FALERONE di Lorcassi Antimo (con note aggiunta da T. C.)
La strada che dal litorale Adriatico giunge ai monti Sibillini nel bacino del fiume Tenna è chiamata Faleriense, perché a metà del suo percorso c’è stato Falerio Piceno , in posizione pianeggiante dove si ammirano i resti della città romana e in altura a due chilometri è sorto il castello medioevale di Falerone a m. 432 s.l.m. Le località del suo territorio sono varie e valorizzate nelle generazioni passate, all’epoca dell’economia agricola: Castelnuovo, Patrignone, San Clemente, San Marco, San Pietro, Santa Margherita, Varano, Cerretino, Santo Stefano, Volpi. A molte di queste corrispondeva una delle chiese rurali descritte da don Angelo de Minicis.[1] I confini sono segnati dal fiume Tenna con Servigliano, e Belmonte ; dal torrente Ete Morto e da segni artificiali con Penna San Giovanni, Sant’Angelo in Pontano, Montappone, Monte Vidon Corrado e Montegiorgio.
Non si conosce l’origine del toponimo Falerone, ma è riferibile alle popolazioni picene che erano qui insediate dal VII secolo avanti Cristo. Lo stemma comunale raffigura un’armatura medioevale con pennacchi laterali. Nel mezzo una banda rossa con scritto S. P. Q. F. (Senato e popolo Faleronese) su fondo blu. Nel 2013 gli abitanti in anagrafe sono 3398, in lieve calo rispetto ai 3499 censiti nel 2009.[2]
Storia e modernità sono il binomio vincente dei Faleronesi. Il tessuto economico che valorizza da sempre i pilastri dell’agricoltura, dell’artigianato e del turismo, ha creato a Piane di Falerone nuovi e moderni insediamenti in crescente e vivace espansione per le attività commerciali, tra cui molti negozi e stabilimenti meccanici. Gli abitanti si fanno apprezzare per la voglia di stare insieme e di fare. Molte le iniziative di movimento turistico, a cominciare dal gemellaggio con la cittadina francese Cormeilles, inoltre il Presepe Vivente a fine anno, il Festival musicale piceno in estate, la società polisportiva ‘Folgore’ (nome dato da d. Elio Iacopini bersagliere della Folgore), la corale ‘Cesare Celsi’, la Compagnia teatrale ispirata dalla genialità di Massimo Mezzanotte, la valorizzazione del parco archeologico di Falerio Picenus,[3] e le istituzioni della Protezione civile e dell’Istituto scolastico comprensivo che ha qui la presidenza. Gli eventi di festeggiamenti patronali e zonali richiamano gente e turisti da tutta la provincia ed oltre. L’accoglienza fraterna è evidente anche nella presenza di sacerdoti di origini Africane.[4]
La manifestazione più nota è la festa della ‘Nzegna’ che rievoca, con un concorso a premi, il passato con le serate vissute in dialoghi nell’abitazione famigliare e le creazioni artistiche in paglia su carri allegorici.[5] Sono stati pubblicati vari opuscoli a cura delle contrade in gara e dell’amministrazione comunale che sostiene le varie iniziative.[6]
Falerone si è fatto onore anche nel secondo dopoguerra a livello nazionale, ad esempio nel 1948 furono eletti due parlamentari della Repubblica Italiana di nascita Faleronesi, al Senato Malintoppi Enrico (1893-1981) ed alla Camera dei Deputati Concetti Francesco (1914-1984) e sarebbe lungo riferire sulle nomine date a persone Faleronesi, a commendatore e a cavaliere della Repubblica.[7]
Nel secolo precedente si manifestò una viva sensibilità sociale nelle opere solidali come la Cassa di risparmio di Falerone a cui diedero impulso anche i cattolici, sostenitori nel 1909 del successo di don Romolo Murri, eletto nel collegio locale di Montegiorgio.[8] Si potenziò l’attività manifatturiera del cappello di paglia che tanto ha contribuito all’economia delle famiglie.[9]
Altre personalità di distinsero nel passaggio dallo Stato Romano Pontificio in cui avevano assunto alcuni ruoli pubblici, al successivo Regno dei Savoia; in particolare i fratelli De Minicis: Gaetano, Angelo, Giuseppe, e Vincenzo, figli del dottore Pier Paolo.[10] L’avvocato Gaetano De Minicis (1792-1871) docente di giurisprudenza nell’Università Fermana (soppressa nel 1861) ha valorizzato gli archivi Fermani e la raccolta di oggetti archeologici tanto da essere ringraziato dal geniale epigrafista Theodor Mommsen che venne dalla Germania a visitare la sua raccolta di dati epigrafici. Pubblicò le antiche “Cronache Fermane” e molti studi sui monumenti e sull’arte a Fermo ed a Falerone.[11]
De Minicis Don Angelo (1788-1851) visse a Falerone, priore della Parrocchia di Santa Margherita e Prevosto di San Paolino, ha scritto le Memorie Religiose di Falerone e la storia delle Chiese Faleronesi.[12] Fine letterato come il padre Pier Paolo ha valorizzato la predicazione cristiana e le feste cristiane Faleronesi. De Minicis Raffaele (1784-1860) eseguì, dirigendoli, gli scavi del patrimonio archeologico di Falerio Picenus di cui fece fare un diario.[13] Vincenzo era il fratello più giovane rispetto agli altri tre e divenne architetto- ingegnere che progettò e realizzò dal 1846, il ponte monumentale che collega Piane di Falerone con Servigliano.
