GROTTAZZOLINA di Gabriele Nepi
Dai reperti archeologici degli scavi effettuati, risulta che fin dall’ottavo secolo avanti Cristo, a Grottazzolina vi erano insediamenti umani. Il primo nucleo abitato doveva essere nelle piane del Tenna e nella collina dove è ora il cimitero o nell’attuale contrada Passo di Colle, come testimoniano gli scavi ivi effettuati. Già nel 1762 erano emersi i reperti nel territorio grottese di embrici romani che coprivano scheletri ben conservati, con vasetti di rame, lumi di terracotta, medaglie, catenelle ed ampolle di vetro. Veri e propri scavi furono effettuati nell’aprile del 1948 nelle località di Montebello, Castelletta e nelle zone dove è ora il campo sportivo, ove sorgeva la stazione della ex ferrovia Adriatico-Appennino e soprattutto presso l’attuale scuola Piane di Tenna, nella collina Rogante. In tali scavi furono rinvenuti oggetti pertinenti al periodo romano repubblicano. I Piceni scavarono le tombe per i loro morti. Antecedentemente ci furono cimeli dell’età paleolitica.
Nel luglio 1948 ci fu la nuova scoperta da parte di P. Guido Piergallina di quattro tombe picene, appartenenti alla seconda età del ferro. La soprintendenza di Ancona, subito informata, inviò sul posto il Prof. Gentili. Furono allora proseguiti gli scavi che portarono alla luce una cinquantina di tombe. Tutto il materiale trovato, fu rinviato tutto al Museo Archeologico di Ancona.[i] Dall’esame dei reperti archeologici di Grottazzolina, emerse come assoluta novità i complessi pendagli di bronzo e di ferro, costituiti da verghe cilindriche verticali, terminanti in alto con un anello di sospensione e in basso con una barretta orizzontale da cui scendono pendenti e cilindretti in gran parte di ambra. Secondo il prof. Giovanni Annibaldi, allora Soprintendente alle Antichità di Ancona, tutto fa pensare a necropoli che possono risalire al VI secolo avanti Cristo. Grottazzolina seguì con Piceno le vicende di Roma e durante le invasioni barbariche subì le devastazioni e le razzie dei conquistatori.
Le origini e varie proprietà. Da documenti storici, come il Chronicon Farfense, risulta che i monaci di Farfa avevano molti possedimenti nel Fermano e in esso si ha l’elenco dei beni posseduti prima della distruzione della celebre Abbazia di Farfa effettuata dai Saraceni nell’anno 898 d.C. Dopo questi fatti l’abate venne in territorio di Santa Vittoria in Matenano ove furono trasferite le reliquie della santa martire di Monteleone Sabino. Dato che questi monaci avevano fondato vari monasteri loro nelle Marche (attorno a cui sorgevano dei centri urbani), la fondazione di Grottazzolina potrebbe risalire al decimo secolo.[ii] Sotto la guida dei monaci Farfensi, Grottazzolina avviò operosamente i primi anni della sua esistenza. Vari signori intanto, facevano donazioni al Monastero “per la salvezza della propria anima”. I monaci, a loro volta, aiutavano i poveri e davano in affitto a tenue canone le loro delle terre, perché le coltivassero, assolvendo così ad un’opera altamente sociale. Emulo del Presidato di Farfa, era il Comitato di Fermo dato che alla città erano uniti altri castelli. In tale Comitato era influente l’autorità dei vescovi; basti pensare che i vescovi di Fermo avevano giurisdizione ecclesiastica su circa 129 castelli e località minori. I canonici, che in questo periodo curavano le chiese, erano anche feudatari dei paesi. È accertato che al principio del secolo XIII i canonici avevano il dominio dei castelli di Grotta (chiamata Grotta dei Canonici), Monte San Pietro (dei canonici) e Monturano. Nel 1021 un certo Attone, figlio di Manfredo concede terreni in Grottazzolina ad Azzo, figlio di Azzone. La rubrica del sec. XIII indica: ” Concessione fatta da Acto, figlio di Manfredo ad Azzio figlio di Aczoni in Grotta Aczolini”.[iii] Qui risulta la denominazione Grottazzolina. Da altro documento del 1062 si deduce che i beni dei quali Azzo cede ad Azzone l’usufrutto, sarebbero poi divenuti proprietà della Chiesa fermana. Ed ecco qualche passo del documento: “Nel giorno del Signore Iddio Salvatore nostro Gesù Cristo, anno dell’Incarnazione 1062, nel mese di maggio, indizione XV, in Fermo. Io Ulderico, venerabile Vescovo della Santa Chiesa Fermana, dichiaro di mia spontanea volontà e col consenso dei sacerdoti primari preordinati a servizio della Chiesa Fermano che in data odierna abbiamo consegnato a voi Amezione, figlio del fu Azione e ad Azione, figlio del fu Attone ed ai vostri eredi, con permuta, i beni spettanti alla Chiesa Fermano a, cioè: La terza parte del castello di Sant’Elpidio con porte, e recinzione……….la terza parte della chiesa di San Benedetto con le suppellettili …..inoltre una casa, trenta talee d’olivi a Sant’Elpidio, nella località fondo Mariano, vocabolo Acquamalata, metà della chiesa di San Savino, della chiesa di San Silvestro, metà di quella di San Biagio con gli oratori, i libri, le doti e tutte le suppellettili ad esse spettanti, e la mia metà della chiesa di san Giovanni con doti e libri e ogni cosa spettante e con parte a me spettante del castello e poggio che è sul colle fr Aneli vocabolo fiume Tenna con il casale. Inoltre, vi do un mulino con vallato, chiusa e catasta del mulino stesso con i corsi d’acqua…. inoltre in località Fondo Caprili vocabolo Montone, molino presso il fiume Tenna, a confine da capo con Rotabella, da piedi Monticelli, inoltre nel fondo Lomesiano, nel fondo Montone e in Passeriano e in Mariano nel ministero di Sant’Elpidio Maggiore, terre, vigna, querceto, frutteto, su 1500 moggi uniti o non, a confine da capo con Pietro del conte Attone, in direzione della fonte di Adamo Albritie va verso il fossato che giunge al Tenna, da piedi il litorale del mare e da un altro lato la strada che va da capo all’oliveto verso la casa di Adamo e da piedi giunge alla fontana Mariano e da qui la strada che va a Poliano che giunge a san Pollinario e al mare, ad eccezione della pievania di Sant’Elpidio e del Campo Donnico. Tutto quanto sopra detto lo abbiate voi, tenete e possedete. Io Ulderico venerabile vescovo di Fermo, da te, e dai tuoi successori ricevo per la Chiesa Fermana e consegno, a motivo di questa permuta, i beni che a noi che spettano per diritto di successione e di acquisto nostro, cioè: due parti dello stesso Castello di Grotta e Montebello con porta, circoscrizione, entrata ed uscita; col ponte levatoio ed il rimanente di detto castello; inoltre due parti della chiesa di S. Giovanni, con oratori, libri, campane, doti e con tutte le suppellettili, spettanti alla chiesa suddetta inoltre due parti della chiesa di San Pietro nel fondo Apriniano e due parti di san Marcello con ogni arredo spettante o che si dice ad essa spettare con la stessa porzione dei poggi, come mi appartengono; inoltre due mulini costruiti sul fiume Tenna, con la chiusa e il vallato, ogni edificio. Avete potere di levare, porre e destinare questa mia porzione con i corsi d’acqua nel fondo Montebello, e in Sala e Apreniano e a Forca, e in Grotta e in Cossetto e nella Selva Macia e in Colle e in Mora e in Conca e nel fondo Notarie e nel fondo Colle Martini in misura di 1800 moggi di terra, vigna, oliveti, selva, frutti, alberi, soprassuoli e sottosuoli, a confine, da capo la gabba de Orneto che arriva da un lato all’Ete e dall’altro verso Tenna; da piedi fino a Escafario che va verso il fosso de Marciano verso l’Ete e viene lungo la strada che viene da Scaffario e va verso San Salvatore in direzione del Tenna. Case, Casali, chiese, prati, pascoli, campi, selve, rive, acque, corsi d’acqua, terre coltivate ed incolte, beni mobili ed immobili, tutto ed in tutto do, consegno le sopraddette cose, spettanti per diritto alla sopraddetta Chiesa Fermana per la detta permuta con i messi di parte regia, come giudice, ecco i nomi di essi: Selberto; Scabiano; e Morico di Scabiano e il nota Teuzo; ed i messi da parte dei signori: i reverendi Adelberto arcidiacono, Atto arciprete, e Martino prete e mansionario e gli altri sopraddetti uomini di fede, la testimonianza dei quali si accetta. Essi sono: Teutunie, figlio del fu Atto; e Firmo del fu Adam; e Benedetto. Essi videro, provvidero, stimarono quanto sopra e riferirono che i beni (da noi ricevuti) erano maggiori e migliori della permuta che abbiamo fatta per i beni della Chiesa Fermana. Perciò di quanto nelle altre due scritture di contratto, nessuno uomo, né mio erede, né voi o i vostri eredi contraddicano contro l’istrumento di permuta o presumessero cambiare, disfare o falsare o annullare o non volessero accordarsi o alcuno reclamasse, io sopradetto signore Ulderico venerabile Vescovo, o i miei successori, e voi e i vostri eredi, faremo pagare di penalità 1000 bisanti di oro purissimo. E con ciò questa nostra permuta rimanga sempre in ogni tempo stabile e valida, come è scritto a norma del relativo editto dei Longobardi. Questo istrumento, su chiamata del sig. Ulderico Vescovo io scrissi felicemente nel giorno, mese e indizione sopradetti.< Manca il nome del notaio>.
Dai due documenti riferiti ci pare poter dedurre con ogni certezza, Grottazzolina nel secolo XI era in mano dai feudatari laici, e che in un secondo tempo, cioè nel 1062, due terzi del paese erano dati alla Chiesa Fermana. Una parte del paese era tenuta in usufrutto da Azzo figlio di Azzone. Dai documenti risulta che personaggi ivi nominati erano parenti. Ne deriva quindi il seguente albero genealogico: nonno Manfredo, figlio Atto, nipote Azzo; inoltre Amezione padre di altro Azzo.
Nel basso Medioevo. Nel 1208 fu eletto imperatore Ottone IV, il quale inviò Azzo VI nella Marca. Dai monaci di Farfa Grottazzolina passò sotto il dominio del capitolo della cattedrale Fermana e veniva detta Grotta dei Canonici. Si era sotto il papa Innocenzo III, quando fu data in feudo ad Azzo Azzolino, Marchese d’Este e da costui trasse l’attuale denominazione. Vi erano allora contese tra il Papa e l’Imperatore per giurisdizione nelle Marche. Due anni dopo anche Ottone Quarto, diede l’investitura della Marca d’Ancona ad Azzo VI, convalidando così la nomina pontificia e gli concesse tutte le giurisdizioni di spettanti all’Impero. La bolla è del seguente tenore:
“In nome della Santa e ed individua trinità, Ottone quarto, per divina clemenza Imperatore dei Romani sempre Augusto. Noi in vista di notevoli servizi che sono resi finora noi e all’Impero e che non dubitiamo ci saranno resi in futuro dal fedele Azzo Marchese d’Este gli diamo e concediamo tutta la Marca d’Ancona…. vale a dire le città, castelli, villaggi; cioè la città di Ascoli con tutto il contado e il vescovado; la città di Fermo con tutto il contado è il Vescovado; Camerino con tutto il vescovado e contado; Ancona con tutto il vescovado e contado; Osimo con tutto il contado e vescovado; Senigallia con tutto il contado e vescovado; Fano con tutto il contado e vescovado; Pesaro con tutto il contado e vescovado; Sassoferrato e Rocca d’Appennini…. Decretiamo pertanto ed ordiniamo con editto imperiale, che nessun arcivescovo, vescovo, duca, marchese, conte, visconte, capitano, nessuna città, nessun comune, nessuna persona infine alta o umile, ricca od ecclesiastica, osi mai turbare o molestare il detto marchese contro la concessione della Nostra Serenità… Fatto nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1210, imperando il glorioso signore Ottone Imperatore dei Romani, anno XII del suo Regno, e anno I del suo impero. Dato per mano di Valterio protonotario, presso la città di Chiusi, 20 gennaio, indizione XIII.
Azzo VI possedeva già la Marca d’Ancona e non aveva bisogno di tale concessione imperiale, che, secondo L. A. Muratori, aveva lo scopo di costringere la Marca Anconetana a riconoscere l’Impero. Così in quei tempi si prendeva l’investitura della medesima terra sia dall’Imperatore sia dal Papa, forse perché credevano di conservare meglio il loro acquisti. Innocenzo III però, vedendo che Ottone IV esercitava il pieno dominio sulla marca d’Ancona, come pure in Romagna, nel ducato di Spoleto e nel Regno di Napoli, cominciò ad accusarlo di usurpazione e di perfidia. Ottone si difendeva affermando di aver giurato di revocare alla corona imperiale di dignità e i vari diritti, perciò era suo dovere di avere mantenere il dominio imperiale su quelle contrade.
Prima che finisse l’anno 1210, Innocenzo III lo scomunicò. Nel 1212 fu eletto imperatore Federico II. Nello stesso anno, Azzo stringe una lega con Cremona, Brescia, Verona, Ferrara, Pavia e col Marchese Bonifazio. Ubaldo, arcivescovo di Ravenna gli concede varie rendite, ma al culmine della sua gloria, morì improvvisamente presso Vicenza nello stesso anno 1212. Gli succede il figlio Aldobrandino; la marca d’Ancona però cadde in possesso dei conti Cela, aiutati da Ottone IV. Innocenzo III, l’11 gennaio 1213, invitò Aldobrandino a recuperare la nostra regione. “…. Credendo che interessi molto al tuo vantaggio e al tuo onore di procedere con forte e valida mano a riconquistare la Marca Anconetana, che noi già concedemmo in feudo alla chiara memoria di tuo padre, mentre te ne è preparata la via ed aperta la porta”. Dopo una seconda esortazione, Aldobrandino nel 1214 giunse nella Marca, riportò alcune vittorie, e nello stesso anno spedì un diploma alla città di Fermo, conferendo il privilegio di battere moneta.
