BELMONTE PICENO turistico, storico, artistico, economico
Gentile persona che leggi queste notizie su Belmonte, abbi pazienza, perché non è facile riferire in breve la variegata realtà belmontese. Il suo patrimonio di storia e di arte richiederebbe un volume ampio con documenti e foto. Per ora ci limitiamo ad alcune note di architettura e di altre arti, accompagnando il visitatore, che ha voglia di esplorare le testimonianze culturali della comunità belmontese, per rendersi conto dell’importanza e del valore delle cose che ci circondano. Il nome Belmonte indica bellezza e forma del territorio, insieme suggerisce di fruire delle potenzialità che migliorano la qualità della vita sociale e nei percorsi di piazze, vie, e spazi naturali, apprezzare le bellezze che rigenerano la nostra cultura. Ci rallegriamo con la gioventù che procede con la consapevolezza delle realtà attuali verso un futuro solidale.
POSIZIONE. La suggestiva posizione belmontese offre ampie vedute della vallata del fiume Tenna, a nord, e la valle del fiume Ete a sud. Belmonte confina con Servigliano, Falerone, Montegiorgio, Fermo, Grottazzolina, Montottone, Monsampietro Morico e Monteleone di Fermo. Le vette dei monti Sibillini, negli Appennini, ad ovest, e il litorale del mare Adriatico ad est, danno una posizione mediana alle dolci colline belmontesi che distano 27 chilometri di strada per Porto San Giorgio e quasi altrettanti per Amandola. L’aria pura, il clima temperato mite, la tranquillità dei luoghi, l’aperto panorama dai monti al mare, donano serenità a questo territorio dove gli amanti della natura e dell’aria aperta possono passeggiare nei percorsi escursionistici. Alle bellezze paesaggistiche è unita la millenaria cultura popolare testimoniata dal patrimonio monumentale, artistico e culturale che manifesta le sue più alte espressioni nelle Chiese.
INSEDIAMENTO. Belmonte è una cittadina della provincia di Fermo; nell’anno 2012 contava 649 abitanti, su una superficie di Kmq 10,53, con una densità media di 61,6 ab/kmq. Il centro storico urbano a 312 metri di quota sul livello del mare non è il punto più alto, dato che il colle del cimitero è a quota 328. L’insediamento abitativo si è venuto sviluppando lungo la strada detta Fermana, che giungeva a Fermo, percorrendo le colline dell’entroterra. Riferiamo appena i nomi di alcune contrade storiche come Capranica (Braganica), Sant’Anna, Fontegranne, San Simone, San Prospero, San Cataldo, Ete, Tenna, Castell’arso, Colle.
TRACCE STORICHE. Un’antichissima presenza umana è testimoniata dai molti reperti archeologici. I primi insediamenti esplorati risalgono a nove secoli prima della nascita di Cristo, per cui si dice che Belmonte è antico, anche se l’attuale nome è medioevale. Le epigrafi picene hanno il nome di un signore chiamato Apunis .
Le costruzioni edilizie sono testimonianze della sua storia urbana e rurale documentata dal secolo X, accresciuta poi nei molti secoli successivi con nuovi edifici, lungo i versanti collinari. Gli stili di periodi diversi convivono in una complessa stratigrafia che ha tappe creative nel corso dei secoli come il romanico, il gotico, il classicheggiante, il barocco, il neoclassico, il liberty. La forma del centro storico è ellittica, con strada di circonvallazione dotata di ampi spazi nei due poli est ed ovest, all’entrata ed all’uscita.
ORIGINI PICENE. Antiche e nobili sono le origini picene e romane di Belmonte, come testimoniano le epigrafi. Nel pendio assolato a sud del Colle (cimitero) nel secolo IX avanti Cristo, sorsero i primi edifici di forma circolare, costruiti dai Piceni, come narrato dal prof. Silvestro Baglioni nelle Notizie degli Scavi (1901) e nell’opuscolo “La Necropoli di Belmonte Piceno”. Negli scavi archeologici di circa trecento tombe si sono rinvenuti moltissimi oggetti da riempirne le stanze del Museo Nazionale di Ancona. Al Museo Civico di Bologna fu portata nel 1906 una grande stele alta m.2,10 a forma di torso umano ritrovata a Belmonte sopra un sepolcro, con lunga epigrafe. Nelle tombe femminili si notarono ornamenti personali in ambra, osso e in bronzo, come monili, vasetti, fibule, collane, orecchini, torques, bracciali e pendagli. Nelle tombe maschili elmi, schinieri, vasi, carri e oggetti d’uso quotidiano.
VENNERO I ROMANI. Nell’anno 268 a.C. i Piceni furono sottomessi dai Romani, i quali svilupparono i loro insediamenti di “ville” in siti pianeggianti. Tra i resti delle costruzioni romane antiche ci sono i muri con nicchie di monumenti funebri in località Morrecini, nei pressi del confine di Belmonte con Montottone e con Grottazzolina. Nel 30 a.C. furono assegnate le terre picene presso il fiume Tenna ai soldati veterani reduci dalla battaglia di Azio (31 a.C.) e sorse il Municipio di Falerio Piceno, di cui fece parte il nostro territorio, che non aveva ancora nome di Belmonte. Nel secolo V già esisteva la diocesi di Falerio e i cristiani belmontesi ne facevano parte. Andava decadendo il dominio romano e nel secolo VI si imposero i Goti, nel sec. VII, i Germani .
LONGOBARDI E FRANCHI. Il nome di Belmonte è derivato nel secolo X dagli emigrati venuti da Belmonte in Sabina, allo stesso modo che Monteleone di Fermo ha preso nome da Monteleone Sabino (Rieti). Tra i vari popoli immigrati, i Longobardi, alla fine del secolo VI, diedero un nuovo assetto al territorio, poi nel secolo VIII sopraggiunsero i Franchi di Carlo Magno che predominarono; e facilitarono la costruzione di luoghi di culto cristiano nello spirito del “Sacro Romano Impero”, che metteva in armonia il Papa Romano con l’Imperatore dei Franchi. Allora i centri abitati, per salubrità e sicurezza furono preferiti sulle alture, abbandonando le basse pianure, talora malsane per le paludi.
I MONACI FARFENSI. Alla fine del secolo IX i monaci di Farfa (Fara di Rieti) fuggirono dalla loro abbazia assediata ripetutamente dai saccheggiatori Saraceni e vennero a stabilirsi nella proprietà donata a loro, in prossimità del colle Matenano, ove portarono nel 934 le reliquie della santa martire di Monteleone Sabino, Santa Vittoria, da cui prese nome il nuovo castello. Con loro vennero dalla Sabina i coloni di Belmonte che stabilirono il loro insediamento presso la chiesa di Santa Maria in Muris, oggi detta San Simone. Assieme con i Farfensi gli abitanti costruirono nuove case nelle campagne presso i fondi coltivati ed avviarono il nucleo urbano delle abitazioni sul declivio del colle. Questi coloni hanno riportato il toponimo Belmonte, per ricordare le loro origini . Lungo e florido il periodo medioevale con i Farfensi e i Fermani.
