CURI mons. AUGUSTO arcivescovo
Un ricordo
Il giorno di santa Maria di ferragosto del 1870 nacque Augusto Curi, nella casa paterna sita nel centro urbano di Servigliano, chiamato fino a pochi anni prima Castel Clementino da Clemente XIV che lo aveva fondato nel 1772.
Augusto fu il primo dei sette figli di Virginia Graziaplena e di Geremia Curi, proprietario terriero. Famiglia di salde radici cattoliche, con il prozio Giovanni Curi gesuita docente universitario e lo zio Ascenzo Curi che sarebbe divenuto arciprete serviglianese dal 1892 al 1906.
Fu appunto lo zio don Ascenzo, giovane prete venticinquenne a battezzare il bimbo, dandogli i nomi di Augusto, Mariano, Romeo, Sante e gli fece da padrino.
Augusto stesso raccontava che aveva soggiornato a Montegranaro, presso il prozio don Crispino Curi che qui era priore parroco. Presso la chiesa dei Frati Conventuali di San Serafino da Montegranaro, da ragazzo, frequentava padre Angelo Conti, un angelo di bontà che plasmò alla dolcezza i suoi modi. Fece la preparazione alla prima s. Comunione con quell’ottimo sacerdote, don Domenico Svampa, docente nello Seminario fermano, futuro vescovo di Forlì, e cardinale arcivescovo di Bologna. Ne imitò l’apertura all’apostolato moderno.
Ecco la famiglia paterna: Pietro Curi (1810) nonno; Anna Vittori da Montegranaro, nonna; Geremia Curi (1839) padre; Virginia Graziaplena (1850) madre. Figli: Augusto 1870; Rosa 1871; Adele 1872; Anna 1874; Cesare 1875; Igina 1877; Raimondo 1882 anno in cui morì il padre Geremia, mentre il nonno Pietro morì nel 1888.
Dalla famiglia ricevette l’esempio delle cristiane virtù e la prima formazione coadiuvata dalla Parrocchia di San Marco dove lo ricorda una lapide posta sopra al fonte battesimale, apposta nel febbraio 1929 quando consacrò la stessa chiesa. L’epigrafe ricorda il suo battesimo, inizio della vita cristiana, il 16 agosto 1870.
Ad undici anni ricevette la prima s. Comunione a Servigliano, dalle mani dell’Arcivescovo Fermano mons. Amilcare Malagola, venuto in Visita Pastorale. Seguì l’orientamento alla vita ecclesiastica e, nel novembre dello stesso 1881, fu ammesso nel seminario arcivescovile di Fermo. L’anno seguente avvenne la dolorosa perdita del padre.
Continuò gli studi e la preparazione al sacerdozio tra la stima dei compagni e dei superiori. Era affezionato al rettore p. Gaetano Mascialchi, gesuita, che impartiva con la parola e con l’esempio, un’educazione improntata alla bontà, alimentata dai doni sacramentali della grazia.
Augusto fu ordinato suddiacono nel 1892, diacono l’anno successivo e ottenne il presbiterato il 24 marzo 1894 dall’arcivescovo Fermano cardinal Amilcare Malagola il quale nutrì costante affetto paterno per don Augusto e lo volle suo vicesegretario e cancelliere sostituto della curia arcivescovile.
Nel 1895 l’arcivescovo gli delegò l’amministrazione della parrocchia fermana di Santa Caterina vacante per la nomina del parroco don Raimondo Jaffei (di famiglia serviglianese) a vescovo di Forlì (successore dello Svampa) .
Svolse e vinse il concorso per parroco a Montottone nel 1897; ma l’arciv. fermano mons. Roberto Papiri lo trattenne a Fermo, essendo eletto e nominato priore della vicina Collegiata parrocchiale di San Michele arcangelo. Vi restò per quindici anni fino al 1912. Oltre agli gli impegni pastorali ben espletati, riacquistò i beni della Collegiata, espletandone poi un’amministrazione fedele e fondò una fiorente Cassa Rurale e rese solenni le celebrazioni collegiali.
