NEPI Gabriele (1923-2010) studia le antiche notizie su Falerone Romana e sul suo vino “Falerio”

GABRIELE NEPI: APPUNTI STORICI E GEOLOGICI DI FALERONE e DEL VINO CLASSICO “FALERIO”

(Fermo 1992)

In esecuzione all’incarico affidatomi di suffragare con motivazioni storiche le origini di Falerio Picenus,  esistente sin dalla remota antichità, e dei suoi prodotti, con particolare riguardo a quelli vinicoli[1], ho stilato alcune considerazioni di indole storica sulle origini (compresa quella ecclesiastica in quanto Falerio costituiva una diocesi distinta da Fermo)  e sulla natura geologica dei suoli. Iniziamo con i lineamenti storici di Falerio Picenus  e del territorio circostante.

LINEAMENTI STORICI. Falerio Picenus  <Colonia Romana>fondata più o meno al tempo di Ottaviano nel 29 a. C., è località importante sin da questo periodo perché sorta come capoluogo di centuriazione dei terreni destinati ai veterani degli eserciti. La sua ubicazione è una delle più felici: al centro di feraci colline, ricche di prodotti agricoli, ad un passo dal fiume Tenna ed epicentro di altre famose località come Servigliano, Belmonte, Montegiorgio, Rapagnano. Falerio fu città importantissima come si evince dai molti reperti storici, che ornano, tra l’altro, il suo Museo, inoltre dal teatro romano (43 a.C.) in discreto stato di conservazione; dai monumenti sepolcrali disposti lungo la pianura del Tenna. Falerio era situata nella località dove sorge ora la frazione Piane di Falerone, lungo la via di comunicazione che da Ascoli conduce ad Urbisaglia, al centro della Via romana Faleriense che, fiancheggiando il Tenna, conduce al mare. Fertili e ubertose sono la vallata e le limitrofe adiacenze verso nord. In questa area, dopo la battaglia del Trasimeno del 217 a. C., sostarono le truppe di Annibale per ritemprarsi dalle fatiche belliche.  Due sommi storici, Polibio (morto nel 125 a. C.) e Tito Livio (morto nel 17 d. C.) ci dicono che, sin da allora, la vallata del Tenna era ricca di messi e di vino.  Nell’opera  storica[2] di Tito Livio si legge: “ Annibale, attraverso l’Umbria, marciò direttamente su Spoleto … Cominciò l’assedio alla città, ma fu respinto con grave danno… Si diresse quindi verso l’alto Piceno, ricco non solo di messi, ma anche di prede che i suoi soldati, bisognosi di tutto, rubavano senza ritegno…. Era tale l’abbondanza di vino vecchio che ci faceva lavare le zampe dei cavalli.”

Polibio, storico greco, vissuto, come detto, prima di Cristo, narra che, dopo attraversata la regione che prende nome dagli Umbri e quella che lo prende dai Piceni, dopo nove giorni dalla partenza dal lago Trasimeno, giunse nella zona dell’Adriatico. Si era impadronito di molte prede, tanto che il suo esercito non riusciva a trasportare il bottino e trascinarsi dietro gli animali. Le depredazioni erano tali che i soldati di Annibale si permettevano il lusso di servirsi del vino, specialmente di quella invecchiato, come antisettico per ripulire le ferite dei soldati e per disinfettare e frizionare le zampe dei cavalli.[3]

Nei pressi del Colle, dove sorge l’attuale Falerone, nel 90 a. C., si ebbe una delle prime battaglie della famosa guerra sociale, mossa contro Roma dalla lega italica dei  Marsi, Vestini, Peligni, Marrucini, Frentani, Sanniti, Irpini, Frentani, Venusini, Apuli e Lucani. Questi popoli, detti “Italici”, si erano alleati per muovere guerra a Roma rea, fra l’altro, di non voler concedere loro la cittadinanza. Ascoli aderiva alla congiura; ma era un’isola nel Piceno: le altre città non si erano schierate contro Roma, né avevano dato il loro assenso o sostegno alla congiura.I Pretuzi (Teramani) non vi partecipavano; Fermo era fedele a Roma. Il proconsole romano Caio Servilio, di stanza a Fermo, ebbe sentore della ribellione e insieme con il suo legato Fonteio, si recò ad Ascoli per controllare se effettivamente c’erano moti separatisti e autonomisti fra i confederati e per avere notizie di un ostaggio.