IL COMUNE di BELMONTE. I monaci farfensi, il vescovo e le autorità ecclesiastiche largheggiavano nel consentire alla gente di fare strade, ponti, fontane, insediamenti, nelle terre di loro proprietà, senza tasse. Da qui sorse l’esigenza di dare a qualcuno l’incarico di amministrare la manutenzione di questi percorsi o spazi e venne nominato il Sindaco, il quale un secolo dopo divenne rappresentante del Comune, nuova istituzione amministrativa. Il formarsi del Comune belmontese, avviato con le famiglie immigrate da Belmonte in Sabina, è maturato soprattutto dall’accordo d’intesa delle famiglie ricche del luogo, che commerciavano a Fermo.
CITTADINANZA FERMANA. Nel secolo XIII il campanilismo esagerato causava le guerriglie fra Comune e Comune e allora la città di Fermo si trovava a moderare le questioni. Dal 1252 furono podestà fermani i futuri dogi di Venezia, Zeno e Tiepolo, che pacificarono e i castelli sottomessi delle vallate del Chienti, del Tenna, dell’Ete, dell’Aso e del Tesino, i quali avevano la cittadinanza Fermana . Un fatto tipico del basso medioevo furono i contrasti tra i guelfi ed i ghibellini. Si ha notizia che nel 1204 si cercarono vie di pacificazione tra i due gruppi: Rodolfo da Belmonte e Monaldo da Servigliano erano presenti alla firma degli accordi tra fermani ed ascolani. I Belmontesi acquisirono definitivamente la cittadinanza Fermana nell’anno 1268. A turbare il benessere, a metà secolo XIV, ci fu una terribile pestilenza, ed ancora nel secolo XV le epidemie tornarono più volte, mentre i tiranni Mercenario da Monteverde, Gentile da Mogliano, Ludovico Migliorati causavano guerre e miseria .
MURA URBANE. Le mura di contenimento contro le frane sulla collina belmontese servirono anche di protezione difensiva. Nel secolo XVII, aumentando la popolazione urbana, si allargò la cerchia delle muraglie (attuale via Bramante) lasciano all’interno qualche orto e giardino. Attualmente il corso centrale (T. Rubei) è di un piano più elevato della via Lucidi, e la circonvallazione sta a dislivello più basso di oltre due piani. Nel secolo XVIII si allungò il centro urbano e si allargarono le costruzioni invadendo l’antica cerchia muraria. La casa fatta nel secolo XVIII dal parroco Urbani appare come una torre perché sporge e svetta in altezza. I muraglioni urbani da capo alla via Bramante recano l’epigrafe con la data dell’anno 1866.
PIAZZA G. LEOPARDI. Il luogo tipico d’incontro e di conversazione tra i compaesani è da sempre la piazza, che è davanti alla chiesa e al municipio, ove è stato aperto un bar. Il Comune belmontese restò nella Provincia di Fermo fino a quando non fu soppressa nel 1860, e fu imposta la provincia di Ascoli. Nel 2004 è stata risuscitata la provincia di Fermo, e Belmonte ne fa parte. Sulla piazza si nota il monumento ai caduti della prima e della seconda guerra mondiale. A lato vi è l’oratorio costruito nel 1841 dai confratelli del SS. Sacramento.
I PALAZZI IN PIAZZA. Il Palazzo del Municipio è stato ricostruito nella metà del secolo XX e dotato di un balcone che crea sulla piazza un piccolo portico. Ad ovest si nota il palazzo ex Corsi, detto poi Ferrini Mandolesi, che risale al secolo XVI con successive modifiche. Qui inizia la via Marino Lucidi. A lato della chiesa, il palazzo già Nobili e Gualtieri fatto costruire nel sec. XIX dal parroco Nobili, ha l’ornato essenziale e funzionale tipico ottocentesco. Altri edifici laterali sono stati ristrutturati nella seconda metà del secolo scorso.
LA CHIESA DEL SS. SALVATORE. All’inizio del Corso Rubei, la monumentale chiesa parrocchiale è uno scrigno di arte e di storia. L’esistenza della chiesa del SS. Salvatore è testimoniata nei documenti all’anno 1180, ed è molto verosimile che antecedentemente vi esistesse una cappellina, dato che i monaci erano venuti in questa collina nel secolo X. Qui passava l’antica strada collinare Fermana e, dopo costruita questa chiesina, si ampliò l’incasato destinato a divenire il centro storico del nuovo castello di Belmonte, che si andò sviluppando ai lati della strada. Questa chiesa passò sotto l’amministrazione del Capitolo dei Canonici di Fermo. Se ne conserva il segno nello stemma capitolare che è l’Agnello pasquale.
L’ATTUALE CHIESA. L’attuale chiesa è stata ricostruita dalle fondamenta negli anni dal 1771 al 1776, demolendo quella piccola preesistente, per decisione dell’Arcivescovo Fermano card. Urbano Paracciani, su disegno architettonico di Domenico Fontana, con l’opera del maestro urbanista Pietro Augustoni. Per ampliare l’aula, si demolì la cappella di San Nicola, sul lato destro, e si alzò un muraglione sulla ripa settentrionale, tanto da raddoppiare la lunghezza dell’edificio medievale. Il presule fermano convogliò nella costruzione di questa nuova grande chiesa le rendite dei benefici ecclesiastici e delle chiesine sparse nel territorio, per cui negli altari laterali ci sono le immagini dei loro santi titolari.
La facciata, in mattoni dal caldo colore, è ornata con pilastri laterali e lesene dai capitelli dorici. Il frontone triangolare nel fastigio ha cornici mistilinee ed è sormontato dal simbolo cristiano della croce. Sopra al portale con sua cornice c’è un arco con lunetta. Il portone è in triplice strato di tavole ed è scandito in sedici specchi con cornici. Nel 1976 il pievano don Giuseppe Biondi (1957-1995) rinnovò la pavimentazione della chiesa con marmo di Trani, disposto a fasce, con al centro, il tappeto arancione che dall’ingresso conduce al presbiterio.
Don Ruffino Brunelli fece riparare i danni del terremoto del 4 ottobre 1943, come testimonia l’epigrafe nel retrofacciata. La chiesa parrocchiale riunisce la comunità cristiana che viene alimentata con la parola di Dio, con i sacramenti di Gesù Messia e con lo spirito di fraternità nel nome e ad opera del Padre celeste e del suo Figlio Salvatore che dona lo Spirito Santo.
