AFFRESCHI SUPERSTITI a Santa Maria di Agello in Amandola, di CROCETTI Giuseppe

LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA A PIE’ D’AGELLO IN AMANDOLA, studio di Crocetti Giuseppe

1- Il culto della Madonna della Misericordia. Comunemente si dice che il culto della Madonna della Misericordia risalga al secolo XIII e che sia di origine cistercense, da ricollegare alla preghiera “Salve, Regina, Mater Misericordiae” che un’antica tradizione fa risalire ai tempi di S. Bernardo, nell’originale significato di “Madre della Divina Misericordia”, cioè: Madre del Cristo per le vigne e perdona.  L’immagine di Maria, invocata sotto il titolo di Madre della Misericordia, ebbe presto una vasta diffusione. La Madonna vi era raffigurata nell’atto di accogliere sotto il suo manto i fedeli, a simboleggiare la sua protezione, specialmente contro i pericoli materiali; talvolta il mantello riparava i cristiani dall’ira divina, con cui si identificavano pestilenze e guerre, simboleggiate da frecce e fulmini (1).  Pittori, scultori e maestri d’arte e d’ogni genere, a cominciare dal secolo XIV, hanno lasciato veri capolavori d’arte nella riproduzione di tale immagine con originali varianti nella figura della Vergine e nella rappresentazione dei devoti, suddivisi tra gruppi di uomini e donne, tra gerarchia ecclesiastica e il laicale, tra congregati e non congregati alla “Compagnia della Misericordia”.

Questa Confraternita con fondata a Firenze come pio Istituto che aggregava cittadini di ogni classe per l’assistenza gratuita degli ammalati, dei feriti, per il loro trasporto gli ospedali e per dar sepoltura ai morti abbandonati. Il Comune di Firenze la riconobbe nel 1239. Si diffuse in Toscana e nelle regioni vicine; prima nelle città, poi nei centri minori (2).  Nella città di Ascoli, nel 1383, in occasione di una grande pestilenza, fu fondata la compagnia di Santa Maria della Scopa, la quale nel 1402, nel suo Oratorio, fece affrescare la Madonna della Misericordia raffigurata tra Sant’Emidio e S. Caterina d’Alessandria.  In Offida, nella cripta di Santa Maria della Rocca, nel sott’arco della cappella dedicata a S. Lucia, si può ammirare una bella immagine della Madonna della Misericordia, databile intorno al 1365, come opera assegnata al cosiddetto “maestro di Offida”, pittore attivo nel Piceno nella seconda metà delle Trecento, la quale, forse, è da considerarsi come la più antica rappresentazione della Madonna della Misericordia nelle Marche (3).     Nella diocesi di Fermo e nella Marca d’Ancona il culto verso la Madonna della Misericordia si sviluppò in modo particolare durante la peste degli anni 1399-1400, che nello stato di Fermo fece circa 12.000 vittime. Si formarono in molte città e paesi le Adunanze, o Confraternite, dette dei Bianchi, le quali non solo procedevano con cappe bianche e cappucci per la città, ma di paese in paese andavano in processione incappucciati, uomini e donne, cantando a cori l’inno “Stabat Mater dolorosa” che allora uscì alla luce, ed entrando nelle chiese intonavano di tanto in tanto: “Pace e Misericordia”, come riferisce il Muratori (4).  Queste istituzioni si propagavano ed ebbero comunque fortuna, non solo per placare il cielo e liberarsi dal contagio della peste, ma anche per prepararsi ad acquistare il Giubileo dell’Anno Santo 1400.     Le Confraternite della Misericordia avevano scopi devozionali ed assistenziali:

*Ogni sabato si riunivano per recitare coralmente, o cantare l’Ufficio in onore della beata Vergine Maria.

*Alla prima domenica di ogni mese ciascuno aggregato doveva assistere alla S. Messa e fare l’offerta personale, indossando il sacco bianco;

*Assistevano gli appestati e, dopo il decesso, disinfettavano la casa, i mobili e la biancheria;

*Accompagnavo nei morti alla chiesa parrocchiale per la messa esequiale e per la sepoltura;

*Gestivano Ospedali e Monti Frumentari;

*Costituivano doti per zitelle da maritare.

