TEODORICO PEDRINI MISSIONARIO FERMANO ALLA CORTE IMPERIALE CINESE
Scheda di TASSI Emilio
Il 2 dicembre 2004 la Segreteria del Comune di Fermo inviava alla Biblioteca Comunale della città la copia di un articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero a firma di Fabio Isman nella pagina dedicata a Cultura e spettacolo che recava come titolo Un maestro per i Figli del Cielo, dedicato alla figura di un missionario fermano: Teodorico Pedrini. L’articolo era stato suggerito dall’imminente visita ufficiale di Stato che il Presidente della Repubblica Italiana C.A. Ciampi si apprestava a compiere nella Repubblica Popolare di Cina. I collaboratori del Presidente avevano scoperto, probabilmente per un articolo su L’Osservatore Romano del lontano 15 dicembre 1946 intitolato Violino e Vangelo, terzo centenario di Teodorico Pedrini, la notizia che un religioso nativo di Fermo era andato come missionario in Cina, che fu accolto alla Corte imperiale come musicista e vi restò, con alterne vicende dal 1711 fino al 1746. Le ricerche messe in atto dalla solerte funzionaria della Biblioteca comunale, dott. Verdoni Luisanna, hanno consentito il reperimento di una buona documentazione sulla figura e l’opera di padre Teodorico Pedrini, un fermano, missionario e musicista di fama, completamente sconosciuto agli studiosi fermani. In particolare è stato importante ed utile trovare un’opera, non vasta ed esaustiva, ma utile ad iniziare uno studio di questo personaggio: A.B. DUVIGNEAU C.M., Teodorico Pedrini, Prete della Missione, musico alla Corte imperialedi Pechino, Ed. Liturgiche e Missionarie, Roma s.d. di pagine 64. Ecco l’occasione di recuperare la memoria di questo illustre figlio di Fermo e far conoscere la sua personalità e la sua attività artistica e missionaria svolta nella Cina per 36 anni nella prima metà del sec. XVIII.
Dall’articolo pubblicato dal giornalista Fabio Isman, abbiamo appreso che il Presidente Ciampi si è interessato di lui, durante la sua visita di Stato e potuto avere a disposizione alcuni suoi spartiti di musica. Scopo del presente studio, necessariamente sintetico, è quello di far conoscere p. Teodorico Pedrini, ma soprattutto di stimolare ulteriori ricerche da parte di studiosi di missionologia e di musicologia al fine di approfondire l’opera svolta in Cina da questo illustre missionario.
Una storia singolare e sconosciuta: gli strumenti bibliografici per ricostruirla
Il citato articolo de Il Messaggero in perfetto stile giornalistico, ricostruendo brevemente la vicenda umana del Pedrini, dà spazio specialmente agli elementi avventurosi e direi folcloristici della sua esistenza e particolarmente del suo viaggio, senza mettere in luce gli elementi religiosi e il suo lavoro missionari della sua lunga attività. Pur accennando alle difficoltà incontrate dal missionario all’interno della Corte imperiale, non si preoccupa di inquadrare il suo lavoro nelle complicate vicende della “questione dei riti”. L’articolo comunque risulta interessante perché riesce in qualche modo a rappresentare la figura del Pedrini come artista ingegnoso e poliedrico che, attraverso l’attività musicale, riesce, pur tra mille difficoltà, ad aprire una porta alla evangelizzazione della Cina.
Di ben diverso taglio è l’articolo comparso su L’Osservatore Romano del 15 dicembre 1946 in occasione del terzo centenario della morte del Pedrini.[1] L’autore infatti, dopo aver fornito le essenziali note biografiche, sottolinea la sua generosa adesione all’invito rivoltogli dal papa Clemente XI di recarsi in Cina come collaboratore del card. De Tournon, Legato a latere del Pontefice, e di lavorare come missionario in quel paese, servendosi delle sue capacità artistiche in campo musicale; ricostruisce l’avventuroso e disastroso viaggio, mettendo in evidenza la sua tenace volontà a restare fedele all’incarico ricevuto; in particolare illustra l’ispirazione religiosa e lo spirito missionario che sempre lo hanno accompagnato. Il Pedrini infatti, pur dedicandosi al servizio del Sovrano, non dimenticò mai di essere un missionario, chiamato a rendere possibile ed efficace la predicazione del Vangelo al popolo cinese. L’autore riporta, a questo fine, una lettera del Pedrini da cui appare chiaramente la consapevolezza del suo compito missionario: Nelle condizioni in cui mi trovo, si può lavorare in tre modi: primo, fare il missionario immediatamente e lavorare alla salute delle anime; secondo, fare il missionario mediatamente, ossia contribuire alla salute delle anime impiegando il favore e il patronato dell’Imperatore; terzo, servire l’Imperatore con fedeltà e diligenza per ottenere i due fini precedenti. Quanto al terzo punto, non solo dopo aver ricevuto ordini formali dal Papa di impiegare tutte le mie forze a servizio dell’Imperatore, ma anche prima mi sono sforzato di farlo. E’ questa un a testimonianza esemplare che rappresenta la consapevolezza missionaria di Teodorico Padrini. Avremo l’opportunità di verificare nel corso del presente lavoro come questa coscienza ha rappresentato il costante punto di riferimento del Pedrini ed ha costituito sempre la passione interiore che gli consentì di superare i momenti difficili, e non furono pochi, del suo impegno missionario.