Un’altra personalità di famiglia imparentata con i De Minicis era Emiliani Antonio medico della Marina militare, console del Paraguay ed erudito della storia militare risorgimentale con molti studi sulle guerre napoleoniche nel territorio piceno.[14]
Per gli studi dell’agraria e dell’economia rurale il faleronese Francesco Marconi divenne capo divisione del Ministero dell’Agricoltura e del Commercio e fu docente e preside di Istituti tecnici. Delle precedenti usanze e costumanze Faleronesi scrisse nel 1811 una relazione dettagliata il Faleronese Gian Luigi Simonetti con la fiducia in prospettiva di un deciso progresso.[15]
Il settecento fu il secolo delle fortune architettoniche, monumentali, archeologiche ed economiche, conclusosi però con la spoliazione dei beni fatta da Napoleone. Furono fatti studi sulle antichità romane, a seguito di sistematici scavi.[16]
Per la parte architettonica ed artistica del Settecento la chiesa del centro storico mostra il gusto di ammodernare con lo stile neoclassico della seconda metà del secolo che dava rilievo a colonne, capitelli, architravi, arcate e cappelle laterali geometricamente simmetriche. I manuali turistici non menzionano l’armonia e la maestosità del sec. XVIII a Falerone.[17]
Anche il Rinascimento diede lustro a questo paese, in particolare per la chiesa dei Francescani, in riferimento ai santi faleronesi ufficialmente riconosciuti nel culto: beato Pellegrino e beato Giacomo. Dalla loro venerazione provenne anche l’istituzione del monastero femminile della Clarisse vicino alla piazza.[18] Il beato Pellegrino di famiglia nobile che si era recato a studiare a Bologna, all’Università, si incontrò con san Francesco che predicava nella piazza della città il 15 agosto 1222 e volle seguirne gli esempi al punto tale da non desiderare l’ordinazione sacerdotale (né l’ebbe san Francesco) ma restare a servizio altrui in vari conventi fino alla morte avvenuta il 5 settembre 1233 a San Severino Marche ove è sepolto.[19] E’ tra l’altro interessante il fatto che nel 1572 a Falerone, nella chiesa francescana fu messo un organo di pregiata arte.[20]
Il suo contemporaneo beato Giacomo da Falerone viene reputato parimenti di famiglia nobile fu una francescano conventuale e morì a Mogliano Marche ove permane il suo convento e la sua tomba.[21] Il monastero delle Clarisse presso la chiesa parrocchiale faleronese fu attivato nel 1684, ma preesisteva un altro modesto luogo delle monache. Tra queste è considerata esemplare suor Maria Eletta Sani nativa di San Severino Marche (1721) vissuta a Macerata e professa a Falerone nel 1752 ove morì santamente e fu sepolta nel 1754.
Il secolo XVI fu variegato da vicende politiche mutevoli. La città capoluogo, Fermo praticava lo Statuto dei Fermani e governava nel suo “Stato” dando la cittadinanza fermana agli abitanti dei castelli ad essa uniti ed i cui rappresentanti entravano a far parte del Consiglio Generale, e contemporaneamente in ogni castello veniva inviato un Vicario Fermano. Nel 1570 Fermo vinse il processo in seguito al quale il castello di Falerone non doveva imporre una ‘gabella’ ai suoi abitanti; se ne doveva astenere sotto pena di mille ducati d’oro. Falerone chiese ed ottenne allora di essere staccata da Fermo e dipendere invece direttamente da Roma e fu accordato. Ma nel 1575, a seguito di nuovi ricorsi, tornò a far pienamente parte dello Stato Fermano.[22]
Luttuososi furono due eventi, uno del 1520 e l’altro 1502. Ludovico Uffreducci e suo zio Oliverotto Eufreducci tentarono di prendere la signoria della città e della Stato Fermano e finirono uccisi. Ludovico sconfitto dall’esercito di Niccolò Bonafede[23] fu sepolto a Fermo ove gli è eretto uno splendido sepolcro parietale di A. Sansovino, nella chiesa di san Francesco. Oliverotto Eufredduci finì pugnalato, all’inizio del secolo, quando Alessandro VI aveva reso governatore suo figlio Cesare Borgia, detto il Valentino, come racconta il Macchiavelli nel capitolo VII del suo Il Principe[24].
In realtà le signorie militari a Fermo, tutte di pessima fine, erano iniziate nel secolo XIV con Mercenario da Monteverde, pubblicamente ucciso nel 1340, parimenti Gentile da Mogliano fu scacciato dalla città nel 1357 dal card. Egidio Albornoz e tutta la Marca ebbe allora un nuovo Statuto, chiamato “Costituzioni Egidiane” ben accolte nei territori. Ma dopo che nel 1404 Innocenzo VII aveva dato al nipote Ludovico Migliorati il governatorato di Fermo, nel 1406 questo papa moriva e il successore Gregorio XII toglieva ogni signoria al Migliorati, e fu un succedersi delle battaglie di compagnie di ventura, prezzolate dall’una o dall’altra parte. Si era in tempo di scisma con due antipapi. Le truppe di Carlo Malatesta nel 1413 e quelle di Braccio di Montone nel 1418 occuparono il castello di Falerone. Ogni passaggio di truppe poteva dirsi un saccheggio. Il Concilio di Costanza che placò lo scisma eleggendo sommo pontefice Martino V, fece tornare il Migliorati a governare i territori Fermani.[25]
Il secolo XIV aveva segnato la fine del predominio dei signori locali su Falerone che nel 1378 si erano assoggettati a Fermo e risiedevano in città, nella cittadinanza Fermana, secondo gli Statuti.[26] Il Vicario inviato da Fermo controllava l’ordine pubblico ed il rispetto degli Statuti Fermani. Segno di un certo benessere è il porticato nella piazzetta di San Fortunato con sopra le loggette quattrocentesche, completate nel 1478 con sette colonne uniformi, ad uso di mercato.
