DIPINTI DI DOMENICO MALPIEDI IN AMANDOLA studio di Giuseppe CROCETTI
Uno studio approfondito sulla personalità artistica del pittore e scultore ginesino, Domenico Malpiedi, noto come attivo dal 1593 al 1651, non è stato ancora affrontato dai critici della pittura marchigiana e nazionale del seicento. Delle sue opere fanno cenni occasionali alcuni autori di pubblicazioni riguardanti la storia locale (1). Fra questi sono da ricordare l’arciprete Pietro Ferranti e il Padre Nicola Concetti che scrissero su argomenti riguardanti storia e personaggi di Amandola (2). Per quanto ci risulta, nel remoto passato, solo il critico d’arte, Amico Ricci (3) nel 1844, gli dedicò poco più di una pagina per ricordare alcune sue opere ed affermare che, probabilmente, il Malpiedi non fu alla scuola di Federico Barocci (4) bensì, fosse stato apprendista presso qualche suo discepolo, come, ad esempio, Filippo Bellini (5); supponeva, inoltre, che, almeno per le prime opere, derivasse dai pittori Zuccari (6) per quel suo modo preferito di colorire, aggiungendovi, quando volle, più forza e più carattere. Recentemente la figura di questo artista polivalente, – pittore, scultore modellatore – è stata oggetto di interessanti iniziative conoscitive, prodotte dallo scrivente e dalla prof. Gabriella Romanelli con una brillante tesi di laurea, discussa presso l’Università di Urbino, nonché da alcune schede inserite nel catalogo della mostra ascolana del 1992 su Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V, e nel volume Studi su Pietro Zampetti, promosso dall’Istituto per la storia dell’arte, curato dal prof. R. Varese (7). Il Malpiedi, nei suoi primi 20 anni di attività, dal 1595 al 1615, si attenne agli insegnamenti stilistici dei grandi maestri del suo tempo, raggiungendo discreti livelli di un’arte accettabile per varietà di soggetti, per composizione e cromatismo. In seguito ripeteva le figure e i soggetti convenzionali. Di ciò, probabilmente, fu consapevole lui stesso. Alcune opere sono firmate e datate (8).
A – N o t e b i o g r a f i c h e . Domenico Malpiedi nacque a Sanginesio intorno agli anni 1570-75, nelle pertinenze della Parrocchia di San Gregorio, dove tuttora si conserva la sua casa (9). Nessuno, finora, ha avuto cura di pubblicare ricerche per la ricostruzione di una decorosa biografia. Dalla indagine della Romanelli e dai successivi contributi di ricerca storica, indicati in nota, vengono desunte le brevi note cronologiche sulla vita e sulle sue opere d’arte certe ed attribuite, nella pittura, nell’intaglio, negli stucchi di gesso e nelle dorature.
1593- Su proposta del sig. Cornelio Severini è iscritto alla Confraternita del SS.mo Sacramento di Sanginesio (10).
1595- Dipinge “L’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo” che è nella collegiata di Sanginesio. Questo quadro acquistò notorietà per la miracolosa figura della Madonna che, nel 1851, mosse gli occhi (11).
1596- Esegue pitture per il convento di S. Agostino in Sanginesio.
1597-Dipinge su tela “L’Immacolata” per la Congregazione (confraternita)di S. Maria.
1601 – Per i Giuliani di Treia firma la pala dell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco: “Dominicus Malpedis de Sangenesio pinsit 1601”. Per i Frati Minori Conventuali di Sanginesio dipinge la pala dell’altare maggiore, raffigurante “San Francesco in gloria”.
1502 ca. – Per il Monastero di S. Maria delle Rose di Sant’Angelo in Pontano dipinge e firma: “Dominicus Malpede pinxit” una tela raffigurante in alto, “L’Annunciazione”, ed in basso, “L’evangelista S. Luca tra S. Francesco e S. Nicola” nativo di S. Angelo”, comunemente detto di Tolentino.
1604 – E’ presente in Amandola, dove dipinge i 15 ‘Misteri del Rosario’ per l’Oratorio del Santo Rosario, dietro compenso di 50 fiorini (12).
1605- Dipinge l’ex voto del Card. Evangelista Pallotta di Caldarola, per grazia ricevuta dal Beato Antonio d’Amandola.
In Sanginesio è eletto Priore della Confraternita del SS.mo Sacramento.
1606- Fa il progetto per la Cappella ed il Monumento del Beato Antonio nella chiesa dei Padri Agostiniani di Amandola, che fu approvato dalle autorità civili ed ecclesiastiche (13).
1607- Stucca e dipinge la Cappella della SS.ma Spina e di S. Monica in S. Maria di Piazza a Loro Piceno (14).
1612 – Porta a termine la decorazione con stucchi e pitture ad olio sul muro della Cappella del Beato Antonio (15). Per la chiesa di S. Agostino di Montefortino dipinge la pala dell’altare di S. Nicola di Tolentino (16). In Montemonaco, nella chiesa di S. Maria di Casalicchio decora l’altare di S. Sebastiano.
1613 – A Sanginesio nella chiesa della Madonnetta dipinge su tela “L’Immacolata Concezione”, ora esposta nella sacrestia di S. Francesco (17).
1615 – A Sanginesio decora il refettorio del Convento agostiniano.
1616 – Dipinge lo “Stendardo del Rosario” per la omonima Confraternita di Amandola.
1618- Nella Collegiata di Sanginesio decora la Cappella della Pietà e la balaustra della cantoria dell’organo.
1619 – A Falerone, nella chiesa di S. Francesco costruisce e orna all’altare il legno di S. Fortunato , poi rimesso in oro da Bernardino Malacarne di Santa Vittoria; nella pala dipinge ad olio su tela la figura del Santo ed i suoi miracoli (18).
1620- A Sant’Angelo in Pontano dipinge il Cappellone di S. Nicola e l’altare di S. Tommaso di Villanova.
1621 – In Montefortino, Santuario Madonna dell’Ambro, decora la Cappella di S. Michele su commissione del pievano Don Curio Pavoni, originario di Amandola (19).
1630 – A Mogliano decora con stucchi e tele la Cappella di S. Giovanni Battista, nella chiesa di S. Maria da piedi; ora le tele sono esposte nel Museo Parrocchiale (20).
1634 – Il Comune di Montefortino finanzia la costruzione e l’ornato dell’Altare maggiore del Santuario dell’Ambro sopra il quale resta la scena dell’Annunciazione, dipinto ad olio sul muro. Gli si attribuiscono anche stucchi e dipinti eseguiti nelle cappelle laterali (21).
1636 – Decora con statue, stucchi e dipinti ad olio su muro, il coro nella chiesa di S. Maria del Girone in Montefortino.
1640 – Intaglia l’urna del B. Antonio d’Amandola, con sei dipinti negli sportelli.
1641 – Completa il ciclo pittorico della cappella del B. Antonio, decorando l’arco trionfale sopra l’altare maggiore (22).
1643 – A Sanginesio orna con stucchi l’altare di S. Andrea nella chiesa di S. Agostino.
