Servigliano, Castel Clementino nella storia marchigiana. Autore Gabriele Nepi

Servigliano di Gabriele Nepi

Stemma: D’azzurro al leone di Venezia.

Servigliano Antico dalla preistoria alla fine del medioevo

Il toponimo deriva dalla discendenza di Servio Tullio, genero di Tarquinio Prisco. Servio (figlio di una serva) sarebbe stato, secondo la leggenda, il sesto re di Roma. Da Servio derivò la “Gens Servilia” cioè la stirpe che da lui prese il nome e che diede a Roma, personalità illustri soprattutto nelle armi. Siamo nel primo secolo avanti Cristo. “Praedium Servilianum” fu detto il territorio dato al comandante veterano, Servilio. Ma non è da credere che la zona tra i fiumi Tenna ed Ete fosse prima disabitata, anzi l’archeologia dimostra come vi abitasse già il popolo Piceno,  fiorente e sviluppato nell’agricoltura e nel commercio.

Al museo archeologico di Ancona infatti si conserva un “candelabro” di stupenda forma e lavorazione. Tale candelabro, opera fusa a forma di cilindro con alla base tre piedi a forma di zampa leonina, è tutto ornato di fregi a rilievi.  Vladimir Dumitrescu asserisce, che tale preziosa opera è di lavorazione etrusca e l’attribuisce al V secolo avanti Cristo. (Età del ferro nel Piceno, Bucarest 1929 pag. 72).

Quattro secoli prima della venuta di Servilio, dunque, in queste terre si conduceva vita serena ed agiata. Ancora oggi si possono ammirare le mura cementate lungo la strada provinciale che, dall’antico Servigliano, chiamato negli ultimi due secoli Curetta, scendono verso la pianura sottostante. Sono considerati come avanzi dell’acquedotto costruito per regolare il flusso delle acque. “Opus cementitium” veniva chiamato dai romani questo impasto più duro della roccia. Essi abbellirono maggiormente queste contrade con opere architettoniche tra cui l’arce. Alcuni resti di mirabili costruzioni furono rinvenuti nei pressi dell’ex Convento francescano e sotto l’attuale piazza, a tempo della costruzione di Castel Clementino. Nell’orto del convento stesso furono scoperti, nei secoli passati, i resti di bellissimi pavimenti di marmo. In prossimità del Tenna, furono rinvenuti anche resti di vasche di bagni e piscine.

I nobili cittadini romani, amanti del decoro e dell’arte, risiedevano a Servigliano in epoca romana, alcuni sull’altura del paese vecchio, altri nella pianura adiacente al Tenna. Da qui potevano raggiungere facilmente Falerio Picenus, a due miglia di distanza, e potevano partecipare agli spettacoli in quel teatro che ancor oggi si ammira nei suoi ruderi in contrada del Pozzo di Falerone.  Nei secoli successivi, le orde dei barbari, i Goti e i Longobardi tutto depredarono. Le opere romane si ridussero in rovine. Nel 409 d.C. risultano distrutte le antiche città tra cui: Truentum, Novana, Cluana, Urbs Salvia, Falerio.

Nel 578 i Longobardi si stanziarono con eccidi in tutta la regione. Restata quasi disabitata e perciò incolta, la campagna si coprì di boschi e paludi. Con la sconfitta dei Longobardi da parte di Carlo Magno e con la donazione delle terre al Papa nel 774 iniziò la rinascita della vita agricola anche a Servigliano.

I monaci Benedettini vennero ben presto, nel secolo VIII, a stabilirsi nel territorio piceno e fondarono il monastero di Sant’Ippolito in Selva nei pressi del colle Matenano. Essi iniziarono l’opera di dissodamenti e di colture. Gli Arabi infestavano tutta la costa adriatica, derubando i cristiani per mare e per terra, in nome di Maometto. Giungendovi via mare, sbarcavano sulle coste picene e si internavano per rapinare e devastare i campi e le case. I monaci Benedettini fuggendo da Farfa invasa da questi, nel 900, si rifugiarono sul monte Matenano. Per lo stesso motivo si rifugiarono a monte anche i serviglianesi. E anche qui il popolo era laborioso. Nel 1032 già la Pieve di San Marco era ben organizzata. Il fiorire e potenziarsi delle città marinare in Italia nel secolo XII, ci liberarono dal pericolo dei Saraceni.

I monaci Farfensi da Santa Vittoria in Matenano seguitavano a bonificare e coltivare le terre anche a Servigliano, disboscando, tracciando strade, costruendo abitazioni per i coloni. A Servigliano la tenuta farfense era nell’attuale contrada Santa Lucia con chiesa e case. Non tutto il territorio però era di proprietà ecclesiastica, c’erano anche le proprietà di privati.

Il vescovo di Fermo che aveva ottenuto ben presto donazioni di terre, per farle fruttificare, le diede largamente in enfiteusi, con un contratto speciale a piccolo canone per tre generazioni. Tra i signori serviglianesi, c’era Radone, figlio del Conte Manardo, che era il grande possidente della zona,  dalla montagna che ancor oggi conserva il suo nome, Castel Manardo, (vicino all’Ambro) giù giù fino al Piano degli Appennini, come era anticamente chiamato Servigliano. Nel 1036 Radone vendette al vescovo al prezzo di cento soldi, il castello di Troia con le terre attorno, a confine col Monte di Servigliano, col fiume Tenna, tra il torrente Valentella e il rivo Tassiano. Nell’indicare i confini di tali beni, il documento nomina la “Strada de S. Ruffino” e la “via de casa Sifredi veniente verso San Marco”. Si riconoscono alcuni toponimi attuali (Liber 1030 di Fermo, ediz. 1996, p. 227).