Quando essi giunsero, gli Ascolani stavano celebrando una cerimonia patriottica, dice Appiano.[4] Al vedere il proconsole con il suo seguito e le insegne romane, arsero di furore e in men che non si dica, si gettarono su loro, uccidendo Servilio, Fonteio e gli accompagnatori. Gli Ascolani chiusero le porte della città per evitare fughe, ed uccisero tutti i Romani che si trovavano in Ascoli. Era lo scoppio della Guerra Sociale che doveva insanguinare gran parte della penisola, e che sarebbe finita con l’assedio e l’espugnazione di Ascoli nell’ 89 a. C. Il Senato di Roma chiamò alle armi i suoi soldati guidati da valenti comandanti. Furono inviati eserciti nell’Italia meridionale. Nel Piceno fu mandato un esercito al comando di Gneo Pompeo Strabone, che fra l’altro aveva beni e possedimenti a Fermo. Egli venne dall’interno verso est, dirigendosi verso Fermo, per costruirvi la base delle operazioni, ma ebbe a sostenere un primo scontro con gli Italici presso il Monte “Falerino”.

Gli Italici erano comandati da Gaio Vidalicio, Publio Ventidio Basso, entrambi ascolani e da Tito Lafrenio, come narra Appiano Alessandrino nella  sua opera intitolata La guerra Civile[5].  Pertanto nel 91-90 a. C. si ha menzione di Falerone per la sconfitta inflitta dagli Italici all’esercito Romano comandato da Gneo Pompeo Strabone. Da notare, per inciso, che nell’esercito Romano prestavano servizio Marco Tullio Cicerone che divenne famosissimo, ed il figlio di Gneo Pompeo Strabone, il futuro Pompeo Magno. La vittoria degli Italici sul Monte Faleronese è un elemento molto importante per la storia di Falerone. Dopo questo primo scontro, Strabone si rifugiò a Fermo dove venne assediato da Ventidio Basso e da Afranio. L’assedio  si protrasse per diversi mesi nell’anno 90 a. C.. Roma, intanto, spedì Servio Sulpicio Galba con un esercito in aiuto a Pompeo. Questi, saputa la cosa, fece una sortita e Afranio fu preso fra due fuochi: da una parte, da  Strabone, alle spalle, da Galba, inoltre le truppe romane di Sulpicio appiccarono un incendio all’accampamento dello stesso Afranio il quale morì in battaglia. I suoi soldati fuggirono da Fermo, rifugiandosi in Ascoli che venne circondata, assediata ed espugnata il 25 dicembre dell’89 a. C.

Così il Monte Falerino entra nella storia Romana, segnando, in battaglia, una sconfitta per Roma. Era l’inizio di un evento bellico che portò alla distruzione di Ascoli, capo degli insorti  (caput gentis)[6].

Un’altra prova dell’importanza di Falerone, e dintorni, si ha in un passo di Plinio, il famoso scrittore romano, comandante della flotta romana, morto nel 79 d. C. durante l’eruzione del Vesuvio. Egli, nell’opera Storia Naturale[7] (che citeremo ancora) descrive il Piceno, elencando le varie popolazioni che lo abitavano. Dice: “ Nell’interno vi sono gli Ascolani, gli Osimani, i Beregrani, i Cingolani, i Cuprensi di nome Montani, i Faleriensi, i Pausolani, i Pleninensi, i Recinensi, i Settempedani (abitanti di Sanseverino Marche e dintorni), i Tolentinati, i Treiensi, i Pollentini sono uniti con Urbisaglia …

Come si vede, i Faleriensi  hanno una fisionomia e dignità propria, per cui anche qui la storia milita per un’autonomia, anche vinicola, di una città che nulla aveva da invidiare ad Ascoli e a Fermo, a cui era di poco inferiore. Lo afferma il Mommsen (1817-1903) sommo storico tedesco e premio Nobel per la Letteratura nel 1902. Egli, nella Raccolta sistematica delle Iscrizioni Latine (CIL), sottolinea  che a Falerio v’erano diversi Collegia fabri[8]  e lo studioso giunge a questa conclusione:  “sebbene Falerio è raramente ricordata dagli scrittori, tuttavia, fu abbastanza celebre e appena inferiore a Fermo. Altre prove dell’importanza di Falerio sono date dalla centuriazione e dall’esistenza del Teatro Romano, cose che si rinvengono solo in città cospicue e importanti.

