IL CONVENTO AGOSTINIANO DI MONTEGIORGIO CON CURA D’ANIMEstudio di Giuseppe Crocetti
1° – Premessa storica sugli ordini mendicanti (1)
Tra la fine del pontificato di Gregorio VIII, morto nel 1187, e gli inizi del Duecento, nel campo religioso, in Italia e in tutta l’Europa, fu visto un fiorire rigoglioso di movimenti religiosi, specialmente laicali, per fare nuove esperienze di vita evangelica in alternativa al modello benedettino e quello canonicale.
I capisaldi di questi nuovi movimenti erano la pratica rigorosa della povertà, l’eremitismo e la predicazione itinerante. Presero il nome di Ordini dei Mendicanti; molti di essi adottarono la Regola di Sant’Agostino, come quella che più si adattava al nuovo spirito, in confronto alle altre regole approvate: cioè, la Benedettina e quella Basiliana (2).
Il Concilio Lateranense IV del 1215 sancì che gli Ordini dei Mendicanti seguissero una delle Regole canonicamente approvate: Agostiniana, Basiliana, Benedettina e Domenicana; quella Francescana, al tempo del Concilio Lateranense IV, aveva ricevuto una approvazione orale.
L’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino giuridicamente ebbe origine nel 1256 con la unificazione dei vari gruppi eremitici in un unico ordine religioso. Leggendo attentamente la bolla di Alessandro IV Licet Ecclesiae Catholicae del 9 aprile 1256, si apprende che le congregazioni religiose eremitiche, invitate a realizzare la Grande Unione, avevano diversa denominazione: alcune di San Gugliemo, alcune degli ordini di sant’Agostino, altre poi di Frate Giovanni Boni, altre di Favale e altre di Brettino. Vi aderirono tutte, meno la congregazione di Monte Favale, in provincia di Pesaro, che scelse di passare all’Ordine dei Cistercensi (3).
Nel capitolo dei religiosi dell’unione, svoltosi a Santa Maria del popolo in Roma, senza dubbio, prevalse l’ordine Eremitano di Sant’Agostino, che ne uscì rafforzato con l’aggregazione di nuovi membri e l’unità di un solo Superiore Generale.
Tutte le suddette congregazione avevano nella Marca i loro piccoli conventi; ma, fra tutte, quella che aveva avuto un maggiore incremento era certamente la Brettinese, una istituzione prettamente marchigiana. Al tempo della Grande Unione la congregazione Brettinese aveva 45 case, o luoghi, di cui 30 nelle Marche; di questi la maggior parte, cioè 16, erano nell’antica Diocesi di Fermo (4).
Brettino era una località situata in aperta campagna a pochi chilometri a nord di Fano, che ora ha il nome di Roncosambaccio. Quivi agli inizi del Duecento alcuni laici della città di Fano si ritirarono per vivere una vita comune solitaria, nella preghiera e nella penitenza, servendosi alla chiesa di S. Biagio con resti di un antico convento.
Gregorio IX, con bolla del 26 novembre 1227, ricevette sotto sua protezione apostolica i religiosi e la chiesa di San Biagio con le pertinenze. L’anno seguente, con bolla dell’8 dicembre dallo stesso pontefice, fu confermata la scelta della Regola di Sant’Agostino. La bolla è indirizzata:
Ai diletti figli, Frati dell’Eremo di Brettino della diocesi di Fano e agli altri Frati soggetti allo stesso Eremo. “Abbiamo saputo che tempo fa, di vostra iniziativa, avete dato vita ad un nuovo ordine e che vi siete obbligati ad osservare le sue norme. Ora lo avete abbandonato perché non è più nel numero degli Ordini approvati; avete ricevuto la regola del beato Agostino e desiderate, da ora, osservare questa per sempre. Noi, accondiscendendo alle vostre richieste, vi sciogliamo dagli impegni contratti nel precedente Ordine, e vi concediamo la suddetta regola di Sant’Agostino che dovrete osservare per sempre e con fedeltà”.
Osserva P. Bellini che prima del 1228 i Brettinesi avevano sperimentato per diversi anni una forma di vera vita religiosa con professione di voti e con ordinamenti propri (il che richiedeva una approvazione vescovile) ed avevano già più di un eremo. Adottando la Regola Agostiniana, il loro movimento viene ufficialmente riconosciuto ed accettato dalla Chiesa.
Con la bolla Quae omnium Conditor del 1235 Gregorio IX conferma le Costituzioni dell’Ordine Brettinese. Secondo tali costituzioni l’abito era costituito dalla tonaca, dal mantello (o cocolla) e dallo scapolare in panno grezzo, di color grigio, legati ai fianchi, e da una larga cintura di cuoio. Erano vietati indumenti di lino.
Vigeva nella casa religiosa perfetta vita comune, si consumavano i pasti nel refettorio comune; l’eremo non poteva avere possedimenti al di fuori di un orto e di una eventuale selva, cose indispensabili per un minimo di sicurezza economica. La penitenza era rigorosa: digiuno tutti i giorni, escluse le domeniche, nel periodo dal 14 settembre sino a Pasqua; il mercoledì e venerdì nel restante periodo dell’anno. Astensione totale perpetua dalla carne e dai grassi animali. L’uso dei formaggi e delle uova era consentito in tre giorni della settimana, esclusi i periodi della Quaresima di San Martino (ottobre-dicembre), della Settagesima (dal mercoledì delle Ceneri sino a Pasqua) e i giorni di digiuno stabiliti dalla Chiesa, nei quali tempi l’uso dei formaggi e delle uova era vietato. Da queste norme rigorose erano esenti i malati, quelli di salute cagionevole (debiles) e chi era in viaggio.
Questo stile di vita essenziale, umile e penitente, in continuo contatto con la natura, attirò l’attenzione di molte persone, per cui l’Ordine Brettinese crebbe progressivamente con la fondazione di eremi in molti luoghi dell’Italia centrale. Il periodo di maggior sviluppo fu precedente alla Grande Unione; fu una crescita spontanea, ma creò diversi problemi nei rapporti con il clero secolare, con i vescovi e gli altri ordini mendicanti, specialmente i Frati Minori. Le maggiori questioni riguardavano il colore dell’abito, l’uso del bastone viatorio, la raccolta delle elemosine, la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti e la sepoltura di privati nelle proprie chiese. La questione dell’abito fu risolta definitivamente dopo la Grande Unione del 1256, allorché l’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino adottò la tonaca di color nero con cappuccio e cintura. Già il Parmense, Ministro Generale dei Frati Minori, aveva trattato di una loro unificazione con Innocenzo IV, San Bonaventura raccolse l’idea “per la perfezione dell’Ordine e la pace” riescendo – ma “sudando molto con il papa” – a far loro preporre un unico pastore, l’abito nero, la cintura ben larga, un bastone di almeno cinque palmi e l’obbligo di dichiararsi per eremiti agostiniani ad ogni richiesta di sussidio (5).
Col passare degli anni anche presso i Brettinesi, come negli altri istituti religiosi, si sviluppò il processo di “clericalizzazione” dei loro membri. Ciò avvenne per diversi motivi: per il reale bisogno di assistenza spirituale alle popolazioni in mezzo alle quali vivevano; per le maggiori garanzie che offrivano ai vescovi presentandosi come sacerdoti, anziché come semplici laici; per la necessità iniziale di doversi servire di una chiesa preesistente cui era legata la cura d’anime. In molti luoghi, come a Montegiorgio, i Brettinesi non avevano manifestato difficoltà ad accettare chiese rurali, o quelle poste in piccoli borghi con annessa cura d’anime. Così, poco a poco, si fece strada tra di loro la scelta della vita “mista”, cioè eremitica e contemporaneamente pastorale apostolica.
Un altro adattamento fu richiesto dal mutar dei tempi e dalla convivenza sociale, quello di trasferire la loro residenza dentro il recinto delle mura castellane, costruite dai liberi comuni per la comune difesa. Lo scompiglio arrecato nelle campagne dalle scorrerie delle milizie di Federico II, di Manfredi e dei loro antagonisti suggerì alle comunità isolate di richiedere asilo dentro le mura cittadine. Gli amministratori comunali accolsero favorevolmente le loro richieste, assegnando spazi idonei.
Con l’incastellamento i signori rurali avevano trasferito nell’incasato anche i titoli delle loro chiese, unitamente ai loro cappellani; per cui ogni gruppo precostituito continuava nelle sue manifestazioni culturali e stentava ad amalgamarsi con gli altri. Gli ordini religiosi mendicanti, svincolati dall’asservimento agli ex feudatari, offrivano un servizio religioso diretto a tutta la comunità. Nelle loro chiese, spaziose e monumentali, costruite con il concorso del popolo e del Comune, si svolgevano non solo le grandi predicazioni dell’Avvento e della Quaresima, sovvenzionate dall’Amministrazione Comunale, ma anche le assemblee popolari (6). Questo fenomeno fu comune a tutti gli ordini mendicanti: Domenicani, Francescani ed gli Agostiniani.
2° – Le origini del convento agostiniano di Montegiorgio.
La storia delle origini del convento di Sant’Agostino di Monte Giorgio si trova diligentemente ricostruita in un prezioso volume manoscritto del 1680, redatto dal P. M° Antonio Pupi, religioso agostiniano montegiorgese, dal titolo: Memorie del Ven. Convento di Sant’Agostino di Montegiorgio dal 1265 al 1600, conservato nell’Archivio del Convento di Sant’Andrea di Montegiorgio.
Per quanto riguarda il sec. XIII vi sono trascritti tre documenti storici importanti:
a)- Il 13 febbraio 1265 i Frati Eremiti Agostiniani di Santa Maria in Georgio chiesero di cambiare il loro “luogo” di residenza (sito in contrada Cisterna) nel territorio del castello predetto a causa della distanza dal centro abitato e dei gravissimi pericoli di guerre, e di ricostruirlo dentro il castello in onore dell’Altissimo Redentore e per la salvezza delle anime loro affidate. Poiché non avevano né luogo né mezzi per riedificarlo, all’infuori delle contribuzioni dei fedeli, il vescovo di Fermo, Gerardo, e i Signori di Massa, concesse loro per il tramite del loro procuratore Manuele di Alberico di Casalata, la chiesa di S. Salvatore, sita nel castello di S. Maria in Georgio, insieme con libri, campane, calice, turibolo, bacile del fonte battesimale, paramenti, case, cimitero (o sotterratorio), parrocchiani, terre, vigne, comprese le pertinenze del villaggio rurale di S. Salvatore a Cisterna ed ogni altra cosa conosciuta come appartenente a detta chiesa. Il Vicus de Cisterna confinava col fosso di S. Gregorio, con quello di S. Angelo de Collicillo, ed altri confini. Dispose che presso la detta chiesa e le case che le appartenevano, i predetti Frati Agostiniani potevano stabilire ed edificare il loro convento (locum), e concesse loro la piena e libera facoltà di amministrare i santi sacramenti ai parrocchiani. Tutti coloro che, pentiti e confessati, davano una mano nella costruzione del convento, confidando nella misericordia dell’onnipotente Dio, potevano lucrare l’indulgenza di un anno e 40 giorni (7).
b)- Il 27 giugno 1268, il papa Clemente IV concesse l’indulgenza dei 100 giorni nella festa di Sant’Agostino. Dalla bolla si rileva che la Chiesa, dedicata al SS. Salvatore, prese anche il titolo di Sant’Agostino, perché sul lato destro vi avevano eretto un altare in suo onore (8).
c)- Il 5 ottobre 1278, Morico, abate di Farfa, rappresentato dal suo procuratore generale Berardo da Rieti, donò al convento agostiniano di Montegiorgio, nella persona del suo sindaco, Fra’ Andrea da Francavilla, la chiesa di S. Salvatore di Cafagnano con i libri, le case, il cimitero, la parrocchia, i possessi nella villa di campagna con la chiesa ed i suoi emolumenti. L’atto fu stipulato a Montolmo, in casa del Signore Tommaso di Ruggero, presenti molti testimoni; la donazione fu fatta a titolo gratuito, sia per le benemerenze dei Frati Eremiti che da tempo avevano assistito quei parrocchiani in assenza del rettore, sia per assicurare ai fedeli una buona assistenza spirituale che i monaci non avevano potuto più effettuare per la distanza e per la mancanza del personale (9).
Attraverso l’analisi di questi ed altri documenti, si può giungere ad alcune interessanti conclusioni.
1°)- il primo”luogo”, ove si stabilirono gli Eremiti Agostiniani Brettinesi, fu la chiesa di S. Salvatore, in contrada Cisterna di Montegiorgio, luogo particolarmente idoneo per la loro vocazione eremitica. La curtis de Cisterna nei secoli precedenti era stato un rinomato possesso farfense: nel secolo X era goduta dal conte Mainardo (10) e nel secolo successivo, nel 1064, il signore, Alberto d’Adamo, donò al vescovo di Fermo il castello di Collicillo con seicento moggi di terra e la chiesa, con questi confini: da capu via qui venit da Monte Repositorio et vada de S. Severino, da pede Fosa, ab uno lato rigo de Maliano, ab alio rigo de Collicillo (11), corrispondente a Rio Berto.
Queste note storiche, sconosciute allo storico montegiorgese Pupi, chiariscono il duplice atto per il pieno possesso: cioè, la concessione del vescovo Gerardo del 1265, e la donazione dell’abate farfense, Morico, fatta a titolo gratuito nel 1278. Analogo procedimento si avrà negli anni 1301 e 1302 nella donazione della chiesa di S. Maria in Strada di Montolmo con cura d’anime in favore del convento degli Eremiti Agostiniani, ivi presenti fin dal 1247. L’abate romualdino, Valente, del monastero di Santa Maria in Isola, territorio di Cessapalombo, diocesi di Camerino, cede chiesa e possidenze; il vescovo Alberico concede la cura d’anime ed ogni suo diritto che, per qualsiasi titolo, avesse avuto sulla stessa chiesa (12).
2°)- Intorno al 1224, don Baroncello, rettore della chiesa di S. Salvatore in contrada Cisterna, aveva ottenuto licenza dal Legato Pontificio della Marca, card. Pandulfo Savelli di Anagni, di trasferire il titolo della chiesa rurale di Fonte Cisterna nella costruenda chiesa di S. Salvatore de Cafagnano dal luogo in solitudine ala castello di Monte Santa Maria in Georgio (13). La contrada Cafagnano abbracciava la conca sud-orientale, delimitata a nord-ovest dal crinale del Monte che dal Pincio scende fino all’ospedale.
Qualche anno più tardi il vescovo di Fermo, l’avellanita Filippo II (1229-1250), a coloro che con elemosine contribuivano alla costruzione della nuova chiesa al centro della contrada Cafagnano (nella parte alta dell’attuale piazza centrale) concesse l’indulgenza di 20 giorni (14). Nonostante ciò, don Baroncello non poté reggere per lungo tempo la nuova piccola chiesa di S. Salvatore in Cafagnano. Probabilmente venne a mancare ai vivi qualche anno prima del 1240, avendo raggiunto una rispettabile età. È documentato, infatti, che a questo sacerdote nel 1195, cioè circa quarant’anni prima, il vescovo di Fermo, Presbitero, aveva assegnato la chiesa di S. Angelo in Montelliano, previa presentazione fattane dai patroni di detta chiesa, cioè dai figli di Falerone, di comune accordo con la badessa Cecilia (15).
La chiesa di S.Salvatore in Cafagnano è da considerarsi una realtà distinta dalla chiesa di S. Agostino, che Frati Eremiti costruiscono tra il 1265 ed il 1268.
3°)- Quando vennero a Cisterna gli Eremiti di S. Agostino ? Non si può fissare una data precisa perché mancano i documenti specifici. Però ci sembra lecito supporre, come ipotesi di studio, che il loro insediamento sia venuto qualche anno prima del 1240; e certamente appartennero all’Ordine Brettinese. Al precedente disagio di una lunga vacanza nella nomina del Cappellano della chiesa di S. Salvatore di Cafagnano, quando il Procuratore generale Farfense fece l’atto di donazione del 1278, dice che lo sottoscrive “per evitare i mali che capitarono a motivo della mancanza dei pastori e dei rettori di questa chiesa”; ma intende riconoscere anche il servizio di supplenza esercitato dai Frati Eremitani, che si sono resi benemeriti, simpatici e molto cari all’abate farfense ed ai suoi amici, “per i molti graditi ed accolti servizi” nell’assistere la popolazione spettante al “vico” di S. Salvatore, in contrada Cisterna.
4°)- Come già accennato, il titolo della chiesa di S. Salvatore fu trasferito dentro il castello di S. Maria in Georgio, al centro della contrada Cafagnano, per iniziativa del rettore don Baroncello, verosimilmente tra gli anni 1224-1235. La costruzione, al tempo dell’assegnazione fattane dal vescovo Gerardo ai Frati Agostiniani nel 1265, risultava completa e funzionale come chiesa parrocchiale, se non molto grande, pur dotata di tutto l’occorrente. Nell’atto si fa esplicito riferimento a libri, campane, calice, turibolo, fonte battesimale, case e cimitero annessi, conservando per dote i possessi originali, siti nel Vico di Cisterna, già Curtis de Cisterna.
Da documenti successivi, trascritti nelle citate Memorie storiche del P. M° Antonio Pupi, si ricava che le case erano nello spazio occupato dall’attuale piazza, nei pressi delle logge; la chiesa di S. Salvatore occupava uno spazio successivamente utilizzato per la scalinata che dal portale della chiesa di S. Agostino scendeva nella piazza sottostante. La piazza ebbe a prendere la presente forma con diversi interventi costruttivi del secolo XVI e XIX, previa demolizione di case e botteghe preesistenti, possedute dalla parrocchia di S. Salvatore, dal monastero dei SS.Giovanni e Benedetto e da alcuni pii sodalizi.
5°)- Per quanto riguarda la chiesa di S. Salvatore in contrada Cisterna, non essendo più parrocchiale, forse, fu officiata solo saltuariamente dai PP. Agostiniani per comodità dei lavoratori della zona e delle loro possidenze. Questa non figura come contribuente nelle ricevute delle Rationes Decimarum del triennio 1290-92 e 1299, poiché le chiese degli ordini mendicanti erano esenti. Nella relazione della Visita Apostolica del 31 ottobre 1573 Mons. Maremonti scrisse: “La chiesa rurale di S. Salvatore, che si dice essere annessa alla chiesa di S. Salvatore dei Frati di Sant’Agostino di Montegiorgio, da ogni lato minaccia rovine, è priva d’altare e di ogni altro segno di chiesa”, perciò prescrisse gli opportuni restauri e la costruzione dell’altare, dotato di decente pittura e suppellettili, da effettuarsi entro un anno, sotto pena ad arbitrio dell’Ordinario Diocesano (16). Il P. Pupi, nelle Memorie storiche annota che detta chiesa fu risarcita in ogni parte da Mastro Rosato e Mastro Gasparro, che vi costruirono anche l’altare con scalinata nel giugno 1574 (17); nel febbraio 1576 Mastro Mario, pittore vi eseguì il dipinto prescritto (18). Tuttavia, 15 anni dopo, nell’ottobre 1591, fu sfasciata e demolita completamente (19).
3- La chiesa conventuale di S. Salvatore detta di S. Agostino.
I Padri Agostiniani, subito dopo l’immissione in possesso da parte del vescovo Gerardo, nel 1265, in un’area contigua e più elevata, rispetto all’impianto della Chiesa del SS. Salvatore, diedero mano alla costruzione della loro chiesa conventuale, la quale, secondo il costume del tempo, ebbe un impianto grandioso, basilicale. Internamente misuravo 85 piedi di lunghezza, e 30 piedi e mezzo di larghezza, corrispondenti a metri 36 × 14. La dedicarono a Sant’Agostino, come risulta dalla bolla con la quale il papa Clemente IV, il 27 giugno 1268, concesse l’indulgenza di 100 giorni alla festa di Sant’Agostino, “dato che la loro chiesa è costruita in onore di sant’Agostino”. Nel lato sinistro, in fondo, costruirono una cappella con l’altare dedicato al SS.mo Salvatore, sia per conservarvi il titolo originario, sia per svolgere le funzioni parrocchiali inerenti la cura d’anime.
