POESIE DI NATALE raccolte da Vesprini Albino da una quaderno di un professore
NOTA CHE LE TRASCRIZIONI POSSONO ESSERE DIFETTOSE PERCHé ADATTATE AI BAMBINI IN RECITA
Non c’è niente di filologia critica
131 LA BEFANA
Mi hanno detto che stanotte,
dalla cappa del camino,
la befana pian. Pianino
nelle case scenderà.
Ella avrà graditi doni:
bei balocchi, confetture,
libri pieni di figure……
e cent’altre cose avrà.
Cheta, cheta, silenziosa,
le sue chicche e i suoi balocchi
nelle calze dei marmocchi
la Befana lascerà.
Ma la Fata (e qui sta il guaio)
ai bambini che non son buoni
darà cenere e carboni
e i balocchi non darà.
Oh ! Befana cara e santa
Deh ! Non farmi lacrimare.
Il carbon non mi lasciare !…..
Non lasciar…. per carità !
Ti prometto d’esser buono,
alla scuola diligente,
sempre docile, ubbidiente
con la mamma e col papà .
132 L’ANNO CHE MUORE
Da quando che è il mondo, so che nessuno
le briglie al tempo metter riuscì:
siam del dicembre giunti al trentuno
oggi è dell’anno l’ultimo dì.
Mentre il canuto compie il suo corso
e in grembo al nulla scende tra i più
dimmi, o Bambino, senza rimorso
l’estremo vale dargli puoi tu ?
I differenti dodici mesi
che il morituro ti prodigò,
pensa se proprio li hai ben spesi
oppure se l’ozio te li rubò.
Su carte e libri sempre ha piegato
la testolina con volontà ?
O hai fatto il chiasso più che studiato
via dimmi tutta la verità.
133 LA BEFANA
Che contento, che allegria,
siamo già all’Epifania.
Mamma cara, andiamo a letto
che la notte alta è già;
se levato io qui l’aspetto……
la Befana non verrà.
Entro il piccolo fardello
chi sa mai che avrà di bello,
dolci, mandorle, pasticche,
mamma mia, mi porterà;
ma se aspetto qui le chicche
la Befana non verrà.
Ecco qua lo scaldaletto,
presto, presto, vado a letto,
spengo il lume e m’addormento
che la notte alta è già.
Oh ! Che gioia, che contento
la Befana ora verrà.
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134 LA BEFANA
Dormi, bambino: questa è la notte
che la Befana dalle sue grotte
esce, e, recando paste e confetti,
va per i tetti.
Adagio adagio, pianin pianino
mette l’orecchio presso il camino;
e se fan chiasso, se alcuno si muove
cammina altrove;
e alle bimbe, per far dispetto,
che cattivelle non vanno a letto
ed ai bambini che non son buoni
getta carboni.
Ma se, ascoltando, placidamente
sente dormire tutta la gente,
allor con arte che ti sorprende
giù in casa scende;
e leva fuori dal suo fardello
quanto ha di buono, quanto ha di bello,
bambole e fiori, chicche e trastulli
per i fanciulli.
Dormi, bambino; se dormirai,
quando ti desti, t’allegrerai.
Bella la sorte di domattina !
Dormi bambina.
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135 IL NATALE
Laude a Dio ! Di porta in porta
i fanciulli allegri cantano;
getta il tedio l’ombra smorta
sul palagio malinconico;
ma il contento alberga ancora
nell’angusto casolar.
L’anno antico passa e muore,
ma non muor dei giusti il gaudio:
il canuto genitore,
fra i suoi cari, il vecchio mormora;
e la bella, onesta nuora
sveglia l’umil focolar.
Seggon tutti ad una mensa,
obliando che son poveri;
è il Signore che dispensa
quaggiù il pianto e la letizia,
che la pace ai buoni rende
che dei mesti il grido udì.
Oggi Ei nacque in vile ostello,
oggi schiuse i nuovi secoli;
degli oppressi fu il fratello,
a lor dié retaggio e patria;
benedetto l’uom che attende
del suo regno il primo dì !