L’anno seguente morì avvelenato; i successi giovanissimo fratello Azzo VII. Nel 1217 il pontefice gli conferiva il possesso della Marca come ne erano stati investiti il padre e il fratello….. con tutte le ragioni, libertà, diritti,…. per l’annuo censo di 100 libre di moneta Provisina, da pagare alla Sede Apostolica. Ma la Marca era dilaniata da fazioni e molti si rifiutavano di pagare il tributo al marchese, perciò il papa inviò un “breve” ad alcune città ordinando di riconoscere l’autorità di “Azzolino marchese Anconetano ed Estense”. Primo compito di questo principe, fu di lottare contro Solinguerra, capo ghibellino, poi rivolse la sua azione alla nostra Marca. Sorsero presto delle controversie tra questo marchese ed il vescovo di Fossombrone e il processo venne deferito al Patriarca d’Aquileia e Pandolfo scelto da Pietro IV, vescovo di Fermo. Si giunse solo a un compromesso per tre anni. In questo triennio, Pietro morì, e la lite fu risolta dal nuovo vescovo Rinaldo, che il Papa aveva investito “per mezzo del vessillo” “senza pregiudizio altrui”. La vertenza era continuata fino a che, nel marzo 1224, i Fermani promettono obbedienza al loro vescovo; con l’intervento del cardinale Colonna rettore del Ducato di Spoleto. Il Papa tenta di conciliare il vescovo Rinaldo e il legato apostolico Pandolfo che difendeva come propri gli interessi di Azzo VII. Questi ricorse alle armi. L’accordo avvenne con l’elezione del Papa Gregorio IX e col Vescovo di Fermo Filippo II, che, nell’anno 1236, recuperò tutti i suoi castelli. Riportiamo due documenti, dove si parla di Grottazzolina: Nel nome di Dio. Anno del Signore 1236, Indizione IX, oggi Pietro, Pievano di S. Claudio presentò al Sig. Vicario Bucciarelli ed a Paolo, Cameriere del Sig. Cardinale una lettera del seguente tenore: “Sinibaldo, per grazia di Dio prete Cardinale delle Titolo di San Lorenzo in Lucina, Rettore della Marca Anconetana al nobilissimo Bucciarelli, Cameriere Pontificio. Con la presente vi ordiniamo che non esigiate né frutti, né altri redditi dagli uomini di Monte Santo, Ripatransone, Grottazzolina, Monte San Pietro, Monturano e dagli altri cinque castelli, cioè Marano, Campofilone, Cerqueto, Montottone e Castro, castelli che il venerabile padre vescovo di Fermo, detiene, anzi li lasciate raccogliere dal Vescovo e dai suoi messi, senza alcuna contrarietà….”. Alcuni castelli ubbidirono ed altri no. Fra questi Grottazzolina. Ai castelli renitenti di papa fece scrivere a mezzo del card. Sinibaldo: Nel nome di Dio! Dell’anno del Signore 1236, indizione IX, giovedì 15 maggio al tempo del Papa Gregorio IX, in presenza dei sottoscritti testimoni, il vescovo di Fermo Filippo chiamò Giacomo Notaio perché pubblicasse questa lettera, che dice: “Sinibaldo per la grazia di Dio cardinale prete del titolo di San Lorenzo in Lucina, Rettore della Marca Anconitana; ai Rettori e popolo di Monte Santo (odierna Potenza Picena), Ripatransone, Monte San Pietro, Grottazzolina, Monturano, salute. Coll’autorità della presente ordiniamo che, nonostante la proibizione di chiunque, al venerabile padre il vescovo di Fermo procuriate rispondere integralmente di fitto, frutti ed altri redditi, come sinora avete pienamente corrisposto, ecc…..”. Con Grottazzolina anche Monte San Pietro ormai erano passati dai canonici al vescovo. Poiché i primi reclamavano i loro diritti, si addivenne ad un accordo, come deduciamo da un documento del citato Archivio di Stato di Fermo. “Salimbene, Mansionario della Chiesa Fermana, al nome del capitolo della Chiesa stessa lodo e stimo che il vescovo rimuovesse dal castello di Grottazzolina, Monte San Pietro e Monturano i balivi ed i messi, essendo stato a lui prescritto dal capitolo che coloro ai quali il capitolo abbia concesso i detti castelli, possano avere i loro balivi o messi secondo il loro beneplacito, chiedere e ricevere tutte le giurisdizioni e diritti che prima ebbero e percepirono. Disse pure che erano salve le podesterie di detti castelli a coloro che attualmente le posseggono; finite le quali, il vescovo o suo legato non riceverà più le dette podesterie. Se i canonici non vogliono difendere i detti castelli, allora il vescovo abbia il potere e la licenza di riavere la podesteria, salvi i privilegi della chiesa Fermana; e se i canonici non vogliono difendere i detti castelli contro la Curia o il Rettore della Marca, il vescovo abbia licenza di difenderli per la chiesa Fermana. Tali arbitrato fu fatto nella sacrestia della chiesa Fermana nell’anno del Signore 1239, il giorno 16 dell’entrante febbraio”.
Così rimasero le cose sino alla calata di Federico II, il quale ricominciò la lotta contro il Papa. A nulla valsero però gli sforzi dell’imperatore per trarre i Fermani dalla sua parte. Ci riuscì solo con la forza nel 1239. Con Innocenzo quarto (1243-1254) la lotta si riaccese, i Fermani abbandonarono l’imperatore; il vescovo Filippo rientrò a Fermo. Grottazzolina, durante le controversie alle quali abbiamo accennato, era tornata sotto il dominio dei canonici di Fermo che vedevano in essa un fortilizio importante per la posizione geografica e strategica. Questi due documenti sono per noi di estrema importanza. Poiché mentre il nostro paese si chiamava ed era in realtà “Grotta dei Canonici”, proprio in questo periodo di turbolenze di lotte, Azzo VII, se n’era impadronito illegittimamente, non tenendo conto dei diritti del vescovo e dei canonici, che in fondo, erano la stessa autorità ecclesiastica. E perciò al marchese era stato proprio necessario ribattezzare il paese, col nome di Grotta Azzolina. Ed eccoci alla concessione in enfiteusi da parte dei canonici di Fermo del castello di Grottazzolina ed altri castelli al comune di Fermo.
“ Nel nome di Dio, così sia. Nell’anno 1266, indizione IX, domenica 25 aprile, alla presenza del signor Federico da Fano, Giacomo da Gentile, Giuseppe da Camerino, Paolo di Berardo da Montegranaro notaio, Giuseppe di Ugo Atto ed altri testimoni, il signor Noè, prevosto del Capitolo della Chiesa maggiore di Fermo, con la volontà e il consenso degli infrascritti canonici, cioè i sigg. Salimbene mansionario, Andulone, Atto di Montelupone, Ramundino; Angelo; Giovanni da Assisi, con la volontà e il pieno consenso espresso dal signor Matteo mansionario, sindaco, solennemente deputato dal detto Capitolo (il cui sindacato costa per atto del sig. notaio Giovanni Ugo), a nome del detto Capitolo come sindaco sopradetto, nel nome della predetta Chiesa diedero, cedettero in enfiteusi per diritto enfiteutico a Giacomo del signor Nicola, sindaco del Comune di Fermo, ricevente a nome del detto Comune e per il Comune stesso, i castelli di Monturano, Monte San Pietro oltre il Tenna, Grottazzolina, Magliano, e tutti i diritti, azioni reali e personali, vantaggi, annessi, rendite e proventi appartenenti allo stesso Capitolo, di diritto e di fatto nei predetti castelli e in ciascuno di essi, cosicché nei medesimi castelli il Comune di Fermo abbia piena giurisdizione e proprietà; e il Comune di Fermo possa nei predetti castelli e in ciascuno di essi agire come in antecedenza appartenne e appartiene; spettò e spetta al Capitolo Fermano, eccetto i domini, i palazzi e possessi della Chiesa ed eccetto i vassalli del detto Capitolo, promettendo, a nome del Capitolo fermano che circa i predetti castelli il suddetto Sindaco del Comune di Fermo, ricevente a nome per il detto Comune, che non faranno o muoveranno lite, di diritto e di fatto, agendo o togliendo, o in altro modo recando offesa. Così difenderanno la legittimità contro tutte le persone che muovessero causa e pretese su di essi allo stesso Comune. E diedero licenza a nome del detto Capitolo e dello stesso Sindaco, accettante a nome del detto Comune, di ricevere l’occupazione e il possesso delle predette singole possessioni, di usare, godere, agire, deliberare ed a piacere del detto Comune e dei Rettori che pro tempore fossero nella città di Fermo, e frattanto stabilissero a nome del detto Comune di avere in possesso la tenuta che finora ebbe ed ha il detto Noè dei predetti Castelli e i diritti, e ciò confermarono, approvarono e vollero il predetto Comune godesse dei predetti e di ciascuno di essi con pacifico possesso in tutto, di modo che se gli uomini vivi o morti, fossero tenuti in qualche cosa verso la Chiesa predetta, siano liberamente sciolti, rinunciando il detto prevosto del Capitolo e il Sindaco a azioni di dolo, difetti di contratto, timore commessi senza causa con l’aiuto di tutte le leggi e canoni operativi per lo stesso Capitolo.
E ciò fecero il predetto Capitolo e Sindaco per cento once d’oro, che confessarono dinanzi a me notaio e dai testi sopraddetti, di aver ricevuto dal predetto Sindaco del Comune di Fermo integralmente e senza diminuzione alcuna e che devoluti a vantaggio del detto Capitolo, allo scopo di riparare la Chiesa. Ricevettero per i castelli lo sopradette once d’oro a nome della città e in accettazione con volontà fedele e l’ausilio di ogni legge. Promisero di e in fedele volontà… e con la forza delle leggi e dei canoni. Il prevosto del Capitolo e il Capitolo e il Sindaco di Fermo promisero di difendere la predetta consegna, cessione e concessione…
Grottazzolina al tempo dell’assenza del papato da Roma. Grottazzolina nel sec.XIV si trovava sotto il dominio fermano. Fermo con i suoi castelli si reggeva sin dal 1199 al governo libero e popolare sotto il dominio della Santa Sede e aveva avuto il suo Statuto. Col trascorrere dei secoli però, si rese necessaria la revisione e l’aggiornamento e la nuova codificazione fu affidata al giurista fermano Marco Martello. Il nuovo codice aveva per titolo Statuta Firmanorum. Agli statuta ci si rivolgeva nell’emanazione di norme di legge per il buon andamento dello Stato. Quando si doveva trattare di tasse o di imposte, ai consigli amministrativi di Fermo partecipavano anche deputati rappresentanti dei castelli del contado e quindi anche Grottazzolina. Il podestà era il giudice ordinario di questo Stato. Fermo, come libero Comune era sotto l’alta autorità di Roma, che governava le Marche per mezzo di un Rettore e della sua Curia. A tale Rettore i castelli, e quindi anche Grottazzolina, dovevano fornire denaro e soldati che, in caso di rifiuto, incorrevano nella scomunica. In tempi di crisi, il Rettore era sostituito da un Nunzio che convocava il Parlamento Generale della Marca. Le crisi più acute si verificarono ai primi del ‘300 a causa del trasferimento della Santa Sede in Avignone. Le fazioni dilaniavano i Comuni delle Marche e la curia di Avignone ne era al corrente. Papa Clemente V spedì allora in Italia i legati pontifici Peliforte di Rovesteya abate di Lombez e Durantis vescovo di Mende per ridurre le Marche all’obbedienza, ma Fermo ed altri castelli fra cui Grottazzolina non sia assoggettarono. Sant’Elpidio a Mare, Montecosaro, Monte Granaro e Santa Vittoria invece ubbidirono. Il Parlamento che i due legati avevano voluto indire, fallì ad essi, ritornando ad Avignone senza aver concluso nulla, bollarono i Fermani come “ribelli alla curia”. Crediamo che le tracce del vetusto castello grottese con la merlatura ghibellina risalgano proprio a questo periodo di ribellione. Grottazzolina rimase sempre fedele a Fermo e la spalleggiò anche nelle mire di dominio, favorite dalle anarchie e dalle discordie interne e tra paesi vicini. La malcelata politica ghibellina di Fermo non sfuggì intanto alla Curia Avignonese che la punì con censure; ma dopo l’elezione di Giovanni XXII (1316-1334), Fermo dichiarò apertamente la sua politica indipendente. La città non intervenne neppure al secondo parlamento indetto a Montolmo dal nuovo Rettore “Aurelio de Lautrec” e con Grottazzolina e altri castelli continuò a conquistare territori, forte delle sue armi, senza timore di scomuniche. Nel 1316, i Fermani al comando del ribelle Guido da Montefeltro, contrastarono il Rettore della Marca e si unirono ad Osimo e Recanati. Nel 1317, entrò nella scena politica Mercenario da Monteverde, il quale nel 1323, diventato capo degli eserciti del Fermano, si recò in aiuto degli Osimani con 3000 fanti e 500 cavalli e batté le milizie della chiesa guidate da Gentile II di Varano; due anni dopo partì per la conquista di Sant’Elpidio, che saccheggiò facendo strage dei difensori. Nel 1331, con un colpo di Stato, Mercenario si impadronì di Fermo ed anche Grottazzolina, capeggiata dal nostro Giacomo della Grotta, rimase sotto il suo dominio fino al giorno in cui Mercenario fu ucciso nel 1340, in una congiura capeggiata da Francesco Gherardini, un elpidiense a cui era stato ucciso il padre nel saccheggio di S. Elpidio. Dopo qualche anno, Grottazzolina assieme a tutto il contado caddero sotto Gentile da Mogliano. Fu questo il periodo di lotte contro gli Ascolani e contro i Malatesta di Rimini,didensori del papato. Gentile riuscì ad averla vinta, grazie all’aiuto degli Ordelaffi di Forlì. Quando poi il nel 1354, Cardinale Egidio Albornoz arrivò nella Marca, mandato dal papa Innocenzo VI, Gentile (miracolo della diplomazia) s’alleò con gli stessi Malatesta di Rimini e con gli Ordelaffi; ma il legato dell’Albornoz dopo essere riuscito ad assediarlo Fermo, lo fece decapitare insieme al figlio. Nel Parlamento Generale indetto dall’Albornoz a Fermo nel 1355, Grottazzolina fu obbligata ad una fortissima tassa e i rappresentanti dei castelli dovette giurare solennemente di obbedire al Comune di Fermo, nella fedeltà ecclesiastica. L’Albornoz agì in modo tale da distruggere le tirannidi che si andavano formando una diversi castelli, che bisognava assoggettare alla città e frenare l’anarchia. Da documenti dello Stato Pontificio del 1356, risulta che dipendono direttamente dalla Santa Sede (ma finanziariamente tenuti dai Fermani) i castelli di Monte Secco, Servigliano, Grotte, Torre di Palme, Grotta Azzolina, Monte Falcone, Smerillo, Sant’Andrea, della diocesi Fermana, Monte San Pietrangeli. Un anno dopo, Fermo si ribellò alla Chiesa, uccise il podestà Gregorio di Mirte e riconobbe per suo capo Rinaldo da Monteverde, nipote di Mercenario. Grottazzolina così cadde anch’essa sotto il governo di Rinaldo. Ma come se le armi nostrane non bastassero a seminare lutti, nel 1377 cominciarono a scendere nelle Marche le Compagnie di Ventura. La prima fu la compagnia dei Bretoni, la quale dopo aver scorrazzato per le piane di Tenna , passò al soldo di Rinaldo, devastando campagne e castelli. Alla fine però Rinaldo pagò il fio, perché, catturato a Monte Falcone, fu decapitato: era questo il periodo delle congiure e dei complotti.
