CAMPOFILONE notizie storiche di Fabrizio Marcucci

CAMPOFILONE di Fabrizio Marcucci

Campofilone è uno di quei turriti diademi che impreziosiscono la bella natura Picena, selvaggiamente verde e boscosa, con splendidi scorci sulla vallata dell’Aso e sul mare.

Giulio Amadio, nella sua Toponomastica Marchigiana, ne farebbe risalire il nome a un possesso o stabilimento di Tintori o lavandai di sicura età liburnica.  Il Palma, invece, nota come i nomi composti siano di derivazione familiare e Campofilone, nell’Alto Medioevo Campus Fullonis, si denota come appellativo di estrazione germanica proprio nel nome della persona di “Follano-Fullonu”.

Dai reperti archeologici rinvenuti sul territorio possiamo indicare una presenza Picena già nel VI-VII secolo a.C.; in seguito poi, tra gli anni 269-268 a.C., il territorio fu occupato dai Romani e trasformato in Ager Romanus. E’ dell’ultimo periodo repubblicano la strada Consolare Adriatica che, passando per Campofilone, collegava Cupra a Fermo. La stessa, in vista del promontorio di Pedaso, saliva infatti a Campofilone per poi ridiscendere all’Aso con il tratto detto Monterubbianese.

Una seconda opera di epoca imperiale sbuca dal terreno a circa m.300 in linea d’aria dal paese. Trattasi di un edificio di m. 12,30 x 6,36 formato da due cisterne idriche a pianta rettangolare, aventi le misure interne di m. 10,75 × 2,23; l’altezza di m. 4, lo spessore del muro divisorio di m. 0,56 e perimetrale di m. 0,75.

All’interno il soffitto è costituito da due volte a botte, mentre all’esterno la struttura, costruita con calce pozzolana e pietrame (opus cementicium), presenta un tetto piatto con aperture quadrate di circa m. 0,80 × 0,80 disposte al centro delle volte. Queste aperture avevano la funzione di aerare le cisterne e permetterne la loro ispezione e pulitura. Non c’è traccia d’intonaco (opus signinum) usato per gli impermeabilizzazione; mentre, sempre all’interno, si notano due aperture fra una cisterna e l’altra.

Sul lato sud, una terza apertura mette in comunicazione una cisterna con l’esterno; probabilmente la stessa è stata allargata in periodi abbastanza recenti per permetterne il passaggio e il ricovero di persone e cose. La funzione di cisterne proseguì anche nelle epoche successive come dimostrato dal discreto stato di conservazione della struttura e dai rinvenimenti numismatici sul terreno circostante (monete imperiali e del basso impero).

Quasi sicuramente nelle vicinanze sorgeva una villa romana e un tempio pagano (sito dell’attuale abbazia), come dimostrano alcuni reperti archeologici di epoca imperiale (capitello e testa in pietra) tuttora conservati nella casa parrocchiale. Inoltre, nel cortile interno dell’abbazia, ancor oggi si può osservare una cisterna romana in ottimo stato di conservazione, cui si accede tramite una struttura cilindrica esterna a forma di pozzo.

Nel corso dei secoli poi, la villa si trasformò in  curtis, quindi in abbazia fortificata. Nel XI secolo, infatti, si registrano, nel Comitato Fermano, donazioni in favore di vecchie e nuove abbazie. Erano tempi in cui le mire espansionistiche dell’abbate di Farfa, nonché le rivendicazioni territoriali del vescovo di Fermo, creavano non pochi timori nella nobiltà del tempo.

Paventando di perdere i propri beni, molti feudatari, mossi anche da un ritrovato fervore religioso, sotto la spinta evangelizzatrice di S. Romualdo e S. Pier Damiani, fecero donazioni ed edificarono monasteri. Il monastero, quindi, diveniva la casa spirituale del feudatario; il centro dove lo stesso poteva tramandare il possesso nella figura dell’abbate. Anche nell’abbazia di San Bartolomeo, sull’onda di questo rinnovamento, nasceva come struttura privata (Eigenkloster) (1), con propri beni e leggi, governata dall’abbate e protetta dalla Santa Chiesa di Roma.