1648 – A Montefortino decora con stucchi e dorature l’altare di S. Nicola di Tolentino nella chiesa di Sant’Agostino (23). In Amandola riceve l’incarico di indorare l’altare maggiore nella chiesa della SS. Trinità, dove dipinge Dio Padre nel timpano ed i Santi Ruffino e Vitale ai lati del Crocifisso (24).
1651 – Datazione della pala d’altare della Cappella Palmieri nella chiesa della Madonna della Fonte in Montefortino (25). In questa chiesa sono da attribuirgli anche gli stucchi ed i dipinti ad olio su muro delle altre due cappelle, eseguiti tra il 1648 ed il 1651.
Da questa documentazione biografica emergono, a grandi linee, validi elementi per alcune considerazioni sul Malpiedi:
a)- Fu un Maestro polivalente: pittore, intagliatore, scultore, stuccatore e doratore; un artigiano longevo, intraprendente, operante ancora alle soglie dei suoi ottant’anni.
b)- Svolse prevalentemente la sua attività su richiesta delle popolazioni montane del Sibillini: Sanginesio, Sarnano, Sant’Angelo in Pontano, Montefortino, Amandola. Solo inizialmente si allontanò dai monti per collocare sue tele a Caldarola, Tolentino, Treia, Falerone e S. Maria a Mare.
c)- i Padri Agostiniani, in modo particolare, furono suoi mecenati a Sanginesio, Tolentino, Sant’Angelo, Amandola, Montefortino: i Frati Francescani, Conventuali e Riformati, a Sanginesio, Treia, Falerone e Montefortino.
d)- Al suo fianco collaborarono come doratori nella costruzione di altari a forma di cappella: il M° Bernardino Malacarne di Santa Vittoria a Falerone ed un suo fratello in Amandola e Montefortino nell’ultimo decennio della sua vita.
B – L a v o r i e s e g u i t i i n A m a n d o l a
Domenico Malpiedi fu presente in Amandola in diversi periodi della sua vita, compresi tra il 1604 e il 1648. Vi lasciò ogni genere di opere d’arte, riguardante pitture, intagli e dorature. Alcune di esse restano ancora, ma la gran parte è andata perduta. Attraverso la documentazione archivistica, in ordine cronologico si procede all’esposizione dell’une e dell’altre.
1° – I QUINDICI MISTERI DEL SANTO ROSARIO (olio su tavola).
Nell’Oratorio del Rosario, comunicante sul lato destro con la chiesa di S. Francesco, già Cappella di S. Sebastiano, il 13 aprile 1604 fu eretto un altare, lavorato a stucco dal bolognese Mastro Vincenzo Bagnolo, per il prezzo di 50 fiorini. La stessa somma fu pagata al Maestro Domenico Malpiedi il 20 novembre dello stesso anno, perché aveva dipinto ad olio i “Quindici Misteri del Santo Rosario” (26), su cornice di noce; intorno all’affresco preesistente, dipinto da Stefano Folchetti, documentato all’anno 1492, raffigurante la “Madonna del Latte”. Probabilmente questa stessa cornice fu trasferita nella chiesa di Santa Maria a piè d’Agello, allora amministrata dalla stessa Confraternita del S. Rosario. Nel 1636, infatti, venne a cadere il frontespizio dell’altare fatto gli stucchi; per cui la Confraternita, il 30 settembre 1652, deliberò di fare un ornato più maestoso con Cappella di legno lavorato, come si vede al presente.
Nell’Inventario della confraternita del s. Rosario dell’anno 1772, si legge che nel muro opposto all’altare maggiore della chiesa di Santa Maria a piè d’Agello esisteva “un’antica cornice di noce con intorno dipinti vari scudi, rappresentanti 15 Misteri del SS.mo Rosario, ma la maggior parte appena più si conosce”. Il Ferranti udì che quest’antica cornice doveva, per certo, essere la stessa che il Malpiedi dipinge nel 1604 per l’altare dell’Oratorio del Rosario (27).
2°- EX-VOTO DEL CARD. Evangelista PALLOTTA (olio su tela)
Nel Summarium n.9 del Processo per la canonizzazione del Beato Antonio (28) si trascrive una ricevuta, tratta dalle Liber Exitus 1602-1607: “Adì 26 gennaio 1605. Item Misser Domenico Malpiede da S. Ginesio (riceve) per mercede del “Voto facto al B. Antonio” per conto dell’Illustrissimo (di) Cosenza, fiorini dieci”.
Evidentemente si fa riferimento ad un quadretto, dipinto votivo, commissionatogli dal Card. Evangelista Pallotta, vescovo di Cosenza, il quale in quel tempo dal Comune di Amandola era stato scelto come suo Protettore nei rapporti con Roma. Questo dipinto su tela fu descritto nel verbale della Visita Giudiziale del 9 luglio 1756. “Vi si rappresenta un Cardinale infermo in letto in atto di preghiera, con l’effigie del beato Antonio in aria, circondato di gloria (29).
3°- CAPPELLA DEL B. ANTONIO NELLA CHIESA DI S. AGOSTINO
Ne “Libro degli Annali 1606-07”, a pagina 3, si legge che nel Consiglio Generale del Comune d’Amandola del 1 gennaio 1606, previa deliberazione unanime del Consiglio di Credenza, fu dato incarico ai Magnifici Signori Priori di eleggere una Deputazione, o Collegio di cittadini “per costruire ed erigere la Cappella e il Monumento in cui onoratamente riporre il Corpo del nostro Beato Antonio”.
Detta Deputazione fu costituita il 3 gennaio 1606; formata da 12 persone: 5 ecclesiastici e 7 laici. Mons. Claudio Picucci, abate Commendatario di S. Anastasio, l’arciprete Perugini, il proposto Fausto Ascenziani, Don Pellegrino Pucci, Don Alessandro Trovarelli, il Cav. Fabio Plebani, il Capitano Giovanni Riga, Marcello Gallo, Melchiorre Gianetti, Melchiorre Vannucci, Potenziano Vannucci, Anchise Guglielmucci. Nel successivo Consiglio generale del 6 marzo 1606, affinché si potesse deliberare il contributo dell’Amministrazione comunale per la Cappella e Monumento del Beato Antonio, si stabilisce che prima doveva farsi il progetto particolareggiato dall’egregio pittore e scultore “Malpidio” da San Ginesio da inviare all’ill.mo card. Legato per l’approvazione (p.16).
Nel “Libro degli Instrumenti dall’anno 1605 fino all’anno 1614” (p.49), si legge che il proposto Ascenziani ed il Priore di Sant’Agostino furono inviati al Card. Legato che si trovava in Ascoli; il progetto fu approvato il 10 marzo 1606, ed il “Comune vi poteva contribuire fino alla somma di 100 scudi, purché la fabbrica sia per condursi a perfezione, e non si cominci con li denari della Comunità”. Il Comune di Amandola, con atto del 17 marzo 1606 si impegnò a dare alla detta Deputazione, come contributo per la erezione della Cappella e Monumento al B. Antonio, cento scudi da versare in due rate: Scudi cinquanta, dopo completata la terza parte della predetta Cappella, ed il residuo alla fine.