Interessava al vescovo avere delle proprietà presso Servigliano, per segnare così il confine dei suoi possessi con quelli dei Farfensi residenti a Santa Vittoria. Poco oltre il Monte serviglianese, in contrada Valle, nel fondo Pontariolo, l’enfiteauta del vescovo era un tale soprannominato Borello. Doveva versare ogni anno sei denari d’argento consegnandoli al pievano di San Marco (Liber cit. p. 675). Questa mansione particolare di carattere amministrativo che era assolta nella Pieve di S. Marco era importante e il vescovo l’affidava di solito ad un officiale della Curia. Non mancarono contese e liti con i monaci che acquisirono terre nelle vicinanze, a Monte Radaldo.

Un documento del Regesto dei Vescovi ci parla anche della costruzione di un nuovo castello. Nel 1108 un gruppo parentale di 16 persone  si obbligarono ad “incasare” cioè ad abitare sul Monte di Servigliano, trasferendovi i “castellani” che avevano nella zona tra il Tenna e l’Ete. Il vescovo concesse loro la terra, e la proprietà della terza parte dello stesso castello, con l’obbligo di fare la cinta delle mura a difesa, attorno alle case che avrebbero costruito. I concessionari si obbligavano a difendere gli abitanti e le mura, a ricostruirle se fossero distrutte, a rimanere fedeli al Vescovo e a non assoggettarsi ad altri. Così nel 1108 il Monte di Servigliano fu fortificato, rinnovato, ampliato e fornito di lavoratori (Liber cit. pp. 138 e 502).

Ma l’autorità del vescovo era qui riconosciuta più di quella dei conti. Di fatto la Pieve di S. Marco ne riconosceva la sovranità pagando un tributo in denaro, che nel secolo XII assommava a tre soldi e tre denari imperiali per tre volte ogni anno: a Natale, a Pasqua e a santa Maria di agosto.  Questo versamento in denaro era indice di floridezza e non tutti i castelli vi si impegnavano, preferendo offrire prodotti in natura (Liber p. 55).

Di fatto era bene controllare i vari signori o signorotti perché potevano costituire un pericolo di usurpazione. Tuttavia tra vassalli e il vescovo c’erano rapporti di amicizia, come tra alleati  non per un servile omaggio, ma come impegno leale, garanzia di sicurezza. La Chiesa era apprezzata per l’opera pacificatrice e  civilizzatrice. Frequentissimi erano infatti le donazioni fatte al Vescovo.

Nel 1202 Monaldo, figlio del conte Pietro, donava al pievano di San Marco i beni della sua azienda agricola curtense presso il castello di Ser vigliano, terre, vigne, boschi, pascoli, mulini, con i diritti proprietari e il tenimento delle famiglie, dislocate fino al confine con il castello di Belmonte, tra il fiume Ete e il fiume Tenna (Liber cit. p.440).

I mercanti della città portuali si spostavano verso l’interno, specie nelle zone di pianura alla confluenza di più paesi, per vendere le loro merci. Tale fatto è all’origine della famosa “fiera de lu Pià” (Piano degli Appennini). Questa pianura a confine trail patrimonio della Chiesa fermana da una parte e dall’altra i beni monastici farfensi e privati, doveva essere controllata con oculata prudenza da un pievano capace e la Curia fermana vi mandava persone di notevole esperienza, un esperto amministratore, talora giudice. Morico pievano di San Marco intervenne nel 1215 agli impegni assunti di Maceratesi per Casale San Claudio (al Chienti) verso i Vescovo, volendo costruire in questo castello un magazzeno delle derrate (Liber cit. 437).  Nel 1219 il pievano Pietro, assieme con un testimone Serviglianese, parteciparono all’atto di donazione di terre e di uomini fatta da Taddeo Uguccioni di Montottone, alla chiesa fermana (Liber cit. p. 571).

Nel 1236, quando il Card. Sinibaldo, Rettore della Marca di Ancona, fece riconsegnare dal suo “camerario” il tributo pagato dagli uomini di Monte Santo (oggi Potenza P.) al vescovo, come altri “fitti” dovuti dai castelli di Ripatransone, Grottazzolina, Monte San Pietrangeli, e da altri, il pievano di San Marco era presente (Liber cit. p. 286).

Quando i santavittoriesi assalirono Servigliano e ne danneggiarono le chiese, il vescovo di Fermo pretese la dovuta riparazione e l’ottenne. Nel 1272 il Consiglio di S. Vittoria si obbligava a risarcire i danni recati alla pieve di San Marco e al territorio,  sottomettendosi al tribunale di Montolmo (oggi Corridonia) dove agiva il Rettore della Marca COLUCCI, Antichità Picene XXIX, pp. 214ss).

