FERMO notizie scritte da Nepi Gabriele autore della storia del comuni Fermani

FERMO di Gabriele Nepi

Stemma. Scudo inquartato con croce d’argento in campo rosso nel primo e quarto e con aquila nera in campo d’oro nel secondo e terzo. Lo scudo è sormontato da un elmo argenteo cimato da corona di conte guarnita di perle. Dalla corona si eleva un braccio, vestito di rosso, che impugna una palla del medesimo colore la quale sta a significare il distintivo del Mero e Misto Impero concesso da Gregorio XI alla città di Fermo nel 1241 e nel 1242 confermato dall’imperatore Federico di Svevia. In un nastro svolazzante è la legenda araldica Firmum firma fides romanorum colonia che ricorda la fedeltà verso Roma, serbata dagli antichi cittadini di Fermo quando era colonia latina.

Cenno storico – Origine picena di Fermo

Non è facile stabilire la data precisa della fondazione di Fermo. Recenti scavi effettuati nel 1984 e nel 2000 in contrada Mossa, tra viale Trento e via Ottorino Respighi, hanno portato alla luce nuove tombe picene ricche di suppellettili (fibule, rasoi lunati, armille, pendagli, ambra, asce in ferro e altro). In precedenza nel 1956, nella zona dell’ospedale Civile, erano venute alla luce tombe di tipo villanoviano, alcune ad incinerazione, altre ad inumazione indicative di una vasta necropoli. Altri rinvenimenti erano affiorati nel 1908; tra essi un elmo conico di tipo italico, ora al Museo di Ancona e un elmo crestato di tipo etrusco. Dalle suppellettili ritrovati si evince che nove o otto secoli prima di Cristo vi era Fermo un insediamento umano costituito dai Piceni i quali come ci narrano i classici latini e greci  erano venuti dalla Sabina per voto della primavera sacra (voto vere sacro) e si erano insediati a sud e al Nord del Tronto, fondando Fermo, Potenza, Teramo, Giulianova, e altri insediamenti. Essi erano guidati dal Picchio, uccello “totem” (pico ave duce) che diede il nome alla regione (unde nomen genti). Il voto della primavera sacra, consisteva nell’offrire a agli dei tutto ciò che sarebbe nato nel periodo tra il 1° marzo e il 30 aprile. Ad essi venivano offerti caprini, ovini, bovini, suini; i bambini nati in quel periodo, non venivano immolati, ma, raggiunta l’età adulta, erano spinti fuori dal territorio di origine e dovevano cercarsi nuove sedi. Alcuni di tali Sabini, che erano venuto dal territorio Reatino, furono chiamati Piceni quando, costeggiando il Tronto ed altri fiumi, si spinsero all’interno e si stanziarono sul colle Sabulo, che sarà, poi, denominato Girfalco Fermano. L’antichità è comprovata da: 1)- alcune monete (aes grave) con l’iscrizione FIR (MUM), molto diverse dalle monete romane; 2)- un passo di Velleio Patercolo, di cui si è fatto cenno, che parla di occupazione di Fermo all’inizio della prima guerra punica. Non si poteva certo occupare la città, se non esisteva. 3)- Le mura preromane, anteriore al 264 a. C., costituite da possenti blocchi, visibili in alcune parti della città. Notevoli quelli nei pressi dell’abside della chiesa di San Gregorio e quelli sottostanti il palazzo del Comune in via Vittorio Veneto. Dalla collina e dalle mura si ebbe il nome Fermo, nel senso di stabile e saldo, nome che ricorre spesso negli autori greci e latini: è il Firmun Picenum è distinto da Firmum Julium e Firma Augusta nella Spagna.

Periodo romano –  Con il passar del tempo l’insediamento Piceno si andava sviluppando. Lo documentano la cerchia di mura preromane e la prima cerchia romana e, la successiva cerchia augustea, quando la città si sviluppò notevolmente per l’arrivo delle famiglie dei veterani messi a riposo da di Augusto. Fermo, castrum vocabulo et natura firmum, come dice Liutprando, costituiva un caposaldo inespugnabile non solo per il nome, anche per la natura del luogo. Nel 280 a.C. vennero a svernare a Fermo le truppe romane battute da Pirro sul Siri (oggi Sinni, in Lucania) e l’anno dopo da qui ripartono per combattere nuovamente contro lo stesso re. Nel 264 i romani che, quattro anni prima, avevano sottomesso i Piceni, deducono a Fermo una colonia con diritto di battere moneta. È la prima colonia romana, quella di cui parla Velleio Patercolo.  Fermo partecipa alla prima e seconda guerra punica, con l’invio di armi ed armati. Nella prima guerra, manda marinai a Caio Duilio e ad Attilio Regolo; nella seconda guerra, mentre  altre colonie latine si ribellavano, Fermo è tra le diciotto che rimangono fedeli a Roma e combattono contro Annibale. E’ il 207 a.C. ed a tali fatti si riferisce il motto dello stemma della città Firmun firma fides Romanorun colonia (Fermo dalla ferma fede, colonia dei Romani). Nel 190 a.C., nella guerra contro Antioco terzo, re di Siria, alcuni Fermani compirono prodigi di valore, per cui i Romani vinsero alle Termopili. Un’altra corte romana si coprì di gloria a Pidna, nel 170 a.C. nella guerra contro Perseo, re di Macedonia. Non a tutti è noto che nella guerra sociale (91 a.C.) la prima scintilla, anche se indiretta, partì da Fermo. Infatti il proconsole romano Caio Servilio, che risiedeva a Fermo, si reca in compagnia del suo legato Fonteio ad Ascoli, avendo sentore di ribellione e per avere notizie di un ostaggio. La popolazione era riunita a teatro per una cerimonia. Al vedere i magistrati romani  fu tutt’uno nello scagliarsi contro di loro e di ucciderli. È lo scoppio della guerra sociale. Il Senato manda allora un esercito al comando di Pompeo Strabone, in esso militano anche il figlio di costui, il futuro Pompeo Magno, ed il giovane Cicerone. Strabone è sconfitto e si ritira a Fermo che viene subito assediata da Afranio e Ventidio. Roma spedisce un altro esercito che, giunto a Fermo sorprende alle spalle gli assediati. Questi, presi tra due fuochi, in conseguenza di una sortita di Strabone, aiutato dai frombolieri Fermani, si danno alla fuga, inseguiti, si ritirano verso Ascoli che viene anch’essa assediata e poi espugnata. Nell’assedio c’è Catilina oltre Cicerone e Pompeo Magno. È il 25 dicembre dell’anno 89 a.C. I Fermani ottengono la piena cittadinanza romana. Cicerone li chiama fratelli e grande è l’amicizia con la famiglia di Pompeo. Gneo Pompeo Magno possedeva, a Fermo, terre e ville come ci attesta Cicerone (Filippica XXIII); esiste ancor oggi la strada “pompeiana” e sembra che la casa di Pompeo fosse entro la città, nei pressi dove è ora la chiesa di San Domenico. Quando Pompeo combatté contro Carbone e contro il pretore Censorino a Senigallia, nell’anno 85 a.C. i Fermani fecero parte della sua legione. Nell’anno 83 a.C., Silla, vittorioso sul re del Ponto, riunisce a Fermo le truppe per fronteggiare ben quattro eserciti speditigli contro dal partito di Mario. Due di essi venuti attraverso la Salaria, sono subito sconfitti; gli altri due, accampati nei pressi di Urbino, vengono sbaragliati. Nel 49 a.C. dopo il passaggio del Rubicone e, dopo aver conquistato Pesaro, Fano, Ancona, Osimo, Cesare nella sua marcia nel Piceno, prende Fermo; si reca poi a Castrun Truentinum, quindi si dirige in Ascoli per fare rifornimento. Nel De bello civili (lib.I cap.XV) dice testualmente: “dopo aver preso Fermo e averne cacciato Lentulo, prosegue per Ascoli dove si ferma un giorno per rifornirsi di grano”. Nella guerra contro Marco Antonio nel 45 a.C., i Fermani si distinsero inviando soldati e denaro, talché furono lodati da Cicerone, in pubblica seduta del Senato, dicendo: “sono da lodare i Fermani che sono stati i primi ad disporre aiuti in denaro. Nel 82 d.C. Fermo è in lite con Falerone per territori di confine. L’imperatore Domiziano decide a favore di Falerone e ciò è attestato da un decreto, inciso sul bronzo, e ritrovato nel 1593 nei pressi del teatro romano di Falerone.   Plinio il giovane era il difensore di Fermo nella causa intentata da Falerone e ciò su invito del giureconsulto fermano Sabino. Plinio sebbene oberato da impegni accettò di essere difensore di Fermo, che viene da lui chiamata città ornatissima e splendida (splendens). Dopo Augusto ha luogo, nel 40 a.C. la costruzione delle Cisterne romane (di cui avanti), che servivano per deposito e di depurazione di acque destinate alla città ed al Navale Fermano. Alla storia romana si riferisce la Tavola Peutingeriana conservata a Vienna e che riporta le grandi vie dell’Impero Romano e le città più importanti. Fermo vi figura col toponimo: Firmum Picenum.

Il cristianesimo –  Le invasioni barbariche.  Nel II secolo d.C. viene predicato a Fermo il Vangelo e secondo notizie di sicura documentazione, nel secolo VI la città ha il suo vescovo nella persona di Fabio, ma secondo Harnak già nel III secolo esisteva a Fermo la sede vescovile. Seguono le invasioni barbariche; Fermo è conquistata nel 410 dai Visigoti di Alarico; tre anni dopo da quelli di Ataulfo. Più tardi, vi giunge Attila (452) re degli Unni, flagello di Dio.  Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476), Fermo fa parte del Regno Italico, creato dal re degli Eruli, Odoacre.  Dopo assassinato questi da parte di Teodorico, vengono gli Ostrogoti (496). Nel 526 Amalasunta dimora a lungo a Fermo, realizzandovi opere pubbliche. Allorché Belisario viene a vendicare Amalasunta, uccisa a Bolsena dal cugino Teodato, nel 535, si incontra a Fermo con Narsete ed altri comandanti greci per un consiglio di guerra. Fermo è assediata e di espugnata da Totila. Cade poi in potere di Teia, ultimo re dei Goti, che, alle falde del Vesuvio, è sconfitto da Narsete e la città torna nel 543 sotto il dominio degli imperatori d’Oriente. Nel 580 è conquistata dai Longobardi, i quali prendono prigioniero Passivo (futuro vescovo della città), riscattato dal vescovo Fabio. I Longobardi, dopo varie vicende, fra il 740 e il 763 pongono stabili dominio a Fermo, e nel Fermano, unendo tutto il territorio al Ducato di Spoleto e ponendovi un Gastaldo; al tempo di Desiderio, nel 770,  risulta il Ducato di Fermo con il duca, Tusguno o meglio Tasbuno. Quando Carlo Magno nel 774 vince Desiderio, gli abitanti di questo Ducato giurano fedeltà al pontefice. Carlo Magno nomina baroni i Fermani che hanno combattuto un suo fianco: Pipino  e il duca di Spoleto Vinigisso, passando per Fermo nel 781 per andare contro il Duca di Benevento Grimoaldo, arruolano nel loro esercito molti cittadini Fermani.