Per tutte queste opere caritative ricevettero molti lasciti nel corso dei secoli, tanto da amministrare quasi ovunque un cospicuo patrimonio. Questo venne a svanire con la prima soppressione napoleonica, poi, con quella del Governo Risorgimentale Italiano che soppresse ogni confraternita, trasferendo beni e finalità alle “Congregazioni di Carità” le quali, gestite da laici liberale-massoni, vanificarono, quasi ovunque, beni e finalità umanitarie.

2- La pestilenza degli anni 1399-1400.     Nel mese di ottobre del 1399, per la città di Fermo si sparse e fu divulgata nei dintorni una diceria nata in oriente, secondo la quale, se in quella città si costruisse una chiesa lunga e larga tre passi (pari a metri 4,46) a lode e venerazione della Madonna della Misericordia, sarebbe cessata la moria dovuta alla peste. A tale annuncio, poiché a Fermo e nel suo Contado in tre mesi erano già morte alcune migliaia di persone, i Priori del Popolo ordinarono che subito si radunasse il materiale necessario (mattoni, pietre, sabbia, calce, legname, ecc.) a capo dell’attuale Piazza del Popolo; poi, nell’arco di una sola giornata, innalzarono una chiesa dedicata alla Madonna della Misericordia. Per la precisione, la costruzione fu iniziata all’alba di venerdì 31 ottobre 1399 e fu terminata la quarta ora della notte, cioè circa le 23. La prima pietra fu messa dal Luogotenente del Vicario Vescovile, la seconda dal Gonfaloniere di Giustizia, o Podestà, la terza dal Priore sig. Andrea  Massucci. Il mattino successivo, festa di tutti i santi, vi cantò la prima messa un sacerdote novello. Vi fu dipinta in affresco l’immagine della Madonna della misericordia (5). Analoghe chiese con dedica la Madonna delle Misericordia  furono erette nell’anno 1400 in Ancona, S. Vittoria, Ascoli, Ripatransone e Amandola. Alla metà del secolo XV risale la fondazione del celebre santuario della Madonna della Misericordia di Macerata, e alla fine del Quattrocento quello di Petriolo.

3 – La chiesa di S. Maria della Misericordia a Piè d’Agello.    In questo quadro storico si colloca la costruzione del primo nucleo della chiesa suburbana di S. Maria delle Misericordia a Piè d’Agello nel territorio di Amandola. Il luogo scelto ed il tipo di costruzione corrispondono alla tipologia delle chiese votive, o santuari “politici”, eretti a motivo della peste.  Agello (nel significato di piccolo campo) era un’antica contrada amandolese, corrispondente all’estremo promontorio orientale della città, ove, al presente, sono eretti l’Ospedale Civile e la chiesa della SS. Trinità. Verso la metà del Duecento gli abitanti di questa contrada, unitamente a quelli di Castel Leone e Castel Marrabbione, costituirono il Comune di Amandola, il quale con diversi atti di compravendita, stipulati con Arpinello e i signori Pietro e Uffreduccio, figli di Fallerone di Fallerone, si assicurò la piena proprietà del colle e delle terre adiacenti fino al fiume Tenna (6).  Il luogo scelto nel soleggiato colle sopra riva sinistra del Tenna, relativamente vicino al centro abitato e il tipo di costruzione corrispondono alla tipologia quattrocentesca delle chiese votive, o santuari ‘politici’ (pubblici) eretti dalla comunità civile in sintonia con l’autorità ecclesiastica. Essi, sospinti dal pericolo incalzante della peste che mieteva vittime, facevano pubblici e solenni voti a Dio per il tramite della Madonna, invocata sotto il titolo di Madre della Divina Misericordia, onde essere risparmiati dal mortale flagello. A tal fine, probabilmente nell’anno 1400, di Amandolesi costruirono un’edicola stradale, dedicata a S. Maria della Misericordia, in luogo idoneo anche per la erezione all’intorno di capanne di paglia, idonee all’isolamento dei contagiati. I focolai delle epidemie pestilenziali, di solito, si spandevano nei mesi caldi, in occasione di guerre, carestie e siccità prolungate.  Quella struttura era considerata “santuario politico” nel senso che era costruita dalla “polis”, ossia dalla “civitas”, cioè dalla amministrazione comunale con il concorso di tutto il popolo e degli ecclesiastici. Molti comuni nei secoli XIV, XV e XVI, prima di erigere una chiesa votiva, facevano dono del terreno al Capitolo di S. Giovanni in Laterano per assicurarsi alcuni benefici spirituali (indulgenze) e per sottrarre la chiesa-santuario alla giurisdizione del vescovo diocesano per quanto riguardava la nomina del Rettore e la visita annuale. Il Capitolo Lateranense imponeva un tenue canone in cera e denaro e faceva la visita di controllo solo ogni dodici anni (7).  Queste circostanze storiche pur importanti, sono sconosciute al Ferranti. L’esimio studioso nel paragrafo sulla chiesa di Santa Maria a  Piè d’Agello, nel 1° volume delle Memorie storiche della città di Amandola, si limita a dire “antichissima l’erezione di detta chiesa”. Riferisce subito non notizia che convalida il nostro presupposto. “La più remota memoria che di essa siasi trovata l’abbiamo dal Catasto del 1403 per alcuni beni posseduti in piano S. Andrea”. Erano i beni di fondazione (8).  Ogni cappella, che in quei tempi veniva costruita, doveva avere la sua ‘dote’ per essere convenientemente officiata e mantenuta. Il sacro edificio fu oggetto di diversi interventi costruttivi, nonché di successivi ampliamenti ed adattamenti:

