IL PIACERE con la Fede
Antimo Lorcassi
Il buon senso umano fa vivere ogni piacere materiale con moderazione, perché gli abusi sono controproducenti. Socrate ragionava sul piacere identificandolo con la virtù per cui quando non si conosce il bene, non si vive una gioia consapevole. L’autore del romanzo “Il Vangelo secondo i Simpson” Mark Pinsky commentando il film su questa famiglia espressa in cartoni animati, osserva che Homer è un cristiano timorato di Dio, ma inconsapevole. Tanto inconsapevole da divenire un pagano borderline”. Si rischia di vivere come se Dio fosse incapace di agire nel mondo: il suo amore non sarebbe potente né reale, non compie la felicità che fa attendere. Non sarebbe verità, solo sentimento che non supera le prove del tempo. Senza la verità l’amore non riesce a portare l’io al di là del suo isolamento. E’ impossibile credere da soli, senza condividersi con gli altri.
A Grottazzolina, in una settimana di festa paesana all’inizio di giugno, Giorgio Litantrace di fronte ad una foto del paese sotto la neve, ha scritto: “ Forse, soprattutto in un periodo di grandi trasformazioni e difficoltà, dovremmo imparare proprio dalla neve a riempire di bellezza il mondo con maggiore semplicità. Senza bisogno di fare tanto rumore e tanta confusione dentro di noi e nelle relazioni con gli altri.” Se un epicureo volesse saziarsi solo di piaceri corporali, a lungo andare il suo interesse diverrebbe deludente perché trascura la realtà spirituale umana. I giovani hanno il desiderio di una vita grande. Nelle Giornate Mondiali della Gioventù i giovani mostrano la gioia della fede salda e generosa.
Giacomo Leopardi considerava il piacere come fragile, imperfetto, minacciato. Nella quiete dopo la tempesta dichiara che il piacere è figlio di affanno: “gioia vana che è frutto del passato timore”. Egli ripete: “Ahi! Speranze, speranze: amari affanni!” Tra gli umani non esiste la felicità perfetta. E’ lo spirito che porta consolazione. L’attuale società dei media ha creato 1000 occasioni di piaceri, mentre da questi, quando risultano solo esteriori, non interiori sono transitori, spariscono, perché non nascono dallo spirito. Il personaggio pagano pretende di essere arbitro assoluto, si attribuisce un potere di manipolazione sugli altri, oppure si smarrisce nella natura, rinuncia alla propria responsabilità.
La spensieratezza, i paradisi artificiali non riescono a far scomparire le pene e le delusioni. Un senso del vuoto mal definibile è la solitudine, che nella materialità non trova altri rimedi se non l’evasione. C’è un apologo che racconta di un ragno che aveva tessuto la sua tela sospendendola con filo calato dall’alto. Quando, un giorno, ben sazio delle prede, tagliò quel filo verticale, si ritrovò caduto a terra dentro la sua tela. Se manca un legame soprannaturale si cade impigliati nella tela delle proprie conquiste. La festa comunitaria commuove, fa ridere e compiangere stando insieme con le persone.
Nella “Lumen fidei” leggiamo che l’uomo che ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, finisce per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che fa camminare il cerchi ripetitivi, senza direzione (n.3). Giovanni Pascoli sollecitava le persone ad unirsi e collaborare per procurarsi insieme sollievo, benessere, sicurezza, giustizia di cui i singoli sono sprovvisti. È un piacere per tutti rinsaldare la comune unione nella pace. Giorgio La Pira, dedito a incontri internazionali, aveva il cuore aperto alle attese della povera gente. La fede cristiana lo metteva in un cammino di dialogo con tutti. Non è stato mai un predicatore, ma un campione nel far godere la pace del cuore perché donava la gioia nella civiltà cristiana.
Nel trasmettere la felicità, lo sguardo ed il cuore si alzano ed affrontano lo sforzo delle ascensioni dello spirito. Se viene abbassata la fiducia, con la fede addormenta, vengono a mancare le energie rinnovatrici nell’ambiente in cui si vive, tra le persone con cui ci si ritrova, ovunque, come nella famiglia. Il concilio Vaticano II proclama la gioia umana nel vivere in strettissima unione, nello sforzarsi di penetrare nel modo di pensare e di sentire degli altri, nell’armonizzare la conoscenza delle scienze, della cultura e delle recenti scoperte (GS 62).
L’orgoglio individuale o nazionalistico e militaristico semina odio e morte in tante parti del mondo, per cui si lasciano morire i disperati nella fame, al contrario il piacere di trasmettere energie di vita è vera felicità ricca di valori terreni. Il piacere della rettitudine, della purità o castità si vede nelle persone che hanno un senso realistico; gente chiara nell’agire, capace di comunicare serenamente, di realizzarsi vivendo insieme con gli altri e per gli altri.
Le usanze delle lavoratrici e dei lavoratori che, in campagna, nel raccogliere i frutti coltivati facevano echeggiare i loro canti, non solo dalle corde vocali, ancor più dalla gioia del cuore e della vita, fanno capire che non si lavora per conquistare il mondo intero, ma perché avevano fiducia nella vita e ritrovavano se stessi rendendosi utili agli altri. All’interno delle attuale complessità sociali ed economiche, la persona pura semplifica la propria vita, sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore cristiano, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona. Quando gli altri non sono amabili, accoglie l’amore attraente di Cristo, per amare il prossimo. Dante Alighieri proclama: “Nella sua volontà è la nostra pace”. Non soltanto l’età giovanile, anche quella adulta trova le gioie e le delizie nell’unione spirituale con Cristo, nel assomigliargli, in ogni condizione di vita. Pur tra i rumori del traffico, della televisione, e tra le distrazioni, c’è gioia nella purità.
La vita spirituale dà frutto, infonde il piacere del rendersi utili agli altri con azioni di bontà, crea un rinnovamento interiore capace di superare le difficoltà, riempie di gioia. Paolo, apostolo delle nazioni, si proclamava pervaso di gioia in ogni sua tribolazione. E questa gioia cristiana si espande, contagiosa e diffusiva nella famiglia, nella società, compartecipando i beni goduti e condivisi. Ecco una domanda di Paolo VI: “ Affacciandosi al mondo, non prova l’uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità?”. Il piacere viene dai beni conosciuti ed amati, nella condivisione insieme con gli altri. Raoul Follereau, stando in mezzo a persone lebbrose, valorizzava la loro dignità umana e, superando i timori, condivideva se stesso donando sollievo. Ha scritto: “ La più grande disgrazia che possa capitare è di non essere utili ad alcuno”.
Alla radice della gioia cristiana c’è il fatto che Dio è Padre e offre l’esempio di Gesù Cristo che dona la sua vita per gli altri. Siamo figli di questo Padre. Vivere con gli altri e per gli altri è una testimonianza forte e tanto influente da trasformare un mondo “bestiale” in un mondo di giustizia, nella pluralità culturale. Edith Stein dice che l’aiutare Cristo a portare la croce dà gioia profonda. Si spiegano così l’offerta di se stessi nelle vocazioni sacerdotali e religiose. Esprimono il dono di credere totalmente in Dio. Elisabetta, moglie di Zaccaria, portando in grembo il futuro Giovanni Battista, disse a Maria, sua cugina:”Beata colei che ha creduto”.