Nei precedenti secoli del medioevo i signori di Falerone rispecchiavano i sistemi politici delle società feudali, nelle quali peraltro era affidato un ruolo di moralità ai monaci. Governavano gli uomini militari di spada che avrebbero protetto i lavoratori inermi a cui erano affidate le terre. Anche i monaci davano terre in affitto a lieve canone. La novità politica si verificò quando i comuni cominciarono a gestire le cose pubbliche, togliendo i ruoli di dominatori ai signori, sostituti da consoli, controllati dal parlamento popolare. Pur con tale novità non cessavano le rivalità tra un signore e l’altro o tra gli eredi di un qualche patrimonio immobiliare, né tra comuni vicini.[27]
Ancora nel 1290 il governo di Roma riconosceva la signoria dei Da Falerone.[28] Del resto perduravano gli scontri tra l’autorità imperiale o regia e quella pontificia e a Falerone nel 1275 erano detenuti alcuni prigionieri catturati dai ghibellini.[29] Gli stessi eredi dei signori Da Falerone avevano spartito le eredità immobiliari nel 1274 e si separavano tra di loro spartendosi i domini.[30] Un buon ordinamento per evitare gli scogli di parte ghibellina e gli scogli di parte guelfa erano gli ordinamenti Fermani da quando erano intervenuti i nobili del dogato di Venezia, podestà di Fermo come Rainer Zen e come Lorenzo Tiepolo a metà secolo XIII. Essi avevano esaudito il desiderio di fare reti di alleanze nel governo territoriale, proposto nel 1229 con un accordo tra i signori e la città di Fermo.[31]
Nel secolo XII la superiorità morale e amministrativa del vescovo di Fermo aveva tenuti quieti e pacifici i signorotti locali e in tempo di pacificazione favorita dalla Chiesa il conte Rainaldo Giberti da Falerone faceva accordi con il conte Matteo da Villamagna nel 1191.[32] In quel tempo i monasteri tenevano cappellanie a Falerone. I monaci di san Pietro Vecchio di Fermo amministravano, tramite un prete incaricato la pievania di Santo Stefano con le chiesette di san Paolo, san Pietro e san Gregorio.[33] Il monastero di Ferentillo amministrava la chiesa faleronese di San Fortunato.[34]
Prima di addentrarci nell’alto medioevo deprivato di quasi tutti i suoi documenti in ogni comune Fermano, ci fermiamo su tre chiese testimoniate attorno all’anno 1000: Santa Margherita, Santa Anatolia e San Paolino che appare la più longeva, forse con il precedente titolo di San Giovanni. Santa Margherita è ricordata in un documento del 1061 per l’atto di donazione ricevuta dal vescovo di Fermo da parte del prete Atto assieme con i terreni in contrada Collina.[35] Dato che è ancora chiamata ‘prioria’ si può pensare ad una precedente monastero, probabilmente femminile. Lo stile romanico ha subito molte modifiche nel corso dei secoli.[36]
Altra chiesa che aveva funzioni ascetiche e culturali nel confine tra Falerone e sant’Angelo in Pontano, ambedue parrocchie della Diocesi di Fermo, seppur divenute di diversa provincia, era la chiesa di Santa Anatolia, non molto lontana da quella predetta di Santa Margherita.[37]
La chiesa di San Paolino, su una collina, vicino ad un antico percorso, a metà strada tra Falerio romano in pianura e Falerone medioevale in altura, poteva esser stata in precedenza intitolata ad altro santo, forse san Giovanni Battista che viene localizzato nelle vicinanze. Qui si trovavano le epigrafi degli imperatori romani prima e del signore longobardo Volvet che nella sua epigrafe menziona re Desiderio ed il figlio Adelchi.[38] Per questi motivi viene da pensare che sia stata la cattedrale del vescovo di Falerio.[39]
Dell’alto medioevo, qui come altrove, scarseggiano i documenti; ma è certo che esistesse una vescovato ed una diocesi di Falerio Picenus per il fatto che nell’anno 495 il papa Gelasio mandò due vescovi a verificare la dispersione dei beni vescovili Faleriensi.[40]
Le sicure testimonianze epigrafiche della colonia romana e l’esplorazione del parco archeologico hanno entusiasmato a poter valorizzare ai fini turistici un patrimonio apprezzato. Il teatro di epoca augustea ha gradinate intere, su mura semicircolari compatte e dotate di ingressi; inoltre “domus” con muri laterizi. Dell’anfiteatro resta una parte dell’ellissi sul fianco del colle. Si notano anche il Campidoglio, le urnette cinerari; i cippi dei sepolcreti lungo la strada, le statue (quasi tutte acefale), i frammenti di mosaici e a ltri reperti hanno dato motivo a molte ricerche di studio.[41]
Il municipio della città romana di Falerio valorizzava diritti ed obblighi riferiti al censo, al dominio legittimo dei proprietari, alla patria potestà nei testamenti e in famiglia, alla libertà delle persone, al servizio militare, al diritto di voto, alle cariche pubbliche (magistratura), in generale a quello che riguardava gli individui, le famiglie, la società e lo Stato.[42]