a)- La costruzione del primo nucleo è da assegnare intorno all’anno 1400. Altra epidemia pestilenziale, non segnalata dal Ferranti, si manifestò negli anni 1420-1421. In quella circostanza il comune di Montefortino eresse l’ospedale e l’oratorio di S. Andrea, in seguito gestito dalla Compagnia della Buona Morte, con analoghe finalità delle Confraternite della Misericordia (9).

b)- Dal Libro delle “Collationes” dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo siamo informati che nel luglio del 1420 i Priori del comune di Amandola fecero domanda all’Ordinario diocesano di poter “erigere e di  nuovo fondare una chiesa sotto il vocabolo  della Vergine Maria della Misericordia con  il campanile e l’altare in contrada de “lu pianu d’Agello” presso la via al fine di rendersi propizi alla divina misericordia, mediante l’intercessione, della gloriosa Vergine Maria, per allontanare il flagello della mortifera peste, dilagante nel territorio di Amandola,  castigo provocato dai peccati di tutto il popolo.

Il vescovo di Fermo, Giovanni de Firmonibus, il 26 luglio 1420, ne autorizzò ufficialmente la costruzione e incaricò l’abate di Sant’Anastasio, Fra’ Massuccio, di porre la prima pietra. Si stabilì, inoltre, che il cappellano-rettore della chiesa fosse nominato dal Comune e confermato dall’Ordinario diocesano; e, quale segno di sudditanza al vescovo, impose il censo annuo, perpetuo di mezza libra di cera da offrire ogni anno a Fermo nella festa dell’Assunta (10).

Nello stesso mese ed anno ottennero analoghe licenze i Comuni di Monte San Martino, Montolmo (oggi Corridonia) e Ripacerreto (=Cerreto di Montegiorgio) (11).

c)- Dagli atti del notaio Antonello Gallo che vanno dal 1422 al 1425 si rileva che in quel periodo si fecero diversi lasciti di legati in favore della chiesa di Santa Maria della Misericordia a Piè d’Agello “ultimamente edificata” (12); il che  fa supporre un altro intervento, per altro voto fatto durante la peste del 1421. Confermano questa supposizione le valutazioni degli affreschi votivi, risalenti all’anno di grazia 1423, anno in cui si iniziò a fare quattro giorni di festa – dal sabato al martedì – nell’ultima domenica di luglio, unitamente alla fiera con l’esenzione da ogni gabella, concessa dal Consiglio Comunale con nulla-osta dei Duchi Varano (13).

d)- nel 1437 fu fatto il loggiato intorno alla chiesa. Il sindaco-amministratore avanzò supplica all’Amministrazione Comunale ed ottenne 300 mattoni per fare il muricciolo tra una colonna e l’altra; tra le argomentazioni prodotte in favore della richiesta ricordava ai Consiglieri che la detta chiesa fu edificata “per lo Comune de la Mandola, lo Comune la deve governare et accrescere”. Negli anni successivi, 1437-1441, furono date disposizioni per stipendiare un cappellano che officiasse la chiesa almeno ogni domenica (14).