Comitato, Ducato, Marca.   Del Ducato di Fermo si ha notizia dall’iscrizione accennata e inoltre  dalla “Vita di Adriano” che narra come dopo la sconfitta dei Longobardi, gli abitanti del Ducato di Fermo, gli Osimani e gli Anconetani si rivolsero al papa Adriano per sottomettersi a lui. Fermo ebbe il Comitato all’avvento dei Franchi. Si ha notizia di un Lupo conte di Fermo in un placito del 776. Altro Conte, Rabenno è ricordato in una donazione delle 787 all’abazia di Farfa . Nel 953 in un diploma di Berengario II e Adalberto al Monastero di S. Michele in Barrea si legge “…. fra i nostri due ducati cioè quello di Spoleto e quello di Fermo” .

Nei diplomi dell’imperatore Ottone II e specialmente in quello in data novembre 983, diretto o al Monastero della Trinità, troviamo la formula “ nel ducato spoletino e marca fermana” (in ducatu  spoletino e markia firmana). Tale formula ricorre in tutto il secolo XI e la troviamo pure nel 1070 nella scomunica inflitta da Gregorio VII (Ildebrando di Soana) ai Normanni, i quali volevano invadere terre del patrimonio di San Pietro e cioè: Marca Fermana e il Ducato di Spoleto “videlicet Marchiam Firmanam et Ducatum Spoletanum”. Anzi, questi due nomi, erano ormai soltanto Ducato e Marchia intendendo con ciò Ducato di Spoleto e Marca Fermana.

Si andava intanto delineando la Marca di Guarnerio che nel secolo XII prende il nome di Marca d’Ancona. Nel secolo successivo, questa assorbe la Marca di Fermo. La fusione delle diverse Marche locali è totale e completa nel secolo successivo e sin d’ora i documenti parlano solo di Marca d’Ancona. Ottone IV nel concedere ad Azzo VII la Marca d’Ancona, specifica: “vi concediamo la Marca d’Ancona”, cioè Fermo, Camerino, Numana, ed Ancona. Onorio III nel 1217 concede ad Azzo VII la Marca Anconitana composta dalle città di Ancona, Ascoli, Numana, Fermo e Camerino . Lotario I nel 825 vi fonda uno Studio Generale e ciò torna ad onore di Fermo perché tali studi generali (Università) erano in tutta Italia soltanto nove, cioè Torino, Ivrea, Cividale del Friuli, Pavia, Cremona, Vicenza, Verona, Firenze e Fermo. Tale studio nel 1398 da Papa Bonifacio IX viene promosso come vera e propria università, fiorentissima nel medio Evo, (nel 1500 aveva 1200 studenti molti dei quali esteri), durò fino al 1826. Lo studio Fermano, eretto da Lotario era così importante che dovevano venirvi a studiare anche gli studenti del Ducato di Spoleto (et de spoletinis civitatibus conveniant). Nell’anno 896 Fermo è assediata dal re di Germania Arnolfo; questi, consacrato imperatore dal Papa Formoso, viene a Fermo che pone l’assedio alla città perché vi si era rifugiata la regina Ageltrude, vedova di Guido re d’Italia. Ageltrude si era chiusa nella rocca di Fermo, trovandola più sicura di quelle di Spoleto e di Camerino. Per liberarsi dall’assedio ogni giorno di più stretto, la regina, dopo avere corrotto un soldato, fece propinare al re una pozione narcotica che gli procurò un’encefalite letargica. Gli assediati, visto il loro re in tale stato e quindi incapace di condurre un assedio, levarono le tende lasciando Lamberto, figlio di Ageltrude, padrone dell’Italia. Nel 962 sosta a Fermo Ottone II che si reca in Puglia per combattere i Greci; nel 1050, molti sono i Fermani facenti parte dell’esercito di Leone IX, che combatte i Normanni; e nelle 1056 Fermo e il Ducato di Spoleto sono governati da Vittore II per conto di Enrico II, il quale conta appena tre anni. Nel frattempo i Normanni invadono la Marca Fermana fino a quando Roberto il Guiscardo nel 1080 la restituisce a Gregorio VII, tenendo però per sé la parte a Sud del Tronto. Il nome di Marchia Firmana ricompare come visto nelle bolle con cui Gregorio VII scomunica i Normanni. Nel 1095 Fermo ospita Papa Urbano II che qui predica la prima crociata.

Arrigo nel 1105 occupa le Marche e, di conseguenza Fermo, che poi, nel 1130, è riconquistata dai Normanni. Anno di libertà è il 1189 ! Fermo si costituisce a libero Comune con le leggi proprie e nomina a primo podestà, Baldo di Nicola.

Guelfi e Ghibellini – La zecca – Fermo domina dal fiume Potenza al Tronto.

Nella lotta tra Guelfi e Ghibellini, Fermo si schiera contro Federico Barbarossa; per tale motivo nel 1176 il cancelliere di questo imperatore, lo scomunicato arcivescovo di Magonza, Cristiano, mise a ferro e fuoco la città, distruggendo documenti e monumenti, bruciando la cattedrale e altre numerose chiese. La città è poi occupata nel 1192 da Enrico VI re di Svezia, figlio del Barbarossa; per mano di Marcualdo di Animuccio, il quale, ribelle a Innocenzo III che gli aveva negato l’investitura della Marca, semina ovunque rovine e morte. Ma sette anni dopo, nel 1199, la città ritorna reggersi a libero Comune con il Contado degli 80 castelli che costituiscono il suo Stato. Risale al 1200, la secolare amicizia tra Fermo e Recanati, sancita e documentata in una lapide sulla recanatese “Torre del Borgo” (sec.XIII), ove, sotto lo stemma campeggia la scritta: “Firmanae amicitiae documentum et pignus”. Sanguinosa nel 1202 era guerra di Fermo e castelli alleati (Torre di Palme, Poggio San Giuliano oggi Macerata), Morrovalle, Monte Lupone, Monte Santo (oggiPotenza Picena), Montegranaro, San Giusto, Osimo, Iesi) sostengono contro Ancona, S.Elpidio, Civitanova, Montolmo (oggi Corridonia), Recanati, Castelfidardo, Camerano, Montefano, Senigallia, Pesaro, Fermo e i suoi alleati, vincono. Si stipula la pace a Polverigi; i cittadini di Sant’Elpidio, che avevano diroccato Monte Urano, sono obbligati al risarcimento dei danni, previo accordo con Fermo. Nel 1211 Ottone IV concede ai Fermani alcuni privilegi fra cui quello di coniare monete e la piena giurisdizione sul litorale adriatico dal fiume Tronto al Potenza. Nessuno senza il permesso di Fermo poteva costruire edifici o fortilizi nella costa per la profondità di 1000 passi. Nel 1214, San Domenico, dopo un soggiorno a Fermo di due mesi, vi stabilisce l’ordine dei Domenicani. Nello stesso anno Fermo era ricondotta da Aldobrandino d’Este, Marchese della Marca, al partito guelfo; è governatore, per un biennio Guglielmo Rangoni di Modena. Ma Federico II ricostituisce il partito ghibellino nella Marca e ne nomina Rettore Rinaldo, figlio del Duca di Spoleto. Fermo gli si oppone e,  per sottrarsi ai ghibellini, nel 1224, elegge a Signore, il proprio Vescovo. La signoria di quest’ultimo dura fino al 1233. Fermo cerca di mantenersi neutrale tra Papato ed Impero. È del 1228 il trattato tra Fermo e Termoli che stabilisce modalità di dogana e di attracco nei porti dello Stato Fermano e  viceversa. Le navi di Termoli che esportano merci, possono attraccare solo nei porti di Grottammare e Porto San Giorgio. Fermo nel 1236, in ossequio alle disposizioni di Papa Onorio III, che ordinava di cingere di mura le città dello Stato Pontificio, portò a termine la possente rocca del Girfalco. Tale rocca viene poi distrutta a furor di popolo nel 1446. Come vedremo più avanti nel 1240, dopo un lungo soggiorno di San Francesco d’Assisi nella Marca, vengono a Fermo i frati minori. Nel 1250 è la volta degli Agostiniani e Fermo  riceve lustro e vanto per la presenza di padre Nicola da Sant’Angelo in Pontano, il futuro San Nicola da Tolentino.  Fin dall’alto medioevo  erano operosi Monaci benedettini Farfensi, ai quali tanto deve il Piceno. Era farfense  la chiesa del monastero di S. Pietro in Penna. Nelle lotte tra il Papato e l’Impero, (al tempo di Federico II), Fermo cerca di tenersi neutrale, affidandosi tuttavia al governo del Vescovo. Ma Federico II è troppo forte e Fermo è costretta a fare atto di sottomissione al sovrano, ricevendo in cambio il mero e misto Imperio , ossia la facoltà di giudicare le cause penali e civili, e la conferma del dominio sul litorale adriatico, dal Potenza al Tronto, già concesso da Ottone IV. Intanto Ascoli, nel 1240, è assalita e diroccata dalle truppe dell’imperatore il quale dopo essersi fermato alquanto a Monte Cretaccio – località nei pressi di San Benedetto del Tronto – pone i suoi accampamenti a Fermo. E’ con lui Pier delle Vigne il quale sarà  Judex nel Comitato Fermano.  Il documento che ne parla si trova a Todi. Vi si legge chiaramente che Pier delle Vigne fu a Fermo.

Nel 1242 Fermo si sottomette a Federico II, ma, quando costui è deposto per scomunica dal concilio di Pisa, Fermo, per opera del Legato Apostolico cardinale Ranieri, torna sotto il dominio dei papi che confermano ad essa il privilegio del 1242. Nel 1256 partecipa ad una lega contro il Rettore della Marca, e nello stesso anno se ne impossessa Manfredi che conferma diritti e privilegi già goduti. Sconfitto e ucciso Manfredi a Benevento, nello stesso anno 1256 Fermo torna sotto il papa Clemente IV. Si acuiscono, frattanto, le tensioni fra Guelfi e Ghibellini. I Ghibellini di Fermo, sono sconfitti nel 1270 dai concittadini Guelfi, e gli Ascolani che erano stati vinti dai Fermani nel 1246 nei pressi del Tronto, hanno la meglio sugli avversari nella pianura di Rivocelli ( San Marco alle Paludi) ma nel 1280 gli ascolani vincono sui Fermano accorsi a difesa di San Benedetto (del Tronto) allora chiamato San Benedetto in Albula. Le disposizioni di Onorio IV, che vietano ogni ulteriore lotta, pongono fine alle ricorrenti guerre tra Ascoli è Fermo. Nel 1275, si stabilizzano gli amichevoli rapporti tra Fermo e Venezia stipulati a scopo di mutua difesa, anche in funzione anti-anconitana. I Fermani combattevano a fianco dei Veneziani nella guerra contro Ancona, nella guerra che ebbe termine con la pace di Ravenna (1281) che sancisce la supremazia di Venezia in Adriatico.

Gentile da Mogliano – Il card. Albornoz – Fermo è la città più importante delle Marche.