È del 1066 il documento più antico di Campofilone, che fa parte di una serie di documenti del codice 1030 del Comune di Fermo (2). Si registra in tale atto giuridico che un certo Trasmondo, detto Bambo, abbia ceduto al vescovo di Fermo Ulderico e all’abbate di San Bartolomeo Libertino alcune terre lungo il Tesino, ricevendone in cambio altre in località Isola presso il fiume Aso.

Nel 1159 un privilegio (3) di Alessandro III, seguito poi nel 1188 da uno (4) di Clemente III, ponevano la nostra abbazia prima alle dipendenze di Montecassino e poi a quelle del monastero di San Nicolò a Tordino (Teramo). Sempre del XII secolo sono altri due documenti contenuti nel codice 1030. Nel primo (5), del 1178, si elencano gli obblighi dovuti alla Chiesa Fermana da gastaldi, pievani, visconti e monasteri, incluso quello di San Bartolomeo in Campofilone. Nel secondo (6) del 29 maggio 1199, Maria, figlia del fu conte Rinaldo, dispone con testamento che vengano date alla chiesa di Campofilone tre libbre di Lucchesi.

Il 25 luglio 1208 una bolla di Innocenzo III, seguita poi un privilegio di Onorio III, colloca le dipendenze di Montecassino direttamente sotto l’autorità della Santa Sede (7). Durante la Decima triennale del 1290/’ 92, imposta da Nicolò IV ai territori della Marca Anconetana, l’abbazia di San Bartolomeo versava al collettore della diocesi di Fermo la cospicua somma di 50 libbre ravennati e 58 soldi (8). Nella Decima dell’anno 1299, imposta da Bonifacio VIII alla Marca Anconetana, la stessa abbazia versa la somma di 15 libbre ravennati (9).

Il 29 ottobre 1343, ad Avignone, Clemente VI elegge Giacomo di Guglielmo ad abbate di San Bartolomeo in Campofilone, e il 26 novembre 1349 lo stesso Papa elegge ad abbate Giovanni di Morano (10).

Col secolo XV inizia per il ricco monastero il periodo della quasi ordinaria riserva apostolica e della conseguente assegnazione del beneficio e dell’amministrazione badiale  “in commendam”. Il primo ad assumerla fu Giacomo “De Milioratis(11). Il 20 giugno 1428 l’abbate commendatario Gabriele, assieme al monaco Matteo di detto monastero, costituiscono due procuratori per la causa contro gli eredi di Paolino di Francesco, già abbate di Campofilone e nativo di Santa Vittoria (12).

Più tardi una bolla di Eugenio IV ci dà notizia della presenza di un ispettore a San Bartolomeo mandato dallo stesso Papa, che nel 1435 unisce il nostro monastero quello di “S. Angeli in Plano prope civitatem Firmi”.

Nel 1437 documenti vaticani riportano un tal “Praefectus Bartholomeus” e pochi anni dopo l’abbazia diviene appannaggio della famiglia Capranica. Il primo ad assumerne la commenda fu il cardinal Domenico (1455-1456). (13). Nel 1457 è abbate commendatario suo fratello Gerolamo e nel 1478 suo zio Angelo (14). Il 27 luglio 1478, Sisto IV, in seguito alla morte del cardinale Angelo, elegge Giovanni Battista Capranica quale commendatario di San Bartolomeo (15), e il 20 agosto Maurizio Capranica (16).

Infine nel 1493 troviamo come commendatario di San Bartolomeo il Camaldolese Romualdo di Rota (17). Nel prosieguo del secolo la commenda sarà esclusivo appannaggio della famiglia Torelli-Piccolomini di Cupramontana (18).