e)- Intorno alla metà del cinquecento il comune di Amando affidò alla Confraternita del SS. Rosario la cura e l’amministrazione della chiesa di Santa Maria della Misericordia, fissando la corrisposta annua di 18 fiorini per il suo cappellano che aveva l’obbligo di confessarvi e celebrarvi la S. Messa in tutte le domeniche, in tutte le Feste della Madonna, a Natale e Capodanno (15). La data del 27 aprile 1570, posta in ambedue gli architravi delle attuali finestre laterali, sotto il loggiato, indica che in quell’anno si fece il quarto intervento che, probabilmente, si limitò all’ornato delle porte e delle finestre, munite quest’ultime di inferriate e sportelli, onde consentire la vista di quanto era all’interno ai viandanti e pellegrini nel corso della settimana, quando la chiesa ancora non aveva il suo eremita custode.

f)- Nella relazione di sacra Visita  pastorale del maggio 1574, mons. Paolo Pagani, nipote del pittore monterubbianese, riferisce che la Chiesa era  della massima devozione, provvista sufficientemente e tenuta bene “sotto l’amministrazione e la cura della Società del Rosario” (16). Detta Confraternita nell’Adunanza dell’8 settembre 1616 prese la risoluzione di rendere officiabile la parte ‘da piedi’ ossia di ingrandirla di altrettanto, specialmente perché quella metà era stata fatta ricettacolo di bestie. L’anno appresso, 1617, Mastro Gerolimo Cassini da Caldarola con la spesa di 146,26 fiorini aveva già fatto le due cappelle ed allungata la chiesa, che, poi, nel 1623, fu anche rialzata (17). Probabilmente, durante questo quinto intervento di completa ristrutturazione, furono intonacate le pareti ricoprendo tutti gli affreschi, anche quelli dell’abside; fu costruita la volta; sull’altare maggiore nel 1626 fu posto un quadro con cornice brunita e dipinto in tela, rappresentante la Madonna del Rosario, opera del pittore Pompeo Bangioli (18). Non fu incalcinato l’affresco che era al lato sinistro della tribuna, o presbiterio, raffigurante la Madonna della Misericordia, titolare della chiesa.

g)- La Confraternita del Rosario di Amandola nel corso del secolo XVIII andò in crisi, riducendosi sia le rendite che il numero degli aderenti; cosicché nel 1801, dopo l’usurpazione napoleonica dei beni, essendosi la chiesa di Santa Maria della Misericordia ridotta in cattivo stato e non avendo la detta Confraternita i mezzi finanziari per restaurarla, si decise di cederla al Capitolo della collegiata di Amandola, che ne avrebbe utilizzato i materiali a vantaggio della fabbrica della chiesa collegiata di San Donato. La proposta fu approvata dalla Curia di Fermo il 16 giugno 1804. Ma le vicende del Governo Italico al tempo dell’occupazione napoleonica impedirono di mandare ad effetto questa proposta demolitrice (19). Senonché nel 1814 sopravvenne il distacco fortuito di una parte dell’intonaco nella zona absidale e lo scoprimento inaspettato dell’affresco raffigurante la “Dormitio Virginis”; il popolo accorse e, poiché dopo due secoli di copertura se ne era perduta ogni memoria, gridò al miracolo lasciando copiose offerte. Il papa Pio VII concesse (su richiesta) l’indulgenza plenaria per sette anni da lucrarsi nel giorno della festa che fu trasferita alla Domenica dopo la festa dell’Assunta. L’edificio fu restaurato e nel 1820 fu riassunta la normale officiatura. Nel 1833 dall’arcivescovo, Card. Cesare Brancadoro, fu restituita alla Confraternita del Rosario (20).

h)- L’ultimo intervento è storia recente. Il pittore Costantino Traietti, coadiuvato dal Prof. Giannino Gagliardi, nel 1969, scoprì altri affreschi lungo le pareti laterali. Il terremoto del 1973 lesionò il tetto sopra l’altare maggiore. Nel 1975, ad opera di ignoti furono strappati alcuni affreschi (21). Il tutto contribuì a destare interesse per restaurare lo storico edificio e per mettere in luce alcuni affreschi coperti da strati di calce e d’intonaco, fare nuove porte, ripassare il tetto e consolidare le stuccature esterne onde presentare in tutta la sua dignità un monumento di storia cittadina, tempio d’arte e di fede.