Gentile da Mogliano, signore di Fermo, nel 1378 espugna la rocca che gli Ascolani avevano fabbricato a dispetto di Fermo, sul litorale dove sorge oggi Porto d’Ascoli. L’assedio era durato 40 giorni; vennero impiccati dai Fermani, 13 dei 75 difensori. Alcune pietre della rocca, che venne demolita, furono riportate come trofeo Fermo, dove tuttora si vedono murate nella torre della Chiesa di Sant’Agostino. Ed eccoci al tempo di Clemente V. La sede papale è in Avignone. I Ghibellini trionfano; i Fermani parteggiano per loro. Il papa dalla Francia minaccia di privare Fermo della sede vescovile ed del titolo di città, se non torna sotto la soggezione della santa Sede. Si decide di obbedire, ma improvvisamente sopravvengono i Ghibellini di Osimo, che uccidono i fautori del ritorno alla santa Sede e saccheggiano la città. Con le guerre sorgono intanto le Signorie. Nel 1355 il cardinale Egidio Albornoz, mandato dal Papa per recuperare lo Stato della Chiesa, pone a Fermo il suo “quartier generale” e ordina agli amministratori Comuni delle terre e dei castelli dello Stato Fermano di riunirsi a Fermo, per giurare nelle sue mani fedeltà alla santa Sede. Questa convocazione è interessante, perché fa comprendere la vastità del territorio e il dominio di Fermo sui castelli della zona, alcuni dei quali non esistono più.  Di questo periodo, e precisamente nel 1336, è la classificazione dell’Albornoz delle città marchigiane in maggiori  (maiores), grandi (magnae), mediocri (mediocres), piccole (parvae). Fermo con Ancona, Camerino ed Ascoli e Urbino sono le maggiori; mentre ad esempio Macerata e Pesaro seguono tra le minori. In questo periodo, la popolazione delle maggiori città è come segue: Fermo è la più popolosa e ha 10.000 famiglie; segue il Camerino con 8.000; indi Ancona con 7.000; poi  Ascoli con 6.000; Pesaro conta 2.500; Macerata 1.800. Del resto l’importanza di Fermo è dovuta al fatto che l’Albornoz vi aveva stabilito la Curia generale della Marca confermata poi da Gregorio XI nel 1372 e reiterata, mentre, ma invano era richiesta da Macerata. Di quest’epoca è l’aggiornamento dello Statuto la cui prima edizione verrà pubblicata nel 1507. In esso si codificano varie norme sui rapporti sociali, sulla parte amministrativa e sulla giustizia. Il potere legislativo è articolato in tre consigli: Consiglio di Cernita, composto da 24 consiglieri; Consiglio speciale, formato da 150 cittadini, eletti dal Consiglio di Cernita; Consiglio Generale, costituito da 300 persone,con i rappresentabti dei castelli, residenti a Fermo. Nello stesso statuto, è importante conoscere quanto è stabilito per la Cavalcata gli aveva luogo ogni 15 agosto (ferragosto), e si snodava lungo le vie di Fermo in onore della Vergine Assunta patrona della Città. Era tutto uno scintillio di elmi e di corazze; un garrire di gonfaloni ed orifiammi , un clangore di chiarine, un rullio di tamburi. Era anche questa, sebbene indiretta, la rassegna della potenza Fermana. Vi prendevano parte, paludati nei severi colori della magistratura o negli sgargianti costumi delle contrade e dei castelli dipendenti, gli ambasciatori, i priori, i magistrati, i donzelli. Primo fra tutti, sfilava il castello di Pedaso; seguivano, poi, gli altri, fra cui San Benedetto (del Tronto), Acquaviva (Picena) e persino Arquata (del Tronto). Gli arcieri a cavallo regolavano l’andamento del corteo. Per ultimi, sfilavano il Podestà, il Governatore, i Priori, i Magistrati. Lo statuto prevedeva, tra le altre manifestazioni, anche la corsa dei cavalli ed il gioco della Quintana. La più antica notizia certa del Palio e della Cavalcata risale al 1182, ma da alcuni documenti da noi rinvenuti sembra addirittura al 1149.

Rinaldo da Monteverde – Gli Sforza-

Nel secolo XIV ci furono frequenti epidemie. I Fermani nel 1375, capeggiati da Rinaldo da Monteverde, si ribellano al Papa e corrono in aiuto di Ascoli contro le truppe di Gomez Albornoz nipote del Cardinale Albornoz. L’anno successivo, assalgono il castello di Sant’Epidio (a Mare), asportandone la Sacra Spina, tuttora conservata a Fermo. Il papa invita gli Anconetani a muovere contro Fermo. Venezia, nemica di Ancona, scende a dare man forte ai Fermani. Successivamente questi, stanchi dei soprusi di Rinaldo da Monteverde, dopo varie peripezie riescono a catturarlo (grazie anche al tradimento di Egidio da Monte Urano) a Montefalcone, dove si era rifugiato con la famiglia ed alcuni fidi. Condotto a Fermo lo decapitano con i suoi figli. La moglie Luchina è salva per interessamento di un conte; è l’anno 1380. Al ricordo venne eretta una colonna con la scritta che ricorda Rinaldo: “ Tiranno sono pessimo e crudele \ solo pel mal fare di me e di Luchina \ cari miei figli pateste disciplina”.

Scorazzano intanto per le Marche e le compagnie di ventura dal 1382 al 1385  per evitare depredazioni e saccheggi, Fermo deve sborsare forti somme. Antonio Aceti, cittadino di Fermo, tenta nel 1395 di impadronirsi del potere politico; accorre al suo fianco il Conte di Carrara per opporsi a Biordo di Perugia che con 11.000 cavalieri era venuto a spodestare l’Aceti. Scoppiano l’anno successivo lotte intestine e papa Bonifacio, preoccupato, manda prima il Vicerettore, poi il Rettore della Marca a prendere possesso di Fermo per conto della Santa Sede. L’Aceti si dimette; ha in compenso il governo su Monte Granaro, mentre Fermo torna sotto il dominio papale. Negli anni dal 1348 al 1399 infuriano a Fermo pestilenze e di epidemie e la città fa voto, che, se sarà miracolosamente liberata dal morbo, costruirà una chiesa per devozione. Adempia tale voto con la elezione della chiesa di Santa Maria della Misericordia nel luogo dove sorge ora il palazzo dell’ex Sottoprefettura. Un “breve” di Bonifacio IX del 1388, conferma nella città la Curia Generale della Marca. Fermo accorre nel 1405 in aiuto dei Fiorentini contro Pisa. Li guida  Ludovico Migliorati, Rettore della Marca. Nel 1406 il nuovo papa gli toglie questa carica che egli però conserva con l’aiuto di Ladislao re di Napoli, nonostante le disposizioni pontificie. Tuttavia il Migliorati cade in eccessi e violenze, uccidendo anche Antonio Aceti, con suo figlio e con il fratello, rei solo di voler difendere i diritti della città. Migliorati è poi vinto da Filippo Maria Visconti. Eugenio IV invia Francesco Sforza, ma costui diviene tiranno e cacciato. La città, dal 1446 al 1502, è libera e autonoma, sotto l’alto patronato della Santa Sede. Nel 1456 Fermo da il suo contributo nella guerra contro i Turchi che infestavano le coste adriatiche inviando 3000 soldati, e sborsando nel 1464 l’importo per la manutenzione per sei mesi di una nave cristiana. Dona nel al Papa 3500 ducati d’oro e gran quantità di orzo e farina per i belligeranti. Nel Natale 1456 il cardinale Domenico Capranica, vescovo di Fermo, fonda a Roma un collegio, chiamato Sapientia Firmana o Collegiun Caparanicense, indi Almo Collegio Capranica, aperto con gratuità agli studenti poveri di Fermo e di Roma, aspiranti al sacerdozio. Da tale collegio, conosciuto in tutto il mondo ecclesiastico, uscirono prelati, cardinali e Papi, come Benedetto XV e Pio XII e altri.

Nuove guerre tensioni hanno luogo tra Fermo di Ascoli nel 1458 per il possesso di Montesampietrangeli. A Fonte Avellana, nel monastero dove si vuole abbia soggiornato Dante e da Lui immortalato nella Divina Commedia (3,21,109), si stipula finalmente la pace tra le due città. Ma ben presto Fermo è di nuovo in guerra con Ascoli nel 1491 per il possesso di Offida , e come se ciò non bastasse la popolazione è di nuovo falcidiata dalla peste che tra il 1400 e il 1496 miete undicimila vittime.

Oliverotto da Fermo e il Duca Valentino

Nel 1502 Oliverotto da Fermo, che voleva divenire signore della città, dopo essere stato eletto priore nell’anno prima della contrada Fiorenza, l’8 gennaio 1502, diede inizio per sete di potere, a una terribile serie di omicidi, tra cui quello di Giovanni Fogliani e Gennaro Fogliani, rispettivamente zio materno e cugino, di Raffaele della Rovere, cognato di Gennaro, di due suoi figlioletti,(uno dei quali è buttato dalla finestra in piazza, l’altro ucciso in braccio alla madre), di Pierleonardo Paccaroni e del figlio e di molti altri, confiscando i loro beni. Terrorizzata così la città, adunato il Consiglio Generale, si autoproclamò Signore di Fermo, dando inizio al Palazzo del Governo, attuale Municipio, nell’odierna Piazza del Popolo, demolendo la chiesina che vi era stata fatta costruire nel 1399, in un solo giorno, per voto della scampata peste. Nel maggio, marciò poi contro Camerino espugnandola ed uccidendo Giulio Cesare Varano e i suoi due figli, aiutando così il Duca Valentino, che, a tradimento, assaliva Guidobaldo da Montefeltro, togliendogli l’omonimo Ducato. Tornato a Fermo in agosto invitò a desinare Girolamo Azzolino e Paolo Labor, facoltosi cittadini fermani e, dopo averli fatti avvelenare entrambi, si impadronì dei loro beni e di quelli di altri ricchi concittadini aderì poi alla congiura della città di Magione (Perugia) ordita da Paolo e Francesco Orsini, Vitellozzo Vitelli e Giampaolo Baglioni. Quando se ne accorse, il Valentino li chiama a sé, con un pretesto, a Senigallia il 31 dicembre, e dopo aver arrestato i due, li fece strangolare; poi, li fece trascinare in camicia sulla piazza della città. E uguale sorte toccò il 18 gennaio a Paolo e Francesco Orsini a Città della Pieve. Fermo esultò per la morte di un tiranno, e data potenza del Valentino decise di nominarlo suo governatore, (1° maggio 1503); il Valentino mandò come suo delegato il conte Giacomo Nardini di Forlì. È eletto intanto Giulio II, papa di forte personalità. Fermo manda ambasciatori a congratularsi con lui e a donargli 1000 scudi d’oro. Il nuovo Papa ordina a Valentino di restituire le terre ai castelli occupati. Nel 1507 questi muore nell’assedio di Pamplona.  In questo stesso anno Fermo fa stampare a Venezia gli Statuti riveduti ed emendati da Carlo Martello (veneziano).  Il primo documento completo di essi è il manoscritto del 1385 che si trova presso l’Archivio di Stato di Roma.

Paolo III crea un suo Stato –Fermo poi è governata dal cardinale nipote.

