MARISA GALLI PER FONDARE LA COMUNITA’ DI CAPODARCO va pellegrina all’Amore Misericordioso.
Marisa Galli si racconta. In viaggio sul pulmann per Collevalenza; la gente del gruppo mi guarda, con occhi pietosi e curiosi allo stesso tempo, forse convinta che vada da quella Suora che ha fama di santità, solo per chiedere la grazia della guarigione fisica. Invece no. Se fosse stato davvero per questo unico movente, sarei rimasta volentieri a casa. Nessuno suppone la forza di volontà indomabile che mi sorregge, sono troppo bloccata, limitata e circoscritta in apparenza, sembra che la malattia abbia segnato e distrutto ogni cosa senza rimedio, di conseguenza nessuno intuisce il desiderio concreto di superamento, di risolutiva e irridente rivalsa: dimostrare con una testimonianza di vita che è una cosa doverosa e possibile, nonostante tutto.
Oh, sì, lo costruiremo l’ambiente adatto, se la Provvidenza ci assiste, per accogliere e aiutare tante creature in questo senso. Allora sono partita come rappresentante di un gruppo già unito e compatto, ansioso e impaziente di dare battaglia. Vado, quasi per trovare conferma alle nostre speranze, per attingere un briciolo solo di forza, tanto necessaria nel sacrificio che impone il tempo dell’attesa.
Così, mentre la corriera percorre le colline e le vallate, nell’umida giornata invernale, il viaggio risulta lungo e disagiato; un mare fitto di nebbia si stende sotto lo sguardo e affoga nel nulla i vasti uliveti umbri. Ecco l’immagine perfetta dell’umanità sofferente e piena di mille sogni, proiettata a tentoni, così, all’in coscia ricerca del bene. Intanto penso quello che debbo dire in sintesi alla Suora. C spero solo di non rimanere in patinata quando sarò davanti ad lei, cosa non troppo improbabile
Appena arrivati ci mettiamo in fila insieme con altre persone, ci viene teso un dischetto di plastica, con un numero scritto, che praticamente autorizza ad essere ricevuti a turno. Però a me danno la precedenza ed entro, sostenuta da due ragazze che a portarmi fanno fatica; scorgo subito lei, in piedi, vestita di bianco, un visto tutto rugoso dal colorito olivastro, che appena mi vede esclama in tono sorpreso e accorato “ Figlia, che ha di fatto?”. Aggredita all’improvviso da un’intima commozione, chino il capo balbettando: “Madre”, senza essere capace di aggiungere altro. Segue un momento di silenzio, poi interroga: “a quanti anni stai così?”. “Dalla nascita” rispondo: poi quasi paventando che non afferri subito il motivo esatto per cui sono arrivata fin lì, io vado avanti nel discorso per conto mio: “ Il Signore mi ha darò però il dono gratuito della rassegnazione e con questa infermità spero solo di guadagnare il Paradiso ”. Allora, come se avessi detto davvero qualcosa d’ingenuo e scontato in partenza, lei afferma con sicurezza: “ Oh, sì. Questo sì ”.
“ Ascolti, comunque, un altro fatto importante: ecco, io sono venuta, membro volontario, anonimo e ignoto, a presentare il sogno e la causa di un gruppo nutrito di sofferenti che sospirano da tempo una casa tutta per loro, come già le è stato reso noto in precedenza dallo stesso don Franco”. “Sì” aggiunge di nuovo “ E io prego ”. Dice questo con un tono di voce particolare, quasi fosse un giuramento.
Presto viva attenzione a tutto quello che odo, resto muta, con l’animo sospeso; poi, alla fine, frasi accorate e discontinue fanno ressa alle labbra e rivelano in pieno lo stato interiore. Come fare? Dio mio, sento in modo tormentoso, che ho una missione santa da assolvere senza indugi fra questi fratelli. Vorrei scuotermi, annullarmi, dare tutto per iniziativa, mentre invece non posso far niente!
Gli occhi suoi sono fissi nei miei, uno sguardo singolarissimo, profondo, che trapassa l’intimo. Al di là delle apparenze percepisco, sento, senza possibilità di equivoci, la sua anima grande trepidare accanto alla mia. Certo prova indubbiamente una palpabile, delicata pietà per il mio fisico crocifisso e si limita solo a fare eco alle mie parole, forse con una nota di pianto appena percettibile nella voce. Sì lei vorrebbe far tanto, ma non può far niente, lo ripete, quasi volesse imprimerselo bene nella mente. Poi, con la mia mano stretta alla sua, ripete più volte una frase, che dice sempre a tutti i visitatori, del resto, e che, pronunciata così, con accento leggermente straniero, essendo ella di origine spagnola, suona di conseguenza più dolce, convincente, capace di per se stessa d’infondere un senso infinito di pace e tanto, fiducioso, sereno coraggio: “ Mi pregherò per ti”. Sono momenti unici e rari in cui l’essere limitato si eleva, si lascia ghermire liberamente, si lascia assorbire, con filiale amoroso abbandono, dalla potenza dell’Altissimo.
Pochi minuti soltanto, poi avviene il congedo. Scendiamo nella Cappella: qui tutto è bello, mistico, nuovo. Il Crocifisso a grandezza naturale che sovrasta l’altare e accoglie subito lo sguardo attento del visitatore, produce grande effetto, per sui si resta stupiti e con il respiro sospeso, perché è talmente originale nelle fattezze da sembrare addirittura vivo: la persona eretta nel dolore, due braccia tese che proprio in quell’immobilità inchiodata, testimoniano il dono totale di Sé, il trasporto incontenibile per l’Universo intero, pronte a ricevere indistintamente, in un amplesso infinito, fedeli ed infedeli, ricchi e poveri, sani e malati, buoni e cattivi; un volto illuminato da una luce singolare che attrae e parla solo d’amore; sì, quello misericordioso. La preghiera sgorga allora dal cuore fitta ed accorata, strappate dalle fibre dell’intimo quasi con dolce violenza. Gli affido tutto il mio essere, valori e miserie, scarico il nostro prezioso fardello di speranze, fatiche e incertezze: sono venuta essenzialmente per questo.
Così, piano piano, si placa il tormento, mi sento riconfortata, sicura, leggera, succede la pace. Ecco, i pensieri seguono un filo logico, davvero Lui ci vuole minuscoli strumenti da niente, per attuare un’opera grande, su questo lato non si può dubitare; ebbene siamo tutti d’accordo, proprio qui, prostrati per terra, protestiamo con slancio, una volta di più, la nostra assoluta disponibilità fatta di fuoco, perciò spetta a Lui il compito di rafforzare la nostra risaputa fragilità e regolare gli eventi in proposito.
Fuori ci attende la strada interminabile del ritorno, ma non importa, predomina solo la gioia autentica di essere venuti.
Racconto di Marisa Galli nel suo libro “Il lato umano” Ancona 1968 pp.62-66. Databile all’anno 1965.