136 NATALE
M’hanno detto che stanotte
è disceso un bambino da Paradiso,
così fulgido in viso,
che non si vide mai più bella cosa.
M’han detto ch’Ei riposa
dentro un umil tugurio, e a sé mi chiama;
e che per amor mio
si vuol fare mio compagno,ed è mio Dio.
Oh ! Chi mi guida all’antro
dove, o Bambin tu giaci ?
Ti coprirò di baci,
celeste Fanciullin.
Oh ! Chi fiori mi dona ?
Io ne farò corona
al tuo leggiadro crin,
E se più d’un mio bacio e più d’un fiore
gli piacesse il mio cor, io gli offro il cuore !
137 NATALE
o Bambinel, che in cenci stai ravvolto,
presso la greppia in una stalla oscura,
perché le rose nascono sul tuo volto,
e vien dagli occhi tuoi luce sì pura,
che al sol vederti ci sentiam nel core
un dolcissimo palpito d’amore ?
Perché dal ciel a noi viene inviato
Angelo redentor dall’ali d’oro,
perché tu sei Colui che fu aspettato
dei mali di quaggiù solo ristoro;
perché tu sei Colui che al mondo prono
insegnerà la pace ed il perdono ?
Un dì verrà che, apostolo d’amore,
tu tra le genti inerme e ignudo andrai;
sarà reciso di tua vita il fiore,
ma la tua fede no, non morrà mai !
Non morran mai le ante tue parole
finché nel vasto ciel fiammeggia il sole.
Tu Bimbo, intanto, sul materno seno
posa la guancia di bei gigli adorna;
dormi, candido fior, mentre sereno
al tuo cospetto l’universo torna;
e come di colombe un bianco stuolo
passano del Signor gli Angeli a volo.
Dormi e riposa, o cherubino, o duce,
pur nella fredda e disadorna stanza !
Per te balena al mondo un’altra luce,
per te risorge un’immortal speranza !
Dormi!….. e sia gloria in tutte le favelle
a Dio che move il sole e l’altre stelle.
(A. Galli)
138 IL NATALE DI UNO SPAZZACAMINO
Ei va per l’ombre nere. A volta a volta
pur lo riscuote una voce argentina:
– E’ nato, è nato – e in quella voce è accolta
gioia che d’ogni cor fatta è regina.
Di vecchi e bimbi schiera ilare folta
canta nel tempio una canzone divina:
ei travagliato dalla fame ascolta,
e fra le nebbie cammina, cammina !….
Ma lo flagella il vento e la tempesta,
onde affranto si adagia e alla natìa
valle pensando, omai china la testa.
Indi mormora a stento: – Oh madre mia !….
e trema tutto, e il cor si preme e resta
solo solo gelato in sulla via !…..
139 LA DISCESA DEL SIGNORE SULLA TERRA
Ti disse Iddio: Discendi sulla terra
o Figlio del Signor.
Porta la pace santa ai cuori in guerra
santifica il dolor.
Parla al meschin d’un’altra vita lieta
d’una vita immortal.
Fa che mirando alla sua eccelsa mèta
egli disprezzi il mal.
E fa che impari che la gloria, il vanto
i beni di quaggiù,
Sono funesti e recan spesso un pianto
che non si terge più,
Al violento, a chi il perdon rifiuta,
a quei che han gretto il cor.
Vanne, e col tuo poter tutto trasmuta;
scendi: tu sei l’amor.
L’amor discese: in rustica capanna
ognuno l’adorò:
All’inusitata luce gridò: Osanna
la terra, e si prostrò.
140 IL PIU’ BEL SERMONE
Natale è qui che viene,
ci ha detto la maestra:
“Su bambini, per bene,
senza smorfie; alla destra
qui, per metà, venite.
Fermi gli altri !…Benone !
Oggi cari, sapete ?
Studieremo il sermone !”
Io ho pensato, davvero,
che non voglio imparare !
Gesù, sono sincero,
ascolta: non ti pare
che a me, tanto piccino
basti l’umile preghiera
che recito al mattino
e ti ripeto a sera ?
Già, non so dirti niente,
o mio Fanciul diletto !
Sarò buono, ubbidiente
docile ognora e schietto;
vorrò bene al fratello
a nessuno farrò male …..