Ludovico  Eufreducci, nipote di Oliverotto, tenta di impadronirsi di Fermo, ma nelle piane di Grottazzolina è sconfitto dalle truppe pontificie condotte dal vescovo di Chiusi, Nicola Bonafede, e muore sul campo. Nel tempio di San Francesco, si può ammirare il monumento funebre fatto erigere dalla madre Celanzia degli Oddi. Nel 1528 passano a Fermo le truppe francesi del generale Lautrek, che commettono rapine e razzie. Riardono le guerre per il possesso di Monte San Pietrangeli che si era ribellata. I Fermani versano al Papa 12.000 ducati, quale aiuto per la difesa contro i Turchi che infestano le coste. Monte San Pietrangeli è restituita a Fermo. Nel 1537, essendo stato trovato impiccato nel palazzo comunale di Fermo tal Zafarano, nemico di Fermo, il cardinale di Trani multa la città di 10.000 ducati e fa impiccare il colpevole Trolilo Adami. Il Papa invita il cardinale di Trani a restituire Monte San Pietrangeli a Fermo, ma questi, adducendo vari motivi, la tiene per sé. I Fermani tentano allora di riprenderla con la forza, ma Paolo III accusa Fermo di ribellione e gli manda contro suo figlio Pierluigi Farnese, che mette a ferro e fuoco la città. Paolo III nel 1538 elegge il Cardinale Farnese a governatore dello Stato Fermano; questi manda come suo luogotenente Paolo Ranuccio Farnese, il quale fissa la residenza non a Fermo, ma a Montottone, che, per la durata di 10 anni è sede del governo Fermano che viene denominato ora: Stato Ecclesiastico in Agro Piceno. Fermo, privata del suo Stato, è nel più completo abbandono; la città è deserta e l’erba cresce nelle vie. Dopo inutili tentativi protrattisi per dieci anni, Fermo, previo esborso di forti somme d’oro, è reintegrata nel suo Stato. È il 21 novembre 1547. Manifestazioni di  giubilo accompagnano la restituzione dello Stato, ma si verifica il riaccendersi di lotte intestine che tuttavia cessano nel 1550, per interessamento del Vescovo di Pesaro, mons. Simonetti. Successivamente, Fermo ottiene il privilegio, unica città dello Stato Pontificio, ad avere per Governatore il Cardinale nipote o il parente più stretto del Papa. Dal 1550 fino al 1675 governano quindi i nipoti del papa regnante, indipendenti della giurisdizione del Rettore della Marca. Il primo governatore è il nipote di Giulio III, conte Giambattista del Monte di Monte San Savino. Nel secolo XVI cominciano gli screzi tra Fermo e i castelli dipendenti; fioriscono intanto valorosi capitani di ventura e nel 1546, cento anni dopo l’abbattimento della Rocca, la città è desolata dal passaggio delle truppe di Carlo V. Il veronese Astolfo de Grandis nel 1587 introduce a Fermo l’arte della stampa. Sisto V, che fu vescovo di Fermo dal 1571 al 1577, l’anno stesso della sua elezione al papato (1585), ampliò e potenziò l’Università degli Studi e quattro anni più tardi promosse la Sede Vescovile ad Arcivescovile, dandole come suffraganee Ripatransone, Montalto, San Severino, Macerata e Tolentino. Nel 1648 si ha un grave fatto di sangue in città, dovuto a presunte incette di grano da parte del Governatore mons. Umberto Visconti. Il popolo, sobillato dai nobili, assalì il Visconti e lo linciò. La reazione della santa Sede fu immediata; alcuni cardinali consigliavano di applicare i rigori della giustizia, altri la clemenza. Il Papa, prudentemente, inviò da Roma un commissario per istruire un processo. Furono condannati a morte sette cittadini salvati grazie ai buoni uffici del cardinale Decio Azzolino, e il Comune fu condannato soltanto a 2000 ducati per risarcire i danni arrecati al Palazzo Comunale. Innocenzo XI nel 1676, interrompe la prassi della nomina a Governatore di Fermo del cardinal Nipote e crea la Congregazione Fermana, che ha lo scopo di nominare e coadiuvare il Governatore di Fermo. Primo di questa serie è il segretario di Stato Cybo, ma, nel 1689, Alessandro VIII ripristina la nomina, a Governatore Fermano, del cardinal Nipote o del parente più prossimo del papa. Due anni dopo, Innocenzo XII, ripristina la Congregazione, che viene poi confermata nel 1746 da Benedetto XIV (papa Lambertini); ma cessa nel 1791 per decisione di Clemente XIII. Nel frattempo si verificò il passaggio delle truppe spagnole nel 1744, e delle truppe austriache che portavano desolazione a seguito della guerra di successione austriaca. cominciano a farsi strada i primi fermenti di libertà.

Fermo capoluogo del Dipartimento del Tronto

Scoppia, nel 1789, la rivoluzione francese e, dopo il trattato di Tolentino, del 19 febbraio 1797, Fermo è occupata dalle truppe francesi. Si verificano rapine, violenze, e si fucilano cittadini rei di presunte cospirazioni contro la Francia. La statua di Sisto V, che campeggia nel Palazzo dei Priori, fu ritirata nell’interno e vestita con le insegne vescovili per essere risparmiata dalle rapine francesi. Il 28 novembre 1798, nella pianura sotto Torre di Palme, le truppe francesi, guidati dai generali di Rusca e Casabianca, sconfiggono i napoletani comandati dal generale Micheroux. Dal luglio 1799 gli arruolati contro i francesi ebbero come guida il generale Lahoz, che fissa a Fermo la Regia Cesarea Pontificia Reggenza. Per pochi anni torna il governo papale. Nel 1808 le Marche fanno parte del Regno Italico. Esse sono divise in tre grandi dipartimenti: del Metauro con capoluogo Ancona, del Musone con capoluogo Macerata e del Tronto con capoluogo Fermo, fino al 1815. Dopo la sconfitta di Gioacchino Murat, al castello della Rancia, Fermo, liberata dagli austriaci, torna allo Stato pontificio . Il papa Leone XII ricostituisce nel 1824 l’Università Fermana ed eleva la città a Delegazione di seconda classe, cioè al pari di Ancona e Macerata, mentre le altre province marchigiane hanno un grado inferiore. L’università dura, sebbene di vita stentata, fino al 1826, ad eccezione del corso di Diritto. Saluta nel 1846 Pio IX, la cui elezione è dovuta principalmente al cardinale Bernetti, fermano. Dopo che i repubblicani occupano militarmente Roma c’è  la fuga di Pio IX a Gaeta, e si instaura a Fermo, come altrove, un governo antipapale. I Repubblicani si impongono con la forza. Il 17 gennaio 1849 è ospite di Fermo, Garibaldi. L’11 febbraio, in seguito ai moti rivoluzionari, Fermo ha un Governo Repubblicano ed un mese dopo il cardinale De Angelis viene arrestato e rinchiuso in Ancona. Dopo 100 giorni di prigionia, ritorna. Nel frattempo era stato ucciso il prete Corsi d. Michele e vengono puniti i colpevoli del suo arresto. Gli Austriaci pongono fine alla Repubblica Romana e ritorna Pio IX a Roma. Nel 1857, nei giorni 16,17 e 18 maggio, Pio IX viene a Fermo. Grande fu il tripudio della popolazione e numerosa la folla accorsa da tutta la zona. Il 18 settembre 1860 ha luogo la battaglia di Castelfidardo che segna la caduta dello Stato Pontificio nelle Marche. Intanto Vittorio Emanuele II sbarca in Ancona; doveva recarsi anche a Fermo, ma furono frapposti ostacoli. Il re si ferma Grottammare dall’11 al 15 ottobre 1860, ospite dei marchesi Laureati. Si ha nel novembre 1860 la votazione per il plebiscito; su 6069 aventi diritto al voto, si ebbero: 3068 voti per il sì, tre per il no e quattro schede bianche. Molti elettori non si presentarono. Nonostante tutta la sua importante storia, con l’iniquo decreto del 22 dicembre 1860, Fermo è privata della sua provincia, del resto allora più importante per popolazione, reddito, e viabilità, di quella di Ascoli. La provincia di Fermo aveva una popolazione di 110.321 abitanti (Ascoli ne aveva 91.916), e comprendeva i comuni di: Alteta, Cerreto, Altidona, Belmonte Piceno, Campofilone, Castel Clementino (odierno Servigliano), Cossignano, Falerone, Francavilla d’Ete, Fermo, Grottammare, Grottazzolina, Lapedona, Magliano (di Tenna), Marano (Cupramarittima), Massa Fermana, Massignano, Montappone, Montelparo, Montefalcone, Montefiore (dell’Aso), Montottone, Monterinaldo, Monterubbiano, Monte San Pietrangeli, Monsampietro Morico, Monturano, Monte Vidone Combatte, Monte Vidon Corrado, Moregnano, Montegranaro, Moresco, Ortezzano, Pedaso, Petritoli, Ponzano, Porto San Giorgio, Rapagnano, Ripatransone, Sant’Elpidio a Mare, Sant’Elpidio Morico, Santa Vittoria in Matenano, Smerillo, Torre di Palme, Torre San Patrizio. In tutto 48. I comuni del Fermano protestano per la soppressione del loro capoluogo storico e geografico. Anche il Consiglio Provinciale di Ascoli, in data 8 dicembre 1875, chiede al Governo il ripristino della provincia di Fermo, ma invano. Comincia la lenta trasformazione edilizia della città che segue le vicende del nuovo regno dei Savoia. Nel 1863 il principe ereditario Umberto (poi Umberto I) è qui ospite; nel 1876 lo è il presidente del Consiglio dei Ministri Agostino de Pretis. Dopo finito, con le due guerre mondiali il governo dei Savoia, il plebiscito del 1946 stabilì la Repubblica Italiana. Nel 1955 Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica viene a Fermo a celebrare il primo centenario dell’Istituto Industriale, il I° sorto in Italia. Il 16 gennaio 1982 la città è visitata dal Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini. Oggi Fermo sebbene non abbia più l’importanza dei secoli passati quando era la prima città della Regione per popolazione, per importanza militare, religiosa, civile, tuttavia è fra i più ragguardevoli centri marchigiani per i suoi monumenti, per le istituzioni scolastiche e culturali e per il promettente avvenire nel campo economico, industriale e turistico.

Autori che hanno citato Fermo.  Tra gli autori greci e latini che hanno citato Fermo ricordiamo:

Cicerone (106-3 a.C.). Filippica 8,23 “sono da lodare i fermani, i quali furono i primi a promettere aiuti in denaro”. Nella Filippica 13: ”Sesto Pompeo figlio di Gneo Pompeo ricupererà Fermo da Dolabella”.  Nelle Ep. VIII lib.IV ad Attico: “..ho saputo da Gavio fermano, nostro amico, profondo conoscitore degli  studi caldei, trovava il giorno natale della nostra Roma”.

Catullo (87 – 54 a.C.) “ La tenuta che hai a Fermo, o Bischero, la dicono ricca e ciò non è bugia; comprende  tante cose straordinarie. Vi sono uccelli, ogni sorta di pesci, prati, campi e selvaggina. Ma non serve; le  spese superano le entrate”.

Pompeo Magno (106 – 48 a.C.) Lettere al proconsole Domizio: “hai avuto notizia di Cesare, recatosi a Fermo  e poi venuto a Castro Truentino”.

Giulio Cesare (100 – 44 a.C.) La Guerra Civile (De Bello civili), lib I, cap.XV. Dice testualmente: “ Cesare…  dopo aver preso Fermo e cacciatone Lentulo, si diresse ad Ascoli…. ed ivi si trattenne un giorno per fare  rifornimento di viveri”.

Tito Livio (95 a.C. – 17 d.C.) Lib.XXVII.12: “….né vengano passati sotto silenzio defraudati della meritata  lode i Venusini, quelli di Atri, i Fermani ed i Riminesi…”. Lib.XLIV cap.35. Nella battaglia di Pidna nel 168  a.C. si distinsero tre coorti: la Fermana, la Vestina, la Cremonese.