Il papà Nicolò IV, il 1 agosto 1292, concesse l’indulgenza di un anno a 40 giorni a chi avesse visitato questa chiesa nelle feste di Sant’Agostino (28 agosto), del SS. Salvatore (9 novembre), di S. Margherita (13 luglio) e in occasione delle rispettive ottave (20). Il culto verso S. Margherita venne meno in questa chiesa, probabilmente, allorché nella contrada di S. Andrea fu eretta una chiesa a lei dedicata in seguito al lascito testamentario del rev. Proposto di Falerone, Don Corrado di Giberto, in data 8 settembre 1342, col quale dispose, fra l’altro, che con il ricavato dalla vendita della sua biblioteca, ricca di antichi e preziosi volumi, si apprestasse una casa nella contrada di S. Andrea di Montegiorgio per trasformarla in oratorio pubblico, o chiesa, sotto il titolo di S. Margherita, ove il rettore della chiesa di S. Agostino in Montelliano potesse ricevere, accogliere ed assistere i suoi parrocchiani (21). La sua cappella, che era stata costruita a fianco dell’altare maggiore, sul lato destro della chiesa di S. Agostino, fu in seguito riservata al culto di S. Nicola da Tolentino. La chiesa fu costruita ad un’unica navata in stile romanico, con absidi quadrate presbiterio rialzato, coperta a volta reale e con il tetto a capanna. Le pareti originariamente erano ornate con pitture. Però, al tempo del P. Pupi, nella seconda metà del Seicento, non erano più visibili, ”per essere stata più volte imbiancata non si riconoscono più le immagini nelle mura di essa; dalli risalti però che fanno le aureole dei santi si manifesta che la facciata della prospettiva de la volta fosse tutta dipinta da gran moltitudine di Santi a guisa di Gloria, nel mezzo della quale tuttora si vede un’alta immagine del Salvatore adorata da detti Santi. Anche i lati di esse erano dipinti, come lo manifestano altri risalti delle aureole” (22). Per la descrizione di tutta la chiesa, il Pupi riporta un inventario redatto nel 1545 dal priore Fra’ Angelo Pigliavolpe, nativo di Montegiorgio; in esso si legge che “ la chiesa di S. Salvatore di Cafagnano (detta anche di S. Agostino) che oggi abbiamo in possesso, ha lungo il pavimento, incominciando a misurarlo da piedi fino la scala (di accesso al presbiterio), piedi 64 e mezzo, dal primo scalino a tutto il piano dell’altare maggiore, piedi venti e mezzo, è in tutto viene ad essere di lunghezza piedi 85 (= m. 36,12); la larghezza di essa piedi 30 e mezzo ( = m. 13,96)”. Passando alla descrizione delle suppellettili degli altari, trascrive quanto segue:
Il primo altare era l’Altar Maggiore, il quale, all’usanza monacale, aveva la mensa isolata a filo della prospettiva davanti con i due altari oggi detti di S.Nicola e SS Salvatore, sormontato da un tabernacolo grande (23), dietro a detto altare c’era il Coro; nella prospettiva della muraglia ancora qualche immagine, o più Monaci santificati (….). Nella muraglia del Coro più tardi fu posto un quadro de tavola, fatto da Giovanni Bolognese (24), pittore eccellente di quelli tempi (= fine del sec. XIV), e così stette sempre detto altare maggiore in sino a tanto che, per ordine di mons. Gallucci (Ministro Provinciale dal 1613 al 1615) fu rimodernato e il detto quadro fu portato in sacrestia dove sinora si conserva e si può vedere, effigiato di varie e belle figure di Santi: S. Agostino, S. Nicola da Tolentino e S. Lorenzo sul lato sinistro, al centro la Madonna col Cristo, sul lato destro le immagini intere di S. Giovanni Battista , S. Bartolomeo e Santo Stefano, a corrispondenza di tre per tre, al di sopra delle figure nominate, si vedono altre sei immagini distinte dei Santi; da piedi, come in prospettiva ad uno scalino di detto quadro, stanno dipinte le facce di Cristo in mezzo a sei Apostoli per parte (25). Il secondo altare, in cornu Evangelii, era di S. Salvatore, benché con quelli ornamenti che apparisce oggi. Il tezo altare era di S. Caterina, dentro al muro, all’usanza antica, come, credo, fussero tutti gli altri seguenti; questo altare di S. Caterina è oggi coperto da quello di S. Tommaso, dove è stato riservato un finestrino, donde si vede la faccia della Madonna che tiene in braccio il Bambino Gesù che porge l’anello a Santa Caterina (26). Il quarto altare, poco più sotto, era di S. Maria del Soccorso. Il quinto altare, per la medesima fila, era di S. Paolo. Il sesto altare era di S. Maria (degli Angeli) (27). Il settimo altare era di S. Bartolomeo. Tutti questi altari erano dalla parte suddetta, che oggi riguarda la scalinata e la piazza. Dall’altra parte, incominciando da piedi.
Dal lato dell’epistola dell’altare maggiore v’erano: L’ottavo altare, detto di S. Maria della Luna, il quale era sotto a quello dove è oggi, et occupava il sito tra il muro, o angolo del muro, e quello dell’altare moderno, cioè il sito dove oggi sta il battesimo(=battistero), sfondato nel muro di controfacciata. Segue la porta maggiore per la quale si entra nel convento, si vedono anche le pitture. Il nono altare era di S. Lucia, che veniva dopo la porta ed era sito di fronte a quello di S. Bartolomeo, ma con l’istesso sfondato. Il decimo altare era quello del Battesimo di Gesù al Giordano, posto dirimpetto a quello di S. Maria degli Angeli. L’undicesimo si chiamava l’altare di S. Maria della Culla, sito dirimpetto alla Porta laterale, oggi detta dello Scalato. Il dodicesimo altare era dedicato a S. Bordone e S. Macario sito dirimpetto quello di S. Paolo (28). Il tredicesimo altare dedicato a S. Antonio Abate, sito dirimpetto quello della Madonna del Soccorso. Il quattordicesimo altare era dedicato a S. Giusto, corrispondente a quello di S. Caterina. Il quindicesimo altare dedicato al S. Nicola da Tolentino, stava dove sta tuttora, al lato dell’epistola dell’altare maggiore… (29).
L’immagine di S. Antonio Abate posta nella nicchia del 13° altare, era assai miracolosa e di grandi utili a questo Convento per la devozione che se ne aveva. Quindi è che, vedendosi deteriorati li Padri Agostiniani nelle elemosine dalli cercanti esteri (cioè, gli Antoniani e i questuanti collegati con il monastero di Santa Antonio di Vienne, in Francia), rivolsero una supplica al Papa di inibire la questua ai predetti cercatori, e di di concederne l’esclusiva ai Padri Agostiniani del luogo, bisognosi di altri mezzi di sostentamento, purché il convento ospitava abitualmente 15 Frati” (30).
Descrizione della sacrestia. Per la porta laterale, a fianco dell’altare di S. Nicola si entra in Sacrestia. “E’ fatta a volta, a foggia di diamante. Nel concavo dove ora è la porta di detta Sacrestia per uscire nel Chiostro stimo vi fusse un altare che riceveva il lume dal finestrino di sopra, dotato di ferrata, nel cui volto si vede dipinto il Salvatore con un cartoccio in mano e vi è scritto Ego sum lux mundi (=Io sono la luce del mondo). A man dritta di esso Salvatore, nel lato dell’apertura a strombo, v’è un Monaco vestito alla sacerdotale, con una Croce in mano, fatta all’antica, che riguarda molte persone inginocchiate, in atto di ricevere la beneditione da lui. Sotto detto sacerdote ve n’è un altro <religioso> vestito di negro, con il cappuccio alla monacale che ha un penitente ai piedi, in atto di ricevere l’assoluzione. Dalla mano sinistra di detto Salvatore v’è un personaggio vestito alla sacerdotale, con il piviale, che tiene in mano una cosa simile ad una pace, un reliquiario, con la chierica, o corona alla monacale. Sopra al detto Salvatore, nel piano del muro, vi è una finestra murata in occasione che fu fatto il chiostro; dalla parte sinistra di detta finestra v’è la Madonna e dalla parte destra l’Angelo che annuntia. E queste sono le pitture che si vedono oggi nel lato della sacrestia che riguarda il chiostro.
Nel secondo lato, o parete che riguarda verso la cantina, v’è dipinto un Cristo in Croce che ha a mano sinistra un Santo, che credo sia S. Giuliano, con un’insegna da capo ad un bastone; e dall’altro lato della croce un’immagine vestita di negro, con un altro bastone alla mano, che parimenti mostra alla cima come una bandirola. Nel terzo lato della sacrestia, si sta verso l’orto, non vi ho potuto scorgere che pitture vi fossero, e stimo che l’umidità della terra, che anticamente era unita al muro esterno prima che vi fosse fatto il fosso del 1500, l’abbia guastate. V’è una finestra assai alta, che dà il lume a detta Sacrestia (…).Nel quarto lato, o parete che riguarda la Chiesa, v’è dipinto S. Antonio Abbate che sta a sedere in un trono con la mitra in testa. Nel volto di detta sacrestia vi sono dipinti i dodici segni dello Zodiaco, divisi in quattro parti, cioè tre per parte, corrispondenti alli quattro quadri di essa”. I quattro archi che si vedono in sacrestia, forse, furono fatti per rinforzare i muri portanti, verso il granaio e l’orto. Certo è che non v’era la porta, per la quale oggi si va dalla sacrestia verso l’altare maggiore, conoscendosi di essere stata fatta a forza di scalpello dopo che fu chiusa l’altra, per fare l’altare di S. Nicola. Stimo però che ci fosse la porticella da piedi alla scaletta del campanile, per la quale si andava dal dormitorio al Coro (31).
La Chiesa, come risulta dal riferito Inventario, fu oggetto di molte attenzioni da parte dei Frati Agostiniani nelle manifestazioni di culto (15 altari) e nelle multiformi espressioni artistiche. Alcune opere d’arte, ivi ricordate, sono state conservate fino ai nostri giorni.
a)- La Madonna della Luna è una tavola dipinta da Francescuccio Ghissi nel 1374 ora si conservano nella chiesa di Sant’Andrea, ribattezzata dai critici d’arte Madonna dell’Umiltà (32).
b)- il Portale in stile gotico, ricco di marmi lavorati fu costruito nella prima metà del sec. XIV, come ingresso alla chiesa dal lato sinistro, a capo della scalinata che saliva dalla Piazza sottostante (33).
c)-Gli affreschi della sacrestia incorporata nel palazzo dell’ex convento, sono stimati di notevole livello artistico, ma in stato di pietoso abbandono, datati 1380, raffiguranti una Crocifissione, una Annunciazione, e tracce di dipinti da scoprire.
d)- La Madonna degli Angeli, affresco della metà del secolo XV, che ornava il sesto altare, vicino alla porta laterale, conservato nella omonima chiesina, sopra le Logge, in seguito al prodigioso rinvenimento del 14 aprile 1825 (34).
La chiesa fu dotata di Organo a canne, sistemato definitivamente nel sec. XVII nella cantoria costruita sopra la porta dell’ingresso principale e comunicante con l’ala anteriore del Convento.
A proposito dell’organo, il M° Pupi, trascrive una notizia interessantissima: “Il 27 agosto 1494, Fra’ Remo, Priore del convento di S. Agostino di questa Terra, pattuì col Maestro Berardino e Fra’ Giovanni da Montefiore, francescano, di fare l’organo nella nostra chiesa in termine di un anno, per il prezzo di fiorini 25. L’atto fu rogato da Ser Domenico di Giovanni da Sarnano, a p. 172 del suo protocollo” (35).
Nel mese di marzo del 1573 fu traslocato nella parete laterale destra, sopra il pulpito, comunicante col coro notturno del convento. Poi, in epoca successiva, fu sistemato sopra l’ingresso ai piedi della chiesa (36). Nella relazione di Sacra Visita del 1766 il curato Fra‘ Prospero Grechi, originario da La Valletta nell’isola di Malta, riferisce che a quel tempo l’organo era dotato di 12 registri (37).
La chiesa nel 1408 non era stata ancora consacrata. Un certo Andrea di Federico nel suo testamento costituì un legato per sovvenzionare le solennità della sua consacrazione: Lasciò (tra l’altro che “con i suoi beni e denari, a pro della sua anima, si doveva fare la consacrazione e dedicazione della chiesa di sant’Agostino ad opera deri vescovi e frati con ogni cosa necessaria”.(38). Dai registri contabili del Convento, relativi al Cinquecento e transuntati dal M° Pupi, si ricava che nel 1577 la chiesa era dotata di un Coro, lavorato in legno di noce per comodità dei Frati, sito nel presbiterio, opera dei Maestri d’intaglio Girolamo Gaiardelli e di Arcangelo da Montecchio; di un Banco per il Magistrato, parimenti lavorato in legno di noce e collocato a ridosso della parete sinistra della chiesa, di fronte al pulpito; vicino alla porta laterale fu collocata una pila dell’acquasanta in travertino; sul campanile, eretto a capo della chiesa, sul lato destro, comunicante con il convento e con il coro, erano installate quattro campane di diversa grandezza.
Nel 1567 fu fatto venire da Ancona il Fonte Battesimale per interessamento di Fra’ Deodato da Montegiorgio. Nel 1572, a Macerata fu acquistato un tabernacolo per il SS.mo Sacramento, versando all’intagliatore, M° Filippo, fiorini 54. L’anno successivo fu messo in oro fino dal M° Francesco. Nel 1573 la chiesa fu tutta imbiancata dai muratori M° Rosato e M° Francesco Lombardi. Ed infine una notizia curiosa: nel mese di aprile del 1575 insieme con i Frati di S. Francesco, i Padri Agostiniani acquistarono una tenda per coprire e dividere le donne dagli uomini in chiesa durante le prediche dal pulpito. Interventi di restauro e consolidamento furono fatti in diversi tempi: riguardavano il pavimento mattonato, i diversi ordini di sepolture, i tiranti di ferro con chiavi a sostegno delle strutture portanti, le imbiancature nelle pestilenze del Seicento, la riduzione degli altari da 15 a 9, l’impianto di confessionali che troviamo così disposti in una descrizione del 1766:
Alt. SS. Sacramento Altare Maggiore Alt. di S. Nicola
Alt. de’ Cinturati Alt. di S. Giusto
Confessionale Confess. del curato
Alt. Madonna di Loreto Alt. Madonna del Parto
Porta laterale Pulpito
Alt. SS. Crocifisso Alt. Madonna della Luna
Confessionale Cantoria con organo Confessionale
Ingresso principale Fonte battesimale
Archivio Parrocchiale
“Nel muro di detta chiesa, comune col chiostro, verso la metà, in prossimità del tetto, vi è un finestrino per il coro della notte; sotto esso finestrino sta il pulpito, ove ogni tre anni si svolge la predicazione in Avvento e Quaresima dai Padri Cappuccini per grazia e concessione de’ nostri Religiosi, essendo detta chiesa la più comoda fra le altre tutte, situata in mezzo della Piazza e di mole molto più grande; le altre volte, detta predicazione è fatta dai nostri religiosi ab immemorabili eletti sempre come predicatori dal Capitolo del Convento.
Inoltre in ciascuna festa dell’anno, concorrendovi tutto il popolo, ab immemorabili si è sempre esposto alla pubblica venerazione (sic) il Santissimo Sagramento, dandovi, more solito la Benedizione al popolo, dopo il canto delle litanie di Maria SS.ma e il Tantum Ergo…Per detta esposizione del Santissimo in tutte le feste dell’anno risulta che questa Signora Comunità (= Amministrazione Comunale) suol contribuire annualmente con uno scudo, conforme apparisce nei libri contabili del Convento….
In ogni quarta domenica del mese suol farsi con l’affluenza di moltissimo popolo, per un picciol tratto di via, la Processione detta de’ Cinturati. Al 2 luglio si celebra la festa della Madonna della Luna, la quale gode speciale, antichissimo culto presso il popol tutto. Sotto la protezione di essa trovasi eretta, smembrata però dalla nostra chiesa, la più antica, numerosa, benestante confraternita, detta della Madonna della Luna, o dello Spirito Santo (39). Il suo altare gode dell’antichissimo privilegio di Altare Gregoriano perpetuo per concessione del papa Paolo IV, fatta nel 1588. Ogni giorno alle due della notte, dandosi il segno con la nostra campana maggiore, viene ella salutata dal popolo con la recita della Salve Regina, e ciò per costante tradizione presso tutti, per essere ella in tale ora comparsa con la sua Santa Immagine della nostra chiesa.
Alle 10 dicembre…. si celebra un sagro, solenne Triduo per ordine di questa Signora Comunità, ed insieme si fa la festa della Madonna di Loreto e Processione generale con la sua statua, esistente nella nostra chiesa. Nello stesso mese, a richiesta del popolo, nella nostra chiesa, che qui gode di più comoda situazione per la sua centralità, si celebra con assai nobil pompa di devozione la sacra novena del Santissimo Natale. Come pure vi si svolge la cerimonia della chiusura dell’anno dinanzi al SS.mo Sagramento esposto per il canto del Te Deum in ringraziamento al Signore per i ricevuti benefizi” (40).
Stanti queste molteplici funzioni a beneficio di tutta la popolazione montegiorgese, non ci fa meraviglia il fatto che quando il proposto dei SS. Giovanni e Benedetto, l’ex gesuita don Bartolomeo Velasquez, intraprese la costruzione dell’attuale chiesa collegiata, essendo in precarie e ristrette condizioni la chiesa suburbana da lui officiata, si rivolgesse al priore dei Padri Agostiniani, P. M° Nicola Gattani ed al curato del Santissimo Salvatore, P. Domenico Donnini, i quali con il beneplacito dell’arcivescovo di Fermo, sottoscrissero una convenzione, un reciproco accordo per officiare insieme la chiesa di S. Agostino: tanto lui che il clero dipendente vi potevano svolgere alcune funzioni parrocchiali e feste particolari che richiedessero un grande concorso di popolo, per tutto il tempo necessario per completare la costruzione intrapresa, e fino a che questa non fosse benedetta ed officiata (41).
La convenzione durò dal 1782 al 1789. Essa fu favorita dal fatto che nel triennio precedente, 1780-82, la chiesa di S. Agostino internamente era stata trasformata, seguendo i canoni dello stile neoclassico imperante, con altari maestosi, con pilastri, colonne e cornicioni aggettanti, distribuiti tutt’intorno, nel candore di tutto l’insieme tinteggiato con latte di calce, interrotto dalle dorature che mettevano in risalto le scarse decorazioni sparse qua e là. Purtroppo, solo per pochi anni, i buoni religiosi poterono godersi il frutto di tante privazioni e sacrifici. Nel 1808, sotto il Regno Italico, imposto da Napoleone I, il convento di Sant’Agostino fu soppresso, i frati dispersi e i loro possessi incamerati dal Demanio Napoleonico. Solo il religioso che svolgeva le mansioni di curato, il P. Pietro Sirombi, continuò ad officiare la chiesa di S. Agostino, ma per breve tempo; nel 1812, perdurando ancora il Regno Italico, il tetto alla chiesa crollò interamente all’interno e con esso gran porzione delle mura laterali, cosicché lo spazio della chiesa restò ridotto a figura di strada. Fu allora che al curato del SS.mo Salvatore fu assegnata la chiesa di Sant’Andrea ed una parte del soppresso Monastero delle Clarisse.
4° – Il Convento e la comunità Agostiniana.
Da quanto riferito nel paragrafo sull’origine degli Agostiniani in Montegiorgio, appare che nel 1265 la comunità eremitica dalla contrada di Cisterna si trasferì, per ragioni di maggiore sicurezza, dentro le mura del castello e, precisamente, nelle case appartenenti alla chiesa parrocchiale di S. Salvatore de Cafagnano. Qui subito intraprese la costruzione della monumentale chiesa, descritta sopra, e del convento, come chiaramente si deduce dalla concessione di indulgenze che fece il vescovo di Fermo, Gerardo, il 13 febbraio 1265: ogni persona che, pentita e confessata, avrà dato un personale aiuto nella costruzione del convento dei Frati Eremiti agostiniani, a Santa Maria in Georgio, potrà lucrare l’indulgenza di un anno e 40 giorni” (42).
Non abbiamo altre memorie storiche che ci parlino nella costruzione del primo Convento sul lato destro della chiesa. Il M° Pupi annota che, a suo tempo, non trovava notizie di alcun genere dal 1278 al 1356, anno in cui si registra il cospicuo lascito testamentario di Sante Paganucci in favore di Fra’ Giovanni di Berardino Graziani. In questo lasso di tempo fu certamente costruito il portale. Nonostante che attualmente disponiamo di maggiori fonti di informazione, nulla è stato reperito che si riferisse espressamente alla suddetta costruzione. Sono emerse solo notizie riguardanti alcuni personaggi:
a)- Nel convento agostiniano montegiorgese soggiornò per qualche tempo S. Nicola, nel primo periodo la sua vita religiosa, dopo essere stato ordinato sacerdote. Mancino di Forte da Sant’Angelo in Pontano, residente a Tolentino, nel processo canonico del 1325 depose dicendo: ”Io ebbi a visitarlo nel convento di Sant’Angelo e di S. Maria in Georgio “ (43).
b)- Fra’ Gentile da Montegiorgio nel 1300 è ricordato come Maestro di Teologia (44).
c)- Fra’ Giovanni da Montegiorgio è presentato al Capitolo Generale del 1332 (45).
d)- per l’anno 1358 ho raccolto alcune notizie intorno ai Frati Agostiniani Montegiorgesi:
– Fra’ Andrea da Montegiorgio è punito per non aver osservato la povertà nelle suppellettili (46).
– Fra’ Angelo da Montegiorgio con un altro frate si reca in Romagna per risolvere alcuni affari del suo Convento; viene anche lui punito per non aver osservato la povertà nelle suppellettili (47).
– Fra’ di Biagio da Montegiorgio, Priore del Convento di Civitanova è punito per non aver fatto osservare la quaresima di S. Martino(48).
– Fra’ Giorgio da Montegiorgio riceve la licenza per confessare a Monterubbiano (49).
– Fra’ Giovannuccio da Montegiorgio, dopo che ha terminato il triennio, prosegua gli studi a Siena, così sentenzia il suo Provinciale (50).
–Fra’ Nicola da Monte Giorgio è accusato di comportamento scandaloso, avendo avuto due figlie da una donna di cattiva fama (51).
e)- Nel 1392 è Priore Fra’ Antonio di Claudio di Alteta (52).
f)- Nel 1415 e nel 1433 ricopre la carica di priore Fra’ Venanzio di Valente da Montegiorgio (53).
Dall’elenco provvisorio dei Priori che si presenta qui nell’Appendice dei documenti, appare che il Convento nei secoli XIII, XIV, XV e nella metà del XVI fu generalmente retto da Priori originari di Montegiorgio. Pure la comunità, limitata a cinque o sei religiosi, era formata in gran parte da montegiorgesi. Figli di possidenti, aromatari ed orefici erano raccolti in tenera età, dagli 8 ai 12 anni, e vestiti come professi. Questo fatto spesso arrecò inconvenienti nella successione dei Priori e dei Procuratori. Molti religiosi amministravano per proprio conto i beni ereditati, sia dai famigliari, sia da privati, trascurando l’amministrazione del cospicuo patrimonio comune di terre, case e botteghe. Tra gli anni 1531-1545 si alternarono nel governo del convento due religiosi montegiorgesi che fecero cronaca nel bene e nel male per molti anni, Fra’ Angelo di Biondo Pigliavolpe ed il M° Fra’ Paolo di Simone Cacciaconti, il quale fu anche Provinciale dal 1541 al 1543. È il periodo più intensamente conosciuto dalla documentazione riferita dal P. Pupi da p. 78 a p. 110 del suo manoscritto.