4- Gli affreschi: descrizione, esegesi e critica.   Al pari degli altri “santuari politici” sparsi nel Piceno, S. Maria di Casalicchio a Montemonaco (22), S. Maria delle Grazie a Sarnano (23), S. Maria della Petrella a Ripatransone (24), la Madonna della Misericordia a Monteleone di Fermo (25), l’oratorio del Verdente in territorio di Rotella (26), così anche in Amandola le pareti della chiesa furono ricoperte di affreschi.  Nella tribuna dell’altare maggiore figuravano affreschi didattici; lungo le pareti laterali serie di dipinti votivi, ordinati e pagati da committenti privati. In Amandola la serie dei dipinti votivi prosegue anche lungo le pareti esterne.  Nell’abside rettangolare (345 × 245) si notano gli affreschi di maggior impegno artistico: sono dipinti essenzialmente didattici. Nelle vene della volta erano raffigurati gli evangelisti, purtroppo individuabili solo attraverso scarsi residui d’intonaco affrescato. Nella parete di fondo è stata rappresentata la scena della “Dormitio Virginis” (185 × 345): la Madonna, stesa sul cataletto, è attorniata dagli Apostoli, mentre sul lato destro un chierico ravviva il fuoco dell’incensiere. Nella soprastante lunetta siede in trono il Cristo Pantocrator che riceve l’anima della Madonna, raffigurata nelle sembianze di una bambina, stretta in un tenero abbraccio, con contorno di un coro d’Angeli musici, due suonano la viola. Sul lato destro, a grandezza naturale, è affrescata la Madonna della Misericordia, riproduzione grandiosa nella tradizionale composizione iconografica. La Vergine si erge maestosa, assistita da Angeli, allarga le braccia in segno di protezione, ricoprendo con il suo manto fedeli devoti d’ambo i sessi. Sul lato opposto c’era una bella figura della Vergine col Figlio in braccio (27): così nel Quattrocento era rappresentata la Madonna delle Grazie.  Nell’infradosso dell’arco trionfale il pittore si esprime con decorazioni molto vicine all’arte della miniatura con decorazione fogliare a riccio, e figure allegoriche dentro tondi iridati con aggiunta di segnature esplicative. Più in basso, sul lato destro, resta l’affresco raffigurante S. Biagio, col pettine dei lanari. L’insieme di questi affreschi didattici suggerivano spunti di riflessione non solo per desiderare di chiedere una morte santa come quella della Madonna, assunta in cielo, ma anche per ottenere, per sua intercessione, il perdono dei peccati la protezione in ogni altra necessità della vita terrena.

Gli affreschi distribuiti lungo le pareti laterali, interne ed esterne, sono tutti ex voto. Vi predominano le presentazioni della Vergine col Figlio in braccio, la grande e benedicente: è la “Mater Divinae Gratiae”, titolo teologico originario, molto caro al S. Giacomo della Marca, che il popolo ha tramutato in “Madonna delle Grazie”, nel senso di mediatrice di favori d’ogni genere ai suoi devoti figli, specialmente nelle epidemie. Il popolo, se non percepisce l’alto significato teologico con cui la Chiesa intesa onorare la Madonna, madre del Cristo, fonte e datore di ogni grazia, pure attribuisce direttamente alla Madre di Dio il merito del favore ricevuto.  I sopravvissuti, quelli che in tempo di peste si erano appellati alla Madonna ed altri Santi patrocinatori, attribuirono alla loro celeste intercessione dei santi, la guarigione, o lo scampo conseguito, per cui sentirono il bisogno di esternare la loro gratitudine facendo dipingere a proprie spese l’immagine dei loro protettori. Ecco perché vi sono rappresentati anche:  – S.Ruffino, invocato dagli erniosi;  – S.Apollonia, nel mal di denti;   – S.Antonio abate, invocato per guarire dalle epidemie dell’Erpes Zoster”, o fuoco di Sant’Antonio.  – S. Giacomo apostolo, col bastone viatorio,, patrono dei pellegrini e guaritore degli emiplegici.  – S. Giovanni Evangelista e S. Giovanni Battista, buoni per ogni necessità, essendo parenti di Gesù e della Madonna.   – S. Maria Maddalena, invocate in soccorso delle partorienti in difficoltà.      Sotto un solo affresco, raffigurante Madonna col Bambino si è conservata una segnatura che indica il nome del committente amandolese, tal VITALE VIZIATI e la trattazione: SUB ANNO DOMINI M CCCC XXIII, che io lessi e pubblicai nel 1975 (28). Purtroppo, la maggior parte di questi affreschi sono andati perduti: quelli esterni perché i colori sono stati consumati dal sole e dagli agenti atmosferici; molte figure di quelli interni sono state decapitate quando si è provveduto a ripassare il tetto ed a costruire la volta reale a botte; alcuni affreschi nel 1975, come già riferito, sono stati strappati dai ignoti, esperti nell’arte del distacco degli affreschi.  Il restauro effettuato in questi ultimi anni ha ridato vivacità originaria tutto il ciclo pittorico. Ma notevoli sono le lacune, e mortificante la visione di troppe immagini decapitate. I dipinti meglio conservati sono certamente quelli della zona absidale.