L’arcivescovo fermano mons. Carlo Castelli nel 1912 nominò don Augusto canonico arcidiacono della cattedrale metropolitana fermana e lo rese docente nel Seminario Interdiocesano di Fermo per l’insegnamento di Teologia Morale, Teologia Pastorale e Diritto Canonico.
Don Oreste Viozzi, poi arciprete a Servigliano, ammirava don Augusto per la vivacità del suo ingegno, la vastità della sua cultura e la profonda preparazione pastorale. Il papa Benedetto XV nel 1917 lo nominò suo cameriere segreto soprannumerario.
Nel successivo paragrafo riassumiamo il suo operoso zelo pastorale. Per una schematica sintesi della biografia, ricordiamo che il 23 dicembre 1918 lo stesso papa lo nominò vescovo delle diocesi di Cagli e di Pergola.
Successivamente nel 1925, anno santo, Pio XI trasferiva Mons. Curi ad arcivescovo a Bari, dove, dopo sette anni di intensa attività apostolica, fu colpito da un tumore che a 63 anni lo distaccò dalla terra, per farlo vivere in cielo, il 28 marzo 1933, anno santo.
Le date che accompagnarono i cambiamenti nella sua vita furono festività mariane: il 25 marzo, festività dell’Annunciazione ebbe l’ordinazione sacerdotale e, dopo 25 anni, la consacrazione episcopale. L’inizio del servizio episcopale: 1 febbraio, vigilia della Purificazione; il mandato Barese e il suo inizio nei mesi mariani di maggio e di ottobre: La morte nel giorno della festa della Madonna di Costantinopoli, Patrona di Bari, nel XII centenario.
Nel 1934 a Fermo don Giovanni Cicconi raccolse e pubblicò le memorie biografiche offerte dagli collaboratori. ” In memoriam. A Mons. Augusto Curi Arcivescovo di Bari eletto il 5 maggio 1925. Morto il 28 marzo 1933. Palo del Colle MCMXXXIV “
Parroco a Fermo
Giovanni Cicconi scrive: “Mons. Curi, a Fermo, fu anima, per cinque lustri, di ogni movimento buono”. Appartenne ad Istituti di Credito e coadiuvò le Opere Pie. Seguì la formazione degli givanetti “Artigianelli”, favorì l’Asilo dei Vecchi poveri, amministrò le risorse destinate a beneficio delle fanciulle del popolo.
Fu membro attivissimo nella Conferenza di San Vincenzo De Paoli, faceva parte del Consiglio dell’Unione Cooperativa composta da cittadini di ogni partito, era impegnato nella Redazione del settimanale ‘La Voce delle Marche’.
Svolgeva un’attività prodigiosa, con vivezza d’intelligenza, con senso pratico, con dedizione completa di se stesso. Fungeva da Segretario del Comitato Diocesano dell’Opera dei Congressi. Era uno dei Missionari della Madonna del Pianto in Fermo.
Ardente collaboratore delle iniziative cattoliche, nel 1912 fu promotore e capo del pellegrinaggio a Loreto ed a Roma. Nel 1914 era Presidente del Congresso Eucaristico Marchigiano a Loreto. Fu messo a capo del Movimento Catechistico e Presidente della Settimana Catechistica svoltasi a Fermo nel Seminario.
Il suo apostolato era mosso da infaticato zelo per il sacro ministero, per cui percorse gran parte dell’archidiocesi Fermana per le Missioni, per i Catechismi, per i Pii esercizi del popolo cristiano, a servizio delle Comunità religiose e delle Pie unioni femminili.
L’ambiente fermano era movimentato. Dal 1887 era attiva l’associazione dei Giovani cattolici. Il clero poi seguì con vivacità le problematiche della Lega Democratica del Murri. Una settimana di formazione sociale fu promossa nel 1910 dall’arcivescovo Fermano mons. Carlo Castelli. Don Augusto fu chiamato spesso anche fuori dalla diocesi, apprezzato eccitatore e propulsore di sante e salutari energie.