Si era diffusi nel frattempo i Francescani che si stabilirono anche nel Piano di Servigliano. La toponomastica ci dà l’immagine di un territorio frazionato: Santa Lucia, San Gualtiero, Paese Vecchio, La Commenda, Castello (Fermano), Belluco, San Cataldo sono oggi diverse contrade com’erano allora possedimenti di vari signori. Quanti segreti eventi potrebbe narrare la storia di ogni zona !

I ruderi che ancor oggi si scoprono, le grotte murate a galleria, le tradizioni fantasiose del telaio d’oro e del labirinto, le ossa dissepolte nel lavoro dei campi, tutto ciò lascia la suggestione di grandezza e potenza del passato. Solo quando si procederà all’esplorazione con scavi metodici, si potrà riferire qualche data, qualche nome che illumini di più.

Ove sorge attualmente la Villa di Brancadoro, presso Belluco, si ergeva un tempo Il C”astello Fermano” (Fermo pergamene 135 e 427) munito ed inespugnabile con una strada “serpentina” di accesso dall’interno, restando per il resto a precipizio sul Tenna. Il padrone del castello era possessore di terre anche nella parte montana.

Chiarmonte, vasta contrada, comprendente anche le attuali “Piane de Casà”, era proprietà di famiglie discendenti dalla stirpe del Conte Manardo; passò ai Brunforte ed ai Nobili di Massa Fermana che dominavano nei vari paesi pedemontani, mentre quelli più vicini alla costa erano in gran parte nelle mani del Vescovo. Nel 1256 questi signori si pacificarono con il rettore della Marca Annibaldo di Trasmondo. (Fermo pergamene nn. 1339, 2123, 2152, 2169, 1674)Tra altre imprese i signori di Chiarmonte, nel 1396, fecero irruzione a Fermo e a piazza San Zenone gridarono: “Viva il popolo e la parte ghibellina!” (Fermo, Cronache)

Paese Vecchio è il toponimo dell’antico centro abitato, sul monte, ad altitudine superiore al restante territorio serviglianese. I percorsi viari potevano essere costituiti dalla strada Matenana, dalla strada Pozzuolo verso l’Ete, e da quella di Valentella verso Tenna, inoltre c’erano le strade vicinali tra i poderi.

Le tragiche vicende di devastazioni che i signorotti causavano in varie occasioni di lotte, per mezzo delle milizie mercenarie che invadevano la Marca, per rappresaglie, non risparmiarono certo il territorio di Servigliano. Le guerre civili tra signori per l’accaparrarsi  nuove terre erano una nefasta abitudine dell’epoca delle compagnie di ventura del secolo XV. I Serviglianesi tentavano di barcamenarsi fra i diversi contendenti, in modo da apparire ossequienti e pacifici. Comunque, ospitando le milizie nel Piano del convento, dovevano sopportare le spese per fornire i vettovagliamenti per gli uomini e per le bestie. Non si può parlare di un Comune di Servigliano che nel Medioevo abbia goduto effettiva autonomia con proprio statuto. Una pergamena ritrovata di recente, testimonia che al tempo del podestà fermano Lorenzo Tiepolo (eletto ben presto doge a Venezia) nel 1266 Servigliano era un comune in piena alleanza e nella cittadinanza di Fermo, da cui riceveva lo statuto cittadino, in qualità di castello del comitato fermano. La sua  amministrazione era conforme al governo dei Consigli Fermani, in cui erano presenti, tra gli altri, i rappresentanti serviglianesi.

Nel 1355 secondo un documento esistente nell’archivio di Stato di Fermo, il Castrum Serviliani, assieme a quasi tutti i castelli del Fermano, deve mandare il suo delegato, sindaco, a giurare fedeltà alla Chiesa nelle mani del Card. Egidio Albornoz a Fermo (Fermo pergamena 1347). Questo cardinale spagnolo era stato mandato dal papa (che abitava in Avignone) nelle Marche per recuperare il controllo dello Stato della Chiesa, dato il fatto che c’erano città e castelli, che, approfittando dell’assenza del Papa, si ribellavano scuotendo il dominio papale.

L’anno successivo, troviamo che Servigliano, pur essendo castello appartenente alla Chiesa Romana nel suo dominio nella Marca Anconetana, veniva però occupato dai militari Fermani, come avveniva anche ai castelli di Grottammare, Torre di Palme, Grottazzolina, Monte Falcone, Smerillo Montottone e sant’Andrea. Questi castelli non avevano la facoltà di eleggersi il podestà né gli officiali.

Nel 1406, come risulta da una pergamena dell’Archivio di Fermo, si compilò un atto giuridico con cui il Comune e il popolo di Servigliano chiedevano ai Priori di Fermo la licenza di imporre ed esigere una tassa dagli uomini del loro castello per le 40 libbre necessarie per pagare i debiti dei salari da versare alla Curia del Podestà fermano e a quella della Marca di Ancona Fermo pergamene 1059 e per le tasse  nn. 1060, 1337, 999, 1740, 1742). Come al solito, documenti di archivio fanno vedere solo gli aspetti negativi, per cui, nel nostro caso, si sarebbe tentati di pensare che il Comune era pieno di debiti. Dice bene il Bargellini che in archivio sono depositate più memorie disonorevoli che onorifiche. Ma ciò non significa che tutto andasse male.