Nel “Liber Exitus 1606-1613” si legge che la prima rata fu soddisfatta dal Comune il 30 novembre 1610, prelevando la somma dal sopravanzo della Gabella (p. 190). Il saldo, poi, fu effettuato nelle mani dell’abate Picucci e del capitano Riga, il 14 novembre 1612 (p.261), essendo l’opera alla fine (30).
Da quanto riferito sopra si deduce che il Malpiedi per alcuni anni fu presente in Amandola in modo pressoché continuo per la esecuzione dei suddetti lavori, che furono vari e grandiosi, secondo il costume del tempo. Essi riguardavano la costruzione dell’altare maggiore, l’erezione del monumento al centro dell’abside, dietro detto altare, la decorazione delle pareti circostanti, della volta e del catino con cornici e cornicioni lavorati in stucco di gesso, e vari dipinti ad olio su muro con figure allegoriche e “Storie” del glorioso taumaturgo amandolese.
Di tanto lavoro oggi non resta nulla per poter esprimere un giudizio di merito. Però, ci è pervenuta una particolareggiata descrizione, redatta il 9 luglio 1756, in occasione della “Visita Giudiziale” alla Cappella, eseguita in forma solenne ed ufficiale nel corso del Processo per la Canonizzazione del Beato Antonio d’Amandola (31). Ci sembra opportuno trascriverla nei passi più interessanti, nel resto, riferire solo il soggetto delle singole pitture.
“Ha l’ingresso questa cappella al pian di terra con scalinata, in mezzo alla quale sta eretto l’Altare Maggiore, che dicesi comunemente del Beato Antonio; ed ai due lati viene chiusa per l’ingresso con due cancelletti arabescati, e con vari altri ornamenti e lavori di ferro, in parte dorati. Tiene di sito questa Cappella palmi trenta e mezzo di lunghezza, i palmi ventisette di larghezza al pavimento (32).
“Tiene questa Cappella il primo luogo nella chiesa dei reverendi Padri dell’Ordine di S. Agostino. Ella è in tutte le parti ornata di vari stucchi, pitture, rabeschi, fiorami, che non rendono vago aspetto per la simmetria con cui sono ripartiti, e per le pitture assai dimostrative….” (33).
Erano pitture ad olio su muro, contornate da cornici piene, rilevate di stucco e dorate negli intagli, simili a quelle eseguite nel 1512 da Martino Bonfini nella Cappella della Madonna presso il Santuario dell’Ambro Montefortino, o quelle dello stesso Malpiedi che tuttora si possono ammirare nella chiesa di Santa Maria di Piazza in Loro Piceno, nelle due Cappelle del lato destro, eseguite nel 1607, o nel Coro della chiesa di S. Francesco in Montefortino.
Nella nostra ricostruzione della Cappella del Beato Antonio indichiamo stucchi e pitture eseguiti dal M°. Domenico Malpiedi. Nella parete destra, in cornu Evangelii (34) nella prospettiva e nella parete sinistra, in cornu Epistolae, al registro superiore sono dipinti i seguenti soggetti:
1- Il Beato Antonio giovanetto impara a leggere con un monaco benedettino; in un antro fa penitenza.
2- Vestizione del B. Antonio e suo ingresso nella Religione Eremitana degli Agostiniani.
3- Il Beato Antonio, in abiti sacerdotali, è in adorazione del SS.mo Sacramento; dietro il capo ha una grande aureola (35).
4- Figura del Beato genuflesso in preghiera; – altra figura, stesa sul tavolaccio.
5- Il Beato predica e confessa.
Un cornicione ampio e spazioso, circondava tutto intorno la Cappella; era decorato con intagli minuti e con dorature. Esso divideva in due ordini, o registri, la serie delle cornici con i dipinti; sopra di esso, lateralmente sedevano due angeli modellati con stucco di gesso; nella parte in prospettiva due figure muliebri ed allegoriche in stucco: quella dal lato del Vangelo teneva in mano uno specchio, quella dal lato dell’Epistola travasava acqua da un vaso all’altro (36).
Questi i soggetti dipinti nel secondo registro:
6- Il Beato Antonio amplia la costruzione del convento.
7- Guarigione dei due bambini col semplice segno di croce.
8- Morte del Beato Antonio, che chiese di essere sepolto in chiesa.
9- Ricognizione del corpo del Beato, rimasto incorrotto dopo due anni.
La prospettiva centrale, nella parete di fondo, era stata modellata a forma di Cappella (37); questa, lateralmente, era ornata con le statue in gesso dei profeti Isaia e Geremia, nonché da due quadretti raffiguranti:
10- Il Beato Antonio percosso dal demonio.
11- Il Beato che si disciplina dinanzi al crocifisso; un demonietto, da dietro, gli trattiene il flagello.
Nel mezzo stava una tela, dipinta ad olio, raffigurante:
12- Il Beato Antonio in gloria che stringe con la mano destra una nuvola grondante pioggia, era in ginocchio, in atto di ricevere la corona di gloria, recata dagli Angeli (38).
Sopra il cornicione del registro mediano, a destra, si aprivano due finestroni abbelliti, che davano luce alla cappella; nello spazio tra le due finestre, dentro cornice rettangolare con stucchi lavorati e dorati, era raffigurato:
13- L’Altare del Beato Antonio con sua figura, davanti alla quale era genuflesso un pellegrino in preghiera.
Sul lato opposto corrispondevano due finestroni finti; nella cornice rettangolare, simile alla prima, era raffigurato:
14- Il miracolo dell’uomo che cade dalla torre, fermato dal Beato Antonio, che lo ripiglia con le proprie mani.
Nella parete di fondo del medesimo giro, nel riquadro della cornice centrale, e quelli laterali erano rappresentati:
15- Il Beato Antonio tra molti Santi.
16- Sant’Agostino.
17- S. Nicola di Tolentino.
Nella volta della cappella, dentro cornicione ovale, ornato di stucchi, dorature ed arabeschi vari, era rappresentata:
18- La SS.ma Trinità con vari Angeli, molti dei quali fanno festa con suoni e canti, mentre due di essi presentano l’anima del Beato, in figura di bambina, al trono della Triade divina.
Ai lati si vedevano quattro cartelloni con i seguenti motti:
“REVERTITUR AD PROPRIA” — “GLORIA VITA TUA” — “NON DEFICIET” – “IPSA TE DOCET”
Nell’arco trionfale, sopra l’altare maggiore figuravano:
19- Le tre virtù teologali: Fede-Speranza-Carità.
Nel fronte dei pilastri dell’arco trionfale erano dipinti:
20- S. Monica, madre di Sant’Agostino.
21- Un Serafino, dentro cornice ovale.
22- Il miracolo dell’uomo che cade da cavallo.
23- S. Tommaso da Villanova, vescovo agostiniano.
24- Un Serafino dentro cornice ovale.
25- Guarigione di un infermo per intercessione del Beato.