Non è questo il più bello
fra i sermoni di natale ?
141 BAMBINO, NON HO MEMORIA
Senti Bambino
l’amara storia
di un poverino
senza memoria.
Un dì vo’ a scuola
senza libretto !
E torno a casa
senza berretto
Vo’ dal fornaio
e lascio la sporta,
della mia casa
in sulla porta.
E vado u n giorno
dal macellaro,
compro la carne
senza denaro.
Vado per acqua
non ho il secchiello
ma dove metterla ?
Nel mio cappello.
Men vado a prendere
senza fiaschetto
il vin per tavola
ma dove lo metto ?
Un giorno o l’altro,
mio bambinello,
tornerò a casa
senza cervello.
Bambino donami
buona memoria,
ed io finisco
l’amara storia.
142 NELLO SVEGLIARMI…..
Nello svegliarmi, stamattina,
prima ancora di baciare la mammina
m’ha detto un Angioletto:
“Nato è Gesù bambino “.
Se in chiesa tu andrai
nel presepio lo vedrai:
dorme quel gran tesoro
in una culla d’oro.
Son venuto correndo a salutarti,
son qui Bimbo Gesù
per adorarti.
Che bella capanna !
China su te
oh con quanto amor
ti guarda la Madonna.
L’oro della tua culla
è il color della paglia;
il tuo bel viso
è un raggio di Paradiso !
Son venuti i pastori
con i loro bambini,
hanno portato agnellini.
Io che posso darti ?
Non ho che il cuoricino
io lo dono a te
Gesù Bambino !
143 LA BEFANA
Senti bambina, non è lontana
l’ora che passa di sopra il tetto
il carro splendido della Befana;
vattene a letto.
Non far rumore, sta zitta zitta
ché la Befana, se ascolta gente
se n’ha per male, va via dritta
senza dar niente.
Ma se tu taci quando è vicina,
se quando arriva tu dormirai
dentro alla calza, poi domattina
che troverai ?
Chi sa quest’anno di dove viene,
com’è fornita nel suo fardello
di buono e raro che cosa tiene
sotto il mantello !
Perché bisogna pur che io ti dica
che la befana ricca e cortese
non tutti gli anni ci giunge amica
da ogni paese.
144 PER L’EPIFANIA
Come i pastori, vago Bambino,
il tuo soave nome divino,
fra dolci suoni, fra dolci canti
cogli Angioletti corsero a te.
Così quest’oggi lieti, esultanti,
alla tua culla vennero i Re.
E picciol segno d’affetto immenso
t’hanno donato oro e incenso.
E nella notte del lungo viaggio,
tu lor mandasti nell’ampio ciel,
splendida stella, che con il suo raggio
fu lor compagna, guida fedel.
Noi piccini sappiamo che questa
è una giornata di gioia e di festa
per i fanciulli che sono buoni,
e che ai genitori voglio bene.
E stamattina di santi doni
il panierino trovaron pieno.
Noi pur sappiamo, benché bambini
che i nostri doni nei panierini
simbolo sono di quei più belli
che a te I Re Magi vollero offrir.
E te noi pure, noi poverelli
coi nostri doni vogliam venir.
Ci hanno detto che tutti eguali
a te dinanzi sono i mortali,
che noi ti siamo cari e diletti
al par dei grandi che sono quaggiù,
purché siam buoni e i nostri detti
sian sempre veri, come vuoi tu.
E più dell’oro, e più dell’argento
tu ti compiaci, tu sei contento
anche del cuore del fanciulletto
pieno di fede, pieno d’affetto.
Noi, dunque oggi, o caro Bambino
la mente e il cuore ti offriamo in dono !
145 IL PRESEPIO
O divino Bambinello
che riposi in una stalla
e fra il bove e l’asinello
piangi e sfoghi il tuo dolor;
perché nato sì meschino
sei in dicembre senza fasce ?
Nudo tremi, o poverino
come al vento esposto fior.
Vuoi tu vesti ? Te le dono,
vuoi per letto il mio guanciale ?
Tu sì bello, tu sì buono
spasimar non déi così.