Sotto il generalato del M° Fra’ Girolamo Seripanti, i religiosi di Montegiorgio dovettero far donazione al Convento di tutti i loro beni, presenti e futuri, sotto pena di espulsione, con la condizione espressa che il Convento fosse tenuto a dare gli alimenti e a provvederli in ogni loro necessità (54). Questo incremento patrimoniale consentì di fare innovazioni ed apportare migliorie all’edificiodel Convento negli anni successivi. Nel 1545 nel convento di Montegiorgio si svolse il Capitolo Provinciale essendo Provinciale uscente il M° Fra’ Angelo Cacciaconti; in sua vece fu eletto Provinciale il M° Fra’ Giacomo da Sanginesio (55). Il suo successore nel Provincialato, il P. Egidio da Pesaro, riesaminando nel 1546 il carteggio amministrativo del convento, vi riscontrò irregolarità, per cui emanò una sua ordinanza e rinnovò tutta la famiglia conventuale, allontanando tutti i frati montegiorgesi ed eleggendovi come Priore Fra’ Marino da Sanginesio. Componevano la famiglia: il Sindaco e Procuratore, Fra’ Guglielmo del Monte, Fra’ Giovanni Battista da Montelpare, Fra’ Filippo da Monte Monaco, Fra’ Deodato professo, Fra’ Pietro novizio, montegiorgesi, oltre a Fra’ Martino da Montefalcone, e Frat’ Antonio da Fermo, sacerdoti, nonché Fra’ Patiente e Frat’Egidio conversi (56).
L’ex Provinciale, Fra’ Paolo Cacciaconti, l’ex Priore, Fra’ Angelo Pigliavolpe e Fra’ Nicola di Cicco, stante la loro cattiva amministrazione, subirono la confisca dei loro beni personali, furono allontanati dal convento ed espulsi dall’Ordine Eremitano di Sant’Agostino. Fra’ Nicola di Cicco apostatò. Il Cacciaconti ed il Pigliavolpe, una decina d’anni più tardi, furono riammessi in virtù di un Breve del papa Giulio III, (morto nel 1555) concesso in favore del Priore Generale con facoltà di assolvere da censure e scomuniche. Fra’ Gabriele Gelardini, che fu coinvolto nelle stesse sanzioni, nel 1650 si secolarizzò. Il Concilio di Trento, già in atto, dava i primi scossoni per il rinnovamento degli Ordini religiosi. Come, dopo la tempesta, risplende la natura nel tempo rasserenato, così presso il convento di Montegiorgio tornarono serenità e pace, che fecero fiorire tante iniziative che diedero lustro e rinomanza fra le altre istituzioni similari.
Lo stesso Provinciale, P. Egidio da Pesaro, dopo la visita ispettiva, nel novembre 1546, scrisse una lettera con la quale raccomandava di custodire il SS. Sacramento, in un luogo nitido et conveniente con tabernacolo da porre sull’Altare Maggiore, sentito il parere degli esperti d’arte e culto divino, di non tralasciare la recita di del Divino Ufficio e di istruire nella lettura gli illetterati, inoltre esortava il Priore a non tollerare bestemmie, né discorsi lascivi, “ascoltati dalla bocca di alcuni di voi”, né siano permessi giochi illeciti e proibiti, e neppure quelli ammessi, se svolti insieme con i secolari; i quali non possono essere accolti a mensa, ed a nessuno è lecito vendere vino del Convento al minuto, a boccale o foglietta. Il M° de’ Novizi osservi la vita comune. Le terre del Convento non siano più date in affitto a cattivi agricoltori, come quelli che non stanno ai patti, non osservano le consuetudini e non riconsegnano la parte del fruttato dovuta, o tagliano legna per venderla, o bruciarla nelle case site dentro la Terra. Circa le donne, di qualsiasi grado di affinità, si osservi stretta clausura; tantomeno sia lecito ai Frati coabitare stabilmente fuori convento con persone d’altro sesso, sotto pena di un mese di carcere ad arbitrio del Priore. Il Priore che non farà osservare le predette disposizioni sarà privato della provvigione annuale (57). Per l’anno seguente sarà lo stesso Provinciale ad adattare una parte del Convento per istituirvi il Noviziato.
Nel 1552 alcuni novizi lasciarono l’abito agostiniano; altri risultarono infettati dal morbo gallico o sifilide; per questi scandali i Magnifici Priori della terra di Montegiorgio minacciarono di ricorrere al Legato Pontificio, per cui il Provinciale, il M° P. Aurelio d’Arcevia, con lettera del 14 sett. 1552, ordinò al Priore, Fra’ Giovanni Augusto Vagnetti, lettore, di far costruire in una parte più riservata due o più stanze per i novizi, i quali dovevano osservare la più stretta clausura; potevano stare insieme con i Frati solo in chiesa e nel refettorio (58). I novizi ammessi non potevano essere più di sei: tre o quattro montegiorgesi, gli altri provenienti dai conventi più poveri della provincia picena. Al P. Maestro spettava la stessa provvigione stabilita per il Priore. Il Convento doveva fornire ai novizi vitto, libri, vestiti e medicine. Il Noviziato fu completato nel dicembre del 1553 e furono spesi più di 67 fiorini. I novizi scendevano nel Coro della chiesa per mezzo dello scalone costruito dentro la torre campanaria ad opera di mastro Tiberio del Bello, falegname (59).
Altri lavori per opportune ristrutturazione del Convento erano in corso nel 1576. Il P. Provinciale chiese di continuare a fare il Capitolo Provinciale in Montegiorgio, ma i Frati dissero di no, stante il disordine della casa per i lavori in corso. Nel 1577 decidono di smantellare anche la colombara presso il Convento, levando tetto e legname, perché non v’era colombo né passero che non fosse preso di mira dai secolari con balestra o archibugio (60). Per altri lavori e per soffittare l’appartamento del P. Maestro fanno venire tavole d’abete da Pola. Avvertiti dell’arrivo di esse al porto di Ancona, per mare le fanno trasportare al Porto di Fermo e da lì a Montegiorgio con carriaggi (61). Nel 1595 vendono molti appezzamenti di terre per carestia di lavoratori e scarso reddito, acquistano altra terra in contrada Cisterna e con la rimanenza costituiscono censi attivi (62).
Nei secoli XVI, XVII e XVIII il Convento di Montegiorgio fu considerato “Convento Generalizio”. La famiglia religiosa generalmente era composta da almeno 12 religiosi , tra sacerdoti e conversi, più sei novizi. Al tempo del Ministro Generale Monti, nel 1645, venne istituito in questo convento lo “Studio Generale” con un P. M° Reggente, per accogliere gli stabilmente 10-12 giovani (63). In una relazione dell’8 aprile 1650, conservata nell’Archivio Generalizio Agostiniano in Roma, si dà a questa descrizione del convento montegiorgese (64): “Il Monastero fa corpo unico con la Chiesa e misura canne 56 di perimetro (pari a m. 238). All’entrar della porta vi è il suo claustro con il pozzo in mezzo; nella prima ala c’è il muro in comune con la Chiesa, nell’altra ala si succedono la sacrestia e la cantina per la quale si va alla Grotta-Canale; nell’altra ala c’è il refettorio; nell’ultima c’è la dispensa per fare il pane, una libreria con una grotta ad uso cimitero. Poi si ascende per alcune scale e si arriva al dormitorio di sopra, corrispondente a claustro di sotto; attorno vi sono 32 stanze per i nostri Padri; salendo altre scale si arriva al dormitorio dei giovani, ove sono 12 stanze col corridoio. Sul lato a sud-ovest vi è anche l’orto. Al presente vi sono 11 sacerdoti:
– P. M° Alessandro Moriconi da Montegiorgio, Provinciale,”
– P. M° Bacc. Fra Lorenzo Lorenzini da Montelparo, Priore,
– P. M° Fra Serafino Prosperi da Montegiorgio, Curato,
– P. Bacc. Fra Giuseppe dall’Aquila, Reggente,
– Fra BenedettoBoncore da Montegiorgio,
– Fra Costanzo Lucchini da S. Costanzo,
– Fra Gustavo Parentani da Montegiorgio,
– Fra Guglielmo da Monte S. Martino,
– Fra Francesco Carlini da S. Vittoria,
– Fra Gregorio Natali da Mondolfo,
– Fra Francesco Maria Catalini da Monte Casciano.
Segue l’elenco dei 12 Professi di studio:
– Frat’ Antonio Pupi da Montergiorgio (che sarà lo storico del Convento).
– Fra’ Alessandro Clodiani dell’Amatrice,
– Frat’ Antonio Ganascia da Antrodoco,
– Frat’ Anton Giacinto Baldassarri da Melica,
– Fra’ Carlo Ricci da Monte Leone,
– Fra’ Nicola Balantieri da Monte Cosaro,
– Frat’ Alessandro Venanzetti da Matelica,
– Fra’ Gregorio Capistrelli da Montelparo,
– Fra’ Stefanoda Cusignano,
– Fra’ Alipio Maris da Sant’Omero,
– Fra’ Agnolo Castellacci da Castelfidardo,
– Fra’ Mario Viesi da Siena”
Il Seicento e il Settecento sono da considerarsi i secoli di maggiore splendore del nostro convento. Fu punto di incontro e di formazione religiosa di molti personaggi, divenuti illustri. Se ne avvantaggiavano anche i montegiorgesi che diedero all’Ordine Eremitano due Ministri Generali:
a)- Il P. M° Fra’ Fulgenzo Gallucci da Montegiorgio, che ricopre molte cariche: Reggente degli Studi a Fermo (1602) e Pavia (1608); Provinciale delle Marche (1613-1615); Prefetto della Biblioteca Angelica (1615-1620); Ministro Generale (1620-1624); e infine Sagrista del Papa e vescovo di Boiano. Morì nel 1632 (65).
b)- Il P. M° Fra’ Fulgenzo Travalloni, nato a Montelparo il 2/6/1616 dai genitori montegiorgesi, Andrea e Giovanna Montani. Entrato in religione a 25 anni, fu affiliato al Convento di Montegiorgio. Fu Maestro in Teologia, Visitatore dei Conventi Agostiniani di Napoli nel 1660; Priore di S. Agostino di Napoli; Provinciale delle Marche (1671-73); esaminatore sinodale della Diocesi di Montalto durante la sua dimora a Montelparo; Visitatore Apostolico nel Tirolo ed in Bavaria nel 1676; Procuratore Generale dell’Ordine dal 1679; Ministro Generale dal 1685 al 1693. Morì al Loreto nell’Ospizio agostiniano di Monte Reale del 1693, all’età di 77 anni; fu sepolto nella cappella del SS.mo Sacramento della Basilica Lauretana (66). Nello nello stesso periodo furono eletti provinciali delle Marche, oltre i predetti Gallucci e Travalloni, altri 4 montegiorgesi:
– P. M° Fra’ Alessandro Moriconi (1649-51).
– P. M°. Fra’ Filippo Maria Tamburrini (1654-57), illustre Visitatore Generale.
– P. M° Fra’ Nicola Gattani (1766-76).
– P. M° Fra’ Agostino Braca che fu Provinciale in due tornate, (1803-1806), (1824-1829).
L’elenco potrebbe continuare ancora nel ricordo di altri P. Maestri, Lettori e di illustri predicatori, che in qualche modo ebbero relazione con il nostro Convento. Concludiamo questo paragrafo, accennando che nel 1783, dopo la chiesa, anche il convento fu interamente ristrutturato e rimaneggiato, seguendo i canoni dello stile neo-classico, nelle forme conservate in gran parte sino al presente. Vedi l’imponente scalone, i lunghi luminosi corridoi, le spaziose stanze (poi adibite ad aule scolastiche). Nel maggio del 1793 si celebrò il Capitolo della Provincia Picena, ove convennero rappresentanti di ben 42 conventi e 350 religiosi. La Provincia Picena era considerata assai fiorente alla vigilia dell’avanzare della Rivoluzione Francese in Italia e certamente tra le più floride ed in salute dell’Ordine. Nel convento di Montegiorgio, non più generalizio, risiedevano nove religiosi, forse un po’ pochini per un complesso edilizio così grandioso. Gli entusiasmi delle idee rivoluzionarie di fraternità, libertà ed uguaglianza generarono una certa freddezza per il governo e per le istituzioni ecclesiastiche (67). I francesi entrarono nelle Marche il 5 febbraio 1797. Nel Fermano, il cambiamento di governo avvenne il 9 febbraio; al 20 marzo fu pubblicata la “Costituzione della Repubblica Romana”. L’ex Stato Pontificio fu diviso in Dipartimenti. Monte Giorgio fu considerato “Cantone” del Dipartimento del Tronto, che aveva la sua sede amministrativa nella città di Fermo. Di “fraternità e di libertà” si sono fatti dei miti, ma nel loro nome sono stati perpetrati molti delitti. S. Agostino ai suoi tempi disse testualmente: “Cosa sono i gradi imperi se non grandi latrocini ?” (68). Al convento agostiniano montegiorgese le truppe napoleoniche imposero alcune taglie in denaro assai onerose; requisirono oggetti preziosi, sacre suppellettili, calici e reliquiari. Nell’Archivio del convento di Sant’Andrea si conservano alcune lettere delle autorità del Dipartimento del Tronto del 1803, anno sesto della “Repubblica Romana”, che impongono al Priore l’immediata consegna di due oggetti: una croce ed un calice d’argento, occultati dai PP. Agostiniani. Firmò, per ricevuta, il Priore, fra Nicola Sinibaldi (69).
Per i conventi agostiniani di Montelparo e di S. Vittoria esiste una documentazione archivistica riguardante la protezione, l’animazione e la diretta collaborazione dei frati agostiniani nelle file degli “Insorgenti” (70) che gli storici moderni stanno rivalutando come manifestazione spontanea e popolare antinapoleonica, sviluppatasi nelle contrade del Piceno (71); sotto la guida dei fratelli Giuseppe e Clemente Navarra di Servigliano, entrarono a Fermo inaugurandovi un governo provvisorio, ricollocando nel Palazzo Pubblico lo stemma pontificio il 22 giugno 1799 (72). Verosimilmente gli Agostiniani di Montegiorgio diedero anch’essi man forte agli “Insorgenti”. Uno degli effetti negativi della rivoluzione francese fu senz’altro l’esilio forzato di molti sacerdoti d’oltralpe che trovarono asilo nelle diocesi dello Stato Pontificio nel decennio 1792-1802. La Diocesi di Fermo ne accolse più di 113, stando ai documenti di archivio pervenuti a noi. I sacerdoti francesi rifugiati a Montegiorgio erano così assegnati: due agli Agostiniani; due ai Conventuali; due ai Cappuccini ed uno al terz’Ordine Regolare. Nel Convento di S. Agostino trovarono rifugio i reverendi Brouillet d. Fulcrano e Perrier d. Giuseppe, canonici del Duomo di Lodève (73). Ma non tutti fra i religiosi la pensavano lo stesso modo. Molti di essi seguirono le idee innovatrici e libertarie d’oltr’Alpe.
Nel 1816, celebrandosi il Capitolo Provinciale a Monte Cosaro, fu rifatta la statistica: pur restando 42 conventi, il numero dei regiosi scese a 242; un centinaio in meno della precedente conta fatta nel 1793 (74). Purtroppo, non si hanno notizie per tracciare una lineare storia del nostro convento, né si conoscono le relazioni prodotte dai nostri religiosi, i quali furono oggetto di soprusi, di occupazioni militari, di requisizione di derrate e di oggetti preziosi, di imposizioni di tasse straordinarie, ed altro. Non abbiamo reperito, finora, i verbali della sua soppressione sotto il famigerato “Regno Italico” né dell’incameramento dei beni mobili ed immobili, assegnati al “Demanio e Monte di Napoleone”, nell’anno 1810”.
Dopo la soppressione e demaniazione napoleonica, il monumentale edificio del convento agostiniano soppresso e demaniato, fu acquistato dal Comune per adibirlo ad uso delle istituzioni pubbliche: scuole, caserma, carcere, forno pubblico, ufficio delle poste e telegrafo, pescheria, e simili.
5°- Le possidenze del Convento di Montegiorgio
Probabilmente in molti di voi, leggendo questa esposizione, sarà venuto in mente questo interrogativo: un’istituzione così grande, una famiglia così numerosa dove traeva elementi di sussistenza ? Dalla pubblica e privata elemosina, oppure da altre fonti ? Rispondo, precisando che, fin dal Concilio di Lione del 1274, agli Ordini Mendicanti fu concesso di poter ricevere in eredità anche beni immobili e donazioni d’ogni genere da utilizzare per conseguire i loro fini istituzionali, amministrati da un Sindaco, scelto tra buoni laici. Quindi furono dispensati in parte dalla rigorosa povertà iniziale. I Frati Eremiti di Montegiorgio, nel 1278, entrarono nel pieno possesso dei beni della Chiesa del SS. Salvatore in contrada Cisterna, con le case, con le loro accessioni e pertinenze site in contrada Cafagnano, dentro il paese (75).
Il P. M° Pupi, nelle “Memorie storiche del Convento” annota diligentemente tutte le azioni patrimoniali fatte dai Priori e dai Procuratori di ogni tempo: accettazione di eredità, permute, vendite, affitti e migliorie fondiarie, e simili.
per avere un’idea della consistenza patrimoniale nei secoli di maggiore splendore, ho trascritto sinteticamente i dati, riassumendo dalla relazione ufficiale dell’8 aprile 1650, inviata al Ministro Generale (76).
– Podere in contrada Cisterna con case coloniche e palombara della superficie di (77) some 45
– Podere in contrada la Gabba con casa some 14
– Podere in contrada Gabbiano con sua casa some 30
– Podere in contrada Gagliano some 32
– Terra lavorativa in contrada La Laqua some 4
– Terra lavorativa in contrada Baiano some 4
– Terreno in contrada Benevento con sua casa some 6
– Possessione in contrada Montone con sua casa some 4/12
– Possessione nella contrada delle Vallecelle some 5
Totale some 144 ½
– 4 vigne con arboreto, 4 vigne al quarto (78)
– Botteghe in affitto.
– Denaro messo a frutto in Roma: scudi 6.700 rendita sc.335.
– Tre censi concessi al 6,7 e 8% sc. 3775 rendita sc.100.
Bestiame: 30 pecore; 8 capre; 10 vacche con allevini; 9 porci, tra grassi e piccoli.
L’entrata complessiva, compresi i proventi e gli incerti di sagrestia, ammontava a scudi 948,90. La relazione descrive anche l’uscita media annuale, con chiusura della contabilità quasi a pareggio, con un avanzo di uno scudo. Pertanto si considerava un convento autosufficiente.
6°- La Parrocchia del SS. Salvatore annessa al Convento
Il Convento di Montegiorgio, insieme a pochi altri, ebbe la prerogativa di gestire una chiesa con “cura d’anime”, cioè di governare una comunità parrocchiale. Ciò avvenne fin dalla sua fondazione, nel secolo XIII. Ma allora non tutte le parrocchie si configuravano in un assetto territoriale ben delineato, come ai nostri tempi: molte parrocchie erano gentilizie, altre personali cioè per poche famiglie. Quella del SS. Salvatore, probabilmente, faceva parte di quest’ultimo gruppo: assisteva le famiglie dei lavoratori immessi nelle loro possessioni e le altre aventi lo stesso cognome (o dello stesso ceppo).
Il Concilio di Trento esortò a dar vita a parrocchie ben organizzate, incorporando quelle superflue poco consistenti, sia per la consistenza numerica delle anime, sia per le scarse rendite, insufficienti per mantenervi il titolare.
Nel territorio di Montegiorgio nel 1573 esistevano ben 15 parrocchie (79). Alcune furono soppresse. Quella del SS. Salvatore de Cafagnano rimase, mentre l’altra di S. Salvatore de Macriano e Santa Croce fu aggregata alla prepositura di Sant’Arcangelo (80), che per importanza veniva subito dopo la prepositura dei SS. Giovanni e Benedetto.
Nel rinnovamento biennale delle nomine nella famiglia conventuale venivano assegnati incarichi speciali ai singoli religiosi. Spesso il curato era persona diversa dal Priore; c’era il Procuratore del Convento, il Maestro dei novizi, il Lettore in Sacra Teologia addetto alla predicazione, l’organista, il sacrista, ed altri uffici. Il Curato nella chiesa di S. Agostino officiava l’altare del SS. Salvatore che, come riferito sopra, era situato a capo della chiesa, sul lato sinistro, sul medesimo piano dell’altare maggiore. Vicino all’altare, incastonato nel muro, vi era un credenzino foderato di damasco di color paonazzo dentro il quale veniva custodito in un vasetto d’argento l’olio degli Infermi ed una piccola pisside d’argento con una borsetta ricamata in oro per portare la S. Comunione agli infermi fuori paese.
Il Fonte Battesimale, in un primo tempo, fu posto in fondo alla chiesa, sul lato destro dell’ingresso principale, in una credenza ricavata nella controfacciata. Rimodernata la chiesa, con la riduzione degli altari da 15 a 9, esso fu fatto nuovo e fu sistemato tra la porta che immetteva nel Convento e l’altare della Madonna della Luna. Era dotato di tutto l’occorrente: due bacili di rame stagnato a doppi, due vasetti d’argento per l’Olio dei Catecumeni ed il Sacro Crisma, due piatti di cristallo, due stole ed un vestitino bianco con i suoi merletti.
Vicino al Fonte Battesimale era collocato nell’Archivio della Cura, ben chiuso a chiave, dentro al quale erano conservati i libri parrocchiali dei Battezzati, dei Cresimati, de’ Matrimoni, dello Stato d’anime, delle Messe “pro popolo” e dei Morti, con altre scritture e fogli spettanti alla Cura. Il Padre Curato disponeva di un proprio confessionale, il più prossimo alla porta della sacrestia (81). In una “Relazione-Inventario” per la sacra visita del 1766 il P. Prospero Grechi da la Valletta ci ha lasciato questa annotazione: “Assicuro l’Ecc.za Vostra ill.ma e rev.ma che tanto nel conferire il Battesimo, come nell’amministrare la Santa Eucaristia, l’estrema Unzione e nella celebrazione delle esequie, sempre si è procurato e si procura con tutta la possibile attenzione d’osservare a puntino tutto ciò che viene prescritto dal Rituale Romano”. Per la sepoltura in Parrocchia non si richiede alcun pagamento; secondo il costume del paese; per l’associazione (=accompagnamento) del cadavere si chiedono 25 baiocchi. Assicura, inoltre, che ogni domenica fa la spiegazione del santo Evangelo con grande concorso di popolo in ora competente, secondo le stagioni, alla prima messa; annuncia feste e vigilie, insegna la Dottrina Cristiana in ogni festa, e nella quaresima ogni giorno, ed esclama: ”Così fossero ubbidienti i genitori nel mandare i propri figli e figlie, massimamente del ceto civile, i quali in questo mancan non poco !” Usava anche ogni diligenza ed attenzione nel visitare gli infermi, amministrando in tempo opportuno il Viatico e l’Unzione. Curava, infine, la preparazione dei fanciulli per abilitarli a ricevere la santa Cresima; celebrava i Matrimoni, previa esplorazione della volontà di ambedue gli sposi, fatta separatamente, i quali venivano anche esaminati sopra la Dottrina Cristiana ed istruiti sui loro obblighi reciproci.
