentenza dei giudici.

Per le enormi spese dovute alle pensioni fissate a favore dei beneficiati rinunciatari dall’incarico, che pesavano sui benefici assegnati ai titolari successori, i proventi dei benefici dell’arcivescovado non erano in grado di far fronte alle spese necessarie per le numerose pensioni.

Dal momento che si era raccolta un’abbondante quantità di frumento, non si intravedeva nessuna possibilità di venderlo, neppure a basso prezzo. Per questo presi la decisione di esportarlo verso Genova, per via di mare, come erano soliti fare i miei predecessori, dopo averne chiesta la facoltà al papa. Il primo carico fu preparato mentre stavo eseguendo la visita pastorale. I tesorieri della provincia, però, già nel precedente anno aveva cercato, inutilmente, di bloccare l’esportazione del grano, con la scusa che non erano state pagate le previste tasse, dalle quali l’arcivescovo Giannotto Gualtieri aveva ottenuto l’esenzione da parte della Congregazione dell’Immunità ecclesiastica nel 1674. Essi intervennero e pretesero che nessuna quantità di frumento potesse essere esportata per via di mare, se non fosse stata rilasciata la facoltà (detta “bollettino”) dietro il pagamento di quattro giuli per ogni salma di grano, ovvero per ogni rubbio. Ciò mi provocò un grave fastidio e quantunque la vendita fosse già avvenuta, fu iniziata una lunga e costosa controversia contri i tesorieri presso la curia Romana, introdotta e istruita dall’onesto e sapiente Lorenzo Origlia, difensore dei nostri interessi a Roma. In prima istanza di fronte a mons. Collicola, in seconda istanza mons. Negroni. La lite era stata sollevata contro i tesoriere generali della Camera Apostolica. Sentenza in “possessorio” 26 settembre 1727, poi in “petitorio” 26 aprile 1729. La sentenza era favorevole: la mia mensa episcopale era esente dal richiedere un’autorizzazione al tesoriere nell’esportare il frumento dalla Marca. Inoltre si rispettasse l’esenzione dal pagare qualsiasi somma di denaro come tassa per l’esportazione.

La cosa era peraltro chiara non solo per quello che il cardinale De Luca aveva deciso intorno alle Regalie (discorso 184) a tempo di Giannotto Gualtieri, era anche riportato nei capitoli della tesoreria in cui era stato dichiarato: “e di più siano esenti dal pagamento del suddetto bollettino quei luoghi e persone che attualmente godono del privilegio dell’esenzione”. Era pertanto evidente il buon diritto dell’arcivescovo di Fermo. In particolare facevo osservare che nella lite intentata contro Giannotto Gualtieri, i tesorieri della Marca erano caduti in errore poiché non avevano impugnato la vendita del grano per via di mare, ma soltanto la vendita del frumento per via di terra.

I tesorieri, da parte loro, obiettavano che al tempo dell’arcivescovo Girolamo Mattei, avendo egli esportato il grano per mare una sola volta, dovette soggiacere alla  norma del pagamento. Ciò tuttavia non creava un precedente per il futuro, anche perché la detta sentenza fu sospesa in forza dell’appello inoltrato. Il pagamento fu determinato dal fatto che il permesso non fu richiesto <dal Mattei> basandosi sull’antico privilegio concesso dal Romano pontefice alla mensa arcivescovile Fermana, ma in forza di una licenza concessa al proprietario della nave; il che obbligava il carico esportato a soggiacere al pagamento della tassa prevista per la tesoreria. I tesorieri all’inizio della causa,, furbescamente, mi consigliarono di richiedere uno speciale privilegio di esportazione del grano al papa Benedetto XIII. Giudicai che tale suggerimento fosse pericoloso ed inopportuno. Infatti, se fossi ricorso a tale espediente, i tesorieri mi avrebbero potuto richiedere il pagamento dei tributi trascorsi e in secondo luogo, una volta scomparso papa Benedetto, il detto privilegio avrebbe perso l’efficacia. Temevo che in tal caso, la camera Apostolica avrebbe potuto rivendicare da me i tributi non pagati. Per questo decisi di rivendicare soltanto gli antichi privilegi concessi alla mia Chiesa e tale fermezza, per grazia di Dio, mi permise di vincere la causa.[16]

1726.5   La morte del cardinale Bussi.

Dopo queste preoccupazioni, alla fine dell’anno, ho provato un grande dispiacere per la morte del card. Giovanni Battista Bussi, vescovo di Ancona. Nel settantesimo anno di età, benché godesse di buona salute, iniziò ad indebolirsi soprattutto perché aveva dovuto affrontare una lunga fatica per compiere la visita apostolica a Loreto, affidatagli da papa Benedetto. Si ammalò a causa dell’inclemenza del tempo. Mi chiese di essere trasportato a Roma con la mia lettiga. Ma in breve tempo si aggravò e morì il giorno 23 dicembre.

Persona certamente sapiente e retta, magnanimo e generoso, sempre pronto a compiere fedelmente gli impegni che gli venivano affidati, senza risparmiarsi. Io sono debitore a lui sotto molti aspetti, particolarmente per il fatto che mi scelse, ancor giovane, come uditore e collaboratore nella sua Legazione apostolica a Colonia Agrippina <in Germania>e mi ha sempre seguito con amore paterno e con attenzione nel trattare le questioni pubbliche. In seguito, sempre lo trattavo con deferenza e gratitudine per i benefici che mi aveva procurati. Dopo la sua morte l’ho ricordato con i riti e le preghiere della pietà cristiana. Il 4 gennaio successivo, pochi giorni dopo aver appreso la notizia della sua morte, ho celebrato un solenne rito funebre nella chiesa metropolitana e tenni l’elogio funebre in ricordo di un uomo così illustre, in lingua latina.[17]

1726.6   Costruzione in città del nuovo convento di san Francesco.

Durante il trascorrere di quest’anno, i frati Minori Conventuali di san Francesco nella nostra città abbandonarono il vecchio convento e iniziarono a costruirne uno nuovo, dalle fondamenta. La costruzione ha richiesto diversi anni. Certamente non seguivano i criteri suggeriti dalla povertà e dall’umiltà di san Francesco; piuttosto quelli di frate Elia che fu il successe del poverello di Assisi. Le spese sono state coperte con i lasciti dei frati defunti, anche grazie alla diminuzione della famiglia religiosa.

ANNO 1727

1727.1   Doni inviati dall’arcivescovo alla diocesi di Nocera Umbra.

Mi sentivo ancora affettivamente legato alla mia precedente “sposa”, la Chiesa di Nocera Umbra; e, quantunque, dopo il mio trasferimento a Fermo, avessi ancora su quella diocesi diversi crediti, li donai a quella chiesa cattedrale, affinché potesse acquistare le sacre suppellettili. Inoltre le assegnai anche una certa quantità di frumento,  per aiutare i poveri; e al fine di costruire il coro nella chiesa di San Pietro che io stesso avevo consacrato. Tuttavia non mi sembrava di aver fatto abbastanza per soddisfare al mio dovere; per questo donai a quella chiesa cattedrale un pastorale di argento purissimo e una preziosa teca in cui erano conservati i guanti di San Rinaldo vescovo e patrono della diocesi Nocerina.

Negli anni seguenti, inviai a Nocera una quantità di frumento ricavato dalla tenuta di San Claudio da devolvere per il restauro della torre della stessa chiesa cattedrale, aggiungendovi una somma di denaro per il completamento del coro nella collegiata di Sassoferrato.

1727.2   Fabrizio Borgia compone un libro sull’immagine della Vergine Consolatrice degli  afflitti, dedicandolo al papa Benedetto XIII.