Lo scritto, però, che consente una sufficiente conoscenza, della figura, dell’attività artistica e dell’impegno missionario del Pedrini è certamente una non ampia, ma dettagliata biografia scritta dal Duvigneau C.M. citato sopra. Pensiamo sia opportuno riportare la nota editoriale significativamente posta all’inizio del volume a mo’ di premessa: Questo breve e brillante profilo biografico del sig. Teodorico Padrini C:M: è tradotto da un opuscolo stampato dai Preti della Missione di Pei-p’ing come estratto dal “Bulletin Catholique de Pékin” del giugno-ottobre 1937. La stesura originale contiene copiose note di erudizione musicale su ciascuno degli strumenti che vengono citati nel corso della narrazione; noi abbiamo fedelmente tradotto tutto il testo, ma abbiamo tralasciato, per brevità, queste note che non avevano un diretto riferimento con la narrazione della vita del sacerdote, il quale esercitò l’arte musicale solo per poter meglio svolgere l’attività missionaria. Abbiamo anche incluso nel testo alcune notizie contenute nella prefazione e nell’appendice, notizie che l’autore non aveva messo al loro posto, avendole ricevute quando il testo era già stampato. In appendice abbiamo anche aggiunto tre lettere inedite del Pedrini: una rintracciata dal Bugnini nell’archivi o di Roma[2] e le altre due contenute in una “memoria” anonima che si conserva pure nella Casa della Missione di Roma.[3]
Il quadro storico religioso
Per capire compiutamente l’azione missionaria compiuta dal p. Teodorico Pedrini, è essenziale tener presente le coordinate storico-religiose che definiscono l’ambiente culturale in cui egli si trovò ad operare. Il missionario svolse la sua azione durante i pontificati di Clemente XI, Benedetto XIII e Benedetto XIV; tuttavia la sua esperienza fu segnata da Clemente XI. Questo Pontefice fu continuamente guidato dall’interiore imperativo di esercitare l’autorità pontificia soprattutto nell’impegno profuso nella “dilatazione del culto” e nell’evangelizzazione dei popoli: una visione assai centralizzata e planetaria dell’azione missionaria improntò tutti gli sforzi da lui operati nel sostenere la sempre più potente Congregazione del Propaganda Fide. Decisiva fu l’azione del Pontefice circa le sorti delle missioni dell’Estremo Oriente, quando tentò di porre fine all’annosa controversia sui riti cinesi. Né gli interventi di Innocenzo X, di Alessandro VII, di Clemente IX, né le conferenze tenute tra i missionari a Canton nel 1667-1668 erano riusciti a l’animosità che contrapponeva i missionari di Propaganda Fide, fortemente ortodossi e in gran parte appartenenti agli Ordini mendicanti, alla maggioranza dei missionari gesuiti che, fedeli ai dettami di p. Matteo Ricci, confidavano nelle possibilità aperte tra compenetrazione della dottrina cristiana e il monoteismo confuciano e sostenevano la necessità di consentire ai cristiani la partecipazione ad alcune cerimonie peculiari della tradizione cinese.
Questa controversia divenne incandescente quando nel 1692 l’editto di tolleranza dell’imperatore K’ang-hsi determinò un legittimo ottimismo sul destino della diffusione del cristianesimo in Cina. L’anno seguente il Vicario Apostolico di Fukien condannò in una memorabile Lettera pastorale il culto di Confucio degli antenati defunti ed altre cerimonie, proibendoli ai cristiani perché superstiziosi e pagani. Egli respinse in blocco tutta la gamma delle posizioni dei Gesuiti che permettevano quei riti in quanto giudicati civili e non religiosi. Bisogna precisare che l’atteggiamento aperto dei gesuiti era bene accetta negli ambienti imperiali. Appena eletto papa Clemente XI assunse una posizione intransigente; nel luglio 1702 emanò il breve Speculatores Dominus Israel con cui restava stabilito l’invio nelle Indie e in Cina di Tommaso Maillard de Tournon come Visitatore Apostolico e Legato a latere per sanare i dissidi ed informare correttamente la Santa Sede. Scegliendo il Tournon, in effetti il papa rivelava di aver seguito i criteri accentratori, fidando sul significato risolutore di un intervento autorevole ed autoritario della Santa Sede al fine di rafforzare i Vicariati Apostolici, per unificare la direzione e i metodi delle missioni secondo la volontà di Roma, per stabilire relazioni dirette tra il Papa e gli Imperatori. Nel 1704, poi, emanò il decreto Cum Deus Optimum con cui confermò, aggravandole, tutte le condanne della pastorale del Vicario Apostolico.
Tournon, dopo una sosta a Pondichéry in cui decretò l’innammissibilità dei riti malabarici (1704) che verrà confermata da Roma nel 1712, era giunto in Cina nell’aprile 1705; qui si era urtato con l’Imperatore e con i gesuiti della corte e, per conseguenza, non riuscì ad istituire una Nunziatura e a disporre la nomina di un solo superiore per tutti i missionari residenti nel territorio cinese; anzi dopo la pubblicazione del breve papale avvenuta a Nanchino all’inizio del 1707 si contrapposero i veti di K’ang-shi alle risoluzioni romane e l’instaurazione obbligatoria di un permesso imperiale per tutti gli Europei che intendessero soggiornare in Cina. Il Tournon fu espulso da Pechino e confinato in prigione a Macao e le disposizioni romane trovarono scarsa sottomissione. Il Papa, venuto a conoscenza degli scarsi risultati ottenuti dalla missione del Tournon, fu irremovibile e, come segno della sua approvazione del Legato, lo nominò cardinale de inviò una missione per consegnargli la berretta rossa. La pubblicazione successiva della Costituzione Apostolica Ex illa die, nella quale venivano ribadite le precedenti disposizioni (1715), fece precipitare la situazione; di fronte ad essa l’Imperatore rispose ratificando la decisione di espellere i missionari, di proibire il cristianesimo e di chiedere abiura ai fedeli. Un ulteriore tentativo, fatto da mons. Carlo Ambrogio Mezzabarba che aveva sostituito il Tournon dopo la sua morte (1710), nonostante una tattica più morbida, andò ugualmente fallita.