Falerio aveva stretti rapporti con Roma e all’interno dell’Impero Romano, ad esempio con Genova, ed ha offerto dati nuovi di conoscenze sulla vita pubblica romana, come un “cursus” equestre che prima non era conosciuto. Non cessa l’esplorazione di frammenti e di epigrafi già raccolte al tempo dei fratelli De Minicis e depositate nei musei di Ancona, di Fermo e di Falerone mentre altro materiale fu portato a Roma al museo Pio-Clementino, senza dire ciò che è andato disperso o venduto privatamente.[43]
La colonia faleriense ebbe la centuriazione augustea. Era confinata ad est con Fermo, a nord con Urbs Salvia e con Pausolae, a sud con Novana, e con Ascoli Piceno. Vi esistevano il duumvirato, il quadrumvirato, l’ottumvirato o collegio degli augustali, gli auguri, i laurenti lavinanti, la curia, il collegio dei negozianti e degli artieri, i centonari, i dendrofori, il magistrato dei quinquiennali, gli edili, i decurioni.[44]
Nel 90 a. C. a Monte Falerino si registrò un momento della guerra “sociale”, quando gli Italici della Lega Peligna, chiamati “Socii” di Roma, ribellatisi, si mossero contro il governo Romano da cui soffrivano i prelievi delle tasse e delle leve militari, senza pari dignità politica. Pompeo ebbe la peggio. Mentre rare sono le menzioni di Falerio negli scrittori romani, molti, come Appiano Alessandrino, Velleio Patercolo, Livio, Orosio Paolo, Frontino (Stratagemata) riferiscono la sconfitta romana a FALERINUM Montem nelle vicinanze del fiume Tenna, dove Pompeo Strabone, padre del noto Pompeo Magno, dovette darsi alla fuga verso Fermo.[45]
Il colle Faleronese fu abitato ben prima dei Romani, dai Piceni dei quali si hanno piccoli reperti in una bacheca dell’Antiquarium locale. Il prof. Bonvicini nella sua raccolta di iscrizioni Picene trova in questo territorio Zaurio Petronio probabilmente dell’epoca dell’invasione romana nel territorio piceno, nel 269 a. C.[46]
[1] DE MINICIS Angelo, Le chiese di Falerone, manoscritto, fotocopia del quale è presso l’Archivio Storico arcivescovile di Fermo.
[2] ARMELLINI, Marco, Falerone Cenni storici dattiloscritto consegnato dall’autore a Gabriele Nepi per il Centro studi stoici Fermani. Una prima descrizione storico-artistica, stampata in un pieghevole, fu compilata, assieme con la Pro Loco, da Bonvicini Pompilio, edita a Falerone, Tipografia Menicucci, 1964. Ancora nel 2012 il Comune faleronese ha riedito una breve informazione. Più ampio: Falerone: ricerca iconografica di Raffaella COTINI con un saggio di Pompilio BONVICINI a cura di Claudio GIOVALE’, Fermo , A. Livi, 1998.
[3] Valorizzazione del parco archeologico di Falerio Picenus Macerata R. Scocco edizioni 2006.
[4] Nel vivere sociale paesano, anche le monache Clarisse, qui presenti da quattro secoli hanno manifestato spirito di fraternità e di solidarietà, tanto che quando nell’ottobre 2013 si sono trasferite a Sant’Agata Feltria c’è stata una corale manifestazione di gratitudine e rimpianto.
[5] Sono stati editi vari pieghevoli dalla Pro Loco di Falerone. Contrada san Paolino (Falerone), La contesa de la ‘Nzena a Falerone, 1980, 1981, 1982, 1983, Falerone, tipografia Faleria 1984. DE SIGNORIBUS, La contesa de la ‘Nzegna, nel periodico “Piceno” anno VII n. 2 dicembre 1983 pp. 77-81.
[6] Falerio Picenus: periodico dell’amministrazione comunale. Falerone 1992. Inoltre 1 CD-ROM Falerio Picenus: il gioco. Illustrazioni di Luca DI SABATINO ed Ermanno DI NICOLA. Musiche originali ed effetti sonori di Daniele ROSSI. Testi di Ermelinda ANGELCI Falerone 2007(?). Il Comune di Falerone Assessorato alla cultura ha pubblicato anche un testo dell’Archeoclub d’Italia, Eredità dell’antica Falerio, Falerone 1989. Nella valorizzazione dell’ambiente naturale sono state fatte ricerche e pubblicazioni. Ad esempio: CARBONI, Brunella – SESTILI, Simona – ALFEI Barbara, Il piantone di Falerone: la varietà d’olivo di Falerio Picenus. Fermo, A. Livi, 1999
[7] Tra i premi provinciali un premio nell’agricoltura, per la selezione della semente di grano adatta alla migliore resa di quintali per ettaro fu conferito a don Giulio Remia priore di Santa Margherita e operoso nel procurare benessere ai coltivatori. Il deputato Francesco Concetti fu rieletto ancora nel quinquennio successivo dal 1953 e rimase in parlamento fino alle elezioni del 1958. Fu anche eletto sindaco a Falerone nel 1956 e rieletto nel 1960.
[8] Cfr. COCCIARETTO Daniela, La Cassa di risparmio di Falerone dal 1890 al 1926, in “Proposte e Ricerche” n. 57 novembre 2006 pp. 121-149. Per Romolo Murri cfr. CHIURCHIU’, Tarcisio, Il movimento cattolico nell’Arcidiocesi di Fermo, periodico “Firmana” 2004 pp. 92-136.