I rapporti di amicizia con altri signori consentirono di estendere la superficie della campagna di Servigliano. La contrada di San Gualtiero e le terre di Chiarmonte e di Casale furono gradualmente acquistate dal nostro Comune, mentre tutte le altre contrade andavano gravitando verso il centro urbano d’altura, anche per il rinnovamento delle libertà di vita nell’indebolirsi dei legami di servitù.

Nel 1450, secondo una pergamena dell’archivio municipale serviglianese, si riottenevano i Piani di S. Gualtiero.  Il 16 giugno 1450 Ser Antonio Marini procuratore delegato dal consiglio del Comune di S.  Vittoria, alla presenza del podestà Tommaso De Spiccolis da Ancona, dichiarava i confini con il comune di Servigliano, a cui, per richiesta dei Priori fermani, rilasciava i Piani di S. Gualtiero con ogni diritto e potere reale e personale utile. I Capitani della città di Fermo avrebbero garantito che tale concessione non venisse contestata o turbata.

Nove anni dopo il Comune acquistava anche il territorio di Chiarmonte. Il Comune dunque si ampliava e potenziava, mentre la popolazione era in aumento. Ormai il vecchio mulino non era più sufficiente a soddisfare il fabbisogno, si volle provvidere con il costruirne uno nuovo. Il 24 giugno 1474 la comunità di Santa Vittoria dava consenso a Servigliano per l’uso delle acque del Tenna nel nuovo mulino da costruirsi. E’ probabile che fosse ubicato nella zona del Tenna che oggi conserva il nome di contrada Molino.

Alessandro VI si premurò che Servigliano fosse tutelato da Fermo e riuscì nell’intento (Fermo Pergamene nn. 1521 e 1519). Per concessione del pontefici dell’epoca, dall’anno 1570 al 1575 Servigliano fu reso indipendente da Fermo, collegato direttamente con Roma, assieme con Falerone, Loro Piceno, Montottone, Ponzano, Petritoli, Altidona, Massignano (Fermo pergamena n. 168).

Secoli di sviluppo. Nella pacificazione generale dello Stato Pontificio, seguendo l’ordinaria amministrazione secondo lo statuto dello Stato di Fermo, Servigliano era provveduto di strade, servizi, insegnante di scuola e medici nei secoli XVI e XVII.  Nel 1761 sul colle dove si ergeva il castello ebbero a manifestarsi paurosi crolli mal rimediabili di molte abitazioni a motivo delle frane del colle stesso. Dopo ripetute opere di contenimento, come vedremo, verrà ricostruito nella pianura, dove sorge attualmente.

A Servigliano vi erano varie chiese nelle contrade e ne resta memoria nella toponomastica. Nella parrocchiale di San Marco evangelista, patrono del paese, si veneravano le reliquie di san Serviliano martire che, dalle Catacombe di Roma, nel 1650 venne estratto e successivamente donato a questa chiesa. Qui giaceva pure il corpo di san Gualtiero abate di un monastero serviglianese.

Nella vita di San Gualtiero edita nel 1761 dal Gualtieri si legge che la Torre, ad uso campanile, era talmente ben formata, che dopo quella della Metropolitana di Fermo, fabbricata di marmi, si crede che non ve ne sia un’altra migliore nella provincia della Marca, e nella strada romana. Questa antica strada romana fermana, attraversando il paese vecchio di Servigliano, congiungeva la via Salaria con Fermo nel tracciato collinare.

Il Gualtieri narra che nel nostro paese vi erano molti sacerdoti eminenti per virtù e  per sapere, alcuni dei quali furono occupati nei dicasteri ecclesiastici romani. Non mancavano  famiglie notabili nel ramo civile e in quello militare, con persone distintesi nella giurisprudenza, nella medicina e nelle varie arti liberali, che in patria e fuori, hanno tenuto alto il nome di Servigliano.

Il nuovo castello. Sin dal 1758 si fecero opere di contenimento sui versanti del colle franoso. Una lunga corrispondenza ed anche colloqui diretti hanno preparato ed elaborato la decisione del papa Clemente XIV di ricostruirlo in un altro sito nel 1772.  L’autorevole intervento del cardinal Urbano Paracciani, arcivescovo di Fermo, fu efficace. Fu necessaria l’evacuazione delle case e l’emigrazione verso paesi vicini.

L’architetto Virginio Bracci, inviato dalla Congregazione di governo come esperto tecnico, redasse la relazione, suggerendo la realizzazione di un nuovo progetto. Il papa Clemente XIV, redasse il chirografo esecutivo il 9 ottobre 1771, e l’originale del Chirografo tramite l’arcivescovo di Fermo, fu consegnato a Servigliano il 30 ottobre. Lo stesso cardinal arcivescovo suggerì ai Serviglianesi di cambiar nome al loro castello da Servigliano a Castel Clementino come segno di gratitudine al generoso Pontefice. Già nel 1777, a tempo di Pio VI,  era compiuto il perimetro con le abitazioni, mancava la casa comunale.

