LORETO cittadella di Maria e scrigno dell’amore per Maria
Liberati Germano
La storia del santuario di Loreto sta tutta concentrata in una data conservata dalla tradizione, il 1294. Fu allora – ci è stato tramandato – che la casa della santa Famiglia di Nazareth fu trasportata miracolosamente dalla Palestina in mezzo ad un bosco della campagna Lauretana.
Gli storici parlano di Crociati o di altre concrete vie attraverso cui tale presenza può essere razionalmente spiegata. Due fatti, comunque, restano incontrovertibili: la Casetta è costruita senza fondamenta, quasi appoggiata sul terreno; le pietre stesse sono quelle della Palestina. Forse su alcuni aspetti storico – archeologici si può discutere all’infinito senza trovare soluzioni apodittiche, affacciando magari ipotesi più scientifiche; ma tutto ciò non crea nessun contrasto con la fede. Loreto è e resta un luogo storicamente privilegiato, ove il culto della Vergine Maria si focalizza e prende tale e tanta valenza che ivi la provvidenza misericordiosa di Dio si manifesta con una presenza tangibile, spesso straordinaria. E’ questo particolare significato che attira le masse di fedeli che a centinaia di migliaia vi affluiscono. La Chiesa ne approva e favorisce il culto mariano. La cultura e l’arte ne hanno fatto il più bello scrigno dell’amore per la Vergine. E tutto ciò non ha limiti temporali, non momenti di stasi, ma una continuità che, oggi come ieri, genera attrazione ed aggregazione.
E’ così che deve essere impostata la visita di chi, credente o semplice turista, voglia andarvi: se il suo è pellegrinaggio di fede, la grazia che corrobora le virtù teologali è fondamentale; se si tratta di un turista curioso, questi non può fare a meno di scoprire come la fede e la cultura, la fede e l’arte, la fede e la vita si coniughino in una impresa di impensata armonia. Una particolare suggestione viene suscitata , al solo giungere nella Piazza del Santuario: essa non è solo un mirabile spazio armonico, secondo i canoni della ritmica classica, ma una specie di spazio raccolto che protegge e incornicia una preziosa realtà. Il Palazzo Apostolico, i palazzi degli ex collegi ecclesiastici, la monumentale scalinata costituiscono le linee direttive che indirizzano verso la sopraelevata facciata del Santuario; raccoglie le folle, le segrega dal profano, convoglia verso il divino. Entrando nel Santuario poi, si percepisce la perfetta funzionalità della costruzione. Ad accoglierci è una grande aula, a tre navate, con cappelle laterali ed un presbiterio sopraelevato, ben visibile: uno spazio, insomma, concepito per la grande massa dei fedeli che vi si affollano. Oltre il presbiterio, si estende quasi una nuova chiesa con cappelle raggianti, absidata, come una immensa corolla, a circondare il palladio della santa Casa e questa, incorniciata da una cassa marmorea, scolpita protetta da un grande cupola. Girando per le numerose cappelle si percepisce la universalità della fede; la cappella francese, la slava, la svizzera, la tedesca, la polacca … con figurazioni, artisti e stili nazionali. Tutto l’edificio è sintesi di storia della cultura e dell’arte in una ininterrotta linea di sviluppo: gli architetti da Bramante (=Donato Pascucci), a Giovanni da Maiano, a Giuliano da Sangallo, a Luigi Vanvitelli, e fino a Giuseppe Sacconi, hanno riorganizzato l’antico spazio gotico, ampliandolo, coordinandolo, in razionali rapporti, raccordati nella superba cupola: il tutto senza impressione di stonature stilistiche o giustapposizioni indebite. Del pari gli scultori, dai bronzisti fratelli Lombardo, ai marmorari Andrea Sansovino, Giovanni Cristoforo Romano, e Raniero Nerucci. A loro il compito di intervenire nelle parti più nobili dell’edificio, quali il rivestimento e l’altare maggiore, e quelle tradizionalmente in evidenza, come le porte bronzee. Infine i pittori come Melozzo da Forlì, Luca Signorelli, Carlo Maratta, Cristoforo Pomarancio e Ludovico Seitz. Le loro opere sono disseminate un poco ovunque nella chiesa e nei locali adiacenti: le vecchie sagrestie nella navata destra, all’altezza dell’innesto con il transetto, la superba cappella tedesca, la sala del tesoro. Tutto questo confluire di storia, cultura e arte riporta il visitatore alla sua ragion d’essere, quando accede alla santa Casa. Essa è una costruzione in pietra, ad un solo piccolo vano, a pianta rettangolare (m. I0,52 x 4,10) annerita dal fumo e con tracce di intonaco affrescato. Le pietre sono quelle della Galilea e gli esami chimici sui materiali non ammettono dubbi. Sopra l’altare in una nicchia, la statua della Madonna con il bambino, in legno di cedro, in sostituzione di quella bruciatasi nell’incendio del 1921.
Centro del santuario, la santa Casa, luogo di preghiera e di raccoglimento dove, nella penombra, ordinatamente e in silenzio, sostano i pellegrini. Ma questo povero ambiente viene custodito nella sua sacralità, da un rivestimento marmoreo, una specie di cassa-reliquiario su disegno attribuito al Bramante. Scultori del Rinascimento tra i più celebrati, quali Bandinelli, Andrea Sansovino, Raffaele da Morlupo, Domenico Aimo e Sangallo il Giovane, hanno immortalato gli episodi della vita della Vergine: dalla Natività, alla Dormitio; e la traslazione della santa Casa. Sul crepidoma, vi sono i segni della pietà e della penitenza: solchi profondi scavati nei secoli dalle ginocchia dei pellegrini, alcuni dei quali così lo percorrono ancora oggi. La santa Casa è divenuta, lungo la storia, meta di pellegrinaggi particolari, come quelli degli ammalati, organizzati dall’UNITALSI, che si distribuiscono lungo l’arco dell’anno ed interessano regioni e diocesi italiane, e in particolare quelle delle Marche. Dirompente è la testimonianza di fede e di servizio di migliaia di volontari, specialmente giovani. Appuntamenti particolari sono la “notte della Venuta” e la celebrazione della festa liturgica, il 10 dicembre, con eccezionale afflusso di fedeli. Essa viene ricordata anche in tutte le Marche dalla accensione dei “falò” la sera della vigilia.
Il Museo Pinacoteca della santa Casa è situato al primo piano del Palazzo Apostolico: un monumentale edificio progettato dal Bramante e completato nel ‘700 dal Vanvitelli. Il museo si dispiega in 12 sale, offrendo ai visitatori un complesso di opere che va dai dipinti, agli arazzi, i gioielli, le ceramiche, i mobili e gli arredi sacri. Di notevole valore otto dipinti di Lorenzo Lotto, morto a Loreto nel 1556. Interessante la collezione di ceramiche, tra le migliori delle botteghe di Urbino e Castelli; pregevoli gli arazzi delle manifatture di Bruxelles su cartoni di Raffaello.