Velleio Patercolo (19 a.C.- 31 d.C.) Compendio di Storia Romana 1.1: ”all’inizio della prima guerra punica,  Fermo e Giulianova vennero occupate dai coloni”.

Strabone (+20 d.C.) Geografia Lib.V, dice: “… poi vengono Septempeda (oggi San Severino), Pollenza, Potenza, Fermo Piceno e il suo porto, cioè il Castello. La località che segue, è il santuario di cupola, fondato e costruito dai Tirreniani…”

Valerio Massimo (sec.I d.C.) “….. difatti, per tralasciare di parlare di quel nostro Equizio, il quale viene da Fermo Piceno, e di cui sia fatta relazione nella parte precedente di questo libro. Di esso è evidente la fragilità nell’abbracciare il padre Tiberio Gracco….”

Frontino (40-103 d.C.)  Stratagemmi IV.1 “…. Ordinò di condurre a Fermo l’esercito vinto presso il fiume Siri (si trova in Lucania), fortificare nella stessa città un accampamento e passare l’inverno sotto le tende” e altrove parla della centuriazione dell’agro di Fermo.

Plinio il Giovane (60 – 113 d.C.) Epistolario 18, Lib.6:” Plinio, all’amico Sabino salute. Mi preghi di difendere in tribunale la causa dei Fermani. Sebbene sia oberato da moltissimi impegni, lo farò…. Assicura i tuoi, o meglio, i nostri Fermani del mio interessamento”.

Pomponio Mela (I° sec.) De situ orbis. Lib.2 cap 4 Parla dei Castelli di Fermo, Truento e Atri.

Tolomeo (100- 178 d.C.) nomina Fermo, Ascoli, Urbisaglia, San Severino, Cupra Montana (12).

Plutarco (50 -120 d.C.) Vite parallele XIII, Catone il Censore: “Chiamati i Fermani in disparte…. disse loro: desidero prendere vivo un soldato nemico per sapere quanti sono, quale la loro strategia e il loro armamento”. Platone aveva appena detto ciò, che i Fermani si precipitarono sull’accampamento nemico, seminando spavento e mettendo in fuga i nemici, presero un armato e lo condussero a Catone.

Appiano Alessandrino De Bello Civ. Lib.I : Vidacilio, Tito Afranio e Ventidio Basso, si scontrarono con Gneo Pompeo nei pressi del colle Falerone; lo misero in fuga e lo inseguirono fino al Fermo…. Afranio rinchiuso Pompeo entro Fermo, si accampò intorno alla città.

Paolo Diacono (720- 800 d.C.) Storia dei longobardi 1, II. Cap.21 parla del Piceno e precisa: “vi sono le città di Fermo, di Ascoli, Penne e la vecchia fatiscente Atri”.

Procopio di Cesarea (sec.v – VI) La Guerra dei GotiI, III, c. 11 Belisario e Narsete riunirono i loro eserciti nei pressi della città di Fermo, la quale dista da Osimo un giorno di marcia. Lì, a Fermo convocato il consiglio di tutti i comandanti, decisero da quale parte attaccare il nemico. “Belisario comandò ad Arasio di trascorrere l’inverno a Fermo con un gran numero di soldati e di provvedere che i barbari uscendo da lì liberamente, non opprimessero i vicini. Totila e l’esercito dei Goti… sapendo che Belisario era a loro inferiore per numero di soldati… si accamparono presso la città di Fermo e di Ascoli e le assediarono. Intanto Totila costringe Fermo in Ascoli alla resa, le prende, si reca in Toscana ed assedia Spoleto e da Assisi…”

Lotario I (imperatore 795  – 855) “Per l’opportunità provvedemmo a luoghi comodi e adatti, affinché, né la distanza né la povertà, fosse motivo di non dedicarci allo studio. A Pavia si rechino quelli di Milano, di Brescia ecc. A Fermo si rechino anche quelli del Ducato di Spoleto”.

Anastasio Bibliotecario Vita di papa Adriano in Migne P.L.: “Tutti gli abitanti del Ducato di Fermo, gli Osimani, gli Anconetani si recarono dal Sommo Pontefice e si consegnarono per tre volte a lui”.

Liutprando vescovo di Cremona (+ 972) “Il Re Arnolfo… assediò il castello nominato sia per il vocabolo sia per la posizione Fermo; quivi era la moglie di Guidone. Il detto castello chiamato e per posizione per vocabolo Fermo, viene assediato e sono preparate tutte macchine d’assedio”.

Santa Caterina da Siena (+ 1380) scrive a Mitarella, figlia di Mercenario da Monteverde signore di Fermo, di cui più avanti. “A Madonna Mitarella, donna di Vico da Mogliano… Al nome di Jesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce…. Dilectissima e carissima matre e sore in Cristo dolce Jesù. Io Catarina ecc…”.

Fazio degli Uberti (1305- 1367) nipote di Farinata (era il nonno) comincia così il Cap.II del Dittamondo: ”seguendo di dì in dì il mio cammino, – Ascoli vidi, Fermo e Recanati, – Ancona, Fano, e Rimini ed Urbino..”

Agostino Theiner (storico ecclesiastico polacco 1804 -1874) in Documenta dice: “Segue la città di Fermo che la seconda chiave della Marca. Possiede un girone che era ritenuto la più bella fortezza di tutta la provincia e che è custodita un gran numero di addetti e con un capitano. Questa città, possiede costa marittima e riceve grandi introiti, ha un bel circondario e molti bei castelli. Vi risiede un ufficiale della Chiesa, per amministrare la giustizia per tutti”.

Giovanni Sercambi novelliere di Lucca narra gli Troiante da Fermo. Ancora parlando di Fermo Leandro Alberti (+ 1561) nella”Descrizione dell’Italia” la dice colonia dei Romani e capo di tutto il Piceno; Bonifacio VIII (+ 1303) la definisce “Città più insigne della Marca”. Ludovico Antonio Muratori (+ 1750) ne parla ripetutamente negli “Annali”.

Matteo Maria Bandello (+ 1561) dedicò una delle sue novelle al Guerrieri, la cui tomba si trova in Sant’Agostino. Pare che il Bandello abbia dedicato ed indirizzato un’orazione al Senato di Fermo.

Francesco Panfilo (sec.XVI) in “Picenum” dice: “Stat vetus excelsa munitum vertice Firmum Urbem Romani jam coluere patres”; cioè: “si erige la vetusta Fermo, fortificata nell’alto colle; questa città fu onorata dagli antichi Romani”.

Nicolò Machiavelli, in una lettera in data 31 dicembre 1502 conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dice…. “Trovavasi a Senigallia, quando il Duca si trovava a Fano, Vitellozzo, Signore Paulo Orsini, Duca di Gravina e Liverotto da Fermo con 2000 fanti e circa 300 schioppettieri a cavallo”.

Lo stesso Machiavelli nella descrizione del modo ottenuto dal Duca Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto di Fermo, il Signor Pagolo e il Duca di Gravina Orsini, dice: “Ma venuta la notte e fermi è tumulti, al duca parve di fare ammazzare Vitellozzo e Liverotto; e conduttigli in un luogo insieme gli fé strangolare”. Nel “Principe” Cap.VIII, Machiavelli dice che: “Oliverotto di Fermo non solamente era sicuro nella città di Fermo, ma era diventato pauroso a tutti i suoi vicini”.

“ Né molto tempo perdé nel condurli, che il traditor di Fermo e Vitellozzo, e quello Orsin che tanto amici furli, nelle sue insidie presto dier di cozzo; dove L’orso lasciò più d’una zampa, e il Vitel fu l’altro corno mozzo. Così lo stesso Machiavelli nel “Decennale Primo”.

Francesco Guicciardini (1483 – 540)  in “Istoria d’Italia” lib.V CapIV dice: “Ma Liverotto non potette negare alcuno che non avesse fine condegno delle sue scelleratezze: essendo molto giusto che morisse per tradimento chi poco innanzi aveva per tradimento ammazzato crudelissimamente in Fermo, per farsi grande in quella città, Giovanni Fogliani suo zio, con molti altri de’ cittadini principali di quella terra, avendogli la casa sua propria condotti a un convito”.

Benedetto Varchi (sec.XVI) segretario di Annibal Caro il quale era amico del Vescovo di Fermo Lorenzo Lenti, fiorentino, alla nomina di quest’ultimo, alla sede Germana, in via un vibrante sonetto in cui chiamò Fermo “ cittade ed honore Piceno”.

Torquato Tasso (1544- 1595) chiama Fermo “ valorosa città”. Fra le molte Accademie letterarie fioriti a Fermo nel secolo XVI, la più famosa rimane quella degli “Sciolti”. L’Associazione, infatti, è nota grazie ad una pubblicazione di Uriele Rosati, per due orazioni di G.B. Evangelista, ma soprattutto per aver gridato la sua adesione Torquato Tasso. La lettera appartenente alla famiglia Vinci e qui riprodotta, e pubblicata, per la prima volta, nel 1892, nel volume: “Fra la Tenna e l’Ete”.

“Molto ill.re Sig.re e P.ròn mio oss.mo,  V.s poteva in ogni tempo rinovare un molto mio piacere la memoria della vostra antica amicizia: perché sempre mi doveva essere cara, per li molti meriti suoi: ma in questo nel quale è stato eletto Principe dell’Accademia degli Sciolti, mi è grato oltremodo, che si sia ricordata di me, e che mi habbia invitato a divenire uno degli altri con lodi così grandi: le quali benché siano soverchie, nondimeno perché sono argomento dell’Amore, che m’è portato da lei, da tutta codesta valorosa Città, le ricevo assai volentieri: e insieme accetto l’invito….”

Papa Gregorio XIII in data 20 gennaio 1575 nel restituire a Fermo otto castelli tolti da Paolo III e Pio V, dice nella bolla pontificia: “…. La cittadinanza Fermana è stata sempre pronta a intervenire nei bisogni della Sede Apostolica e massimamente contro le recenti invasioni della flotta turca e le scorrerie dei pirati lungo le coste Adriatiche, nella spedizione della flotta Cristiana, e nella leva dei soldati contro gli infedeli, nella guerra Gallica contro gli Eretici, nella punizione ed estirpazione dei Banditi, nel soccorrere l’annona dell’alma Città nostra, nel munire e fortificare i baluardi della Santa Romana Chiesa, offrendo denaro, rematori, operaie e particolarmente mediante il grano, offerto con gioia alla medesima Sede Apostolica..”

Mentre Sisto V (1585- 1590) già cardinale vescovo di Fermo, nell’elevare ad Arcivescovile la Chiesa Vescovile di Fermo dice: ”… Fermo, città del Piceno fu colonia de’ Romani; dopo che ricevette la cristiana religione i di lei si annoverano settanta dei suoi cittadini che, sotto Decio, ricevettero il martirio; e vi si conservano con somma venerazione molti corpi di Santi, e da altre reliquie innumerevoli”.

“…. In essa quasi nulla si vede che non dimostri, per quanto la mente può farsi indietro, la sua antichità. Situata in un colle di aree saluberrimo, di amenità singolare nel cuore del Piceno, presso al Seno Adriatico, non lungi dai monti gli Appennini; e come un dì si nominava Fermo Piceno, così in altri tempi la Marca fu detta Fermana, essendo Fermo la prima città che nella Marca esistesse”.