Le date segnate nei due pilastri: “ 1641” e “ 1647”, probabilmente, indicano il lasso di tempo occorso per la decorazione della Cappella, o almeno di parte di essa come secondo intervento, in seguito al trasferimento del corpo del Beato Antonio nell’urna, avvenuto il 23 gennaio 1641.
Sulla sommità dell’arco trionfale sporgeva un cartellone, sorretto da vari angeli, modellati in stucco di gesso, decorato con fregi messi in oro, recante la seguente scritta dedicatoria: “DIVO ANTONIO AMANDULENSI \ VERAE RELIGIONIS AUGUSTINIANAE \ CULTORI VERO”
Inoltre, l’estensore del “Verbale” riferisce che tra un quadro e l’altro, in riquadri rettangolari ed ovali, erano dipinte in chiaroscuro figure simboleggianti alcune virtù del Beato: quali la Pazienza, la Vita contemplativa, la Perfezione, la Penitenza, ed il Silenzio; così pure nell’infrarosso dell’arco trionfale erano modellate in stucco le figure di altri Profeti, recanti i propri motti (39).
Di tutto questo ornato, esistente nell’antica Cappella, opera del Maestro Domenico Malpiedi, ora non esiste più nulla. Due anni dopo la redazione del citato “Verbale”, nel 1758, l’ex ministro Provinciale OESA, il rev. Padre Nicola Savini, fatto cittadino amandolese, il 29 giugno 1754, in quanto fu zelante “Procuratore” nel promuovere l’ultimo “Processo“ per la canonizzazione del Beato Antonio d’Amandola, nell’euforia del successo ottenuto, essendo stato nominato Priore del Convento di Amandola, volle ingrandire e riformare tutta la chiesa di S. Agostino con volte ed ornati, secondo il progetto redatto dall’architetto Pietro Maggi di Ascoli. La chiesa rimase chiusa per 22 anni; quando nel 1780 fu riaperta al culto apparve molto spoglia, perché meglio risultassero le linee dello stile neoclassico allora imperante, furono demolite tutte le cornici e le decorazioni barocche, e scrostati tutti i dipinti siti nel presbiterio e nel coro. “Cosa veramente deplorevole“, come scrisse, per esprimere il suo rammarico, lo storico di Amandola, Don Pietro Ferranti (40).
4°- MADONNA COL FIGLIO IN GLORIA E I SANTI VINCENZO ED ANASTASIO
Collocazione ad Amandola, nella Badia dei SS. Vincenzo ed Anastasio (41). Pala d’altare (300 × 180), olio su tela. Segnatura: CLAUDIUS PICUTUS ABBAS AD PERPETUAM MEMORIAM SS. VINCENTII ET ANASTASII (instr)UERE CURAVIT. Datazione: circa l’anno 1610.
Sullo sfondo raffigurante un paesaggio montano, in alto, è rappresentata la Madonna in gloria, in veste rossa e manto azzurro, assisa su di una grande nuvola, mentre sorregge il Figlio ed un mazzo di rose, circondata da testine alate (angeli). In primo piano stanno le figure dei santi titolari: il diacono Anastasio in dalmatica rossa, e Vincenzo in abito monastico nero. Al centro, lo stemma dell’Abate Commendatario, Mons. Claudio Picucci di Amandola, che resse detta chiesa dal 1576 al 1614 (42), e ne fu il committente.
L’attribuzione della tela in favore del pittore ginesino, Domenico Malpiedi, scaturisce sia dal confronto stilistico con le opere certe, firmate o documentate nel primo periodo della sua attività pittorica, ad esempio, la pala di Treia, e la tela “Madonna delle rose” di Sant’Angelo in Pontano, come pure dal rapporto di amicizia personale tra il pittore ed il committente. L’abate Picucci, come si è visto nel paragrafo 3°, essendo al capo dei Deputati per la costruzione della cappella del Beato Antonio nella chiesa di Sant’Agostino, per diversi anni, dal 1606 al 1612, ebbe contatti personali con l’artista nella fase di progettazione e nei periodici pagamenti. Per le accennate ragioni, questa tela, è da datare al 1610.
Purtroppo nel dicembre del 1983 la tela fu tagliata e staccata dalla sua cornice, e trafugata da ladri, restati tuttora ignoti (43). Prima del furto la tela risultava in mediocre stato di conservazione, con colore opaco, lacunoso e presenza di maldestre ridipinture.
5°- CORNICE INTAGLIATA
Collocazione ad Amandola, nella chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio, già pala dell’altare maggiore, ora riposta in sagrestia. Materia: Legno di noce piena con intagli.
Misure: Listello 17,5; cornice 325 × 215. Datazione: Circa l’anno 1610.
È la cornice originaria della tela schedata nel paragrafo precedente. È un lavoro d’intaglio su legno di noce piena, conservato in buono stato. Poiché il Malpiedi era anche scultore ed intagliatore, se ne propone l’attribuzione in suo favore. Lo stile del disegno corrisponde ad altri lavori degli inizi del sec. XVII. Il listello sviluppa all’esterno una fascia mistilinea, piatta; mentre all’interno presento un motivo di foglie stilizzate, intagliate a giorno. Il manufatto risulta pregevole per la materia di noce piena, e per la raffinata esecuzione del motivo stilizzato e per il buono stato di conservazione.
6°- STENDARDO DEL SANTO ROSARIO E FIGURA DI S. DOMENICO.
Il 31 dicembre 1616 Domenico Malpiedi rilascia quietanza per aver ricevuto 48 fiorini per uno stendardo del Santo Rosario, e fiorini 3,30 per la pittura di San Domenico nell’altare del Rosario per rose fattevi e “raccomodatura del manto della Madonna” (44). L’uno e l’altro sono andati perduti da molto tempo.
7°- L’URNA DEL BEATO ANTONIO
Per oltre vent’anni, dal 1618 al 1640, si raccolsero offerte per l’acquisto di una cassa di cristallo per la conservazione e l’esposizione del corpo incorrotto del Beato Antonio (45). Detta cassa, o urna, fu commissionata al Maestro Malpiedi, il quale ne fece consegna intorno al 1640, come riferiscono gli storici amandolesi (46). Nel Summarium n°4, del Processo per la Canonizzazione si può leggere una dettagliata descrizione di essa, fatta il 9 luglio 1756.”In mezzo al pavimento di questa cappella (dietro l’altare maggiore) sta un piedistallo murato (…) sopra di cui esiste altro piedistallo piano in legno di noce, adorno di cornici, alto oncie dieci, nel cui fronte corre la seguente iscrizione: ARCAM HANC HAER(edes) JOSEPH CUCCHIARONI ET HIERONIMAE EIUS SORORIS INAURARE FECERUNT…” (47).
Sopra il piedistallo di legno si trova collocata l’urna, alta palmi quattro ed oncie cinque, larga palmi cinque ed oncie sei, lunga palmi dieci ed oncie sei e mezza; adornata da piramidale cappello, lavorato ed abbellito con ogni buon gusto (…) a capo del quale, al chiudersi della piramide, ergonsi sei monti, stemma della Terra di Amandola, e sopra di essi, in luogo dell’albero, sta elevata la Croce.
