“SOGNO UNA SCUOLA” di FERRACUTI Mario (1930-2014) docente universitario.
“ Sogno anch’io che la scuola torni, senza falsi pudori, ad usare l’antico linguaggio dell’amore e della speranza. Come affronteremo le sfide del pluralismo razziale, del pluralismo ideologico, confessionale, del pluralismo nazionalistico, senza riscoprire le sorgenti dell’amore? “ Fromm è chiarissimo: è possibile una convivenza umana sono in una “società nella quale l’uomo stabilisca con l’uomo rapporti fondati sull’amore” (Avere o essere? Milano 1977 p. 343).
Giovanni Gentile è perentorio: “ Quanto a me, porto fermissima opinione che ogni scienza idonea all’incremento della scuola e della educazione si sostanzi in una sola cosa, e cioè nell’amore che dà significato alle dottrine ed energia ai propositi” (La riforma dell’educazione; ed. 1955 p. 9).
E. Mounier è esplicito: “L’amore è l’unità della comunità, come la vocazione è l’unità della persona (…) L’atto di amore è la più salda certezza dell’uomo (Personalismo; Roma 1964 p. 48). Lo stesso don Milani aveva capito, come nessun altro, che solo l’amore incondizionato verso gli alunni poteva produrre cambiamenti insperati sui comportamenti dei ragazzi di Barbiana e rassicurarli nelle loro certezze. Certezza dell’amore che si coniuga con la garanzia della speranza. E la scuola, se vuole veramente educare, ha il dovere di uscire dalla sua freddezza tecnica ed agnostica per riproporre al giovane il tema della speranza, o per dirla con Bernanos, il “rischio della speranza”.
Sulla speranza gli uomini, anche in tempi più drammatici di questo in cui siamo direttamente coinvolti, hanno sempre misurato la loro esistenza, nella ricerca di una migliore qualità di vita. “La speranza – diceva Charles Peguy, questa bimba piccola che ogni mattina si alza, dice le orazioni e poi guarda, con occhio sempre nuovo, gli altri per i mondi finiti; la speranza che conosce le cose che ancora non sono e che saranno” (Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, 1930 p. 127).
Un altro sogno è sull’Europa. Temo che si stia partendo con il piede sbagliato, sento un rumoreggiare di tamburi che accompagnano una danza di banche sulla strada dell’unità europea. Sento l’orgoglio di nazioni che vogliono unirsi per prendere molto e donare poco. Sento una scuola tutta tesa ad adeguarsi agli standard tecnologici delle nazioni più avanzate, ma priva di messaggi significativi e vivificanti. L’Europa può costruirsi solo sulla banca delle idee, della generosità, della forza trasformatrice della scuola.
L’ultimo sogno è sul maestro del secolo XXI aperto all’Europa. Si fa tanta retorica sul maestro, sul docente, sulla sua professionalità, sul suo ruolo dentro la scuola e dentro la società, ma, oggi, il primo e sacrosanto dovere della società è quello di reintegrare il maestro nella sua dignità e ricreare attorno a lui quel rispetto accreditato al maestro del villaggio.
Sono state fatte in questi ultimi decenni rivoluzioni sociali, scolastiche, religiose che condivido pienamente, perché spesso le rivoluzioni accelerano i lenti progressi della storia. Ma le rivoluzioni sono fatte anche di eccessi, di errori che, dopo la bufera, debbono essere corretti. Chi non riconosce che le rivoluzioni studentesche degli anni ’60-’70 sono state per molti aspetti salutari ed hanno accelerato processi incancreniti, hanno tagliato nella vita sociale e religiosa antiche code di stampo medioevale? Ma esse hanno anche prodotto e provocato eccessi di notevole gravità.
Con o senza l’aiuto di Freud le ultime rivoluzioni si nono accanite contro l’idea del “padre”. Hanno ghigliottinato questa idea che è l’idea di autorità, di gerarchia, di disciplina intesa non nel senso di repressione (in questo senso ben opportunamente sono state giustiziate), ma come portatrici di valori da trasmettere e di competenze da offrire. Sul piano scolastico, come conseguenza, è stata penalizzata soprattutto la figura del maestro che è scaduto ad un povero operatore scolastico messo all’angolo della cattedra e dell’aula scolastica.
Tutte le rivoluzioni pedagogiche, più o meno copernicane, hanno tolto qualcosa al maestro senza aggiungere molto alla scuola. Io credo che è venuta l’ora di risacralizzare la figura del maestro, non per farne un supermann e allontanarlo dalla realtà palpitante degli scolari, ma un uomo riscattato dalle sue frustrazioni, dai livelli infimi di considerazione che la società opulenta del benessere gli concede.
Credo che sia il tempo di rivedere quella che è stata chiamata la rivoluzione copernicana della scuola e fare una nuova rivoluzione “bipolare” dove maestro e scolare siano i due momenti viventi più alti e solenni, attorno a cui ruotano tutti gli altri momenti e strumenti del processo educativo. Ogni uomo che crede in se stesso e nel proprio ruolo non può non dare il meglio di sé con il massimo dell’entusiasmo. Oggi invece, a scapito della persona del maestro, si tende ad esaltare le tecniche e tecnologie come risolutrici di tutti i problemi scolastici, senza ricordarsi di quanto scrive il Clause, che “troppi ‘mugnai’ ” della pedagogia si interessano solo del mulino, si impegnano molto e sprecano energie e mota immaginazione per perfezionare il meccanismo, gli ingranaggi e le cinghie di trasmissione, e sembrano aver dimenticato che l’essenziale è pur sempre la materia prima che è immessa nella macina. Le pietre non daranno mai altro che sabbia, e, fino ad oggi, ancora non è stato trovato un sistema migliore per ottenere della buona farina che mettere nella macina del buon grano (Cause, A. Filosofia e metodologia in un insegnamento rinnovato, Firenze 1976 p. 111).
Ho paura di un eventuale maestro “tutto computer” e di un bambino tutto tecnologico, osserva il maestro Tombari, che quando Cappuccetto rosso, la Bella addormentata, o Cenerentola saranno completamente sostituiti dai robot o dai racconti di fantascienza, il fanciullo di 7 anni rimarrà dissanguato; così pure la scuola rimarrà senz’anima e dissanguata quando i maestri si trasformeranno in perfetti operatori tecnologici a scapito della densità umana che conferisce carattere carismatico e profetico all’insegnamento.
(FERRACUTI, M., Dalla maestra del villaggio al maestro europeo,Teramo 1990 pp.134-136)