In una congiura scoperta Fermo il 5 agosto 1382 figurano tre gruppi di un padre, suo figlio e suo nipote che rispondono ai nomi di Matteuccio, Sante, Nolfuccio; la loro decapitazione avviene il 18 dello stesso mese. Intanto le compagnie di ventura proseguivano la loro avanzata: la compagnia di San Giorgio (7000 uomini) guidata da Alberico da Barbiano, poi le compagnie di Giovanni Acuti, di Villanuccio di Brunforte e di numerosi altri come risulta dai consigli di Cernita. A proposito di cernita, se hanno deliberazione del maggio 1382, in cui si propone a Bartolomeo da San Severino la restituzione dei suoi denari in cambio della restituzione del Castello di Grottazzolina. Nello stesso anno ai lutti delle armi si aggiunsero quelli della peste che, da agosto alla primavera dell’anno dopo, fece più di 5000 vittime. Nel settembre 1386 entrò nel Fermano la compagnia di Boldrino Paneri da Panicale, che si diede al saccheggio. Nel marzo dell’anno seguente, scoppiò la guerra tra Fermo ed Ascoli. Fermo aiutata da Grottazzolina e dagli altri castelli, fece delle scorrerie a Ripatransone. Nel 1395 passarono per le nostre contrade le truppe di Biordo da Perugia, del conte di Carrara e di altri capitani. Al chiudersi del secolo un’altra pestilenza venne a turbare ancora una volta i già tanto provati castelli fermani.
Le vicende nei secoli XV e XVI. Morto Bonifacio IX nel 1404 fu eletto papa Cosimo Migliorati col nome di Innocenzo VII che elesse subito a governatore di Fermo e marchese suo nipote Ludovico Migliorati. Ma nel 1406 morì Innocenzo VII, e il nuovo papa, Gregorio XII, privò il Migliorati del governo della Marca. Questi non si dette per vinto; seguitò a tenere Fermo e molte altre terre marchigiane alleandosi poi con Ladislao, Re di Napoli, contro il Papa. Gregorio XII, nominò Rettore della Marca l’astuto Benedetto, Vescovo di Montefeltro, il quale per combattere il Migliorati ricorse all’aiuto delle Compagnie di Ventura, chiamando Braccio da Montone, Rodolfo da Camerino, Chiavello da Fabriano ed altri signorotti della Marca. Un’accozzaglia di un migliaio di fanti e di 1500 cavalieri occupò la contea di Fermo, portandovi devastazioni e stermini. Alcuni castelli furono assaliti e saccheggiati. Secondo una cronaca, giunti questi predoni in territorio di Grottazzolina vi trovarono forte resistenza e, solo dopo molti combattimenti, Grottazzolina fu presa l’8 agosto del 1407. L’eroismo con cui i suoi uomini la difesero non bastò a salvarla dall’incendio che distrusse. Quando l’11 dello stesso mese d’agosto stava per arrivare il Migliorati, la soldataglia si era già ritirata fino a Montecosaro. I vinti rimasero sotto la protezione e la signoria di Fermo sino agli ultimi anni. Nel 1409 lo pseudo concilio di Pisa elesse l’ antipapa Alessandro V il quale nominò di nuovo Migliorati Vicario di Fermo e il successore Giovanni XXII lo elesse perfino Rettore della Marca. Entrato in carica, il Migliorati si diede subito a ricostruire Grottazzolina, ma, quando già il castello, nel 1413, era già in avanzata fase di ricostruzione. Il Migliorati fu sconfitto da Carlo Malatesta, assertore dei diritti del legittimo papa Gregorio XII. Il Malatesta usava in guerra una grossa bombarda che lanciava pietre di oltre 100 libbre. Seguitarono le aspre lotte, fino a che, con il concilio di Costanza, finalmente, nel 1417, la pace fu raggiunta, grazie alla mediazione di altri potentati italiani e fu suggellata dal matrimonio del Migliorati con una donna Malatesta. Dopo completata la ricostruzione, Grottazzolina purtroppo continuò ad essere preda di invasori e di conquistatori. Il 20 giugno 1422 vi ritornò Braccio da Montone che passava nel Fermano e vi si fermò alcuni giorni, sfamando soldati e cavalli. Il nuovo signore deciso a conquistare il contado Fermano fu Francesco Sforza, milanese. Fermo gli mandò ambasciatori di pace Ma convocato il Parlamento, lo Sforza volle che gli si consegnasse Fermo e tutto il contado. Il Parlamento acconsentì. Anche Grottazzolina con gli altri castelli dovette prestare giuramento di fedeltà al nuovo padrone. Una vertenza per i pascoli in località “Bovara” già aspra nel 1428, tornò ad affiorare in seguito, e nel secolo XVII.[iv] Nel 1444 Francesco Sforza ebbe dalla moglie Bianca Maria Visconti un bambino, nato a Fermo. Galeazzo Maria Visconti pensò che con quella creatura poteva aspirare al Ducato di Milano. Intanto il papa Eugenio IV mosse contro lo Sforza il capitano di ventura Nicolò Piccinino, il quale marciò vittorioso verso il Fermano. Gli stessi Fermani si ribellarono e al grido di “Viva Santa Chiesa, Viva Libertà”, lo costrinsero a fuggire e a ripararsi a Camerino. Tutto il Fermano, compresa Grottazzolina, ritornarono allora sotto il dominio del pontefice. Grottazzolina torno a respirare alcuni anni di libertà e di pace e, fino al secolo XVI non abbiamo altri fatti d’arme che quando combatté assieme con i Fermani contro Ripatransone e Ascoli. Poi fu turbata dal pericolo turco, contro il quale, al pari di Fermo, diede il suo contributo di denaro. Agli albori del cinquecento Grottazzolina cadde sotto un nuovo tiranno: Oliverotto Eufreducci che il giorno 8 gennaio 1502 imbandì uno splendido convito e vi invitò lo zio Fogliani, il di lui il genero Raffaele della Rovere ed altri gentiluomini fermani. Sul finire del banchetto, fece cadere, astutamente, il discorso su Cesare Borgia, e si alzò da mensa dicendo che ciò era materia da trattarsi il luogo più segreto. I commensali lo seguirono in un’altra stanza, ma all’improvviso i suoi sicari, usciti dai nascondigli, li uccisero tutti barbaramente. Non contento di quella strage, Oliverotto montò a cavallo, percorse la città, assediò i Priori nel loro palazzo e fece trucidare altri. Ma anche lui pagò il fio. Nel 1502 chiamato dal duca Valentino, si recò a Senigallia. L’ultimo dicembre il Duca, invitatolo a cena assieme ad altri signori, lo fece strangolare. La mattina dopo, espose il cadavere al pubblico e l’esercito di Oliverotto, attendato fuori dal palazzo, a quella vista si sbandò. La notizia della morte del tiranno fu appresa con giubilo a Grottazzolina e in tutto il contado. Ovunque la popolazione in armi gridava: “Libertà! Libertà!” Allora per evitare mali maggiori, Grottazzolina e tutto il Fermano si posero spontaneamente sotto l’autorità del nuovo padrone, Cesare Borgia che durò fino a quando morì, nel 1503, Alessandro VI: Grottazzolina tornò così a respirare aria di libertà. Nel 1513, anno della morte di Giulio II, un nipote di Oliverotto, Ludovico Eufreducci chiese di poter entrare a Fermo. Per tutta risposta del Fermo gli spedì contro 4000 fanti che lo misero in fuga. Eletto però papa Leone X (di cui era Ludovico stato paggio) entrò nel nostro contado con 3000 partigiani. Nel 1516 il governo di Ludovico Eufreducci fu rovesciato da una fazione capitanata da Brancadoro. Tuttavia, nel 1520 Ludovico riuscì a far uccidere Bartolomeo Brancadoro, ma per questo delitto fu osteggiato dai Fermani e anche dallo stesso Papa che gli spedì contro Mons. Nicolò Bonafede. L’Eufreducci fu sconfitto. La battaglia si svolge proprio nelle piani di Grottazzolina e Montegiorgio. Ecco una cronaca di Monaldo Leopardi: “Appena seppe che il nemico muoveva da Falerone verso Fermo, il Bonafede mandò a dire a Paolo Ciasca, che, alla terza mattina si trovasse a buon’ora con tutta la sua compagnia al piano delle Grotte Azzoline e lo stesso avviso a Carlo da Offida e Girolamo Brancadoro, perché al detto stabilito tempo, convenissero tutti con le loro schiere al medesimo luogo, dove Sua Signoria farebbe testa e piglierebbe li necessari partiti. Di poi, fece mettere in ordine a rassegna tutti li suoi soldati, principalmente li schioppettatori, curando fossero bene attestati e niente gli mancasse, e preparò ancora due spingarde del Comune di Fermo, da potersi condurre con polvere e munizioni e ogni altro ammannimento <=provvista> necessario all’esercito. Così il giorno 20 marzo 1520, la mattina a buon’ora, il Vescovo di Chiusi, montato a cavallo, uscì da Fermo con tutta la sua compagnia e insieme con uno dei priori con lo stendardo della comunità, marciando a passi lenti, perché gli altri condottieri avvisati avessero tempo da arrivare. E giunto al piano delle Grotte, pervennero in poco spazio <di tempo> al medesimo luogo Carlo d’Offida con 100 fanti bene ordinati ed armati, Girolamo Brancadoro con Nicouzzo e 30 fanti…. Dato buon ordine a tutto, riprese cammino verso Santa Maria del Piano <in Servigliano> ; ma nel finire del secondo miglio, ecco arrivare due scorte di cavallo, le quali, secondo il solito andavano un pezzo avanti all’antiguardia e avvisarono il vescovo che il Ludovico Freduccio, uscito da Fallerone, veniva a gran furore con tutta la sua gente per affrontarsi con esso. Il Vescovo, udendo questo, determinò aspettarlo in quel piano, situato alla falda del colle, con una strada di fianco assai coperta dagli alberi, che arrivava a Santa Maria in Georgio, e fatta fermare tutta l’oste <=esercito>, comandò a Carlo da Offida la mettesse in battaglia…. Fece collocare le spingarde dopo li fanti, dei quali, nel combattere, si aprissero a certo segno, lasciando operare le artiglierie, sopra li fanti nemici, che mal pratici della guerra s’avrebbero a sbigottire con disordine e fuga; e intanto spedì altri messi a Paolo Ciasca, perché non tardasse di più, ma scendendo tacito per quella strada offuscata dagli alberi, assaltasse improvvisamente al fianco, se all’arrivare trovava impegnata la mischia. E già schierato l’esercito, il vescovo di Chiusi, montando a cavallo in faccia tutte le squadre: ”Orsù – disse – soldati! eccovi in questo campo a difendere le ragioni di Chiesa Santa e del Papa e dimostrarvi veramente coraggiosi e leali. Attendete a combattere gelosamente per servizio di sua Beatitudine e vostro proprio onore e non dubitate della vittoria che non si leva mai dalla causa della giustizia e dal fianco degli uomini prodi. Voli maturati nelle armi, esperti in grandi ed onorate pugne e guidati da capitani illustri a combattere per le ragioni della Chiesa, schiantare i corni ribelli e difendere vergini, donne e figliuoli innocenti, avrete a favor vostro la buona causa il Dio delle battaglie e insegnerete a Freducci e alli suoi masnadieri, cosa sia avere la coscienza propria e voi per nemici. Sud dunque ravvivate il coraggio, aspettatevi onori e lodi dagli uomini e larga rimunerazione dal Principe e intanto comportatevi meglio con gli aiuti del cielo”. Ciò detto, messisi ginocchioni li soldati da piedi, e quelli da cavallo inchinati, con riverenza il vescovo Commissario recitate le preci solite, diede la benedizione a tutto l’esercito, dopo di che si ritirò con 50 alabardieri un tratto di mano più addietro per non generare confusione nella battaglia”. Grottazzolina era in armi sugli spalti e che lo narra lo stesso autore. Sembra di vedere le donne i vecchi e di bambini che dal lato guardavano lo svolgersi della battaglia. “ Si vedevano” continua infatti il nostro Leopardi “ da quel luogo molti castelli dei Fermani posti sopra colline, con quantità di persone armate sulle mura e davanti alle porte, parendo al Vescovo aspettassero inclinarsi un poco la fortuna a Ludovico Freduccio per discendere in suo favore e investire le genti ecclesiastiche, come fu meglio accertato dopo con informazioni sicure. Intanto, arrivato quasi subito Ludovico Freduccio con tutte le fanterie e li 200 suoi cavalli e fermatosi alquanto, comandò alle sue genti non s’arrestassero a pigliare prigionieri, ma ciascheduno attendesse ad ammazzare indistintamente chiunque gli venisse davanti e soprattutto, potendo stendere la mano sopra il vescovo di Chiusi, lo tagliassero in mille pezzi, dichiarando ai soldati che due giorni di seguito all’entrata a Fermo, oltre alle licenze promesse, gli darebbe a saccheggiare San Giusto e il castello di Sant’Elpidio. E subito attaccatasi battaglia fra la fanteria dell’una e dell’altra parte e scaramucciando quasi un’ora Carlo d’Offida, secondo l’avviso datogli dal vescovo, fece allargare i suoi fanti, e sparare le artiglierie sopra li fanti nemici, che imperiti nell’arte della guerra e insoliti a regolare pugne, sbigottiti e perterriti, rotti li ordini e confuse le file, incominciarono a fuggire verso il monte. Li fanti ecclesiastici li seguitavano ammazzando e ferendo gagliardamente. Ludovico Freduccio, vedendo quella piegata, si spinse ferocissimamente contro ai nemici, ma andato avanti a sé Pelliccione, capitano delli 200 cavalli, bravo e gagliardo soldato. Ma inginocchiatosi per disgrazia il cavallo di questo, gli ecclesiastici, andategli sopra, uccisero Pelliccione e intanto Paolo Ciasca, discendendo dal Monte, ancorché non avesse più di 19 cavalli entrò nella battaglia di fianco giungendo come il leone e sbaragliando nemici: fra i quali Ludovico Freduccio, perché aveva perduto la lancia, combatteva con lo sticco prestantemente, ma toccatogli una percossa terribile sopra la testa, ancorché avesse la celata, rimase quasi sbalordito del tutto, continuando pure in qualche modo a combattere, finché uno dei soldati del Ciasca, buttandogli il braccio al collo lo tirò giù da cavallo… E mentre il vescovo di Chiusi si aggirava pel campo a darvi convenienti disposizioni, trovò Ludovico Freduccio giacente sulla terra e ormai vicino a morire. Onde mosso a pietà e volendo fare officio di buon prelato, perché non si perdesse l’anima insieme al corpo, smontato da cavallo, gli disse con alta voce due volte: “Messer Ludovico conosci tu chi sono io?” E rispondendo quello con voce rauca e confusa: “Voi siete il vescovo di Chiusi”. Sua Signoria dicendogli se voleva assoluzione dei suoi peccati, al che rispondendo lo sfortunato di sì, gli fece sopra il segno della Santa Croce. <….