E la Vergine benedetta
per te anch’essa soffre e tace,
San Giuseppe muto aspetta
quanto il cor gli presagì.
Dì a quegl’Angeli, o Possente,
che ti rechino una reggia;
là i tuoi sonni d’innocente
potrai placido dormir.
No ! Mi dici, il mio destino
qua mi chiama a tribolar
e incomincio da bambino
a mostrar che so ubbidir.
Tu così m’insegni, o Dio
ad agir con sommissione:
non temer Fanciullo mio
sarò buono e tutto amor.
Benedicimi frattanto,
e accogli questo bacio
che a te puro, bello e santo
offre il povero mio cor.
146 A GESU’ CHE PIANGE
Caro bambino
Oh! Perché mai
piangi ? Che hai ?
Figlio divino
signore del cielo
tu soffri il gelo.
Hai per tuo letto
un po’ di fieno
di stecchi pieno.
E hai per tetto
caverna oscura
che fa paura.
Pur, benché povero
Bambino mio caro
non vuoi denaro;
non vuoi delizie
non vuoi piaceri
regni ed imperi.
Ma solo agli uomini
domandi il cuore
domandi amore.
Amor domandano
quei begli occhietti
brillanti e schietti.
Amor l’amabile
mesto sorriso
che abbella il viso.
Amor la lacrima
che imperla il ciglio
del divin Figlio.
Basta, dolcissimo
mio Salvatore
eccoti il cuore !
148 IL CARNEVALE DELLA GOLA
Viva, viva il buon Natale
della gola il carnevale,
che di chicche, di torroni
di spugnosi panettoni
viene a rendere beati
vecchi e giovani palati !
Viva, viva il buon natale
della gola il carnevale !
Suvvia, mamma ! I nostri denti
di lavor sono impazienti;
porta in tavola i tesori,
sciogli il freno ai nostri ardori.
E faremo ai dolci in breve,
ciò che fa il sol, fa con la neve.
Viva, viva il buon Natale
della gola il carnevale !
Ma sappiamo che in questo giorno
molti bimbi vanno attorno
scalzi, laceri, mendichi,
senza il pan che li nutrichi,
senza un bacio, né un sorriso
senza il nostro paradiso;
e direm che il buon Natale
della gola è il carnevale ?
Oh con cuore di fratelli
soccorriamo i tapinelli !
Anche ad essi un giorno almeno
rida il cielo più sereno;
sia per essi il buon natale
della gola il carnevale !
(G. Soli)
149 NATALE
Viene stanotte, viene !
Vien rapido, fiorito, silenzioso
mentre le testoline, dai ricci biondi o scuri
sopra i bianchi guanciali, nel placido riposo
sognan trombe, tamburi.
Fende la neve, come
nave che rompa l’urto delle ondate;
corre in un turbinìo, bianco, fitto, leggero.
Ma chi dei bimbi buoni le case gli ha insegnate
io non lo so davvero !
E’ lunga, larga, fonda
la slitta ove si stan pigiate e strette
le bambole e le trombe. Appesi intorno intorno
i tamburelli, chiotti, non muovon le bacchette
finché non si fa giorno.
Né squillo né rullio
s’ode nel gran silenzio de la neve,
mentre su per il tetto, poi giù per il camino
sale, scende, si posa, rapidissimo, lieve,
come uccellino.
E le appese calzette
di dolci e di balocchi rimpinzate,
e i pattini lucenti disposti in simmetria,
e le bambole bionde sul tappeto posate,
sguscia dal letto, e via !
Né squillo né rullio
s’ode nel gran silenzio tutto bianco,
mentre che egli galoppa, da oriente a occidente,
e delle giottornie, benché affamato e stanco
non tocca niente.
Mangerà le briciole,
del pranzo dei bambini, il buon Vecchietto.
Oh figlioli, figlioli, non c’è niente di male,
se sapete chi è, ad abbracciarlo stretto.
(C. Del Soldato)
150 GIOVANNINO
Io sono un pastorello,
venuto da quel monte,
m’era nato un bell’agnello
bianco, co’ ‘na stella in fronte.