Tra i cattolici, molti lamentavano i danni causati dall’irreligiosità e dall’indemaniazione dei beni ecclesiastici; ma il card. Malagola ed i successori arcivescovi mons. Papiri e mons. Castelli orientavano a rafforzare l’educazione cristiana affrontando i rischi della formazione con mezzi moderni.
Con questo metodo acquisito mons. Curi, assieme con i sacerdoti fermani G. Cicconi, D. Artesi, . L. Capostoti (poi cardinale) davano slancio alla “Voce delle Marche” e nel servizio giornalistico svolgevano opera promettente di fioritura e di frutti adeguati. Questo valido mezzo di diffusione della verità, serviva al fronteggiare le difficoltà della propaganda anticlericale e irreligiosa.
Dopo le conferenze del Toniolo e del Murri c’era una mobilitazione per la sociologia cristiana. Con lo zelo del movimento cattolico i giovani preti si coinvolgevano, con i fedeli, nelle istituzioni, nei circoli, nelle scuole, negli ospedali, nelle banche.
Ha scritto mons. Viozzi che tra i contrasti che sembravano implacabili, con tatto, prudenza e carità don Augusto riuscì spesso a dare soluzioni insperate. Durante la guerra del 1915- 1918 si adoperò per infondere coraggio, suggerire rassegnazione, assistere i cittadini bisognosi. Per questo i Fermani lo ebbero caro.
Don Augusto era un educatore delle coscienze, non un dotto erudito. Sentiva l’esigenza di coinvolgersi e di coinvolgere altre persone, dalla più umili alle altolocate. Era stimato come molto attivo e gli arcivescovi lo apprezzarono per l’ottima affidabilità istituzionale, della quale divenne specchio il Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1917 da Benedetto XV.
VESCOVO
La promozione alla dignità episcopale può esser derivata dal suo zelo. Sull’esempio di don Bosco, amico del Cardinale fermano Filippo De Angelis , don Augusto si sentiva difensore dei diritti delle anime e di Dio con una presenza educatrice capace di redimere e di elevare gli spiriti. Li impegnava, come lui stesso era impegnato, a testimoniare e propagandare i principi evangelici nelle famiglie e nella società.
Il 25 marzo 1919, nel venticinquesimo della sua ordinazione presbiterale, fu consacrato vescovo nella cattedrale di Fermo dal metropolita arciv. Carlo Castelli. Restava in attesa del “Regio Exequatur” ed essendo morto il vescovo di Macerata e Tolentino, Benedetto XV lo nominava amministratore di queste diocesi.
Entrò nella diocesi di Cagli il 1 febbraio 1920, vigilia della festività della Presentazione di Gesù al tempio e, tra lo stuolo dei fedeli, alcuni scalmanati lo accolsero cantando “Bandiera Rossa”. Nel parapiglia alcuni furono incarcerati, ma mons. Curi li fece tornare in seno alle loro famiglie, portando qualcosa per sfamare i piccoli. In seguito le Dame di Carità avvicinavano le famiglie bisognose con aiuti.
Ecco il suo Stemma vescovile : in alto, in campo azzurro, due stelle scintillanti, simboli di doni divini. Nel mezzo una colomba recante un ramo di ulivo, segno di pace, in volo sulle onde. Il motto: “Pax fratribus et Charitas in fide” era il suo programma apostolico: ” Pace ai fratelli e carità nella fede”. La vita vissuta nella pace di Cristo, come irradiazione della carità soprannaturale. Vinse i contrasti con il fascino della bontà, con le parole di verità, con le opere di misericordia.
Fondò quattro nuove parrocchie a Cagli e fece erigere la chiesa in onore del Sacro Cuore di Gesù a Bellisio di Pergola, profondendo tanta parte del suo patrimonio.