Dal fallimento di questa missione i comportamenti dei missionari e le strutture delle missioni ripiombarono nella confusione e nella gestione individuale; Per un altro intervento papale più opportuno e più realistico bisognerà attendere Benedetto XIV nel 1742. A conclusione della vicenda dei riti cinesi si verificò un regresso dell’espansione missionaria e fu chiaro un triplice smacco dell’autorità pontificia: il primo, religioso, poiché il funzionamento delle missioni e l’evangelizzazione a loro affidata soffrirono alquanto delle difficoltà create da un clima di semi clandestinità; il secondo, giurisdizionale, poiché la Nunziatura non fu aperta e i Vicariati apostolici di Propaganda videro indebolito notevolmente il loro potere organizzativo e amministrativo; il terzo, culturale, poiché vi fu una totale incomprensione per il sincretismo espresso in quel periodo dalle alte sfere intellettuali cinesi. Ne è il segno il fatto di organizzare un seminario in loco per la preparazione dei missionari, affidato al Lazzarista Appiani, confratello ed amico di p. Pedrini, fallì miseramente per la decisa opposizione dell’Imperatore.[4]
Vedremo in seguito quanto sarà utile, anzi indispensabile, per comprendere le difficoltà che il p. Teodorico Pedrini incontrerà nel corso della sua esperienza missionaria, ma ci porrà il problema di spiegare come mai egli, che certamente era legato all’impostazione rigorista di Clemente XI e del Tournon, abbia, nonostante tutto, potuto svolgere la sua missione e godere di lunghi periodi di favore alla corte imperiale.
I primi anni e gli studi compiuti
Teodorico Pedrini nacque a Fermo il 30 giugno 1670[5] da una ragguardevole famiglia fermana di profonde tradizioni cristiane. A parte questi dati anagrafici, nulla conosciamo sulla sua prima giovinezza e sugli studi seguiti nella sua città; abbiamo però sufficienti elementi indiretti per arguire da quale ambiente religioso e culturale dal quale il giovane abbia potuto ricevere significativi influssi. Nel secolo XVII operavano a Fermo diversi istituti religiosi nei quali i giovani fermani potevano ricevere positivi apporti educativi. Esisteva fin dal 1583 un vivacissimo gruppo di religiosi dell’Oratorio di S. Filippo Neri che si dedicavano prevalentemente all’educazione dei giovani, seguendo il metodo del Santo romano[6]. Dal 1601 erano presenti nella città i Padri della Compagnia di Gesù; il campo della loro attività era quello degli studi e della cultura, ma essi agivano anche per la difesa della verità e per le attività missionarie.[7] I Gesuiti tuttavia non erano più presenti a Fermo, durante l’adolescenza del Pedrini, poiché la Compagnia era stata soppressa nel 1773 dal papa Clemente XIV; furono richiamati in Città dal card. Ferretti solo nel 1840.
Nel 1704, chiamati dall’arcivescovo card. Baldassarre Cenci, erano venuti a Fermo i padri della Congregazione della Missione, fondati nel 1632 da S. Vincenzo de Paoli, detti Lazzaristi[8]. Questi religiosi ebbero dall’arcivescovo l’incarico di seguire e curare la formazione dei giovani che manifestavano inclinazione verso la vita sacerdotale e in particolare di preparare la formazione di coloro che erano prossimi a ricevere gli Ordini Sacri. A questo scopo il card. Cenci aveva procurato loro una casa detta della Missione e aveva dettato norme precise per attuare gli scopi istituzionali. I religiosi, inoltre, si dedicavano alla predicazione al popolo e alla formazione di coloro che manifestavano il desiderio di dedicarsi al lavoro nelle Missioni all’estero. Il Pedrini compì i primi studi presso le scuole pubbliche che, dopo la partenza dei Gesuiti, erano state affidate dal card. Paracciani a dotti sacerdoti della Città.
Presumibilmente verso il 1690-91 si trasferì a Roma per completare i suoi studi e fu alunno del Collegio Piceno, come afferma la biografia del Duvigneau; forse si tratta del Collegio Fermano (ora Collegio Caprinica), fondato dal card. Domenico Caprinica, vescovo o di Fermo nel sec. XV; vi conseguì il dottorato in utroque jure. Il 24 febbraio 1698 entrò nella Congregazione della Missione nella Casa di Roma e nel febbraio dell’anno successivo emise i voti religiosi; nel 1671 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Nel 1702, come abbiamo visto, Clemene XI con la Bolla Speculatores Domus Israel avava deciso di mandare nelle Indie e in Cina una Legazione pontificia guidata dal Tournon per risolvere il problema dei riti confuciani cinesi.[9] Il Papa sapeva che niente poteva essere più gradito all’Imperatore cinese quanto di ricevere qualche artista per il servizio della Corte imperiale, oltre al personale che componeva il seguito del Legato, pensò di unire alla missione il Lazzarista Teodorico Pedrini, certamente conosciuto dal Tournon per i suoi stretti legami con l’arcidiocesi di Fermo, noto come artista particolarmente abile nella musica e nella costruzione di strumenti musicali. Si può anzi supporre che fosse stato lo stesso Legato a suggerire a Clemente XI il nome del Pedrini. Infatti da una lettera del Tournon, scritta nell’aprile del 1703, possiamo arguire quanto egli stimasse il Pedrini e ne desiderasse la vicinanza: Ho provato un vivo dispiacere non trovando sul vascello, fra i compagni del mio viaggio, il sig. Teodorico Pedrini.[10]
Il Pedrini non ci aveva mai pensato prima, ma accolse la proposta inattesa come un’indicazione della Provvidenza e come una chiamata del Signore; per questo prese subito contatto con il Tournon e si mise a completa sua disposizione.