Fra’ Giuseppe Antonio da Trivigliano, dell’ordine dei frati Minori Cappuccini, durante la predicazione delle sacre missioni portava con sé l’immagine di santa Maria, Consolatrice degli afflitti, che nel dicembre dell’anno del giubileo gli era stata, solennemente, benedetta dal papa. Dopo aver celebrato la Messa davanti a detta immagine per un’intera settimana, concedesse particolari indulgenze.

Dio onnipotente aveva concesso molti segni e grazie a coloro che l’avevano venerata e avevano pregato davanti a quella sacra immagine. Il suddetto religioso conservava presso di sé i documenti autentici della storia e le testimonianze delle grazie ottenute. Egli consegnò tutto ciò a me perché fosse  custodito nell’archivio arcivescovile e perché, sulla base di essi, fosse scritto un libro da dare alle stampe. Stimando opportuno che le opere a gloria di Dio dovevano essere fatte conoscere, lo affidai tutto a mio fratello Fabrizio Borgia allo scopo che, con precisione e fedeltà, ne scrivesse la storia. Egli lo fece e ne curò la stampa avvenuta a Fermo e dedicò l’opera a Benedetto XIII il quale l’accettò con gratitudine.

L’imperatrice Elisabetta Cristina, moglie dell’imperatore Carlo VI, con lettera del p. Stefano Dinarich, suo confessore, a me indirizzata, espresse il desiderio di poter avere il libro edito. Da parte mia ho eseguito subito la sua richiesta e le inviai l’opera. “Raccolta di grazie e miracoli operati da Dio per intercessione della b. Vergine consolatrice degli afflitti,  la di cui sacra immagine si porta nelle missioni dal p. Giuseppe Antonio da Trivigliano … di Fabrizio Borgia. Fermo, Bolis, 1727.

1727.3   Consacrazione della chiesa dei Cappuccini di Fermo e di altre chiese a Montolmo.

Il 20 aprile, domenica in Albis, solennemente ho consacrato l’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini che si trova nel Girfalco della città di Fermo e l’ho dedicato a San Lorenzo martire, il cui culto era antico in questa chiesa.

All’inizio del mese di maggio, mi recai nella terra di Montolmo <= Corridonia>, dove il giorno 3 ho consacrato la chiesa di San Michele Arcangelo e il giorno successivo la chiesa di Santa Maria ai Monti appartenente ai frati Minori dell’Osservanza di San Francesco. Le due chiese erano state ampliate e restaurate di recente, inoltre ho benedetto anche i rispettivi altari maggiori, dedicati in onore dei rispettivi santi.

Ripresi poi la visita pastorale in parecchie località della diocesi. Nel territorio di Petriolo ho ristabilito la parrocchia di San Ginesio che il prevosto del paese aveva da molti anni aggregato alla sua cura, e vi ho nominato il nuovo parroco. In seguito mi sono recato nelle località di Mogliano, Loro, Massa, Montappone, Monte Vidon Corrado, Francavilla, Alteta, [Ripa] Cerreto, Monte San Pietrangeli, Torre di San Patrizio, Monte Urano, Magliano, Rapagnano. Ho trascorso così nel visitare tutte queste località i mesi di maggio e di giugno.

1727.4   Festa per la canonizzazione dei santi Luigi Gonzaga e Stanislao Kotska – Celebrazione di  un solenne triduo in loro onore – Gregorio Lauri viene nominato vescovo di   Ripatransone e in seguito di  Ascoli.

Benedetto XIII aveva iscritto nel canone dei santi, Luigi Gonzaga e Stanislao Kotska della Compagnia di Gesù. I Gesuiti di Fermo celebrarono nella loro chiesa un solenne triduo. Nell’ultimo giorno del triduo il 31 di agosto ho celebrato nella chiesa metropolitana un solenne pontificale insieme con il capitolo e con il vescovo Ripano, Francesco Andrea Correa. Nel frattempo, Benedetto XIII aveva trasferito Gregorio Lauri alla Chiesa Ascolana. Egli si era dimesso perché gravato da eccessivi pesi di pensioni e per amore di tranquillità e si era ritirato nella città di Anagni sua patria. Alla celebrazione hanno partecipato anche alcuni prelati venuti da Roma in occasione della fiera di Fermo. Durante la celebrazione della Messa pontificale ho pronunciato un solenne panegirico in onore dei due nuovi santi.[18]

1727.5   Visita pastorale alle località della zona montana e del litorale – Consacrazione della  chiesa di San Martino.

Dal 16 settembre fino all’inizio di novembre, ho continuato a compiere la visita pastorale in molti villaggi e paesi della diocesi.  Mi sono recato a Penna San Giovanni, dove prima di ogni altra cosa, ho affrontato il problema dell’unica chiesa parrocchiale del paese: essa è di cattiva forma, troppo angusta per l’intera popolazione e maleodorante e ha bisogno di ampliamento e di una forma migliore con il contributo del pievano, dei beneficiati e specialmente dell’intera comunità. Il lavoro di sistemazione ha occupato diversi anni, ma poi risultava compiuto.

Ho visitato, poi, i paesi di Santa Vittoria, Montefalcone, Smerillo, Servigliano, Monte Rinaldo, Ortezzano, Monte Vidon Combatte, Collina, Montottone, Sant’Elpidio Morico, Monsampietro Morico, Monteleone e Belmonte. Sono salito poi a Monte San Martino dove il 28 settembre ho consacrato la chiesa parrocchiale e l’altare maggiore in onore e alla memoria di san Martino vescovo. Poi mi sono recato a Montalto dove, per ragione del mio ufficio di metropolita, espletai la visita al vescovo Luca Antonio Accoramboni.[19]

1727.6   I cittadini di Sant’Elpidio a Mare tentano inutilmente di impedire all’arcivescovo di   costruire i mulini.

Avevo progettato di costruire nuovi mulini per il grano, nei fondi della mensa arcivescovile e precisamente nella badia di Santa Croce e nella tenuta di Paduli; il progetto fu iniziato in ambedue i siti. Nonostante che il territorio del monastero di Santa Croce era soggetto e in proprietà dell’arcivescovo di Fermo e inoltre il secondo fondo apparteneva alla città di Fermo la quale esclusivamente concedeva l’autorizzazione a costruire nuovi mulini, la comunità di Sant’Elpidio a Mare della nostra diocesi, temeva che la costruzione di nuovi mulini vicini ai propri, facesse diminuire l’attività dei loro mulini. Gli Elpidiensi con vari tentativi, pur non potendo fondarsi su argomenti giuridici, avanzarono ricorsi presso la curia Romana, in disprezzo dei diritti e della libertà della Chiesa madre. Per fortuna però, il Signore ci si mostrò favorevole. Infatti sul territorio di Sant’Elpidio si scatenò una grandinata con chicchi di così grande dimensione, che sia le case, sia i raccolti furono devastati e non soltanto in quell’anno, ma anche negli anni seguenti. Nonostante ciò, quel popolo non volle riconoscere la causa del disastro, né si pentì. Peraltro la grandine dell’anno seguente colpì anche altre località della diocesi, ma devastò completamente Sant’Elpidio, più che altrove.

ANNO 1728

1728.1   Nominati i con-visitatori per la Visita pastorale – Pietro Bonaventura Savini vicario   generale – Morte di Fabrizio Francolini pro -vicario – Nicola Calvucci pro-vicario  e uditore dell’arcivescovo.

Mio fratello Fabrizio Borgia volle trasferirsi a Roma, dopo la celebrazione del Concilio provinciale di Fermo e dopo che era stata compiuta la maggior parte della visita pastorale, durante la quale egli mi aveva particolarmente aiutato, insieme con altri canonici del capitolo come Annibale Brancadoro canonico, Ippolito Graziani arcidiacono, Francesco Maria Morroni arciprete, Marco Antonio Francolini, canonico. Allora nominai vicario generale Pietro Bonaventura Savini, nobile di Camerino e canonico teologo in quella cattedrale.