L’arma descritta, di vaga asimmetria, è in apparenza di legno di noce, in più parti, però, è posta in oro, abbellita di varie e diverse rilevanti cornici, fogliami, cartocci, di due teste di Serafini e di quattro Angioletti tutti in oro, ove vengono collocate più candele in venerazione del Beato (…) La suddetta Urna ha all’esterno sei sportelli chiusi con chiave. Nello specchio di ogni sportello erano raffigurati in pittura ad olio su vetro alcuni miracoli operati per intercessione del Beato Antonio. Nei vetri delle testate:
1° – Il Beato Antonio fra nubi, circondato di aureola, con una donna genuflessa per chieder grazie.
2°- Il Beato Antonio circondato di gloria, con una figura di uomo che implora il suo soccorso. Iscrizione: BILINGUEM SANAT.
Nei vetri degli sportelli anteriori:
3°- Il Beato Antonio è fra le nubi ed appare sopra il mare dove sono legni turcheschi ed una nave cristiana con persona che implora soccorso. Iscrizione: A TURCIS AC TEMPESTATE DEFENDIT.
4° Il Beato Antonio con quattro cadaveri di due persone che lo invocano in aiuto. Iscrizione: MORTUOS REVOCAT AD VITAM.
Nei vetri degli sportelli posteriori:
5° – Figura del Beato Antonio tra le nubi con aureola, circondato da vari infermi. Iscrizione: LIBERAT AB OMNI MALO.
6° – Soggetto irriconoscibile, cassato e consunto (48).
Oggi di tutto questo non resta che un vago ricordo nei tre sportelli, malamente riverniciati, conservati in un ripostiglio del convento. La riproduzione fotografica di uno di essi ci dà l’idea dello stile architettonico della complessa arca monumentale che troneggiava, come tumulo, in mezzo alla zona absidale della chiesa. A tal proposito si può osservare anche il dipinto a tempera dell’antico chiostro che si conserva nella lunetta sopra la porta d’accesso alla sacrestia, dove è raffigurata l’urna sopra un grande zoccolo in muratura; di essa si vede bene la testata che riproduce quella eseguita dal Maestro Domenico Malpiedi.
Il corpo intatto del Beato Antonio fu traslato in quest’arca il 23 gennaio 1641 (49). Giulio Cantalamessa, critico d’arte della fine del secolo XIX, in merito ai predetti sportelli scriveva: “Dai residui scarsissimi degli specchi che decorano quest’urna apparisce il Malpiedi come un coloritore brillante e succoso. La sua perizia nel disegno non è giustificabile da queste pitture, sia perché esse rappresentano poco più che bozzetti, sia perché sommo deperimento impedisce le indagini” (50).
8° – S. MARIA A MARE TRA S. GIOVANNI B. E S. ROCCO
Collocazione ad Amandola, nella chiesa di S. Francesco, proveniente dalla chiesa di S. Rocco di Piazza Alta. Materia: è un dipinto ad olio su tela. Segnatura: “EFFIGIES SANCTAE MARIAE AD MARE”. Datazione: circa l’anno 1648 (51).
La Beata Vergine è raffigurata in piedi, in riva al mare, mentre sorregge sul lato destro il Figlio benedicente; indossa una veste color rosa antico, ricoperta dal manto azzurro, che scende dalla testa fino ai piedi. Un drappo color vinaccio fa da sfondo in un cielo coperto da nubi.
Alla sua destra sta S. Giovanni Battista che indossa una veste di lana caprina, parzialmente coperta sul lato sinistro da un manto rosso che scende dalla spalla; e con la sinistra sorregge un cartiglio con la scritta “ECCE AGNUS DEI”; ha piedi scalzi. Sul lato destro la figura in piedi di San Rocco, titolare della chiesa originaria; sul petto è disegnato un cuore raggiante a contatto con la mano destra, mentre con la sinistra stringe un libro ed il bastone (?) viatorio; indossa veste verdognola coperta da manto bicolore. Altri in luogo di S. Rocco pensano potervi identificare S. Longino, il soldato che con la lancia trafisse il costato (cuore) di Gesù in croce sul Calvario. L’estensore dell’Inventario del 1772 vi identifica la figura di S. Biagio (52), ma a torto, perché non vi si riscontrano né gli emblemi vescovili, né i suoi tradizionali simboli: il pettine dei lanai, o il bambino con la lisca di pesce. Il vescovo S. Biagio dipinto nell’affresco originale venerato nel Santuario di Santa Maria a Mare, ha le insegne vescovili ed il pettine dei lanai. Il pittore in ciò ha seguito le richieste dei committenti.
L’attribuzione in favore del Malpiedi è suggerita da alcune analogie di disegno che si riscontrano con altre sue opere certe. Il volto ed il manto della Madonna sono da confrontare con la “Immacolata Concezione” esistente a San Ginesio, databile intorno al 1613, e con quella della “Deposizione” nella Collegiata di S. Ginesio. La testa del Battista è analoga sia a quella del Cristo nella “Consegna delle chiavi a S. Pietro” nella cappella sotto l’organo di detta Collegiata, come anche a quelle del Battista dipinte a Montefortino nelle chiese di S. Francesco e della Madonna del Fonte.
Circa lo stesso anno, 1648, il Malpiedi dipinse una pregevole pala d’altare raffigurante: la “Natività di Cristo” per il santuario fermano di Santa Maria a Mare su commissione del Capitolo Metropolitano di Fermo, patrono dello stesso santuario.
Per i documenti trascritti in nota il dipinto amandolese si dovrebbe datare tra l’anno 1637 e il 1648; più probabile la seconda data, stante il suaccennato incarico per la pala destinata al Santuario, e per la presenza documentata del pittore nella Terra d’Amandola, ivi impegnato per la doratura dell’urna del Beato Antonio, come riferito sopra (53).
9° – CAPPELLA DELL’ALTARE MAGGIORE NELLA CHIESA URBANA DEI SANTI
MARTIRI RUFFINO E VITALE.
Collocazione: in Amandola, nella chiesa della SS. Trinità. Materia: Legno intagliato e dorato; dipinto olio su tavola. Misure: Altare (690 × 275), tavola dietro il crocefisso(255 × 155). Datazione: dipinti e dorature documentati per l’anno 1648.
La struttura lignea della Cappella fu costruita da Mastro Simone Benattendi d’Amandola; il 15 agosto 1648, la doratura fu allocata ai fratelli Malpiedi di San Ginesio (54). Nell’Inventario del 1771 si legge questa descrizione del maggiore altare fatto costruire dalla Confraternita della SS.ma Trinità: “Questa Compagnia ha una Cappella costrutta con quattro colonne, posta in oro nei suoi ornati, detta altare maggiore nella divisata Chiesa (della SS.ma Trinità), in cui vi è un quadro dipinto su tavola dal pittor Malpiedi di San Ginesio con l’effigie dei SS. Ruffino e Vitale; sopra vi sono due Angioli ed ai suoi piedi la seguente iscrizione: “HANC ARAM QUAM SUSPICIS, QUI ADES, FIERI CURAVIT SOCIETAS SS.MAE TRINITATIS; ET EX LARGA MAGNIFICENTIA ORNATUR – A. D. M D XXXX VII”.