[9] Ampia la bibliografia che inizia dalla seconda metà del secolo XIX: PALMA Alessandro, Relazione della commissione incaricata d’introdurre a Fermo e suo territorio la lavorazione delle trecce e cappelli di paglia letta il 29 aprile 1875 nell’adunanza del consiglio direttivo della società d’incoraggiamento. Fermo, Tip. Paccasassi, 1875. IOMMI Ildebrando, L’industria dei cappelli di paglia nel circondario di Fermo in “L’esposizione marchigiana: rivista illustrata” n. 4 anno 1905 p. 30. SERAFINI Giuseppe, Storia del cappello di paglia realizzato con la treccia, Montegranaro, Litografia artigiana, 1990. SERAFINI Giuseppe R. – GIUBBILO Silvano, Dal grano al cappello: genesi del copricapo, in HAT, Montappone 2000 pp.67-95. Vol Il distretto fermano dei cappelli: dalla manifattura alla fabbrica, secc. XIX-XX: Atti del convegno, Montappone 15 luglio 2006 in “Proposte e Ricerche” n. 57 a. 2006 novembre. SABBATUCCI SEVERINI, Patrizia, Un’industria esportatrice: la manifattura di trecce e cappelli di paglia nei secoli XIX e XX ivi pp. 7-28. PERUGINI Mario, L’industria dei cappelli in Italia: ivi pp. 28-53. SENESI Roberto, Il distretto industriale del cappello di paglia nelle Marche: nascita, sviluppo ed evoluzione competitiva 1920- 1970: ivi pp. 53-76. PETRITOLI Francesca, Mercati e istituzioni nel distretto fermano dei cappelli di paglia nel XIX secolo: ivi pp. 76-100. MASSACCESI Eleonora, La manifattura della paglia a Montottone: ivi pp. 100-120. VERDUCCI CARLO, La lavorazione della paglia a Montottone: ivi pp. 132-140.
[10] CURI Vincenzo, Elogio funebre dell’avvocato cavaliere Gaetano De Minicis detto nelle solenni esequie del giorno trigesimo della sua morte 27 aprile 1871 nella chiesa di S. Fortunato a Falerone, Fermo, Tipografia Paccasassi, 1871.
[11] Tra i molti scritti editi meno conosciuti di Gaetano quelli riguardanti le celebrazioni faleronesi in onore della Madonna e del Buon Consiglio ed una lettera archeologico-medica. Elenco in internet OPAC.SBN
[12] Dei manoscritti di don Angelo DE MINICIS esiste copia nell’Archivio storico arcivescovile di Fermo, tra cui Consuetudini vigenti nelle chiese di Falerone.
[13] Cfr. BONVICINI Pompilio, Il giornale degli scavi eseguiti nel 1836 nel Teatro Romano di Falerone redatto da Raffaele Agabiti, riedito dal 1972 in “Scritti su Falerone romana” Tivoli Ed. Tipigraf, 1995 pp. 93-114. In questo volume la bibliografia che comprende anche gli scritti dei De Minicis.
[14] EMILIANI Antonio, Visioni e ricordi. Montegiorgio, Tip. Zizzini, 1895. IDEM, Avvenimenti delle Marche nel 1799. Macerata Stab. Tip. F. Giorgetti, 1909. IDEM, I Francesi nelle Marche: 1797-1799: scene episodi ricordi. Falerone, Tip. F. Menicucci, 1911. IDEM, A. Emiliani in “Picenum: rivista marchigiana illustrata” mensile. Fasc. 3 anno 1914, p. 83.
[15] BONVICINI Pompilio, Il dialetto di Fermo e del suo circondario, Fermo, ASC, 1961. IDEM Breve saggio sul dialetto di Falerone e i suoi contatti con altri dialetti in “Studia Picena” Fano, Tip. Sonciniana, 1966. IDEM, A proposito della voce dialettale ‘fricu’, in “Studia Picena n. XXVIII a. 1960 pp. 28-29. GIACOMINI Veronica, Il dialetto nella scuola primaria di Falerone. Tesi di Laurea Università di Macerata, Scienze dell’educazione a.a. 2010-2011: 1 CD-ROM. Per il ballo dell’insegna e altri canti: Antologia delle tradizioni marchigiane: feste, fiabe, proverbi e racconti marinareschi, saggi di GIANANDREA, MANNOCCHI, GRIMALDI, Fermo, A. Livi, 2010. Altro settore delle usanze sono le cure della salute: BONVICINI, Pompilio, La medicina popolare della Valtenna: usi dell’Ottocento, in “Atti della VII e VIII biennale della Marca e dello Studio Firmano per la storia della medicina. Fermo sede dell’Antica Università AD. 1967-AD. 1969, pp. 39-44. IDEM, Usi e costumi dei Faleronesi di Gian Luigi Simonetti: memoria per l’inchiesta Napoleonica, in “Studia Picena” XXX, a. 1962 pp. 54-70. Sull’argomento della vita Falerone sono utili i verbali della Visita pastorale anno 1838, dell’arcivescovo di Fermo, card. Ferretti esistenti nell’archivio storico arcivescovile di Fermo. Qui si hanno altri verbali delle visite pastorali dei tre secoli precedenti, tra cui quella dell’antecessore card. Cesare Brancadoro. Cfr. Omelia recitata nel giorno di s. Fortunato protettore di Falerone nella chiesa de’ PP. Conventuali di detto luogo dall’em.mo e rev.mo signore cardinale Cesare Brancadoro del titolo di S. Girolamo de’ Schiavoni arcivescovo e principe di Fermo in occasione di sacra visita. Fabriano, Tombesi e C. 1804.