Altari laterali. Nel 1933 il pittore don Giuseppe Toscani per commissione del pievano Don Giovanni Mattii fece dipingere le pareti della chiesa e la volta. Anche i due altari laterali furono decorati dal pennello di questo pittore. Le tele grandi collocate nel 1776 sono tre, una per ogni altare, capolavori di Filippo Ricci pittore fermano, attento nella figurazione policroma con riflessi armoniosi di luce. L’altare a destra è dedicato alla Santa Croce, patrona belmontese. Il dipinto di Filippo Ricci riunisce i santi Sebastiano martire, Rocco pellegrino, Antonio abate, Francesco d’Assisi, in contemplazione della Vergine Lauretana con il divin Figlio sopra la casa di Nazareth. Il cancelletto e la porticina indorata racchiudono la santa Croce di Gesù Messia in un prezioso reliquiario d’argento, stauroteca della santa Croce, motivo della processione nella festa patronale annuale del 3 maggio.
Sulla parete sinistra l’altare ha il dipinto ricciano raffigura i santi Caterina martire, Pietro apostolo, Giovanni Battista e la Croce della redenzione da essi onorata. Sullo sfondo i profili delle colline belmontesi.
IL PRESBITERIO. Sull’altare maggiore, ricostruito nel 1943 dal pievano Don Ruffino Brunelli (1939-1958) in marmi policromi, un bel tabernacolo a colonnine d’impianto classicheggiante. Nell’abside semicircolare la tela di Filippo Ricci raffigura il SS.Salvatore titolare della parrocchia, con a lato la madre Maria assunta in cielo. Sono contemplati dai vescovi Nicola (a destra) e Donato (a sinistra) con in mezzo un Angelo che presenta il modello plastico del paese che nel secolo XVIII aveva più torri (nelle chiese di S. Pietro o Torricella, inoltre di S. Maria in Muris o San Simone, nella chiesa del Crocifisso e in questa del SS. Salvatore). Ai due lati del presbiterio, i dipinti ovali delle beate Anime Purificate, a cui è dedicato il mese di Novembre. Il catino dell’abside è tripartito con festoni dipinti da Armando Moreschini. Al centro Gesù Eucarestia, attribuibile a Giuseppe Toscani, come pure gli Angeli adoranti ai suoi.
Di mano del Toscani anche i dipinti esistenti nella grande volta: l’Agnello Pasquale con il libro dei sette sigilli e la croce della redenzione , simbolo del Capitolo Metropolitano di Fermo, i quattro Evangelisti, le Litanie del Cuore divino, il Pellicano simbolo dell’Eucaristia.
Sulla parete del presbiterio il gruppo scultoreo della Pietà, cioè la Madre che tiene tra le braccia Gesù morto, pregevole opera in legno che è armoniosa, riferibile al secolo XV e all’arte Fermana.
L’organo nel retrofacciata è opera dei valenti organari Paci di Ascoli, il padre Vincenzo ed i figli Giovanni ed Enrico, ai quali avevano dato commissione le tre Confraternite di Belmonte, tutte insieme: Santissimo Sacramento, Santa Croce e Santo Rosario, nell’anno 1881.
Nel corpo della chiesa i quattordici dipinti della Via Crucis sono riferibili al secolo XVII. In alto sulle pareti quattro nicchie per le statue dell’Immacolata, dell’Addolorata, del Sacro Cuore e di San Vincenzo Ferreri. La chiesa ben decorata, con le luci dei lampadari e con la musica favorisce molto la serenità degli animi.
LA TORRE campanaria adiacente è seminascosta dal pubblico Palazzo, e per ammirarla interamente è preferibile recarsi nella via retrostante di circonvallazione, dove si può apprezzare anche lo sperone murario molto alto della tribuna e dell’abside, con in basso le antiche sepolture. La torre nel secolo XIX ha avuto l’apposizione dell’orologio “alla Francese”. Il campanone è stato fatto nuovo da Don Giuseppe Biondi nel 1989 opera della Fonderia Pasqualini.
Scendendo lungo il corso “T. Rubei”, si incontra un edificio con cortiletto fornito di pozzo, tipico dell’antico impianto.
LA CHIESA DEL ROSARIO. La chiesa della Madonna del Rosario fu ricostruita ampliata in stile neoclassico nella prima metà del secolo XVIII per opera della Confraternita belmontese del SS. Rosario che era stata fondata all’anno 1586 circa, in un oratorio. Nella facciata, due coppie di lesene, e l’architrave. Al culmine, nel timpano spicca una finestrina rotonda. L’interno è ornato con lesene dotate di capitelli e cornicione sopra al quale si innalzano le finestre. Ogni parete laterale è scandita in tre alte arcate. Il pavimento fu rifatto nuovo negli anni 1982/1983 dal pievano Giuseppe Biondi.
PRESBITERIO. La pala dell’altare principale è opera della bottega fermana di Filippo e Alessandro Ricci. Vi sono figurati i santi Domenico di Gusman e Caterina da Siena che invocano la Madonna e il divin Figlio che porge il Rosario. Ai lati di questa ancona, due dipinti rotondi raffigurano San Giuseppe di Nazareth uno, e Sant’Andrea da Avellino l’altro. Alla parete destra la tela dipinta da G. Nunzi raffigura San Pacifico da San Severino (Marche), quadro donato nel 1857 da don Filippo Corsi.
ALTARI LATERALI. Segno di devozione la statua della Beata Vergine del Rosario, opera cartonata del secolo XVIII. Nell’altare a destra il dipinto raffigura il francescano San Giuseppe da Copertino, venerato ad Osimo, Il santo dal volo estatico su un paesaggio marchigiano. Sulla tela è scritto che fu fatto da Michelangelo Michelini da Belmonte, nell’anno 1756. L’altare a sinistra fu inizialmente eretto nel 1627, rinnovato nel secolo successivo, ha una tela dipinta con i santi Filippo Neri, creatore dei ricreatori romani, Carlo Borromeo il cardinale della Riforma cattolica e il domenicano Pietro da Verona, martire. Insieme pregano lo Spirito Santo raffigurato nel simbolo della Colomba in luce tra le nuvole. Nel retrofacciata si notano i Crocefissi usati nelle processioni. Il pievano Don Biondi procurò i quattordici quadri della Via Crucis, con stampe policrome della seconda metà del secolo XIX.