L’avventuroso viaggio verso la Cina
Il Tournon aveva riunito i componenti della sua legazione e, dovendosi recare in Spagna per espletare una missione a lui affidata dal Papa, dispose che i suoi compagni si recassero in Francia per imbarcarsi nel porto di Saint Malò, dando loro appuntamento a Cadice. Fu così che molti membri della legazione nel gennaio 1703 si diressero verso la Francia dove a Saint Malò avrebbero preso un vascello per raggiungere il Legato; tra di essi c’erano anche il p. Padrini e il p. Blasi, suo confratello. I due Lazzaristi, in attesa di imbarcarsi, approfittarono per andare a Parigi per far visita alla Casa Madre della Congregazione. A questo punto il p. Blasi esitò e, sotto falsi pretesti, tornò a Roma, assicurando tuttavia il Pedrini che sarebbe tornato quanto prima. Mentre il p. Teodorico si rodeva a Parigi, attendendo inutilmente il ritorno del Blasi, gli altri compagni si erano imbarcati a Saint Malò; egli quindi dovette attendere un’altra occasione per partire, e a questo punto cominciano le disavventure del viaggio. Il Legato si imbarcava alle Canarie, giungendo il 6 novembre 1703 a Pondichéry , trattenendovisi fino all’inizio del 1705, poi nell’aprile raggiunse Macao e il 4 dicembre era a Pechino.[11]
Il Pedrini aveva perduto molte occasioni d’imbarcarsi, ma alla fine dell’anno, il 26 dicembre 1703, un vascello francese lo prendeva a bordo a Saint Malò, insieme ad un fratello Vincenziano, di cui non si cita il nome e che era esperto in medicina. La nave era diretta verso l’America meridionale; dopo tre mesi di viaggio, giunsero nello stretto di Magellano, ma fu impossibile attraversarlo per cui si tentò di doppiare la Terra del Fuoco. Il 13 maggio 1704 il vascello giunse a Conception nel Cile e costeggiando la parte occidentale dell’America meridionale, arrivò a Lima nel Perù. Il Pedrini fu lasciati in questa città, poiché la nave aveva dovuto far ritorno in Francia.[12] A questo punto, per imbarcarsi per la Cina il Pedrini doveva raggiungere Acapulco nel Messico; riuscì a raggiungere per mare il Guatemala e, percorrendo a piedi 330 leghe, raggiunse Acapulco. Con coraggio eroico, vincendo le sofferenze incontrate e le difficoltà, riuscì ad imbarcarsi solo l’8 marzo 1707; il 9 agosto poté raggiungere Manila, dopo una traversata difficile e penosa. Si trattava di compiere l’ultima tappa per sbarcare in Cina: ebbene ecco quanto egli scriveva un anno più tardi da Manila, dove ancora si trovava: … Il 27 ottobre 1707 m’imbarcai nel porto di Manila su una piccola nave che andava in Cina. Sarebbe troppo lungo raccontarvi tutto quel che abbiamo sofferto in questo viaggio. Mi basti dirvi che più volte siamo stati sul punto di naufragare. Dopo aver navigato per tre mesi, non abbiamo avanzato di un passo; e sì che la distanza da Manila alla Cina non è che di otto o tutt’al più di quindici giorni. Due volte abbiamo iniziato lo stesso viaggio, ogni volta abbiamo quasi toccato la Cina e ogni volta abbiamo dovuto ritornare al porto dal quale eravamo partiti.[13]
Mentre era costretto a restare a Manila, gli giungevano lettere dal Tournon in cui venivano rappresentate le difficoltà incontrate in Cina e si chiedeva a lui di affrettarsi. In quello stesso periodo giunsero a Manila da Roma cinque missionari di Propaganda, latori della berretta cardinalizia per il Legato che ormai, per disposizione dell’Imperatore era confinato a Macao e praticamente prigioniero. Trascorse tutto l’anno 1708 e soltanto nel novembre del 1709 fu messa a disposizione dei missionari una fregata, ma il comandante tardava ad arrivare. Con uno stratagemma il Padrini, vestitosi da Capitano di fregata, spacciandosi per comandante della nave, ne prese il comando e fece rotta per Macao. La traversata fu delle più dure e difficili; i venti contrari soffiavano con violenza e le onde si alzavano urtandosi, sballottando la nave. Si trattava di arrivare a tempo per consegnare la berretta al neo cardinale, perché egli potesse presentare i missionari di Propaganda e aprir loro la strada fino a Pechino. La nave riuscì ad attraccare a Macao solo il 30 gennaio 1710. Il p. Pedrini, quindi, raggiunse la Cina dopo sette anni di viaggio; dovevano però passare ancora alcuni mesi prima che il nostro missionario potesse giungere a Pechino; il 5 novemre 1710 l’Appiani così scrive: Fra qualche giorno il sig. Pedrini partirà per Pechino ove è chiamato dall’Imperatore.[14] Il 5 febbraio 1711, verso mezzogiorno, dopo essere entrati nella capitale venivano presentati all’Imperatore K’ang-shi: Il sig. Pedrini, scive il p. Bonnet Superiore Generale, è stato ottimamente ricevuto alla Corte di Pechino dall’Imperatore della Cina, perché egli era organista e sa ben suonare gli strumenti, cantando bravamente le arie cinesi con l’accompagnamento della viola e del clavicembalo.[15]
L’Appiani, confratello del Pedrini e più tardi Vicario Apostolico, così scrive dell’incontro con l’Imperatore: Essi furono ricevuti molto amichevolmente dall’Imperatore. Questi, dopo aver esaminato molto sottilmente il sig. Pedrini, volle cantare la scala con lui … Il sig. Pedrini restò solo con l’incarico di andare tutti i giorni a Palazzo a suonare sugli strumenti di musica di cui l’Imperatore ha una buona provvista.[16]
L’inizio soddisfacente