Morì poi, ormai vecchio, Fabrizio Francolini provicario e mio uditore, uomo dotto in giurisprudenza, di grande esperienza e di ottimi costumi e pietà; lo sostituii con Nicola Calvucci, primicerio della chiesa metropolitana.

1728.2   Soppressione della confraternita di Santa Maria della Misericordia di Civitanova.

Il papa Benedetto XIII, ormai giunto ad una vecchiaia molto avanzata e fiaccato nel fisico dall’assiduo lavoro svolto durante il servizio pontificale, doveva a volte sopportare le richieste giuste e ingiuste di coloro che si rivolgevano a lui. Molti abusavano nel periodo della condiscendenza del papa e cercavano di ottenere da lui ciò che pensavano doversi concedere.[20]

Nella nostra diocesi, ci furono vari tentativi tesi a sovvertire l’immagine religiosa delle pie fondazioni, per favorire i propri personali interessi. In tali casi sentivo il dovere di intervenire e, grazie a Dio, sono riuscito, nella mia diocesi, a far in modo che le varie pie fondazioni non patissero alcun danno. Ordinai, ad esempio, la soppressione della confraternita di Santa Maria della Misericordia di Civitanova e disposi la cessione dei suoi beni a favore del capitolo della chiesa collegiata alla quale furono assegnati i beni per disposizione Apostolica, al fine di impedire lo scempio che tali beni venissero usati dai confratelli del pio sodalizio, per goderseli. Ottenni il detto provvedimento poiché i proventi della mensa capitolare civitanovese erano troppo tenui. La decisione della Santa Sede, che io avevo intensamente caldeggiato, risultò molto opportuna, utile ed esemplare.[21]

1728.3   Morte del cardinale Gualtieri – Viene trasferita la metà della pensione di 800 scudi.

Il cardinale Filippo Antonio Gualtieri di Orvieto, nipote di Giannotto Gualtieri, che fu arcivescovo di Fermo, dopo la rinuncia all’arcivescovato dello zio, godeva di una pensione di 800 scudi romani a lui attribuita il 23 ottobre 1709 da Clemente XI, pensione che era a carico della mensa arcivescovile Fermana, nei tre anni prima che fosse arcivescovo Girolamo Mattei. Il 3 aprile il cardinale Filippo Antonio Gualtieri morì all’età di 69 anni.

Metà della detta pensione, fu trasferita a Filippo Gualtieri, nipote del predetto card. Filippo Antonio. Quantunque tale somma fosse a lui assegnata “ad nutum” (= secondo la volontà della Santa Sede), io stimai opportuno di non contestarne l’assegnazione. Chiesi però la riduzione  della pensione passata dal nipote ad una terza persona, poiché la metà mi sembrava troppo onerosa e ottenni di devolvere la cifra risparmiata a favore della nostra mensa episcopale.  La cosa però fece nascere una controversia, sia con gli eredi del cardinale, sia col nipote che era il beneficiario della pensione. Controversia poi chiusa in composizione.

1728.4   Primo sinodo diocesano – Vengono obbligati i Farfensi a partecipare a questo sinodo – Viene istituita la settima prebenda nella chiesa metropolitana.

Nella festa dell’Epifania, annunciai la convocazione del sinodo diocesano, da tenersi subito dopo Pasqua. Lo radunai nel mese di maggio e disposi che si svolgesse in tre sessioni nei giorni 9, 10, 11 maggio, il che avvenne puntualmente.

Il parroco di San Pietro in Penna, nella città di Fermo, sulla cui parrocchia l’arcivescovo esercitava una giurisdizione soltanto delegata, essendo questa chiesa anticamente dei religiosi e soggetta all’abate di Farfa, scrisse un esposto a papa Benedetto XIII, chiedendo come si sarebbe dovuto contenere, temendo che se fosse intervenuto al sinodo, avrebbe fatto offesa all’abate di Farfa e nel caso che non fosse intervenuto avrebbe offeso l’arcivescovo di Fermo.

Il Papa dispose che si inviasse un rescritto in cui venisse ingiunto a me di avvertire quel parroco che sarebbe incorso nella scomunica, se non fosse intervenuto al sinodo. Questo documento papale fu comunicato, non al parroco, ma a me. Fu un salutare provvedimento sia per quel parroco sia per tutti coloro che si coprivano con la scusa di difendere l’esenzione farfense. Anche il priore della collegiata di Santa Vittoria, seppure in ritardo, e i canonici di Sant’Antonio di Altidona, i quali già non avevano voluto partecipare al Concilio provinciale, seppure malvolentieri, vennero a questo sinodo diocesano.[22] Furono confermate ed emanate nel sinodo le disposizioni contenute nei sinodi celebrati dagli arcivescovi Carlo e Giannotto Gualtieri.

Dopo la celebrazione della assise sinodale, nel mese di agosto, venne a trovarmi il cardinale Giudici non per compiere un incarico specifico, io però credetti opportuno presentargli e illustrargli le costituzioni sinodali. Vi erano stati aggiunti molti decreti relativi alla riforma della disciplina ecclesiastica. In breve tempo gli atti e le costituzioni sinodali furono promulgati e dati alle stampe. <Prima dioecesana synodus s. Firmanae Ecclesiae ab il\mo et r\mo Alexandro Borgia … habita die 9, 10 et 11 maij anno Domini 1728. Firmi, Bolis 1728>

Poco prima della celebrazione del sinodo, avevo deciso di aumentare il numero dei prebendati della chiesa metropolitana, che fino ad allora erano sei, portandoli a sette, dopo aver eretto una nuova prebenda in forza del legato testamentario di Giorgio Moscheni e nominai come nuovo prebendato Gregorio Gramadassi. I prebendati costituiscono il secondo ordine di inservienti del capitolo canonicale, insieme con i tre mansionari.

1728.5    Visita pastorale alla diocesi –  Viene ricostituito il convento degli Agostiniani a                 Monterubbiano.

Dopo la celebrazione del sinodo, mi dedicai alla prosecuzione della visita pastorale della diocesi fino al 20 di giugno. Ho visitato: Monte Giberto, Ponzano, Moregnano, Torchiaro, Petritoli, Guardia (Carassai), Rocca Monte Varmine e Monterubbiano; qui ho ricostituito il monastero degli Agostiniani, soppresso al tempo di Innocenzo X, ma attualmente ricco di molti religiosi; lo feci in forza dell’autorità Apostolica a me data, concedendolo, nel mese di aprile, ai frati dell’ordine degli eremitani di sant’Agostino.

1728.6   Visita a Fermo del cardinale Nicola Giudici.

Nel mese di agosto è venuto a visitarmi il cardinale Nicola Giudici, non tanto per dovere di ufficio, quanto per gareggiare con me su alcune composizioni poetiche scritte da noi e dedicate a Benedetto XIII, avendo il Pontefice creato lui cardinale e me arcivescovo. Si fermò soltanto nel Porto di Fermo.

1728.7   Processo di beatificazione del venerabile Servo di Dio Antonio Grassi – Alessandro Bussi  – Morte di Benedetto Bussi vescovo di Recanati e Loreto che viene tumulato a Fermo.

Dopo che l’arcivescovo Giannotto Gualtieri, con sua autorità ordinaria, aveva disposto il processo canonico diocesano sulla vita e sulle virtù del Servo di Dio Antonio Grassi[23] patrizio fermano, preposito della congregazione dell’Oratorio di Fermo, poi il card. Giovanni Francesco Ginetti con due altri vescovi autorizzati dalla Sede Apostolica, lasciarono l’iniziativa bloccata per molti anni; ed ora veniva ripresa.