Nella centuriazione  descrittaci dal Libro delle Colonie (Liber Coloniarum) che dedica a Falerone un risalto maggiore di altre colonie romane, si legge: “ Il territorio di Falerio fu assegnato con i confini marittimi e gallici chiamati da noi agrimensori decumani e cardini (decumanos et cardines). E’ delimitato da vasche, ripe, cunette di scolo (…) muri cementati ed a secco (…) termini di pietra rossa, termini augustei (…) corsi d’acqua, alberi piantati (prima della centuriazione) gioghi di monti, greppi, pietre naturali scolpite come si suole fare per delimitare i confini del Piceno.”

Tornando a Plinio, nella sua Storia Naturale[9], egli dice anche: “ I Piceni tennero il territorio che incomincia dal fiume Aterno, dov’è l’Agro Adriano e la colonia di Atri lontana dal mare sette miglia; il fiume Vomano, l’Agro Pretuziano e incomincia il Palmense, il fiume Tesino che disegna i confini della regione dei Pretuzi e incomincia il Piceno, il castello di Cupra, il castello dei Fermani ecc.”

Questa focalizzazione ci induce a delimitare la zona agricola e geologica propria del vino Piceno, cioè quella nord del Tesino. Plinio parla anche delle uve del Piceno[10] “L’uva itriola è peculiare dell’Umbria, di Mevania (Bevagna) e del territorio Piceno (…) molto meravigliosa è quell’uva (…) ma è sorprendente che in Italia piaccia l’uva Gallica e al di là delle Alpi la Picena “  Poi ha quasi una folgorazione e spezza una lancia a favore dei vini della costa adriatica focalizzando la zona a noi vicina Palma, grosso modo, territorio della odierna Torre di Palme.  Della stessa costa Adriatica sono lodati i vini Pretuziani (agro Pretuziano) e quelli che nascono in Ancona e quelli che si chiamano Palmensi, forse perché sono fatti con uve prodotte a Palme.

Il nostro vino trova in Diocleziano (imperatore dal 284 al 305 d. C.) un valido “difensore”. Infatti tale imperatore, con il suo editto[11] (edictum Diocletiani)  emanò il più grande calmiere dell’antichità fissandone meticolosamente i prezzi per evitare che i commercianti fornissero alle truppe merci a prezzi esosi. Sono elencati, in tale editto, i prezzi dei cereali, delle merci di lusso, i compensi per i lavori non qualificati e per i lavori qualificati. Come detto è un vero e proprio calmiere perché  stabiliva non tanto il prezzo delle merci, quanto il modo[12]. Ed è significativo il fatto che nell’indicare i prezzi dei vini, elenca come primo il vino Piceno.

Un altro imperatore, Domiziano, dovette occuparsi di Falerio Piceno. Nell’anno 89 d. C. vi fu una lite tra Fermani e Faleronesi per questioni di terre che erano occupate da questi ultimi, mentre i Fermani ne reclamavano la proprietà. Plinio il Giovane difese la causa di Fermo; lo leggiamo nelle sua Lettera[13]: “ Plinio, all’amico Sabino, salute. Mi preghi di difendere in tribunale la causa dei Fermani. Sebbene sia oberato da moltissimi impegni, lo farò (…) assicura i tuoi, o meglio, i nostri Fermani del mio interessamento”. Venne riscontrata la precedente concessione imperiale ed il fatto che Falerone da anni teneva e vendeva quelle terre dette “subpsiciva”. Fermo perse la causa, vinse Falerone e un altro imperatore Domiziano emanò nell’82 d.C. una sentenza a favore appunto di Falerio[14].

Notizia di storia ecclesiastica. Falerone che era un centro importante, di poco inferiore a Fermo, come ha detto Mommsen: era  infatti sede vescovile, distinta da Fermo, anzi era una delle quindici città picene (studiate dal Lanzoni) che avevano una cattedra vescovile: Fermo, Ancona, Ascoli, Settempeda (= San Severino), Truento, Falerio, Cluana, Potenza, Osimo, Tolentino, Cingoli, Civitanova, Corridonia, Pausola, Urbisaglia.[15]