> datagli la benedizione subito Ludovico spirò. Allora il Vescovo dubitando che per la rabbia dei soldati non venisse quel corpo stracciato in mille pezzi e non avendo modo migliore a metterlo in salvo, chiamato un bifolco, che stava lì con i bovi attaccati all’aratro e fatto accomodare il cadavere sopra una treggia, lo mandò scortato da quattro soldati a Monte di Santa Maria in Giorgio, dove fu deposto nella chiesa principale del luogo. Poi rimontato subito a cavallo seguiva li soldati, comandando sotto pena capitale non rompessero gli ordini e vigilando a conservare la vittoria, finché le schiere ostili furono sbaragliate e vinte del tutto, pigliate le bandiere con prigionia di quelli che le portavano, uccisi molti nemici e la più parte fatti cattivi, salvandosi alquanti con la fuga, e riparandosi certi altri dentro il castello di Fallerone”. Il Bonafede, nominato poi Legato pontificio della Marca, compì la pacificazione dei cittadini, riducendo Grottazzolina con tutto il contado fermano all’obbedienza della Chiesa. Ma alle guerre successero turbolenze interne tanto a Fermo che nei castelli. Così, nel 1526 mentre ricominciava la carestia con la carenza del grano che salì a “ sei fiorini la soma” e si ebbero dei gravi tumulti a Magliano e Grottazzolina. La pestilenza intanto continuava spaventosamente ad infierire, tanto che priori di Fermo si rifugiarono a Montottone. In questo periodo Grottazzolina ottiene delle concessioni dal Delegato Mons. Bernardino Tempestini: Capitoli in data 5 ottobre 1537 in sette paragrafi: (1) *I cittadini di Grottazzolina, si impegnavano in perpetuo a conservare la loro terra ad onore e servizio del papa e della santa Romana Chiesa. (2) *La comunità di Grottazzolina poteva eleggere e deputare a sua scelta, il podestà ed i rettori, purché fossero della città e dell’antico distretto di Fermo, con un onorario da fissare da pagare dai grottesi. Il podestà, a sua volta, per la conferma della avvenuta elezione pagava una tantum 20 bolognini alla Cancelleria della Curia Generale. Egli governava Grottazzolina a norma dello statuto vigente ed in futuro a norma di eventuali altri statuti promulgati dal Comune stesso ed approvati dai superiori senza pregiudizio della santa Romana Chiesa. (3) *Nelle cause civili e penali di prima istanza, i cittadini dovevano essere giudicati dal tribunale del podestà di Grottazzolina e non da altri fori. (4) *I proventi delle condanne inflitte tanto dalla Curia Generale quanto dal podestà andavano a vantaggio de comune e delle persone di Grottazzolina, eccetto i proventi dei cinque casi riservati. (5) *Ai balivi inviati dal Comune alla curia, si dava dal Comune un baiocco per mille. (6) *Si dava facoltà al Comune di eleggere 20 guardie ed anche di più o di meno, secondo il bisogno, per la difesa della giustizia, dell’ordine pubblico e del podestà stesso. Potevano punire i delinquenti, mettere in carcere, esclusa la pena di morte. (7) *I cittadini fermani erano obbligati al risarcimento dei danni eventualmente arrecati ai grottesi ed alla soddisfazione delle pene relative. – Sopravvenne in primavera un’invasione di cavallette, fece strage del raccolto. “Bisognò mandare gente a prenderle e pagare tanto la quantità e buttarle nelle fosse, che così si salvò qualche poco le campagne, ma con grande dispendio“ scrive un cronista dell’epoca. Quasi ciò non bastasse, i mali erano accresciuti dalla crisi politica che aveva i suoi riflessi anche nelle nostre terre. Grottazzolina dovette dare il suo contributo di uomini alla schiera di 1000 fanti, richiesti dal papa e inviati contro il Viceré di Napoli. Ma le truppe vittoriose di Carlo V effettuarono il famoso sacco di Roma nel 1527. Altre truppe imperiali, guidate da Sciarra Colonna furono chiamate nelle nostre terre e tali predoni passarono anche a Grottazzolina. Nel febbraio del 1528 passò anche l’esercito guidato dal famoso capitano Lautrec. Allora il paese e le campagne grottesi furono depredati dalla sua soldataglia. Con l’avvento al soglio pontificio di Paolo III, Farnese, si ebbe un mutamento di Capoluogo e di governo. Nel 1537 fu creato lo Stato Ecclesiastico nell’agro Piceno con Montottone capoluogo.. Circa 10 anni durò questo Stato con turbamenti di guerre in cui oltre a Belmonte e Montegiorgio fu coinvolta anche Grottazzolina. Alcune rappresaglie furono causate dal possesso di alcuni terreni, detti della “Bovara” al confine dei tre belligeranti. I Belmontesi, spalleggiati dai Montottonesi, chiesero aiuto a Gualdo, Falerone, Montevidon Corrado, Grottazzolina e i montegiorgesi si rivolsero al Rettore della Marca. Nel 1547 molti castelli ritornarono sotto il governo fermano fra i quali anche Grottazzolina. Nel 1550, nel governo di Fermo avvenne un cambiamento eccezionale. La città che da secoli sempre liberamente aveva eletto i suoi governanti, in pubblico consiglio decretò di chiedere al Papa il privilegio di avere come governatore uno stretto parente del pontefice del tempo. Così anche Grottazzolina soggiacque a tale forma di governo che durò fino al 1691. Fermo era tenuta in grande considerazione presso tutti i popoli vicini, tanto che c’era il famoso il detto: “Quando Fermo vuol fermare tutta la Marca fa tremare”.
Grottazzolina dal 1600 a Napoleone. L’amministrazione grottese si basava sull’antico statuto di Fermo. La città esercitava il suo potere sui 48 castelli, mediante Podestà e Vicari. Il Governo interno si modellava su quello che Fermano. Vi erano tre consigli: Il Consiglio Generale o dei capi famiglia; Il Consiglio Pubblico composto dal Podestà o Vicario e da sei Massari. Il Consiglio Particolare o di “Cernita”. Ci furono liti dei castelli contro Fermo. Grottazzolina con gli altri castelli, lamentava di essere ingiustamente tassata per quanto concerneva le “Tasse Camerali”, tasse che andavano alla Camera Apostolica, cioè allo Stato, inoltre lamentava di essere soprattassata per gli ufficiali di campo e per le forniture di legnami alla città. La maggiore risorsa dell’economia grottese e dei castelli erano i cereali, soprattutto il grano, il cui superfluo veniva convogliato a Roma. Negli anni di scarso raccolto a causa di precipitazioni atmosferiche ed altre cause, avvenivano mostruose speculazioni sul mercato, producendo enormi fortune agli accaparratori e dure disdette altrui . Accanto al pane casalingo (forno delle donne), vi era il “pan venale”, proveniente dal Forno Comunale, affittato all’asta. Nella seconda metà del secolo, sorsero a Grottazzolina i “Monti Frumentari”, istituzioni di credito, per i poveri, che prestavano loro il grano da restituire al nuovo raccolto: erano pie istituzioni che alleggerivano appena il problema. Nel 1648 era governatore di Fermo il milanese Mons. Uberto Maria Visconti a cui Roma ordinò di fare provviste di grano, mantenendone il prezzo basso, per non danneggiare i poveri. Ciò urtò l’egoismo della nobiltà che cominciò a spargere la voce che il provvedimento era diretto a fare incetta e lasciare il popolo così affamato. Ne nacque una rivolta, in cui fu ucciso lo stesso Visconti. Roma allora inviò sul posto, Mons. Imperiali, con buona scorta di soldati. Questi placò la città e con processo, giustiziò i responsabili dell’accaduto. Indi partì per Roma. I grottesi, non rimasero insensibili a queste dolorose vicende, e continuarono a lamentarsi contro Fermo, soprattutto a causa delle controversie tributarie. Infatti le angherie contro Grottazzolina e gli altri castelli da parte di Fermo non accennavano a diminuire. Nel 1709 decisero di ricorrere a Roma. Gli anni 1743 e 1744 furono funestati dalla guerra spagnolo-austriaca. Gli spagnoli avevano ottenuto dal Papa il libero passaggio negli Stati pontifici. Così verso la fine del gennaio del 1742, giunsero nel Piceno 15.000 armati, ai quali si aggiunsero 12.000 napoletani, inviati dal Re delle due Sicilia. Le nostre popolazioni subirono dannose angherie perché furono costretti a provvedere vitto alle truppe. Il 7 marzo il Duca di Modena, Comandante Supremo degli Spagnoli e Gages, suo Luogotenente Generale, abbandonarono la linea di Pesaro. Gli Austriaci li inseguirono, e, dopo un breve combattimento a Loreto, giunsero nel Fermano, nella notte tra il 13 e 14 marzo. Oltre 3000 cavalli “bivaccarono in diversi luoghi, specialmente a Falerone, Montedinove, Grottazzolina” e le case dei contadini furono depredate. Poi, come è noto, le operazioni militari si spostarono altrove e la guerra finì con la pace di Aquisgrana. Negli anni che seguirono, Grottazzolina ebbe ancora liti con Fermo, a causa delle tasse. Sul finire del secolo XVIII dopo la rivoluzione francese, il 29 aprile 1797, le avanguardie franco-cisalpine entrarono a Fermo. Le Marche erano divise in tre dipartimenti, i dipartimenti in cantoni e di cantoni in comuni. I Dipartimenti erano tre: Metauro, Musone e Tronto. Quest’ultimo con capoluogo Fermo, era composto da 16 Cantoni per un totale di 147 Comuni. Grottazzolina fu inclusa nel Cantone di Montegiorgio, con il Comune di Monteverde, Belmonte, Rapagnano, Alteta, Cerreto, Monte Vidon Corrado e Magliano. Tutti erano scontenti per gli enormi tributi, per l’atteggiamento anticlericale dei Francesi che soppressero i monasteri e i conventi. alle stragi e alle vendette. Già nell’Ascolano, su pressione del Napoletano, fin dal 1798, serpeggiava la rivolta capitanata da Giuseppe Costantini, detto Sciabolone. Si ebbero poi i sanguinosi scontri a Sant’Elpidio a Mare, Amandola e Servigliano. Gli insorgenti furono in seguito inquadrati dal Generale La Hoz il quale l’8 luglio 1799 proclamava nella città una “Imperiale Regia Pontifica Provvisoria Reggenza”. La Hoz lasciò Fermo il 24 luglio. E morì, sotto le mura d’Ancona, l’11 ottobre 1799. Dopo tale data, Grottazzolina con le altre terre di cene, passò sotto la “Cesarea Regia Commissione Civile” stabilita dagli Austriaci, fino a che, eletto il nuovo papa, nella primavera del 1800 tornò sotto la Santa Sede. Pio VII, nel marzo 1801, soppresse ben 32 gabelle, modificando tutto il sistema tributario. Nel 1804 lo stesso pontefice ripristinò l’Università di Fermo e Grottazzolina dovette contribuire con una quota di scudi 62.75,3. Nel 1808 dopo i disaccordi fra Napoleone Pio VII, le Marche furono unite nel Regno Italico dei Francesi. Caduto Napoleone, Gioacchino Murat vi stabilì un governo provvisorio. Nel 1815, durante il passaggio dell’esercito di Murat, che si congiungeva con le truppe rimaste nelle Marche sin dal 1814, Pio VII lasciò nuovamente lo Stato, rifugiandosi a Genova, ed affidando la reggenza ad una Suprema Giunta di Stato presieduta dal Card. Giulio Maria della Somaglia. Il 20 marzo 1815 il Comune di Grottazzolina insieme a quello di Ponzano furono soppressi, come si deduce dalla seguente notificazione del podestà di Fermo, Paolo Monti. “ Per superiori disposizioni le cessate Comunità di Grottazzolina e Ponzano sono state incentrate in questa di Fermo”. Il Congresso di Vienna, dopo la caduta di Napoleone, restituì le Marche al Papa. Il trattato di Vienna riportava il governi precedenti. Al ritorno del Governo Pontificio poté però riacquistare la sua libertà.