Il 10 giugno 1573 mons. Maremonti, nella sua visita apostolica, descrive l’interno della chiesa facendone un parziale inventario. La chiesa, comprensiva dello spazio riservato all’abside, aveva una lunghezza di m. 26 e una larghezza, con la torre campanaria, di m. 16. Aveva due ingressi principali: il maggiore di m. 2 e il minore di m. 1,80. Il tetto poggiava su capriate di legno di quercia che si inserivano, con l’asse trasversale, su due muri laterali e su un terzo centrale a tre archi.

Subito sotto il tetto esili lesene percorrevano l’intero perimetro esterno, con la funzione di decorare e alleggerire l’intera struttura. La torre campanaria misurava m. 4 × 4 circa e, all’interno, una scala in legno saliva fino alle due campane riparate da un tetto basso e tozzo. Detta torre, in piedi ancora oggi, si può osservare sul lato nord, mozza alla sommità, interamente costruita in conci di marmo, che fa struttura unica con le mura castellane. All’interno la chiesa era piuttosto bassa e le tre arcate del muro centrale la dividevano in due navate di m. 7 e m. 5.

Il convento con accesso a ponente, “ha un corridore (=corridoio) e nel lato di mezzogiorno ha cinque vani due de’ quali per canali di materiale da pestare le uve, uno per caldaro da c(u)ocer mosto e due per legnare. Nel lato di Levante ha tre vani per cantina, e nel lato di tramontana ha un piccolo cortile con due vani, pozzo d’acqua pluviale e scala, che ascende al piano superiore. Detto piano contiene dieci stanze, cioè: quattro ad uso di granaro, cinque per comodo di abitazione, e di una per cucina” (19).

Nel XVII secolo, e precisamente dal 1628 al 1694, la commenda è affidata a quattro prelati della famiglia Azzolino di Fermo. Il più illustre fu senza dubbio il cardinal Decio il Giovane, che nel 1672 fece restaurare dalle fondamenta la chiesa abbaziale di San Bartolomeo (20).

Nel 1806 tutti i beni abbaziali vengono demaniati. Era in quel tempo commendatario di San Bartolomeo l’abbate Modestino Pellicani, investito del titolo fin dall’anno 1796. Gli stessi beni, venduti poi per poche lire ai signori Felici di Campofilone, durante il Governo Napoleonico, tornarono all’abbazia nel successivo Governo Pontificio (1820).

Nel 1843, alla morte dell’ottuagenario abbate Pellicani, l’abbazia viene distrutta, per essere ricostruita nello spazio di circa nove anni. La nuova abbazia, di squisito gusto neoclassico, è formata dalla chiesa e dalla residenza parrocchiale, entrambe decorate ed affrescate dal Fontana e dall’Achilli. La chiesa a tre navate fu consacrata nel 1850 e ultimata, nei decori e negli affreschi, alla fine dello stesso secolo. Oggi, un po’ malandata, rimane il centro dell’interesse turistico di Campofilone controllando sovrana la valle e il mare.

Dell’XI secolo è anche il muro di cinta in conci di pietra che raccoglieva il nucleo storico di Campofilone, quello dell’attuale abbazia, sviluppatosi poi nei secoli XII-XIII-XIV lungo il crinale in direzione ovest-est. Gli ingressi al castello erano due: Porta del Sole,  a metà della circonvallazione meridionale, e Porta Boreale, alla metà circa di quella settentrionale (21). Due torrioni massicci e merlati dominavano, uno a ponente e l’altro a levante. A sud il castello era protetto da una seconda muraglia, osservabile ancora oggi nella zona delle Casette (ruderi merlati).

Nella prima metà delle XIII secolo, sotto l’egida badiale, Campofilone viene eletto a libero Comune. Il connubio è ricordato nello stemma, dove un leone simboleggia l’autorità comunale, i tre monti in campo azzurro l’ordine religioso dei Benedettini, infine la spada, il potere comunale nell’amministrare la giustizia, anche quella capitale. In questo secolo e nei secoli successivi, Campofilone sarà più volte sottoposta a Fermo, fatta eccezione per l’abbazia che sarà sempre sotto l’autorità della Santa Sede.

