La Pasqua nell’esperienza artistica. L’INCONTRO DI DUE MONDI
Liberati Germano
La Pasqua nella sua valenza cristiana (passione, morte, risurrezione di Cristo) ha registrato nel corso dei secoli una dimensione artistica plurima e alta: si va dalla poesia alle arti figurative, alla musica, alle sacre rappresentazioni. Certo, l’arte è l’ espressione interpretativa onnicomprensiva della realtà e la “realtà” della Pasqua, così ricca e coinvolgente, non poteva essere trascurata o accantonata ma, al di là delle dimensioni umane di ogni opera, c’è da chiedersi perché artisti grandi e meno grandi, anche non credenti, si sono lasciati “travolgere” dalla serie di eventi pasquali che rappresentano per ogni uomo un vero mistero. Proprio riflettendo su questo interrogativo, penso di aver colto con maggior pienezza il senso di un’affermazione di H. U. Von Balthasar: “Il bello ha in sé un’evidenza che immediatamente illumina”. E’ come dire che il mistero creativo dell’artista incontra il mistero della divina salvezza; sembra assurdo, ma due misteri, incontrandosi, producono evidenza, perché l’assurdo, o meglio, il miracolo che si compie è quello dell’artista-uomo che s’incontra con Dio. Questa “eccezionalità” non può restar nascosta, si impone anzi, con un carattere così palese e irrefutabile, che ogni artista non può fare altro che ammetterlo e denunciarlo apertamente, rendendolo una certezza visibile. Due letterati insigni, Metastasio e Manzoni, di fronte al Cristo sofferente o glorioso, non possono far altro che affermarne l’evidenza, risultato di un incontro, e ciò fin dall’attacco di loro celebri testi : “L’alta impresa è già compita / e Gesù col braccio forte.”, scrive il Metastasio, “E’ risorto, non è qui …”, esclama il Manzoni nell’inno al Risorto. E ancora, l’evidente potenza del Cristo vincitore emerge prepotente in Piero della Francesca o in Michelangelo, la sua solitudine del “Cenacolo” leonardesco, il dramma nella potenza dell’”anelito della seconda vita” nel resurrexit della “Missa solemnis” di Beethoven che “illumina”, manifesta, trasmette, in un’equazione che è la più potente forma comunicativa: bello così, in tali forme, il segreto del mistero nell’arte.
Ma la grandezza del mistero pasquale non è certo compendiabile in nessuna singola opera degli artisti-uomini; di esso ogni lavoro ne evidenzia, illumina alcune delle infinite facce.
Il mistero del dolore come strazio dell’anima nei versi di Jacopone da Todi, il “condolere” partecipato nei corali della “Passione” di Bach, lo struggimento e l’implorazione nello “Stabat” di Pergolesi, quello muto e contemplativo negli affreschi di San Marco dell’Angelico. Fanno seguito la gioia di un trionfo regale nell’”Alleluia” del Messia di Haendel o lo sprigionarsi dell’”ambito della seconda vita” nell’energia creativa del Cristo Risorto del Fazzini. E in tutte, il tempo più ampio della fede ritrovata nella “Cena di Emmaus” del Caravaggio, l’indifferenza o l’incomprensione nella “Cena e Crocifissione”dei teleri della scuola di San Rocco del Tintoretto, l’atmosfera sacrale e composta nei “Responsori” di Ingegneri o di De Victoria.
E’ proprio perché l’uomo non avrà mai, in tutta la sua storia intera, la capacità di accogliere in sé tutto il mistero, la suprema fatica di tanti artisti di ieri, di oggi e di domani, è tesa a evidenziare l’ancora non espresso e a illuminarci con la bellezza per una nuova e più profonda comprensione.
Germano Liberati “La Voce delle Marche” n.14, 16 aprile 2007.-