L’ARTE CONTEMPORANEA CHE SGRETOLA L’IDENTITA’ PERSONALE
CON IL SACRO PUO’ CREARE LA PROIEZIONE AL NUOVO
Sul piano dell’arte figurativa, il compiersi del secolo XX cifra soprattutto la caduta di un “codice multiplo” che, come costante aveva accomunato artisti ed epoche, se pur con variazioni di gusto, nei secoli passati. In questo novecento, la progressiva frammentazione ideologica, la caduta di valori fino ad ora ritenuti irrinunciabili, l’irrazionalismo diffuso che ha finito per esprimersi in forme e codici individualistici ed ora il “pensiero debole”, che ha messo in crisi fin i possibili approdi dell’ermeneutica, hanno condotto l’arte ad una esasperata ricerca formale, ad una solipsistica formulazione di poetica, ad una proiezione inconscia, incapace di trovare, nella maggior parte dei casi, forme ed espressioni adeguate.
Donde il moltiplicarsi nella prima metà del secolo degli “ismi” che si rincorrono e si superano a vicenda; nella seconda, l’abbandono di contenuti che ne individuassero la forma, finendo per identificarsi con percorsi di puro metalinguaggio, quali l’informale e il concettuale, il moderno e l’underground e giù giù fin al post-moderno: etichette che poi finiscono spesso per essere denominazioni di comodo, se non addirittura a sublimazione di tentativi mal riusciti. Siamo così di fronte ad un rispecchiamento di tutto un secolo con tutti i suoi mali e le sue turbinose vicende.
V’è infatti, una società in crisi e che perde progressivamente la sua identità e si esprime in atteggiamenti puramente fenomenologici, in ideologie irrazionali che generano orrore, in nazionalismi esasperati che frantumano popoli e nazioni, uomini e cose.
Nel vano tentativo di recupero, il secondo dopoguerra si è configurato poi, come l’ultimo atto di sgretolamento di ogni identità personale, generando la caduta delle ideologie, esprimendosi in razzismi e fondamentalismi. Tutto ciò in un processo culturale osmotico che, mentre vuole esserne la giustificazione teorica, finisce, per altro verso, a decadere in cultura massificata e reificata, ove creatività, genialità, intuizioni sono rimaste vuote parole, dimesse e senza soggetto.
Tutto ciò ha finito per influenzare e di interagire nell’arte, evidente cartina di tornasole dell’esperienza umana. In particolare le ripercussioni si sono riversate sull’”arte sacra”, per un progressivo distacco dell’artista dai valori religiosi, visti e sentiti come ormai desueti e fuori dal mondo (da quel mondo) e quindi datati e poco stimolanti. Ci viene dunque da chiedere quanto la nuova epoca possa offrirci.
Non mi reputo certo uno che loda il passato, “laudator temporis acti”, che desidera ricondurre l’arte a forme storicamente concluse, parametri con cui molti nostalgici tentano di liquidare quella contemporanea.
Credo fermamente nelle inesauribili potenzialità dell’uomo, nell’immensa sua capacità, nella meravigliosa forza dei suoi stimoli interiori, nella sua progressiva, dinamica ricerca e proiezione verso il nuovo. Ma sono altresì convinto che tutto ciò sia possibile solo attraverso lo sforzo di una riacquisizione di invarianti di fondo, che permettano dialogo e scambio, attraverso la “inventio” di forme che promuovano rapporti inter-relazionali sul piano culturale ed artistico, attraverso una seria riflessione che consenta e sia, autentica ermeneutica di valori comuni.
Sarebbe deleterio scoprire e vivere una crisi interiore e rimanere quiescenti, senza che da essa non si tenti di venir fuori: ogni conflittualità interna ed interpersonale, perseguita e vissuta, subita e protratta, è fatale principio di distruzione di sé e della realtà in tutte le sue forme.
In questo contesto, credo sia molto proficuo ed opportuno “rivisitare” il Cristianesimo, rimeditare sull’arte sacra che offre molti elementi per un positivo superamento dell’impasse attuale. Tale è certo una delle ragioni di fondo per cui il Papa (Giovanni Paolo II), ad esempio, ha rivolto il suo “Discorso agli artisti”: una opportuna provocazione ed una oggettiva offerta di ricomposizione del dialogo e dei rapporti tra Chiesa e arte, nella convinzione che il sacro offre molto agli artisti e gli artisti possono dare impensati contributi al sacro, proprio per quella scintilla di divino che è nel genio e nell’arte.
Diventa perciò urgente che il secolo XXI e con esso il millennio che ci si aprono dinanzi, siano portatori di una prospettiva nuova, inconsciamente sentita come bisogno urgente e imprescindibile, ma non sempre individuabile nella concreta coscienza.
La prospettiva nuova è quella di compiere finalmente il salto da un’arte di denuncia e testimonianza di uno stato di cose, da una descrizione anatomica della distruttività umana, da un’arte di mera analisi, di manifestazioni d’impotenza interiore, verso un’arte che sia propositiva, che dimostri la intrinseca verità di una “natura naturans”, offra acquisizioni, esprima bisogni fondamentali, affermi la volontà di costruttività, urli a tutti la necessità di recuperare alla vita, alla persona ed alla realtà il loro senso definito.
Anno 1999. Germano Liberati
Digitazione di Albino Vesprini