E’ necessario tener presente quanto il p. Ripa dichiara a proposito della vita del missionario che vive a Corte; questa vita a servizio dell’Imperatore era ben altra cosa da quel che potrebbe sembrare a prima vista: l’Imperatore pretendeva di essere servito per l’obbligazione e per l’onore che viene dall’essere al suo servizio; cosa che ci fece capire più volte. Per l’esperienza che ho fatto in tredici anni consecutivi che son rimasto a quella Corte, posso assicurare in tutta verità che, sotto questo principe come sotto quello che regna oggi, la vita del missionario che sta al suo servizio, è talmente faticosa e dura, che io avevo preso l’abitudine di chiamarla una onorata schiavitù. Non se ne poteva sperare altra ricompensa che quella di cattivarsi l’animo del sovrano per ottenere delle grazie in tempo di persecuzioni che sorgessero contro la nostra santa Religione nell’Impero e per difendersi col favore imperiale contro i malvagi che vorrebbero perdere la Religione. Di modo chiese non ci fosse questo alto motivo, e si pensasse di trovare alla Corte onori e vantaggi temporali, ci si troverebbe molto disillusi e si menerebbe una vita di disperazione.[17] Fin dal principio si conquistò il favore dell’Imperatore K’ang-shi che si dava l’aria di melomane, benché il Ripa affermi che non capiva niente di musica. Aveva però un gran numero di strumenti e voleva della musica; prepose il Pedrini alla cura dei suoi strumenti e per questa ragione lo fece rimanere a palazzo per averlo sempre a disposizione. Doveva suonare qualche volta su qualche strumento, soprattutto mantenere, riparare ed anche costruire strumenti; a questo doveva aggiungere l’insegnamento della musica ai figli dell’Imperatore e ad alcuni allievi scelti. Il Pedini aveva alcune opere in musica e altre ne scrisse, come testimonia un quaderno manoscritto conservato nella biblioteca del Peit’ang e che deve essere stato preceduto da altri due, perché è titolato Opera Terza e che a duecento anni di distanza rivela un talento fuori dell’ordinario.
L’Imperatore era persuaso dell’abilità del Pedrini in fatto di musica e gli dimostrava un vivo affetto, ha controllato il suo insegnamento impartito i suoi allievi e si è rallegrato dei progressi fatti da loro. Nel 1716 il missionario poteva scrivere: In tutto quello che l’Imperatore mi affida o che io intraprendo per il suo servizio, grazie a Dio, gli ho dato sempre soddisfazione, sia presentandogli diversi lavori curiosi o strumenti di musica di forma nuova sia insegnando la musica a più di dieci allievi sia servendo i principi suoi figli nella composizione o nella traduzione di vari libri e infine in molte altre cose simili nelle quali cerco di servirlo secondo la larghezza delle mie forze.[18] Impressionò molto l’Imperatore un piccolo organo che suonava da solo melodie cinesi che il Pedrini aveva costruito nel 1713 e che regalò al sovrano. I Superiori maggiori del missionario, facendo eco alle prime notizie ricevute da lui, sorpreso del favore incontrato da parte dell’Imperatore fin dal suo arrivo, giudicando la situazione in cui viveva nella Corte do Pechino, ne temevano le conseguenze come un pericolo per il suo spirito sacerdotale. P. Bonnet, Superiore Generale della Congregazione della Missione scriveva: Bisogna domandare a Dio che il n ostro caro Confratello, che si trova in questa Corte in uno stato molto diverso dal nostro, non perda lo spirito della Missione. Gli faccio sapere che la sua prosperità mi fa temere più che la disgrazia dei suoi confratelli (Appiani e Ullener); egli ha infatti bisogno di essere sostenuto da una grazia speciale per non ammollirsi nelle delizie, benché sia saggio e virtuoso. Il suo favore ci farebbe tremare, se non sapessimo che egli non si lascerà distrarre e se ne servirà, quando sia il caso, per il bene della Religione, come ha fatto in alcune importanti occasioni.[19]
La fortuna incostante
Nel 1712 e nell’anno successivo i missionari Lazzaristi presenti in Cina avanzarono ai Superiori la richiesta di inviare altri padri specialmente esperti nelle scienze e nelle arti; la risposta fu sempre negativa e la ragione era che le condizioni non garantiva un’azione missionaria serena e sicura. Sta di fatto che le tribolazioni non mancavano neppure al musico di Corte; lo scrive il Bonnet: Il sig. Pedrini ci scrive da Pechino in data 15 ottobre 1716, che la sua permanenza alla Corte non lo libera da molte tribolazioni, le quali, senza avere l’aspetto della prigionia, dei vincoli, delle catene … non tralasciano di farsi sentire molto vivamente.[20] Fin dal principio una forte opposizione e intrighi irriducibili avevano cercato di distruggere il credito del Pedrini presso l’Imperatore. Un mandarino di Corte, Ciao-C’ang ne era il principale strumento e l’agente più attivo; egli aveva l’incarico di far da mediatore tra il Sovrano e i Missionari. Alla fine del 1717 e all’inizio del 1718 una grave malattia tenne lontano il Pedrini dalla Corte e gli impedì di partecipare alle celebrazioni del Capodanno cinese e in particolare ai riti funebri per la morte della madre dell’Imperatore. Iniziò una campagna di accuse contro il musicista da parte dei suoi avversari di Corte che durò due anni. L’8 febbraio 1720 l’Imperatore convocò il Pedrini e lo accusò di disprezzo delle tradizioni cinesi e dispose che il missionario fosse posto agli arresti domiciliari, guardato a vista dai soldati fino all’inizio dell’anno successivo. La situazione cambiò all’inizio del 1723; l’Imperatore era morto nel dicembre del 1722 e nel gennaio successivo era salito al trono Yong-Cen che cambiò radicalmente atteggiamento nei confronti del Pedrini e anche dei missionari. Il missionario musicista poté rientrare a palazzo e in un’udienza concessa ai missionari nel 1728, che durò circa un’ora, la conversazione si svolse interamente su argomenti religiosi e particolarmente il Pedrini espose all’Imperatore i principali misteri della fede cattolica.