I sacerdoti della congregazione dell’Oratorio decisero di riprendere la causa e la presentarono a me, al vescovo Alessandro Varano di Macerata e Tolentino e a Benedetto Bussi, vescovo di Recanati e di Loreto. Quest’ultimo era nipote del cardinale Giovanni Battista Bussi, al quale ero legato da grandissima amicizia. Dopo la morte dello zio (presso cui era vissuto a lungo e lodevolmente ad Ancona), alla fine dell’anno precedente, era stato creato vescovo da papa Benedetto. Egli era legatissimo all’istituto fondato da san Filippo Neri, in cui l’altro suo zio Alessandro Bussi era preposito nell’Oratorio nella congregazione Romana, nonché fondatore del Conservatorio delle donne penitenti. Ad Alessandro io stesso sono debitore, in quanto proprio lui mi introdusse nella familiarità del fratello cardinale Giovanni Battista. Benedetto Bussi fu mandato in questa provincia.

All’inizio del mese di settembre, i predetti due vescovi vennero presso di me per riprendere il lavoro della causa di beatificazione di p. Antonio Grassi. Dopo alcuni giorni di intenso lavoro, mons. Benedetto Bussi, fu colpito da pleurite e da una grave emorragia causata dalla altissima febbre. Nel giro di pochi giorni, il 2 ottobre, munito dei santi sacramenti, tra acerbi dolori sopportati con costanza e pazienza, nel fiore degli anni, morì. Toccò quindi a me il triste compito di amministrargli gli ultimi sacramenti, di assisterlo e di dare l’annuncio della sua morte imminente.  Durante la malattia furono fatti tutti i tentativi di prestargli ogni aiuto divino ed umano.

Dopo la morte non furono dimenticati i dovuti onori funebri e disposi le onoranze che sono prescritte per la morte di un vescovo fermano. Il feretro fu accompagnato dai canonici e dalle dignità nella chiesa metropolitana e fu celebrato da me il solenne pontificale con le prescritte benedizioni di assoluzioni funebri. L’elogio funebre fu dettato molto bene dal padre Nicola Bardi della Compagnia di Gesù. La salma fu tumulata in un loculo provvisorio nella navata laterale verso il lato orientale della metropolitana, al di sopra del mausoleo di Orazio Brancadoro, fino a quando non fu possibile trasferirne il feretro a Recanati nella sua chiesa cattedrale di cui era stato vescovo, come da testamento.

1728.8    Conclusione della prima visita pastorale.

Dopo la morte del vescovo Bussi, il mio animo soffriva acerbamente, tanto da non poter rimanere nel palazzo arcivescovile, dove le pareti stesse e le stanze mi presentavano ancora la triste scena della sua morte. Per questo decisi di ritirarmi nella villa dei sacerdoti della Compagnia di Gesù nei pressi del monte Vissiano, per poter organizzare la conclusione della visita pastorale.  Dopo pochi giorni, il 9 ottobre, la iniziai, recandomi a Lapedona, a Moresco, a Montefiore, a Massignano, a Campofilone, a Pedaso, ad Altidona, a Torre di Palme  e infine al Porto di Fermo. In tal maniera portai a termine la visita di tutta la diocesi e il 14 dicembre ritornai a Fermo.

1728.9   Vengono recensiti e descritti i beni di tutte le chiese – Viene preparato l’Archivio.

Durante il presente anno sono stati censiti e descritti tutti i beni ecclesiastici e quelli dei Luoghi pii ed è stato preparato il sito per l’archivio e sono stati redatti gli indici. Sono stati anche istituiti archivi adeguati nelle località di tutta la diocesi. Personalmente ho descritto tutti i beni della mensa arcivescovile; a tale scopo mi sono servito del prezioso fascicolo che il cardinale arcivescovo Giovanni Francesco Ginetti aveva curato di redigere, nel quale erano non solo elencati i possedimenti e i latifondi di tutta la diocesi, ma in più vi erano state delineate anche le misure.[24]

Inoltre ho predisposto nei locali dell’arcivescovato, il locale dell’archivio al fine di conservare e custodire gli antichi codici, i diplomi e i manoscritti più importanti che si riferivano alla mensa episcopale, alla giurisdizione arcivescovile e gli atti dei procedimenti di maggior rilievo, ordinandoli col migliore criterio possibile e collocandoli in eleganti credenze e scelsi un luogo adeguato chiuso e sicuro dietro il paradromo (corridoio), sotto al quale esistono belle stanze.[25]

1728.10   Difesa del diritto alle “mezze annate”.

Dopo aver superato non poche difficoltà e opposizioni, fu accettata, nella prassi ordinaria, la costituzione di Benedetto XIII con la quale veniva riconosciuto il diritto delle “mezze annate”[26] da assegnare alle chiese cattedrali e collegiate, ossia la metà dei proventi spettanti durante il primo anno ai beneficiati nominati con autorità ordinaria. Grazie a questa provvida disposizione si potettero ricavare sufficienti fondi da usare per il restauro delle chiese, in breve tempo.

1728.11    I cappellani del legato Laureati vengono trasferiti nella chiesa matrice di                  Montecosaro.

Ho trasferito, con autorizzazione Apostolica, nella chiesa matrice di Montecosaro sette beneficiati o cappellani, istituiti per legato da Alessandro Laureati, obbligati, per volontà del testatore, a recitare insieme la salmodia e a celebrare i divini uffici nella piccola chiesa del SS. Sacramento, luogo umido e insalubre. La chiesa matrice del paese invece era stata elegantemente restaurata dalle fondamenta dalla generosa e pia liberalità del pievano Antonio Nicola Pallanteri; il che determinò un grande incremento del culto divino.[27]

1728.12   L’arcivescovo presiede il capitolo generale della congregazione Silvestrina.

Nel periodo della festa di Pentecoste ho presieduto il capitolo generale dei monaci Silvestrini di Fabriano. Lo feci a nome del cardinale Fabio Olivieri, protettore della stessa congregazione Silvestrina. Avevo svolto tale compito in altre due occasioni: nel 1720 e nel 1724, quando ero ancora vescovo di Nocera Umbra, come ho annotato nella cronaca Nocerina.

ANNO 1729

1729.1    Piantagioni di olive – Gli edifici di San Claudio risultano fatiscenti – Vengono                 consolidate  le fondamenta del giardino pensile dell’arcivescovato.

Negli anni precedenti, avevo disposto la piantagione di molti alberi specialmente di ulivo nella villa suburbana e nell’altra di San Martino.  Nei possedimenti di San Claudio, di proprietà piena della mensa arcivescovile, vennero restaurati i vecchi edifici, ne furono edificati di nuovi in una remota zona, posta verso Macerata, restata incolta per molto tempo. Dopo aver assunto nuovi coloni, vi feci piantare nuove alberate, con un vigneto, sperando di rendere la terra più produttiva. Nel palazzo arcivescovile avevo restaurato ed ornato il giardino pensile che il cardinale arcivescovo Giovanni Francesco Ginetti aveva fatto costruire sopra un altissimo muro in laterizio. Purtroppo, sia per la conformazione del suolo, sia per altre cause, si erano rovinate le fondamenta del lato settentrionale del muro di sostegno, tanto che minacciava di crollare. Fu necessario pertanto, all’inizio dell’anno procedere al consolidamento della parte boreale del muro; e il lavoro fu realizzato con una spesa inferiore a quella che avevano supposto molti Fermani.

1729.2    Viene istituito il collegio dei canonici a Monterubbiano.

Frattanto ebbi la fortuna di realizzare un’importante opera. Papa Benedetto aveva concesso che nel castello di Monterubbiano venisse istituita una insigne collegiata nella chiesa di santa Maria dei Letterati che apparteneva alla confraternita del SS. Sacramento. Il capitolo era formato da tre dignità: l’arciprete, il prevosto e il priore, e da otto canonici di grado minore. Ebbi dal papa l’incarico di stabilirne i proventi in modo che lo stesso collegio e le pie confraternite potessero continuare ad esistere. Dopo aver ricevuto la bolla Apostolica e dopo aver emanato il decreto di esecuzione nella mia curia, il 29 di marzo mi recai a Monterubbiano dove, tra la soddisfazione di tutto il popolo, nella detta chiesa insediai le tre dignità, che indossavano una cappa di colore violaceo (detta mozzetta) e gli otto canonici erano rivestiti con una piccola cappa nera e altri con la dalmatica e diedi inizio alla divina salmodia, che poi essi proseguirono. Diedi l’incarico inoltre di redigere le costituzioni, che in seguito io stesso approvai.[28]

1729.3    L’arcivescovo si reca a Benevento per far visita a Benedetto XIII; in seguito si reca a  Napoli e a Cassino – Ignazio Stelluti – Giuseppe Lucini.