Vincenzo Viviani (1628 -1703) nel Racconto Istorico della vita di Galileo, dice di Ostilio Ricci che fu maestro di Galileo: “… vivendo allora un tal Messere Ostilio Ricci di Fermo, matematico de’ signori di quell’Altezza di Toscana e di poi il lettore delle matematiche nello Studio di Firenze, il quale come familiarissimo di suo padre, giornalmente frequentava la sua casa, a questo s’accostò, pregandolo instantemente di dichiarargli qualche proposizione di Euclide, ma però senza saputa del padre. Parve al Ricci di dover saziare così virtuosa brama del giovane, ma volle ben conferirla al signor Vincenzo suo padre esortandolo a permettere che il Galileo ricevesse questa satisfazione. Cedé il padre alle istanze dell’amico, ma ben gli proibì di palesar questo suo assenso al figliuolo, a ciò compiuto timore continuasse lo studio di medicina. Cominciò dunque Ricci ad introdurre il Galileo (che aveva già compiti diciannove anni) nelle solite esplicazioni delle definizioni assiomi e postulati del primo libro degli elementi”. Nell’archivio di Stato di Bologna si conserva la domanda di Galileo: “matematico Fiorentino raccomandato dal Sr. Artani, M. Galileo Galilei, nobile Fiorentino, giovane d’anni 26 in circa, è istruttissimo in tutte le scienze matematiche, ed è allievo di M. Ostilio Ricci, huomo segnalaltissimo e provisionato dal Gran Duca Francesco”.

Bartolomeo Faccio (sec.XVI). Bartolomeo Faccio nel volume “Gesta di Alfonso I re di Napoli”, edito a Mantova nel 1564 (ebbe successive edizioni tra cui quella di Napoli del 1769) dice della rocca e del Girone: “ Quella città (Fermo) era grande e ricca, la più munita del Piceno. Vi era una rupe di grande altitudine. Nella sommità di tale rupe, vi era una piccola pianura cinta di nuvole e di molti torrioni da formare una rocca inespugnabile. Tale rocca, poiché aveva forma e guisa di città, tagliata da rupi, e rotonda era comunemente chiamata Girone. Chi la teneva incuteva spavento e terrore a tutta la provincia”.

Augusto Von Platen (1796- 1835) celebre poeta tedesco, visitando il tempio di San Francesco, ed ammirando il monumento funebre di Ludovico Eufreducci, opera del Sansovino, fattogli erigere dalla madre Celanzia degli Oddi, scrive una commossa lirica: Sopra un monumento sepolcrale: “ Guerriero caduto ne’ l’età del fiore – com’è dolce il tuo sonno ! – Bella nel marmo la Madonna e austera – veglia sul tuo riposo”.

Giosuè Carducci si interessa di Fermo nel quarto discorso dello Svolgimento della letteratura nazionale e parlando dello Sforza dice: “mentre un soldato di ventura assidevasi nella Marca, funesta agli imperatori del secolo XIII, segnando le lettere Ex Girfalco nostro firmiano, invito Petro et Paulo ecc.”.

 

Inoltre Carducci nel 1868, scrive un epodo contro Pio IX a favore di Giuseppe Monti e del romano Gaetano Tognetti “martiri del diritto italiano”, decapitati perché ritenuti colpevoli dell’attentato alla Caserma Pontificia “Serristori” a Roma (1867). L’attentato doveva favorire l’insurrezione dei fratelli Cairoli, finita tragicamente via Villa Glori ad opera dell’esercito pontificio. Giuseppe Monti era nato a Fermo il 4 gennaio 1835: “Deh, perdona alla vita ! A l’un vent’anni – schiudon superbi araldi, l’avvenir; –

E in sen del carcer un tuo pur tra gli affanni, – la speme gli fiorisce e di desir. – Crescean tre fanciulletti all’altro intorno – come novelli del castagno ai pié – or giacciono tristi, e nel morente giorno – la madre lor, pensa tremando a te “

Da Fermo, dove era stato mandato per una ispezione al Liceo Classico, il poeta così scrive alla moglie l’8 giugno 1876: “Cara Elvira, Tu non credere mica che io faccia il fannullone; lavoro e di molto…. Figurati che mi tocca stare a sentire lezioni e interrogazioni per 5 ore al giorno. Ma intanto ho visto dei gran bei paesi fra il mare e monti, con le valli coltivate benissimo: par di essere in Toscana. Qui la gente parla benissimo. Lunedì sarò a Spoleto….”.

Edward Hutton, scrittore inglese, nel 1913 nel volume “Cites of Romagna and Marche” edito a Londra, dice di Fermo: “….La piccola città murata con la sua curiosa acropoli…..è la regina della zona. Nobile, bella, graziosa, e la degna sorella di Siena e Perugia…. È forse difficile, se si vuole, raggiungere Fermo; ma è più difficile lasciarla; la cittadina conquista tutti quelli che vi si recano…. Quando la scorgete sotto il cielo, coronata dalla sua cattedrale e munita dai suoi possenti bastioni, ne rimanete subito affascinati e non potete liberarvi da questa dolce malìa, o dimenticare le sue splendide bellezze, o la sua stupenda veduta sui monti e sul mare…. Fermo si fa amare, non tanto per le sue opere di arte, di architettura è pittura di cui erano ricca, ma per se stessa, per la sua bellezza e nobiltà, il suo splendido dominio sul mondo glorioso sul quale si erge come possente torre o bastione, guardando con fierezza attraverso i monti, attraverso il mare. Chi ha dimorato entro le mura anche per pochi giorni, non se ne allontana che con vivo rimpianto e nostalgia…”.(1).

Vladimir Sergeevic Solov’ev filosofo russo morto nel 1901 pone Fermo tra le città di maggiore interesse della costa Adriatica. Dice infatti nel suo volume ”C’tenija o Bogoc’elovec’sta” (Lezioni sulla Divina umanità): “ nell’intimo una voce rispose: – va in Egitto; – il treno presi per Parigi e poi la via al sud, – Lyon, Torino, Piacenza, e poi Ancona – poi Fermo, Bari, Brindisi – ed eccomi ormai sul mare azzurro – mi trasporta la nave britannica – che punta sull’Egitto….”

Dario Zanasi, valido giornalista, scomparso pochi anni or sono, dice: “Il Girfalco combacia esattamente col cielo…. dominando il finto caseggiato medievale della città, è dominato a sua volta dal regno romano-gotico. I gironi del Girfalco, del giardino pensile fermano che sta attaccato alla cupola del cielo, colano con un moto lento e indistinto del miele, non più ispessito dalla cera. La posizione geografica della città, isolata come un faro fra gli immobili frutti dei colli e delle campagne circostanti….. il paese di Torre di Palme è una scoperta incantevole. Fa pensare a un’acropoli abbandonata da i difensori. Sembra un monastero con tutte le sue antiche chiesette, dimenticato dall’andirivieni degli uomini, ma ancora lambito dalla fiumana delle genti, che ha sempre percorso la strada adriatica…. A Torre di Palme, il silenzio è un elemento sostanziale, dominante, che si incorpora con la pietra viva, con le lunette, con le lapidi, con le fresche ombre” .

Giovanni Spadolini allora Presidente del Consiglio dei Ministri, a sua volta, così parla di Fermo in occasione di una sua visita in città il 16. 01. 1982: “…. Città antichissima Fermo, della storia millenaria e faro di cultura…. Firenze e Fermo furono i due soli poli di istruzione universitaria al tempo dell’imperatore Lotario I° che levò la città ha sede di studio generale…. Fermo città di tradizioni culturali, ha espresso uomini di grande valore nell’arte, nelle lettere, nel campo sociologico, città in cui si forgiano e si formano menti elette come Filippo Corridoni, ed il battagliero Romolo Murri”.

Il brillante scrittore Giancarlo Liuti a sua volta così descrive la città: “… Fermo, solo lei l’eleganza intatta di un passato di piccola capitale della Marca, la vanità di un diffuso spirito aristocratico; le famiglie patrizie  sono numerosissime..si può dire che questa sia la città più nobiliare d’ Italia. Ospita le fabbriche  ed i laboratori artigiani in maggioranza calzaturifici…. Bello il Municipio, l’Arcivescovado, il teatro, la pinacoteca, la biblioteca, il porticato, il Girfalco, la Rocca, il Duomo, splendido il suo grande rosone romano-gotico… c’è un fantastico panorama circolare in cui si danno la mano l’Adriatico e la catena dei Sibillini…. Una struttura urbana a cerchi ed a gironi, quasi un metafisico ordine tolemaico. Fermo è un minuscolo universo perfetto, che ruota nello spazio marchigiano. Il più importante museo di Fermo non chiude mai e non ha custodi, è il centro storico”. (Tuttoturismo, febbraio 1984). Lo stesso Liuti nel Resto del Carlino del 16.06. 1981: “A Fermo bisogna vedere soprattutto una cosa: Fermo. Tre linee di mura si sviluppano intorno al centro: quelle megalitiche, quelle romane, quelle medievali. Esse custodiscono dodici secoli di storia, a stratificazioni successive, come i cerchi nel tronco di una vecchia quercia. I monumenti del massimo splendore di Fermo si sono susseguiti via via dal duecento al settecento. E le impronte di questa città è come entrare in una fantascientifica macchina del tempo: si preme un bottone e si torna indietro di centinaia di anni…. Un comitato di cittadini si batte da anni perché sia restituito a Fermo il rango di capoluogo di provincia. Non la tenacia bisogna mirare, in questa gente, ma la modestia. Infatti, fermo può chiedere molto di più. Le Marche sono tutte qui, interamente rappresentate nella dolcezza dei luoghi e nella finezza dei sentimenti…”

Amintore Fanfani, attuale Presidente del Senato parlando a Fermo al teatro dell’Aquila (settembre 1959) disse: “Da questo splendido e fastoso teatro, vi saluto cari amici di Fermo, città illustre e famosa specie nell’Evo di mezzo…. Mi sia consentito di ricordare specie ai giovani che vi vedo numerosi, che Fermo è stata culla di interventi, di movimenti, di istanze di rinnovamento, che furono Diana ai pavidi di agli ignavi. Da questo fervore di idee e di propositi fiorirono personalità elette, trascinatrici di folle, spiriti gagliardi e generosi, come un Romolo Murri, anche, se non sempre gradito, che fra l’altro fu il fondatore della FUCI…. Fermo città stupenda di arte, di fede, di cultura. Siate degni del vostro passato, e dei vostri grandi….”.

Papa Giovanni Paolo II nella sua venuta a Fermo il 30 dicembre 1988 fra l’altro disse: “ ritrovarmi all’interno di questo storico tempio che è come il cuore dell’antica dell’illustre Ecclesia Firmana, costituisce per me è un’opportunità assai gradita, lui che mi dà modo di incontrare o, meglio, di visitare e confermare nella fede (cf. Lc.22,32) una Comunità Cristiana viva ed operante. Dico viva ed operante non solo in riferimento ad una tradizione plurisecolare di fedeltà con la Sede Apostolica e il successore di Pietro, ma anche e soprattutto in ragione dell’impegno che essa sta dimostrando per l’animazione religiosa e spirituale, come oggi necessaria nel contesto, in gran parte nuovo, della nostra età. Già la peculiare circostanza che mi ha portato tra lui – quella di partecipare al raduno delle famiglie che vivono l’esperienza del cammino neo-catecumenale nella vicina Porto San Giorgio – vale a testimoniare un tale impegno di adeguamento e di presenza, come la volontà di dare puntuale risposta alle odierne esigenze. Nel salutare tutte le illustri personalità presenti, desidero ringraziare, in particolare, il Pastore dell’Archidiocesi per le parole affettuose cordiali, che ha voluto rivolgermi”.