L’Imperatore Yong-Ceng morì all’inizio del 1736; Pedrini poté godere in questo lasso di tempo un periodo di tranquillità. Il nuovo Imperatore, K’ien-long era ostile al Cristianesimo e i Missionari furono tenuti in disparte e ostacolati; tuttavia alla fine del 1741 il nuovo sovrano sveva disposto che fossero restaurati gli strumenti di musica e il Pedrini dovette ritornare al palazzo per fare quello che aveva fatto al tempo del nonno dell’Imperatore. Tra le preoccupazioni che lo affliggevano la principale era quella della severità usata contro i Missionari; la sua attività era quella di poter applicarsi ad addolcirne gli effetti. Benché musico dell’Imperatore, egli conservava l’animo di vero missionario; non dimenticò mai di essere un inviato della Congregazione di Propaganda e mai lasciò spegnere la fiamma sacerdotale né affievolì lo zelo appreso alla scuola della sua formazione vincenziana. Alle frequenti obiezioni che venivano avanzate all’opportunità di “sprecare” dei missionari per destinarli al servizio della Corte imperiale, il Pedrini rispondeva specialmente con la sua pratica sacerdotale, dimostrando l’utilità della propria presenza a Corte rendeva più agevole l’opera missionaria.
Un’altra grande sofferenza gli era provocata dai contrasti esistenti all’interno dell’ambiente missionario tra coloro che, avendo accettato i documenti pontifici di Clemente XI, rifiutavano i riti cinesi e coloro che sostenevano un atteggiamento più morbido. La missione del Tournon era fallita, ma il Pedrini gli restò sempre fedele e si impegnava attivamente per superare le divisioni.
L’opera missionaria di Teodorico Pedrini
Abbiamo descritto l’attività di musico nella Corte imperiale forse in modo troppo ampio, rischiando di operare una grave riduzione della autentica sua personalità specificamente missionaria. Il Pedrini infatti non fu solo musico di Corte, ma fu Rettore di una chiesa; il suo compito fu quello di istruire, insegnare, predicare, amministrare i sacramenti, dirigere una Confraternita, in breve fare tutto ciò che fa un bravo missionario, senza preoccupazione né di musica né di servizio dell’Imperatore. Già nel 1712 l’anima del sacerdote e del missionario si esprimeva in una lettera nella quale si consolava dei contrattempi e delle prove subite per le lunghe peregrinazioni e si rallegrava di essere giunto in Cina con dei ritardi che egli definiva provvidenziali: Tuttavia in questo ritardo io scorgo un tratto particolare della Provvidenza di Dio, perché, se fossi arrivato prima, sarei stato cacciato come tanti altri dei quali questa Missione avrebbe tanto bisogno ora.[21] Il Superiore dei Lazzaristi sottolinea lo zelo missionario di Pedrini e afferma che benché non possa correre da molte parti per annunziare il Vangelo, egli ha convertito molte persone in varie località e ha diffuso la buona novella anche all’interno della famiglia imperiale.
Già fi da quando si trovava a Manila in attesa di raggiungere la Cina, aveva offerto una considerevole somma per creare nelle Filippine una struttura di accoglienza dei missionari. Nella sua permanenza nella capitale sentiva la necessità di avere a disposizione una propria casa con annesso un luogo di culto in modo che potesse con maggior facilità dedicarsi al lavoro apostolico e alla cura delle anime.
Dopo l’avvento al trono di Yong-ceng, liberato dalla prigione e ritiratosi al Ciang-cioun-yuen, senza più impegni ufficiali a Palazzo, poté fare esperienza diretta di apostolato e cominciò a dar forma al proprio desiderio di avere a propria disposizione una chiesa. Già il Ripa nel 1721 aveva acquistato una piccola casa, insufficiente però allo scopo. Nel 1723 il Pedrini acquista uno stabile molto più grande, destinato ad accogliere i missionari di Propaganda e ricavarne una comoda chiesa; così egli ne scrive al Prefetto di Propaganda Fide: E’ posta in una delle vie più belle e più spaziose di Pechino … da cima a fondo ha 270 piedi cinesi di lunghezza. Ne chiedono sette od ottocento scudi cinesi, ma credo che la darebbero per cinque o seicento … E’ abbastanza distante dalle altre chiese del settentrione e del mezzodì che appartengono ai Gesuiti. Il prezzo di acquisto è stato di 1850 taels, ma la spesa complessiva ascende a 1900 taels ossia 2130 scudi romani … La chiesa è separata e i fedeli vi entrano senza dare disturbo alla casa.[22] La chiesa era dedicata a Nostra Signora dei Sette Dolori; il Pedrini vi aveva costituito una Confraternita con lo stesso titolo che contava molti aggregati, che si riunivano due volte la settimana per ascoltare un’istruzione religiosa e per recitare le proprie preghiere.