5- L’autore.   I critici e gli studiosi della storia dell’arte che si sono interessati al ciclo pittorico di Santa Maria a piè d’Agello, pochi in verità, sono concordi nell’affermare che gli affreschi riportati in luce nel 1969 e quelli già noti della zona absidale sono da assegnare allo stesso periodo – 1423- ed alla stessa mano, per la concordanza costante dello stile, del disegno e della cromia.  Per quanto riguarda l’autore è da scartare l’attribuzione, fatta in passato, in favore del fantomatico Panfilo da Spoleto, che una più attenta lettura della firma lasciata nell’affresco di Spelonca di Arquata del Tronto nel 1482 indica essere il M° Campilio di Spoleto. Il motivo è evidente: se gli affreschi di Amandola sono stati eseguiti nel 1423 non possono essere assegnati ad un pittore che opera nel 1482, con grafia, stile e cultura, propri di quel tempo (29).     Per lo stesso motivo è da respingere la proposta fatta in favore del pittore Paolo da Visso. Gli studi più recenti indicano un artista attivo nell’Umbria e nelle Marche nella seconda metà del Quattrocento, essendo noto dal 1447 al 1481.  In un mio articolo pubblicato sul settimanale diocesano “La Voce delle Marche” l’11 maggio 1975, avanzai proposte attributive in favore del monaco-pittore Fra’ Marino Angeli da Santa Vittoria.  Ma un più attento esame della sua produzione artistica, consistente in affreschi dipinti su tavola, mi ha indotto ad escludere l’attribuzione di questo ciclo di Santa Maria la Misericordia a Piè d’Agello, anche se nel disegno di Fra Marino Angeli si riscontrano diversi moduli e connotazioni stilistiche simili, nonché la ripetizione di analoghi soggetti: per esempio, gli Evangelisti nelle vele, la “Dormitio Virginis”, la Vergine col Figlio in braccio, la decorazione fogliare, derivata dalla scuola di miniatura.  Fra’ Marino Angeli, come ho dimostrato nel mio libro “La pittura di fra’ Marino Angeli e dei suoi continuatori”, è un pittore più evoluto e più raffinato nel gusto del gotico internazionale; inoltre risulta attivo dal 1437 al 1462; la datazione degli affreschi di Amandola – 1423- anticiperebbe di troppo la sua attività (30).   Nella figura del chierico con gli incensiere, che tanto favorevolmente impressionò il Prof. Giulio Cantalamessa, figura giovanile carica di vivace spontaneità, ipotizzai che fosse l’autoritratto del monaco-pittore poco più che ventenne al tempo della realizzazione dell’affresco della “Dormitio Virginis”.   Dopo la scoperta della datazione degli affreschi, fatta nel 1969, nella segnatura apposta alla base di un affresco votivo, al centro della parete sinistra, oggi, purtroppo, andato perduto per caduta e frantumazione dell’intonaco negli anni  tra il rinvenimento (1969) e l’intervento del restauro (1988), gli studiosi si sono orientati verso un anonimo pittore, forse marchigiano, che assimila e manifesta notevoli influssi della scuola umbra. “Si tratta di un pittore dalla mano agile, dal racconto facile, dal dialogo leggero, che riesce ad infondere nelle figure un certo sapore d’incanto. Soprattutto i volti delle Madonne rivelano una grazia ed una dolcezza, cariche di mistica poesia”.  Questo stesso pittore nella chiesa dell’abbazia di S. Ruffino dipinse, probabilmente nello stesso anno, il trittico raffigurante la Vergine col Figlio tra due immagini di S. Ruffino, sito nella parete destra, all’altezza della scala che ascende al presbiterio. Nella chiesa rurale della Madonna del Carmine, alto santuario politico esistente nel territorio di Monsampietro Morico, nei paraggi del Cimitero, c’è un affresco della prima metà del Quattrocento che può essere messo in relazione con il ciclo di Santa Maria a piè d’Agello, nello stile del disegno e nell’inserimento di angeli musici come strumenti musicali analoghi.