I SAVOIA e la REPUBBLICA.
L’elezione al pontificato di Pio IX nel 1846 alimentò e vivificò le speranze dell’unione italiana e Gioberti col Primato morale e civile degli Italiani, lanciava l’idea di una Confederazione di Stati italiani presieduta dal Pontefice. A Grottazzolina viene istituita la guardia civica, composta da 77 elementi. Dopo la prima guerra d’indipendenza e i rivolgimenti politici, dal 2 febbraio al 3 luglio 1849, troviamo Grottazzolina alle dipendenze della Repubblica Romana, capeggiata dai triumviri: Armellini, Mazzini e Saffi. In questo periodo scoppiò, a varie riprese, il colera. Dopo la battaglia di Castelfidardo avvenuta il 18 settembre 1860, Grottazzolina entra a far parte del Regno d’Italia e nelle votazioni per il plebiscito, che ebbero luogo il 4 e 5 novembre 1860, su 1431 abitanti di cui 352 elettori (allora votavano soltanto i maschi), si presentarono a votare soltanto 77 uomini. Ma nel dicembre successivo, il governo di Vittorio Emanuele II toglieva a Fermo la provincia e la univa a quella di Ascoli. Scontenti i sindaci dei Comuni dipendenti da Fermo protestano; fra essi vi sono anche Grottazzolina e Montottone che così scrivono a Fermo: “ Municipio di Montottone e Grottazzolina \\ Illustrissimi signori, Ai lieti giorni, con cui salutammo la nostra rigenerazione politica, succedono per questa provincia quelli di particolare mestizia. Il decreto 22 dicembre 1860 ne fu giusta cagione, e diciamo tanto giusta, quanto dispiacente è quell’atto, che senza necessità di sorta, condanna questa provincia col suo Capoluogo ad umiliazioni, non solo, ma a gravissimi danni materiali. La Commissione Municipale di Montottone non dubitava punto che codesti cittadini non si scuotessero a tanta degradazione di una illustre Città, e non ultima Marchigiana Provincia; quindi alla notizia, che avevano fatto essi indirizzo rivestito di migliaia di firme, ogni ordine ceto, avrebbe voluto fare altrettanto a nome e voce dell’intera popolazione, di cui non solo si vanta interprete, ma eco fedele di ogni individuo. Che se la ristrettezza del tempo non permette rimettere alle SS.LL. Ill.me firmato da questi Cittadini, il presente foglio, lo abbiamo quale Atto di formale protesta, poiché, con tale intendimento ed espressa volontà, questa Commissione Municipale lo firma, onde possano le SS.LL. valersene nel modo e forma che nella loro saviezza e nell’amor patrio, che tanto le distingue, crederanno migliore. Gio. Battista Tacchini Presidente. Antonio Forcesi, Vincenzo Gherardi , Luigi Marcelli, Filippo Porfiri. La Commissione Municipale di Grottazzolina, dichiara quanto di sopra ha esposto quella di Montottone. Lorenzo Mannocchi Presidente. Giovanni Pompei, Vincenzo Catalini, Onorato Alici”. Da un documento del 1865 troviamo che in quell’anno è sindaco di Grottazzolina: Lorenzo Mannocchi; Assessori Effettivi: Lorenzo Benedetti, Benvenuto Palmarocchi; Assessori Supplenti: Vincenzo Catalini, Giovanni Pompei. Consiglieri: Lorenzo Mannocchi, Vincenzo Catalini, Giovanni Pompei, Lorenzo Benedetti, Benvenuto Palmarocchi, Michele Agostini, Domenico Belluti, Vincenzo Cav. Vitali Brancadoro, Benedetto Bonfigli, Esusperanzo capotosti, Carlo Dott. Catalini, Coriolano Catini, Protasio Costantini, Ermenegildo Poeta, Filippo Silenzi.
Uomini illustri[v]
Mons. Pellegrino Tofoni nacque a Grottazzolina nel 1820. Ordinato sacerdote dal card. Filippo De Angelis che, fu scelto a suo Segretario, carica che tenne per una trentina di anni, sino alla morte del porporato. In qualità di conclavista fu a fianco del De Angelis, quando venne eletto a sommo pontefice Pio IX. Seguì il cardinale la sera dell’11 marzo 1849, quando venne arrestato nel suo palazzo e condotto e detenuto per un mese nel forte di Ancona, dove si tentò di avvelenarlo. Col cardinale ebbe l’onore di ospitare, nel palazzo arcivescovile, il papa Pio IX, ospite di Fermo nel maggio 1857. Tre anni dopo seguiva nuovamente il cardinale De Angelis deportato a Torino. Con lui rimase esule per ben sei anni ed ebbe modo di conoscere, fra gli altri Giovanni Bosco e la Società salesiana. Fu da lui apprezzato e stimato, come possiamo anche dedurre dalla seguente lettera: “ Don Pellegrino carissimo, Ella prevenne quello che avrei dovuto fare io stesso. La ringrazio di cuore della limosina che mi ha mandato e dei cristiani auguri che mi fa. Ringrazi da parte mia la Sig.ra Contessa Bernetti e l’assicuri che non mancherò di pregare e fa pregare secondo la pia di lei intenzione all’altare di Maria Santissima. Tutta questa famiglia (di 830) ricordando con gioia la memoranda visita fattaci da Lei e da S.E. il Cardinale De Angelis, ha accolto con vivissimi prolungati applausi i loro auguri e dicono unanimi che non potendo fare altro, il giorno di Natale, faranno la loro Comunione secondo la pia mente di Sua Eminenza e domandare in compenso la Santa Benedizione. Nella seconda settimana del prossimo Gennaio, ho in animo di andare a Roma; prima però scriverò a Sua Eminenza. Intanto io auguro a questo coraggioso porporato lunghi anni di vita felice, ma che possa vedere almeno negli ultimi giorni da questa valle di lacrime, la Chiesa in pace. Il nostro Michele (Don Rua) da due mesi si è ritirato a Trofarello, dove passa tutto il suo tempo nella preghiera e nella penitenza. Egli trema, perché, egli dice, Satana accompagnato da molti seguaci, si è scatenato contro l’Angelo della luce. Vede la luce dell’angelo che qual fulgore si allontana dall’Italia e va in parti che egli definisce, ma non ne fa il nome, ecc. Ad ogni modo preghiamo. Est Deus in Israel (C’è Dio in Israele). Raccomando la povera anima alla carità della Sua preghiera e mi professo con gratitudine. Roma 21 dicembre 1868 \ Di V.S. Obb.mo Aff.mo servitore Sac. Giovanni Bosco” Mons. Tofoni fu di nuovo, col cardinale De Angelis a Roma, per il centenario di S. Pietro e per il Concilio Vaticano. Poi a Fermo in arcivescovado sino alla morte del card. De Angelis avvenuta l’8 luglio 1877. Dopo ciò il Card. Malagola , lo volle il Rettore del Seminario archidiocesano. Qui perfezionò le scuole, istituì l’Accademia filosofica di San Tommaso d’Aquino e il Collegio Teologico, con facoltà di conferire la Laurea e di Gradi Accademici in Teologia. Molto stimato dal card. Malagola fu canonico onorario della Cattedrale e poi Primicerio. I suoi meriti non furono ignorati dal nuovo Pontefice Leone XIII, che nel 1880 lo nominò Vescovo di Assisi. Tra molte altre, una insigne opera in cui si distinse fu la celebrazione del centenario della nascita di San Francesco che si concluse col discoprimento della statua di San Francesco, opera del Duprè. Morì ad Assisi il 31 gennaio 1883.
Ludovico Graziani fu uno dei più grandi tenori del suo tempo. Nato a Fermo il 14 novembre 1820, morì sessantacinquenne a Roma e sepolto poi Grottazzolina. Dopo aver studiato canto sotto la guida del Maestro Cellini, debuttò nella primavera del 1843 al “Teatro Corso” di Bologna e nel D. Procopio. Passato al “Valle” di Roma, fece con grande successo il giro di tutti i teatri italiani. Nella primavera del 1850 fu scritturato alla “Pergola” di Firenze come I Masnadieri di Verdi e con la Beatrice del Bellini. Cantò al “Carignano” di Torino nella Lega Lombarda di A. Buzzi, nella Gazza Ladra, nella Vestale, nell’Attila. Al “Carlo Felice” di Genova, cantò nei Lombardi nella primavera del 1851, poi ancora nel 1854-55, nel 1862-63, e nella stagione 1868-69. Nell’autunno 1851 fu al Thèatre Italien di Parigi con la Lucrezia Borgia. La stagione 1851-5-53 lo vide alla Fenice di Venezia con la Semiramide, Rigoletto e con la Traviata. Alla “Scala” esordì il 26 dicembre 1855 con l’Ebreo di G. Apolloni, cui seguirono Lucrezia Borgia, Rigoletto, Giovanna di Guzman, (altro titolo dei Vespri Siciliani). Specialista nel repertorio verdiano, interpreterò quasi tutte le opere di Verdi. Tra il 1859-60 fu di nuovo a Parigi ed a Barcellona. Le sue esibizioni canore continuarono sino alla stagione 1869-70. Poi la sua attività cominciò al ad attenuarsi fino a cessare del tutto nel 1881. Morì a Grottazzolina nel 1885. Fu uno dei più tipici verdiani; dotato di voce non troppo voluminosa, ma estesa, vibrante, nitidissima. Come interprete andò famoso, per la chiarezza della dizione, per l’eleganza del fraseggio e per il vigore dell’acuto.
Francesco Graziani (Fermano) Nato a Fermo nel 1828, dopo i suoi primi studi ben presto volle dedicarsi all’arte. Studiò canto alla scuola del Maestro Cellini, rivelando grandi capacità canore. Sulle orme del fratello Ludovico calcolò i parchi dei più celebri teatri italiani e stranieri. Debuttò al Teatro di Ascoli Piceno. Indi a Pisa, poi alla “Pergola” di Firenze nel 1851. Al “Thèatre Italien”di Parigi dove fu confermato fino al 1861 e vi interpreterò Bellini, Rossini e tutte le opere più in voga di Verdi. Per numerose stagioni al “Covent Garden” di Londra. La città che gli riservò le accoglienze più entusiastiche sin dall’esordio fu Pietroburgo, con l’Ernani, la Forza del Destino, la Linda di Chaumonix di Donizetti. Da Pietroburgo si recò a Madrid, poi di nuovo a Parigi e a Londra. Durante la stagione lirica 1875-76 fu al “Fenice” di Venezia col Rigoletto e coll’Amleto di Thomas. Le sue ultime esibizioni furono al “Covent Garden” di Londra nel 1879-80, dopo le quali abbandonò le scene. Col Cotogni e col Faure fu il maggior baritono del suo tempo. La sua voce si distingueva innanzitutto per la morbidezza vellutata dell’impasto, la calda lucentezza della tonalità, il timbro nobilissimo e patetico. Possedeva un registro acuto, esteso, spontaneo, capace perfino di inflessioni tenorili. Restò leggendaria la levità e dolcezza dei suoi piani. Fu amico intimo di Giuseppe Verdi, che scrisse appositamente per lui la parte di Don Rodrigo nel Don Carlos e quella di Carlo nella Forza del Destino. Il Graziani fu non solo artista idolatrato nei teatri, ma fu anche il cantore invocato nei Saloons dei più sontuosi palazzi e delle più celebri corti d’Europa. Fu anche un habitué e dei Saloons del Barone Rothschild a Parigi e di Lord Mayor e d’altre personalità londinesi. Fu più volte chiamato per le grandi serate alla corte di Napoleone III. Fu diverse volte alla Corte dello Zar Alessandro II, che lo nominò cantante di camera, incarico che peraltro egli rifiutò. Fu amico anche di Edoardo VII, re d’Inghilterra. Oltre che artista fu sempre grande patriota e organizzatore munifico delle iniziative a carattere patriottico. In relazione anche con Mazzini, fin da giovane fu iscritto alla Giovane Italia. Si aggregò pure, secondo l’andazzo dei tempi, alla Massoneria. Ma pare non abbia rinnegata la sua fede cristiana, purché il suo letto era sormontato da un “Gran Gesù”, mentre ai suoi lati aveva posto Mazzini e Garibaldi. E sappiamo che alla sua morte chiese l’assistenza religiosa. Il suo animo fu sempre retto e buono. Morì il 30 giugno 1901.