Celebrate a Fermo le feste di Pasqua, ho deciso di recarmi a Roma per compiere la prescritta visita alla Sede Apostolica. Il papa però si era trasferito il 28  marzo a Benevento, in occasione della celebrazione del terzo Concilio provinciale, lì convocato. Pertanto lasciai Fermo il 26 aprile e, dopo una breve sosta a Roma e a Velletri, partii per Benevento percorrendo la via Appia, toccando Terracina e Capua. Fui ospitato da Ignazio Stelluti di Fabriano, ora governatore di Benevento, legato a me da lunga amicizia a Nocera e di cui mi ero servito allorché avevo compiuto la visita pastorale delle parrocchie Nocerine dislocate nel territorio di Fabriano. Incontrai e ossequiai Benedetto XIII, che in quei giorni stava celebrando il Concilio provinciale. Anch’io fui invitato a partecipare, occupando, tra i vescovi esterni, il posto appena dopo suo nipote Mondillo Orsini, arcivescovo di Capua e patriarca di Costantinopoli.

Benedetto, per la sua squisita bontà, era solito invitare a mensa i vescovi e tutti gli altri prelati, e si degnò di concedere anche a me tale privilegio, anzi fu molto contento del mio arrivo, e parlava frequentemente con me della questione della missione nella Federazione Belga che io stesso in passato avevo retto, quando ero a Colonia Agrippina.

Terminato il Concilio provinciale, mi recai a Napoli al fine di visitare quella illustre città che, per la fertilità del territorio, per il meraviglioso clima e per la densità degli abitanti, risulta essere una delle più famose d’Italia. Fui ospite del marchese Giuseppe Lucini, dal quale, quando fui a Roma per la prima volta, ho imparato la prassi curiale. Egli allora era stimato uno dei più ascoltati consiglieri del re di Napoli nelle questioni giuridiche e nella elaborazione dei più importanti documenti. Egli mi informò sulle città e sui luoghi che meritavano di essere visitati. Mi recai poi a Montecassino per visitare quel celebre monastero e per venerare le reliquie di san Benedetto, padre di quei monaci; infine ritornai a Velletri.

1729.4    Il cardinale Lercari a Velletri – Benedetto XIII passa per Velletri – L’arcivescovo si reca  a Nemi – Ciò che vi compì.

Si attendeva il ritorno di papa Benedetto, a cui venne incontro, proprio a Velletri, il cardinale Nicola Maria Lercari, suo primo ministro e segretario di Stato. Egli venne ospitato nel palazzo della mia famiglia, come di solito accadeva, anche prima che fosse stato creato cardinale. Vi giunse anche il papa, ma non si fermò a Velletri, si recò invece ad Albano nel palazzo del cardinale Lercari, fino a che non fece ritorno a Roma.

Nel frattempo io restai a Velletri, per qualche giorno. Mi allontanai perché chiamato a celebrare messa dai frati Minori detti dell’Osservanza, presso il castello di Nemi. Qui con il benestare del vescovo cardinale di Albano, alla cui diocesi apparteneva quel castello, l’8 di giugno ho consacrato l’altare maggiore in cui si conservava un Crocifisso, molto venerato dalla popolazione circostanti, e lo dedicai proprio al Cristo  Crocefisso. In tale circostanza ho amministrato il sacramento della Confermazione a parecchie persone.

1729.5   La visita alla Sede Apostolica –Licenza data al prevosto di Morrovalle di indossare la  mozzetta – Papa Benedetto concede l’indulto per la celebrazione dell’Ufficio e della  Messa in onore dei Santi Claudio, Barbato, Giacomo e del beato Serafino da             Montegranaro della diocesi di Fermo – Il culto poi dei santi Emidio e Silvestro viene         esteso a tutto il Piceno.

Dopo aver compiuto tutto ciò, sono partito per Roma, per compiere la visita alla Sede Apostolica. Ho esposto, brevemente, al papa la mia relazione sul governo della diocesi. Recavo con me due richieste scritte: con la prima, imploravo che il preposto della chiesa collegiata di Morrovalle, che usava la dalmatica come tutti gli altri canonici, in segno della propria dignità, potesse indossare una piccola cappa paonazza, comunemente chiamata mozzetta; con la seconda chiedevo che si potesse celebrare l’Ufficio e la Messa in onore di san Claudio, che viene considerato come comprotettore della Chiesa di Fermo, nonostante che ciò non risulti dagli antichi documenti; inoltre che fosse consentito il culto in onore di san Barbato vescovo di Benevento, il cui braccio viene conservato tra le altre reliquie della chiesa metropolitana di Fermo, così domandavo pure che venisse concesso di celebrare il culto in onore di san Giacomo della Marca dell’ordine dei frati Minori <dell’Osservanza>, canonizzato nel 1726, in quanto nostro comprovinciale, nonché in onore del beato Serafino da Montegranaro, appartenente all’ordine dei frati Minori Cappuccini, nato nella diocesi fermana. Il pontefice ha concesso tutto quello che avevo richiesto e ha consentito che si dicessero l’Ufficio e la Messa propria in onore dei  predetti santi, nel giorno della loro festa, da tutti i sacerdoti della diocesi. Anzi aggiunse l’indulto di celebrare, in tutta la nostra provincia e dagli altri vescovi del Piceno, l’Ufficio e la Messa in onore di sant’Emidio martire e vescovo di Ascoli e di san Silvestro, abate fondatore della famiglia dei monaci Silvestrini.

1729.6   La curia Romana non consente ai vescovi di poter istituire un collegio di canonici  – Viene approvata, ma non realizzata la permuta del monastero di santa Marta   con quello di santa Caterina, in città.

Nell’occasione della visita alla Sede Apostolica, ho presentato alla congregazione Romana competente due mozioni: con la prima proponevo una questione, con l’altra inoltravo una richiesta.

Prima di tutto chiedevo alla congregazione se mi fosse lecito di erigere un collegio canonicale nella chiesa di Montecosaro, nella quale, come si è detto poco sopra nell’anno 1728, avevo trasferito i cappellani del beneficio Laureati e avevo nominato canonici, mentre il pievano l’avevo creato arciprete. Avevo consultato diversi esperti in diritto canonico che mi avevano detto che ciò era in potestà dei vescovi, dal momento che ciò non era proibito da alcuna norma di legge, purché non si provocasse pregiudizio ad alcuno e laddove non venivano disattese e modificate la volontà dei testatori. Al caso specifico però fu data una risposta negativa. E poiché tra il pievano e i canonici c’era un netto divario sul piano economico, ciò sarebbe stato possibile soltanto in presenza di una bolla Apostolica. Per questo ho abbandonato tale proposito, perché le entrate erano impari per le gravi spese da fare presso la curia Romana.