Tutte queste cose non dovevano occupare per molto tempo il Curato. Un prospetto statistico del 1765, redatto dal suddetto P. Grechi, rivela la scarsa consistenza dell’animato parrocchiale: (82) 15 famiglie erano sparse in diverse contrade di campagna con 77 persone. Contava in totale 29 famiglie con 136 persone; una media di otto persone per famiglia. Riferisce anche che nell’anno precedente il movimento demografico registrava un morto e nessun nato. Settant’anni dopo, nel 1838, le persone risultano 239 tutte in campagna (83). Molte famiglie portavano lo stesso cognome: ad esempio cinque famiglie per ciascuna delle famiglie Bottoni; Gelardini e Radicini. Calisti, Caradonna, Merli, Simonetti, Vagnozzi, una famiglia per ciascuno. Alcune famiglie, specie i Bottoni, coltivavano i poderi del Convento.
La Parrocchia non aveva un beneficio proprio, tutte le proprietà dei beni mobili ed immobili appartenevano al Convento. Il P. Curato riscuoteva ogni anno dall’Amministrazione Comunale di Montegiorgio cinque scudi, pattuiti nel 1573 in sostituzione delle decime sacramentali, dovute dai parrocchiani (84). Per ogni sua necessità doveva fare appello all’amministrazione del Convento. Questo rapporto si mantenne inalterato fino alla soppressione del Convento, sotto il “Regno Italico”, avvenuta nel 1810. La parrocchia sopravviverà al convento e le sarà assegnato un proprio territorio per il sostentamento del curato. Reggeva la parrocchia, dal 1807 il P. Pietro Sirombi, montegiorgese che passò al clero diocesano, accolto dall’arcivescovo cardinal G. Ferretti.
7° – La Parrocchia del SS.mo Salvatore dal 1810 al 1910.
Con la soppressione e demaniazione napoleonica la parrocchia, priva della comunità religiosa, rimase protagonista,da sola (senza più il Convento) per tutto il secolo XIX, retta successivamente da tre tenaci figure di religiosi agostiniani: P. Pietro Sirombi fu parroco dal 1807 al 1853; P. M° Alipio Cicconetti la resse dal 1854 al 1892; – P. M° Domenico Filacciani vi risiedette dal 1892 al 1909. Le cose sarebbero andate diversamente se i religiosi avessero lasciato il possesso dei beni di fondazione alla chiesa parrocchiale del SS.mo Salvatore perché almeno questi si sarebbero potuti salvare dalla buriana napoleonica. Dall’applicazione delle leggi eversive del Regno Italico dovevano essere esentati gli Ordini dei Mendicanti, quelli che promuovevano le scuole pubbliche ed i benefici con cura d’anime. Ma le comunità degli Ordini Mendicanti dovevano risultare nullatenenti e formate da almeno 24 componenti. Mancando l’uno e l’altro dei suddetti requisiti, fu decretata la soppressione di tutte le comunità religiose di Montegiorgio: Agostiniani, Minori Conventuali, Terz’Ordine Regolare, monache Clarisse di S. Chiara e di Sant’Andrea.
Ad officiare la chiesa di Sant’Agostino restò il P. Pietro Sirombi, montegiorgese, il quale era stato proposto come parroco del SS.mo Salvatore dalla comunità religiosa agostiniana e confermato dal Card. Cesare Brancadoro, arcivescovo di Fermo, il 22/12/1807 (85). Il 28 settembre 1811, su richiesta delle governo italico, furono nominati quattro fabbriceri per il controllo amministrativo della parrocchia del SS.mo Salvatore. Il parroco propose Ottavio Recchi, Giuseppe Flammini, Filippo Conti e Benedetto Nori con approvazione del Vicario Generale della Curia arcivescovil fermana, mons. Silio (86).
Nel 1812, per cause a noi sconosciute, crollò il tetto della chiesa di Sant’Agostino (87), con abbattimento dei muri di sostegno esterni; una parte del lato sinistro e quello della zona absidale . Fu allora che alla parrocchia del SS.mo Salvatore fu assegnata la chiesa di Sant’Andrea, resasi libera con la soppressione di quel monastero femminile. Dopo la restaurazione del Governo Pontificio (1816) , con dispaccio della Segreteria di Stato del 14/9/1820, confermato dall’arcivescovo di Fermo, Card. Cesare Brancadoro, il 20/10/1820, il curato Sirombi fu confermato nel “vero, reale e corporale possesso di una parte del monastero ad uso casa canonica”. L’altra parte fu assegnata alle Dame del Sacro Cuore di Sant’Elpidio a Mare. Queste, dopo alcune spiacevoli contestazioni, nel 1860, la vendettero al capomastro Antonio Ferrantini (88). Il Beneficio Parrocchiale era costituito con due fondi rustici ed un censo. Un fondo con casa colonica malandata era sito in contrada Montone; l’altro ricadeva nella contrada Fontegrande, nelle piane del Tenna. Questi sono stati i terreni goduti dalla parrocchia sino agli ultimi anni più vicini a noi. Inoltre il Governo Pontificio corrispondeva al parroco un assegno annuale in denaro (89).
L’archivio storico parrocchiale in parte andò disperso con quello del Convento agostiniano, oggetto di soppressione, e l’altra parte, quello corrente collocato in chiesa, finì sotto le macerie del tetto crollato. Furono recuperati solo alcuni registri di Battesimo e di Matrimonio del ‘700, per cui il P. Pietro Sirombi, nel 1838, riferiva nelle risposte al questionario di Sacra Visita: “Il nuovo Archivio parrocchiale, che consiste nei soli libri parrocchiali, incomincia dalla soppressione e viene conservato dal Parroco” (90).
In occasione dell’istituzione del Capitolo dei Canonici, presso la Collegiata dei SS. Giovanni e Benedetto, 10/3/1807, furono soppresse alcune parrocchie, come quella di S. Martino e S. Maria dei Gigli: Sotto il titolo di Parrocchia dei SS. Giovanni e Benedetto furono designati due parroci: l’Arciprete, prima dignità capitolare, parroco di tutte le famiglie abitanti dentro la Terra; il Canonico Curato, parroco delle famiglie residenti in campagna. Alla parrocchia del SS. Salvatore, pertanto, furono tolte le famiglie che abitavano in paese; però fu compensata con un maggior numero di famiglie campagnole. Per cui il suddetto parroco, nel 1838, poteva scrivere: “ La parrocchia di S. Salvatore alla sua chiesa parrocchiale in Sant’Andrea e, fuori del paese, ha 239 anime. Confina in tutto con il Canonico Curato…. Nelle pertinenze del territorio parrocchiale esiste una sola chiesa: quella di San Raffaele in contrada Murgiano, edificata e benedetta il 15 ottobre 1781, su richiesta del signor Giuseppe Agostino Calisti, con dote di un modiolo di terra. Fu fatta costruire per il proprio comodo e per i rurali vicini.” (91).
Il parroco reggeva la parrocchia del SS.Salvatore non più come frate agostiniano, ma come religioso secolarizzato, in piena dipendenza dal vescovo diocesano. Nella citata relazione il P. Sirombi scrisse: “Avvertito da Sua Em.za il Card. Ferretti di provvedermi dell’indulto apostolico di perpetua secolarizzazione, l’ho ottenuto con rescritto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari del 13.07.1838, reso esecutorio dal Card. Ferretti il 20 nov. 1838” (Vedi in Appendice ambedue i documenti). Nell’esecuzione arcivescovile del rescritto romano si dice espressamente che la parrocchia del SS.mo Salvatore di Montegiorgio è annessa al Convento agostiniano di Fermo; il Priore di questo è invitato a fare, insieme con il sacerdote diocesano Sirombi (ex- agostinano) l’inventario delle cose e scritture della parrocchia che dovranno essere riconsegnate alla morte del Sirombi il quale continua ad essere titolare della parrocchia e del suo beneficio. Il curato D. Pietro Sirombi resse la parrocchia sino al gennaio 1853, anno della sua morte. Da alcuni documenti appare che nel marzo 1853 era Amministratore di S. Salvatore il Canonico D. Vincenzo Del Bello, montegiorgese; ciò ci fa supporre che il Sirombi non avesse coadiutore fisso; però negli ultimi suoi quindici anni, essendo ammalato di podagra, per l’assistenza de’ campagnoli si serviva di un sacerdote diocesano.
E’ del 25 ottobre 1853 una lettera del Priore Generale degli Agostiniani, P. M° Pio Salerno, indirizzata al P. M° Provinciale, Fra Nicola Ciottoni, residente a Pesaro: “M. R. Priore Provinciale, salute. Nella Congregazione Generalizia tenuta il 21 del corrente mese fu di unanime consenso deciso che il piccolo convento di Montegiorgio debba far parte di codesta Provincia della Marca ed essere perciò immediatamente soggetto alla Paternità vostra ed ai futuri successori” (92).
Nello stesso anno 1853 un giovane Frate Agostiniano montegiorgese, il P. Alipio Cicconetti, in un primo tempo fu nominato parroco del SS.mo Salvatore dal Capitolo del Convento di Fermo con la seguente delibera, estratta dal Libro delle Proposte: “A dì sei marzo 1854. Essendo tornata al nostro sant’Ordine la cura di S. Salvatore in Montegiorgio, in virtù del sovrano rescritto, per il quale veniva aggregata con specialità a questo Convento Generalizio di Fermo, come grancia, con il diritto di nomina alla Parrocchia, io infrascritto Priore, dovendo per primo usare di questo ius a favore di una persona dell’Ordine, perché avesser le cose canonicità integra, ho chiamato a Capitolo i PP. Vicari, osservando le solite prescritte formalità e gli ho interpellati perché avessero significato mediante segreti suffragii se stimavano idoneo ad essere presentato a questa carica il P. Bacc.re Alipio Cicconetti: fu passato il bussolo, ed ebbe voti pienamente favorevoli. Eccone le firme: Fra Paolo Micallej proposi e diedi il voto. Fra Clemente Rossini, approvò. Fra Guglielmo Guidi, approvò. Fra Agostino Olivari, approvò” (93).
Il 15 maggio 1856 il comune di Montegiorgio elesse il P. Cicconetti a far parte della Deputazione che doveva presiedere il buon andamento delle scuole pubbliche, insieme con l’arciprete d. Giovanni Zampetti ed al canonico D. Germano Zenobi (94). Nel 1861, al tempo della soppressione sabauda degli enti e corporazioni ecclesiastiche, sancita dal decreto del Commissario Valerio, subito dopo l’occupazione delle Marche da parte dell’esercito di Vittorio Emanuele II, fu soppresso il Convento di Fermo, ma non risulta che la parrocchia, la chiesa, né il nostro Curato subissero danni, o requisizione di oggetti d’arte. La tavola raffigurante la Madonna della Luna firmata da Francescuccio Ghissi nel 1374, in quel tempo non era molto apprezzata dai critici d’arte come lo è al presente. Infatti, non figura nell’Elenco dei Quadri di pregevoli Autori disposto nel 1810 dal Prefetto del Monte Napoleone e redatto il 17:08 1811 a cura del Dipartimento del Tronto (95), né in quello dei Quadri e Dipinti più notabili e di pregio che esistevano nei Comuni della Provincia di Fermo, redatto l’11 marzo 1852, sotto il Governo Pontificio (96).
Il Card. Filippo De Angelis, il 18 maggio 1869, a conclusione della Sacra Vista, ordinò che tutti i parroci di Montegiorgio si riunissero sotto la presidenza del Vicario Foraneo per “prendere in maturo esame il riparto territoriale delle anime di ciascuna parrocchia”. Le parrocchie con chiese nel capoluogo furono ridotte a tre: la Collegiata dei SS. Giovanni e Benedetto, la prioria del SS.mo Salvatore, la cura dei SS. Nicolò e Savino.
Secondo la statistica del 1869, presa in esame dai parroci, la popolazione di Montegiorgio, escluse le frazioni di Monteverde, Alteta e Cerreto, era complessivamente di 4.423 abitanti, così ripartiti: (a)- All’interno del paese: Arciprete con n. 1.277 abitanti; il Curato di S. Nicolò con n. 94 “
(Tot. n. 1.371). (b)- Nel territorio di campagna: il Canonico Curato n. 1.526 abitanti; Per SS. Nicolò e Savino n. 763 ab.; Per SS. Salvatore n. 763 ab. (Tot. n. 3.052). Fu soppressa la Parrocchia di S. Michele Arcangelo. All’Arciprete furono assegnate tutte le famiglie site dentro la cinta delle mura castellane; al canonico Curato il territorio di campagna verso Francavilla, Rapagnano e Magliano; al curato dei SS. Nicolò e Savino alcune famiglie del paese: Zenobi, Calisti e Della Pittima, nonché le contrade rurali: Ferranini, Montamboni, Gagliano, La Laga, Pantaneto, e Bore di S. Giovanni. Al Curato del SS.mo Salvatore fu assegnato un territorio contenuto dentro i seguenti confini (97): “Partendo dalla Porta di S. Andrea e prendendo la via che costeggia le mura castellane, le stesse mura tracciano la linea fino all’imbocco della strada presso la Porta di S. Nicolò, che conduce alla Fonte del Rio, framezzo le proprietà del sig. Gio. Battista Carducci da un lato e del Sig. Vincenzo Calisti, una volta Alaleona dall’altro, e qui seguitando a tenere la sinistra, forma la linea di confine di questa parrocchia il Fosso Rio, di Castagneto, di Fontebella fino alla Strada Provinciale e da questa andando alla strada che conduce a Belmonte, tenendo sempre la sinistra la suddetta linea di confine va a terminare nel fiume Tenna, e costeggiando sempre questo fiume, la linea va a toccare il territorio di Magliano, e risalendo lungo questo territorio per la linea che traccia il fosso Rio Berto va questa a congiungersi con la Parrocchia del Canonico Curato. Da qui continuando sempre per la parte inversa detta parrocchia si ascende sino alla strada detta di San Giuseppe, ed è questa, tenendo sempre la parte inversa alla parrocchia del Canonico Curato, salendo per la Todina e prendendo la strada che conduce alle Piane la linea di confine di questa Parrocchia va a terminare dove ebbe principio, cioè alla porta detta di S. Andrea. (…). Montegiorgio 30 giugno 1869”
Il decreto del Card. De Angelis del 20/12/1869 Inter coetera pastoralis officii, a forma di bolla, sancì specialmente il predetto smembramento, essendo avvenuti: l’accordo tra le parti interessate ed anche l’approvazione del Capitolo della Collegiata di Montegiorgio. La parrocchia del SS. Salvatore con questo provvedimento divenne parrocchia territoriale, includendo la chiesa rurale di S. Maria di Crocevia di patronato del Comune, triplicò il numero degli abitanti, ma restò nel disagio di una chiesa piccola e decentrata. Lo Stato Italiano per venire incontro alle parrocchie povere, in parziale risarcimento dei beni sottratti a conventi, confraternite e collegiate, istituiva il Supplemento per una congrua retribuzione dei parroci, ed anche al Curato del SS.mo Salvatore, il 27 dicembre 1873, il Regio Economato Generale inviò la circolare per conseguire detto assegno, in quanto il reddito complessivo del beneficio parrocchiale era inferiore a L. 800. Non è stato reperito il decreto di concessione, né l’ammontare di detto supplemento; però, da riferimenti successivi, ne risulta il godimento (98) fino al secondo decennio del secolo XX, quando nell’immediato dopoguerra si procedette ad una sistematica revisione generale delle <retribuzioni> “congrue”.
Nel 1882 si riaprì il convento agostiniano di Fermo, sotto il priorato del P. Giuseppe Antonio Erei. Il convento di Montegiorgio, a motivo dei beni assegnati alla parrocchia, era considerato ancora “grancia” del convento fermano, perciò dovrà contribuire con generi e vettovaglie. Nello stesso anno, il Noviziato agostiniano di Arcevia fu trasferito a Montegiorgio, presso la porzione dell’ex-monastero femminile di Sant’Andrea, assegnato alla parrocchia del SS.mo Salvatore, ma vi restò per breve tempo, perché le Provincie italiana dell’Ordine Agostiniano promossero un Noviziato a carattere nazionale che fu aperto in Toscana, a Borgo a Buggiano: là furono invitati i novizi marchigiani (99).
Nel 1892 morì il P. Alipio Cicconetti che aveva retto la parrocchia per 38 anni consecutivi. Nel periodo di sede vacante fu nominato Economo Spirituale un sacerdote diocesano, il vice-parroco del Canonico Curato, D. Beniamino Mecozzi. Evidentemente si deve ritenere che, fino a quel tempo, il P. Cicconetti vivesse ancora da solo. Il 17 febbraio 1892, il Capitolo del Convento Fermano vi nominò parroco di P. M° Domenico Filacciani (100), il quale si mostrò zelante ed attivo in generose opere di restauro alla casa ed alla chiesa. Il 3 giugno 1893 ottenne l’autorizzazione per ricostruire tre camere ed un vano di transito nella casa parrocchiale di Sant’Andrea di Montegiorgio, secondo la perizia del capomastro muratore, Pietro Fattorini. C’erano i mezzi finanziari per porlo in atto (101). Nel 1905 portò a compimento i lavori di ampliamento e la decorazione pittorica della chiesa di Sant’Andrea, nello stile neo-romanico-gotico allora molto in voga. (La chiesa sarà descritta in tutti i suoi particolari nel paragrafo nono). Tra gli anni 1909 1910 nei registri parrocchiali appare la firma del P. Aurelio Casavecchia, nella qualifica di vice-parroco; c’era anche un fratello laico nelle mansioni di cuoco. Nel frontespizio del registro compilato dal P. Filacciani nel 1895 intitolato lo Stato d’Anime si legge una interessante statistica: la parrocchia contava 1111 abitanti. Era cresciuta del 40% dopo appena venticinque anni. Agli inizi del 1910 vi figura come economo spirituale il P. M° , Zaccheo Nicola Pelinga.
Dopo 100 anni esatti dalla soppressione, avvenuta sotto il Regno Italico, la comunità religiosa era stata ricomposta nel numero minimo, indispensabile per poter definirsi tale. Il merito della sopravvivenza va certamente ai tre religiosi che, sebbene in forzata solitudine, tennero alto il prestigio dell’ordine agostiniano di Montegiorgio per un secolo intero.
8° – L’Oratorio della Madonna degli Angeli sopra le Logge.
Nel descrivere la distribuzione degli altari nella chiesa di sant’Agostino, lo storico del Convento riferì che il sesto altare, il penultimo del lato sinistro, era dedicato a S. Maria degli Angeli. Nella relazione del P. Prospero Grechi del 1766, cioè due secoli più tardi, non figura più questo altare; il suo posto risulta occupato da un confessionale, probabilmente, uno di quei due confessionali settecenteschi che si conservano nella chiesa di Sant’Andrea. La nicchia dove era l’affresco della Madonna degli Angeli era stata coperta con una cortina di mattoni; così il suo ricordo fu cancellato dalla memoria degli uomini. A ridestarlo avvenne un fatto che fu ritenuto prodigioso. Il 14 aprile 1825 la predetta cortina di mattoni, resa fragile dalla pioggia e dalle intemperie, stando a ciel sereno, per la caduta del tetto della chiesa, colpita da una bocciata maldestra, rovinò a terra, rimettendo in luce il devoto affresco quattrocentesco. I compagni di gioco ed alcuni passanti, osservata la sacra immagine, si inginocchiarono e recitarono le Litanie Lauretane; la notizia di tal miracoloso scoprimento rapidamente si sparse, in tutto il paese, e di lì a poco nei paesi viciniori e poi in altri lontani, dai quali venivano, a gruppi, persone d’ogni grado per venerarla ed implorar grazie, lasciando larghi doni e cospicue offerte. Vi accorse anche l’arcivescovo di Fermo, il card. Cesare Brancadoro, il quale conferì al Sig. Nicola Isopi, l’incarico di custode e depositario delle offerte e delle elemosine rilasciate dai pellegrini.
L’architetto Carlo Maggi, residente a Montedinove, fu incaricato di redigere un progetto di ricostruzione parziale della chiesa, utilizzando le strutture perimetrali ancora in piedi della vecchia chiesa di S. Agostino, riducendone la lunghezza da 36 a 26 m, conservando nella stessa larghezza di 14 m circa. Nell’archivio del Comune di Montegiorgio si conserva la planimetria del progetto, firmato il 6 agosto 1825. Il progetto dovette risultare sproporzionato in confronto con le offerte raccolte, nonché con le possibilità future, per cui prevalse l’idea di costruire il piccolo oratorio con la adiacente sacrestia, come si vede ancor oggi. Lungo l’asse della demolita chiesa fu aperto un tratto di strada per congiungere due altre strade pubbliche.
Dalle relazioni di sacra visita pare che per molti anni nel corso del secolo XIX la chiesa fu officiata dal Curato del SS.mo Salvatore, poi, in epoca imprecisata, fu assegnata alla Confraternita del SS.mo Sacramento. La devozione verso la Madonna degli Angeli nel secolo XIX e per metà del secolo XX fu caratterizzata dalla S. Messa che vi si celebrava all’aurora, un’ora prima del levar del sole, durante il mese di maggio e nelle feste della Madonna. Per alcuni anni chi scrive questa storia vi ha celebrato messa dal 1943 al 1950 con levata mattutina dalle ore cinque, in sostituzione del cappellano della suddetta Confraternita, l’indimenticabile figura di pio e zelante sacerdote, Don Giuseppe Cognigni, montegiorgese.