[16] CATANI, Enzo, Scavi pontifici nella Marca Anconetana: Marano, Recina, Falerone, Urbisaglia, in “Atti e memorie della deputazione di storia patria per le Marche” a. 1988 n. 93. Ancona 1989 pp. 192-274. AGABITI Barnaba, Giornale degli scavi nel teatro romano di Falerone eseguiti nel 1777. Manoscritto della biblioteca comunale di Fermo n. 591. In questa biblioteca una serie di carte riguardanti Falerone, raccolte a suo tempo dai fratelli De Minicis, da cui BONVICINI Pompilio, Schizzi inediti degli scavi di Falerio Picenus eseguiti nel 1777 dal notaio faleronese Barnaba Agabiti, 1972 riedito in Scritti su Falerone Romana” Tivoli, ed. Edigraf, 1995 pp. 114-153. Tra gli studi che infiammarono le discussioni su Falerio, in particolare COLUCCI Giuseppe, Sulle antiche città picene di Falera e Tignio. Dissertazione epistolare ai signori di Falerone. Fermo 1777. IDEM, Appendice alla Dissertazione epistolare sulle antiche città di Falera e di Tignio. Macerata 1778. IDEM, Memorie e antichità di Falerio, in “Antichità Picene” III, Fermo 1788 pp. 285-332. SPAGNOLI Massimo, I sistemi ipogei di Fontebella: Tignium o Falerio? A cura del gruppo speleo cavità artificiali Club Alpino Italiano Fermo 2011. Per una disamina delle ricerche: Il Piceno antico e il Settecento nella cultura di Giuseppe Colucci, a cura di POLI Diego. Università di Macerata: Quaderni Linguistici e Filologici. Roma 1998 con contributi di Bascioni, Paolo, Fioretti Donatella, Paci Renzo, Baldoncini Sandro, Borraccini Verducci Rosa Maria, Verdinelli Marcello, Catani Enzo; Agostiniani Luciano, Poccetti Paolo, Paci Gianfranco.
[17] Touring Club Italiano, Marche, Milano 1979 Falerone p. 556, 558. Guida storico artistica della provincia di Fermo, Fermo, A. Livi, 2009, pp.186-190. Di conseguenza della chiesa grande della piazza di Falerone non danno notizie neanche i siti internet su Falerone di wikipedia e marcafermana.
[18] La chiesa dei Francescani fu tardivamente dedicata a san Fortunato. L’adiacente convento, è ora adibito a scuola media ed a museo-antiquarium. I dipinti più rinomati sono La Madonna in adorazione del divin Figlio opera firmata di Vittore Crivelli databile al 1489 (1479?); inoltre il dipinto del 1619 raffigurante san Fortunato, il beato Giovanni della Penna e san Francesco. ALESSANDRINI CALISTI Silvia, Il convento e la biblioteca di san Fortunato: origini e storia: secc. XIII-XIX, in “Virtute et labore: studi offerti a Giuseppe Avarucci per i suoi settanta anni.” Spoleto Fondazione del Centro studi sull’alto medioevo, 2008 pp. 537-572. ORLANDI Giuseppe, Note storiche su San Fortunato e l’affermarsi del suo culto a Todi e a Falerone. Todi, Grafica Battistini, 1988.
[19] Annali del WADDING. Parla di Pellegrino il cap. XXVII Fioretti di san Francesco. Alcuni studi: FENIZI Ilia, Pellegrino di Falerone in “Rassegna Marchigiana per le arti figurative, le bellezze naturali, la musica” anno IV, ottobre 1925-settembre 1926 pp. 483-492. BONVICINI Pompilio, Il beato Pellegrino da Falerone, Falerone, Tipogr. Menicucci 1975. Per i festeggiamenti: BONVICINI Pompilio, Falerone: in programma manifestazioni per commemorare il grande concittadino beato Pellegrino, in “Il nuovo Piceno” (settimanale cattolico) n. 8, a. 1975 p. 3. PACIARONI Raoul, Il beato Pellegrino da Falerone e il suo dente miracoloso, in “Piceno” (periodico) anno VII n. 2, dicembre 1983 pp. 71-76. Si è svolto il Convegno “La presenza Francescana a Falerone” con Simoni Daniela.
[20] PERETTI Paolo, Un organo di Camillo Sabino del 1572 per la chiesa Francescana di Falerone in “Quaderni dell’archivio storico arcivescovile di Fermo” n. 45 a. 2008 pp. 93-106.
[21] Anche san Iacopo da Falerone viene menzionato nei Fioretti di san Francesco al capit. LI. Gli studi locali non sono molti: FERRETTI Annibale M. Il santuario di N. Signore della Pietà. Le chiese, la rocca e i conventi francescani di Mogliano Marche. Macerata, Stab. Cromo-Tipogr. Bisson e Leopardi, 1952. IDEM, Ricerche sui beati: Giacomo da Falerone, Giovanni da Fermo o della Verna, e sui primitivi conventi di Montolmo, di Mogliano e di Massa Fermana, in “Studi Francescani” n. 4 a. 1954. In precedenza si usava MAZZARA, Benedetto, Leggendario Francescano o vero Istorie dei Santi, Beati, Venerabili e altri uomini illustri che fiorirono nelli tre ordini istituti dal serafico Padre Francesco. Venezia 1722 al 25 luglio. Monastero san Pietro, Clarisse di Falerone. Le monache Clarisse dio Falerone nell’ottavo centenario della nascita della Madre S. Chiara: 1863-1993. <Falerone 1993>. Per La suora morta in concetto di santità: DIOTALLEVI Ferdinando, La serva di Dio (…) Marietta di Macerata, Sassoferrato, Scuola Tipogr. Francescana 1954. PICCIAFUOCO Umberto, Serva di Dio Suor Maria Eletta Ranieri Sani clarissa mistica francescana: 1721-1754 biografia desunta dai suoi autografi. Falerone, Monastero San Pietro 2006.
[22] Per il ricorso di Fermo a Roma contro Falerone e la decisione del Camerario di Roma avversa a Falerone, nell’Archivio storico del comune di Fermo, pergamena n. Hubart 1627 dell’anno 1570. Fermo non favoriva l’aggravio della tassazione locale. Per il ritorno sotto Fermo doc. edito in CROCETTI G. – SCOCCIA F., Ponzano di Fermo. Fermo 1982 pp. 178-182.