Sopra le dette colonne sono collocate le statue dei due Angioli con palme in mano. A capo del timpano di detta Cappella esistono altri due Angioli di legno dorati che sostengono un vago ornamento di frutta a guisa di grappolo, et al di sopra vi è altro quadro dipinto (dal Malpiedi), rappresentante dell’effigie del Padre Eterno con vari Serafini, et al di sotto un cartellone dorato con l’iscrizione: “UT NOS LAVARET CRIMINE”.
Al centro della Cappella resta collocato detto quadro, avendo davanti un miracoloso Crocifisso, scolpito al naturale, con la sua croce di legno color rosso….; in cima detta croce restano scolpiti l‘Eterno Padre e lo Spirito Santo (…). Per antichissima tradizione si sa che detto Crocifisso fu lavorato in Venezia e da detta Compagnia fu pagato con 80 zecchini d’oro (55).
Il quadretto dell’Eterno Padre, collocato nella sontuosa cornice del timpano, è una riproduzione invertita della tela che è nel Monastero delle Benedettine di Sant’Angelo in Pontano, dove si conservano altre opere firmate dal Malpiedi.
Il dipinto su tavola con le figure dei SS. Ruffino e Vitale, martiri, è anch’esso da attribuire al Malpiedi, come opera ordinaria, che conserva un vivace effetto nella combinazione di colori forti. Qui, più che pittore, si rivela scenografo, stante i personaggi appena abbozzati, simili a figure che dovrebbero essere vedute da lontano. L’anno che è segnato nel cartiglio – 1648- ci permette di fare una riflessione: questa tavola fu dipinta dal Malpiedi quando in età aveva superato certamente i suoi 75 anni.
10° – I MIRACOLI DEL B. ANTONIO D’AMANDOLA
Collocazione in: Amandola, nell’antico chiostro di S. Agostino. Materia: tempera su un muro dentro lunette (150 × 300). Datazione: anonimo pittore della metà del sec. XVII.
Nel loggiato del chiostro dell’antico convento agostiniano, intorno alla metà del sec. XVII, secondo la consuetudine del tempo, con scene di immagini pittoriche, fu illustrata la vita del Beato Antonio d’Amandola con alcuni miracoli, ottenuti da Dio per sua intercessione. Al presente sono in vista solo sei lunette, cinque lungo la parete esterna della chiesa, e una sopra la porta d’ingresso alla sacrestia, dalla parte del convento. Vi sono rappresentati i seguenti soggetti, partendo da sinistra verso destra:
1°- Il Beato Antonio assiste poveri ed ammalati.
2°- Il Beato Antonio protettore dei naviganti.
3°- Il Beato Antonio ferma un uomo che cade dal campanile della chiesa, mentre altri stanno banchettando (56).
4°- Il Beato Antonio incontra e guarisce uno storpio.
5°- Il Beato Antonio ferma alcuni soldati armati che vanno a cavallo (57).
6°- Presso l’urna del Beato Antonio stanno genuflessi due Padri Agostiniani, altri due entrano in cappella (58).
Secondo una locale tradizione orale, anche questi dipinti, in passato, furono attribuiti al Malpiedi. Però a tutt’oggi non sono apparsi documenti a sostegno della tradizione. Il Ferranti, sempre cauto nelle attribuzioni, si limita a riferire che il convento, unitamente al chiostro, costruito al tempo del Priorato del Beato Antonio, fu oggetto di restauri, due secoli più tardi, giacché nel “Libro dei Consigli” appare che il Comune di Amandola il 2 aprile 1634, concesse 15 scudi per restauri al convento dei PP. Agostiniani, e che “rimontano al 1650 i nomi delle famiglie benefattrici, rimasti in alcuni sistemi blasonati sotto le pitture del chiostro che rappresentavano i miracoli del B. Antonio”.
In merito all’autore l’esimio Ferranti non si pronuncia; si limita solo ad dire che “questi affreschi sono di pennello assai migliore di quello che, prima del 1637, dipinse le lunette del chiostro del convento di S. Francesco in Amandola (59), attribuiti dal critico d’arte ascolano, Cantalamessa, al pittore Sebastiano Ghezzi, nativo di Comunanza” (60).
Per la verità in questi dipinti, pur considerando la loro natura didattica con ampie sceneggiature all’aperto, non si intravede né lo stile del disegno, praticato dal pittore ginesino negli ultimi anni, dal pittore ginesino; né la sua peculiare carica di generoso e potente coloritore che lo ha distinto in tutta la sua arte. Vi si nota, infatti, un modo diverso di impiantare panorami e personaggi: buona conoscenza della prospettiva, ampio respiro per gli scorci panoramici che prevalgono sui personaggi, rappresentati, al contrario del Malpiedi, in proporzioni minute poco rifinite. Per cui sembra più logico ipotizzare la presenza di un altro pittore, anche in considerazione del fatto, esposto dal Ferranti, che i dipinti furono sovvenzionati da alcune famiglie presenti in Amandola dopo il 1650, quando il Malpiedi non calcava più le armature aeree delle chiese, né le vie di questo mondo.
NOTE:
1)- T.BENIGNI, Descrizione di Sanginesio, Fermo 1795. G. COLUCCI, Antichità Picene, vol. XXIII, Fermo 1795, “Storia di Sanginesio”, pp. 58, 68,83, e 110. A. DE MINICIS, Vigenti consuetudini nella chiesa di Falerone, ms. in ASAF, p.97. G. SALVI, Cenni storici sulla Immagine della Vergine venerata nella Collegiata di Sanginesio, Camerino 1896, p.9. ALLEVI-CRISPINI, San Ginesio, Ravenna 1969, p.36. 2)- P. FERRANTI, Memorie storiche della città di Amandola, Ascoli P. 1891; riedita da Maroni, Ripatransone 1984 in due volumi. P.FERRANTI, Chiesa del SS. Rosario in Amandola, in “Nuova Rivista Misena”, Anno II, pp. 215-218; P. N. CONCETTI, Vita e miracoli del Beato Antonio d’Amandola. Amandola 1911, pp. 12 e 119.
3)- A. RICCI, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona, vol. II Macerata 1834, pp. 177-179.
4)- F. OLSEN, Federico Barocci, Copenaghen 1961. A. EMILIANI, Barocci, in enciclopedia “Le Muse”, II, Novara 1964. IDEM, Mostra di Federico Barocci, Bologna (ed. Alfa) 1975. Federico Fiori, detto il Barocci (Urbino 1535-1612), fu un ammiratore di Andrea del Sarto, di Raffaello, del Correggio; anticipò con la sua sensibilità narrativa e cromatica di stampo preromantico la riforma del Carracci.