Il nostro missionario aveva dunque assicurato, per quanto gli era stato possibile, la facilità e la continuità del ministero apostolico per i missionari di Propaganda e ciò prendendo dai uoi averi personali, utilizzando il prodotto del suo lavoro, cioè la fabbricazione degli strumenti di musica e altre risorse private. Essendosi dato tutto al servizio di Dio, non pensava affatto che gli convenisse trattenersi nulla e tutto quello che possedeva stimava di doverlo consacrare a questo servizio. Il Pedrini poteva ormai dar libero corso al suo zelo pastorale e se in queste occupazioni pastorali incontrava delle difficoltà e delle sofferenze, la sua anima sacerdotale vi provava una grande dolcezza. Il terremoto del 30 settembre del 1730 distrusse da cima a fondo la residenza. Il vecchio missionario, salvatosi per miracolo,[23] raccolse il resto dei suoi averi, restaurò il tutto e rilevò a suo nome casa e chiesa. Quando nel 1736 l’imperatore K’ien-long prese delle misure energiche contro l cristianesimo, vietando alle tre chiese dei Gesuiti in Pechino di predicare la religione, apparve che il Pedrini nel suo totale disinteresse per se stesso e nella cura del regno di Dio da stabilire e consolidare, era stato provvidenzialmente ispirato. Aveva infatti voluto che la casa e la chiesa del Si-t’ang fossero considerate come abitazione privata e così poté sfuggire a questa proibizione e restò l’unico angolo dove i cristiani potevano continuare e con gran frutto, a raccogliersi per le loro funzioni religiose.
In questo ministero delle anime il suo spirito si ritemprava in Dio per conservare la sua serenità di coscienza fra le nuove prove che vennero ad assalirlo da parte di alcuni missionari di Propaganda, specialmente i religiosi appartenenti ai Carmelitani e ai Minori, che lo accusavano di aver messo a suo nome la proprietà e di favorire i religiosi della propria Congregazione dei Lazzaristi. P. Teodorico portò questa croce per lunghi anni e lo fece con la stessa fermezza che lo aveva animato durante le penose tappe sulla via della Cina. Il Superiore Generale p. Couty nel 1744 gli rende questa testimonianza: Quest’anno ho ricevuto delle lettere del sig. Pedrini, scritte da Pechino il 6 ottobre del 1742 e le ho lette con molta consolazione, perché, benché Dio l’abbia visitato con una specie di persecuzione molto sensibile per un uomo onesto e per un ministro del Vangelo, tuttavia gli ha fatto la grazia di condursi in questa occasione con molta prudenza e di sottomettersi umilmente all’autorità, la quale non l contrista per il fatto di essere stata prevenuta contro di lui con dei rapporti male informati. Bisogna aiutarlo con le nostre preghiere, affinché il Signore faccia conoscere la sua innocenza e gli conservi la tranquillità dello spirito e del cuore.[24]
La morte del missionario
Nel febbraio del 1741 una febbre maligna lo portò quasi sull’orlo della tomba; già nell’anno precedente un colpo di apoplessia gli aveva rivelato che si stava avvicinando il periodo ultimo della sua vita; il pensiero della morte gli era divenuto familiare. Le ultime lettere che abbiamo di lui fino alla fine del 1744 danno tutte ai suoi corrispondenti l’arrivederci in Paradiso. Avrebbe voluto rivedere Fermo e la sua famiglia, ma la santa volontà del nostro Dio – scriveva al fratello – non lo permette. Qualche anno fa, annoiato delle croci importune che mi venivano da qualche missionario e che per conseguenza mi erano più penose a portare, domandai alla S. Congregazione di Propaganda fide di tornare in Europa. Ma questa nuova e numerosa cristianità, questa nuova chiesa fondata da me e l’affezione che avevo per questo gregge furono un potente contrappeso per impedirmi di abbandonare il posto. A testimonianza del suo affetto per la sua Fermo e per la sua famiglia ci è rimasta questa simpatica composizione poetica in lingua latina:
Iam mihi Gallutium non est spes ulla videndi (Non ho alcuna speranza di vedere Galletto
Nec mihi Margotti vertere terga licet (non mi è possibile far girare le spalle del Margutto
Urbs firmana manet, palatinaque tecta Joannis (Stanno erette le mura di Fermo e il palazzo di Giovanni
Et Burattinae moenia clara domus. (e le illustri mura della abitazione di Buratti
Solaque quam mitto migrabis epistola Firmum (O lettera che mando a Fermo, solitaria migrerai
Quo tuus infelix scriptor adire nequit. (dove il tuo infelice scrittore non può andare.
Vale, sed incessu cures prospere citato (Addio, ma abbi cura di presto arrivare bene.
Solum Spinucci in limine siste gradum: (Fermati solo all’ingresso di casa Spinucci
Illic me referens juvenesque senesque saluta (Lì saluta a moi nome i giovani e i vecchi.
Murisque et portis basia mille dabis; (Dà mille baci alla porta e ai muri
Canitiem venerare senis juvenemque Josephum (Riverisci la canizie del vecchio e il giovane Giuseppe
Ad pectus nostro nomine stringe tuum; (stringilo al tuo petto, a mio nome.