[23] LEOPARDI Monaldo, Vita di Niccolò Bonafede (…) Pesaro 1832. Liceo Ginnasio Statele ‘A. Caro’ di Fermo, Il monumento a Ludovico Euffreducci in contrada Fiorenza. Fermo 1999.
[24] PAPIRI P. E., Liverotto Uffreducci da Falerone, Signore di Fermo: racconto storico del millecinquecento. Fermo, Tip. Paccasassi, 1867.
[25] DE MINICIS Gaetano, cronache della città di Fermo (…) Firenze 1870 pp. 40 e 48. Questa fonte documentale curata dal docente faleronese è ricchissima di dati storici. Gli atti del Governo Fermano e le decisioni per i castelli sono ben sintetizzate da MARINI Anton Maria, Rubrica eorum quae continentur in libris Conciliorume et Cernitarum ill-mae communitatis Civitatis Frimanae, due tomi manoscritti dell’Archivio storico Fermano, presso l’Archivio di Sato ivi.
[26] Statuta Firmanorum, Firmi 1507 e Firmo 1589 (2° ediz.) cfr. pp. 25-27 e 32-34. Il centro urbano con una via interna cominciò ad essere circondato da muraglie sulle scarpate dei pendii. Sopra le muraglie meridionali che furono allargate nel secolo successivo si creò la strada della Vallicella con poche case adiacenti. BONVICINI Pompilio, Insediamenti rurali nei secolo XII – XV nell’ex territorio di Falerio Picenus, in “Atti e memorie delle deputazione di storia patria per le Marche” nuova serie n. 84 (a.1979) Ancona 1981 pp. 67-80.
[27] DE MINICIS, Gaetano, Cronache cit. all’indice proprio. Qui alcuni documenti dei signori di Falerone.
[28] THEINER, A. Codex dominii temporalis sanctae Sedis, vol I. Romae 1861, p. 305 (n.469).
[29] HAGEMANN Wolfgang, Studi e documenti per la storia di Fermo e del Fermano, Fermo 2011, pp. 185-189 e docc. pp. 310-314.
[30] DE MINICIS, Cronache cit. un documento dell’archivio faleronese pp. 447-452. Come accadeva di fronte ai pericoli, a momenti i signori Da Falerone si mettevano con i ghibellini come nel 1256 mentre in altri periodi erano contrari, come nel 1265. Ivi pp. 548-549. HAGEMANN, Op. cit. pp. 168-169. Anche AA.VV. Liber iurium dell’episcopato e della città di Fermo: 977-1266. Codice 1030 dell’archivio storico comunale di Fermo. Fermo 1996 pp. 765-768 ( in seguito cit. Liber 1030). La pergamena di questo archivio, Hubart n. 1650 del 1265 quando il re Manfredi che punisce i signori Da Falerone perché favorevoli alla parte guelfa: DE MINICIS, ivi p. 270.
[31] PAGNANI Giacinto, Patti tra il Comune di Fermo ed i nobili del Contado nel 1229, in “Studi Maceratesi, 6, “Le Marche nei secoli XII e XIII”, pp.111-121.
[32] Nel 1195 la concessione fatta dai signori da Falerone al prevosto farfense di Montegiorgio veniva confermata amichevolmente dal vescovo di Fermo: HAGEMANN, pp. 119-120. Non è facile precisare le discendenze araldiche perché scarseggiano i documenti. E’ tipico il fatto che gli atti processuali danno maggiori notizie, che non altri eventi. Per i Da Falerone anche Liber 1030 cit. pp. 530-540. PACINI, Delio, Mogliano e i Da Mogliano nella storia dalle origini al secolo XVI. Fermo, A. Livi, 2005, una genealogia pp. 205 s. BARTOLOZZI Stefania, Ricerche sulla feudalità marchigiana: i signori Da Falerone: secoli XII- XIII. Perugia Università degli Studi Facoltà di Magistero a.a. 1973-1974. In tempo di pacificazione favorita dalla Chiesa il conte Rainaldo di Giberto signore di Falerone si accordava con il conte Matteo da Villamagna nel 1191. I toponimi di Falerone danno memoria di fatti storici, ad esempio la contrada “Longobardi o Lombardi” si riferisce al popolo immigrato germanico e qui presente, secondo la lapide dell’anno 769 trovata nella chiesa di san Paolino. La contrada “Donnica” prende nome da “pars Dominica” del feudatario (dominus); “Castel Nuovo” (dilettale Casternò) indica un castello costruito nell’alto medioevo; parimenti per la contrada “Casale”; Colle Chiarino (“Cucchiarì”) indica la presenza dei Fraticelli della povertà francescana. “Commenda” indica una proprietà monastica data ad una ecclesiastico commendatario.
[33] TARABORRELLI, Ugo, Documenti pontifici e vescovili dell’Archivio storico del Capitolo Metropolitano di Fermo: la carte di San Savino, Santa Maria a Mare, e San Pietro Vecchio: secoli XI-XIV, in “Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo” n. 50 a. 2010 (XXV) pp. 61-67 doc. del 1180. Della pieve di Santo Stefano dipendente da S. Pietro Vecchio si ha riscontro in Marchia: Rationes Decimarum Italiae saecc. XIII-XIV, a cura di SELLA Pietro. Città del Vaticano 1950 ai nn. 5767; 6673; 6829; 7017; 7094; 7420 per gli anni 1290-1299. Qui si menzionano anche le chiese di santa Margherita e di Santa Maria. FOGLIETTI Raffaele, Intorno all’antica pieve di Santo Stefano in Falerone. Falerone, Tip. Menicucci. 1908
[34] Archivio storico di Fermo pergamena Hubart n. 1363 dell’anno 1231 con cui Gregorio IX rinnova la conferma dei domini signorili.
[35] Liber 1030 cit. pp. 631-632 atto notarile fatto a Fermo nell’agosto 1063.