5)- F. LAUDI, Indice degli artisti Marchigiani, Roma 1969, pp. 18 e 19. L. MOCHI ONORI, Filippo Bellini, in “Pittori nella Marche” tr ‘500 e ‘600”, Urbino 1969, pp. 29-37. C. COSTANZI, Filippo Bellini, in “Andrea Lilli nella pittura delle Marche tra ‘500 e ‘600”, Multigraf Ed., Roma 1985, pp. 163-75. P. ZAMPETTI, La pittura nelle Marche, III, Nardini Firenze 1990, pp. 36-140. DIZIONARIO STORICO-BIOGRAFICO DEI MARCHIGIANI, Vol. I, Ancona, p. 84, Filippo Bellini (Urbino 1550 – Macerata 1604) fu alla scuola del Barocci; le sue opere si ammirano in molte chiese delle Marche: Ancona, Fabriano, Macerata, Recanati ed Urbino. Al Loreto, recentemente, è stata scoperta la firma che gli attribuisce in modo definitivo anche “La presentazione al Tempio”, che Amico Ricci aveva assegnato al Malpiedi.
6)- I principali esponenti di questa famiglia di artisti marchigiani sono “Taddeo” (S. Angelo in Vado 1529 – Roma 1566) e “Federico” (S. Angelo in Vado 1540, Ancona 1609); essi sono considerati i massimi rappresentanti del tardo “manierismo” italiano incentrato in Roma; però, dopo il 1560, tendono ad assumere i caratteri di ripresa classicista. Federico, dopo il 1580, si espresse anche nelle forme proprie dell’accademismo eclettico, ma in modo meno significativo di quello di Annibale Caracci.
7)- G. CROCETTI, Le opere del Mapiedi in Sarnano, in “Appennino Camerte”, Anno LXIX, n.10 (7.3. 1989). La Madonna di Loreto nell’arte di Domenico Malpiedi, nel mensile ”Il Messaggero della Santa casa di Loreto”, nn.5 e 6 (maggio giugno 1989). Gli affreschi di S. Maria di Tofe in territorio di Monte Monaco, in “Quaderni ASAF”, n. 15 (1993), pp. 48-59. Dipinti del Malpiedi a Tolentino, in “Studi per Pietro Zampetti”, Ed. Il Lavoro editoriale, Ancona 1993, pp. 429-32. G. ROMANELLI, Domenico Malpiedi pittore-scultore(1570-1651), tesi di ganga, Università di Urbino, A.A. 1989-90. IDEM, La pittura del Malpiedi in opere certe e documentate, in “Studi per P. Zampetti”, Ancona 1993, pp. 433-39. E. GRIFI-PONZI, Tra Roma e le Marche: Simone dei Magistris, Antonio Tempesta, e Domenico Malpiedi, in “Prospettiva”, aprile 1989, pp. 57-60; e ottobre 1990, pp. 99-108. IDEM, Il Palazzo Pallotta a Caldarola, in “Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V”, Silvana Ed. Milano 1992, pp. 103-07. A. VASTANO, Domenico Malpiedi, ibidem, pp 413-15.
8)- Le sue firme sono tuttora visibili nella tela”Ascensione” di nella Collegiata di Sanginesio: Dominicus Malpiedi e S. Ginesio pingebat, come fu letta nel 1850; nella pala di Treia, chiesa di S. Francesco: Dominicus Malpedis de Sanginesio pinsit 1601; nella “Annunciazione” di Sant’Angelo in Pontano, monastero delle Benedettine: Dominicus Malpede de S. Genesio; nella pala dell’altare di S. Fortunato di Falerone, che data e firma nel 1619.
9)- G. SALVI, op. cit., p.9. La casa del Malpiedi è posta a capo della via Brugiano, ora proprietà dei Sigg.ri Petetta. Nel cortile fu posta una lapide commemorativa di tal tenore: “QUESTA CASA QUATTROCENTESCA/ FU GIA DELLA NOB. FAMIGLIA MALPIEDI / DA CUI TRASSE ORIGINE / IL PITTORE DOMENICO / IL QUALE, ESORDIENTE IL SECOLO XVII / DIPINSE LA VERGINE DELLA MISERICORDIA / VENERATA IN ITALIA E FUORI / PEI PRODIGI DEL 1796 E DEL 1850….”.
10)- G. SALVI, Vedi Atti dell’Adunanza del 15 quattro 1593.
11)- IBIDEM, p.13.
12)- P. FERRANTI, Chiesa del Rosario in Amandola, op. cit, p. 215.
P. FERRANTI, Memorie storiche di Amandola, I, Maroni, p. 629.
13)- Archivio Comune di Amandola, “Annales 1606-1607”, p.16, Fiat modulus Cappellae et Momumenti B. Antonii ab egregio pictore et sulptore Malpidio de S. Genesio” (Cfr: “Processo per la canonizzazione di Beato Antonio di Amandola”, Roma 1757, Summarium 9,131.
14)- ASAF. Fondo Inventari del 1700. Loro Piceno, Chiesa di S. Maria di Piazza: Inventario del 1765. Nel 1607 il Priore, D. Giacomo Morelli, con atto di ser G. Franceschini a saldo di detti lavori versò a “messer Domenico Malpiedi scudi 250”.
15)- Archivio Comune di Amandola, Liber Exitus ab anno 1606 usque ad annun 1613. Al 14 nov. 1612, è registrato il saldo del contributo dell’Amministrazione Comunale di scudi 100 per la fabbrica della Cappella e del monumento del Beato Antonio, consegnato ai membri dell’apposito Comitato. (Cfr: Processo per la Canonizzazione….op.cit, p. 133).
16)- ASAF, Fondo Inventari del 1700, Montefortino; Inventari della chiesa di Sant’Agostino del 1728 del 1772. “ Nell’anno 1612 il Priore Fra Domenico Bruni fece fare il quadro con l’altare di San Nicola di Tolentino; poi, nell’anno 1648 fu fatta la Cappella”. L’attribuzione al Malpiedi è pertinente per lo stile del dipinto, e per il rapporto personale con il committente, il quale era stato Priore del Convento di Amandola, quando il Malpiedi attendeva alla decorazione della cappella del Beato Antonio, negli anni 1610-1612.
17)- ALLEVI-CRISPINI, San Ginesio, Ravenna 1969, p. 77.
18)- A. DE MINICIS, ms cit., pp. 91-97.
19)- ASAF, Fondo Inventari del 1700. Montefortino: 10 F/2. G. FROCETTI, Montefortino, guida ecc. , Fermo 1988, p.131,
20)- L’anno è documentato dalla iscrizione posta in un ovale: “POSUIT D: JOHANNES FRANCISCUS SGAMBA RECTOR ANNO DOMINI M D C XXX”.
21)- G. CICCONI, Il Santuario dell’Ambro in Montefortino, Fermo 1910. G. SANTARELLI, Il Santuario della Madonna dell’Ambro, Monte fortino 1981, pp. 48 e 57.