Pasquale Nunzi modesto industriale di Grottazzolina, conseguì in apicoltura tali successi d’essere additato all’ammirazione di italiani e stranieri. Nato da famiglia contadina, svolse in un primo tempo l’attività di calzolaio, ma ben presto scoprì sempre più prepotente in sé la passione per le api. Cominciò a raccoglierne e costruire arnie, mentre studiava trattati di apicoltura. Pasquale Nunzi, non fu solo un fortunato industriale, fu anche l’inventore di un tipo di arnie e, conosciute sotto il nome dell’autore, tenute in gran pregio e in molto uso negli apicoltori.; è inoltre l’inventore del Purificatore della cera, sistema Nunzi, e di parecchi altri praticissimi attrezzi di apicoltura. Ebbe la medaglia d’oro è quella d’argento alla “Grande Esposizione Generale di Torino del 1898”, il Diploma d’Honeur all’Exposition Universelle di Dijion nel 1898, la Medaglia d’oro all’Esposizione di Poitiers nel 1899. Fu chiamato a far parte dell’Accademia Parigina degli Inventori ed Espositori; quando fu nominato membro della giuria dell’Esposizione di Amburgo, non volle accettare quella nomina. Morì l’11 settembre 1920, lasciando tutto il suo cospicuo patrimonio in tante borse di studio per studenti meritevoli, intitolate al figlio Trento, eroico sottotenente caduto combattendo il 28 ottobre 1915 sul Monte San Michele.
Paola Renata Carboni nacque a Montefalcone Appennino il 21 febbraio 1908 da Raffaele Carboni e Rosa Majeski. Fu battezzata di nascosto dal parroco del luogo il 22 giugno dello stesso anno per interessamento della zia Giuseppa Majeski, alla quale, per questo, il padre di Renata, per avversione al cristianesimo, proibì sino alla morte di sedersi alla mensa con i familiari di lui. Per ragioni di studio, dovendo accedere alle scuole tecniche normali, i genitori la mandarono a Fermo, ed insieme con la sorella Giuseppina la affidarono alla famiglia Maricotti, ove incominciò lo studio del Catechismo e a frequentare, all’insaputa dei propri familiari, la Chiesa. Il 22 aprile 1922, insieme con la sorella, nella cappella dell’arcivescovado di Fermo, ricevette la prima s. Comunione e la cresima dall’arcivescovo mons. Carlo Castelli. Iniziò da quel giorno la sua vera vita spirituale, che si perfezionerà in seguito ad una specie di visione in cui (come essa stessa afferma nell’autobiografia) poté ” osservare la vita che conduceva una fanciulla modello…. tutta bontà, tutto amore per il Signore…”. Una prima prova della sua vita di fede si ebbe proprio nel luglio dello stesso anno 1922, quando, trovandosi a Grottazzolina per le vacanze estive, una notte il padre, al quale era stata affidata la bandiera rossa, fu prelevato da individui armati e mascherati e portato via tra la comprensibile costernazione dei familiari. Solo Paola Renata non si scompose: si rinchiuse in camera in devota preghiera e la notte stessa il padre tornò incolume tra i suoi. Già nel 1921 s’era ammalata di colecistite, infermità che l’accompagnerà per tutta la vita, ma che da lei era considerata come un prezioso dono del Signore. Nel luglio 1925 sostenne in Ancona l’esame di Stato per il diploma di maestra: era febbricitante per un foruncolo alla gamba che le impediva pure di camminare: prese con sé la reliquie di Santa Teresa del Bambino Gesù e andò tranquilla l’esame che riuscì meravigliosamente bene. Per due anni, insegnò nella scuola professionale Santa Chiara a Fermo. Da una sua confidenza alla sorella Giuseppina sappiamo che la notte del 22 maggio 1926 le apparve Santa Teresa del Bambino Gesù, per preannunciarle la morte che sarebbe avvenuta nel settembre dell’anno successivo. Passò la Pasqua del 1927 a Roma e, per essere simile a Santa Teresa del Bambino Gesù, si recò a pregare al Colosseo, piegando le ginocchia sulla terra un giorno bagnata dal sangue dei Martiri. Partecipò all’udienza del Santo Padre, uscendone commossa, con un volto luminoso. Ad un’amica disse: “Ora tutto è compiuto”. Il 18 agosto, trovandosi a Grottazzolina, contrasse il tifo, cui si aggiunse setticemia per colecistite: soffriva moltissimo, anche per la febbre, che qualche volta raggiunse persino i 43 gradi. Morì santamente alle 10:00 del mattino dell’11 settembre 1927 poggiata su un fianco, come se dormisse, dopo che il suo viso era diventato luminoso per ben due volte. In un primo tempo disse: “Tu a ventiquattro anni, io a diciannove”, forse le era apparsa Santa Teresa del Bambino Gesù. Poi: “Come è bello morire con una visione di Angeli”, e spirò serenamente. Con la conversione del padre la profezia che era stata fatta da Paola Renata si è avverata in pieno. In due lettere così si era espressa: al direttore spirituale, in data 17 settembre 1925, scriveva tra l’altro: “ e non temo, e so che papà e mamma riceveranno la luce”. E alla sorella Giuseppina (2 dicembre 1926): ” Nei disegni di Dio, dovevo essere …la piccola ostia bianca che si doveva offrire per riparare, per espiare, perché la luce fugasse le tenebre e papà e mamma si convertissero…..”. Il 4 agosto 1965 veniva effettuata la traslazione della salma di Paola Renata Carboni da Grottazzolina alla chiesa della Madonna della Misericordia a Fermo, per essere tumulata a sinistra dell’ingresso. Nei primi mesi del 1966 i due teologi censori hanno esaminato, secondo quanto prescrive il can. 2068 J.C., gli scritti della Serva di Dio, dando il loro parere favorevole, che è stato, poi, ratificato dal giudizio della Commissione cardinalizia il 16 gennaio 1968, dichiarando l’eroicità delle virtù e la venerabilità.
Mario Pupilli Nato a Grottazzolina il 18 febbraio 1913, dopo gli studi elementari si recò a Fermo per gli studi ginnasiali e liceali. Si iscrisse poi a Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica di Milano ed insegnò, prima ancora di laurearsi, nell’istituto magistrale “C. Teresa” di Milano. Giovane dinamico ed esuberante, nel 1940 partì per il fronte albanese e fu inviato nella zona Kalibaki Bivio di Dolio. Dopo rischiose azioni in cui pose tutto il suo valore ed il suo ardimento, colpito dal piombo nemico immolava per la patria la sua giovane esistenza. Il Ministero della guerra in data 14 aprile 1941 gli conferiva la medaglia d’argento con la seguente motivazione: “Comandante di Plotone fucilieri, durante un aspro combattimento, benché rimasto con soli 20 uomini riusciva a conquistare una importante posizione strenuamente contesa dal nemico, superiore di uomini e mezzi. Ferito, rimaneva sul posto, finché colpito mortalmente esalava l’ultimo respiro dopo aver gridato: Viva l’Italia. Kalabaki Quota 120, Fronte greco albanese, 7 Novembre 1940”. L’Università cattolica in data 5 novembre 1941 gli conferì la laurea ”Honoris causa” perché gloriosamente caduto per la patria. La sua salma fu riportata a Grottazzolina il 26 giugno 1954.
Vincenzo Monaldi è la gloria più fulgida di Grottazzolina, come persona dinamica e attiva che ha affrontato e risolto i problemi fondamentali a sostegno della vita. Nato nel 1899 a Collina di Monte Vidon Combatte, ben presto la famiglia venne a Grottazzolina ove si distinse subito per le sue capacità nello studio. Ancora studente partecipò alla prima guerra mondiale e conclusesi le ostilità, fu sindaco di Grottazzokina e consigliere provinciale, militando nelle file del nascente Partito Popolare fino al 1923. Costretto ad abbandonare la sua attività politica a causa dell’avvento del Fascismo, si diede con ardore a perfezionare i suoi studi. Si laureò nel 1925 in Medicina e Chirurgia. I contributi scientifici da lui resi alla Fisiopatologia, Patologia e Clinica dell’Apparato Respiratorio e delle infezioni tubercolari, richiamarono ben presto su di lui l’attenzione degli ambienti scientifici di ogni nazione. Il suo primo trattato Fisiopatologia della Tubercolosi Polmonare, pubblicato nel 1932 raggiungeva già nel 1940 la sua III edizione. Molti interventi terapeutici, applicati dovunque, recano il suo nome come le toracoplastiche antero-laterali elastiche e la decompressione progressiva degli empiemi. Ma il nome del Monaldi è soprattutto legato al metodo della Aspirazione Endocavitaria, concepito, attuato e proposto nel 1938, sulla base di originali impostazioni teoriche e diffusamente entrato in tutti i paesi del mondo, tra i presidi terapeutici della tubercolosi polmonare. Quale attestato delle sue alte benemerenze acquisite nel campo della scienza e dell’umano benessere, le Società Mediche di Germania, Spagna, Inghilterra, Argentina e altre annoveravano il Monaldi tra i propri Soci. Il Congresso Internazionale di Rio de Janeiro nel 1952, il ciclo tenuto nei paesi del sud America e nel 1955 negli Stati Uniti, aggiunsero nuovi e unanimi riconoscimenti al notevole impulso di pensiero e di azione praticato in questo settore dal sommo tisiologo italiano. Negli ultimi suoi anni, ha composto un “Trattato di Patologia della Tubercolosi” alla seconda edizione ed un “Trattato di Fisiopatologia dell’Apparato Respiratorio” di cui era stata pubblicata nel 1956 la IV edizione. Dal 1954 il prof. Monaldi diresse a Napoli l’Istituto Sanatoriale “Principe di Piemonte”, con oltre 2200 degenti e che sotto la sua direzione è divenuto uno dei più noti e apprezzati Centri di Studio del mondo. Eletto senatore nel 1948, per la lista democristiana nel V collegio promuoveva l’opera della Previdenza Sociale. Nell’ottobre del 1952 la facoltà Medica dell’Università di Napoli lo chiamava coprire la cattedra ufficiale di Tisiologia. Dal 1 novembre 1953 Monaldi fu anche il Commissario Straordinario per gli Ospedali Riuniti di Napoli. Nell’ottobre 1956 egli tornò, come Senatore, al governo della Repubblica, e vi fu rieletto, con larghissima votazione nel maggio 1958. Nominato Alto Commissario per l’Igiene la Sanità Pubblica, il 3 luglio 1958 nel Gabinetto Fanfani, divenne Ministro della Sanità; qundo, un mese dopo il suo dicastero entrò in funzione, fu il Primo Ministro della Sanità della Repubblica Italiana. Oltre alle opere ricordate egli è stato fondatore e direttore della Rivista: “Archivio di Tisiologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio”. Autore di oltre 400 pubblicazioni, Vincenzo Monaldi fu membro della “Royal Society of London”, membro della “Berliner Medizinische Gesellschaft”; membro delle Accademie di Medicina di Brasile, Argentina, Messico e Perù; membro dell’Accademia Medica di Roma; vicepresidente della Federazione Italiana contro la Tubercolosi, Presidente del Capitolo Meridionale dell’”American College of Chest Physician”; Presidente dell’Associazione Internazionale di Pneumologia; membro della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli. Fu inoltre Commendatore della corona d’Italia; Grande Ufficiale al merito della Repubblica; Commendatore dell’Ordine Equestre di San Giorgio Magno; Commendatore del Giogo e delle Frecce (Spagna); Commendatore de “la Santé Publique (Francia). Morì a Napoli il 7 Novembre 1969.
Ludovico Catini nato il 21 aprile 1891 a Grottazzolina da Massimiliano e da Francesca Graziani figlia del famoso baritono (di cui abbiamo parlato), studiò a Roma e fu allievo del Sartorio e di Pietro Gaudenzi. Diplomatesi nel 1914, partecipò poi alla prima guerra mondiale e si congedò col grado di Capitano degli Alpini. Decorato al Valore Militare, in periodo di armistizio compì – per ordine del Comando della Prima Armata – la ricognizione degli itinerari distrutti nei ghiacciai dell’Oezthal (Tirolo Austriaco), ripristinando le piste e ne compilò una relazione corredata da schizzi e rilievi topografici. Congedato nel 1921, iniziò la sua opera di pittore decorando l’abside ed il presbiterio della chiesa della Madonna delle Grazie al Montegilberto. Nel 1926 decorò la villa Giovannetti ad Altidona; nel 1931 il salone d’onore del palazzo Romani-Adami. Dal 1932 al 1935 insegnò Plastica all’istituto tecnico industriale di Fermo. Vincitore del concorso per cattedre di Disegno e storia dell’arte, insegnò dal 1935 al 1960, nell’Istituto Magistrale “Veronica Gambara” di Brescia. Fu poi nominato direttore della Scuola d’Arte dell’Associazione Artistica Bresciana e insegnò Figura in tale scuola dal 1947-1953. Eseguì numerosi disegni in varie riviste e con dipinti partecipò a molte manifestazioni artistiche locali, riscuotendo favorevoli giudizi sulla sua arte anche da parte di autorevoli critici. In pensione dal 1961, viveva a Santa Vittoria in Matenano, dove morì il 10 luglio 1982.
CHIESE.