[36] SERRA Luigi, L’arte nelle Marche dalle origini alla fine del Gotico. Pesaro 1929. DEZI Elena, Chiesa di S. Margherita: Falerone (FM). Tesina di storia dell’arte al Liceo classico di Fermo a. s. 2009-2010 vi riscontra un monastero femminile. ALLEVI Febo, Poesia delle rovine: contributi storico –artistico –letterari d’una valle Picena. Roma, Ed. Angelo Signorelli, 1956, pp. 24 e 164 valorizza la funzione asceta e culturale di S. Margherita presso il bivio per Fermo e per Urbisaglia.
[37] CAPPONI Franco, Un’antica chiesa lungo un’antica strada: S. Anatolia ai confini tra Falerone e Sant’Angelo in Pontano, in “Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo” n. 34 a. 2002 (XVII) pp. 55-66.
[38] Le lapidi degli imperatori in BONVICINI Pompilio, Falerone: dall’antichità al Medio Evo .. e gli scavi di Falerio Picenus, a cura di GIOVALE’ Claudio, Fermo, A. Livi, 1991, p. 41. L’epigrafe di Volvet che è databile al 769 (se tredicesimo anno del regno di Desiderio) è stata considerata molto importante perché dà il nome di Tasbuno duca di Fermo e dimostra che Falerone era in questo ducato Fermano. C’è chi pensa che il ducato di Fermo dipendesse dal ducato di Spoleto, ma non è dimostrato, è da pensare fossero indipendenti.
[39] Archivio storico arcivescovile di Fermo, serie Inventari: Falerone. Inventario di don Angelo de Minicis 1848 per San Paolino. Altro beneficio ecclesiastico. San Giovanni. Altre annotazioni in internet: www.luoghifermani.it
[40] SANTARELLI Giuseppe, Le origini del Cristianesimo nelle Marche. Loreto, Ediz. S. Casa, 2009 pp. 253-258 studio completo, dopo l’avvio dato nel 1783 da CATALANI Michele, De Ecclesia Firmana. I vescovi e gli arcivescovi della Chiesa Fermana: commentario storico: secoli III-XVIII. Traduzione e note di TASSI Emilio. Fermo, A. Livi, 2011. Non conosciamo il nome del vescovo di Falerio.
[41] Rinvenire qui sia un teatro che un anfiteatro è una rarità che ha fatto apprezzare maggiormente la ricchezza dei reperti archeologici. Un faleronese orgoglioso della sua antica patria fu EMILIANI, Antonio, La città morta: Faleria Picena, Roma, Tip. Ediz. industriale, 1911 Il volume a cura di PACI Gianfranco, Scritti su Falerone Romana, Tivoli, Tipigraf, 1995 raccoglie antologicamente sedici saggi sulle romanità faleriensi, con una bibliografia pp. VII-XII di un’ottantina di titoli direttamente pertinenti, a cominciare da Giuseppe Colucci nel 1777 (epoca degli scavi pontifici) poi il laborioso Bonvicini Pompilio (otto titoli) e studiosi viventi.
[42] Sempre preziosa la raccolta delle 98 Iscrizioni di Falerio Piceno in MOMMSEN, Theodor, Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L) IX p. 517 nn. 5420-5518. Oltre alle iscrizioni vanno valorizzati i toponimi, tipicamente quelli con suffisso -ano che sono di origine latina – romana: Camerano; Iroguano; Maregliano; Moelano; Salegnano; Stazzano; Troguano; Varano. L’elenco delle contrade del catasto del 1777 dell’Agabiti sta in sito internet ‘famigliacosintra’ della sig.ra Cotini. La contrada “Pila” ha nome latino che indica profondità con acqua (come pozzo).
[43] MALAVOLTA Mariano, Osservazioni su un nuovo cursus equestre a Falerio. Edito nel 1980 e riedito in “Scritti su Falerone Romana” cit. p. 304-314. MENNELLA G. Iscrizioni di Falerio Picenus a Genova, in “Picus: studi e ricerche sulle Marche nell’antichità” n. 6 a. 1986 pp. 179-185. MARENGO Silvia Maria, Octavia soror divi Augusti a Falerio, in “Picus” cit n. 28 a. 2008 pp. 193-204. PARISCIANI Morena, Fragmenta Faleriensia: reperti lapidei nell’area dell’antica Falerio Picenus. Tesi di laurea Università di Macearta. Facoltà di Lettere e Filosofia a.a. 2005- 2006 con CD-ROM. LEONI ADOLFO, Falerone: colonia romana del I secolo a. C.: Parco archeologico ‘Falerio Picenus’ 1 CD-ROM Falerone 2004. Scheda: LANDOLFI Maurizio, Falerone, in “Picus” cit. n. 22 a. 2002 pp. 314-322. PUPILLI Laura, Il territorio del Piceno centrale in età romana: impianti di produzione, villae rustiace e villae di otium”. Ripatransone 1994.
[44] La delimitazione indicata dall’agrimensore augusteo Balbo per l’Agro Faleriense erra tra i Galli ed il mare, come riferisce Frontino. VOLPI Alessandra, La colonia romana di Falerio Picenus: supplemento a C.I.L.Tesi di laurea Università di Macerata Facoltà di lettere e filosofia Corso di lettere classiche a. a. 2003-2004. Internet: www.architettoferrini.com e www.parcoarcheologico.it
[45] Tutti gli storiografi riferiscono il fatto. Di recente: SPAGNOLI Massimo, Falerinum Montem, in “Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo” n. 52 a. 2011 (XXVII) pp. 99-104.
[46] BONVICINI Pompilio, Iscrizioni Picene, Fermo, A. Livi, 2001