Clemente XIV. Il Card. Lorenzo Ganganelli dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali,  nato nel 1705 a sant’Arcangelo di Romagna, fu eletto papa, nel 1769. Favorì lo sviluppo dell’agricoltura, dando inizio al prosciugamento delle Paludi Pontine. Morì nel 1774 dopo cinque anni di pontificato. Non potette vedere effettuata questa opera. Infatti il nuovo castello solo nel 1777 iniziò la sua vita. Alla sua memoria, sul fastigio della porta nord del paese, detta porta Clementina, venne collocata l’epigrafe che traduciamo dal latino: “Clemente XIV pontefice Massimo diede il nuovo castello agli antichi abitanti di Servigliano perché profughi dal paese a causa dello smottamento del suolo e delle case.  Diede anche il nome al castello”. “Clemens XIV. Pontifex Maximus \ veteribus incolis Serviliani \ ob solum domosque fatiscentes \ patria extorribus \ novum oppidum et oppido nomen \ dedit”.

Pio VI successore, card. Angelo Braschi di Cesena (Forlì) venne eletto Papa nel conclave del 1775. Dati i tempi particolarmente burrascosi per le guerre, ebbe a fronteggiare lotte e contrasti di ogni specie. Lottò contro la prepotenza di Napoleone Bonaparte, che, a 81  anni di età, lo portò in esilio in Francia dove morì il 28 agosto 1799. Fu PIO VI a completare  la costruzione di Castel Clementino. Una nobile lapide  sulla porta di mezzogiorno, detta Porta Pia, reca l’iscrizione qui tradotta. “L’opera del nuovo castello, iniziato per ordine di Clemente XIV, fu compiuta per la massima parte, con ingente spesa dal pontefice massimo, Pio VI, con straordinaria liberalità verso i Serviglianesi”. “Opus novi oppidi \ Clementis XIV iussu inchoatum \ Pius VI Pont. Max. \ singulari in Servilianenses \ liberalitate maximam partem \ ingenti sumptu absolvit.

Virginio Bracci. Questo  architetto, ingegnere idraulico, nacque a Roma nel 1737, morì nel 1815. Aveva 32 anni, quando nel 1769 venne inviato a ispezionare le frane di Servigliano, come esperto nelle scienze idrauliche. Elaborò il piano per fare nuovo Servigliano e lo presentò il 23 novembre 1769. Clemente XIV provvide alla realizzazione. Dal 1773 al 1863, Servigliano portò il nome di Castel Clementino in onore del suo nuovo fondatore.

Il saccheggio di Castel Clementino. Nel 1799 anche Servigliano era sotto la dominazione francese. Comitati di insurrezione erano organizzati dai militari napoletani nel territorio fermano, contro gli occupanti francesi. Il brigadiere napoletano Clemente Navarra, (nativo di Servigliano) al servizio del Re Ferdinando IV di Napoli, stabilì una piccola truppa a Paese Vecchio, posizione topografica strategica per organizzare un movimento antifrancese. Ecco un proclama in nome di Ferdinando IV. “ Ergete la fronte popoli generosi del Piceno! Eccovi il felice momento di ravvivare la vostra santa religione, di dimostrare il vostro attaccamento al Sovrano e di sottrarci a questa anarchia, che sì barbaramente ci opprime.  Io vi chiamo a difendere la causa comune, affidati in Dio, ne’ grandi alleati, nel coraggio avito! Gli abitanti tutti siano preparati a prendere le armi, al suono delle campane a martello; ad accorrere al bisogno, semmai truppa nemica ardisse attaccarci, avvertendo che quel paese che tardasse ad accorrere, sarà dichiarato ribelle, e come nemico della patria militarmente castigato ! Fatto dal Quartiere Generale di Servigliano, questo dì 26 maggio 1799. Il Conte Clemente Navarra – Brigadiere delle truppe arruolate in massa Napoletane e Pontificie”. Il parroco di Curetta era del tutto contrario a questa insurrezione.

I francesi ed i Cisalpini di guarnigione del Dipartimento del Tronto, saputo ciò, reagirono immediatamente, muovendosi da Fermo nottetempo dal 27 al 28 maggio, con i giovani arruolati a forza, lungo il fiume Tenna, in marcia verso Castel Clementino, distante 25 km., lungo un sentiero di terra, lungo il fiume.  La colonna franco-cisalpina sull’alba del 28 maggio 1799 fece una breve sosta nella cosiddetta “Osteria di Falerone” (oggi Piane di Falerone) poi avanzò rapidamente, avendo per primo obiettivo il “Molino”, dove si sapevano riuniti alcuni degli Insorgenti. Venne subito aggirato e preso d’assalto, con quanti vi erano dentro. Il giovane figlio di Clemente Navarra, nell’estremo frangente, cercò uno scampo fuggendo a cavallo verso il fiume. Ma, raggiunto in un angusto viottolo, fu fatto segno vari colpi di fucile poi di baionetta fino a che cadde col petto squarciato. I militi dei francesi, superata la ripa destra del Tenna, occuparono il convento dei Minori Osservanti, posto fuori del quadrato cittadino, poi si impadronirono della “Porta Marina”, proprio di fronte al convento. Gli abitanti fuggirono. La truppa d’assalto, nell’ebbrezza della conquista, incominciò una vera caccia ai pacifici cittadini ed ai cosiddetti aristocratici clericali. Le case quasi tutte vuote, (primo fra tutti il palazzo Navarra posto nella piazza davanti alla chiesa), furono prese di mira. Compiuta l’opera smaniosa del saccheggio e di stragi, a tarda sera abbandonarono il paese e, esultanti di gioia, ripreso la marcia verso Fermo, dopo aver razziato cavalli e muli dei dintorni. Il giorno seguente gli abitanti rientrarono in paese, raccolsero i molti feriti e i sei morti, vittime di quella “giornata rossa” del giovane Castel Clementino.