Nel codice 1030 di Fermo sono riportati alcuni documenti riguardanti il possesso di Campofilone da parte del vescovo di Fermo.

Febbraio 1221 – Nella controversia col marchese di Ancona, Azzo d’Este, il vescovo di Fermo Pietro ottiene numerosi castelli, compreso quello di Campofilone.

-Ripatransone 16 febbraio 1238Filippo, vescovo di Fermo, nomina il maestro Raniero suo vicario e balivo nei castelli di Campofilone e Marano (Cupramarittima) con facoltà di esigere tributi e di amministrare giustizia.

-Pergamena dell’archivio di Stato di Fermo anno 1309La città di Iadra (Zara) in Dalmazia mandò a Fermo un suo rappresentante per ricordare  al podestà i patti di amicizia precedentemente stipulati tra le due città. La visita, motivata da precedenti fatti di sangue tra i Campofilonesi e gli abitanti di Zara, aveva lo scopo di portare i Campofilonesi rei, in giudizio con il beneplacito di Fermo (22).

-Pergamena dell’archivio di Stato di Fermo anno 1342 – Campofilone e i suoi abitanti passano sotto il dominio della città di Fermo. Era allora sindaco di Campofilone Dazio Rossi Calvucci che per la sua fedeltà a Fermo ne ottenne la cittadinanza (23).

Nei secoli XIV, XV e XVI si ha lo sviluppo urbano di Campofilone, con case a due piani, archi, ponti e strette viuzze che dalle due Porte del castello salgono su fino all’abbazia .

Il primo edificio comunale di cui si ha memoria, fu fatto erigere dal concittadino Giustiniano Tinti nel 1577: una struttura di squisito gusto rinascimentale, con tre orologi e due campanili; fu abbattuto negli anni ’60.

Nel 1576 papa Gregorio XIII restituisce alla città di Fermo i diritti, la giurisdizione dei privilegi su Campofilone e Torre di Palma, tolti da papa Pio V.

Nello stesso anno, in un documento dell’Archivio Segreto Vaticano, si ha notizia di un molo in località Petrù (Tre Camini), dove il Comune esigeva una tassa per l’approdo e il controllo dei naviganti.

Sempre nell’Archivio Vaticano sono poi contenute alcune lettere o epistole (1580-1593) in cui la Santa Sede, nella persona dell’abbate commendatario di San Bartolomeo, e il Comune, nella persona del notaio Giustiniano Tinti, sollecita una ristrutturazione e in parte la ricostruzione delle mura castellane, testimoni di assalti e cannoneggiamenti verificatisi nei secoli precedenti.

Sotto il Governo Napoleonico, tra gli anni 1806-1811, furono ampliate le strade di grande comunicazione e costruiti ponti in terra lungo la costa Adriatica (Ponte Nina e Tre Camini).

Il riassetto strutturale del castello, dentro e fuori le mura, si avrà invece tra gli anni 1929-’30; fu allora che Porta da Sole, trovandosi sul percorso della nuova circonvallazione sud, venne abbattuta.

Fabrizio Marcucci

(1)    Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana, Wilhelm Kurze pagg. 57-58.

(2)    Liber Iurium, Codice 1030 dell’Archivio Storico Comunale di Fermo a cura di Delio Pacini. Doc.n.95 pagg. 197-198-199-200,  Fermo, marzo 1066. Da ora in poi Cod. 1030

(3)    E. Gattula, Historia Abbatie Cassinensis, Venetiis MDCCXXXIII, Tomo I, pagg. 338-339. Da ora in poi E. Gattula.

(4)    E. Gattula, Tomo I pag. 200.