SANTA MARIA IN MURIS o San Simone
L’edificio, sull’altura, a 263 metri di altitudine, di fronte al colle belmontese, in prossimità della strada verso le Morrecini è opera insigne per antichità e per rara originalità della prima arte romanica del secolo X. E caratteristica per la solennità della torre in mezzo alla facciata. Svetta come una vela alzata a percorrere il mare della storia dei comuni della provincia di Fermo, nella sua posizione panoramica, con una visuale ad ampio raggio attorno. Santa Maria in Muris è il nome cristiano dovuto al riutilizzo dei muri già esistenti da oltre dieci secoli, trent’anni prima della nascita del Cristo. Si notano i reperti archeologici come la lapide marmorea incastonata nella facciata. L’epigrafe sull’urna cineraria a tabernacolo dice che fu voluta da Florio Ottato da vivo per sé, e per la moglie Rufria Prima. Nel praticare l’incinerazione, i Romani antichi riponevano le ceneri in nicchie o tabernacoli mettendo l’iscrizione dei nomi. Le Morrecini lungo questa via collinare romana sono nicchie costruite per urne cinerarie. Il belmontese medico docente universitario, Silvestro Baglioni, appassionato studioso delle antichità picene, osservò, in un angolo della torre, una pietra con foro tondo, plurisecolare, usata anche dai romani nel torchio per spremere le olive e le uve. Ci sono altri marmi scolpiti, uno fa notare la scultura di ali (S. Michele arcangelo, protettore dei Longobardi?), altre sculture di volute riferibili all’arte longobarda.
L’entrata, molto originale perché costruita con pietre porose tufacee, ad arco fino a metà della torre sovrastante, si allarga nella successiva metà con duplice portico, su colonnine. In edifici del genere si usava, per lo più un arco. Questa rarità protoromanica , è testimonianza dello stile altomedievale, come lo sono le piccole finestre arcuate a tutto sesto. Gli antichi romani presso le loro abitazioni rurali, dette ville, in una posizione un po’ alta, usavano costruire le edicole ove riporre le urne cinerarie dei famigliari defunti. Nel territorio belmontese queste edicole, dopo la fine dell’impero romano, ebbero continuità e permanenza come chiesine cristiane. Nel 386 l’imperatore Teodosio, con un editto da Milano (Roma non più capitale) stabilì che i luoghi sacri pagani fossero resi cristiani.
Le chiese cristiane, come questa, furono costruite con l’abside rivolta ad oriente, dove sorge il sole, perché Cristo immolato e risorto a Gerusalemme è il sole che illumina ogni persona ed a cui si rivolge la mente di chi sta in assemblea nella chiesa stessa. Dopo la decadenza di Roma, attorno al 570 giunsero qui i Longobardi, nuovi dominatori. Era uso dei Germani di costruire una torre nella facciata come avvenne in questa chiesina che echeggia il modello tipico della prima arte longobarda simile alle costruzioni dell’ottavo secolo della Germania. Questo stile costituisce un legame particolare con il nord Europa. I Longobardi insediatisi in Italia si convertirono al cristianesimo, e divennero generosi donatori di beni immobiliari ai monaci. Questa chiesa costruita da Albasia madre del conte Silvestro, fu donata ai benedettini. Nel Piceno ci sono varie chiese appartenuta ai monaci nell’alto medioevo che hanno la torre in mezzo alla facciata tra cui la chiesa rurale di san Marco a Ponzano.
Santa Maria in muris fu amministrata dal priore locale di Santa Vittoria in Matenano, come risulta dalla conferma fattane nel 1152, da parte dell’abate di Farfa a favore del priore santavittoriese di nome Alberto. Nella cronaca (chronicon) e nel Regesto di Farfa troviamo le prime notizie su S. Maria in Muris. Altre del secolo XIII si leggono nelle pergamene di Santa Vittoria in Matenano.
L’azienda rurale curtense presso santa Maria in Muris aveva le abitazioni e nel tempo aggiunse nuovi locali per gli ospiti, per le riunioni, per la scuola, per l’infermeria. Il monaco cappellano praticava l’istruzione dei ragazzi nel leggere e scrivere e nel fare i calcoli aritmetici. Si ha notizia che venne in visita a questa chiesa l’abate di Farfa con il suo accompagno e qui si fermò, ospitato. Si sviluppò anche l’artigianato di fabbri, falegnami, sarti, muratori per il miglioramenti edilizio. Si praticarono fiere, in un campo detto del ‘Mercato’. Rimane ancora il toponimo Fonte del Mercato. La fiera nella festa di San Simone, 28 ottobre, diede nuovo nome la chiesa stessa, popolarmente detta di San Simone. Furono coinvolti gli abitanti nel provvedere alle necessità delle strade, dei ponti, delle fontane, del mercato, del cimitero e a simili esigenze comunitarie, così sin dal secolo XII furono nominati i sindaci, amministratori del territorio. I signori locali diedero alcune terre per il mantenimento del cappellano. Usavano il patronato nell’eleggere il prete che presentavano alla nomina del priore come cappellano . Si conoscono i nomi dei seguenti cappellani della fine del secolo XII e degli inizi del XIII: Giacomo, Alberto (senior), Nicola, Rinaldo, Alberto (junior) nominato nel 1239. La cittadinanza giuridica era Fermana . Quando nel secolo XIV i papi andarono a risiedere ad Avignone, molte proprietà ecclesiastiche furono svendute. Ci sono documenti che attestano che negli anni attorno al 1325 la nomina del cappellano di S. Maria in Muris fu fatta dai signori di Monte Passillo. Poi nel 1334 l’amministrazione tornò al priore benedettino santavittoriese.
Definitivamente nel 1632 cessò la presenza dei monaci farfensi a Santa Vittoria perché il papa stabilì la Parrocchia amministrata dai canonici. Santa Maria in muris era passata sotto i canonici della metropolitana fermana con un beneficio dal titolo di S. Maria Bambina o Piccinina. Nel 1715 era rettore del beneficio, don Liborio Monti che restaurò la torre e sopra a questa fece collocare la campana con il suo nome. Nell’abside collocò un dipinto su tela raffigurante la Madonna Assunta onorata da due santi. La Madonna Assunta è titolare della cattedrale metropolitana e dell’intera archidiocesi fermana. Il dipinto settecentesco dell’Assunta ci è pervenuto in condizioni precarie e necessita di restauro. E’ attribuito al pittore Giuseppe Liozzi di Penna San Giovanni per le somiglianze visibili al confronto con altre suo opere nella disposizione dei personaggi e nelle conformazioni figurali.