9° – La chiesa di Sant’Andrea.
Il titolo è da considerarsi molto antico. Sebbene non figuri come contribuente nella riscossione delle decime straordinarie, imposta dal papa Niccolò IV nel triennio 1290-92, essa è ricordata in alcuni lasciti testamentari del secolo XV; era la chiesa propria del Terziere di Santo Andrea. Certamente nel secolo XVI era considerata chiesa parrocchiale con apprezzabile numero di famiglie, probabilmente il doppio di quelle assistite dal curato del SS.mo Salvatore, come si può dedurre dall’esame dei diversi ‘proposti’ per la riscossione delle decime sacramentali, fatti con il Comune negli anni 1565 e 1573 (102).
Soppressa la parrocchia, alla fine del Seicento divenne chiesa claustrale del secondo monastero istituito in Montegiorgio, quello delle monache Clarisse, osservanti della Regola del Terzo Ordine Regolare. Questa comunità crebbe notevolmente nel corso del secolo XVIII, raccogliendo molti elementi provenienti dal ceto medio-borghese del luogo e dei paesi vicini; perciò diede incarico all’architetto Pietro Maggi di Poruzzella del Canton Ticino, abitante in Montedinove, di progettare la ristrutturazione della chiesa e del monastero, secondo lo stile neo-classico, allora imperante (103). Di quel progetto ora possiamo ammirare la facciata della chiesa che si esprime in un disegno architettonico lineare ed essenziale, con le lesene e cornicioni aggettanti, rosone centrale e portale appena rilevato; nonché il campanile costruito su base triangolare a sinistra della facciata, ove erano collocate tre campane. La Chiesa, internamente, era un monolocale con due altari: l’altare maggiore, dedicato a Sant’Andrea, ed uno laterale, dedicato all’Immacolata. Sul vano della chiesa si affacciavano da più lati le grate delle claustrali, che dall’interno assistevano alle sacre funzioni. Divenuta chiesa parrocchiale con un accresciuto numero di anime, fino ad avere 1.111 persone, come sopra accennato, con diversi e progressivi interventi le fu data la forma conservata fino al 1975.
Al tempo del Curato P. Domenico Filacciani, nel 1905, fu arricchita di una decorazione di stucchi e dorature nello stile neo-romanico-gotico, fiorito tra la fine del secolo XIX e gli inizi del novecento. La Chiesa si presentava a tre navate incomplete, senza transetto, con soffitto a volta su sfondo azzurro, tempestato di stelle messe in oro; al centro, entro cornice ellittica, ornata di raggi dorati, era dipinta la figura di S. Nicola da Tolentino. La navata centrale si sviluppava lungo due campate soltanto, con un arco a tutto sesto, comunicanti con le navate laterali dalla volta ribassata. Nelle pareti sovrastanti gli archi figuravano dieci medaglioni: cinque per parte, e vi erano rappresentati, da sinistra verso destra: B. Girolamo da Recanati, Ven. Bartolomeo Menocchio, B. Alfonso de Orosco, S. Tommaso da Villanova, S. Fulgenzio da Ruspe, B. Giovanni Stone, B. Antonio da Amandola.
L’ingresso era protetto da una bussola, come al presente; sopra di essa c’era la cantoria con un buon harmonium della ditta Tubi di Lecco. L’abside fu costruita nella forma di un ottagono dimezzato, con un arco trionfale anteriore a tutto sesto. Al centro della volta, decorata al pari delle navate, spiccava un medaglione con la rappresentazione plastica dello Spirito Santo, sotto la forma di colomba; ai lati tre medaglioni con figure di Angeli; al centro del lato di fondo, in alto, dentro altro medaglione, troneggiava la figura del SS.mo Salvatore, titolare della Parrocchia; più in basso era collocato il dipinto su tavola del fabrianese Francescuccio Ghissi, raffigurante la Madonna della Luna, opera iscritta nel Catalogo delle Belle Arti (104).
Il presbiterio, rialzato di due gradini, era protetto da una balaustra in ferro battuto con cancelletti laterali; al centro era impiantato l’altare maggiore col suo tabernacolo, costruiti in pietra di graniglia, con mensa vuota, sostenuta da due colonnine. Al centro delle pareti laterali, in apposite nicchie, erano collocate due statue in pasta di Siena, di non notevole pregio artistico, raffiguranti: S. Agostino e S. Monica; sopra queste nicchie si aprivano due finestre rotonde per dare luce a tutto il presbiterio.
Lungo la navata sinistra erano sistemati due altari: quello della Madonna della Consolazione con statua della Madonna della Cintura in legno e cartapesta, di poco valore artistico, e quello di S. Rita con tabernacolo mobile di metallo e statua in legno di Santa Rita. Lungo la navata di destra, verso l’orto della famiglia Fattorini, in una cappella ottagonale, l’altare in pietra di S. Nicola di Tolentino privilegiato per la nobile famiglia Passeri, come si rileva da un’iscrizione marmorea, murata in alto. Prendeva luce da una finestra laterale, lunga e stretta, aperta sul lato orientale; di fronte ad essa stava un dipinto ad olio su tela, raffigurante: l’Apostolo S. Andrea, titolare della chiesa (105). Tutta la cappella era mediocremente ornata di stucchi dorati che incorniciavano alcuni dipinti ad olio su tela, raffiguranti: B. Girolamo da Recanati, B. Antonio d’Amandola, a sinistra; B. Cherubino D’Avigliana e B. Clemente da Osimo (106), a destra, mentre al centro v’era la nicchia con la statua lignea del Santo, di un certo valore artistico, probabilmente, proveniente dalla diruta chiesa di Sant’Agostino (107), unitamente alla coppia di confessionali settecenteschi, costruiti in bello stile in pregiato legno di noce. Nel corso degli anni settanta la chiesa fu rimodernata ed ampliata in ogni sua parte, su progetto del P. Stefano Pigini da Castelfidardo, religioso agostiniano, geniale ed affermato scultore e pittore contemporaneo. Con questo intervento si volevano raggiungere alcune finalità: abolire la pesante decorazione costituita dai medaglioni sopradescritti; creare la navata destra con sviluppo lineare, abolendo la cappella neo-gotica di S. Nicola; ripristinare e sviluppare nella zona di ampliamento le linee di un moderato neo-classicismo; realizzare quanto suggerito dalla riforma liturgica post-conciliare circa la costruzione degli altari.
I lavori furono eseguiti in economia da mastri muratori montegiorgesi, diretti e coadiuvati dal P. Vincenzo Rossi, anch’egli esperto nell’arte muraria. La tinteggiatura e le dorature furono eseguiti dall’artigiano indoratore e decoratore Bruno Alessandrini di Montegiorgio. Soltanto per una piccola parte di detti lavori fu ottenuto un contributo statale, mediante l’istituzione ed il finanziamento di un “Cantiere di lavoro per la riqualificazione della manodopera disoccupata”. L’intervento fu limitato al rinnovo del pavimento, previa demolizione di esso con bonifica delle tombe sottostanti; costruzione di una soletta in calcestruzzo cementizio e ricopertura con un manto di piastrelle di marmo perlato-coreno. Con i suddetti lavori si ottenne una capienza di circa 150 persone, con 100 posti a sedere. Nella navata centrale, dentro una nuova cornice di legno faggio, è stata collocata l’artistica tavola della Madonna della Luna. Più in alto, è stato riprodotto il medaglione del SS.mo Salvatore; mentre alle pareti laterali sono stati aggiunti medaglioni raffiguranti: Sant’Agostino e Santa Monica.
L’altare maggiore, rivolto verso il popolo, poggia su due colonne fisse; è dedicato al S.mo Salvatore e alla Madonna della Luna; il tabernacolo è incastonato nel muro di fondo; il presbiterio è rialzato di un solo gradino dal piano della chiesa. In fondo alla navata sinistra sta la cappella dedicata a S. Rita con un proprio altare. Aboliti i precedenti altari di S. Nicola e della Madonna della Consolazione, le rispettive statue sono state conservate nelle proprie nicchie, al centro della prima campata, vicino all’ingresso. All’altezza della seconda campata, lungo le navate laterali, sono stati collocati gli artistici confessionali per donne del secolo XVIII, lavorati in noce. Gli uomini per confessarsi si recano in sacrestia. La chiesa è dotata di un moderno organo elettronico della ditta Farfisa, sistemato provvisoriamente all’inizio della navata destra, nonché di un impianto centrale per il riscaldamento (108).
10° – Parroccia, Convento, Educandato dal 1910 in poi.
Nel Capitolo della Provincia Agostiniana Picena, tenutosi a Fermo il 19 luglio 1910, fu risolto a pieni voti di chiedere al Priore Generale che i conventi di San Nicola di Tolentino e quello di San Giacomo Maggiore in Bologna fossero aggregati alla Provincia Picena, e che la casa di S. Salvatore di Monte Giorgio fosse distaccata dalla grancia del Convento di Fermo con tutti i diritti annessi. Ciò avvenne con la nomina a Priore Provinciale del P. P° Zaccheo Nicola Peligna che all’inizio di quell’anno era in Montegiorgio, Economo Spirituale della Parrocchia del SS.mo Salvatore, e poi fu parroco effettivo dal 1910 al 1923.
Il P. M° Tomasso Giacchetti, Commissario OESA, il 10 agosto 1910, nell’approvare le risoluzioni del Capitolo Provinciale Piceno, a proposito della proposta riguardante la casa del SS.mo Salvatore, scrisse: “ Affidiamo alla mente del rev. P. Provinciale che faccia l’inchiesta dovuta ed insieme con il Definitorio giudichi cosa sia da fare per quello che viene esposto e chiesto cioè che la casa del SS. Salvatore a Montegiorgio sia da distaccare dalla giurisdizione del convento di Fermo, cui è soggetta e il diritto di grancia (traduzione). (109). Molte furono le benemerenze del P. Pelinga nel tempo in cui, risiedendo a Montegiorgio, conservò la carica di Priore Provinciale e l’ufficio di Parroco del SS.mo Salvatore, coadiuvato da un vice-parroco. Nel Capitolo Provinciale del luglio 1914, il padre Pelinga fu confermato Provinciale. I Padri Definitori, nel provvedere al Convento di Montegiorgio, “ per acclamazione elessero il p. Nicola Pelinga Lettore, a Priore e a Parroco nello stesso tempo, con dispensa (traduzione). Come componente della famiglia religiosa, con l’incarico di vice-parroco, nominarono e inviarono il P Giulio Brandoni. Analoghe disposizioni furono date nel Capitolo del 1919, nell’immediato dopo-guerra; come vice-parroco e Procuratore fu inviato il P. Gelasio Caferri (110).
La presenza del P. Pelinga in Montegiorgio si protrasse fino al 1923. Il periodo in cui fu Provinciale fu caratterizzato da un singolare dissesto economico che coinvolse le fragili finanze della Provincia e di qualcuno dei suoi Conventi. Attorno al 1910 si diffuse l’ennesima voce di un imminente provvedimento governativo per rastrellare i beni immobili dei religiosi, salvati in qualche modo dalle soppressioni precedenti, o acquistati posteriormente. Si corse alla vendita; ma fretta e paura furono cattive consigliere. Il peggio venne dopo: dietro consigli che venivano dall’alto, il denaro depositato nelle banche italiane e quello ricavato dalle vendite fu investito sulle banche di Russia e di Polonia, perché si diceva erano le più sicure. E invece furono quasi le uniche a crollare, in seguito agli avvenimenti politici. Ancor oggi in qualche convento, compreso quello di Monte Giorgio, è possibile trovare le cartelle dell’investimento, molto belle, da meritare di essere incorniciate, come infausto ricordo (111).
Con l’anno 1923 iniziò in Montegiorgio la presenza di un frate agostiniano ligio alla sua religione, semplice, popolare e verace, il P. Luigi Avenali da Montecarotto, che per più tornate resse con continuità la parrocchia del SS.mo Salvatore, come Curato, fino al 1936. Nel 1926 costruì i locali adiacenti alla chiesa di Santa Maria a Crocevia per ricavarvi la sacrestia ed ambienti idonei per catechismo e adunanze delle associazioni giovanili militanti nell’Azione Cattolica. A somiglianza dei primitivi eremiti agostiniani, svolse un apostolato itinerante, sulle aie dei contadini, con una conversazione alla buona, sì, ma molto convincente e persuasiva, sempre accompagnata da qualche sorsetto di vino sincero e generoso. Questo contatto diretto con le famiglie e con i giovani di quel periodo fruttò un risveglio rilevante di vocazioni religiose, tutte indirizzate nelle scuole dei PP. Agostiniani. Fra le quali è doveroso ricordare quelle maturate in personaggi illustri e benemeriti della Provincia Picena. Sono degni di una menzione speciale: Fra Dante AgostinoTrapè, Priore Generale dell’Ordine dal 1965 al 1971; Fra Federico Scipioni, Fra Gabriele Quinti, Fra Raffaele Pipponzi, Fra Federico Cruciani, Priori Provinciali della Provincia Picena. Personalmente ricordo che questa Provincia, intorno agli anni cinquanta, era animata da 73 religiosi; 17 sacerdoti, (pari al 23%) erano nati in Montegiorgio, quasi tutti indirizzati alla vita religiosa per le iniziative promosse da questo zelante Curato. Il suo periodo di ministero parrocchiale coincise con il lungo provincialato del P. P° Nicola Fusconi, iniziato nel 1919 e protrattosi, con fasi alterne del suo segretario, fino al 1956. Nel 1931, con intuito geniale per il futuro delle sorti della Provincia, considerata l’efficace promozione vocazionale svolta dal P. Luigi Avenali, presso il Convento di Montegiorgio fu istituito l’Educandato per i giovinetti che vi seguivano i corsi ecclesiastici delle classi ginnasiali. La famiglia religiosa, cresciuta di numero, si arricchì di nuovi soggetti, molto qualificati. Nel 1933, detta famiglia religiosa era così composta: – P. Giuseppe Gentilucci, Lettore, Priore e Padre Maestro; – P. Luigi Avenali, Parroco e Procuratore; – P. Gelasio Garella, Depositario; – Fra Ernesto Mezzabotta, oblato; e 17 Giovani Educandi.
Nel 1936 il P. Avenali fu trasferito al Convento di Fermo, ove iniziò con successo i lavori di scavo archeologico, alla scoperta del perimetro della vecchia chiesa e di interessanti affreschi dei secoli XIV, XV e XVI (112). Negli anni successivi ricoprirono d’ufficio di Curato: – P. Bernardo Ciabattoni da Offida, dal 1936 al 1945; – P. Giuseppe Gualtieri da Curetta di Servigliano dal 1945 al 1949; – P. Pietro Avenali da Rasora (1949-1954), coadiuvato dal P. Franco Franchini. L’attività di questi parroci è ben viva nel ricordo di molte famiglie, poiché i loro giovani, iscritti nelle varie associazioni maschili e femminili dell’Azione Cattolica, si distinsero per frequenza ed ottimi risultati nelle “Gare di Cultura Religiosa”, conseguendo ogni anno premi e diplomi di benemerenza, rilasciati dalla Presidenza Diocesana.
Dopo la prima Sacra Visita pastorale, fatta in Montegiorgio dall’arcivescovo Mons. Norberto Perini, di venerata memoria, al P. Ciabattoni giunse la seguente lettera del 18 novembre 1944: “In seguito alla S. Visita Pastorale siamo lieti di significare a lei Rev.do P. Bernardo Ciabattoni, ed ai Rev.mi Confratelli la nostra ammirazione per lo zelo che vi anima a favore dei fedeli della parrocchia e per la cordiale fraternità che caratterizza le vostre relazioni col clero secolare. Riconosciamo che la presenza dei giovani della Comunità Religiosa contribuisce al decoro delle sacre funzioni e alla edificazione morale di quelli che frequentano la chiesa parrocchiale. Abbiamo anche rilevato con preoccupazione che la chiesa parrocchiale è situata all’estremità del territorio di vostra giurisdizione, che si estende fino al fiume Tenna e presenta sviluppo di abitazioni, specie nella zona della Stazione Ferroviaria. Programma massimo, perciò, sia quello di erigere, al più presto possibile, una chiesa in detta località, dove trasferire la sede della Parrocchia” (113).
Questo suggerimento fu la spina nel cuore del del P. Giuseppe Gualtieri, il quale riuscì a far inserire la costruzione di una chiesa nel progetto di un piano di lottizzazione con costruzione di case di civile abitazione alle Piane di Monte Giorgio, su di un terreno di proprietà del Cav. Vincenzo Ilari, Commendatore Pontificio dell’Ordine di S. Silvestro; ma quel progetto, incomprensibilmente, non fu approvato dall’autorità tutoria. Verbalmente, me presente, il proprietario aveva promesso che, a concessione ottenuta, avrebbe realizzato la costruzione della chiesa con ogni onere a suo carico. L’iniziativa di trasferire la sede parrocchiale alle Piane di Montegiorgio, in fermento di progressivo sviluppo, fu ripresa dal P. Ilario Agostino Ilari (1954-1981), ma incontrò molte difficoltà, prima per concordare la scelta dell’area, poi per convincere i suoi superiori – la Provincia Agostiniana Picena e la Diocesi di Fermo; difficoltà inoltre per chi ed in quale misura doveva assumersi l’onere finanziario, relativo alla costruzione della chiesa unitamente alla abitazione per la Comunità Religiosa Agostiniana che vi si doveva trasferire (114). I PP. Definitori Provinciali diedero un assenso condizionato equivalenti ad un velato rifiuto: “Tutto sia fatto senza alcun impegno finanziario a carico della provincia Picena, né per la Chiesa né per l’abitazione dei Frati”. Gli fece eco la risposta verbale di un qualificato rappresentante della Curia Fermana: “Se per l’acquisto dell’area la diocesi dovrà spendere una sola lira, allora la parrocchia sarà assegnata al clero diocesano”.
Nonostante che il buon padre Ilari ed altri si adoperassero per far addolcire le deludenti risposte dei Superiori, non trovarono un punto d’incontro e di incoraggiamento alla sua proposta. Alla fine fu deciso di creare una nuova parrocchia sotto il titolo di S. Paolo Apostolo, stralciando dalla parrocchia del SS.mo Salvatore e dei SS. Giovanni e Benedetto tutte le famiglie residenti nella porzione pianeggiante del territorio montegiorgese, sito lungo la sponda sinistra del Tenna, la strada statale numero 210, al di sotto delle prime colline, dalla contrada Fontebella a quella di S. Paolo. Ciò avvenne per decreto dell’Ordinario Diocesano del 18 ottobre 1972, riconosciuto gli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 1974 (115).
Stante la progressiva crisi economica verificatasi in agricoltura negli anni sessanta, anche il curato del SS.mo Salvatore avanzò richiesta alla Direzione Generale del Fondo per il Culto presso il Ministero dell’Interno, per ottenere l’assegno supplementare di congrua di L. 547. 815 e quello in compenso delle spese di culto di L. 83. 129, con decorrenza dal 30 aprile 1968. Detta concessione fu oggetto di vari provvedimenti in seguito a ricorsi fatti per conseguire un migliore trattamento. Poi fu revocata dalla Direzione Generale del Fondo per il Culto con suo provvedimento del 25 giugno 1978, perché “nel frattempo si era verificata una variazione permanente della consistenza patrimoniale del beneficio parrocchiale, con conseguente aumento del reddito” (116). Infatti, con il consenso dell’Ufficio Amministrativo Diocesano e della Prefettura di Ascoli Piceno, nel frattempo era stata effettuata la vendita del terreno, sito in contrada Montone, ed acquistato un appartamento ad uso uffici in Fermo, Via Respighi n.8, di circa 300 mq, affittato alla SIP con un canone annuo di L. 5.200.000. Il P. Ilari resse la parrocchia fino al 1981. Gli successe per un quadriennio il P. Domenico Sparvoli. Dal 1986 ha retto la parrocchia, come Curato, il P. Vincenzo Rossi. Nel dicembre 1985, in applicazione dei decreti arcivescovile e ministeriale, riguardanti “la erezione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero e l’estinzione dei Benefici” al n.93 risulta estitno il beneficio parrocchiale del SS.mo Salvatore di Montegiorgio (o Prebenda parrocchiale di San Salvatore), con sede a Montegiorgio , via G. Marconi. (117). Vivace è la presenza in parrocchia dei giovani iscritti all’Azione Cattolica Italiana. C’ anche un folto gruppo di adulti e giovani formanti le comunità neo-catecumenali”, inseriti in un’animazione esemplare al servizio della comunità parrocchiale.
Ha scritto il P. Cruciani: “Nel 1953 la Provincia Picena dei Padri Agostiniani aveva 73 sacerdoti, cinque fratelli laici, 13 professi, 5 novizi e 61 educandi. Di questi ultimi, però, come successe in tutti gli Ordini religiosi, ben pochi arrivarono al sacerdozio (…). Il benessere improvviso, l’edonismo, il materialismo esasperato, la crisi dei valori e della dimensione spirituale dell’uomo hanno reso eccezionale la scelta di vita religiosa e sacerdotale”. Le direttive dei PP. Definitori si orientavano verso un lavoro più costruttivo ed interessante da svolgere in mezzo alla gente nelle parrocchie, per cui chiusero alcuni conventi senza cura d’anime. Da Montegiorgio, nel 1961, fu tolto il Collegio degli Educandi, seminaristi, che vennero concentrati a Tolentino (118). Negli ultimi trent’anni la parrocchia del Santissimo Salvatore ha continuato a dare solo vocazioni sacerdotali per il clero diocesano: D. Enzo Nicolini, ordinato nel 1966, e D. Giovanni Cognigni, ordinato nel 1972.