Quindi si può concludere che il santuario e gli affreschi di Amandola non sono un fenomeno edilizio e pittorico isolato, singolare ed autonomo. Essi rappresentano un modo di interpretare e manifestare pubblicamente con coralità sorprendente, oggi irripetibile, il sentimento religioso di un’intera comunità cittadina, impotente dinanzi al ripetersi di epidemie pestilenziali, che mietevano vittime in gran numero nella famiglia umana e nel patrimonio zootecnico, particolarmente numeroso nelle zone di montagna. Ogni paese del Piceno enumera uno o più “Santuari politici” eletti in seguito a pubblico voto emesso in occasione di calamità diverse, convenientemente sovvenzionati e mantenuti dal pubblico erario, da elemosine e donazioni di privati, variamente decorati con opera d’arte di architettura, scultura e pittura. Essi restano come monumenti di storia, di costume e di fede del nostro popolo, come meta di pellegrini e di turisti, come sosta incantevole per i cultori dell’arte antica.

Gli amandolesi sono veramente orgogliosi del loro piccolo “Santuario”, il richiamo d’arte, di storia e di fede (31).

Crocetti D. Giuseppe

NOTE

(1)- M. SENSI, Santuari politici “contra pestem”: l’esempio di Fermo, in “Miscellanea di Studi Marchigiani in onore di Febo Allevi”, pubblicazione n.36 della Facoltà di Lettere dell’Università di Macerata, 1987, pp. 606-652. AA.VV., Cola dell’Amatrice, Ed. Cantini, Roma, 1991, Catalogo della Mostra, p. 260 con illustrazione 5/a. Sin dall’antichità la freccia è simbolo della peste. Il canto I dell’Iliade (vv. 18-88) narra del dio Apollo che, offeso dai greci, si scatena fra le loro truppe il “feral morbo”, scagliando “le divine quadrella”. Anche nella Bibbia si legge che la collera divina punisce l’uomo per i suoi peccati: “Nisi conversi fueritis, gladium suum vibrabit; arcum suum tetendit et paravit illum”. (Ps,7, v.13; Job.27,22), S. Sebastiano, indenne dalle frecce (emblema della peste) fu invocato come “depulsor pestilitatis”, sia della peste di Roma del 680, come in quella più estesa degli anni 1348-49, quando fu riconosciuto universalmente come protettore contro la peste.

(2)- Dizionario Enc. It. Vol.VII, p.807, al vocabolo in 2^ accezione: Compagnia della Misericordia e Madonna della Misericordia.

(3)- G. CROCETTI, Una nota sul Maestro di Offida, in “Arte Cristiana” n.746, pp.343-62; con illustrazione a p.361.

(4)- L. MURATORI, Rerumu Italicarum Scriptores, T.XVII.

(5)- ANTON DI NICOLO’, Cronaca della città di Fermo, con note ed aggiunte di G. De Minicis, Firenze 1870, pp.27-28. G. CROCETTI, Gli affreschi di S. Maria della Petrella, in “Notizie dal Palazzo Albani” VIII (1979) n.I, pp.15-45; in edizione ampliata, Ripatransone 1981; Guida storico turistica di S. Vittoria in Matenano, Fermo 1977, pp.15 e 17.

(6)- P. FERRANTI, Memorie storiche della città di Amandola, Ed. Maroni, p.48.

(7)- G. CROCETTI, Gli affreschi di S. Maria della Petrella, op. cit.; Il Santuario della madonna della Misericordia, Fermo, 1987.

(8)- P. FERRANTI, op. cit., p.645.

(9)- G. CROCETTI, Montefortino, guida storico-turistica, Fermo 1988.