22)- P .N. CONCETTI, op. cit, pp. 69,100 19 e163. Processo di Canonizzazione, Summarium n.4, p.30. “Sotto la figura di S. Monica esiste un cartello col seguente millesimo: M D C XLI. Nell’altro lato, sotto San Tommaso da Villanova, altro cartello con la data ”1647”.
23)- Ivi n.16
24)- P. FERRANTI, op. cit., vol. I, p. 624.
25)- La tappa è segnata nella pala d’altare della cappella destra: “PATRONIS SUIS / JOSEPH ET NICOLAUS / FILII DE PALMERIIS / D(e)D(icaverunt) – M D C LI”.
26)- P. FERRANTI, op. cit., Vol. I, p. 629. Archivio del Rosario, Libro A”, p. 17.
27)- IBIDEM, p. 629, ASAF, Fondo Inventari del 1700. Amandola, Confraternita del S. Rosario, inventario del 1772.
28)- Processo di canonizzazione, Summarium, n.9, pp. 130-31.
29)- IBIDEM, Summarium n.4, p. 32. P. FERRANTI, op. cit., II, p. 451.
30)- IBIDEM, Summarium n.9, p. 132.
31)- IBIDEM, Summariumn.4, p. 27-38.
32)- IBIDEM, pp. 31-32.
33)- IBIDEM, p. 27
34)- Nel secolo XVIII era norma corrente che nella descrizione topografica delle chiese, destra e sinistra erano rispetto alla persona che aveva le spalle volte contro l’abside; mentre oggi, al contrario, si descrive in relazione alla posizione che si ha entrando; cioè con le spalle volte verso l’entrata.
35)- L’estensore del “Verbale” insiste molto nell’annotare la presenza dell’aureola dorata che circonda la testa dell’uomo di Dio; voleva sottolineare che già nel pio culto popolare, espresso anche nella pittura, c’era stato il riconoscimento della santità del beato Antonio Migliorati.
36)- Simboleggiavano rispettivamente”Temperanza e Prudenza”.
37)- La pianta della Cappella del B. Antonio era rettangolare: quindi la parete di fondo era piatta.
38)- Analoga rappresentazione del Beato, protettore ed avvocato contro la siccità, esiste nella chiesa Madonna del Fonte di Montefortino, dipinta dal Malpiedi circa all’anno 1650, con la segnatura: HUC PROPERES LAETUS / QUOS PROTEGIT IMBER B. ANT(onius). per quanto riguarda questa devozione popolare che vuole il Beato Antonio d’Amandola “nubigero”, portatore di nubi, vedi il libro “Vita e Miracoli del B. Antonio” del P. N.CONCETTI (p.63), vi si riferisce che nell’orchestra dell’organo vi è un ritratto del Beato che nella destra tiene una nuvola, mentre la sinistra, recata al petto, accenna con l’indice la nuvoletta(p. 41). Nell’antico “Responsorio”, composto in onore del Beato, si cantava: Si tellus acquis indiget. / repente pluviam impetret / si Solis radios exigit / statim serenum promovet.
39)- Processo di canonizzazione, Summarium n.4, pp. 29-30.
40)- P. FERRANTI, op. cit. I, p. 584, nota, n.9.
41)- IBIDEM, pp. 535-52.
42)- IBIDEM, p. 537.
43)- La documentazione fotografica risale all’agosto del 1981, quando lo scrivente gli fece un sopralluogo di studio per redigere alcune schede di opere d’arte, ivi esistenti.
44)- P. FERRANTI, op. cit., I, p. 629. Archivio Confraternita S. Rosario, “Libro B”, p. 17.
45)- Processo di Canonizzazione, Summarium n.9, pp. 150-51.
46)- P. N. CONCETTI, op, cit., p.119
47)- Processo di Canonizzazione, Summarium n.4, pp. 31 32.
48)- Probabilmente il pittore si è orientato a rappresentare tali soggetti, suggeritigli dal testo dell’antico “Responsorio” che si cantava in onore del Beato Antonio: Antonium ab Amandula \ Hic vitam reddit mortuis \ Ad hunc omnes confugite \\ Eja rogate populi \ Hic prece fugat daemones \ Qui dona coeli poscitis; \\ Quem sacra tintinnabula \ Hic imperat languoribus \ Huius rogatu quilibet \\ Sponte sonora praedicant. \ hic fausta mentis exhibet \ Reportat quid quid flagitat.
49)- P. IERRANTI, op. cit, II, p. 487.; P. N. CONCETTI, op. cit. p. 69.
50)- P. FERRANTI, op. cit, I, p. 585, nota 9. Dalla corrispondenza tra lo storico amandolese e l’illustre critico d’arte ascolano.
51)- La foto del dipinto e le prime indicazioni circa la chiesa originale del quadro mi sono state fornite dal Dr. Mario Antonelli, al quale va il mio doveroso ringraziamento. ASAF, Fondo Inventari del 1700. Amandola: Chiesa Madonna SS.ma di Piazza (Alta), o S. Rocco, Inventario del 1772. “La chiesa di Santa Maria a Mare, detta comunemente la Madonna SS.ma di Piazza, è posta nella piazza superiore, o sia Pretorale, ed ha per confine da ogni lato la Piazza. Qui sta il suo altare lungo nove palmi, alto quattro; ha il suo quadro dipinto in tela, dove è effigiata la Madonna SS.ma col Bambino in braccio nel mezzo, alla sua destra S. Giovanni Battista con l’iscrizione “Ecce Agnus Dei”, dall’altra parte San Biagio (?), (Vedi il testo). Alla base del quadro corre la scritta: “EFFIGIES SANCTAE MARIAE AD MARE”. ASAF, IBIDEM, Inventario del Jus Patronato e Beneficio Bruni nella chiesa di S. Rocco, o Madonna di Piazza del 1772. “Il Sig. Mecozzo Bruni di Amandola sul testamento del 3. 7. 1637, per atti di Vincenzo Pieri di Smerillo, ed aperto per rogito di Gregorio Porfiri di Amandola il 26.1. 1648 istituì l’erezione di un altare sotto l’invocazione di “S. Maria a Mare” nella chiesa di Piazza (S. Rocco) del quondam Mario Galeotti, al quale altare assegnò per dote…., scudi cinquecento in tanti censi, ordinando che fosse altare, ossia Beneficio semplice di giuspatronato della sua famiglia”.
52)- ASAF, IBIDEM, Inventario della Chiesa di S. Maria SS.ma di Piazza (Alta), o di S. Rocco, del 1772.
53)- P. FERRANTI, op. cit., II, pp. 487-88.
54)- P. FERRANTI, op. cit., I, p. 624.
55)- ASAF, Fondo Inventari del 1700. Amandola, Ven. Comp. Della SS,ma trinità, Inventario del 1771.
56)- P. N. CONCETTI, op. cit., p. 72.
57)- IBIDEM, p. 28.
58)- Il Ferranti, non si sa perché, vi vede dipinta la seconda traslazione del Beato Antonio, per essere collocata nella urna, lavorata dal Malpiedi.
59)- P. FERRANTI, op. cit., I, p. 584.
60)- IBIDEM, pp. 575-76.