Nel regno dei Savoia. Servigliano seguì poi le varie vicende dello Stato Romano pontificio fino al 1860, anno in cui entrò a far parte del Regno d’Italia. Il 6 febbraio 1861 “ Castel Clementino” nella persona di Giuseppe Filoni presidente Municipale e Gaetano Vecchiotti e Sebastiano Orazi, inviavano un proclama di solidarietà a Fermo contro cui era stata decretata la soppressione della Provincia. Il proclama era fatto congiuntamente con il sindaco di S. Vittoria, Pietro Lamponi, con il sindaco di Nontefalcone, Giuseppe Felici e con quelli di Smerillo, di Montelparo, di Monsampietro Morico, di Monteleone.

Secolo XX: i campo prigionieri della grande guerra. Nel 1915, anno in cui l’Italia entrò in guerra contro l’Austria Ungheria, venne costruito a Servigliano il “campo prigionieri di guerra”, successivamente adibito, nel secondo dopoguerra a “Centro Raccolta Profughi”. Il luogo scelto fu l’immediata periferia del paese stesso, a lato della strada per Amandola. Vennero espropriati circa tre ettari di terreno e vi costruirono più di 40 baracche di legno, ognuna dell’ampiezza di 50-60 metri quadrati, oltre a tutti gli altri numerosi locali per servizi e alloggi dei militari di vigilanza al Campo. Il primo comandante del Campo fu il Ten. Colonnello Antonio Simoni da Firenze; per l’assistenza religiosa si ricorda il Sac. Marcello Mimmi, che in seguito fu Arcivescovo di Bari e Cardinale.

I prigionieri erano di nazionalità austro-ungarica, turchi e  serbi. Ve ne morirono 22. I loro cadaveri furono sepolti nel cimitero comunale del paese. Il campo fu definitivamente sgombrato e chiuso nel mese di dicembre del 1919.

Anche durante il secondo conflitto mondiale (1939-1945) il campo ospitò dapprima 300 prigionieri greci, poi i prigionieri inglesi e americani. Dopo l’armistizio (pubblicato l’8 settembre 1943) i prigionieri alleati temendo di essere catturati dai tedeschi, fuggirono nascondendosi nelle campagne, soccorsi dalla buona popolazione marchigiana. Alloro vi furono internati gli ebrei destinati allo sterminio.

Finita la guerra questo Campo ebbe la funzione di raccolta “Profughi Civili”. Prima vi dimorarono 800 soldati polacchi, ivi ospitati per un corso di addestramento, poi arrivarono 1300 profughi croati, qui rifugiati perché perseguitati da Tito. Dopo il 1947 vi affluirono i profughi di territori ex-italiani, Venezia Giulia, Istria, Fiume, Pola, e dintorni. In tutto passarono nel campo di Servigliano da 40 a 50 mila profughi.

Demografia storica. Nel 1656 Servigliano aveva 1101 abitanti; nel 1827 questi erano 1741; nel secolo XX: anno 1901 ab: 2733; nel 1961  ab: 2854; nel 1970 ab: 2593. Oggi la popolazione conta circa 2400 abitanti.

UOMINI ILLUSTRI

Suor Angela Benedetta Buongiovanni. Nel monastero delle Clarisse in San Tommaso di Potenza Picena visse questa serva di Dio di cui è stato celebrato il processo diocesano per la beatificazione, interrotto dall’occupazione napoleonica nello Stato Pontificio. Rimase il senso di venerazione verso suor Angela Benedetta con la fiducia nella sua valevole intercessione. Era nata a Servigliano il 23 giugno 1640. Sua madre era Maria Jaffei e il padre Carlo Buongiovanni, Capitano. Le notizie della vita ci sono offerte dagli atti del processo diocesano (in archivio arcivescovile) celebrato ufficialmente. Risulta che fu favorita di doni carismatici sin da fanciulla.

P. Giovanni Curi. La Pontificia Università Gregoriana, una delle istituzioni veramente internazionali nel campo della cultura, aveva come professore di Teologia Dommatica dal 1829 al 1832, P. Giovanni Curi, nato a Servigliano 13 dicembre 1771. In seguito vi insegnò anche Teologia Morale (dal 1834 al 1842) ed Istituzioni di diritto canonico dal 1839 al 1840. La sua cultura era vasta e profonda, anche la sua umanità era ricca. Giovane di umili origini fece gli studi a Fermo e si trasferì a Roma per approfondire la teologia. Don Giovanni aveva anche una memoria formidabile. Ritornato a Fermo per insegnare fu nominato canonico, ma vi rinunciò spontaneamente per dedicarsi alla predicazione.  Predicava con tanto ardore  che, quando predicò a piazza Navona, andò ad ascoltarlo lo stesso pontefice Leone XII che lo volle come suo confessore. Morì il 20 maggio 1846. E’ il prozio di mons. Augusto Curi, arcivescovo di cui parliamo nel seguito.