Trovò e convalidò nelle due diocesi di Pergola e Cagli un valido movimento cattolico con l’Associazione dei Sacerdoti Adoratori, l’Azione Cattolica Diocesana, Le Conferenze di San Vincenzo De Paoli, la Società Operaia Femminile Cattolica.
Durante questo suo mandato episcopale, mons. Curi tenne la Protettoria della Direzione Catechistica Marchigiana e quella di tutti i Circoli Marchigiani della Gioventù Cattolica. Quando Pio XI rinnovò gli statuti dell’Azione Cattolica, egli seguì i nuovi orientamenti per favorire il potenziamento spirituale della società contemporanea. Poté formare nei Circoli molti buoni elementi dotati di sollecita coscienza ecclesiale.
Fu allora aperto a Fano, per volere dello stesso Pio XI, un Seminario regionale in cui gli alunni di liceo e di teologia delle diocesi di Cagli e Pergola completarono là i loro studi.
Con chiarezza e risolutezza voleva affrontare e risolvere tutti i problemi che avevano qualche attinenza con la vita morale. In internet si legge una scheda che riassume il suo episcopato a Cagli e Pergola: ” Fu dotto, zelante, signorile e forbito oratore. Lasciò per il nuovo mandato la diocesi il 16 agosto 1925 “.
Quando partì dalle Marche per Bari, mons. Curi rivolse un ringraziamento a tutto il Clero Marchigiano che per più anni aveva accolto con larga corrispondenza il suo invito alle varie Settimane Sociali per le Scuole di Religione e per la Gioventù Cattolica .
Arcivescovo Barese
Dotato di meriti e di esperienza, mons. Curi ricevette da Pio XI, in data 5 maggio 1925 la nomina ad arcivescovo di Bari. Ebbe modo, a Roma, nel pellegrinaggio dell’anno santo, forse in data 13 settembre, di incontrare e benedire i pellegrini qui giunti dal capoluogo della Puglia.
Il solenne ingresso in città, festeggiato da autorità, clero e popolo, avvenne il 18 ottobre: Arcivescovo di Bari e Canosa, Primate di Puglia, Barone di Bitritto. Mons. Curi era solito dire: ” Più che di eroi della forza, più che di dotti, di scienziati, il mondo ha bisogno di uomini buoni e di anime generose.”
Il suo segretario mons. Anaclerio diceva: “Ha le mani bucate per la carità”, e ricordava i momenti quando lo accompagnava in poveri tuguri a portare soccorso e conforto alle famiglie misere. Generoso anche nel consigliare chiunque con un’intensa corrispondenza. Dava aiuti alle parrocchie povere, ai chierici bisognosi, ad istituti, conventi, monasteri e preti.
Mons. Viozzi che lo conobbe bene ha scritto: ” Mons. Curi fu uomo e vescovo di grande cuore, sensibile, delicato, generoso. Il suo aspetto fisico, bello e signorile, la sua voce dolce e suasiva contribuivano ad affascinare e conquistare quanti lo avvicinavano. La nota distintiva della sua personalità era indubbiamente l’eccellente bontà del cuore che veniva notata con immediatezza da chiunque lo conoscesse.”
Per il vincolo pastorale con la sede metropolitana di Fermo, ove aveva espletato venticinque anni di zelo pastorale, chiese ed ottenne dal Duce che venisse, ristabilita in questa città, la sede del Tribunale civile e penale.
Una pubblicazione dell’Edipuglia del 2007 ha sviluppato i lineamenti del governo pastorale di mons. Augusto Curi arcivescovo di Bari dal 1925 al 1933, a cura di Francesco Sportelli, nella collana di Studi e Materiali per la Storia della Chiesa di Bari.