Venne poi un colpo dannosissimo per tutte le chiese e i monasteri, quando le proprietà ecclesiastiche furono requisite dai Savoia sopraggiunti a governare. Nel 1866 le dichiararono demaniate e le vendettero ai signori. Allora Severino Squarcia da Santa Vittoria in Matenano acquistò molti terreni e li diede in eredità al nipote Francesco Squarcia abitante a Belmonte. I belmontesi venivano qui, fino a mezzo secolo fa, il giorno dopo Pasqua quando si aprivano le chiese rurali e si andava a visitarle con il pensiero gioioso del Signore risorto. Vi tornavano con la processione delle rogazioni, in latino ‘tempora’ cioè stagioni. E nelle serate del mese di Maggio, le famiglie della contrada qui pregavano il sacro rosario della Madonna. Molte persone venivano a parlare e pregare con la conosciutissima Giustina Agostini Sbaffoni, nella casa che era vicina alla chiesa detta di S. Simone. Nel 1953 sor Francesco fece fare una copia fedele del dipinto settecentesco al pittore fermano don Giuseppe Toscani. E’ un monumento che richiama il senso storico della vita civile, religiosa e monumentale di Belmonte, nell’opera di antica bellezza.
I RUDERI DI UN MONUMENTO FUNEBRE ROMANO
A metà strada tra Belmonte e Grottazzolina, c’è la collina delle Morrecini, ruderi del monumento funebre eretto in epoca romana, al tempo dell’imperatore Augusto. Mancano le epigrafi che un tempo davano i nomi dei defunti ivi sepolti. La contrada attorno è detta Castel Arso nel senso di incendiato, non si sa quando . Nel ripiano sopra al fiume Tenna, presso la proprietà ex-Morroni, sono stati trovati altri spezzoni di muri antichi romani, e nelle vicinanze dei frammenti di iscrizioni su travertino.
L’epigrafe nella facciata dell’antica chiesa di Santa Maria in Muris testimonia la residenza di antichi romani in una villa. Del tutto inutili ed irreali la leggende del tesoro sotterrato, diffuse nelle tradizioni popolari dei comuni delle Marche per fantasticare sull’oro lavorato per farne una chioccia con i pulcini, un paio di buoi aggiogati all’aratro, un telaio che tesseva fili pure essi d’oro.
Cosa si vede alle Morrecini? Si vedono tre spezzoni di muri con nicchie che formavano le due parti di un monumento. Simili monumenti funebri venivano costruiti dai Romani lungo le vie. I massi di pietra cementata avevano un rivestimento architettonico in marmi. Dentro si collocavano i vasi cinerari e davanti si apponevano le epigrafi a gloria dei defunti. I Romani vennero qui con l’assegnazione delle terre ai veterani degli eserciti di Pompeo Magno e di Giulio Cesare, al tempo del successore Ottaviano Augusto. Questa assegnazione di terre favorì la costruzione di ville dotate di tutti i servizi. Generalmente i monumenti funebri erano innalzati al limite dei terreni assegnati. Nel campo a nord, a distanza di qualche centinaio di metri, in piena maggese, fu notato un tunnel sotterraneo lungo circa 29 metri. Era una galleria murata ad arco dell’altezza di un uomo, non si sa di quale uso.
CHIESA della MADONNA DELLE GRAZIE
I Belmontesi hanno creato quest’opera lungo il percorso dell’antica strada collinare Fermana, fuori dall’abitato da cui dista poco più di mezzo chilometro, in una posizione panoramica, tra la vallata del fiume Tenna e quella del fiume Ete. Le antiche memorie tramandano che ci fu un miracolo quando Bartolomeo Galaro, partito da Fermo per accompagnare sua moglie in pellegrinaggio verso una chiesa presso i monti, si fermò in preghiera davanti a questa immagine che era dipinta nella nicchia di una finestra rimurata della casa dei Vittori. La moglie fu liberata dal male. Il fatto fece scalpore e la popolazione venne qui a pregare, a ringraziare, a donare le offerte. I contributi per costruire la prima chiesina sono da riferire alla generosità della gente. La pace che caratterizzava lo Stato Romano pontificio ha favorito lo sviluppo delle iniziative sociali nella parrocchia, insieme con le Confraternite del S. Rosario, della S. Croce e del SS. Sacramento. I devoti fecero donazioni per costruire questa chiesa e lasciarono proprietà per farla officiare con la S. Messa.
Il dipinto è a tempera raffigura la “Beata Vergine in trono con il santo Bambino” opera della pittura marchigiana del secolo XVI. Probabilmente si può attribuire alla bottega dei pittori Bonfini di Patrignone (vicino a Montalto).
L’arcivescovo Alessandro Borgia, nell’anno 1726, in visita pastorale, nominò il rettore per la chiesa, un sacerdote addetto alla liturgia e guida spirituale. E così continuò per un secolo e mezzo l’officiatura liturgica fino a quando cessò per il grave colpo della confisca fatta nel 1866 dal Re di Savoia svendette rendite e chiesa. Così gli acquirenti privati si appropriarono di questa chiesa. Non cessò la devozione.
Nel 1952, a seguito dei danni del terremoto la chiesa aveva bisogno di riparazioni e il pievano don Rufino Brunelli con don Mauro Natali, organizzò un comitato che eseguì i restauri raccogliendo dalle offerte dei paesani. In particolare fu di aiuto Giustina Agostini vedova Sbaffoni, una santa donna che a Belmonte accoglieva molte persone per pregare. Lei ha spesato l’annesso edificio ad uso abitativo con portico. Sulla parete meridionale l’epigrafe dettata da Giustina ricorda che “ Maria ai devoti suoi grazia non nega”. All’interno, presso l’altare, l’epigrafe “MATER GRATIAE” cioè Madre della Grazia divina. La Madonna delle Grazie viene ricordata anche in Burundi dal belmontese padre Vittorio Blasi, missionario a Bujumbura dove ha fondato la scuola per centinaia di bambini e bambine che sono rimasti orfani per causa delle lunghe guerre. Tutti aiuta la fiducia in Maria.
ILLUSTRI BELMONTESI. Tra le molte persone nate a Belmonte che sono ammirabili per le loro qualità e virtù, accenniamo in ordine cronologico a quelle che hanno i nomi iscritti su una dedicazione: Tommaso Rubei militare vissuto nel secolo XV, Giovanni Marino Lucidi notaio del secolo XVI; Silvestro Baglioni medico vissuto tra il XIX e XX e Giustina Sbaffoni del Sec XX.
TOMMASO RUBEI. Nelle “Cronache della città di Fermo” narrate da Anton di Nicolò, contemporaneo, si legge che il militare Rubei da Belmonte, era a Fermo al tempo di Ludovico Migliorati, signore di Fermo e rettore, per un periodo, della Marca Anconetana. Il Rubei si distinse nel 1413, quando Fermo era aggredita dalle squadre di avventurieri mercenari, difendendo la sua postazione a Montone. A suo nome è intitolata la via centrale di Belmonte.