L’altra richiesta riguardava la permuta del monastero di santa Marta, delle monache domenicane, con il monastero di santa Caterina dove vivevano i canonici regolari Lateranensi[29] in modo che si potesse realizzare il trasferimento delle monache di santa Marta nel monastero di santa Caterina e viceversa. Molte ragioni spingevano a prospettare tale soluzione: da una parte le monache, aumentate di numero e fornite di beni, avevano bisogno di una sede più ampia. I canonici, invece, diminuiti di numero e sforniti di beni, avevano l’esigenza di un luogo più modesto e specialmente non erano in grado di riparare il loro monastero, ormai fatiscente e in alcuni punti cadente. Le monache invece avevano sufficienti mezzi per riparare l’edificio usato dai canonici Lateranensi. Si sarebbe realizzato in tal modo il risultato di rendere efficienti sia il monastero di santa Marta per l’uso dei canonici, sia quello di santa Caterina più adatto alle esigenze delle monache domenicane. La sacra congregazione approvò tale richiesta; ma, benché inizialmente le due parti fossero concordi ad accettare la proposta, alla fine i canonici si tirarono indietro ed io credetti opportuno, visto che una delle parti si mostrava renitente, non fare del bene a chi non lo voleva.

1729.7    Vendita del grano.

Benedetto XIII mi aveva concesso l’indulto di esportare per via marittima il grano della mensa episcopale, fino ad una quantità di mille salme, il che per me rappresentava un affare molto vantaggioso. Infatti l’intero Piceno ed io avevamo a disposizione una gran quantità di frumento, mentre la città di Roma, il suo territorio e le vicine località soffrivano di una grave penuria di frumento e necessitavano del nostro grano. Pertanto, avendone avuto da Roma la richiesta da parte di un trasportatore di Nettuno, di farlo arrivare fino alla spiaggia di quella città, vendetti il frumento della mia mensa al prezzo di sei scudi di argento alla salma. Il commerciante aveva fatto giungere le imbarcazioni da carico ai porti concordati, cioè al Porto di Fermo e a quello di Novana (Civitanova) per effettuare il trasporto del grano comprato.

1729.8    Si tenta di impedire con una rivolta popolare nel Porto di Fermo la vendita e il trasporto del grano – Viene disposto l’invio di un presidio militare nella rocca del Porto di Fermo.

Mi recai a Velletri nel mese di settembre, dopo che ebbi condotto a buon fine questo affare, poiché mio fratello Camillo Borgia si era gravemente ammalato di febbre, fino ad essere sul punto di morire, affinché non gli mancasse la mia vicinanza. Fortunatamente, per un dono della divina clemenza, dopo breve tempo, mio fratello riacquistò la salute.

Nel frattempo chiedevo notizie sullo stato del caricamento del grano nei luoghi prefissati. Sono venuto, però, a sapere che, nel mese di ottobre, il grano era stato caricato sulle barche nel porto di Civitanova, ma che ciò non era potuto avvenire nel Porto di Fermo perché una sommossa popolare aveva impedito di effettuare il carico del grano sulle navi già pronte. La gente, infatti, era convinta che, a causa di tali esportazioni del frumento, si sarebbe determinata una penuria di frumento nella locale annona e quindi temeva la carestia.[30] Si era sparsa la voce, avvalorata da alcuni indizi, che Alessandro Marucelli, governatore della Città di Fermo, uomo retto, ma di animo timido ed emotivo, malvisto dalla nobiltà, cercava di accattivarsi il favore del popolo. Anche i più benestanti del Porto di Fermo, quegli abitanti cioè che in quel periodo avevano impiantato dei forni, pensavano che tale vendita di grano andasse contro i loro interessi e temevano un aumento del prezzo del frumento e in tal modo contribuivano al diffondersi della falsa opinione e mentre si radicava nella gente l’idea del rischio della carestia. In tale maniera, gli animi si infiammavano sempre di più, con spinte a ribellarsi agli ordini sovrani ed si agitavano per  mettersi contro la libertà delle istituzioni ecclesiastiche e contro i privilegi e gli interessi della mensa arcivescovile di Fermo.

Appena che la cosa si seppe a Roma, la provincia fu affidata a Giovanni Battista Mesmer, chierico della camera Apostolica. Egli era già stato delegato nel Piceno proprio per la faccenda dei frumento che doveva essere comprato per l’annona di Roma nelle città picene (e ciò contribuì ad aumentare la paura della carestia); egli era stato mandato per sedare la rivolta e contemporaneamente consentire a me l’estrazione del grano. Riuscì a realizzare ambedue gli scopi, ma non tempestivamente. Le navi da carico, infatti, dopo vari giorni di attesa, partirono vuote per cui sono stato costretto di rifondere il danno agli acquirenti. Fortunatamente subito Guido Palazzi, detto Palaggio, presidente dell’annona di Roma, accettò di comprare per la stessa annona romana il mio grano che ancora si trovava al Porto di Fermo, pagandomi anche una parte del prezzo e lo fece trasportare ad Ancona e da lì da portare a Roma.  A Mesmer erano state chieste precise informazioni sui rivoltosi, alcuni dei quali erano stati catturati e imprigionati, mentre altri erano riusciti a fuggire. Mesmer ordinò poi di porre un presidio militare nella rocca del Porto di Fermo, che fino ad allora era stata aperta al popolo.

1729.9    Fabrizio Borgia viene nominato vescovo di Ferentino.

Nel frattempo, poiché il buon Dio è solito mandare nello stesso tempo cose spiacevoli e cose liete, Benedetto XIII, nel concistoro tenuto il 23 dicembre, dopo aver trasferito Simone Grytto, vescovo di Ferentino, alla Chiesa di Acquapendente, nominò mio fratello Fabrizio Borgia, vescovo di Ferentino negli Ernici. Egli era stato in precedenza mio vicario generale nell’arcidiocesi di Fermo e era considerato degno di assumere la dignità vescovile. Il Papa del resto accettò volentieri il suggerimento, poiché aveva capito che Simone Grytto non era benvisto dai cittadini di Ferentino, in quanto considerato inesperto e straniero. Il pontefice mi aveva promesso che mio fratello Fabrizio avrebbe ottenuto la dignità episcopale, infatti, pensava che gli abitanti lo avrebbero accettato  perché proveniente dal Lazio e da una città vicina e inoltre appartenente ad un’illustre famiglia.[31]



[1] Secondo la cronotassi dei vescovi fermani proposta da Michele CATALANI nel suo libro De Ecclesia Firmana eiusque episcopis et archiepiscopis commentarius. Traduzione e note di TASSI, E., Fermo 2012; mons. Alessandro Borgia sarebbe il LXXVII vescovo di Fermo.

[2] Cfr. BORGIA, Alessandro, La Cronaca della diocesi di Nocera dell’Umbria …, tradotta con prefazione e note di Alessandro Alfieri, Roma 1910. Anno 1724, pp. 64-66. Le vicende che portarono al trasferimento del Borgia a Fermo sono edite pagg.62-63. Sintesi. 1724. 8-12  Il neoeletto papa Benedetto XIII, manifestò a Fabrizio Borgia, canonico a Velletri, a fine maggio, il desiderio di parlare con suo fratello Alessandro, vescovo di Nocera. Due giorni dopo Pentecoste, il vescovo Alessandro si disponeva a partire per Roma e nella notte ebbe una visione di un pallio arcivescovile dato a lui. Destatosi non riusciva ad immaginare quale sede arcivescovile fosse vacante. Partito, a Civita  Castellana seppe  che il monastero dei santi Bartolomeo ed Emiliano, dato a lui da Innocenzo XIII,  ora era stato assegnato, dal nuovo papa, a Domenico Rivera. In colloquio poi con il papa, questi gli disse che non  aveva avuto notizia che quel monastero gli fosse stato assegnato a lui (Borgia) e, dispiaciuto della vicenda , dispose che il pro-datario procurasse al Borgia un’altra abbazia, in compenso di quella perduta. Nel frattempo si ebbe notizia che Girolamo Mattei voleva dimettersi da arcivescovo di Fermo. Il Borgia dichiarò la sua disponibilità e il giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, riceve l’informazione che vi sarebbe poi trasferito. Mentre questa rinuncia tardava ad essere scritta dal Mattei, capitò subito che era diventata disponibile la sede di Jesi, ma Alessandro non la gradiva, dato che il vescovo rinunciatario Giattini si riservava la metà delle rendite. 1724. 13-14  Nell’agosto il papa rassicurò Alessandro Borgia che l’avrebbe trasferito a Fermo. Di fatto nell’autunno l’arcivescovo Mattei scrisse la sua rinuncia. Il 6 Novembre il vescovo Alessandro Borgia fu chiamato dal papa che gli notificò che la sede Fermana gli sarebbe stata data nel concistoro del 20 novembre. 1724.15  Così avvenne. Il neo-arcivescovo fermano A. Borgia pubblicò una lettera pastorale per la Chiesa Nocerina che salutava. Mandò suo fratello Fabrizio Borgia a prendere possesso della sede Fermana il 7 dicembre, giorno della festa di San Savino vescovo e martire, patrono della diocesi Fermana e della famiglia Borgia. Lo stesso nuovo arcivescovo A. Borgia da giovane aveva pubblicato la vita di San Savino.   1724.16  Il 17 dicembre, Benedetto XIII nominò A. Borgia suo Prelato domestico ed inoltre Assistente al soglio pontificio.  1724.17  L’inizio al Giubileo promulgato dal papa avvenne nel giorno di Natale.

