I SANTI NEL CULTO ECCLESIALE: prassi e normativa per le reliquie
Tassi Emilio
DEFINIZIONE di RELIQUIE. Il termine reliquie si può assumere in senso generico o e in senso specifico; nel primo senso significa ciò che resta del corpo o parte di esso, o degli oggetti che furono a contatto con il corpo di una persona dotata, agli occhi della gente, di qualità eccelse. In questa categoria rientrano tutte le reliquie onorate e venerate presso tutti i popoli, anche presso i pagani. In senso specifico, riferibile al culto cattolico, il termine indica ciò che resta dei Santi e, in senso stretto, il corpo o parte di esso, e in senso lato gli oggetti che furono a contatto con il corpo del santo e che perciò sono degni di ossequio e di venerazione. Il culto delle reliquie presso i popoli pagani è pressoché universale; esso si fonda, specialmente presso i popoli primitivi, sul valore magico loro attribuito. Per il principio di magia simpatica il contatto, l’ingestione, anche il semplice uso di reliquie di persone eccelse produce gli stessi effetti di forza, d’intelligenza e di preservazione contro i pericoli. Presso i popoli più evoluti il culto delle reliquie si fonda sulla venerazione naturale dovuta alle persone che hanno onorato la divinità e che sono modelli da ricordare e da imitare.
IL CULTO CRISTIANO. Il culto cattolico delle reliquie si fonda non solo sulla venerazione naturale che l’uomo tributa a tutto ciò che si riferisce alle persone per le quali si avevano stima ed affetto particolari, ma specialmente sulla venerazione religiosa dovuta ai Martiri, e, più tardi, ai santi come eroi della fede e modelli di perfezione cristiana. Tale culto, quindi alla sua origine, è strettamente legato al culto dei Martiri. La Chiesa, infatti, fin dalle origini accettò e permise di venerare le Reliquie dei Martiri come segno di pietà dei cristiani verso quei fratelli che avevano versato il sangue per mantenersi fedeli a Gesù Cristo. Ma c’è di più: molti testi patristici attestano che la Chiesa, fin dai suoi primordi, disponeva l’altare destinato alla celebrazione dell’Eucaristia, proprio sopra i sepolcri dei martiri. Basti citare la testimonianza di sant’Agostino il quale, introducendo il concetto del culto relativo, fa esplicito cenno a questo uso: ma quando noi offriamo il Sacrificio presso i sepolcri dei martiri, non è forse a Dio che l’offriamo (Sermo 273). Tutti gli edifici sorti sui sepolcri dei martiri venivano del resto detti Ecclesiae ad corpus. Un passo avanti venne fatto, sul piano del culto delle reliquie, quando venne in uso la traslazione dei martiri dal luogo della loro sepoltura ad un luogo più comodo e sicuro. Il Liber pontificalis attesta che furono riportati a Roma i corpi del papa Ponziano e del presbitero Ippolito, morti in esilio in Sardegna; la depositio martyrum, infatti indica la rispettiva statio liturgica per Ponziano presso le catacombe di san Callisto, e per Ippolito sulla via Tiburtina. Molte sono le testimonianze di traslazioni dei corpi dei martiri nei primi secoli dell’era cristiana. La venerazione dei Corpi santi si svolgeva, quindi, sui sepolcri dei martiri, dove i fedeli si recavano per implorare la loro intercessione. Fin dal secondo secolo si celebrava, con particolare solennità, l’anniversario del martirio con un solenne Sacrificio eucaristico offerto sulla sua tomba. Dal secolo quarto si incominciarono a costruire cappelle e basiliche sulle tombe gloriose. Nei primi secoli era assolutamente proibito e considerata come una profanazione l’asportare qualche particella del corpo del martire; perciò i fedeli cercavano di inzuppare qualche pannolino del sangue del martire per avere una reliquia da venerare;