Una frana del muro di sostegno dell’orto e del cortile rese fragili le condizioni statiche di parte dell’edificio, per cui si rese necessario un intervento di revisione e ristrutturazione generale. Inoltre le mutate esigenze abitative imposero una radicale ristrutturazione di tutto l’insieme per creare un ambiente migliore per la vita comunitaria dei religiosi, per le opere parrocchiali e per realizzare quattro appartamenti di civile abitazione da locare in affitto. Ideatore e realizzatore di questo radicale rinnovamento edilizio è stato il P. Vincenzo Rossi che in prima persona si è affiancato successivamente alla Ditta del costruttore edile Francesco Bellabarba e a quella dei fratelli Bruno e Giuseppe Rastelli. Sono stati acquistati i locali dell’ala sinistra dell’ex convento, posseduti da alcuni privati (Pierbattista, Boldrini, Girotti ed altri). Nella progettazione dei diversi reparti intervennero i geometri Sante Liberati e Domenico Paoletti, montegiorgesi. Da allora si presenta come costruzioni sufficientemente moderna, luminosa e ben divisa. L’ala destra, rispetto all’ingresso sito nella via Cavour, era destinata alla Parrocchia unitamente al corridoio del piano terra con le stanze sul lato destro, adibite ad archivio parrocchiale, e sale per riunioni di categoria. Sull’ala sinistra sono state ricavate alcune rimesse e due appartamenti concessi in affitto; l’ala orientale, prospiciente il cortile, dotata di ascensore, è riservata alla comunità dei religiosi; a mezzogiorno rimane la chiesa di S. Andrea. In tempi diversi, prima della completa chiusura, furono affidati alla Comunità agostiniana montegiorgese le chiese di S. Nicola in Sant’Angelo in Pontano (1961) e quella di S. Agostino a Fermo, nel 1985. Allora la famiglia religiosa eracomposta dai seguenti membri: – P. Cherubino Carlini, Priore e Sacrista, di anni 81; – P. Vincenzo Rossi, Curato ed Economo, di anni 65; – P. Giorgio Bellabarba, di anni 87; – P. Nicola Radenti, vice-parroco, di anni 74. Famiglia piuttosto stabile e ben collaudata se si tiene conto che il P. Bellabarba, montegiorgese, vi risiede da 40 anni, il P. Rossi da 35, il P. Radenti da 19 il P. Carlini da 8. (119). Nell’estate 1989 i PP. Definitori hanno confermato gli stessi religiosi a formare la comunità montegiorgese con gli stessi incarichi in mansioni per il successivo quadriennio. Successivamente la Provincia Agostiniana ha rinunciato la Parrocchia e l’animato è stato accorpato con la l’altra, centrale del ss. Giovanni e Benedetto.
11° – Elenco dei Priori del secolo XX.
1910-1923 P. M° Zaccheo Nicola Pelinga, Priore e Parroco.
1923-1933 P. Luigi Avenali da Montecarotto, Priore e Parroco.
1933-1936 P. M° Giuseppe Gentilucci, Priore e Maestro de’ Novizi.
1936-1939 P. Bernardo Ciabattoni da Offida, Priore e Parroco.
1939-1940 P. Pietro Avenali, Priore e procuratore.
1940-1945 P. Bernardo Ciabattoni da Offida, Priore e Parroco.
1945-1949 P. Agostino Gatti, Priore.
1949-1951 P. Giorgio Bellabarba da Montegiorgio, Priore e Parroco.
1954-1960 P. Ilario Agostino Ilari da Montegiorgio, Priore Parroco.
1960-1966 P. Agostino Gori da Montecarotto, Priore.
1966-1969 P. Vincenzo Rossi da Offida, Priore ed Economo.
1969-1973 P. Ilario Agostino Ilari da Montegiorgio, Priore e Parroco.
1973-1981 P. Vincenzo Rossi da Offida, Priore ed Economo.
1982- ……. P. Cherubino Carlini da Potenza Picena, Priore e Sacrista.
12° – Elenco dei Parroci del SS.mo Salvatore dal secolo XVIII al sec. XX.
……..- 1712 P. Giosefino Amesi da Corinaldo.
1713-1726 P. Tommaso Bernardi detto Cimba.
1727-1727 P. Agostino Pucci da Montegiorgio.
1727-1738 P. Nicola Giacinto Seghetti da Matelica.
1739-1742 P. Fiorenzo Vagnozzi, sottocurato.
1742-1755 P. Michelangiolo Barboni.
1756-1756 P. Giuseppe Brinati, Priore e Curato.
1756-1781 P. Prospero Grachi da La Valletta di Malta.
1782-1787 P. Domenico Donnini.
1788-1791 P. Clemente Regi.
1792-1793 P. Nicola Tebaldi.
1794-1798 P. Giuseppe Gattani da Montegiorgio.
1798-1798 P. Giuseppe Togni, Economo Spirituale e Parroco.
1799-1806 P. Nicola Leonardi.
1807-1853 P. Pietro Sirombi da Montegiorgio, sac. Diocesano dal 1838.
marzo 1853 Can.co Vincenzo Del Bello da Montegiorgio, amministratore.
1853-1892 P.Alipio Cicconetti da Montegiorgio.
1892-1892 D. Beniamino Mecozzi, Economo Spirituale.
1892-1909 P. M°. Domenico Filacciani da Castelfidardo.
1909-1910 P. Aurelio Casavecchia, vice-parrroco.
1919-1923 P. M°. Zaccheo Nicola Peligna, Parroco e Priore Provinciale.
1923-1936 P. Luigi Avenali da Montecarotto.
1936-1945 P. Bernardo Ciabattoni da Offida.
1945-1949 P. Giuseppe Gualtieri da Curetta di Servigliano.
1949-1954 P. Pietro Avenali da Rosara.
1954-1981 P. Ilario Agostino Ilari da Montegiorgio.
1981-1984 P. Domenico Sparvoli da Caldarola
1984-…….. P. Vincenzo Rossi da Offida.
13° – Elenco di Frati Agostiniani Eremitani Montegiorgesi.
A – Priori Generali O. E. S. A.: – M° Fra Fulgenzo Gallucci 1620 -1624; – M° Fra Fulgenzo Travalloni 1685-1693; – M° Fra Dante Agostino Trapè 1965-1971
B – Priori provinciali O.E.S.A- nella Provincia Picena
– M° Fra Antonio da Montegiorgio 1470-1473
– M° Fra Paolo Cacciaconti 1451-1543
– M° Fra Fulgenzio Gallucci 1613-1615
– M° Fra Alessandro Monconi 1649-1651
– M° Fra Fulgenzio Tavalloni 1671-1673
– M° Fra Filippo Maria Tamburrini 1754-1757
– M° Fra Nicola Gattani 1766-1769
– M° Fra Agostino Braca 1803-1806
– M° Fra Agostino Braca 1824-1829
– M° Fra Gabriele Quinti 1954-1960
– M° Fra Federico Cruciani 1963- 1964
– M° Fra Raffaele Pipponzi 1964-1966
– M° Fra Federico Scipioni 1966-1969
C – Frati Agostiniani di Montegiorgio del Sec. XX
– P. Nicola Fattorini
– P. Giorgio Bellabarba
– P. Dante Agostino Trapè
– P. Gabriele Quinti
– P. Giuseppe Scalella
– P. Federico Scipioni
– P. Carlo Traini
– P. Giuseppe Traini
– P. Armando Marzialetti
– P. Vincenzo Tarulli
– P. Raffaele Pipponzi
– P. Girolamo Trapè
– P. Ilario Agostino Ilari
– P. Agostino Vita
– P. Federico Cruciani
– P. Giambattista Ceci
– P. Luigi Alessandrini
NOTE
1 – In questo paragrafo si riassume nei punti più qualificanti lo studio del P. BELLINI, Il movimento Agostiniano nelle Marche nel secolo XIII, pubblicato in “S. Nicola, Tolentino, Le Marche”, Tolentino 1985, pp.161-79.
2 – AA. VV. Mendicanti ordini, in “Dizionario degli Istituti di perfezione” [D.I.P.], Roma 1978, col.1178. Nel Secolo, XIII, fuori dell’ambiente dei mendicanti, sorgono con caratteristiche eremitiche i Silvestrini, fondati verso il 1251 da S. Silvestro Guzzolini a Monte Fano, sopra Fabriano ed i Celestini, o Eremiti di S. Damiano, fondati intorno al 1254 negli Abruzzi da Pietro di Morrone, il futuro Papa Celestino V, dichiarato beato.
3 – Sulla “Grande Unione” del 1256 consultare: D. GUTIERREZ, Los Agostinos en la etad media, Vol. 1, Roma 1980. B. RANO, Agostiniani in D.I.P., Roma 1974.
4 – G. CROCETTI, Conventi Agostiniani nella antica Diocesi di Fermo, Fermo 1987,p. 58.
5 – P. G. PARISCIANI, I Frati Conventuali nelle Marche, Ancona 1982, p. 96.
6 – G. CROCETTI, op. cit., p. 60.
7- P. A. PUPI, Memorie del ven. Convento di S. Agostino di Montegiorgio dal 1265 al 1600 ms.compilqto nel 1680, presso gli Agostiniani del Provincia Picena, p. 1 . Da una copia autentica trascritta Fermo l’11 luglio 1500 e controfirmata da tre Notai, tra i quali Ser Antonio Bertacchini di Fermo. – G. CROCETTI, op. cit., p. 16.
8 – P. A. PUPI. ms. cit., p. 3. – G. CROCETTI, op. cit., p. 17.
9 – Arch. Comunale di Montegiorgio, Pergamena n. 169. Quella dell’archivio Agostiniano del 1600 era contrassegnata con la lettera “B”. [Cfr. P. A. PUPI, ms. cit., pp. 4-6. – G: CROCETTI, op. cit., pp. 17-19].
10 – I. GIORGI – U. BALZANI, Il Regesto di Farfa di Gregorio di Catino, Vol. V., p. 208; – U. BALZANI, Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, vol. 1, Roma 1903, p. 252; – G. CROCETTI, Priorati e possessi Avellaniti nella diocesi di Fermo, Fermo 1983, p. 84; – D. PACINI, Possessi e chiese farfensi nelle valli Picene del Tenna e dell’Aso, [secoli VIII-XII] in “Istituzioni e società nell’alto medioevo Marchigiano“], Ancona 1983, p. 381,.
11 – D. PACINI, Ibidem, p. 388, nota 109.
12 – G. CROCETTI, Conventi Agostiniani cit., pp. 24-25.
13 – P. A. PUPI, ms, cit., pp. 6-7; – G. CROCETTI, op. cit., p. 19.
14 – P. A. PUPI, ms. cit., p.2; – G. CROCETTI, op. cit., p. 19.
15 – D. PACINI, Il Codice 1030, Milano 1963, Documenti n. 236-237 [solo regesto]; – G. CROCETTI, Priori e possessi Avellinati cit., pp. 89-90, trascrive integralmente i suddetti documenti: De facto Sancti Angeli de Montiliano e De eodem.
16 – ASAF, II -0-17, Visita Apostolica del 1573, p.370.
17 – P. A. PUPI, ms. cit., p. 174.
18 – Ibidem, p. 185.
19 – Ibidem, p. 213.
20 – Ibidem, p. 15; – G. CROCETTI, Conventi Agostiniani, cit., pp. 20-21.
21 – G. CROCETTI, Priorati e possessi Avellinati, cit. Appendice II, pp. 122-24.
22 – P. A. PUPI, ms. cit., p. 13.
23 – Per “tabernacolo grande”, o ciborio, deve intendersi una costruzione a quattro colonne sovrastante l’Altare Maggiore, a somiglianza di quella che decorava gli altari delle antiche basiliche cristiane, o come vedesi tuttora nelle grandi Basiliche romane, e nella Cattedrale di Sant’Emidio in Ascoli Piceno.
24 – Del pittore Giovanni Bolognesi, attivo dal 1360 al 1390, i moderni critici della storia dell’arte dicono concordemente che fu legato alla cultura veneta ed in particolare a Lorenzo Veneziano, presente a Bologna nel 1368, con un apporto di un linearismo più incisivo. Le sue opere sicure, perché firmate, sono il San Cristoforo del Museo di Padova, la Madonna dell’Umiltà di Brera, la tavola della confraternita di S. Giovanni Evangelista della Galleria dell’Accademia di Venezia; inoltre il polittico della Incoronazione della Vergine, della Pinacoteca di Bologna, proveniente la chiesa di S. Marco, nel quale il Boskovitz riscontra modi che gli appartengono con quelli di Jacopo Avanzi [Cfr. Enciclopedia “Le Muse”, Vol. V, Novara 1965, pp. 274-75; La Pinacoteca Nazionale di Bologna, Nuova Alfa Ed. Bologna 1987, p. 40 con bibliografia precedente].
25 – Al tempo in cui il P. A. PUPI scriveva le sue “Memorie”, nel 1680, il politico era appeso a una parete della sacrestia. Non si sa se fu requisito dagli emissari napoleonici. Non figura negli elenchi 1° e 2° dei “Quadri di pregevoli autori, prescelti per la Reale Galleria di Milano redatti dalla Delegazione Demaniale del Tronto a norma della legge 3 dicembre 1810, n. 15222, conservati nella Biblioteca Comunale di Fermo, Pos.ne 4-DD-1 III-443. Nemmeno figura nell’Elenco delle più notevoli opere d’arte della Prov. di Fermo, redatto nel 1854, sotto lo Stato Pontificio. Qualora fosse stato scomposto e le sue tavole fossero disperse in collezioni pubbliche o private, la predetta descrizione diviene preziosa e fondamentale per un eventuale ricognizione per la ricomposizione di tutto il politico.
26 – L’affresco doveva rappresentare lo sposalizio mistico di S. Caterina. Nel secolo XIV S. Caterina fu invocata come liberatrice ed avvocata contro ogni male, specialmente contro le epidemie pestilenziali, donde la molteplicità degli affreschi votivi in suo onore.
27 – Erroneamenta il P. A. Pupi avanzò una supposizione, scrivendo: “Ne sarebbe gran cosa che fusse quello che oggi si vede nell’angolo di sotto all’altare della Madonna di Loreto”. Quanto verrà esposto più avanti nel paragrafo sulle vicende della ”Madonna degli Angeli” chiarisce l’errata ipotesi dell’illustre religioso.
28 – Nei Comuni di Petriolo e Montefortino, per legge statutaria, si celebra la festa di questi due santi con spese a carico dell’Amministrazione Comunale.
29 – P. A. PUPI, ms. cit., pp. 13-14.
30 – Ibidem, pp. 16-18. Vi trascrive il testo della inibizione pontificia.
31 – Ibidem, pp. 18-19.
32 – L. DANIA, La pittura Fermo e nel suo circondario, Fermo 1967, pp. 24-25, con bibliografia precedente. – P. ZAMPETTI, La pittura nelle Marche, Ancona 1988. Francescuccio Ghissi attivo tra il 1359 ed il 1395, si ispirò all’arte del M° Allegretto Nuzzi di Fabriano, dipinse analoga tavola per i Domenicani di Fermo e per gli Agostiniani di Ascoli.
33 – Alcuni elementi dell’ornato di questo portale, le linee a tortiglia e le foglie accartocciate dei capitelli, nonché la tecnica di lavorazione sono in stretta relazione con il portale di San Francesco di Montegiorgio, eseguite da un tal maestro Agnello nel 1325.
34 – L. DANIA, op. cit., pp. 67 68 [ Scuola marchigiana del sec. XV].
35 – P. A. PUPI,ms. cit., p. 52.
36 – Ibidem, p. 166.
37 – ASAF. IIIs-11 B/11.
38 – P. A. PUPI, ms. cit., pp. 33-35.
39 – Nella contrada della Cota di Montegiorgio era eretta la chiesa della Confraternita dello Spirito Santo, detta, appunto, chiesa della Madonna della Luna.
40 – ASAF, IIIs-11 B/11, Monte Giorgio, chiesa Parr.le di S. Salvatore: Relazione di S. Visita del curato P. Prospero Grechi, 1766.
41 – Il testo della convenzione è allegato in copia in un foglio staccato come appendice al volume manoscritto del P. A. PUPI.
42 – Vedi qui, appendice il Documento I
43 – P. N. OCCHIONI, Il processo per la canonizzazione di S. Nicola da Tolentino, Roma 1984, p. 256.
44 – Augustiniana, rivista, anno 35, p. 91.
45 – Analecta Augustiniana, rivista, anno quattro, p. 108.
46 – Registri di Gregorio da Rimini [GRE] , 1, p . 391.
47 – GRE I, pp. 379 e 391.
48 – GRE I, p. 391.
49 – GRE, I, p. 473.
50 – GRE, I, p. 425.
51 – GRE, I, p. 391.
52 – P. A PUPI, ms. cit., p. 30.
53 – Ibidem, op. cit., p. 39 e 41.
54 – Ibidem, p. 102.
55 – Ibidem, p. 106.
56 – Ibidem, p. 10
57 – Ibidem, p. 115.
58 – Ibidem, p. 128.
59 – Ibidem, p. 132.
60 – Ibidem, p. 186.
61 – Ibidem, p. 192.
62 – Ibidem, p. 218.
63 – Arch. Generale Agostiniano [AGA], I 1/3, p. 273.
64 – Ibidem, p. 273.
65 – Codex Papiae, IV pp. 213,2 117,2 118,271; V, pp. 3, 7, 13. Bollettino Storico Agostiniano n.12, p.148.
66 – G. LANTERI, Saecula sex Eremi Sacrae Agostinianae, Par. I^, De Episcopis, Roma 1874, pp. 318-20. D. A. PERINI, Bibliographia Augustiniana, IV, Firenze 1938, p. 19.
67 – GAVIGNANI – CRUCIANI, La provincia agostiniana Picena negli ultimi due secoli, in “Analecta Augustiniana”, vol. 44 [1981], p. 308.
68 – AGOSTINO D’IPPONA, De civiate Dei, IV, 4.
69 – Arch. Convento di S. Andrea in Monte Giorgio, Cartella: Documenti vari dal 1700 al 1800, fogli staccati.
70 – Arch. Capitolare di S. Vittoria, tomo 6°, Diversorum iurium, ff. 63-64, 182-87. Vi sono inserite due interessanti relazioni sulle operazioni controrivoluzionarie degli “Insorgenti”, relative agli anni 1798 e 1799.
71 – F. M. AGNOLI, Gli Insorgenti, Ed. Reverdito. Recensito ne “La voce delle Marche [Anno 2°. N. 4 del 1 aprile 1989, p. 6] dal montegiorgese A. Leoni nell’intervista con l’autore, sotto il titolo: L’altra faccia della rivoluzione.
72 – G. CROCETTI, Ponzano di Fermo, Fermo 1982, p. 199.
73 – W. MICHELANGELI, Lettere dei Sacerdoti Francesi emigrati a Fermo, in “Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile, Fermo, n. 2, pp. 55-79.
74 – GAVIGNANI – CRUCIANI, op. cit., p. 309.
75 – Vedi nell’Appendice il Documento II.
76 – A. G. A. , I-i/3, p. 273.
77 – La soma, o salma era una misura agraria che equivaleva a cinque quarte di grano di semina, pari a 135 chilogrammi corrispondente all’incirca alla vigente misura di un ettaro. [Cfr. G. CROCETTI, Ponzano di Fermo, Fermo 1982 p. 299] Da soma deriva “somaro”; l’asino adibito al trasporto di derrate ed altro materiale. Il complesso del carico si chiamava “soma”. Gli aridi: grano, biada, fagioli, noci, ecc. erano contenuti in un sacco piuttosto lungo da porre a cavalcioni sul groppone dell’asino, in perfetto equilibrio delle parti pendenti a destra ed a sinistra. Fra A. GALLI, Inventario del Convento di S. Agostino in Fermo, ms. Nel 1727, presso la Biblioteca S. Agostino di Montegiorgio, Sez. Arch. del Conv. di Fermo, nel verso del frontespizio riporta alcune unità di misura del suo tempo. La soma di terreno qui a Fermo è di 8 moiuri, il moiuro di terreno qui a Fermo è di 100 canne. Il rubbio [misura per aridi] è di 8 quarte. La somma di grano e di 6 quarte, rigorosamente parlando. La quarta di grano e di 4 coppi. [Cfr. Pesi e misure della città di Fermo, ragguagliati al sistema metrico decimale, Fermo Tip. Bacher 2.2. 1862; G. CROCETTI, Ponzano di Fermo 1982, p. 299]. Il modiolo o moiuro di canne quadrate 100 è pari a mq 14.416 e la soma di grano è pari a kg. 162,720; il rubbio di grano è pari a Kg. 216,960.
78 -La concessione di una vigna al quarto prevedeva questa ripartizione dei prodotti o raccolto: 3/4 al colono, 1/4 al padrone.
79 – G. CROCETTI, Priorati e Possessi Avellaniti, ecc., op. cit., p. 95.
80 – Ibidem, pp. 95-97.
81 – ASAF, IIIs – 11 B/11, Relazione-Inventario del 1766, redatti dal Curato Fra Prospero Grechi, agostiniano.
82 – ASAF, IIIs – 11 B/10, Stato delle Anime spettanti alla Cura dei Frati Agostiniani di Montegiorgio sotto il titolo di S. Salvatore, rinnovato il dì 1 gennaio 1765, firmato dal suddetto Fra Prospero Grechi.
83 – ASAF, Sacra Visita del Card. G. Ferretti del 1838, Montegiorgio, f. 7.
84 – P. A. PUPI, ms. cit., p. 95; ASAF, IIIs, 11 B/11, Relazione-Inventario del P. Prospero Grechi, pagine non numerate.
85 – ASAF, Sacra Visita del Card. Ferretti: Montegiorgio, parrocchia del SS.mo Salvatore, fogli non numerati.
86 – Arch. Conv. S. Andrea di Monte Giorgio, cartella: Documenti vari dal 1700 al 1800, fogli staccati.
87 – ASAf, Sacra Visita del Card. Ferretti, Monte Giorgio: chiesa di S. Maria degli Angeli.
88 – Arch. Conv. S. Andrea di Montegiorgio, cartella: Documenti dal 1850 al 1860, fogli staccati; cartella: Parrocchia SS.mo Salvatore, Casa Parrocchiale, lettera del 26/6/1853.