Poco sappiamo delle origini del Cristianesimo e della più antica storia sacra di Grottazzolina, ma la diocesi di Fermo era attiva nel secolo III. Non sappiamo da quanto tempo prima del basso medioevo, esistevano le chiese di S. Giovanni, S. Marcello e S. Pietro. Dalle “Rationes Decimarum Italiae” troviamo dal 1290 al 1292, a Grottazzolina queste chiese. “N. 5809. Da don Giovanni cappellano della chiesa di san Pietro di Grotta 20 soldi.; N. 5812. Da don Gentile cappellano della chiesa di san Giovanni di Grotta 40 sol.; N. 6729. Dal cappellano della chiesa di San Giovanni di Grotta 30 sol.; N. 6730 Dal cappellano della chiesa di san Pietro di Grotta 30 sol.” N. 7277 Da don Francesco cappellano della chiesa di san Giovanni di Grottazzolina. N. 7402 Da don Saldo Cappellano della chiesa di San Pietro di Grottazzolina.[vi] Tali somme erano state concesse dal clero per espletare le trattative del regno della Sicilia.
La chiesa di San Giovanni Battista. Sulle rovine probabili di un tempio romano pagano fu edificata una chiesa paleo-cristiana e in seguito quella romanica dataci come ivi esistente dai documenti del Mille. Abbiamo poi numerose relazioni di visite pastorali svolte dai vescovi Fermani a Grottazzolina. Da una di queste, stesa da D. Felice Amorosi, Delegato del card. Peretti, futuro Sisto V, nel 1572 la chiesa di S. Giovanni risulta bene officiata dal suo pastore, D. Perleo Azzolino e dal suo Cappellano D. Luca Carpino. La chiesa, oltre dell’altare maggiore, aveva anche l’altare di Santa Maria per i devoti.[vii] Dal dettagliato inventario steso dall’Amorosi, ricorderemo solo il tabernacolo in bronzo dorato. Le anime erano circa 300 e non vi erano “pubblici usurari, eretici e scomunicati”. Dalla visita pastorale effettuata dal vescovo mons. Alessandro Strozzi il 25 settembre 1607 risulta che la chiesa di San Giovanni si era arricchita di un nuovo altare, quello di S. Monica, fatto edificare dall’omonima Confraternita. Il 3 dicembre 1624 si ebbe la visita dell’arcivescovo mons. Pietro Dini. Da essa risulta che la Parrocchia aveva una rendita di 150 scudi annui. L’altare maggiore era dedicato insieme a San Giovanni Battista e alla Croce. Il Vescovo ordinò di fare l’archivio. L’arcivescovo card. Rinuccini, fece face la visita ai delegato e ne rimane un prezioso inventario che ci dà molti particolari. Vi si dice che sopra l’altare maggiore della chiesa di S. Giovanni vi era quadro in tavola, con dipinta l’effigie e la Beata Vergine, alla destra San Giovanni Battista e dalla sinistra San Francesco d’Assisi. Piace pensare che si trattasse di una tavola quattrocentesca, forse di Carlo o di Vittore Crivelli, i due fratelli venuti da Venezia e stabilitisi nelle Marche, dove lasciarono molti meravigliosi capolavori. Ma non abbiamo riscontro. Nel 1668 l’altare di S. Monica fu dedicato a Sant’Antonio da Padova, essendo stata costruita una chiesetta dedicata appunto a S. Monica, sotto la cura delle monache terziarie agostiniane. Nel 1684 la vetusta chiesa (romanico-gotica) di San Giovanni Battista, fu demolita dal parroco Giovanni Battista Silotti, per la ridotta capienza e la fatiscenza d‘origine antica, mentre la popolazione grottese era raddoppiata con l’aggregazione della chiesa parrocchiale di Santa Croce e i suoi parrocchiani”. Il Silotti ci ha lasciato una interessante descrizione della nuova chiesa fatta da lui edificare sulle rovine della vecchia. “Situata nel borgo del Castello, chiamato la Cozzana…. ha cinque cappelle, la prima, situata nella tribuna, è dedicata a San Giovanni battista, titolare della chiesa“. In mezzo alla volta della chiesa è collocata una grande icona rappresentante San Giovanni Battista in gloria. Delle altre quattro cappelle laterali, la prima è dedicata all’Angelo Custode con una tela che rappresenta l’Angelo che libera le anime dalle fauci del Dragone invernale; la seconda cappella, sotto il titolo di Sant’Antonio da Padova ha la sua icona che rappresenta la Vergine che con sue mani pone nelle braccia di Sant’Antonio il suo caro Figlio Gesù; la terza cappella, sotto il titolo del Transito di San Giuseppe, rappresenta nella sua icona il transito dello stesso Santo, assistito da Gesù Cristo, dalla Santissima Vergine, Sua Sposa e da San Giovanni Evangelista; la quarta cappella, sotto il titolo del SS. Suffragio con icona che rappresenta la SS. Vergine del Carmine, con S. Lucia alla destra e San Nicola da Tolentino nella sinistra; di sotto le anime del Purgatorio, liberate da quelle fiamme da un angelo del Paradiso. Sopra la porta maggiore di questa chiesa si leggono queste parole qui tradotte dal latino: =COLUI CHE CON PROPRIO DENARO SENZA AVVALERSI DI QUELLO ALTRUI HA VOLUTO ERETTO QUESTO TEMPIO A MATTONI NEL 1684 <LO DEDICA> A DIO OTTIMO MASSIMO E A SAN GIOVANNI BATTISTA, PER SE’.= =D.O.M.\DIVO IOANNI BAPTISTAE\QUI NON AERE FULTUS ALIENO SED\SUI HOC SIBI FICTILE TEMPLUM\ERIGI VOLUIT\MDCLXXXIV. Davanti questa porta principale esiste uno spazio con gli ingressi alle grandi sepolture e una lapide: CEMETERIUM. Questa nuova chiesa fu consacrata solennemente il 9 settembre 1725 dall’arcivescovo Fermano, mons. Alessandro Borgia che fece porre sotto la mensa dell’altare maggiore un’urna contenente il corpo di S. Angelica vergine e martire con un vaso di vetro contenente il suo sangue. “Il Battistero è collocato nella sagrestia e ha un dipinto rappresentante San Giovanni Battista in atto di battezzare Cristo nel Giordano”. Il campanile aveva tre nicchie per tre campane, fate fondere dal Silotti con due delle antiche campane “fesse e rotte” della primitiva chiesa di San Giovanni Battista. Nell’altra sagrestia avevano sede tre gruppi: la Confraternita del SS. Sacramento, costituita ab immemorabili, quella di Sant’Antonio da Padova e una “Congregazione di Contadini sotto l’invocazione della SS. Annunziata”. Fra i beni: il tabernacolo intagliato e dorato, un ostensorio di rame dorato, sei candelieri torniti, tinti lapislazzolo (azzurro), l’urna dorata contenente il corpo di S. Angelica. Nella sagrestia piccola erano quattro archivi: il primo riguardava la parrocchia della pievania di San Giovanni battista. Oltre due secoli dopo, il pievano parroco era D. Vincenzo Astorri il quale ci informa che nel 1873 le anime erano 1600 e le famiglie 302. Quelli che non frequentavano la chiesa erano “tre o quattro, non vi si scorge altro abuso che quello delle bettole e del vino”. Questa chiesa fu restaurata nel 1926-27-28. I lavori si resero necessari per rendere la chiesa idonea a contenere l’aumentato numero di fedeli. Infatti gli abitanti erano saliti a 2900 e le famiglie a 400. La chiesa di San Giovanni Battista fu catalogata fra i Monumenti Nazionali soprattutto per i suoi pregevoli stucchi. L’Inventario Nazionale degli Oggetti d’Arte[viii], del 1936 registra il quadro davanti l’altare maggiore, dipinto ad olio su tela, di m. 1,70 × 2,80, raffigurante il Battesimo di Gesù, d’ignoto autore del secolo XVII, con ricordi del Pomarancio, su sfondo di paesi, mentre alcuni Angeli assistono alla sinistra e Cherubini si librano in alto”. Tra gli arredi sacri, viene ricordata dal medesimo la “croce astile”, sbalzata in ottone dorato, con estremità lobate, avente nel recto la figura del Crocefisso e quattro busti di santi. Misura m. 0,33 × 0,30.
La chiesa del SS. Sacramento dedicata alla Confraternita del SS. Sacramento unita a quella del Rosario sulla demolita chiesa di S. Petronilla nel 1768. Essa sorgeva fuori delle mura del castello “extra moenia Castri”.
Il delegato del Card. Peretti. D. Pagani nella sua visita del 1574 notò che i beni erano male amministrati, e non v’era un Cappellano che la officiasse da circa due anni, rimasta a porte chiuse con grande danno spirituale della confraternita e della popolazione. Decise di unirla con ogni suo bene e uso alla chiesa di San Giovanni, obbligando il parroco a tenere almeno un Cappellano per entrambe. Nel 1587 la chiesa di S. Petronilla fu visitata dal vescovo mons. Sigismondo Zanettini che incontrò il rettore don Sagripante Carilao da Belmonte. Tre gli altari: quello maggiore di S. Pietro, quelli laterali del Rosario e del Crocifisso. Nel 1607 troviamo che la chiesa di S. Petronilla è sotto il governo delle Confraternite unite: del Sacramento, del Rosario e di S. Monica. Probabilmente all’inizio era stata eretta dai Farfensi. Secondo la relazione delle Card. Rinuccini sopra l’altare maggiore vi era “una statua della Madonna, di legno, col Figlio in braccio, indorata”. Il quadro con la tela, che copriva la nicchia retrostante, recava l’immagine della Madonna con San Pietro e San Paolo. Nell’altare del Rosario vi era “un quadro con l’immagine della Madonna et di tutti i misteri” (del s. Rosario). All’altare del Crocifisso l’immagine della Madonna. Nel 1685 rettore era il grottese D. Giuseppe Guarnieri. Il nome fu cambiato in quello di Santa Maria della Neve, quando vi fu collocata “la nobilissima statua omonima”. Nel 1697 il tempio fu restaurato “con 1000 e più scudi”. Vi erano cinque altari. Nel primo, la statua della Madonna della Neve veniva chiusa in nicchia con il quadro rappresentante la Madonna del SS. Rosario, con San Domenico e S. Rosa di Lima. Il secondo altare era della “Comunità ed aveva il quadro rappresentante la SS. Vergine lauretana, S. Nicola di Bari e San Giuseppe”. Il terzo altare era dedicato a S. Petronilla e ne aveva una “icona”. Il quarto altare del SS. Crocifisso, aveva l’icona omonima. Il quinto altare aveva l’icona della SS. Vergine con S. Michele Arcangelo e San Francesco d’Assisi”. A proposito della statua della Vergine del Rosario il Silotti narra il seguente episodio: “Per tradizione rimane la memoria in Grotta Azzolina che detto Alfonso Verzieri facesse lavorare questa statua con lo sborso di 2000 scudi, e fattale collocare dentro un cassone per trasportarla con due muli qua in Grotta Azzolina, collocasse dentro il seno della medesima 1000 e più scudi in tanti zecchini, e fece chiudere con tappo dorato, che ancora è in vista di tutti, il forame, acciò li ladri, che abbondavano nel Regno di Napoli, non li rapissero; e affermato nello Abruzzo dalli assassini per spogliarlo di tutto, nell’aprirsi la sacra statua, restassero tutti attoniti di sacro orrore, e per l’amore di quella Santissima Vergine, lasciassero libero il Verzieri con tutt’altro che seco portava con suoi compagni, che felicemente giunsero con il nobil tesoro sani e salvi”. Questa chiesa fu restaurata nel 1712. Nel 1768 la chiesa fu demolita e ricostruita dalla Confraternita del Rosario nello stesso luogo dove sorgeva la chiesa di S. Petronilla. La nuova chiesa fu dedicata al SS. Sacramento. Fu consacrata il 29 giugno 1803 dall’arcivescovo card. Cesare Brancadoro. Nel 1928 il parroco Mercanti ci dice che la Chiesa aveva bisogno di numerosi ripari essendo state danneggiate dall’umidità anche molte pitture del Fontana. È stata rimessa a nuovo dal parroco D. Luigi Lorenzetti nel 1954-55. Nel 1961 fu rifatta ex novo la scalinata esterna in ottimo travertino e nel 1969 venne rinnovato il pavimento della chiesa e riedificata la canonica sulle rovine della vecchia. L’inventario nazionale degli oggetti d’arte del 1936 per la chiesa del Ss. Sacramento ricorda “ la Vergine col Bambino”, gruppo scolpito in legno policromo, m.1,70. La Vergine raffigurata in piedi di prospetto, con vesti largamente drappeggiate, nell’atto di sorreggere il Bambino. Sulla base è l’iscrizione : Anellus Stello Scultor. Neap. 1612 indica come autore lo scultore napoletano Anello Stello e l’anno. Una lapide, a destra dell’ingresso, reca questa scritta: QUI \ IL PROF. CAV. LUIGI FONTANA \ DI MONTE SAN PIETRANGELI \ DIPINGENDO IMMAGINI ED ORNATI \ SI AFFERMO’ DELLE GLORIE \ ITALICHE \ AMPLIATORE VALENTISSIMO \ LO RICORDA AI POSTERI \ QUESTA MEMORIA \ DEL 18 MAGGIO 1884. Del Fontana sono le scritte nel costone dell’abside, sopra l’altare maggiore e in tutto il tempio. Suoi gli affreschi della Cena, della Lavanda dei piedi e della Consegna delle chiavi a san Pietro. Al soggetto della suprema prova dell’amore divino, l’istituzione dell’Eucarestia, il Fontana imprime una nuova espressione. La luce che vince quei cirri a ponente, e che penetra per gli ampi finestroni del Cenacolo si armonizza mirabilmente con le faci accese che sono le prime fiaccole della Fede, col volto radioso del Maestro, i cui volti innamorati, stupiti degli apostoli: cielo e terra, divino ed umano, temporaneo ed eterno in un tripudio d’anime, di luce e di colori. Nella Lavanda i volti degli Apostoli esprimono meravigliosamente lo stupore per l’umiltà del Divin Figlio. Ma la consegna delle Chiavi supera gli altri due affreschi per la verità, lucentezza, naturalezza del paesaggio, per la maestà di Colui che conferisce i suoi divini poteri al capo della Chiesa. Gli stessi pregi si riscontrano nei tre affreschi della vòlta: la Fede che dal suo seggio etereo, tra un nimbo di gloria, mostra con la destra, il Calice e l’Ostia, mentre stringe col braccio sinistro, la Croce ed ha ai suoi piedi il Vangelo, la Tiara e le Chiavi del Regno dei Cieli; la Speranza, con la mente con il cuore, con le braccia librate in alto, come l’Assunta di Tiziano. La Carità è la più sublime espressione d’amore materno. Sopra la cantoria è dipinto il mistero dell’Annunziazione: un meraviglioso Gabriele che dice: “Ave” ad una Madonna adombrata dallo Spirito Santo. Qui s’armonizzano divinamente verginità e maternità. Inginocchiato sui piedi è Alfonso Verzieri, il religiosissimo e munificentissimo donatore dei suoi beni alla Confraternita. Sopra l’altare maggiore è dipinta la Vergine del Rosario con San Domenico, tela pregevole per espressione dei volti nella religiosità dei sentimenti. Alle pareti si apprezzano il colorito, l’espressione, e la religiosità de tre santi: sant’Antonio abate, san Vincenzo Ferreri e san Luigi Gonzaga. Si narra che la cotta di quest’ultimo santo fu venduta e fu sufficiente per rifare e ridipingere il tempio! Nelle statue dei quattro Evangelisti, Luigi Fontana volle celebrare i divini depositari di quella fede, che fu sempre l’ispiratrice feconda, principio e termine della sua arte.