GIOVANNI MARINO LUCIDI. La famiglia Lucidi non era originaria di Belmonte; ma questo notaio si rese famoso in particolare sotto il Governo dei Farnese, dal 1537 al 1547 come autore di un memoriale dei fatti d’arme avvenuti nei paesi circonvicini, in cui Belmonte restò coinvolto penosamente. Nel 1537 il papa Paolo III volle stabilire lo Stato Ecclesiastico nell’Agro Piceno, con capoluogo Montottone, per umiliare Fermo, e ne diede il governo a Pier Luigi Farnese che teneveva per suo segretario Annibal Caro civitanovese. Pier Luigi morì ucciso nel 1547, e Fermo riebbe il suo Stato in questo stesso anno; ma le scaramucce contro Montegiorgio occasionarono pesanti tassazioni e multe per Belmonte. Il Lucidi, cancelliere a Belmonte, cercò di far ridurre le condanne. Gli è intitolata una via del centro urbano.
SILVESTRO BAGLIONI. Nato a Belmonte Piceno nel 1876, dopo aver studiato in Germani a Jena, ed a Roma, fu docente universitario di fisiologia umana dal 1902 al 1904 in Germania, a Gottingen, poi a Napoli ed a Sassari in Italia, e dal 1919 al 1950 a Roma. Fu celebre per gli aggiornamenti che portò alla fisiologia, seguendo le migliori ricerche di livello europeo. Fu tra i fautori del Ministero della Sanità, affidato nel 1957 al suo pupillo prof. Vincenzo Monaldi. Morì nel 1957 ed è stato commemorato, in appositi convegni, a Belmonte e nel convegno scientifico dello Studio Firmano nel 1991-1992. A lui è stata intitolata la scuola primaria belmontese e lo spiazzo antistante.
GIUSTINA SBAFFONI. Donna molto conosciuta, nata dalla famiglia Agostini a Servigliano nel 1882, sposata con Giovanni Sbaffoni di Belmonte, dove visse quasi settant’anni, infine abitò presso il figlio Gaetano a Piane di Falerone, ove morì novantenne nel 1972. Donna di preghiera interiore, era frequentata ogni giorno da molte persone, che chiedevano a lei consiglio. Con le offerte da lei raccolte fu restaurata la chiesa della Madonna delle Grazie, presso la quale fu eretto un edificio d’abitazione. Inoltre nel 1957 fece ricostruire dalle fondamenta le chiesina di S. Anna. Faceva molte elemosine ed intercedeva efficacemente pregando per i malati, tanto da essere apprezzata in fama di santità e di guaritrice.
EDIFICI ANTICHI. Vari sono gli edifici antichi nel territorio. Per curiosità si accenna soltanto al Molino “Valori”, così chiamato dagli antichi proprietari. Si trova presso il fiume Tenna, dalle cui acque erano movimentate le pale del molino stesso, tramite un canale. Ha funzionato fino alla metà del secolo XX. Questo molino è ricordato nelle cronache degli anni 1527-1547 scritte da Giovan Marino Lucidi che raccontò le rappresaglie di Montegiorgio.
GEOMORFOLOGIA. Le colline belmontesi sono simili per struttura alle altre marchigiane dal profilo ondulato; i dolci colli di Belmonte si susseguono tra due valli, del fiume Tenna a nord e dell’Ete a sud. L’evoluzione del paesaggio agrario è stata modificata dalle attività dei coltivatori e dalle intemperie che hanno arrotondato i crinali ed eroso i loro versanti. I terreni sono per lo più argillosi, talora marnosi, raramente sabbiosi. Le falde acquifere o “vene”, talora fanno emergere l’acqua dal suolo su un pendio, tanto da formare pantani detti “fontanelle”, in alcuni casi utilizzati con un deposito, in muratura, come la Fonte del Mercato, il Pisciarello, la Fontegranne e altre.
VEGETAZIONE. La flora belmontese non è rara rispetto a quelle diffusa nelle Marche. Soprattutto presso i fiumi e i fossati ci sono acacie, pioppi, salici. Ampio è il bosco esistente nel versante collinare sopra al Tenna. Ci sono querce di tipo roverella, rovere, cerro, inoltre acero, carpino, nocciolo, orniello, ciliegio selvatico. Tra gli arbusti il corniolo e il biancospino. Tra le erbe le primule, l’elleboro ed altre. Nel sottobosco agrifogli, pungitopo, stelline odorose, lauro, geranio, fiordaliso, sanguinella, anemoni, attinie.
FAUNA. La fauna esistente in Belmonte, è del tutto simile a quella esistente nei paesi circonvicini:
*animali domestici: cane, gatto, cavallo, asino, bue, pecora, capra, maiale, gallina, tacchino, faraona, oca, papera, piccione, coniglio. *animali rurali ed acquatici: talpa, topo, ‘pantegàna’ (ratto), volpe, istrice, riccio, scoiattolo, puzzola, donnola, tasso, lumaca, rospo, raganella, rana, ramarro, lucertola, geco, serpente, vipera, biscia, lepre, coniglio selvatico. **Insetti: libellula, acaro, scarafaggio, mantide, piattola, pidocchio, zecca, grillotalpa, cavalletta, cimice, cocciniglia, lucciola, farfalla, cavolaia, cicala, grillo, formica, lombrico, tafano, mosca, moscerino, calabrone, vespa, ape, maggiolino, cervo volante, coccinella, scarabeo, cetonia, zanzara. ***Pesci nel fiume Tenna ed alcuni all’Ete (vanno scomparendo per l’inquinamento): tinca, carpa, trota, lasca, barbo, anguilla. ***Uccelli acquatici di transito o migratori: beccaccino, pavoncella, anatra, fischione, porciglione, fenicottero. ***Uccelli di transito di terra: tordo bottaccio, tordo sassello, cesena, allodola, merlo, beccafico, pettirosso, quaglia, storno, fringuello, beccaccia, verdone, rigogolo, colombaccio, piviere, frosone, falco, astore, poiana, gheppio, serpentario. ***Uccelli stanziali: passero, merlo, storno, pispola, fringuello, gazza, cornacchia, falco, fagiano, starna, cuculo, ghiandaia, barbagianni, picchio, upupa, usignolo, gufo.
SAGRE. La festa annuale di Belmonte, per tradizione, ricorre il 3 maggio in onore della Santa Croce, ed ha sempre attirato tanto popolo dai paesi vicini. Negli ultimi anni gli spettacoli per la festa sono stati prolungati due o tre giorni con qualche sagra. Nel mese di febbraio, cinque giorni prima del Carnevale, al giovedì grasso, si usa preparare in piazza e consumare la polenta su apposite caldaie e con tavoli. Ad Agosto si fanno spettacoli all’aperto, sagre gastronomiche, come quella della rana o della birra o altre squisitezze. Ad ottobre è d’uso la castagnata in piazza.