Ha scritto mons. Viozzi: “Che cosa egli fece a Bari? Si potrebbe sintetizzare con una frase del Vangelo: ” Passò facendo del bene a tutti, sanando tante piaghe “. Fece dono inesausto ai suoi figli, non solo del tanto cammino per vederli, del tanto parlare per illuminarli, delle tante benedizioni perché vivessero in pace: fece dono ad essi dei suoi averi, vivendo da povero e povero morendo… A Bari seppe armonizzare l’amore alla Chiesa e l’amore all’Italia. Consacrò le forze alla concordia cittadina, consentì con entusiasmo a tutte le iniziative per fare di Bari una delle più belle città d’Italia, sinceramente godendo di tutti i suoi progressi. Riposano le sue spoglie mortali accanto a quelle del suo illustre predecessore mons. Vaccaro, in quel tempio di San Giuseppe, che i due pastori vollero eretto nel rione più nuovo e progredito della città. Monumento più bello non poteva esserci a Bari per ricordare uno dei suoi Arcivescovi più grandi, il 93° della serie gloriosa. Era morto il 28 marzo 1933. Servigliano, che gli diede i natali, lo ricorda con ammirazione ed affetto “.
La madre Virginia Graziaplena assistette il figlio morente. Si comprende il dolore di costei. Dopo che fu celebrato il trigesimo, l’Unione pugliese dei Ciechi, per i soccorsi avuti in nome del benemerito estinto, scrisse a lei una lettera di ringraziamento. ” Signora Se le lacrime, il rimpianto, le opere di bene prodigate su questa terra bastassero a rendere alla madre afflitta e desolata l’affetto perduto, il Suo estinto sarebbe già tornato a placare il dolore materno, il rimpianto di quanti lo amarono e le sofferenze di quanti da lui furono beneficati.”
Al Pontificale delle esequie, tra molte personalità, erano presenti i fratelli cav. Cesare, il cav. Dott. Raimondo, i nipoti: ing. Geremia, avv. Lamberto, le signorine Maria Pia e Gina e i cugini cav. ing. Graziano Graziaplena, Raffaello cav. Conti e prof. Viganò, il podestà e l’arciprete serviglianesi. Al rito d’anniversario, nel 1934, tra altri c’erano la sorella signorina Maria e il fratello dott. Armando.
Accenniamo ad alcuni aspetti complessivi dello zelo ministeriale manifestato da mons. Augusto Curi:
A Bari, nel 1930 avviò la pubblicazione della ‘Voce di Bari’ scrivendo che bisognava intensificare la vita religiosa per preservarla dalle insidie contro la fede, dall’indifferenza nel compimento integrale delle pratiche religiose.
Alcune forme di superstizione erano causate dalla poca istruzione cristiana e mons. Augusto diffondeva il rimedio di una seria cultura della vera pietà cristiana. La secolarizzazione, l’agnosticismo religioso, l’erosione sistematica dello spazio pubblico della Chiesa e altre difficoltà non facilitavano la formazione dei fedeli.
Questi non erano diventati refrattari agli influssi della Chiesa, ma subivano le sollecitazioni degli indifferentisti, dei demomassoni, dei liberisti e dei socialisti che prevalevano nelle scuole e nelle direzioni delle pubbliche istituzioni.
Sin dal tempo di Pio IX si era manifestata la reazione giovanile cattolica, con spirito missionario per la salvezza delle anime da avvicinare a Gesù Cristo. Mons. Curi si adoperò affinché con decisione i laici fossero organizzati attorno al clero, nell’Azione Cattolica. Dopo gli entusiasmi della Conciliazione del 1929 vennero le amarezze del 1931 e si capì che l’azione statale osteggiava i circoli cattolici. Ora i laici dovevano testimoniare la fedeltà a Cristo e alla Chiesa con nuovo coraggio.
A Bari sorse l’unioni degli Uomini Cattolici per dare testimonianza aperta alla fede, inoltre quella delle Donne e delle Giovani cattoliche impegnate nella cristiana mitezza.
Mons. Curi si adoperò ad accrescere le vocazioni al ministero sacerdotale: Nel 1925 a Bari i seminaristi diocesani erano 25; dopo sette anni, nel 1933 erano diventati 160 ed altri 50 seminaristi frequentavano il Seminario Regionale di Molfetta.