CHIESE RURALI
La Chiesa di S. Pietro. Dopo le notizie del 1290, altre notizie di questa chiesa risalgono alla visita fatta nel 1574 dal Delegato del Card. Peretti, D. Paolo Pagnani. Rettore era D. Troilo Azzolino. Il visitatore ordinò che si facessero delle riparazioni intonacando, rinnovando il pavimento ed il tetto. Nel 1624 essa aveva un reddito annuo di 100 scudi, ne era Rettore don Iacobo Monaldo di Faenza. Dalla vista delle Card. Francesco Ginetti, compiuto nel 1685, risulta qui rettore il Card. Azzolino.. Nel 1688 rettore D. Nicola Clodi. Fu un riedificata nel 1771 dalle Can. G. Bastesi, sullo stesso luogo. Si diceva che fosse stata eretta dai monaci (Farfensi poi) soppressi”. Nel 1884 aveva un beneficio in fondi rustici del valore di scudi 866,60. Nel 1928 risulta non più officiata, sprovvista di arredi sacri e bisognosa di riparazioni.
La chiesa di S. Isidoro. Fu eretta dalle Can. Musio Aurispa nel 1663 e possedeva “il beneficio in fondi rustici pari a scudi 355,48”. In essa era stata fondata una società di contadini. Nel 1685 ne era Rettore D. Bartolomeo Pasquali. Nel 1698 fu visitata dall’arcivescovo card. Baldassarre Cenci. Rettore era tale Monte de Monti. Nel 1884 aveva il beneficio di un fondo rustico del valore di scudi 555,48. Nel 1928 non era più officiata. Vi è una buona tela secentesca di ignoto autore, rappresentante il titolare Sant’isidoro, dipinto apprezzato soprattutto per forza di colorito e snellezza di panneggiamenti.
La chiesa di S. Marcello. Nel 1574 aveva per rettore D. Curzio Nobili fermano. Nel 1668 fu ricostruita con le elemosine dei fedeli. I contadini avevano dato 20 scudi per far comprare un appezzamento di terra “in contrada del Tronchetto”. Nel 1884 la possidenza di S. Marcello consisteva in un fondo rustico del valore di scudi 65,94. Nel 1864 la chiesa fu demolita e ricostruita a cura dell’amministratore D. Francesco Catalini. Nel 1918 vi si celebravano quattro messe annue. Amministratore ne era D. Desiderio Ricci, dimorante a P. Civitanova. Nel 1928 dalla relazione del Mercanti risulta che ”era ancora officiata nei mesi d’estate per comodità della campagna”.
La chiesa della Madonna delle Grazie. Anticamente chiamata “Santa Maria a piè della Costa”. Fu edificata nel 1671. Nel 1685 fu affidata dal Card. Ginetti al parroco di San Giovanni Battista, Silotti. In data 1 aprile 1728, lo stesso Silotti, in qualità di “Soprintentente”, con l’assistenza del cappellano Tommaso Angelini, ci lasciò un “Inventario della Madonna come volgarmente chiamasi a pié della costa del Castello”. Allora vi era “ una pittura antica dedicata alla SS. Vergine Maria, dipinta a guazzo nel muro con il suo caro Figliolino Gesù nel seno”. La chiesa, afferma l’inventario, fu edificata nel 1671 a spese dei fedeli. Il 2 luglio 1672 fu benedetta e dedicata alla Visitazione della SS. Vergine. Gli fu eretto un campanile con una campana di 60 libbre. Nell’altare della chiesetta fu collocata “una piccola cappella” donata dalla locale Compagnia del Rosario. Vi era pure l’attuale quadro rappresentante la scena della Visitazione, fatto dipingere dal Silotti stesso. La sua possidenza nel 1884 era un fondo rustico pari a scudi 502,90. Nel 1928 non era più officiata. Nell’abside sono ancora visibili gli affreschi della chiesa vecchia che possono riferirsi all’ultima metà del Quattrocento o al primo Cinquecento.
La chiesa di Sant’Angelo. Forse sorgeva nell’odierna contrada omonima. Fu visitata nel 1574 dal Delegato del Card. Peretti.
Piccole chiese o cappelle
S. Monica. Fu edificata nel 1641 da Pier Amico Silotti per la celebrazione di ss. Messe dall’altare di S. Monica su custodia delle Monache Terziarie. Nel 1668 vi risulta anche l’altare di San Francesco. Fu rimessa a nuovo dal Can. Rettore D. Serafino Eugeni nel 1844. Nel 1884 ad amministrare questa chiesa di S. Monica era una donna, la signora Francesca Ciamberlani, erede degli Eugeni.
Beata Vergine del Soccorso. Primo ideatore e promotore della cappella della Madonna del Soccorso fu il parroco Silotti. Dal 1747 si ha memoria che si faceva ad essa l’offerta dei covi Poi per la devozione che i fedeli mostravano per l’immagine della Beata Vergine del Soccorso, agli inizi del sec. XIX fu copiata l’immagine recata a Grottazzolina per le Missioni dai padri Cappuccini. Secondo una relazione parrocchiale[ix] allora i Grottesi, essendosi mostrati desiderosi di possederla, se ne procurarono una copia che fu dipinta da Suor Giovanna Ricci di Fermo. Dapprima quell’immagine fu messa in venerazione in un pilastro vicino all’altare. In circostanza di questo collocamento fu intagliato l’ornato intorno all’immagine dal Sig. Giovanni Cosimi il Fermo. Nel 1819 si ottenne il permesso di celebrare l’ufficio della B.V. del Soccorso, la IV domenica dopo Pasqua. Più volte sono stati incisi i rami per raffigurare l’Immagine venerata. Nel 1768 se ne incise uno dal signor Francesco Aspri da Camerino; nel 1778 ne incise un altro il signor Federico Sartori di Loreto. Ma all’ultimo più pregiato con disegno di L. Gavazzi, fu inciso il Roma dal valente G. Mochetti del prezzo di scudi 140. Fin dal 1856 si cominciò a trasportare l’Immagine nell’altra chiesa del Rosario, nella ricorrenza della festa, per suggerimento dell’arcivescovo card. De Angelis, e ciò per provvedere meglio al gran concorso di gente solito di intervenire in tal giorno. Nel 1894 si mise mano alla nuova Cappella che fu finita nel 1896 per la chiusura del mese mariano e fu trasportata ivi l’immagine venerata.[x].
S. Filomena cappella fondata da Angela Rosa Brancadoro Vitali nel 1825.
Bibliografia:
VITALI BRANCADORO, Vincenzo, Notizie storiche di Grottazzolina nel circondario di Fermo. Fermo Bacher, 1864
NEPI, Gabriele, Grottazzolina, Servigliano, Fermo, Il Campanile 1980.
NEPI, Gabriele, Grottazzolina, in “Riviera delle Palme” inserto Arte e Cultura a. XVIII n. 5, novembre dicembre 2002 pp. V-VIII.
PIERGALLINA, Anacleto, Storia di Grottazzolina. Assisi, Porziuncola 1989.
PALMONI, Eleonora. Chiesa di santa Maria a pie’ di costa a Grottazzolia: studio critico e analisi tecnica di un bene da salvare. Tesi di laurea all’Università di Macerata 2005
[i] Per i notiziari degli scavi cfr. PIERGALLINA, Anacleto, Storia di Grottazzolina, Assisi, Porziuncola 1989, pp. 12-20 con la descrizione e l’illustrazione di alcune tombe, dei reperti archeologici in esse trovati, ed una piantina topografica della ubicazione di dette tombe che sono state numerate. In precedenza simili notizie furono pubblicate da GENTILI, “Notizie degli scavi di antichità” Accademia dei Lincei, a. 1949 vol. III pp. 37-47 e ANNIBALDI, G. “Atti dell’Accademia dei Lincei. Notizie di scavi e tombe” Vol. VIII fasc. 7- 12 anno 1960 pp. 391 ss. Nel marzo 1949 furono rinvenute altre due tombe; nel maggio dello stesso anno venne scoperta la tomba XII; nel maggio del 1950 la tomba XV. Nel giugno-agosto del 1951 vennero alla luce altre sei tombe; nn. XIX-XX-XXI e nel 1953 la tomba XXVII. Una fibula di bronzo di tipologia Grottazzolina è ad arco con tre bottoni.
[ii] GREGORIO da Catino, Chronicon Farfense, a cura di BALZANI, U. Roma 1903 vol. I, pp. 251.ss. Le orde saracene penetrarono nei primi decenni del sec. X anche nel Fermano e l’abate di Farfa, Pietro, rifugiatosi con i monaci sul colle Matenano, vi aveva costruito un monastero ed un castello che divennero il centro dell’irradiazione farfense nel Piceno. Nel 934 circa furono qui traslate le reliquie di Santa Vittoria.
[iii] Utili i documenti del Liber 1030 dell’archivio storico comunale di Fermo, edito AA.VV. Liber iurium dell’episcopato e della città di Fermo. Ancona 1996: pag. 489, anno 1021 Azzo di Azzone usufruttuario a Silvaplana e Campo Aspiani presso Grotta; pag. 158, anno 1072 (circa) permuta di Azo di Atto e Amizone di Azo con il vescovo Fermano; pag. 156, anno 1065 donazione al vescovo Fermano a Silvaplana presso il Tenna; pag. 267 anno 1221 Grottazzolina restituita dal marchese al vescovo; pagg. 273, 275, 278, 281, anno 1236 prestazioni dovute da Grottazzolina al vescovo. Nello stesso archivio pergamena Hubart n. 17; pag. 372 anno 1239 Grottazzolina confermata al vescovo. In HAGEMANN, Wolfgang, Studi e documenti per la storia del Fermano nell’età degli Svevi. Fermo 2011 pagg. 121 e 193 documento dell’anno 1191 per le famiglie che da Grottazzolina erano emigrate a Montegiorgio; pag. 137 per l’anno 1237 per due persone risarcite dei crediti a Grottazzolina. Per l’anno 1266 ivi, pergamena Hubart n. 846 i canonici di Fermo affittano al comune di Fermo i castelli di loro proprietà: Monte Urano, Monte San Pietrangeli, Grottazzolina e Magliano di Tenna; altre pergamene dell’anno 1459 Hubart numeri 1909; 1910; 1911; 1912 il vescovo di Fermo cede Montottone, Grottazzolina, Monteverde e Magliano di Tenna al comune di Fermo.
[iv] Per l’anno 1428 interessante il contrasto di Grottazzolina contro Magliano di Tenna per l’uso e possesso delle terre dette Bovara, v. pergamena Hubart n. 1663.
[v] Nell’ultimo mezzo secolo sono stati commemorati lo scrittore p. Guido Anacleto Piergallina (1904-1975), autore di una ampia storia della stessa Grottazzolia; Vittorio Marziali (1884-1975) musico e direttore delle edizioni musicali dell’ed. Ricordi; Fulvio Belmontesi (1919-2000) sportivo del ping pong e pittore.
[vi] Rationes decimarum Italiae saec. XIII – XIV a cura di SELLA, P. Città del Vaticano 1950 ai numeri indicati.
[vii] Archivio storico arcivescovile di Fermo armadio II alle posizioni O-7; O-17; P-13; P-14; P-9; P-10; P-12; X-8; X-10; X-11; X-12; Q-11.
[viii] Inventario degli oggetti d’arte. Provincie di Ancona ed Ascoli Piceno, a cura di Luigi Serra. Ministero dell’educazione nazionale. Roma 1936 pp. 280ss
[ix] Archivio della Parrocchia di San Giovanni Battista a Grottazzolina, Relazione delle Missioni dei Padri Cappuccini.
[x] Da una relazione del parroco Vincenzo Astorri del 1896 nell’archivio della parrocchia di San Giovanni Battista a Grottazzolina.