Paolo Volponi: Una città: “ Fermo, oltre che per la sua bellezza, perché mi pare, per tanti aspetti e rime e anche dati storici, la sorella carnale di Urbino, più bionda, più pingue e di carattere più aperto e dolce. Essa non si è chiusa in un’epoca sola della sua vita e non si è caratterizzata con l’arroganza di qualche monumentalità. Ha saputo vivere e lavorare sempre bene e in armonia con tutto il suo stupendo sito, dal mare e sino alle frange turchine del Gran Sasso: lavorare e studiare e produrre e allevare con quel senso materno che ispira il grembo della sua fervida campagna, dal giorno che i Sabini, poco meno di 3000 anni fa, edificarono il suo colle. Fra le sei Marche che si possono riconoscere, una più bella dell’altra, quella di Fermo è di sicuro la più dolce e la più incantata, di traverso tra le correnti marine montane, sconvolta e colorata eppure netta colle per colle, richiamo per richiamo. Ogni paese progetta e si illumina civilmente di fantasie e di proposte: il governo è la misura del desiderio come delle forze (intelligenza, scienza, lavoro) delle comunità: proprio come dichiara la piazza di Fermo. Per Fermo potrete tradire qualsiasi altro luogo o città, e senza molta nostalgia: avrete subito un onore “fermano” è un’indulgenza per la sua lingua e per ogni sua usanza che vi disporranno convinti verso gli altri intorno, partecipi della stessa ora e dello stesso luogo, nella pienezza di un sentimento collettivo come dentro il suono di una campana”.

Quanto sopra per limitarci ad alcuni. Infatti gli altri autorevoli scrittori hanno parlato di Fermo. Ada Negri, interprete dei sentimenti materni di Linda Murri nella lirica ”Per un’accusata”; Giuseppe Gioacchino Belli nel sonetto “Li prelati e li cardinali” del 15 luglio 1922; Benito Mussolini ne “Il Popolo d’Italia” del 15 luglio 1922; Guglielmo Marconi, in riconoscimento delle scoperte di Temistocle Calzecchi-Onesti a Fermo; Adolfo De Carolis, il celebre incisore delle opere di Pascoli, D’Annunzio ecc.; Fabio Tombari, lucido e vivace scrittore di Fano; Osvaldo Licini, (ha qui insegnato) vincitore della Biennale di Venezia 1958; Salvatore Quasimodo, premio Nobel; Luigi Bartolini, poeta e scrittore; Libero Bigiaretti, scrittore e poeta; Fulvio Tomizza, che durante il suo breve soggiorno il 2 dicembre 1983, ebbe a dichiarare: “… questa è una città senza eguali; colta e raffinata”; Valerio Volpini e definì Fermo: “ città di arte e di cultura” (29 marzo 1985). Di Fermo si è interessato del regista cinematografico Mauro Bolognini nel film “Fatti di gente per bene” (1974) e la Radio Televisione Italiana nello sceneggiato “Il caso Murri” (1982).

Oltre i predetti ricordiamo: Renzo de Felice nel volume “ Mussolini il fascista”; Piero Bargellini; Domenico Giuliotti ; Francesco Fuschini e brillante scrittore è in l’”0sservatore Romano” del 12.09.1981; Tullio Colsalvatico; Adolfo de Bosis di Ancona amico di Gabriele D’Annunzio e lo stesso Gabriele D’Annunzio. Luigi Serra in vari volumi di arte; Guido Piovene (viaggio in Italia); Salvatore Quasimodo, premio Nobel; Dino Garrone; Antonio De Santis di (Ascoli nel ‘300); Maria Teresa Dainotti Cerruti (Dmisoldò); Sibilla Aleramo.

Di Fermo era Lucio Taruzio, amico di Varrone, che ne parla nelle “De Divinatore”, (11,24). Egli stabilì al 21 aprile 753 a.C. la fondazione di Roma. Fermano era Lucio Equizio dell’epoca dei Gracchi.; Lucio Gavio, amico di Pomponio Attico. Lucio Volcacio Primo condottiero romano, e sembra, Lattanzio Firmiano, chiamato il “Cicerone cristiano”.

A Fermo soggiornò Amalasunta, figlia di Teodorico, re degli Ostrogoti; a Fermo, come accennato in altra parte della presente guida, si trattennero i generali bizantini Belisario (+ 565) insieme a Narsete (568). Papa Urbano II (+ 1049) che fu beatificato nel 1884, venne a Fermo da Piacenza per predicarvi la prima Crociata; San Domenico di Guzman, fondatore dei domenicani, nel 1214 soggiornò qui per due mesi e vi stabilì l’Ordine dei Predicatori.

A Fermo visse per qualche tempo, nel Convento degli Agostiniani, padre Nicola da Sant’Angelo in Pontano (il futuro San Nicola da Tolentino); Podestà di Fermo fu Raniero Zeno (1252 – 1253), che salpò dal suo porto accompagnato da una flotta veneziana, perché eletto doge della Serenissima (1253 -1267).

Podestà di Fermo (1266 – 1267) fu anche Lorenzo Tiepolo anche egli poi Doge di Venezia (1268 -1274); il suo nome è legato alla costruzione della rocca (1267) a difesa di Fermo, tuttora esistente, con il suo nome, a Porto San Giorgio.

A Fermo nacque (1444) Galeazzo Maria Sforza, futuro quinto Duca di Milano, figlio di Francesco e di Bianca Maria Visconti; è ricordato al castello Sforzesco, in un pregevole dipinto.

Alla luce dei colli Fermani si ispirarono Carlo (+ 1495) e Vittore Crivelli (+ 1501 ca) ed i Pagani che resero preziosi i centri marchigiani, i primi due con i loro polittici, i secondi con le loro tele.

A Fermo operò e predicò San Giacomo della Marca (sec.xv) che precorse molte delle realizzazioni sociali di oggi.

Di Fermo furono i vari Segretari di Stato: card. Decio Azzolino sen. (1588), segretario di Stato di Sisto V; card. Decio Azzolino iunior (+ 1689) di Clemente IX. Egli fu anche consigliere della regina Cristina di Svezia, che lo scelse a suo erede; un busto in marmo, opera di Gianlorenzo Bernini, lo ricorda al Museo Nazionale di Stoccolma. Il fermano card. Tommaso Bernetti (+ 1852) fu segretario di Leone XII e di Gregorio XVI. Galileo Galilei ebbe per maestro Ostilio Ricci di Fermo che lo introdusse nello studio delle matematiche.

In questa città soggiornò negli anni 1733 – 1734 il famoso astronomo Ruggero Boscovich, il primo che divulgò in Italia le teorie di Newton.  A Fermo al Collegio dei Gesuiti, tra i vari docenti di grande valore e cultura insegnò anche P. Angelo Secchi, astronomo di fama mondiale è uno dei fondatori dell’astrofisica; diede per primo il nome ai “canali” di Marte.

A palazzo Nannerini in questa città, nel 1827 dimorò Girolamo Bonaparte ex-re di Westfalia e nel 1810 vi tenne corte il viceré d’Italia Eugenio Beauharnais che fu anche arcicancelliere dell’Impero Francese.

A Fermo seguì i suoi studi Giuseppe Sacconi architetto del “Vittoriano” a Roma; nel laboratorio di fisica del liceo ginnasio “Annibal Caro”, Temistocle Calzecchi-Onesti, eseguì(1884) quegli esperimenti che portarono all’invenzione delle “coherer”, la cui importanza per la telegrafia senza fili fu riconosciuta dallo stesso Guglielmo Marconi.

A Fermo nacque ed operò Giambattista Carducci architetto benemerito della ristrutturazione edilizia fermana e storico dell’architettura picena; a Fermo dal 1917 al 1921, nel citato liceo, insegnò lettere Ettore Allodoli; qui diffusero il loro sapere e Giuseppe Zonta, Giuseppe Carboni, autore, col Campanini del notissimo vocabolario latino Campanini-Carboni. Vi fu anche dotto insegnante di storia dell’arte Don Francesco Maranesi autore di studi locali.

A Fermo si diplomarono Silvestro Baglioni di Belmonte Piceno, professore di Fisiologia umana all’Università di Roma, accademico d’Italia, Vincenzo Monaldi di Grottazzolina, tisiologo, primo Ministro della Sanità della Repubblica Italiana.

A Fermo nacque e riposa il professore Augusto Murri, sommo fra i clinici del suo tempo a Fermo si diplomò all’Istituto Industriale e Filippo Corridoni, medaglia d’oro al V.M. Il battagliero e celebre Romolo Murri (+ 1944) da Monte San Pietrangeli, studiò nel seminario arcivescovile di Fermo, dove insegnarono pure i proff.  Mons. Giovanni Cicconi, Luigi Marconi, Igino Cecchetti, Ugo Lattanzi, Lavinio Virgili, Cesare Celsi, Vincenzo Vagnoni, Cesare Federici ed altri illustri docenti, ascesi poi a cattedre vescovili o universitarie. A Fermo Ennio Flaiano frequentò le elementari.

Sono nati a Fermo Franco Matacotta, autore di pregevoli raccolte poetiche e del romanzo autobiografico “La lepre bianca”; il prof. Alvaro Valentini, geniale poeta, docente universitario, narratore molto apprezzato in Italia e tradotto all’estero; il pittore e scultore Gino Lucchi-Del Zozzo; il poeta Giuliano Montanini (suoi lavori sono stati illustrati da Ernesto Treccani); Luigi Di Ruscio, Memo Bonassi ed un gruppo di promettenti giovani, tra cui Vallesi, Olimpi, Passerini, Ferracuti.

Sono fermani di acquisizione la poetessa Giovanna Bemporad in Orlando e Luigi Croscenzi (+ 1984) fondatore del “Centro per la cultura nella fotografia” al quale hanno collaborato Vittorini, Zavatti, Lattuada, Treccani.

Di Fermo è Eriberto Guidi, collaboratore fotografico della rivista americana “Life”; a Fermo vive Romano Folicaldi, fotografo di prestigio. Il fermano conte, ingegnere Lorenzo Mancini-Spinucci fu tra i più noti parapsicologi d’Europa; fermano era lo scrittore Giuseppe Brunamontini come lo sono Luigi Maria Musati, professore all’Accademia drammatica “Silvio d’Amico” di Roma e Ruggero Romano noto esponente della cultura storica francese.

Nella quiete del santuario di Santa Maria a Mare ha vissuto fino al 1996 il professore universitario Padre Olindo Pasqualetti, latinista di fama mondiale; nella vicina Porto San Giorgio operano il professor Luigi Dania, critico d’arte conosciuto ed apprezzato in Italia e all’estero.

Il poeta veneto Diego Valeri ebbe a Fermo la sua prima cattedra di insegnamento; qui abitò in via Perpenti e più d’una volta, in favorevoli occasioni, si compiacque ricordare la quiete del Girfalco e il suo soggiorno fermano. Illustrano Fermo il professor Mario Santoro fondatore e direttore dello “Studio Firmano” ed è autore di opere di storia della medicina; il prof. Serafino Prete, quotato autore di storia ecclesiastica e fermana.