LINEAMENTI GEOLOGICI DI FALERONE. La zona collinare peri-adriatica, ove si produce il vino Falerio, è costituita da terreni di origine marina della successione plio-pleistocenica marchigiana caratterizzata da un potente complesso a dominante argillosa entro cui si trovano intercalati, a varie altezze stratigrafiche, depositi clastici grossolani che costituiscono singoli orizzonti, oppure corpi composti di spessore anche notevole. Su di essi si adagiano i depositi continentali rappresentati da: -a- b- c-

a– alluvioni attuali e recenti e depositi alluvionali terrazzati dei corsi d’acqua principali (Chienti, Tenna, Aso) costituiti prevalentemente da depositi ghiaioso-sabbiosi in cui si trovano intercalati lenti e\o orizzonti limosi-argillosi. Tali depositi testimoniano le successive fasi di incisione e sedimentazione dell’asta fluviale durante la sua evoluzione morfo-tettonica;

b– depositi colluviali, rappresentati prevalentemente da aggregati argilloso-limosi-sabbiosi, in cui le suddette componenti possono presentare variazioni percentuali molto spiccate sia arealmente che in profondità.. La genesi di tali depositi è legata ai processi di alterazione chimico fisica, trasporto e rideposizione di materiale a spese  delle formazioni circostanti.

c– Depositi di spiaggia attuale e terrazzi marini che si sviluppano lungo la costa; la loro genesi è legata alle oscillazioni del livello del mare che hanno portato alla ri-sedimentazione di materiale prevalentemente ghiaioso- sabbioso.

E’ dimostrato scientificamente, oltre che intuitivo, il legame che esiste tra vitigno, clima e terreno, per cui, per una ulteriore qualificazione del Falerio D.O.C  sarebbe indispensabile, tenuto conto anche della direttive comunitarie, una suddivisione in sottosezioni omogenee dell’area di produzione, data la diversità dei terreni che la costituiscono.  Ciò al fine di una corretta concimazione sulla base delle caratteristiche tecnico agronomiche e dello stato nutritivo dei vigneti[16]. La qualità e il carattere del vino potrebbero avere una più incisiva definizione attraverso la “Geologia della vigna”. La zona con epicentro Falerio e Picenus è la zona tipica dei vini a preferenza di zone limitrofe.

Apriamo il trattato sulla storia dei vini di Andrea Bacci[17] e sappiamo che la produzione di tali vini nell’area Faleronese è Magliano, Servigliano, Monte Rinaldo, Santa Vittoria in Matenano, Montelparo, Montegiorgio, oltre che, naturalmente, Falerone che conserva il nome sin dall’origine. Egli aggiunge che nel territorio di Fermo, Tigno, Tolentino, San Severino (…) e massimamente nelle pianure prossime a queste antiche città, si è soliti preparare la maggior parte dei vini, anche con bollitura. E’ vero che qui si adombra il vino cotto, ma è anche vero che traccia una mappa geografica di località che denotano una intensa produzione vinicola.

Il Bacci focalizza la zona attorno al fiume Tenna, collinosa, con fertili vigneti che producono vini famosissimi sia per la loro abbondanza, che per la loro qualità; egli, inoltre, precisa che la produzione è dovuta particolarmente al suolo sabbioso ed asciutto, qualità lodate da Virgilio nelle Georgiche.

La fornitura dei vini passava per Civitanova e Montecosaro, da dove erano trasportati a Venezia e nelle zone costiere della Dalmazia[18].



[1] L’incarico dato al fine di ottenere la specificazione di vino “classico” per il FALERIO in riferimento all’art. 5 delle legge 10 febbraio 1992 n. 164 riguardante l’origine dei vini. La ricerca delle fonti documentali su questo territorio è ampia nel volume di NEPI Gabriele, Il Piceno nei classici greci e latini. Raccolta Antologica. Fermo 1997 in 144 pagine, con spiegazioni.

[2] Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXI, 10: opulenta fertili provintia exercitum alebat veteribus vinis quorum permagna est copia pedes equorum abluens …

[3] Polibio, Storia,(opera in greco in 40 volumi) vol. 3, 86-88

[4] Appiano Alessandrino, La Guerra Civile: solemne patrium celebrantes: lib. I, 38. “Vidalicio, Tito Afranio e Ventidio Basso si scontrarono con Pompeo nei pressi del colle Falerino; lo misero in fuga e lo inseguirono fino a Fermo … Afranio, rinchiuso Pompeo entro Fermo, si accampò attorno alla città”.