In collo me lo presi,
ché non potéa star ritto,
e a null’altro attesi
che a guardarlo me starmi zitto.
Lo tenevo nella capanna,
e gli cantavo la ninna nanna.
Stamani all’alba appena
mi sveglio e non lo trovo.
Oh, mamma mia che pena
dentro al mio cor che provo.
Ed ecco babbo: “Sai,
mi dice, figlio mio
l’agnel te lo levai
per darlo in dono a Dio..
Un Bambinello è nato nelle grotte
di Bethlemme, stanotte a mezzanotte.
Non pianger vieni qua,
vedrai tra qualche giorno
un altro agnello nascerà
e forse in fronte con due stelle adorno”.
Mi precipito alle grotte
per cercar l’agnello,
ed anche se era notte
corro a rompicollo.
Nella grotta vedo un bambinello,
che tremava dal freddo poverino,
scaldato dal bue e l’asinello
e dal mio caro agnellino.
Il Bambinello mi capisce, ride e tace,
mi ridà l’agnellino a siamo in pace.
Alla sua mamma chiedo se mi ci fa parlare,
perché a casa mia lo vorrei portare.
Io mi chiamo Giovanni,
son figlio di un pastore,
ho finito cinque anni,
ti voglio bene, e t’amo tanto, o amore.
Tieni pure l’agnello,
o mio caro fratellino, dormi e sogna tranquillo
ch’io mi metto a te vicino.
151 IL PRESEPE
Eccheme qua che mo’
signori eccheme qua ,
vedete che me stòo
‘gni annu de nata ?
Vinìa quasci pioenne
quanno scappò de fora
e so’ cursu credenne
che non facesse a ora.
E po’ co’ ‘ste spadacce,
credeteme ‘mparola
adè robba da facce
pure che capriola.
Ma quanno te so’ visto
che co’ lu Bambinellu
solamente ci scì misto
lu bove e l’asinellu;
vedenno che so’ statu,
co’ lo vinì quajiò,
scì bene trascuratu
m’è dispiaciuto mpo’.
Daero: io me ne murìo
quest’anno de vedellu
lu presepiu e cridìo
che fosse mpo’ piùbellu;
‘mmece che te vedo,
quattro o cinque margutti
lu vo’ e lu somarellu,
l’atri ce manca tutti.
Ma pe’ divve comme adè
‘sta gran peripezia
daete da sapé
che quanno se pacìa
la gara de poesia
nsé troava più bellu
più poeta animale
fora dell’asinellu !
Li poeti recitava ?
Oh |! Non c’era reparu
sempre jé sse scappava
du’ versi pe’ lu somaru.
A sintì le vecchie
adè u n bravu tenore
e pare che ciaca le recchie
porbio da professore.
E quanno se lodava
cuscì quillu marguttu
ce sse spacconegghiava
e se rleccava tuttu.
Ma quanno che tt’è stato
quest’anno li pastori,
credo che ha protestato
e non è scappati fori.
Quillu pori impresariu
che avìa su ‘na coperta
dipintu lu scenariu
rimase a bocca aperta.
E li sgrizzi dell’acqua,
li fiumi co’ lu ponte
le grotte e li castelli
jié se n’è ghiti a monte.
E per questo non se vede
le pecore in campagna,
e per questo non se vede
le pecore che magna.
Don Lavì miu, ma dimmolo,
che d’è ‘sta porcheria ?
Se cce mittìi più pecore
dimme che jié facìa ?
Oh ! O forse ce pansavi
de fa ‘na grossa rimessa
se loco ce mittivi
pupi de cartapesta ?
Piuttosto lu somaru
perché ce li scì mistu ?
M’ha ci-ha fatto mpo’ rabbia
quanno che lo so’ vistu !
E vero che nu’ scimo
de la stessa sua famiglia,
e quillu llà vicino
porbio me ‘ssomiglia.
Però io so’ gelosu
de llu postu llà
e se cce sse mette l’usu
chi me lu po’ leà ?
Don Lavì me rraccommanno
quillu è lu postu mia,
lascialu a me quest’anno
se nnò me vaco via !
152 DIALOGO (per finire)
(Luca e Matteo)
LUCA Su, incomincia !