[3] S. Nicola è detto da Tolentino a motivo del fatto che soggiornò, morì e venne qui sepolto nel monastero degli Eremitani; egli però nacque nel 1245 a Sant’Angelo in Pontano, paese che appartiene alla giurisdizione ecclesiastica di Fermo e allora anche allo Stato fermano di allora.

[4] L’arcidiacono rappresenta la prima dignità del capitolo canonicale e ordinariamente svolgeva anche l’ufficio di vicario generale.

[5] Sarrocciano, nella valle del fiume Chienti, nel comune di Corridonia, località distante circa 5 km. dal centro urbano.

[6] Il governatore era la massima autorità amministrativa a cui era soggetto un territorio provinciale dello Stato Romano. Veniva nominato dal papa e, in genere, scelto tra i prelati della curia Romana.

[7] L’uditore era il giudice delegato a trattare le cause civili e criminali del tribunale arcivescovile; generalmente aveva anche la carica di vicario generale o di pro-vicario.

[8] Non si tratta dell’ordinazione episcopale ma dell’incarico a compiere alcune funzioni di vescovo.

[9] A. Borgia praticò, con impegno costante, la realizzazione dei restauri degli edifici di proprietà arcivescovile.

[10]  Giovan Battista Scaramelli, gesuita, era un celebre ed efficace predicatore e scrittore di argomenti ascetici e spirituali, amico del Borgia che se ne servì spesso per predicare nei centri della diocesi. Nato a Roma nel 1688, morì a Macerata nel giugno del 1752. Il gesuita padre Francesco Saverio Bianchi accompagnava lo Scaramelli.

[11] A Civitanova, grosso centro abitato poco distante dalla costa Adriatica, esisteva una situazione insostenibile. L’operazione messa in atto dal Borgia fa notare l’accortezza e la saggezza pastorale dell’arcivescovo. La parrocchia che faceva capo alla collegiata, sfornita di mezzi, aveva come parroco l’arciprete del locale capitolo canonicale, il quale non riusciva ad esercitare, da solo, la cura delle anime di una popolazione diffusa su un vasto territorio, mentre contemporaneamente esisteva la parrocchia priorale di san Pietro che non disponeva di una propria chiesa dentro al castello. D’altra parte esisteva una chiesa, detta del Suffragio, con un pingue beneficio laicale, cioè gestito da laici, probabilmente riuniti in confraternita. L’arcivescovo dispose che tale chiesa fosse giuridicamente annessa alla collegiata e che parte dei suoi proventi venissero usati per aggiungere al capitolo una nuova prebenda canonicale curata, il cui titolare avesse l’obbligo di aiutare l’arciprete nella cura delle anime. L’edificio poi della chiesa del Suffragio era obbligata ad ospitare la prioria di San Pietro. Non è questa una prima smentita delle accuse fatte dall’Alfieri a proposito del formalismo (privo di innovazioni) del Borgia nell’eseguire le visite pastorali?

[12] Giovanni Battista Bussi di Viterbo (1656-1725), vescovo titolare di Tarso, nominato Nunzio a Colonia è stato il protettore più importante del giovane Alessandro Borgia e colui che lo introdusse nella carriera ecclesiastica. A lui il Borgia è stato legato da un profondo affetto. Nel 1710 Il Bussi lasciò la Legazione di Germania perché era stato nominato arcivescovo di Ancona e cardinale. Vi rimase il Borgia.

[13] Colbuccaro è un notevole centro agricolo e popoloso. Il Borgia si accorse che il pievano di san Donato di Monte dell’Olmo (=Corridonia), da cui dipende, non poteva prestare un’assistenza religiosa sufficiente alla popolazione del luogo, pertanto trasferì il beneficio parrocchiale di  sant’Agostino nella chiesa di Colbuccaro, resa parrocchiale.

[14] Gli Atti originali sono conservati nell’archivio storico arcivescovile fermano, nella serie dei Sinodi con la segnatura III-B-3. Gli atti del 1590 sono stati pubblicati nel 1680 in un volume che riporta anche due sinodi, uno del card. Carlo Gualtieri e l’altro del fratello mons. Giannotto Gualtieri.Vol. Synodi Firmanae. Provincialis una sub ill\mo, et rev\mo d. Sigismondo Zanettini et dioecesanae duo, Prima ab em\mo et rev\mo d. Carolo cardinali Gualterio; Secunda ab ill\mo et rev\mo d. Iannotto Gualterio archiepiscopis et principibus Firmanis. Firmi, Bolis, 1680

[15] Questo territorio montano è indicato nei documenti con l’espressione di Ville d’Ascoli poiché sul piano politico-civile esse dipendevano dalla città di Ascoli, ma erano soggette alla giurisdizione vescovile di Fermo. Per conoscere i singoli aggregati della popolazione e le singole parrocchie e chiese rurali cfr. E. TASSI, La struttura ecclesiastica dell’area dei Sibillini nei secoli XV-XIX, in “Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo”, n. 43 (anno 2007), pp. 5-48. L’arcivescovo A. Borgia manifesta qui la sua preoccupazione di rendere efficace e continua l’iniziativa pastorale in queste zone scomode e lontane dal centro diocesano.

[16] La questione della vendita del grano e l’esportazione delle granaglie ha sempre costituito una fonte di ripetute controversie tra gli arcivescovi e l’amministrazione pontificia delle finanze. Specialmente nel corso del secolo XVII, le varie decisioni di proibirne il libero commercio erano causate dai frequenti periodi di carestia. Gli arcivescovi di Fermo, già a partire dal pontificato di Sisto V, si erano premuniti di ampi privilegi che assicuravano alla loro mensa vescovile, in nome dell’immunità ecclesiastica, il diritto di libero commercio del grano, esentasse. Nel secolo XVIII, in presenza di sempre più frequenti crisi finanziarie nello Stato Romano, i divieti di libero commercio dei grani si andavano moltiplicando, e provocavano gravi preoccupazioni per la mensa vescovile Fermana che disponeva di una consistente produzione di frumento. Tale situazione spiega le ripetute e lunghe controversie tra gli arcivescovi di Fermo e la tesoreria pontificia. Ad ogni buon conto l’arcivescovo Borgia aveva fatto trascrivere su un apposito registro tutti i brevi e le bolle, ottenuti dai Romani pontefici, a partire dalla fine del sec. XVI. Nell’archivio arcivescovile Fermano esiste l’epistolario in cui sono presenti molte lettere nelle quali A. Borgia spiegava il buon diritto della Chiesa fermana su questo specifico tema.