Così pure onoravano come Reliquie gli strumenti del loro martirio, come le catene di san Pietro. Come conseguenza delle grade venerazione delle Reliquie dei martiri ed il vivo desiderio di possederle, invalse l’uso della traslazione dei resti dei martiri per edificare santuari in loro onore ed anche la separazione di particelle del corpo per collocarle nel sepolcreto degli altari. Tale usanza cominciò nel secolo quarto in Oriente e solo nei secoli settimo e ottavo fu ammessa in occidente; dal secolo ottavo divenne obbligatorio il sepolcreto delle Reliquie dei martiri per la consacrazione dei nuovi altari. A partire dal secolo nono invalse l’uso dei reliquiari per l’esposizione delle Reliquie alla pubblica venerazione dei fedeli. Le chiese ed i monasteri facevano a gara per possedere in gran numero Reliquie dei martiri; da qui nacquero numerosi abusi sia sul piano dell’acquisto sia su quello della veridicità ed autenticità delle Reliquie: già nel 401 un Concilio, tenuto a Cartagine, stabiliva che le Memorie si potevano erigere unicamente nel luogo dove si trovava il corpo del martire o dove una consolidata tradizione indicasse il luogo del martirio. In seguito furono emanate norme severe sulla proibizione assoluta della vendita di reliquie e sulla necessità di vigilare sulla loro veridicità ed autenticità. Al culto dei martiri, come eroi della fede, col passare del tempo ad aggiungersi il culto degli eroi della perfezione cristiana, cioè il culto dei Sta Confessori specialmente se vescovi o fondatori di istituzioni religiose. Nell’epoca delle crociate giunsero dall’oriente tante Reliquie dei luoghi santi, molte delle quali non possono ritenersi come autentiche. Così pure dopo la scoperta delle catacombe nel secolo XVI spesso si fece un vero commercio delle Reliquie dei martiri, ritenendo erroneamente come tali molte tombe solo perché recavano il segno della palma, della corona o il monogramma di Cristo. La riforma protestante rigettò il culto delle reliquie insieme al culto dei anti; il concilio di Trento nella sessione XXV formulò una dottrina cattolica sul culto delle Reliquie e più tardi, nel 1669, ne venne affidata la sorveglianza alla sacra Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie, riunita poi alla sacra Congregazione dei Riti nel 1904.
AUTENTICAZIONE DELLE RELIQUIE
Al fine di evitare, o quantomeno ridurre al minimo, il pericolo di falsificazioni, alcuni papi studiarono norme che garantissero il più possibile la veridicità e l’autenticità delle autenticità delle reliquie; fu creato così l’Istituto della autenticazione delle reliquie. Essa è l’atto col quale le reliquie, mediante le debite formalità, vengono dichiarate genuine e vere al fine di rendere possibile la loro esposizione alla pubblica venerazione (codice pio-benedettino can. 1283, par. 1).
L’Istituto della autenticazione viene introdotto già dal papa Innocenzo XI (1676- 1689); le norme vengono precisate ulteriormente dal Papa Benedetto XIV (1740- 1758). Il C.J.C. pio-benedettino ha regolato in modo definitivo tutta la materia, ulteriormente approfondita da interventi successivi che regolano la prassi processuale delle cause dei Santi.
L’autenticazione di una reliquia suppone sempre una certa ricognizione della sua genuinità. La ricognizione vera e propria è quella attuata in forma giuridica dalla competente autorità presso la S. Congregazione delle cause dei Santi. Tale ricognizione può essere fatta in occasione della rinnovazione del sepolcro, del trasferimento o l’estrazione delle reliquie o quando il corpo di un santo, di cui si fosse perduta la traccia, venisse nuovamente alla luce. Durante il processo apostolico sulle virtù di un servo di Dio è prescritta anche la ricognizione delle sue reliquie, la quale spetta al Tribunale stesso (can. 2096).
Nell’Istruzione Sanctorum Mater (17.05.2007) sono pubblicate le disposizioni sulla Ricognizione canonica delle spoglie mortati di un servi di Dio. L’autenticazione di una reliquia comporta l’apposizione di un sigillo sulla custodia e la stesura di un documento, (l’AUTENTICA) da parte dell’autorità autenticante con l’apposizione del medesimo sigillo in esso. L’autentica delle reliquie viene fatta seguendo la Congregazione delle Cause dei Santi.
I vescovi sono tenuti a vigilare per togliere il reliquie non autentiche e per evitare ogni abuso e profanazione nel culto. In caso di smarrimento dell’Autentica, si richiede il previo giudizio del Vescovo prima di esporre la Reliquia alla pubblica venerazione. Per l’esposizione poi al culto pubblico, le Reliquie devono essere chiuse in urne o reliquiari a teche, muniti sempre del sigillo episcopale; la Reliquia della Santa Croce non può essere esposta alla pubblica venerazione della stessa teca contenente altre Reliquie di Santi.