89 – ASAF, Sacra Visita del Card. Ferretti: Montegiorgio: Parrocchia del SS.mo Salvatore, risposte al n. 25 del questionario, riguardante le rendite.
90 – Ibidem, risposta al quesito n. 23 del questionario.
91 – Ibidem, f. 7 e seguenti.
92 – Arch. Conv. S. Andrea di Montegiorgio: cartella: Documenti vari dal 1700 al 1800, fogli sparsi.
93 – Arch. Parr. SS.mo Salvatore di Montegiorgio: Arch del Conv. di Fermo, Libro delle Proposte dal 1765 al 1942.
94 – Arch. Conv. S. Andrea, cartella: Documenti dal 1850 al 1860, Miscellanea.
95 – Biblioteca Comunale di Fermo, Pos. Ms. 4.DD-1 / III-443.
96 – Archivio di Stato – Roma, Camerale III, Busta: Opere d’Arte.
97 – Arch Parr. SS. Salvatore, cartella: Documenti Parr.li (III). Arch. Conv. S. Andrea, cartella: Documenti dal 1770 al 1800, originale del decreto del Card. F. De Angelis del 20/12/1869.
98 – Ibidem, fogli sparsi.
99 – GAVIGNANI – CRUCIANI, op. cit., p. 318.
100 – Biblioteca S. Agostino Montegiorgio, Arch. del Conv. di Fermo, Libro delle Proposte dal 1765 al 1942, p. 359.
101 – Ibidem, p. 359.
102 – Secondo gli Statuti Comunali, la Terra di Montegiorgio era divisa in tre contrade o terzieri: S. Nicolò, S. Andrea e Cafagnano; questa ultima contrada, perché più numerosa, valeva per due, con diritto ad un numero doppio di suoi rappresentanti nel consiglio comunale e in altri organismi rappresentativi. – P. E. PUPI, ms. cit., pp. 170-173; – G. CROCETTI, Priorati e possessi Avellaniti, ecc., op. cit. p. 95.
103 – A. RICCI, Memorie storiche delle arti e degli artisti della marca d’Ancona, Macerata 1844, vol. II, pp. 395 e 405. Carlo Maggi, padre, progettò a Monte Giorgio la chiesa di S. Michele nello stile rococò, come si vede tutt’oggi. Al figlio Pietro (+ 1816) si deve la ristrutturazione interna della chiesa di S. Francesco, nonché le chiese monastiche di S. Chiara e S. Andrea, convento e chiesa delle Agostiniane in contrada S. Nicolò. Al nipote Carlo, nel 1825, fu richiesto il progetto della chiesa della Madonna degli Angeli, utilizzando parte dei muri ancora esistenti della chiesa di S. Agostino. Per la planimetria di detto progetto vedi la riproduzione in Appendice.
104 – Inventario degli Oggetti d’arte d’Italia, vol. VII, Roma 1936, p. 307, con illustrazione bibliografia precedente: Madonna dell’Umiltà. L. DANIA, op. cit., 25 e fig. 90.
105 – Nella chiesa claustrale questa tela costituiva la pala dell’altare maggiore. È un dipinto riferibile ad arte romana della fine del secolo XVII, maldestramente restaurato.
106 – Queste quattro tele, al presente, adornano la sala di catechismo, adiacente alla chiesa, sul lato sinistro.
107 – Tutte le notizie finte riferite per la descrizione della chiesa sono state tratte da un quaderno manoscritto, esistente nell’archivio del Convento di S. Andrea: Inventario di quanto appartiene alla Chiesa agostiniana di Sant’Andrea Apostolo in Monte Giorgio (Ascoli Piceno), compilato dal P. Agostino Maria Giacomini OESA, il 14 febbraio 1946.
108 – Arch. Parr.le SS.mo Salvatore: Relazione di S. Visita del 1983 con l’aggiunta di informazioni orali avute intervistando l’attuale parroco P. Vincenzo Rossi, promotore dei restauri.
109 – Arch. Conv. S. Andrea, cartella: Capitoli Prov.li Piceni, Capitolo del 1910.
110 – Ibidem, Capitoli del 1914 e 1919.
111 – GAVIGNANI – CRUCIANI, op. cit., p. 321.
112 – F. MARANESI, Gli affreschi di S. Agostino in Fermo, Fermo 1966.
113 – Arch. Conv. S. Andrea, cartella: Parr. SS.mo Salvatore e casa parrocchiale, miscellanea
114 – Ibidem, cartella: Capitoli Prov.li Piceni, Capitolo del 1969.
115 – Arch. Parr. S. Paolo Apostolo, cartella: Decreti erezione della parrocchia.
116 – Arch. Parr.le SS. mo Salvatore, cartella: Pratiche per la Congrua.
117 – Estinzione del benefici, in “Foglio Ufficiale Ecclesiastico della Diocesi di Fermo, anno 1987 n.1, p. 22.
118 – GAVIGNANI – CRUCIANI, op. cit., p. 322.
119 – IPP. Definitori tengono il Capitolo nell’estate prossima.
Ringrazio il Comitato Montegiorgesee per le onoranze al P. Dante Agostino Trapè per avermi dato l’occasione di illustrare la storia di questo importante convento agostiniano con annessa cura d’anime e di averne promossa la pubblicazione. Ringrazio anche tutti quelli che nelle fasi della ricerca archivistica e nelle interviste sono stati gentili collaboratori ed esatti informatori. Dopo questo lavoro mi sento anch’io un “vero agostiniano”; prima lo affermavo perché la mia vocazione al sacerdozio era sbocciata facendo il chierichetto nella chiesa di S. Agostino di Santa Vittoria in Matenano, mio paese nativo, oppure preparando i centini insieme a mio padre per ricostruirne la cupola; ora lo dico per una conoscenza più approfondita dello spirito che ha animato tanti religiosi a scegliere una Regola di vita che mira alla santità personale da conseguire mediante un continuo atteggiamento di servizio verso gli altri nella cultura, nell’apostolato diretto e con l’esempio d’una vita equilibrata in mezzo ad una società sempre più desiderosa di Dio, man mano che il mondo materialista e consumistico tenta di allontanarla.
APPENDICE
DOCUMENTO I – 13-2-1265 – PRIVILEGIO DEL VESCOVO DI FERMO, GERARDO: Gerardo, vescovo di Fermo, concede ai Frati Eremiti di Ss. Agostino di Montegiorgio la chiesa di S. Salvatore, i suoi possessi e la cura d’anime. (Dal manoscritto del P. A. Pupi, p.1). “In Di nomine. Amen. Haec est copia, exemplum sive sumptus nonnullarum litterarum bonae memoriae Rev.mi in Christo Patris domini Girardi olim Dei gratia Episcopi Firmani huiusmodi tenoris, vide licet: \ Universis Christifidelibus per Firmanam Diocesim constitutis presentes litteras inspecturis Girardus Dei gratia Episcopus Firmanus salutem in D,no Jesu Christo. <…> Hinc est, quod Fratres Heremitae S. Augustini de loco S. Mariae in Georgio velint locum eorum positum in territorio dicti Castri Montis S. Mariae propter loci distantiam et guerrarum discrimina mutare, et intra castrum ipsum redificare ob reverentiam Altissimi Domini Redemptoris, et salutem fidelium animarum, et non habeant ubi locum ipsum ponere, et redificare possint, nisi per subventionem fidelium faciendam eiusdem, Nos, etiam divina misericordia moti, et remissionem peccatorum nostrorum, Manueli Alberici Caselatae, Sindico praedictorun Fratrum recipienti pro ipsis fratribus, et nomine ipsorum praesentium auctoritate concedimus ac damus per nos, nostrosque siuccessores, ecclesiam S. Salvatoris, positam in praedicto Castro Montis S. Mariae cum libris, campanis, calice, turibulo, conca, paramentis, domibus, sotterratorio, parrocchianis, terris, vineis, cultis et incultis, cum vico, cuius tales ei sunt veri confines: ex uno latere est rivus S. Gregorii et ex alio latere est rivus S. Angeli de Collicillo, et alii fines; et etiam cum omnibus quae ad dictam Ecclesiam spectare noscuntur; in qua ecclesia, sive ipsius domibus, praedicti Fratres locum ipsum constituere et edificare valeant, etiam domus; et concedimus eis plenam et liberam auctoritatem ut possint sacramenta ecclesiastica parochianis dictae ecclesiae ministrare. Nihilominus omnibus vere poenitentibus et confessis, qui manus suas porrexerint adiutrices supradicto loco edificando, indulgentiam unius anni et quadraginta dierum de iniuncta sibi poenitentia misericorditer confisi de omnipotenti Dei misericordia relaxamus. Nulli ergo hominum liceat hanc paginam nostram concessionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Datum apud Montem Ulmi in Domo domini Episcopi sub anno Domini millesimo ducentesimo sexagesimo quinto, indictione octava, die tertia intrante Februario”
(Traduzione) Nel nome di Dio. Amen . Girardo vescovo fermano, per divina grazia, saluta nel Signore Gesù Cristo tutti i fedeli di Cristo, stabiliti nella diocesi Fermana che vedranno questa lettera. I Frati Eremiti di Sant’Agostino del luogo di Santa Maria in Georgio, posto nel territorio di questo castello di Monte Santa Maria in Georgio, a motivo della distanza e dei pericoli delle guerre, vogliono traslocare dentro al castello riedificando il luogo per la riverenza all’altissimo Salvatore nostro e per la salvezza delle anime fedeli; ma non hanno possibilità, dove e come ricostruirlo, se non per mezzo delle sovvenzioni che dovranno fare i fedeli. Noi, mossi della divina misericordia, anche per la remissione dei peccati nostri, con l’autorità del presente atto concediamo e diamo ai Frati da parte nostra e dei successori nostri al sindaco di questi Frati, Manuele Alberici Caselate, la chiesa di San Salvatore sita nel predetto castello con libri, campane, calice, turibolo, bacile, paramenti, case, sotterraneo, parrocchiani, terre, vigne, coltivate ed incolte, pertinenze e con il “vico” entro questi confini: da un lato il rivo San Gregorio e dall’altro il rivo di Sant’Angelo in Collicillo e altriconfini. I detti Frati hanno facoltà di stabilirsi nel detto luogo nelle case e nella chiesa. Concediamo loro inoltre piena e libera autorità nell’amministrare i sacramenti della Chiesa ai predetti parrocchiani. Ed a tutti coloro che con mani generose elagiranno aiuti per questo edificio, concediamo l’indulgenza, dopo pentiti e confessati, di un anno e quaranta giorni sulla penitenza a loro ingiunta, fidando benevolmente nella divina misericordia. A nessuno è lecito annullare o contrastare questo nostro atto. Dato a Montolmo nell’abitazione del vescovo, nell’anno del Signore 1265, indizione ottava, giorno 3 febbraio.
DOCUMENTO II – 5.10.1278 – DONAZIONE DELL’ABATE FARFENSE. Morico, abate di Farfa, rappresentato dal suo procuratore generale, Berardo da Rieti, dona al conventodegli Eremiti agostiniani di Montegiorgio, nella persona del suo sindaco, Fra’ Andrea da Francavilla, la chiesa di S. Salvatore di Cafagnano. L’atto è stipulato a Monte dell’Olmo. (Arch. Com.le Montegiorgio, Pergamena n. 169 cfr. manoscritto del P. A. Pupi, pp. 4-6).
“In Dei nomine. Amen. Anno Domini millesimo ducentesimo septuagesimo octavo, indictione VI, tempore domini Nicolai Papae III, die V intrante mense octobris. Actum in Monte Ulmi in Domo domini Thomae domini Roggerii, praesente d.no Petro de Cerqueto, Grimaldutio Corradutii d.ni Thomae, Pretunto Tornapratis, Cicto de Florentia, Ranuccio olim de Petriolo, et Frate Laurentio Jacobbi Bondonis de Ordine Sancti Augustini testes; dominus Berardus de Reate, procurator iconomus, sive sindicus generalis, ac nuntius specialis venerabilis Abbatis, Capituli et Conventus Monasterii Farfensis ad infrascripta specialiter ordinatus, ut constat manu magnifici Rainerii Jacobbi Reatini Notarii, non vi, non dolo neque metu inductus praesentibus, volentibus, consentientibus et mandantibus religiosis viris domno Morico, Abbate dicti Monasterii, domno Berardo, sindico monasteri prelibati, per se suosque successores religioso iure, pure et libere simpliciter ac irrevocabiliter, inter vivos, dolo, fraude, et omni pravitate eiecta, dedit et donavit, et concessit nomine et vice praedictorum Abbatis et Conventus Monasteri prelibati per se suosque successores religioso viro fratri Andreae de Francavilla, generali sindico loci Montis S. Mariae in Georgio ordinis S. Augustini in Provintia Marchiae, praesenti et recipienti et stipulanti, nomine dicti loci Conventus et Ordinis, Ecclesiam S. Salvatoris, positam in contrada Cafagnani, cum libris, campanis, paramentis et sacris vasibus, domibus cum Cimiterio, Parochia et iuribus parochialibus, possessionibus cum Vico et utilitatibus provenientibus ecclesiae ipsius Vici, cui tales dicuntur esse confines: ex uno latere Rivus Malgliani, ex alio latere Rivus S. Angeli de Collicillo et alios fines, et rebus ipsi ecclesiae quomodocunque et qualitercunque ad ipsam ecclsia spectare dignoscantur (…) abdicando a se et tranferendo predictam in dictm sindicum praesentem et recipientem, constituens ipsum, nomine desuper (dicto), procuratorem ut in rem suam, ut a modo possit agere, experiri, atque tueri praedicta Ecclesia bonis et iuribus; et ut dictus Abbas Monasterii et Conventus facere et enarcare (?) posset ponendo ippsum in locum eorum. Et haec fecit dictus Sindicus pura mente et conscientia, habens respectum solum ad Deum; confidens posse in dictam Ecclesiam ad laudem et reverentiam et honorem Domini nostri Jesu Christi et beatissimae Mariae Virginis Matris eius et ad salutem animarum Abbatis et Conventus et parocchianorum et populi dictae Ecclesiae, quam per monacos, vel alium clericum secularem, per quem aliquando dicta Ecclesia regi consueti. Et quia retinere dictam Ecclesiam ibidem causat plurimum dictis Abati, Monachis et Conventui dicti Monasterii laborosum, perniciosum et etiam sumptuosum, et ad fugiendum scandala qua consueverunt ex defectu pastorum et rectorum dictae Ecclesiae plurimum exoriri, propter loci distantiam ab ipso Monasterio, cum non possit per Abbatem et monacos dicti Monasterii curae dictae Ecclesiae solemniter intendere ut decebat. Necnon pro remissione peccatorum eorum et successo rum eorum ipsis Frtatribus et Ordini tamquam benemeriti, et eis monasteriisque eorum propitiis et carissimis, et pro mulis gratis et acceptis servitiis; et pro multa gratia et accepta servitia et beneficia ab ippsis Fratribus quoad Deum et mundum et iisden Abbati, monasterio et Conventui dicti monasterii, et ipsi monasterio collata fuerat et facta erant, et quae sperabant eis posse conferre in futurum quoad animam et corpus (…) dans et concedens plenam ac liberam auctoritatem ut possint Sacramenta Ecclesiastica ministrare, et facere ministerium parochianis dictae Ecclesiae (…) Insuper ad maiorem roburis firmitatem dictus sindicus libro tacto ad Sancta dei Evangelia in anima sui Abbatis, monacorum et conventus et successorum eorum iuravit praedictam donationem et omnia et singula supradicta perpetuo habere firma, rata et grata in quolibet capitulo et contra non venire de iure, nec de facto aliqua occasione, vel ingenio supradicta poena et obligatione suorum bonorum monasterii. Et ego Rainerius notarius praedicta omnia interfui, rogatus scribere scrpsi et publicavi. Omisso signo”
(Traduzione) “Nell’anno del Signore 1278, indizione sesta, al tempo del papa Nicolò III, giorno 5 ottobre. Redatto a Montolmo nella casa del sig. Tommaso, figlio del sig. Roggiero, alla presenza del sig. Pietro da Cerqueto; di Grimalduccio di Corraduccio, figlio del sig. Tommaso; Pretunto Tornapatris, Cicco da Firenze; Ranuccio un tempo da Petriolo; Frate Lorenzo Iacobi Bondonis dell’ordine di S. Agostino, in qualità di testimoni; il procuratore, economo, sindaco generale, sig. Berardo da Rieti, nuncio speciale del ven. Abate, del capitolo del convento del monastero di Farfa, con un ordine specifico per fare quanto segue, come risulta scritto nell’atto del enotaio Rainerio Iacobbi da Rieti, senza subire né violenza, né inganno, né timore, diede e donò in base alla facoltà concesse dai Farfensi, dall’abate don Morico, dal sindaco del monastero Don Berardo, per sé e per i successori, irrevocabilmente <con atto> tra vivi, escludendo ogni malizia o frode, concesse al religioso uomo frate Andrea da Francavilla, sindaco generale del luogo di Monte Santa Maria in Georgio dell’Ordine di Sant’Agostino nella provincia della Marca, ricevente e stipulante, la chiesa di San Salvatore posta in contrada Cafagnano, con i libri, le campane, i paramenti, i vasi sacri, le case con il cimitero, il “sottoterrario” la parrocchia, e i diritti parrocchiali, i possessi con il vico, i proventi utili della chiesa di questo vico, di cui si dicono i confini: da un lato il rivo di Magliano, dall’altro il rivo di Sant’Angelo de Collicillo e altri confini, inoltre ogni altra cosa che si conosce appartenente in qualsiasi modo a questa chiesa, cedendone il potere e trasferendolo al predetto sindaco agostiniano presente e ricevente. Come detto gli dà procura come di cosa sua, per agire, provare e mantenere diritti e beni di questa chiesa in cui subentra ai monaci. Il detto sindaco ha agito con mente e coscienza pura, avendo rispetto diretto a Dio, confidando di farlo a lode, riverenza e amore del Signore nostro Gesù Cristo e della Beatissima Vergine Maria sua Madre e per il bene delle anime dei Farfensi. Il tenere questa chiesa causa a loro parecchi lavori, danni e spese e si devono evitare i danni per la mancanza di pastori e direttori di questa chiesa, data la grande distanza dal monastero di Farfa il quale non poteva curare decentemente questa chiesa per mezzo dell’abate e dei suoi monaci. Questi speravano di riceverne vantaggi a remissione dei peccati loro e dei loro successori e vantaggi materiali riconoscendo ai cari e benevoli Frati Agostiniani le benemerenze accolte, e i servizi prestati gratuitamente e benevolmente ai monaci riguardo a Dio e al mondo; danno e concedono piena e libera autorità nell’amministrare i sacramenti della Chiesa e ogni potere nello svolgere il ministero parrocchiale di questa chiesa. A rafforzare la validità di questo atto giurò sui Vangeli, sull’anima dell’abate e dei monaci della comunità Farfense e dei successori, che avrebbe tenuta stabile, confermata e gradita questa donazione in ogni cosa detta prima a favore del capitolo predetto dei Frati e mai agire in contrario, né di fatto, né giuridicamente, in nessuna occasione o ingegno, sotto l’obbligazione e pena dei propri beni. Il Notaio Rainerio, presente ad ogni cosa predetta, richiesto di scrivere ha scritto e pubblicato.
DOCUMENTO III – 1.8.1292 – PRIVILEGIO PER INDULGENZE DEL PAPA NICOLO’ IV (Dal manoscritto del P. A. Pupi, p. 3)
“Cupientes itaque ut Ecclesia dilectorum filiorum Prioris et Conventus, Domus Haeremitarum Montis S. Mariae in Georgio, Ordinis S. Augustini, Firmanae Diocesis, congruis honoribus frequentetur, de omnipotenti Dei misericordia et Beatorum Petri et Pauli Apostolorum cuius auctoritate confisi, omnibus vere paoenitentibus et confessis, qui eandem Ecclesiam devote visitaverint annuatim in ipsius B. Augustini ac S. Salvatoris quod V ydus Novembris colitur, ac S. Margheritae festivitatibus, et per octo dies festivitates ipsas immediate sequentes unum annum et quadraginta dies de iniunctis sibi poenitentiis misericorder relaxamus.
Datum apud Urbemveterem Kal. Augusti Pontificatus nostri anno quarto”.
(Traduzione) “Desideriamo che la chiesa dei diletti figli, Priore e Convento della casa degli Eremitani di Monte Santa Maria in Georgio, dell’Ordine di S. Agostino, diocesi di Fermo, sia frequentata con gli onori congrui e confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità dei beati Pietro e Paolo apostoli, concediamo misericordiosamente un anno e quaranta giorni di indulgenza sulla penitenza impartita ai fedeli veramente contriti e confessati, i quali visiteranno devotamente questa chiesa nella festa annuale di S. Agostino e del Santo Salvatore, celebrata il 9 novembre e nella festività di S. Margherita, comprensivi dell’ottava seguente alle feste predette. Dato ad Orvieto il 1 agosto 1292 anno quarto del nostro pontificato.