[5] Appiano Alessandrino, Bellum civile, I, 47, 204 il testo greco usa il toponimo: Falernon. In latino: “Circa Falerinum montem, Iudalicius et Titus Afranius et P. Ventidius, cum Cn. Pompeo invicem congressi, in fugam vertere, ed ad urbem usque Firmum persecuti sunt. Afranius Pompeo intra Firmum incluso, castra opposuit.

[6] In base a quanto premesso, e data la funzione prettamente romana e antiitalica, non si capisce come mai nella relazione di riconoscimento ufficiale del vino Falerio sia denominato Falerio dei Colli Ascolani, quando per lo meno avrebbe dovuto essere denominato dei Colli Fermani, sia per la vicinanza a tale città. Falerio ha avuto una fisionomia propria con i crismi ed i carismi di città autonoma, distinta da Ascoli e da Fermo sia per la sua conformazione geologica, sia soprattutto per la grande distanza da Ascoli.

[7] PLINIO il Vecchio, Naturalis Historia,   III, 112: “ Intus Asculani Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, FALERIENSENS, Pausolani, Pleninenses, Recinenses, Septempedani, Tolentinates cum Urbe Salvia Pollentini iunguntur …”

[8] MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL)  IX, 5439; centonari, 5438 sodalicium fullonum, 5450. Falerone appena inferiore a Fermo:(licet raro a scriptoribus memoratam celebrem satis fuisse et Firmo vix inferiorem.

[9] PLINIO, Naturalis Historia,  III, 112: “ tenuere al Aterno amne ubi nunc est Ager Adrianus et Hatria colonia a mari VII mille passuum; flumen Vomanum; ager Pretutianus Palmensisque, item Castrm Novum …  flumen Tessuinum quo finitur Pretutiana regio et Picenum incipit. Cupra oppidum, Catellum Firmanorum “

[10] PLINIO, Naturalis Historia lib. XIV, IV: Itriola Umbriae Mevanatique ei Piceno agro peculiaris est.

[11] Edictum de pretiis rerum venalium (comunemente, anche se non con certezza Edictum Diocletiani)  i n 32 tabelle segna i prezzi massimi di migliaia di prodotti. Cfr. Mommsen, Das Edict Diocletians. Berlin 1851.

[12]non pretia venalium rerum … sed modum. Ivi  2,7-8

[13] PLINIO il Giovane, Epistola 18 lib. 6: Sabino suo salute. Rogas ut agam Firmanorum publicam causam: quod ego quamquam pluribus occupationis distentus, adnitar. Proinde Firmanis tuis, ac iam potius nostris, oblige fidem meam.

[14] L’originale del decreto imperiale, edito su bronzo, è nel Museo Vaticano, una copia nel Museo di Falerone. Data esecutiva il 19 luglio.

[15] LANZONI, F., Le diocesi d’Italia, Faenza 1927,  I, p. 395

[16] Per contro, i territori affioranti all’interno della città di Ascoli, sono costituiti dalle formazioni: arenacea, arenaceo-pelitica, e pelitico-arenacea, rappresentate rispettivamente da. 1) arenarie più o meno cementate con interpositi livelli marnosi; 2) alternanze di argille marnose e livelli arenacei e\o calcarei con varia prevalenza.  Spesso tali unità, tutte appartenenti al Miocene, sono ricoperte da coltri di materiale derivante dal disfacimento delle predette arenarie 1) e alternanze di argille 2).

[17] Bacci Andrea, De Naturali Vinorum Historia. Roma 1595, lib. V, p. 225 tamen vix deducta aut detorta remanserunt nomina; p. 252: bollitura; p. 254: vina gignit et copia et genera laudatissimacuius agri qualitates commendat Virgilius et item Columnella in libro de vitibus. Per Virgilio, Georgiche II, 91. Il Bacci apprezza la grande fertilità del territorio di Montegranaro per i cereali ed ogni genere di frutti, p. 254: cerealium ac omni frugumn genere ac vinis praebetur feracissimum. Altre lodi per il bacino del fiume Tenna: frugibus et vinis abundat (…) multa copia ac laude. Il Bacci dice preziosi i vini di Cupramontana e San Ginesio dove si rifugiarono i Faleronesi profughi: ex desertis Faleriis ac Urbis Salviae ruinis (…) quasi naturali situ se receperint, p. 256.

[18]  Bacci, cit. p. 259: quae cum vinis quotamnis Venetias et in conspectu maris littoralem locupletat Dalmatiam.

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