LEGITTIMITA’ DEL CULTO DELLE RELIQUIE CRISTIANE
Il culto cattolico delle Reliquie si fonda non soltanto sulla venerazione naturale che l’uomo tributa a tutto ciò che si riferisce alle persone per le quali si avevano stima ed affetto, ma specialmente sulla venerazione religiosa dovuta ai martiri e ai santi come eroi della fede e modelli della perfezione cristiana. Quindi il culto cattolico delle reliquie dei santi è un culto RELATIVO A DIO, cioè esse si onorano per onorare la santità di Dio. Il corpo dei Santi è fatto oggetto di un culto speciale perché:
1- fu lo strumento dello spirito per il conseguimento della realizzazione della santità;
2- fu il tempio vivo dello Spirito Santo, come ci insegna S. Paolo (I Cor 6,19);
3- esso risorgerà un giorno glorioso per godere il premio della felicità eterna del Paradiso.
Quindi a fondamento del culto delle reliquie dei santi troviamo la fede cattolica, specialmente il dogma della resurrezione della carne e la fiducia del potere dell’intercessione dei santi. Non si tributa alle Reliquie un culto di latria o un potere di intercessione del Santo presso Dio. Non si adorano le reliquie – scrive San Girolamo contro l’eretico Vigilanzio – ma si venerano le reliquie dei martiri per adorare colui del quale si sono martyres, cioè testimoni.
PATRONATO O GIUSPATRONATO
Concetto. E’ il complesso dei diritti e degli obblighi spettanti, per concessione ecclesiastica, ai fondatori cattolici di una chiesa, di una cappella, di un altare o di un beneficio, nonché ai loro aventi causa (cfr. C.J.C. pio-benedettino, can. 1448).
Il diritto introduce varie distinzioni:
* quanto al soggetto esso si distingue in reale e personale, secondo che sia connesso ad un immobile o spetti direttamente ad una persona fisica o morale;
* quanto al titolo si distingue in ecclesiastico, laicale e misto, a seconda che il diritto di patronato appartenga ad una persona ecclesiastica, ad un laico o ad entrambi simultaneamente;
* quanto alla successione, in ereditario, famigliare, gentilizio e misto secondo che si trasmetta per eredità anche ad estranei o a soli membri della famiglia o della gente del fondatore oppure a persone che siano in pari tempo eredi e membri della famiglia e della gente del fondatore (can. 1449).
Il C.J.C. pio-benedettino, al fine di limitare le ingerenze estranee alla provvista o nomina dei benefici, ha vietato la costituzione di nuovi patronati, un tempo favoriti dalla Chiesa; anzi ha raccomandato agli ordinari locali di far opera di persuasione presso gli antichi padroni perché rinunciassero al loro diritto in cambio di suffragi spirituali anche perpetui (can. 1450). E, senza sopprimere i patronati preesistenti, ne disciplinò l’esercizio per il futuro. Il nuovo C.J.C. (1984) ha invece soppresso ogni forma di patronato. Al fine di comprendere qual è stato il ruolo dell’istituto del giuspatronato, è utile mettere in luce i diritti che venivano attribuiti ai titolari.
Il più importante è il diritto di presentazione del soggetto da nominare sul beneficio; spettava inoltre al patronato gli alimenti commisurati sui redditi sopravanzati all’adempimento degli oneri e all’onesto sostentamento del beneficiato, nel caso si fosse ridotto in povertà, senza alcuna sua colpa. Spettavano inoltre al patronato alcuni diritti onorifici, regolati dalle consuetudini locali, quali l’apposizione del proprio stemma sulla chiesa, la precedenza sugli altri laici nelle funzioni religiose, un posto distinto nella chiesa.
Quanto agli oneri, incombono sul patrono: l’obbligo di richiamare l’attenzione dell’Ordinario qualora si avveda che i beni della Chiesa del beneficio vengono dilapidati; la cura di riedificare la chiesa o di restaurarla se il patronato deriva dal titolo di fondazione, a meno che tali oneri non gravino su altri; il dovere di integrare i loro i redditi divenuti insufficienti, qualora il patronato derivi dal titolo di donazione.