[17] S. BONO, Bussi Giovanni Battista, in “Dizionario biografico degli Italiani” Treccani, Roma 1972, vol. 14, pp. 572-575.

[18] Queste celebrazioni manifestano un indizio del legame benevolo tra A. Borgia e i Gesuiti di Fermo e, in generale, con la Compagnia di Gesù.

[19] All’arcivescovo metropolita incombe l’onere di visitare le Chiese (diocesi) sue suffraganee almeno ogni cinque anni.

[20] Il Pastor alla fine della sua trattazione sul papa Benedetto XIII sottolinea la debolezza del carattere di questo papa nel trattare gli affari dello Stato e la cieca fiducia che nutriva nei suoi collaboratori. Cfr. Von PASTOR L.,  Storia dei Papi, Roma 1962, vol. XV, pp. 637-638.

[21] Anche in questa  vicenda si manifesta l’attenzione con la quale l’arcivescovo interviene per reprimere abusi e la preoccupazione di creare le opportunità per realizzare un’efficace azione pastorale nelle parrocchie.

[22] Il testo della Cronaca indica in modo evidente la volontà del Borgia di affrontare l’annosa questione della giurisdizione dell’abbazia di Farfa sulle chiese e sulle parrocchie esistenti nel territorio della diocesi fermana e di risolverla una volta per tutte. Già i sinodi celebrati dal Gualtieri e dal Ginetti erano caratterizzati da un forte spirito innovativo sul piano pastorale. Il Borgia sottopone al cardinale Giudici il testo sinodale facendogli osservare i punti in cui egli aveva inteso aggiornare e completare le norme per il governo della diocesi.

[23] Il nobile fermano Antonio Grassi era nato a Fermo l’11 novembre 1592, entrò nella congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri, l’11 ottobre del 1609 e fu eletto Superiore dell’Oratorio di Fermo nel 1635, ufficio che conservò fino alla sua morte avvenuta il 13 dicembre 1671. Il processo diocesano di beatificazione fu iniziato dall’arcivescovo Giannotto Gualtieri e fu concluso dal Borgia che lo trasmise a Roma. Gli Atti dello stesso processo diocesano sono nell’archivio diocesano. Cfr. R. AUBERT, Grassi Antonio, in “ Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastique,” XXI, coll. 1209-1210. Nell’archivio ASAF (fondo San Matteo) e nella sua biblioteca esistono varie carte manoscritte riguardante questo fermano, beatificato nel 1900.

[24] A. Borgia accenna ad una sua iniziativa che doveva fornire alla sua cancelleria un prezioso materiale di documenti per verificare la consistenza dei beni ecclesiastici non solo della sua mensa, ma anche di tutte le parrocchie, delle chiese, degli enti religiosi, dei Luoghi pii, delle confraternite e di tutti i benefici laicali di giuspatronato. Egli diede l’esempio, facendo redigere un dettagliato inventario dei beni del palazzo e della mensa arcivescovile, confrontandolo con gli inventari precedenti. Ordinò che la stessa cosa facessero tutti i titolari di qualsiasi beneficio esistente nel territorio della vasta diocesi. Si trattava di un materiale immenso e prezioso, tuttora custodito ordinato e disponibile nell’archivio diocesano; e di continuo, viene richiesto e consultato dagli studiosi di storia dell’arte e di architettura. L’arcivescovo Borgia faceva veloce accenno al fatto che egli si stava preoccupando che, nelle parrocchie, gli archivi fossero tenuti in modo ordinato. Si accenna anche alla preparazione di indici e di adeguati locali in cui collocare e disporre tutto il materiale documentario.

[25] L’arcivescovo Borgia delineava e precisava il progetto che andava realizzando. Alessandro Borgia viene considerato a buon diritto il fondatore dell’attuale Archivio storico arcivescovile. Il successore cardinale Urbano Paracciani  si era preoccupato di far redigere un preciso e completo Repertorio del materiale documentario e questo è restato validissimo anche per l’attuale ricerca. Lo stesso Paracciani nell’introduzione premessa agli Indici-repertori da lui fatti redigere nel 1772, ci forniva alcune sintetiche notizie circa l’opera compiuta dall’arcivescovo Alessandro: “ La chiara memoria di mons. Alessandro Borgia, arcivescovo, dal sotterraneo umido in cui marcivano le carte scritte su argomenti beneficiali, le fece trasferire nella camera superiore, le ripose in armadi e le lasciò alla memoria con la iscrizione posta nella parte superiore degli stessi armadi: “Alexander Borgia Archiepiscopus et Princeps Firmanus Acta Beneficiaria Curiae suae  situ et squallore inferius pereuntia, huc transtuli A. D. MDCCXXX”. Alla prima pagina poi del vero e proprio inventario, fatto redigere dal card. Paracciani nel 1766, si legge quest’altra notizia: Trovatisi dalla chiara memoria di mons. Alessandro Borgia arcivescovo di Fermo i Codici, le Pergamene e le altre scritture all’arcivescovado appartenenti senza particolare istoria, fece costruire quattro armari nei quali ripostele con l’iscrizione a capo, cioè: “Alexander Borgia Archiepiscopus et Princeps Firmanus, tuto servandis veteribus codicibus, Archiva paravit A. D. MDCCXXVIII”. La storia della formazione dell’archivio storico arcivescovile di Fermo e la sommaria descrizione del più interessante materiale documentario ivi conservato si trovano nel volume edito dalla Curia Arcivescovile di Fermo nel 1985: L’archivio Storico Arcivescovile di Fermo,La Rapida, Fermo 1985, vol. di pp. 1-75. Inoltre in “ Quaderni dell’archivio storico arcivescovile di Fermo” n. 4 a. 1987 e n. 6 a. 1988.

[26] Si tratta di un balzello “una tantum” che colpiva ogni beneficiato nominato per la prima volta, il quale era tenuto a versare, per il primo anno del suo mandato, metà della rendita del proprio beneficio.

[27] Il trasferimento di ben sette sacerdoti beneficiati, residenti in una piccola chiesa,  tenuti alla sola salmodia e portati nella chiesa parrocchiale, appena restaurata e ampliata, con l’impegno di collaborare con il parroco e di celebrare la liturgia delle Ore e l’assegnazione dei beni del vecchio beneficio laicale alla chiesa principale rappresentavano un saggio provvedimento assunto per motivi pastorali dall’arcivescovo.

[28] L’istituzione di un collegio di canonici in una chiesa, detta collegiata, era un’operazione difficile e delicata perché, sul piano economico, comportava che i vari enti religiosi del paese (parrocchie, chiese, confraternite e simili) dovessero impegnarsi a creare le prebende canonicali per ogni singolo canonico o prebendato, finanziando con i propri beni il loro sostentamento e le spese generali della stessa chiesa collegiata.

[29] I Canonici regolari Lateranensi, che non hanno alcun legame con la basilica papale di San Giovanni in Laterano né, quindi con i canonici addetti alla stessa basilica, è un ordine monastico che segue la regola di Sant’Agostino. Si stabilirono a Fermo nel 1256 nella zona di San Marco alle Paludi, ove gestivano l’ospedale dei lebbrosi, chiamato ospedale di San Marco di Rivocelli. Nel 1463 da Rivocelli si trasferirono all’interno della città di Fermo nel monastero soppresso delle benedettine, presso la chiesa di santa Caterina.

[30] Una situazione analoga si era verificata poco meno di un secolo prima, nel 1648, con conseguenze più gravi a Fermo dove avvenne una rivolta determinata, anche allora, dalla esportazione del frumento per sovvenire alle necessità determinate dalla carestia sofferta nella capitale, cfr. S. VIRGILI, Personaggi Piceni, Centobuchi (A.P.) 2013, vol, III, pp. 97-102 e 121.123.

[31] Nulla possiamo dire se nella segnalazione ci fosse stato anche l’intervento del fratello.

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