Luigi Vecchiotti. Servigliano ha dato i natali a questo insigne musicista del secolo XIX. Vi nacque il 2 maggio 1804, e, fin dall’infanzia, dimostrò grande amore per la musica, iniziando a otto anni, con un maestro locale.  All’età di 11 anni, fu affidato dal padre ai Padri Filippini di Fermo, presso i quali imparò la filosofia, e si perfezionò nella musica. Fu allievo di P. Stanislao Mattei, il quale fu maestro anche di Rossini e di Donizetti.  A 20 anni il Vecchiotti compose la farsa “La fedeltà in pericolo”. A Urbino venne nominato Direttore della cappella musicale. Scrisse moltissimi testi musicali, conservati in gran parte  a Urbino e nell’archivio della santa casa di Loreto. La sua unica opera a stampa è una Messa per banda composta nel 1840. Il suo capolavoro, inedito, è la grande Messa funebre composta  per i caduti della battaglia di Castelfidardo, evento emozionante cui assistette dall’alto di una torre di Loreto. Questa Messa musicata fu eseguita, per la prima volta, per le esequie sue il 10 febbraio 1863. Spentosi a Loreto, fu sepolto nella navata laterale sinistra dello stesso santuario, onorato di una lapide. A Servigliano lo ricorda un’iscrizione  sotto il suo busto in marmo, nella sala consiliare del comune. Al suo nome è dedicata la Scuola Media e la Via dove sorge il palazzo di sua abitazione.

Mons. Augusto Curi. Nato a Servigliano il 15 agosto 1870 e compiuti brillantemente gli studi a Fermo, nel 1894, veniva ordinato sacerdote. Insieme con mons. Luigi Capotosti (poi cardinale), con mons. Domenico Artesi e con mons. Giovanni Cicconi, promosse il periodico “La voce delle Marche” un giornale battagliero.  A Fermo svolse molteplici attività; fondò una Cassa Rurale, favorì gli Istituti di Credito ed Opere Pie, diede assistenza ai vecchi poveri, agli artigianelli, alle fanciulle del popolo.  Il papa Benedetto XV lo nominò vescovo delle diocesi di Cagli e Pergola nel 1918. In seguito arcivescovo di Bari, dal 1925, dove morì nel 1933.

Amarinto Camilli. Questo studioso che, dal 1912, faceva parte dell’Associazione Internazionale di fonetica (ne fu consigliere, e vi rappresentava l’Italia) era nato a Servigliano il 13 dicembre 1879. Studente in medicina a Roma, ben presto preferì gli studi che egli sentiva in sé, come un imperioso stimolo dell’anima: fonetica, metrica, lingue, letteratura, filosofia. E li seguì con intensità e passione. Per guadagnarsi da vivere fu insegnante avventizio, correttore di tipografie, revisore dei manoscritti, trascinandosi tra stenti e difficoltà economiche. A Firenze, dopo il 1930, trovò il suo ambiente ideale, dove poté vivere apprezzato, e circondato da amici e di estimatori fedeli. Fu segretario di redazione della rivista  “Letterature moderne comparate”. Lavorò negli ultimi anni all’Accademia della Crusca. Fu amico di Ernesto Monaci e di Benedetto Croce; della cui stima si sentiva orgoglioso. Numerosi e pregevoli sono gli scritti da lui pubblicati, tra cui  ”I fondamenti della prosodia italiana“ ed il trattato di “Prosodia e metrica latina”  opere originali, tuttora valide.

Suor Maria Liberata Isidori. Nata a Servigliano nel 1889, Suor Maria Liberata Isidori, “Pioniera tra i Lebbrosi” per 34 anni e “Stella della Solidarietà Italiana” del consolato d’Italia del Brasile, operò nel lebbrosario di Santa Fé, volendo dedicare tutta la sua vita all’attività missionaria.

Chiese

La nuova chiesa Parrocchiale di San Marco Evangelista, patrono del paese, fu iniziata a Castel Clementino nel 1774 e portata a termine nel 1779, come si legge nella lapide ovale posta sul presbiterio della chiesa stessa.  Il campanile è quadrato col lato di metri 7,20 ed un’altezza totale di m. 40. La Chiesa ha una facciata a tre navate. L’interno della chiesa a spaziosità ampia e proporzionata tra la lunghezza e l’altezza. Nel presbiterio il dipinto dell’Ultima Cena. Ciascuna delle parete laterali ha tre cappelle con dipinti dei pittori  Alessandro e Filippo Ricci di Fermo, dell’anno 1779. A lato della navata centrale, a sinistra, la Cappella del Crocifisso, con opera lignea del secolo XVII.

Fuori dell’incasato di Castel Clementino, nel Borgo, la chiesa detta dei Frati o di Santa Maria del Piano, annessa all’ex-convento dei Minori Osservatli. Sono edifici demaniati, proprietà del comune serviglianese.

Nella Parrocchia di Curetta, la chiesa di Santa Maria delle Piagge, fu iniziata nel 1784 ed arredata con i dipinti della chiesa della Madonna della Consolazione, provenienti dal convento degli Agostiniani, presso Paese Vecchio

Il bicentenario.

Per avviare le feste del bicentenario di Castel Clementino, dopo la pubblicazione dell’architetto Dante Tassotti “Servigliano, un singolare episodio di storia edilizia” (Roma 1961); il parroco don Giuseppe Oreste Viozzi compilava i “Cenni storici su Servigliano” (Fermo 1968) e il prof. Gabriele Nepi “Storia dei comuni Piceni, III, Servigliano” Fermo 1971.