La potestà di giurisdizione spetta a chi è insignito dell’ordine sacro. I fedeli laici possono cooperare a norma del diritto (can. 129).
CENNI STORICI
Nei primi secoli della storia della Chiesa la fondazione di un sacro edificio poteva dare qualche onorifica distinzione, ma nessuna prerogativa sulla scelta degli ecclesiastici che dovevano essere addetti. L’introduzione del diritto di patronato risale al periodo feudale. In tale epoca furono retti molti oratori o cappelle private, che facevano parte integrale del latifondo, ai quali erano addetti sacerdoti nominati direttamente dal feudatario. Ingranditi gli oratori e diventati chiese parrocchiali o pubbliche, cessò la proprietà privata di essi, ma i proprietari antichi, o i loro eredi conservarono nelle chiese i loro importanti privilegi, fra i quali il diritto di presentare, alla nomina vescovile, il sacerdote addetto all’ufficiatura della chiesa.
Contro tale consuetudine la Chiesa oppose forte resistenza, cercando di rivendicare la libera collazione degli uffici e beni ecclesiastici. Vescovi e concili si adoperarono infatti a frenare l’abuso dei laici a ingerirsi nelle nomine ecclesiastiche. Un pesante caso di diritto di patronato e quello del cosiddetto patronato regio; esso però non interessa in questa sede.
Il diritto di patronato sui benefici minori (chiese, cappelle, altari), pur se ha rappresentato una limitazione dell’autorità di nomina, ha avuto un suo positivo ruolo sul piano storico, liturgico e pastorale. Infatti il patrono fondatore, previa approvazione delle autorità ecclesiastica, assegnava l’intitolazione alla cappella o all’altare sulla base delle sue devozioni; questo vuol dire che gli si faceva promotore di introdurre nel territorio una particolare devozione o di ravvivarne una già esistente, ma che si era affievolita. Inoltre, sempre previa approvazione dell’autorità ecclesiastica, fissava le tavole degli obblighi che gravavano sul rettore presentato o nominato il quale, dotato di un beneficio sufficiente all’onesto sostentamento, doveva assicurare o le cure delle anime o comunque l’officiatura della chiesa e l’assistenza religiosa della popolazione.
Nella storia dell’arcidiocesi di Fermo il diritto di patronato è stato largamente presente e operante. Nell’archivio diocesano esiste un corposo fondo intitolato PROCESSI BENEFICIALI che custodisce i fascicoli delle inchieste tese a dimostrare il diritto di patronato appartenente agli individui o alle famiglie. Riguardano tutti i centri grandi e piccoli della vasta arcidiocesi. Si tratta di alcune chiese, ma specialmente di altari dedicati ai vari santi, alla Vergine Maria o ai misteri di Cristo, dei quali si voleva diffondere il culto. Sfogliando poi le relazioni di Visite pastorali ed in particolare gli Inventari, è possibile ricostruire nei particolari l’attività liturgica e le iniziative di assistenza e di beneficenza messe in atto nel corso del tempo. Questo si nota particolarmente allorché titolari del patronato erano le Confraternite; un esempio preclaro è rappresentato dall’Arciconfraternita della Pietà, patrona dell’omonima chiesa e dalla Fraternità o Confraternita di S. Maria della Carità, ambedue operanti nella città di Fermo.
Un altro importante aspetto da sottolineare è quello relativo ai restauri conservativi e alle committenze per l’esecuzione delle opere d’arte di cui i patroni volevano arricchire le loro chiese ed altari o relativi alle committenze di composizioni musicali assegnate ai maestri di cappella. Tra i numerosi casi si può citare quello importante della committenza della maestosa tela della Crocifissione affidata dalla nobile famiglia Bonafede di Monte San Giusto al celebre pittore Lorenzo Lotto per la chiesa di giuspatronato a di S. Maria in Telusiano. Un altro caso da segnalare riguarda la tela della Crocifissione, commissionata al pittore veneto Andrea Boscoli dalla Confraternita di Santa Maria del Buon Gesù in Carassai.
Preclaro è anche il caso della Confraternita della Santa Croce di Belmonte per iniziativa della quale la reliquia della Santa Croce, oggetto di grande devozione in quella Terra, fu dotata di un bellissimo ed artistico reliquiario.