Mons. Curi seguiva il clero con animo di padre, mai di giudice e raccoglieva i preti per gli Esercizi spirituali. Amava e faceva amare la Chiesa ed il Papa. Qualche mese prima della morte, recatosi a Roma, scrisse al Vicario mons. Abbatescianni: ‘ Esco or ora da un’udienza del S. Padre ed ho il cuore pieno di gioia.’
L’arcivescovo profondeva ovunque, come scrisse mons. Viozzi “tesori di sapienza e di carità, moltiplicando le opere di un fervido apostolato.”
Mons. Curi aveva un disegno religioso e sociale vastissimo: intendeva stabilire una dolce corrente di reciproca stima e di salda cordialità all’interno del clero di qualsiasi livello e con il laicato. Scrisse: “Guai al capitano se non avesse subalterni e soldati che lo comprendessero e che non fossero con lui ben affiatati, docili e pronti a seguirlo “.
Nel sacro clima della sovranità di Cristo, la Chiesa, strutturata in senso unitario e pontificio, chiamava il laicato a collaborare al cattolicesimo operoso nel mondo della cultura.
L’epoca delle confraternite amministratrici di beni era terminata con la demaniazione delle proprietà ecclesiastiche. Le nuove associazioni cattoliche erano più attente allo spirito liturgico. Davano preminenza all’aiuto divino, mentre le forze umane apparivano deboli. La stima e l’aiuto fraterni erano forze di apostolato.
Mons. Argnani lodò il carattere di mons: Curi, libero, aperto, franco, generoso oltre ogni credere, delicato nel far sempre del bene.
Durante tutte le esperienze pastorali, sin da giovane, don Augusto sempre aveva cercato il colloquio con la gente, amava l’incontro con i fedeli delle parrocchie e l’intensa azione formativa. Nella Prima Lettera Pastorale rivolse il saluto ” a tutti i carissimi giovani delle Marche, falange salda e potente di vita e di fortezza, che si raccolgono nei numerosi Circoli di Gioventù Cattolica “. Insieme rivolse il pensiero alla Direzione Catechistica Marchigiana.
Da vescovo teneva aperte le udienze per l’intera giornata. Le persone hanno ricordato il suo volto sempre sereno, sorridente. Mons. F.S. Nitti apprezzava il calore del suo agire associato ad una dolcezza e ad una calma amabile, alla luce della preghiera.
La società andava trasformandosi e lui lo constatava. Alla febbrile attività rurale e artigianale della gente raggruppata attorno ad un nucleo di nobili, ora si aggiungeva la presenza di lavoratori delle industrie, di professionisti e di commercianti a vasto raggio.
Sulle questioni sociali ed economiche le osservazioni di mons. Curi erano puntuali. L’attività del clero e quella del laicato venivano orientate non solo alle necessità in campo spirituale, anche ed insieme verso le esigenze etiche dell’economia e dell’inserimento sociale.
Quando le persone facevano fatica a capire che Dio è amore, allora la bontà testimoniata dal clero e dai fedeli aiutava tutti ad entrare con facilità in questa verità. Lui risplendeva per bontà. Mons. Carlo Castelli, arcivescovo fermano disse: ” Il cuore di mons. Curi sarebbe capace di fare l’avvocato anche del diavolo”.
Nell’alluvione barese del 1926 donò soccorsi per 150.000 lire. Avendo ricevuto un’offerta di 50.000 lire da una persona abbiente, li destinò in aiuti ai disoccupati. Fondò Le Conferenze di San Vincenzo de Paoli per i soccorsi.
Ha scritto C. Sabatelli: ” Per esser stato un giornalista nei primissimi anni del suo sacerdozio, comprese l’alta missione della stampa cattolica e di questa si servì per infervorare i buoni, per scuotere gl’indifferenti, per convertire gli erranti. Decise la pubblicazione della VOCE DE BARI nel 1930 per intensificare la fede. Coadiuvato dalla Pia Società San Paolo, questo giornale, dopo due anni, divenne LA VOCE DELLA PUGLIA.