ATTIVITA’ ECONOMICHE. I Belmontesi sono persone industriose e solidali. Pertanto è quasi inesistente la disoccupazione, data l’operosità nell’inventare i lavori.
AGRICOLTURA. Belmonte, paese di tradizione agricola, ormai conta poche famiglie, che, abitando in campagna, coltivano direttamente il proprio terreno. I lavori agricoli più pesanti ed impegnativi, quali l’aratura, la semina, la falciatura e la raccolta del fieno, la mietitura e trebbiatura del grano, vengono effettuati da “terzisti”, con moderne e potenti macchine agricole, che in un sol giorno fanno ciò che trent’anni or sono non riuscivano a fare dieci lavoratori in dieci giorni di sudato lavoro manuale. Non ci sono coloni più che utilizzino ancora i bovini per i lavori agricoli. E’ pressoché scomparso l’uso secolare di allevare il maiale per confezionarne le carni. Le colture ancora praticate sono quelle del grano, foraggio, girasole, essendo quasi sparita totalmente la coltura della bietola da zucchero dopo la chiusura dello zuccherificio già funzionante a Fermo. Squisiti vini bianchi, rosa e rossi sono prodotti con varie uve nei vigneti. In primavera gli occhi si posano sul bianco dei susini e dei meli e sul rosa dei peschi. Produzione e vendita di frutta presso i Mancini, e di vini presso l’azienda Properzi. Gli allevamenti ancora esistenti sono: allevamento di suini di Concetti, allevamento di suini di Marzetti; l’allevamento di bovini di Crocetti. L’Azienda agricola “Fontegranne” di Scarafoni produce e vende latticini e formaggi.
ARTIGIANATO.
*Falegnameria Curti; *Maglieria Marcantoni; *Artigiana Modelli (per calzature) di Ciotti; *Imprese edili: Belloni; Liberini; Principi; Chiurchiù; Benvenuti; V.M. di Vesprini e Mercuri; *Lavorazione fili di ferro di Santoni e Tarulli; *Orlatura tomaie Alessiani; *Belmontacco di Carnevali; *Tomaie e calzature di Dari; *Fondi Calzature GIA.VI di Cutini e Felici; *Calzaturificio Giusy; *Suolificio Giglio; *“Castellarso” di Baglioni (ferro).
SERVIZI
*Comune con Municipio in Piazza; *Ufficio Postale, in Piazza;*Scuole elementari e materna, in Largo G.Baglioni; *Medici di base: D.ssa Malatesta e D.ssa Attorri; *Farmacia Tirabassi; *Parrucchieria Carassi; *Parrucchieria Callari; *Bar Alex Café; *Birreria “Lu Siccu”; *Tabaccheria, Alimentari Lottomatica Ercoli; *Alimentari Di Paolantonio; *“Belforno” di Timi; *Abbigliamento ‘Denny Rose’ di Rosati; *Piante e fiori Carnevali; *Autofficina Alfa di Gaudenzi; *Impianti termoidraulici: 1)Mancini, 2) Teodori; *Molino f.lli Carnevali; *Lavori di sterro e strade di Scalella; *Country House, in contr. Castellarso Ete. Rivendita di carni suine di Concetti Severino.
ASSOCIAZIONI
In Borgo Italia, nelle sale di proprietà comunale, il “Centro Sociale”, è frequentato da giovani e dispone di una biblioteca, di computer e TV. L’ampio salone è utilizzato dal Comune per le sedute del Consiglio Comunale, inoltre per le riunioni delle varie associazioni e per altri scopi sociali.
Le Associazioni attualmente (a. 2011) sono: *Pro Loco; *“FRATRES” (donatori di sangue); *“I Giovani di una volta”; *Club “I bravi ragazzi”; *Gruppo Teatrale “LA NUOVA” da alcuni anni va riscuotendo lusinghieri successi ed autorevoli attestati di riconoscimento con premi significativi, in campo regionale e fuori, come a Roma .
SPORT
Dal 1951 Belmonte è stata famosa per il circuito degli assi del pedale tra cui Bartali, Coppi, Motta, Gimondi, perché ha organizzato il Gran Premio del Lavoro con gare ciclistiche di partecipazione internazionale. Attualmente esistono a Belmonte alcune società sportive: *Polisportiva ciclistica belmontese; *ASD Associazione Sportiva Dilettantistica, iscritta alla Federazione Italiana Gioco del calcio, usufruisce del campo sportivo comunale, dotato di illuminazione, spogliatoi con servizi igienici e docce. Gli è vicino un campetto da tennis, con fondo sintetico, anch’esso dotato di impianto di illuminazione. Dietro le Scuole il parcheggio.
Carlo De Fattoretta Digitazione Albino Vesprini
NOTE
Una sintesi storiografica documentale su Belmonte antico: TOMASSINI, C., Belmonte Piceno (castrum Belmontis), in “Castelli rocche torri cinte fortificate delle Marche. I Castelli dello Stato di Fermo”. Vol. IV tomo secondo. Ravenna 2002 pp. 183-191. Storia recente: CAPPELLA, I. Ritorno ad un Bel Monte incantato, Capodarco di Fermo 2004.
PRESTORIA E PROTOSTORIA I. DALL’OSSO, Guida illustrata del Museo Nazionale di Ancona, con estesi ragguagli sugli scavi dell’ultimo decennio … Ancona 1915, passim; G. COMPAGNONI, Cenni di Paleontologia ovvero dall’Archeologia alla Paleontologia in ordine alla antichità ed alla evoluzione dell’uomo con Appendice ed illustrazione dei preistorici cimeli. Montegiorgio 1899 con reperti acquistati a Belmonte P. Molte notizie in Notizie degli scavi. Atti dell’Accademia dei Lincei, aprile 1901 pp. 227-238. Inoltre ivi anno 1903, fasc. IV pp. 101 ss. BAGLIONI, S., Zeitschrift fur Ethnologie, Heft 2-3 a. 1905 pp. 257-264. IDEM, Documenti di civiltà Picena preromana. La necropoli di Belmonte Piceno, in “ Picenum. Rivista Marchigiana illustrata” anno 1910 pp. 4- 8. Cfr. la rivista della regione “Marche” an. XXII n. 2. Maggio – giugno 2000 pp. 13-30. I Piceni popolo d’Europa. Die Picener ein Volk Europas. Mostra ed. De Luca Roma 2000. Utilissimo il vol. sulla protostoria picena di DUMISTRESCU, V. L’età del ferro nel Piceno. Bucarest 1929 p. 12 e passim. MAC I. RANDALL, The Iron age in Italy. Oxford 1927, p. 111. MARCONI, P. La cultura orientaleggiante nel Piceno. Milano 1935 passim. BAGLIONI, S. La necropoli di Belmonte Piceno, Roma 1927; DUCATI, P. Vita Picena in “Atti e memorie della r. deputazione di storia patria per le Marche” serie V, vol. V anno 1942. Cfr. LOLLINI, I Piceni in “ Popoli e civiltà dell’Italia antica” vol. V Roma 1976. Per gli insediamenti PALLOTTINO, M. L’urbanistica nelle Marche. Profilo di storia urbanistica. I. Marche. Roma 1950.