DOCUMENTO IV – 4.11.1546 – LETTERA DEL PROVINCIALE P. M° EGIDIO DA PESARO PER RICHIAMI ALLA DISCIPLINA CONVENTUALE (Dal manoscritto del P. A. Pupi, pp. 108-110)
(fuori) Venerabilibus in Christo Priori et Patribus conventus nostri Montis S. Mariae in Georgio Ordinis S. Augustini, aperienti et legenti coram toto Convento. (intus vero) Frater Aegidius Pisaurensis Ordinis S. Augustini Provinciae Picenae Provincialis ind(ignus), Venerabilibus et nobis in Christo dilectis, salutem. Quanto labore in nostris visitationibus, ad reformationem restaurationemque huius deformati conventus insudaverimus, scitis et vidistis, nam procul dubio ex redditibus nostris aliorumque per nos factis a passione didicere potuistis quantum praesens vivere longe sit non modo a legibus religionis, sed a vita et moribus veterum fratrum et patrum huius conventus, qui magno affectu et devotione divina pertractaverunt ut Deo optimo, maximoque satisfecerint, et populun edificaverint. Ipsi namque maximis sudoribus, parcitate et modestia, victus et haec temporalia bona aggregaverunt ut ibidem Sacro Altari ministantes, divinis officiis intervenientes, religiose honesteque viventes, possent commode vivere, non ut unius prodigalitate cuncta evanescerent, sicut factum, nostra sententia contra malos in parte manifestante. Itaque praesentibus literis cogimur vobis rev.mi Prioris, Patrumque Diffinitorum mentem aperire, ne amplius ea mala committatis, quae in praeteritum commisistis. In presenti curet Prior Sacramentum Eucharestiae in loco nitido et convenienti locari, ubi honestius, mundiusque quam hactenus factum est, custodiri, ante quos lampas diu noctuque ardeat. Opus quod in honorem tanti Sacramenti in maiori Altare facere cogitastis, citissime adimpleri et perfici mandamus, non tamen absque artis consultos Divinum Officium. Divinum Officium nullo pacto praetermittatur, sed devote et distincte celebretur nihil aliud faciendo, ut Fratres simul mente, corde et ore pariter Deum optimum oretenus invocent, et deprecent non mere labiis tantum, modo Deum optimum honorantes; minus vero eruditi edoceantur, addiscant litteris operam exibeant. Prior nulla de causa impios ac eorum impietates tolleret, eas praesertim quae contra Deum sunt, scilicet Divini nominis orrenda blasfemia et Sanctorum; colloquia quae meras seorsum sunt, quae in ore quorundam vestrorum versari audivimus. Ludos illecitos, proibitosque inter Fratres non permittimus; neque licito et concessos cum saecularibus concedimus, quos nullo pacto vestris mensis, prandiis et cenis interesse volumus; neque consuetas commessationes, ebrietates et familiaritates malas cum ipsis haberi unquam substinebimus. Nemo in posterum audeat vinum, sive sit Conventus, sive Fratrum, minutim in conventu vendere bucali, aut fuglietta, nec extra conventum Fratribus vendentibus, concedimus facultatem vendendi. Novitii omni cura ac diligentia custodietis, ut bonos nomine, si apti fuerint et optimos mores addiscant, separati tamen a ceteris Fratribus permanentes, neque cum illi conversare; non tamen denegamus quae ex nostris legibus conceditur, sed nisi viginti annorum aetatem pertransierint, tenere non possumus. Qui congruis temporibus teneantur interesse officio, et sumptibus induentur monasteriorum. Magistri quoad expensas. Conventus communi vita vivant, nec intus, minusque extra Conventum habitent, quia illis habere non licet legibus ac consuetudine Provinciae, maxime lignas pro suis commodis, ac particolaribus satisfactionibus non habeant a Conventu, praesertim ad victum proprium coquendum; ac quod Magistris non concedimus minusque affinibus magistrorum concedere debeamus, ut ligna conventus comburant, et possessiones demoliantur. Itaque possessiones Conventus malis agricolis et malis laboratoribus amplius non locantur; inde (?) locatas ab ipsis de jure ac de facto tolli aut aufferi iubemus, ac per viam iuris statim expelletis et ejeciantur, malos vero agricolas appellamus qui non bene temporibus debitis colunt possessiones, dando debitas terrae araturas, vel non seminant omne totum quod seminandum est; qui non adimplent obbligationes, promissiones, et consuetudines, qui non reddunt debitum fructum temporibus suis conventui; sed et illi qui non habitantes possessionum incidunt ligna ad vannendum, vel comburendum in domibus propriis Terrae Montis, quos omnino volumus cogi per Procuratorem Conventus ad satisfaciendum damnum datum ante Judicem Ordinarium Terrae vestrae. Mulieres cuiscunque gradus affinitatis Fratribus coniunctae sint, in conventus cameras Fratrum ad commessationes, aliaque solatia intrare non permittantur; minusque liceat Fratribus continuam cohabitationem extra conventum, mulierum etiam officium habere cum murmuratione ac scandalis populi, sub rebellionis poena Priori rev.mi ac Carceris unius mensis. Ad tollerandam aliquorum indiscritionem … dividi per Procuratorem Conventus; mora honorum Conventuum ordinamus quas…. cum charitate Fratribus distribuat singulis quod justum est, exhibendo Magistratos et Priores iuxta consuetudinem in aliquid plus recognoscendo. Bona communia amplius non fiant privatorum, ut hactenus factum est. Ob id volumus ac ordinamus cuncta bona dari cum inventario sub cura Procuratoris ut eis secundum necessitates Conventus utatur; concedat necessaria omnibus secundum gradus et dignitates, nec tamen communia propria vocent et faciant. Omnes has diffinitiones per aliquem nostrorum novitiorum semel in hebdomada legi ad mensam ordinamus, ut facilius memoriae vestrae imprimatur et executioni dentur. Prior vero si has legi obmiserit et observari non curaverit, ultra ceteras censuras, annuali provisione privetur, et ut facilius tamquam Prior possit haec omnia adimplere, volumus ipsum in Mensa et Capitulo digniorem tenere locum, ut tamquam caput, monere, hortari, corrigere et punire valeat errantes, nec aliquis in his locis presumat locum Prioris tenere; nam et Vicari Conventuum Generalium in dictis locis Magistro praecedunt, quanto magis Priores decet omnes precedere in his locis ubi munus Prioratus illis ostendere contigit. Bene valete. Datum in Conventu nostro Murri Vallium Die 4 novembris 1546. Fr. Aegidius Pisaurensis Provincialis, indignus.
(Traduzione) “Il Ministro Provinciale del Piceno, Frate Egidio di Pesaro, scrive al Priore ed ai frati del Convento Agostiniano di Santa Maria in Georgio. Mi vedeste e sapete con quanta fatica nelle nostre visite ci siamo spossati al fine di riformare e restaurare il convento e dalle risultanze nostre e degli altri delegati avete potuto capire quanto sia lontano il presente modo di vivere dalle norme religiose e dalla vita e abitudini degli antichi padri e frati di questo convento i quali con grande affetto e devozione divina si adoperarono per onorare Dio e per edificare il popolo. Essi hanno adunato i beni con la fatica, con la sobrietà, con la modestia per fornire vitto e risorse per il ministero del santo altare nel compierei divini uffici, vivendo onoratamente e religiosamente, ma non che la prodigalità di uno facesse svanire ogni bene, come avvenuto, secondo la nostra sentenza contro i malvagi abusi. Vi scriviamo affinché apriate la mente al Priore ed ai padri Definitori in modo tale da non commettere mai più tali abusi. Il Priore abbia cura che il Sacramento dell’Eucarestia sia collocato il luogo più conveniente, dove più onoratamente sia custodito in modo più pulito di come avvenuto in passato e davanti ad esso arda una lampada notte e giorno. Dovete al più presto completare e perfezionare l’opera progettata in onore di così grande sacramento dell’altare maggiore, tuttavia senza trascurare di consultare i competenti dell’arte liturgica. Il divino ufficio non sia mai trascurato, ma sempre celebrato con distinta devozione, facendo in modo che i Frati invochino Dio con la mente, con la voce e con il cuore concorde, non soltanto con le labbra. Siano istruiti i meno istruiti, imparino bene a leggere. Il Priore non tolleri gli atti contrari alla pietà né i colpevoli, soprattutto per tutta quanto è contro Dio e i santi, e il santo nome per orrende bestemmie. Abbiamo ascoltato il parlare di alcuni di voi e sono colloqui meramente estranei. Non permettiamo che tra i Frati ci siano giochi illeciti e proibiti, neanche di giocare con i secolari (persone esterne) che non debbono essere presenti alle vostre mense, ai pranzi e alle cene. Non ammettiamo che con questi si abbiano le cattive familiarità, ubriachezze e mangiate. Non c’è nessuna facoltà di vendere il vino, né in convento, né fuori, a boccale o “foglietta”. Custodirete i novizi con ogni cura e diligenza in modo che acquisiscano ottime abitudini, da uomini per bene, se sono idonei. Restino separati dagli altri Frati e non parlino con questi. Secondo le nostre leggi non è concesso se non all’età di ventunanni e partecipano ai divini uffici a tempo opportuno e sono vestiti a spese dei monasteri. Per quanto riguarda le spese del monastero e del Maestro: vivano la vita comune del convento, non dentro né fuori abbiano abitazione non consentita dalle norme della provincia, non ricevano legna da ardere; tanto meno gli affini ai maestri. Non siano dati al lavorare i terreni del convento a lavoratori o coloni che non fanno i lavori a tempo debito per l’aratura, per la semina da fare al completo, o non adempiono agli obblighi, agli impegni promessi e alle consuetudini o non riconsegnano il fruttato al convento al tempo dovuto, o non abitano la case tra i terreni che per la loro trascuratezza sono devastati da altri, o quelli che tagliano piante per vendere legna o se la ardono nelle proprie case dentro la Terra di Monte (Georgio). Siano cacciati dalle terre dal Procuratore del Convento e portati di fronte al giudice ordinario del luogo. Non è permesso fare entrare in convento le donne di qualsiasi grado di affinità con i Frati. Tanto meno questi si rechino fuori dal convento nelle loro case, con mormorazione e scandalo del popolo, sotto pena per (reato di) ribellione al Priore e con carcere di un mese. Senza alcuna indiscrezione, il superiore, con carità distribuisce il dovuto ai singoli frati, senza dar di più ad alcuno. I beni comuni non diventino privati, come avvenuto. Il Procuratore faccia l’inventario di ogni bene e se ne usi secondo le necessità del convento, a ciascuno è dato secondo il suo grado e la sua dignità, ma nessuno si appropri dei beni comuni. Queste nostre norme siano lette a tavola, una volta ogni settimana, da un novizio, per ricordarle. Se il priore trascura questa lettura viene sottoposto alle consuete censure e privato della provvisione annuale. A tavola il posto del Priore sia più alto per esortare, ammonire e correggere chi sbaglia. Il Priore è primo fra tutti. I vicari dei conventi precedono il Maestro e debbono avere il primo posto. Dato nel nostro convento di Morrovalle il 4 novembre 1546. Frate Egidio (ministro) provinciale indegno.
DOCUMENTO V – 8.4.1650 – INVENTARIO E REDDITO DEI BENI PATRIMONIALI DEL COMVENTO (da una relazione inviata al Ministro Generale in AGA – I i/3, p. 273)
1° – Possiede nella contrada di Cisterna un Podere di some 45 con le sue case, palombarda, lavorativo sol di 14 some l’anno, il resto vastuglia; per parte Domenicale: rubbia 14 di grano, biada uno e mezzo, con tante querce che alimentano otto porci l’anno.
2° – Nella contrada delle Gabbe un podere di 14 some con la sua casa, lavorativo solo sei (some) per anno; per parte Domenicale: grano sei rubbia al terzo, biada dieci quarte con tante querce che alimentano sei porci l’anno.
3° – Nella contrada di Gabbiano possiede un podere di some 30, lavorativo soltanto dodeci some dell’anno, il resto vastaglia; di parte al terzo 12 rubbie, biada un rubbio è in mezzo, con tante querce che alimentano doi porci l’anno.
4° – In contrada di Gagliano podere con la sua casa di some 32, lavorativo solo sei, il resto vastuglia; di parte Domenicale al terzo: grano rubbia sei, biada cinque quarte, querce in quantità che alimentano 5 animali l’anno.
5° – In contrada della Laqua some 4 di (terreno), lavorativo una soma l’anno; di parte Domenicale al quarto: tre quarte.
6° – In contrada dello Sdrago mojuri doi; di raccolta due quarte l’anno di grano.
7° – In contrada Baianno una possessione di 4 some; di parte(padronale) verranno rubbia cinque, biada cinque quarte.
8° – In contrada Bevento podere di some sei con la sua casa, lavorativo soltanto tre; (rende) un rubbio e mezzo di grano e tre quarte di biada.
9° – In contrada Montone una possessione con la sua casa di some quattro e mezza, la lavorativa; per parte Domenicale tre rubbia e quattro quarte di grano, biada dieci quarte.
10° – in contrada delle Vallecelle una possessione di cinque some, tre lavorative; di parte (padronale) quattro rubbia quarte di grano.
Tutta la raccolta di grano è di 53 rubbia l’anno; e si valuta cinque scudi il rubbio. La raccolta di orzo, sette rubbia; si valuta doi scudi. Da tutte le possessioni si haveranno di parte padronale tre rubbia di retrivi, a 4 scudi il rubbio.
Grano in tutto 55 rubbia: a danaro scudi 265
Retrivi rub. Tre a scudi 4; a danaro “ 12
Orzo rub. Sette a scudi 2; a danaro “ 14
Lino manne 60 a baiocchi 15 la manna “ 9
Fichi ed altre regalie di frutti, dieci scudi l’anno “ 10
Olive di tutte le possessioni cinque rubbia; olio 8 metri a doi scudi il metro “ 16
Possiede 4 Vigne con doi arboreti piccoli e 4 vigne al quarto, de’ quali computando tutto il raccolto per parte padronale si haveranno 55 some di mosto, (che) si apprezza sei paoli la soma, che in scudi fanno scudi trentatre = 33
Possiede botteghe n° 5: il nolo scudi dieci “ 10,40
Possiede in Roma sei mila e settecento scudi di Luoghi di Monti: disposti in questo modo: sei mila e cento scudi al Monte della Fede; di cinque scudi e trecento alle Lumiere trecento scudi S. Bonaventura; di frutti l’anno trecento trentacinque scudi 335
Censi (per un valore di) tremila trecento settantacinque (scudi), disposti in questa fatta: millenovecento sessanta al sei per cento; 650 al 7%; 540 all’8%; frutti de’ censi in pactibus scudi 100
Possiede bestiame, cioè: pecore 30; capre n. 8; vacche e con allevini nove; porci tra grossi e piccoli n….. de’ quali levatone il peaso de’ Padri, fra tutti ne haverà di parte “ 40
Dalla Comunità per la cera et altre oblazioni solite “ 6
Di elemosine, incerte ma consuete “ 70
Il giorno de’ Morti “ 20
Officii di Messe scudi otto e cinquanta “ 8,50
L’elemosia della Messa, un giulio; per ogni offiio, sei paoli.
ESITO DEL MONASTERO
a) – Paga al Camerlengo nella Terra (di Montegiorgio) per la libra scudi 20
b)- Alla Comunità per le Galere “ 1,40
c)- Colletta lli nostri Superiori “ 6
d)- Per risarcimento del Convento e case di fuori “ 35
e)- In Sacrestia per suppellettili, olio et altro “ 20
f)- Per diritto dei Padri, comprendendo il grano, vino, olio, legna, sale, a scudi 22 per ciaschedu “ 528
g)- Conventualia e il vestiario a dieci scudi e mezzo per sacerdote “ 125
h)- Per offitii “ 30
i)- Spese varie: priorato, sindicariato, procura, sagrestano, cura, organista, sotto-priore, libreria, sementa, ecc. in tutto sc. 25
l)- Lavatura di panni in quanto vi è bisogno “ 25
m)- Spetiaria “ 25
n)- Visite de’ Superiori e de’ forastieri “ 30
o)- Procuratore in Rona, Notaio in fictibus “ 10
p)- Cera per la Candelora “ 6
q)- Macina e pesa “ 9,50
r)- Garzone “ 12
s)- Predicatore “ 10
Si deve fabbricare il Choro e Sacrestia, nella qual fabrica…. costeranno scudi settecento. Somma tutto l’esito scudi novecento quarantasette e novanta (scudi 947,90).
Noi sottoscritti col mezzo del nostro giuramento attestiamo d’haver fatto diligente inquisitione e del recognitione dello stato del suddetto Monastero e che tutte le cose espresse di sopra, e ciascheduna di esse sono vere e reali, e che non abbiamo tralasciato di esprimere alcuna entrata, uscita o peso del medesimo Monastero che sia pervenuto alla nostra notizia, et in fede habbiamo sottoscritto la presente di nostra propria mano e segnata col solito sigillo, questo dì 8 aprile 1560. Io Fra’ Lorenzo Lorenzini, Priore, confermo quanto sopra. Io Fra’ Serafino Prosperi da Montegiorgio confermo quanto sopra. Io Fra’ Gerolamo Parentani da Montegiorgio confermo quanto sopra Loco + sigilli
DOCUMENTO VI – 3.7.1838 – BREVE DI “SECOLARIZZAZIONE” di PIETRO SIROMBI, agostiniano PARROCO DI S. SALVATORE DI MONTEGIOGIO immesso nel clero diocesano, restando nei voti religiosi.
Ex audientia Ill.mi, habita ab infra(scripto) domino Secretario S. Congragationis Episcoporum sub die 13 Iulii 1838, Sancitas sua, attenta relatione Archiepiscopi Firmani et voto P. Procuratoris generalis Ordinis, benigne annuit, et propterea mandavit committi eidem Archiepiscopo ut veris existentibus narratis, et previa etiam per subdelegandum absolutione a censuris et poenis eccle(siasti)cis quatenus opus (sit), et dispensatione super irregolaritate, facultatem oratori manendi in saeculo quoad vixerit in abitu presbyteri saecularis, retento interius aliquo regularis habitus signo, impertiri; nec non praevia sanatione tituli enunciatae Paroeciae et condonatione fructuum, eumdem abilitare ad illam retinendam nomine S. Sedis titulo administrationis, pro eius congrua substentatione, pro suo arbitrio et conscientia possit et valeat, dummodo orator ipse provisus sit de sufficienti patrimonio, vel etiam loco patrimoni sacri dictam paroeciam contemporanee constituat; ita tamen ut, praesente Priore Conventus, fiat Inventarium rerum et scripturarum ad paroeciam spectantium ab eodem Priore ed ab oratore subscribendum, quo facto res ipsae et scripturae eidem Oratori tradantur, cum obligatione easdem servandi et curandi ut omnia restituantur post eius mortem, favore Conventus cui Paroecia adnexa est; substantialia votorum suae Professionis cum novo statu compatibila observet et sub obedientia Ordinarii loci, in quo morabitur etiam in vim voti religionis vivat. Praesens autem Indultum nullius sit roboris nisi intra sex menses, computandos ab hac die, obtenta fuerit ab eodem Archiepiscopo executio. Roma F. A. Card. Sala Praefectus I. Patriarca Secretarius
(Traduzione) “Dalla Congregazione dei Vescovi religiosi il 13 luglio 1838: Sua Santità dopo aver ascoltato la relazione dell’Arcivescovo di Fermo e il voto espresso dal Procuratore Generale dell’Ordine, incarica l’Arcivescovo a rendere sacerdote diocesano Pietro Sirombi con delega per assolvere, all’uopo, le censure ecclesiastiche. Inoltre al sacerdote sia concesso di amministrare la parrocchia a nome della Santa Sede. Alla presenza del Priore del convento sia fatto l’inventario dei beni e delle scritture spettanti alla stessa parrocchia, con obbligo che le conservi e le curi affinché a sua morte siano restituiti al convento al quale la parrocchia è annessa. Viva sotto l’obbedienza al Vescovo e osservi i voti in modo compatibile con il nuovo stato. Se l’Arcivescovo non concede l’esecuzione di questo decreto entro sei mesi esso viene annullato. F.A Card. Sala I. Patriarca Segretario
DECRETO ESECUTORIALE DELL’ARCIVESCOVO DI FERMO (ASAF. S. Visita del Card. G. Ferretti – Montegiorgio. Parr. SS. Salvatore) : GABRIEL EX COMITIBUS FERRETTI PATRICIUS ANCONITANUS ET REATINUS, EQUES HIEROSOLOMITANUS, itemque torquatus Magnae Crucis Regalis Ordinis Francisci I, Dei et Apostolicae Sedis gratia Archiepiscous et Princeps Firmanus, Ill.mi domini nostri Papae Praelatus Domesticus et Pontificio Solio Assistens, considerato superiore Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium rescripto, cognitaque narratorum veritate, previa absolutione a censuri et poenis eccle(siasti)cis, quatenus opus (sit), per nostrum Confessarium Ordinarium, quem ad hunc effectum dumdaxat specialiter subdelegamus, nec non dispensatione super irregolari tate, inhaerendo arbitrio et facultatibus in eondem rescripto nobis benigne tributis, potestatem facimus oratori praedicto manendi in saeculo quoad vixerit in abitu presbyteri saecularis, retento interius aliquo regularis habitus signo, praevia sanatione tituli enunciatae Paroeciae et condonatione fructuum, nec non renitendi memorata Paroeciam nomine S. Sedis, titulo admonistrationis et patrimonii sacri pro sui congrua substentatione, ita tamen ut, praesente RR.PP.Calceatorum S. Augustini Priore Conventus huius Firmanae civitatis, cui Paroecia adnexa est, fiat Inventarium rerum et scripturarum ad Paroeciam spectantium ab eodem praed(icto) Priore ed ab Oratore subscribendum, quo facto res ipsae et scripturae eidem Oratori tradantur cum obligatione easdem servandi et curandi ut omnia restituantur post eius mortem favore praedicti Conventus, servata in reliquis sustantialis votorum suae professionis cun novo statu compatibilia; maneatque sub obedientia nostra, vel Ordinari in cuius Diocesi morabitur, etiam in vim voti religiosi et non alias; in omnibus ad formam praelaudati rescripti ad quod ratio et relatio habeatur non solum nunc sed et semper. Firmi, ex Archiepiscopo nostro hac die 20 novembre 1838 (F.to) Gabriel Archiepiscopus Firmanus
(Traduzione) “L’Arcivescovo di Fermo dà esecuzione al decreto della congregazione: Gabriele dei conti Ferretti, patrizio di Ancona e di Rieti, cavaliere geresolimitano e titolato della Grande Croce regale dell’Ordine di Francesco I, prelato domestico del Papa e assistente al soglio pontificio, in base al rescritto pontificio, conosciuta la verità delle cose narrate, dopo l’assoluzione dalle censure, per quanto serviva, tramite un confessore delegato, concede (a Don Pietro Sirombi) di tenere come sacerdote diocesano la parrocchia in nome della Santa Sede a titolo di amministrazione, secondo quanto è scrittonel decreto. Fermo 20 novembre 1838. Gabriele Arcivescovo Fermano
(Amanuense Albino Vesprini – autore Giuseppe Crocetti)