Il predicare con chiarezza, il diffondere la buona stampa per la formazione, il far festa per il papa, l’educare con fervore la gioventù, il difendere la famiglia dalle fratture, erano le linee guida della pastorale di mons. Curi che nei metodi ed negli strumenti d’apostolato moderno, faceva agire la bontà, secondo il suo motto di pace e carità nella fede.
Nella Prima Lettera Pastorale scrisse che l’esposizione della verità va fatta con semplicità e con parola convinta sgorgante dal cuore. Suggeriva al clero una predicazione avvicinata al livello degli ascoltatori che potessero meglio comprendere l’opera missionaria della Chiesa. In ogni luogo bisognava dare importanza ai buoni predicatori ed ai confessori mansueti.
Le feste liturgiche, specialmente nel capoluogo, facevano notare la convergenza delle presenze ecclesiali e religiose con quelle civili, militari, amministrative e governative. Al clero non servivano i conflitti con le autorità locali, ma attendere ed intensificare la vita cristiana in unione con Cristo.
Era necessario accompagnare i fedeli nel preservarsi dalle insidie che danneggiavano la fede e aiutarli a superare i formalismi superficiali e superstiziosi. Per questo giovava molta catechesi. Egli volle dare una forte organizzazione all’insegnamento catechistico e religioso.
Raccomandava il culto eucaristico ed il culto mariano. Scrisse di voler disporre le coscienze al risveglio ed alla pratica della fede cattolica al grido: ‘ adveniat regnum Eucaristicum ‘ . A Bari celebrò l’ XI Congresso Eucaristico Nazionale. Qui la Madonna, da secoli era onorata nel titolo di Odegitria che vuol dire Maria indicante la via, guida sicura e maestra amorevole. Ne celebrò il XII centenario.
Luogo privilegiato della formazione voleva fosse la parrocchia. Mons. Curi fondò e affidò ai padri Salesiani la nuova parrocchia del Redentore. Ecco il racconto fatto dal rettore, nel necrologio del 1934. ” Mons. Augusto Curi, la cui caratteristica fu la bontà e la dolcezza, nutrì forte nel cuore l’affetto per l’Opera del Beato D. Bosco che attraverso a queste virtù esplica la sua Missione. Era il Padre dei nostri Orfani, il sostenitore di tutte le nostre imprese. Egli che aveva dato tutto quello che poteva pel Tempio di San Giuseppe, ora viveva del desiderio di veder condotto a termine anche il Tempio del Redentore e non mancò di aiutarci sempre e in tutti i modi che poté avere a sua disposizione. Ricordo: <al giorno di> S. Francesco di Sales dello scorso anno accettò di venire a celebrare la Messa della Comunità e fermarsi tutto il girono con noi. A sera, quando si accinse a tornare all’Episcopio mi disse:’ Venga con me; le darò cinquecento lire.’ Mi sembrò indelicatezza andare subito con Lui e perciò mi contentai di baciargli la mano e dire:’ Grazie, Eccellenza, verrò domattina.’ Andai il mattino seguente; mi ricevette col suo abituale sorriso e disse: ‘ Mi rincresce tanto, ma trova solo la metà della somma promessa. Mi è capitato poco fa un caso pietosissimo e non ho saputo resistere a dare un po’ di soccorso. Il resto glielo darò tra giorni.’ Compresi tutto il cuore del nostro venerato Pastore in quel gesto e in quel motto. ”
Presenziava le accademie delle bambine assistite dalle Suore Carmelitane di San Giuseppe e sosteneva con aiuti la loro opera.
Con la viva la presenza della gioventù nelle parrocchie, il ruolo del prete nella comunità si aggiornava.
Oltre alla parrocchia del Redentore, creò quella di San Vito a Palo del Colle. Rese Parrocchiale la chiesa di San Giuseppe avviata nel 1913 da mons. Vaccaro e da lui consacrata nel 1930. Ivi riposa in attesa della risurrezione finale, mentre il suo spirito benedicente celebra l’eterna liturgia.