MATTEO Incominciamo !
LUCA Non vorrei…. Non ci inganniamo ?
Tocca a te per primo…. mi pare.
MATTEO Io, per dirla francamente
non ricordo più niente.
LUCA Io neppure. Oh ! Bella questa !
Testa mia, apriti testa !
MATTEO La matassa qui si imbroglia.
LUCA Già è imbrogliata bene, hai voglia !
Di sì gran confusione
sai tu rendermi ragione ?
MATTEO Un momento ! A me ritorna
qualche cosa alla memoria.
Di un bel bue, delle sue corna,
io dovéa narrar la storia.
LUCA Non sai altro ? A questo punto
anche io ci ho il mio racconto.
Io dell’asino dovéa ragionar,
ne ho chiara idea;
parti proprie ad ambedue
a me l’asino a te il bue.
MATTEO Ma il resto, dimmi, te lo ricordi ?
LUCA Oh ! No!
MATTEO Io non so spiegarmi questo !
LUCA Io per me lo spiego presto.
La vigilia di Natale,
fu l’inizio del mio male.
Di mangiare io solito era
uno strombo in quella sera;
ma quest’anno, mio diletto
caro strombo, ancor t’aspetto !
Da quel punto il mio cervello
non è stato mai più quello.
MATTEO Per uno strombo, tanto male ?
LUCA Eh ! Lo strombo ha tanto sale;
e di sale, mi hanno detto
ne ho un bisogno benedetto !
MATTEO Io lo strombo non accuso,
ma il fatto è che son confuso,
e che del lungo complimento
non ricordo più un accento.
Che si fa ?
LUCA Lo chiedo anch’io !
La risposta è molto oscura.
MATTEO Ho paura, amico mio,
di tornar fra la brigata
dopo simile figura:
sentirai se che fischiata !
LUCA Siamo belli e compromessi
io li vedo già a me intorno
fischiar tutti come ossessi.
Oh ! Che scandalo ! Oh ! Che scorno !
MATTEO C’è un rimedio, uno soltanto.
LUCA Di rivolgersi a qualche Santo !
MATTEO Di restare qui vicino
alla culla del bambino.
Sfuggiremo a tutti i rischi,
alla critica ed ai fischi.
LUCA Stando qui, guai a chi ci tocca !
MATTEO Guai a chi muove sol la bocca !
Abbiam qui tanti fratelli,
bove, asino ed agnelli;
abbiamo anche i pastori
che saran nostri difensori;
tutti contro ad ogni offesa
ci saran scudo e difesa.
153 PROLOGO
Come vedete, o nobili
Signori, io son venuto
anche quest’anno, a darvi
il primo mio saluto.
Anche quest’anno in cui
volle il nostro impresario
far qualcosa di splendido
e di straordinario.
Per recitare il prologo
egli ha scelto me,
giacché un protagonista
miglior di me non c’è !
A me con quella parte
che m’hanno messo in mano
fioccano lodi e applausi
proprio in modo strano.
Il solo presentarmi
quassù, senza dir niente
meriterebbe certo
l’applauso della gente.
Del resto in tutti i luoghi
nei quali ho recitato
quando non m’han fischiato
io sempre fui bissato.
Anche negli studi
talvolta con gli allori,
talvolta col ripetere
mi premiaron i professori.
Ed ora a moi: l’assunto
non era certamente
di tesser la mia storia
senza concluder niente.
Ciò mi accade spessissimo,
anzi son casi strani
ch’io puntuale svolga
quel tema che ho tra le mani.
Ma l’impresario sempre,
con me buono e indulgente,
non uscì mai in rimproveri
e non dissemi mai niente.
E se fo male in questa
festa straordinaria,
sarò costretto a chiedere
l’indulgenza plenaria.
Dunque quando in principio
l’impresario ci disse
d’una accademia prossima
tanto si lavorò e si scrisse.
Ed i nostri poeti,
fu proprio in questo caso,
che a destar si accinsero
le Muse del Parnaso.
Scuotendo dalla polvere
i lor vecchi strumenti,
tutta d’intorno l’aria
riempiron di lamenti.