Illic da cunctis supremo forsitan ore (Lì dà a tutti, forse con voce ultima
Quod et qui mittit non habet ipse, vale (che non ha la persona che ti manda, un addio)
(E’ traduzione altrui)
Morì il 10 dicembre 1746 a Pechino a 77 anni di età e fu sepolto nel cimitero di Propaganda. Rimasto per tutta la vita un vero figlio di S. Vincenzo, nelle più delicate questioni come quella dei culti cinesi, fin dal suo ingresso in Cina accettò con semplicità e senza riserve le direttive lasciate dal card. De Tournon, le decisioni e le prescrizioni di Roma senza mai transigere con la sua coscienza, avesse pur dovuto esporsi, come avvenne alle disgrazie, ai maltrattamenti, alla prigione e alle postume denigrazioni. Lo stesso Imperatore fece le spese dei funerali. La sobria iscrizione della stele eretta sulla tomba, che nel 1946 si leggeva ancora all’esterno della chiesa di Cha-la, ricorda ai pellegrini e agli operai del Vangelo in Cina un bel modello di testimone di Cristo e del suo Vangelo. Teodorico Pedrini con la sua opera e con l’esempio della sua sofferenza gettò le basi che permisero lo stupendo sviluppo delle opere missionarie negli anni successivi. La conoscenza della vigorosa personalità di questo illustre missionario deve essere approfondita e inserita nell’albo d’oro della ricca tradizione missionaria della Chiesa fermana, così come il suo nome deve essere annoverato tra i nomi più illustri della città di Fermo. Siamo certi di aver offerto un utile inizio e più di uno spunto agli studiosi di cose fermane, mentre esprimiamo la speranza che qualcuno voglia accogliere questo invito.
(Nota altrui: www.teodoricopedrini.it)
[1] F. PANVINI, Violino e Vangelo, terzo centenario di Teodorico Pedrini, in “L’Osservatire Romano, 15 dicembre 1946.
[2] Si tratta evidentemente dell’Archivio della Casa romana della Congelazione della Missione. Attualmente la Congregazione (Lazzaristi) conta 556 Case in tutto il mondo con 4052 Religiosi).
[3] Riportato nel testo, p. 3.
[4] Cfr. S. ANDRETTA, Clemente XI, in “Enciclopedia dei Papi”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000, volIII pp. 414-416.
[5] Tutti gli studi a stampa che lo riguardano sono concordi nella data di nascita.
[6] A. CISTELLINI, Oratoire philippin , in “Dictionaire de spiritualità », Paris 1983, IX, pp. 868-873 ; R. AUBERT, Grassi Antonio, in «Dict. Hist. et Geograph. Eccl.”, XXI, coll. 1209-1210; F. TREBBI – G. FILONI, Erezione della Chiesa Cattedrale in Metropolitana,, Fermo 1890.
[7] M. CROCI e altri, Sisto V e lo Studio Generale di Fermo, in “Quaderni dell’ASAF”, Fermo n°3 (1986), pp. 71-72.
[8] Le trattative per ottenere la venuta a Fermo dei missionari vincenziani erano tuttavia iniziate fin dall’anno 1697; il card. Cenci fu consigliato in questa vicenda da mons. De Tournon .
[9] Tournon era nato a Torino nel 1668, compì gli studi a Roma nel Collegio di Propaganda Fide; restò a Roma , lavorando nell’ambito della Congregazione di Propaganda. Era buon conoscitore degli ambienti della Curia pontificia e aveva stretti contatti con i più influenti personaggi della corte Pontificia.. Sappiamo queste notizie perché il Tournon, prima di essere nominato Patriarca di Alessandria e Legato in Cina, tra gli anni 1696-1701 aveva svolto l’ufficio di Procuratore a Agente Generale del card. Baldassarre Cenci arcivescovo di Fermo per gli affari che interessavano la diocesi. Nell’Archivio storico diocesano di Fermo esiste un voluminoso carteggio del Tournon indirizzato al Cardinale arcivescovo, dal quale si evince la profonda conoscenza che il Prelato torinese aveva degli ambienti della Curia pontificia. Cfr. Lettere scritte al card. Cenci dal suo Uditore Carlo de Tournon poi cardinale, III-E-7.
[10] Mémoire de la Congrégation de la Mission, Chine, I, pp. 86-87, Paris 1911. Nuova edizione.
[11] Dalle Memorie historiche dell’Eminentissimo Monsignor Cardinale de Tournon, vol. 8, Venezia 1761.
[12] Archivio della Congregazione della Missione – Roma, Lettera alla famiglia del 10 aprile 1705.
[13] Archivio della Congregazione – Roma, Lettera del 6 luglio 1708.
[14] Archivio della Congregazione, Torino.
[15] Circolari del Padre Generale, vol. I, p. 278.
[16] Archivio della Congregazione – Roma, Lettera dell’Appiani, 1 agosto 1711.
[17] Stiria della fondazione della Congregazionee del Collegio dei Cinesi, Napoli 1832, vol. I, pp. 441-443.
[18] Archivio della Congregazione di Roma, Lettera del 6 dicembre 1716.
[19] Circolari del Superiore Generali, vol I, pp. 278 – 285.
[20] Ibidem, p.285.
[21] Archivi della Congregazione a Roma, Lettera del 15 agosto 1712 al sig. Giovanni Appiani a Fermo.
[22] Biblioteca Corsini – Roma, Manoscritti.
[23] Archivi del Seminario delle Missioni estere di Parigi, Lettera del Pedrini del 1 agosto 1744.
[24] Circolari …,cit., v. I, p.501.