MOMMSEN e BORMAN, Corpus inscriptionum latinarum, (CIL) vol. IX, num. 5392, anche vol. XI, n. 836.
EPOCA MEDIOEVALE Montegiorgio si faceva proteggere dall’imperatore per far concorrenza a Fermo. Nel gennaio 1229 si stabiliva a Montegiorgio il duca di Spoleto, Rainaldo, incaricato dell’imperatore Federico II e concedeva a Montegiorgio il dominio sui castelli vicini togliendoli a Fermo. Fermo con gli alleati fece ritirare il duca imperiale. Nell’agosto il papa Gregorio IX conferiva poteri di principe al nuovo vescovo di Fermo, Filippo cfr. Archivio di Stato, Archivio storico di Fermo, pergamena n. Hubart 94 e Copiario 1030 già trascritto da Carlo Tomassini, edito da PACINI, D. (1), AVARUCCI, G. (2), PAOLI, U. (3) Liber iurium dell’episcopato e della città di Fermo. 977-1266, Ancona 1996, pp. 263s. Nel settembre 1229 si riunivano i rappresentanti dei castelli, tra i quali il rappresentante di Belmonte, formando una lega: doc. edito da PAGNANI, G. Patti tra il Comune di Fermo e i nobili del Contado nel 1229, in <Studi Maceratesi, 6> Macerata 1972 pp. 117-121.
I FARFENSI A BELMONTE. GREGORIO da Catino Chronicon Farfense a c. U. BALZANI, vol. I Roma 1903 p. 39 Il monaco Ildebrando abate a Santa Vittoria in Matenano tra il 937e il 962 svendette ed affittò (per prestaria) molte proprietà monastiche farfensi, tra cui Santa Maria posta sulle mura: Sancta Maria in Muris. GREGORIO da Catino, Regesto di Farfa, edito a c. I. GIORGI e U: BALZANI, voll. 5 Roma 1879-1914, nel volume I, p. 23. S. Maria in Muris tra i beni appartenenti a Farfa nelle conferme degli imperatori, anno 967 Ottone I in vol III, p. 111 doc. 404; Ottone III anno 998 ivi p. 136 doc. 425; Enrico IV anno 1084 in vol. V p. 98 n. 1099; ivi Enrico V anno 1118, p.304 doc. 1318. Nel sec. XIII ci fu una grave vertenza per il dominio tra il priore farfense di santa Vittoria in Matenano e il monastero di San Pietro Vecchio a Fermo (rappresentato dal Pievano di Santo Stefano di Falerone) e se ne hanno gli atti editi da G. COLUCCI, Codice diplomatico di santa Vittoria in Matenano in “Antichità Picene” vol. XXIX pp. 61-63 n. XXIV (anno 1220) e nel Supplemento (a questo stesso codice) EADEM vol. XXXI pp. 16-21 n. XII (anno 1219 circa) dalle testimonianze risulta che la chiesa di Santa Maria in muris era stata fatta costruire da Albasia madre del conte Silvestro. Ivi la sentenza del 9 febbraio 1221 a favore dei Farfensi di Santa vittoria pp. 65-67 n. XXVII. Cfr. G. NEPI – G. SETTIMI, Op. cit. pp. 84-86. Per conoscere altri sviluppi sono utili pergamene dell’archivio della parrocchia di Santa Vittoria in Matenano alle date 28 febbraio 1287, inoltre 7, 8, 12, 13, 24, 25 marzo 1327; 26 aprile 1327; 27 maggio 1327. FERRETTI, A., Santa Maria in Muris non è il S. Francesco di Falerone, in “Santa Vittoria astro dello Stato Farfense” periodico, 23 giugno 1951 pp. 6-7. NEPI, G. – SETTIMI, G. Santa Vittoria in Matenano. Storia del Comune, Fermo 1977 pp. 104, 230.
Per i cappellani e le diverse chiese esistenti a Belmonte nel 1299-1300 Rationes decimarum Italiae. Marchia ,a c. P. SELLA, Citta del Vaticano 1950 ai numeri 7586; 5847; 6162; 6625; 6744; 6744; 6942; 7087; 7279; 7486.
Archivio di Stato di Fermo. Archivio storico di Fermo. Fondo diplomatico pergamena dell’elenco Hubart n. 1543 dell’anno 1263 sintesi Hubart in Antichità Picene, aggiunzioni, vol. XL (Ripatransone 1995) p. 142, cfr. M. TABARRINI, Sommario cronologico di carte Fermane anteriori al secolo XIV con alcuni documenti relativi alla storia della città di Fermo e del suo distretto riferiti per intero, in “Cronache della città di Fermo” a c. di G. D MINICIS. Firenze 1870 n. 290 p. 427; inoltre pergamena dello stesso archivio n. 1544 del 1268, Ant. Pic. cit. p. 160, Tabarrini n. 329 p. 437. Per allargare la considerazioni agli aspetti sociali utili le pergamene dell’archivio della parrocchia di Santa Vittoria in Matenano alle date 23 maggio 1263; 20 giugno 1263; 4 e 10 luglio 1263; 23 agosto 1263; 26 agosto 1366; 7 nov. 1381; 16 aprile 1382; 31 maggio 1389 (tre atti) 7 novembre 1393; 12 settembre 1417; 8 maggio 1417; giugno 1406; 24 luglio 1406; 31 maggio 1409 (tre atti); 3 ottobre 1412; 23 e 29 aprile 1535 (tre atti).
Nello statuto di Santa Vittoria in Matenano che amministrò per tre secoli la chiesa belmontese di S. Maria si procurava la pace imponendo ai litigiosi di tacere, per norma di Statuto: “Nessuno osi, né presuma esclamare una parte né guelfa, né ghibellina” testo riferito al 1404 Liber Statutorum Terrae Sanctae Victoriae edito Macerata 1618 rubrica L., p. 101.
RINASCIMENTO Fermo, Biblioteca ‘R. Spezioli’ manoscritto n. 377 e ms 1744 Cronache di G. M. LUCIDI.
Attualita’ www.provincia. Fermo.it/comuni . Marche.dettaglio.it/ita/comuni