(10)- Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, I.B.2 Collationes, c.242. In seguito ASAF. M. SENSI, op. cit., pp.246-47  il testo della pubblica licenza vescovile.

(11)- M. SENSI, op. cit. Documenti VIII, IX, XI, XII, pp.443-49.

(12)- P. FERRANTI, op. cit., p.654. All’esimio autore rimase conosciuto il documento pubblicato recentemente dal Censi.

(13)- Ibidem, pp.183 e 646.

(14)- Ibidem, p. 645.

(15)- Ibidem, p.645 e 678.

(16)- ASAF, I.B.3, Sacra Visita del 1574; Amandola, Chiesa rurale di S. Maria della Misericordia.

(17)- P. FERRANTI, op. cit., p.645-646.

(18)- Ibidem, p.647.

(19)- Ibidem, p.647.

(20)- Ibidem, p.648.

(21)- G: CROCETTI, Amandola: S. Maria a Piè d’Agello, nel settimanale: “La Voce delle Marche”, Fermo 11 maggio1975, p.6.

(22)- G. CROCETTI, Gli affreschi di S. Maria di Casalicchio in Montemonaco, in “Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo”, n.15 (1993).

(23)- A. BITTARELLI, Sarnano: Le Grazie: La pittura in una chiesa rurale, nel settimanale “L’Appennino Camerte”, Camerino 11 marzo 1981.

(24)- G. CROCETTI, Gli affreschi di S. Maria della Petrella, op. cit., Ripatransone 1981.

(25)- F. SCOCCIA, Tre chiese farfensi nella valle dell’Ete Vivo, tesi di laurea èpresso l’Università di Urbino, A.A.1976-1977, pp.113-154.

(26)- G. CROCETTI, La pittura di Fra’ Marino Angeli e dei suoi continuatori, Urbino 1985. Appendice: Gli affreschi di S. Maria di Verdente nel territorio di Rotella, pp.157-73.

(27)- Nel 1975, questo affresco fu distaccato e trafugato da “esperti” di affreschi, rimasti tuttora ignoti; i medesimi distaccarono ed asportarono il gruppo dei personaggi dipinti al lato destro sotto il manto della Madonna della misericordia ed anche altri tre dipinti raffiguranti la Madonna col bambino. Il furto fu scoperto il 20 maggio 1975. Le foto riprodotte furono scattate dallo scrivente in un sopralluogo fatto qualche mese prima (Cfr. G. CROCETTI, Amandola, ignoti esperti staccano e rubano affreschi quattrocenteschi, nel settimanale “La voce delle Marche”, Fermo 1 giugno 1975, p.7.

(28) G. CROCETTI, Amandola: S. Maria a Piè d’Agello, nel settimanale cit., p.6. Nel tempo intercorso tra la rimozione dello strato di calce che ricopriva gli affreschi delle pareti laterali ad opera del pittore Costantino Traietti, religioso agostiniano, coadiuvato dal prof. Giannino Gagliardi di Ascoli Piceno, eseguita e pubblicizzata con articoli sulla stampa locale nel 1969, ed il restauro eseguito dopo quasi vent’anni nel 1988, parte dell’intonaco con la segnatura, licenziatosi dalla parete, frantumò a terra, senza possibilità di recupero. Fu una vera fortuna l’aver potuto leggere, trascrivere e pubblicare quella interessante iscrizione dal punto di vista storico.

(29)- G. CANTALAMESSA, Panfilo di Spoleto, in “Archivio Storico dell’Arte”, 1 (1988), p. 374, riprodotto anche in “Memorie storiche della città di Amandola” di P. FERRANTI, Ed. Maroni, vol. II, pp. 504-06. Oggi si smentiscono le attribuzioni a questo Panfilo.

(30)- Questo studio fu steso per una conferenza espositiva con proiezioni, tenutasi in Amandola nel 1989, presso l’aula magna della locale Cassa di Risparmio, promossa dal Dr. Renzo Mori, quale esponente di un gruppo locale di studio in seno al Circolo Cittadino, per cui sento il dovere di ringraziarlo, non solo per il grande stimolo alla ricerca, ma anche per la calorosa accoglienza e numerosa partecipazione di scelto uditorio.

(Digitato da Albino Vesprini; autore Crocetti G.)

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