Si avviarono i festeggiamenti bicentenari inventando  la “Giostra degli anelli”  portata ad esecuzione con Cesare Leombruni presidente della Pro Loco serviglianese, assieme con altre Pro loco coordinate dal presidente prof. Gabriele Nepi. Cavalli e costumi furono procurati dal sig. Emilio Mordente. Dal 1969 per tutti gli anni successivi questa manifestazione è restata e resta come gradita e appassionante manifestazione estiva..

Ecco il primo “Bando” scritto dal prof. Gabriele Nepi:    “Genti festosamente accorse nel novello castello, mirabilmente eretto per accogliere quanti abbandonarono le dirute case del fatiscente Servigliano vecchio, sito a monte, ascoltate !   I Magistrati di questa alma città, col consenso dei Priori di Fermo e del vicario del munifico Comitato Fermano, invitano oggi tutto il contado, onde celebrare ad onore della Santa ed Individua Trinità e dell’evangelista San Marco nostro almo patrono, il Torneo Cavalleresco di “Castel Clementino”.  Popolo ! Sia noto a tutti che il Consiglio ha decretato doversi questa Magnifica Comunità appellare con novello nome di “Castel Clementino”, in onore di Sua Santità, il nostro munificentissimo sovrano Clemente XIV per Divina Provvidenza Papa. I Magistrati e Priori, col soprammentovato Torneo, vogliono tributare un degno ricordo a li cavalieri della Serenissima Repubblica Veneta, li quali, tornati nella Patria, dopo aver con valore combattuto contro il Saracino, nemico di Nostra Santa Religione e del Nome Cristiano, appellarono col nome di San Marco questa nobile terra, onde sorse poi il Castello di Servigliano.    Come allora le moltitudini accorrevano a questo piano pittoresco, al limitare del bosco, in una prateria attorno a cui, da ogni lato, il terreno si eleva dolcemente a guisa di anfiteatro, così oggi, sulla piazza che si estende nell’antica prateria, è bandito un Torneo Cavalleresco, entro queste solenni mura, erette di recente.

Terra di San Marco, sorgi ! Mostra la tua prodezza e il tuo valore !  Mentre con onore gli ardimentosi cavalieri si cimentano nella Giostra dell’Anello per la conquista del Palio, il popolo tutto con dignitosa condotta assista, senza recare veruna molestia a li prodi competitori e a li cavalli.  Dato nella civica residenza di Castel Clementino a dì 15 giugno 1769, per ordine del Munificentissimo Gonfaloniere”.

Articolo pubblicato nel quotidiano “Il Messaggero” del 15 giugno 1969

Per la prima volta a Servigliano il “ Torneo Cavalleresco Castel Clementino”

Per iniziativa di un comitato promotore avrà luogo a Servigliano una manifestazione folcloristica a carattere religioso popolare denominata 1° Torneo Cavalleresco Castel Clementino”.    Tale manifestazione (…) vuole rievocare gli albori della cittadina del Fermano, ricostruita nel 1771 con chirografo del munifico papa Clemente XIV al cui onore per volontà della riconoscente popolazione mutò il nome in quello di “Castel Clementino”.    Solo successivamente (…) con l’avvento dell’unità d’Italia, il nome fu sostituito con quello primitivo ed originario di “Servigliano”.

La rievocazione storica inizierà a mezzogiorno in punto, con la benedizione del Palio sul sagrato della Parrocchia di San Marco e con la lettura,alla presenza dei cavalieri e dame dei quattro rioni, dei notabili e della popolazione castellana, del bando di cui abbiamo parlato.     Nel pomeriggio, poi, alle 16,  ”personalità, messeri, dame, cavalieri giostranti, figuranti vari ed armigeri, sbandieratori e tambureggiatori” con il fastoso corteo, si porteranno dalla Piazza centrale al “ campo dei giochi”.

Proclamato, quindi, dall’apposita giuria il Cavaliere vincente e consegnato il Palio alla dama del suo rione, dinanzi al palco delle autorità e comparse, il Torneo si concluderà con la sfilata e il ritorno in piazza, per la custodia del Palio nel Palazzo Civico e lo scioglimento della manifestazione tra il prevedibile entusiasmo del rione vincente.

La notizia della manifestazione che si svolgerà quest’anno per la prima volta nella imminenza del bicentenario della ricostruzione del paese, è stata accolta con vivo piacere a Fermo e nei centri disseminati lungo la verde vallata del Tenna.

Gli encomiabili e, perché no ?, coraggiosi organizzatori credono nella piena riuscita di questo “Torneo cavalleresco”, soprattutto per la felice ed armonica configurazione del capoluogo, per la spaziosità nella piazza quadrata (quasi un salotto), per l’idonea attrezzatura e la notevole estensione del campo sportivo che ospiterà la giostra e infine, per l’intervento particolarmente gradito, degli sbandieratori della “Quintana di Ascoli Piceno” e dei “Tamburini di Monterubbiano”.  (Danilo Interlenghi )

(Aggiunta) Per altre notizie: PACI, Fabio, “Servigliano, città del papa. Guida storico-turistica” (Servigliano 2003) in italiano, inglese, tedesco, arabo.

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