Tutti all’opera si accinsero,
con slancio sublime,
in testa ad ognun danzarono
versi soavi e rime.
Chi fece endecasillabi
chi versi settenari,
chi asclepiadei, chi distici
chi cantò in metri vari.
Fu una vera farragine
di versi e di poesie,
che in sostanza non erano
se non castronerie.
E che dirò dei musici ?
Signori miei cortesi,
voi stessi giudicateli
quando li avrete intesi.
Le voci sono orribili
aspre oltremodo e roche
e se non mi sbaglio simili
a quelle delle foche.
A dir il ver di musica
io poco me ne intendo
perché ci ho rotti i timpani
ed ho un vocion tremendo.
Anche una musica armoniosa
quando a lungo troppo dura
può risultar noiosa
e non gradita dalla suocera.
Ecco toccato il termine
del bello parlar mio
quindi, ora, o compagni, musica !
Cari Signori, addio !
154 DIALOGO DI RINGRAZIAMENTO
(tra Nicò e Filì)
NICO’ Dopo tante lungaggini
alfin posso annunciare
che è finita la musica,
finito il poetare.
In coda a tante chiacchiere,
mi è parso, ed a ragione ,
donarvi ancora un’ultima
breve conclusione.
Giacché io appartengo ai musici
io vi ringrazio tanto
dei calorosi applausi
che avete fatto al canto.
FILI’ Ed io, dei poeti interprete
che cosa mai vi dico ?
Che furon ciarle inutili ?
E’ un detto troppo antico.
Che colpa abbiam, se vengono
i versi tanto brutti ?
Son quei casi che accadono,
ai bravi, bestie, a tutti.
NICO’ Compagno mio è un miracolo
di esserti infine accorto
che il plauso del pubblico
te l’hai succhiato a torto.
FILI’ E tu sei tanto stupido,
da credere a chius’occhi
che quella vostra musica
fosse proprio fatta co’ li fiocchi ?
NICO’ Non te ne intendi, scusami,
se tu non sei orecchiante,
criticando noi musici
ti dimostri un ignorante.
FILI’ Fu pessima la musica !
NICO’ Peggio la poesia !
FILI’ I versi eran bellissimi !
NICO’ Ma guarda che pazzia
FILI’ Senti, furono inutili,
non son piaciuti affatto
quegli squarci di musica
che ora ci avete fatto.
NICO’ E’ stato pure inutile
che quassù tanti e tanti
son saliti a leggere
i lor lagnosi canti.
FILI’ Eppur vorrei che il pubblico
sciogliesse la questione
dicendo a tal proposito
di noi due chi ha ragione.
E’ certo che guardandovi
in faccia sull’istante
si capisce non esservi
fra voi nessun cantante.
Adunque confessiamolo
che nulla ebbe di buono
quest’Accademia: e il pubblico
ce ne darà il perdono.
NICO’ Codesto tuo rimprovero
mi pare fatto a torto,
per me ci sono cause
che mi danno buon conforto.
Della nostra Accademia
lo scopo è stato bello,
non oserà negarcelo
che chi non ha cervello.
Era della nostr’anima
il filiale affetto;
era un ardente palpito
che ci scaldava il petto.
Era pel divo Pargolo
un caldo e santo amore
che in questo giorno fausto
ci si agitava in core.
FILI’ Sì, certo, e il dico Pargolo
che dalle eteree soglie
ci benedice, e i cantici
che gli offriam, accoglie.
NICO’ Compagno mio finiamola
nulla più a dir ci resta,
a me tutte queste chiacchiere
confuso ha un po’ la testa.
Quindi ringrazia il pubblico
ancora a nome mio.
Io me la spiccio subito
dicendo a tutti: “Addio !”
FILI’ Signori eccellentissimi,
m’accorgo dai vostri sguardi,
che proprio non volendolo,
abbiamo fatto tardi.
Vi lascio promettendovi
che nell’anno venturo
dell’Accademia l’esito
miglior sarà, è sicuro.
Benché i pensieri tumultino,
nel mio cervel a frotte,
finisco le mie chiacchiere
col dirvi: “Buona Notte !”