(5)    Cod. 1030, Tomo I n. 30 pagg. 53-54-55. Il documento è senza data, il Vogel annotò che si potrebbe riferire all’anno 1178, quando, dopo la distruzione della città di Fermo, furono ricercati i diritti e doveri della città fermana, saccheggiata dalle truppe imperiali di  Cristiano di Magonza.

(6)    Cod. 1030 Tomo III a cura di Ugo Paoli n.413 pagg. 728-729.

(7)    La terra di San Atto, Gabriele Di Cesare, 1979; pag. 140.

(8)    Rationes Decimarum Italiae nei secoli XII e XIII. Marchia, a cura di Pietro Sella. Città del Vaticano 1950, pag. 481, da ora in poi Rationes n. 5815 pag. 490; n. 5754 pag. 487; n. 6675 pag. 521; n. 6782 pag. 526; n. 6845 pag. 528; n.6897 pag. 541; n. 7032 pag. 537; n. 7212 pag. 545.

(9)   Rationes n. 7221 pag. 547.

(10) Umberto Cameli , Il monastero di San Bartolomeo(de Campo Fullonum) e i prelati di casa Capranica. Estratto da “Studia Picena”, Fano 1935 pag.14. (Doc.II ,  Ep. . Reg. Vat. 188 g. 68).

(11) U. Cameli, pag.5.

(12) Pergamena di Santa Vittoria, pagg. 686-687. Archivio Capitolare di Santa Vittoria elenco del Pennesi.

(13) U. Cameli, pag. 18, Doc. V Reg. Vat. 442 pag. 50; Doc.VI Reg. Vat: 441 pag.1.

(14) U. Cameli, pag.23, Doc.8 (Obl. Et. Sol. 83; pag.82).

(15) U. Cameli, pag.23, Doc.VIII.

(16) U. Cameli, pag.23 (Obl. Et. Sol. 84,31).

(17) U. Cameli, pag.24 (Obl.et. Sol. 89 pag.55).

(18) Abbazia di San Bartolomeo. Sala degli Stemmi.

(19) Archivio di Stato di Roma Comunale III, Campofilone, b. 491.

(20) Abbazia di San Bartolomeo. Sala degli Stemmi.

(21) Porta Marina è stata  realizzata nella prima metà dell’Ottocento ristrutturando e modificando il vecchio Torrione ad est.  Fino al 1816 era ancora il vecchio macello (part.44 mappale 1815). Successivamente, l’apertura di un varco ed il riempimento del fossato, ne hanno fatto Porta Marina, oggi l’ingresso principale al centro storico.

(22) Biblioteca comunale di Fermo: Manoscritto di Giuseppe Porti, Memorie istoriche della città di Fermo, Tomo I, pag.181 4fr/138 B/VIII. La pergamena numerata dall’Hubart n. 1236 reca gli accordi di Fermo con Zara in data 14 aprile 1309. Altra pergamena Hubart n. 1322 dello stesso anno 1309, reca la pacificazione dopo un omicidio causato da uno di Campofilone.

(23) Cfr. manoscritto PORTI, Tomo I, pag.199. Ci sono a Fermo altre pergamene riguardanti Campofione:  anno 1342 in Hubart  ai numeri 1555, 1556, 1557, 1558, 1559; anno 1460 la decisione fermana per una lite su terreni all’Aso tra l’abate di Campofilone e una famiglia del luogo num. 40; anno 1489 Innocenzo VIII ordinava a Fermo che il fruttato abbaziale andasse ai Capranica  num. 1423; anno 1489 Alessandro VI nomina il nuovo parroco a S. Bartolomeo di Campofilone e a San Marco in Servigliano  numm. 1519 e 1521; anno 1573 Gregorio XIII riafferma il Governo Fermana  num. 1554; anno 1606 Processo presso la Curia generale della Marca a Macerta per la vertenza tra il governo Fermano e sette castelli tra cui Campofilone  num. 1742.

Testo di MARCUCCI Fabrizio

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