Sono autori di brillanti scritti vari Marcello Seta, Pompilio Bonvicini, Giuseppe Crocetti, Giuseppe Michetti e Carlo Ferrari; caricaturista di chiara notorietà e autore di validi articoli è Danilo Interlenghi.

È vanto di Fermo il prof. Giuseppe Pende miniatore e pittore di fama internazionale; con lui ricordiamo gli artisti Elio Quintili, Giancarlo Audino, Pierluigi Savini ed anche il poeta Luigi Martellini , Mario Ferracuti purista di fama nazionale che onora Fermo in tutta Europa. Giuliano Febi fine miniaturista delle bellezze architettoniche fermane

Dialetto La parlata di Fermo è stata lodata come già detto dal Carducci: “ qui la gente parla benissimo” (lettera alla moglie da Fermo in data 8 giugno 1876). Il dialetto fermano fa parte dell’aria Fermo – Macerata –Camerino e, come autorevolmente afferma il prof. Giacomo Devoto, già Presidente dell’Accademia della Crusca, è il vero genuino dialetto marchigiano:… “ Dialetti marchigiani genuini sono quelli che mantengono la U finale; predominano nella provincia di Macerata nella parte settentrionale di quella di Ascoli, cioè nel Fermano”. Fermo si trova nell’aria dialettale che tanto piaceva al Leopardi il quale con gioia scopriva la coincidenza tra il parlato della sua provincia e quello toscano. Tra i poeti dialettali fermani citiamo G. Battista Tamanti (un suo sonetto è pubblicato anche in un saggio storiografico sul cardinale De Angelis, arcivescovo di Fermo da parte dello scrittore Vittorio Gorresio “Risorgimento scomunicato”); Alfonso Ripani; Luigi Mannocchi; GaetanoGalassi; Antonio Curi-Colvanni; Aristide Scorcelletti, Leone Bernardi; Edmondo De Minicis; Pietro Iacopini, Silvana Fratalocchi.

Giurisdizione Ecclesiastica

Fermo è sede di Archidiocesi, la più vasta delle Marche per popolazione (280.000 ab.) e per territorio (1400 kmq). Si estende su una fascia costiera di 45 km e, nell’entroterra, per una profondità di 60 km circa; ha giurisdizione su 56 comuni, di cui 43 in provincia di Ascoli e 13 in provincia di Macerata. La diocesi risale al secolo III e venne eretta in archidiocesi nel 1589 (Ancona solo nel 1904); ha come suffraganee le diocesi di Macerata, San Severino, Tolentino, Ripatransone, Montalto Marche, San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno. Ha dato alla chiesa Santi e Beati. I santi: Alessandro e Filippo, fondatore della chiesa fermana; S. Marone, primo evangelizzatore del Piceno; San Nicola  detto da Tolentino, ma nato a Sant’Angelo in Pontano, diocesi di Fermo e vissuto in convento a Fermo; San Serafino da Montegranaro; Beato Giovanni Elisei detto della Verna, per essere vissuto e morto in quel sacro luogo. I beati: Beato Pietro da Mogliano; Antonio Grassi da Fermo, Antonio di Amandola, Adamo abate, Pellegrino di Falerone, Giovanni della Penna. In diocesi di Fermo sono sbocciati i “Fioretti di San Francesco”; San Gabriele dell’Addolorata (la madre era di Civitanova) fu un novizio a Morrovalle (diocesi di Fermo).

Tribunale civile e penale e uffici vari

Fermo è sede di Tribunale con giurisdizione su 44 comuni della provincia (in tutto ne ha 73). I comuni sono: Altidona, Campofilone, Cossignano, Cupramarittima, Falerone, Fermo, Francavilla d’Ete, Grottammare, Grottazzolina, Lapedona, Magliano di Tenna, Massa Fermana, Massignano, Monsampietro Morico, Montappone, Montefalcone Appennino, Montefiore dell’Aso, Monte Giberto, Montegiorgio, Montegranaro, Monteleone di Fermo, Montelparo, Monterinldo, Monterubbiano, Monte San Pietrangeli, Monte Urano, Monte Vidon Combatte, Monte Vidon Corrado, Montottone, Moresco, Ortezzano, Pedaso, Petritoli, Ponzano di Fermo, Porto San Giorgio, Porto Sant’Elpidio, Rapagnano, Ripatransone, Santa Vittoria in Matenano, Sant’Elpidio a Mare, Servigliano, Smerillo, Torre San Patrizio.

Vi hanno inoltre sede: l’Ufficio del Registro; l’Ufficio delle Imposte Dirette; l’Ufficio Tecnico Prov.le sez. staccata;  l’Istituto Autonomo Case Popolari; l’Ispettore Agrario; l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per l’Umbria e le Marche. A(zienda) P(romozione T(uristica).

Tribunale regionale ecclesiastico Piceno

Fermo è sede del Tribunale Regionale Piceno che ha giurisdizione su tutti i paesi delle venti diocesi e archidiocesi marchigiane. Tratta di cause matrimoniali; fu istituito nel 1938 ha giurisdizione anche sui comuni di Ancarano (TE), Valle Castellana (TE), in quanto appartenenti alle diocesi di Ascoli Piceno. Sui comuni di Colonnella, Sant’Egidio alla Vibrata, Martinsicuro poiché appartenenti alla diocesi di Ripatransone-Montalto Marche-San Benedetto del Tronto. Prima del 1571 facevano parte della diocesi di Fermo anche Ripatransone, Acquiviva, San Benedetto del Tronto, Cupra Marittima, e Sant’Andrea. Poi Pio V li staccò per creare la nuova diocesi di Ripatransone; successivamente Sisto V le tolse Comunanza, Montelparo e Montemonaco per darli alla nuova di diocesi di Montalto Marche nel 1586; a nord  venne privata di Montelupone dato, da Sisto V, alla nuova diocesi di Loreto (1586). Al tempo di San Gregorio Magno, la diocesi si estendeva anche nel Teramano e nell’Ascolano (Lettera di S. Gregorio Magno al vescovo di Fermo Passivo a.d. 602).

Campo musicale

Ha luogo ogni anno il Festival Musicale, promosso dalla Società Italiana per l’Educazione Musicale e della Gioventù Musicale d’Italia, che tengono qui dei corsi estivi di Didattica e Pratica Musicale per animatori culturali. È iniziato nel 1970.

Festival di Fermo oltre a ciò la città di Fermo offre sempre nel Campo Musicale la Stagione Concertistica con la presenza di orchestre famose e di grandi direttori; e la Stagione Lirica con un calendario molto ricco e interessante. Ora è in fase di attuazione la Scuola Superiore di Musicologia e Pedagogia Musicale in collaborazione con l’Università di Macerata. Dal 1978-1979 funziona il Conservatorio Musicale Statale “G.D. Pergolesi”, nelle Marche sono solo due: quello di Pesaro e quello di Fermo.

Biblioteca comunale la Biblioteca Comunale si trova nel Palazzo degli Studi (arch. Girolamo Rainaldi) sec.XVI). Al sommo di quattro ampie finestre, campeggiano i semibusti dei Papi: Bonifacio VIII, Eugenio IV, Calisto III, Sisto V. (Artefici e protettori dell’Università), opera di Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo (1617). È la settima d’Italia, la più vecchia delle Marche e di molte regioni italiane. Possiede 128 codici; oltre 400.000 volumi; 686 incunaboli, dei quali i più antichi risalgono al 1470; 15.000 “ciquecentine” (la Casatenense di Roma ad es. ne ha appena 12.700); 6.000 stampe di autori famosi; 2000 disegni tra cui, celebri quelli di Fortunato Duranti da Montefortino (1787-1863) delle altre biblioteche delle Marche seguono per importanza: 1) Macerata: “Mozzi Borgetti” con 250.000 volumi, 10.000 manoscritti, 4644 cinquecentine; 276 incunaboli- 2) Fano: “Federiciana”, con 200.000 volumi; 3005 cinquecentine; 57 incunaboli; 500 manoscritti – 3) Pesaro:”Oliveriana”: 150.000 volumi; 5073 cinquecentine; 2034 manoscritti; 355 incunaboli – 4) Ascoli Piceno: “Comunale”: 125.000 volumi; 228 incunaboli – 5) Ancona: “Benincasa”: 100.000 volumi; 60 incunaboli; 303 manoscritti – 6) Iesi: “Comunale”: 94.000 volumi; 410 manoscritti; 130 incunaboli – 7) Urbino: “Universitaria” : 90.000 volumi; 3532 cinquecentine; 1200 manoscritti; 162 incunaboli – 8 Camerino: “Valentiniana”: 75.000 volumi; 274 incunaboli; 250 manoscritti – 9) Osimo: “Comunale”: 65.000 volumi; 1.000 cinquecentine.

Le origini della Biblioteca risalgono al 1511, quando il Consiglio Generale stanziò 150 aurei per un locale dove sistemare i libri. Successivamente, nel 1611, il Card. Decio Azzolino iunior istituiva con l’approvazione del Consiglio di Cernita, un primo fondo per la “gioventù studiosa”. Il 29 settembre 1681, il patrizio fermano Paolo Ruffo donava con testamento 2000 scudi per scansie, libri ed armadi da assegnarsi alla Biblioteca dei Padri Domenicani. Tale cifra passò poi al Comune, che fece allestire una stanza dagli eleganti scaffali di noce a doppio ordine, con ballatoio ed artistico soffitto a cassettoni: è la Sala  detta del Mappamondo. È il 1688, l’anno della fondazione ufficiale della Biblioteca, che da ora si arricchisce di nuove accessioni. Infatti, il card. Michelangelo Ricci, amico di Torricelli, regala alla Biblioteca di Fermo, la sua. Il dott. Romolo Spezioli, medico personale della Regina Cristina di Svezia, dona con testamento (1720) alla biblioteca della sua “diletta patria”, di libri per un totale di 12.500 volumi. È questo il dono più grande e cospicuo, sia per qualità che per quantità di volumi, che conferisce alla biblioteca importanza notevolissima. Si aggiunga ad essi, il lascito del canonico Michele Catalani (1805), l’illustre storiografo fermano, ed alcuni volumi pervenuti fortunosamente dalla biblioteca dei Domenicani, dispersa durante l’occupazione napoleonica nel 1810. Quando nel 1861 a Fermo (e nel resto d’Italia) vennero soppressi i Domenicani, i Filippini, gli Agostiniani, i Minori e la Cassa Ecclesiastica, le loro librerie passarono al Comune. Dieci anni più tardi, nel 1871, la comunale si è arricchito della biblioteca dello studioso avv. Gaetano De Minicis (14.573 volumi) ed ora, come accennato, conta oltre 400.000 volumi. Il mappamondo che si scorge nelle sale omonime e opera di Silvestro Amanzio Moroncelli di Fabriano cosmografo della Serenissima.

Teatro dell’Aquila

Così denominato perché inizialmente dal 1746 al 1780 era sistemato nella odierna Sala dei Ritratti, contigua alla sala consiliare, detta dell’Aquila. Nel 1780 fu deciso di costruirne uno nuovo. Dieci anni dopo, nel 1790, la superba grandiosa fabbrica progettata dall’arch. Cosimo Morelli di Imola (1729-1812), venne inaugurata con un Oratorio Sacro dove del M° Giuseppe Giordani, detto il Giordanello (morto a Fermo il 4/1/1798) direttore della Cappella Musicale Metropolitana (Morelli è anche il progettista dei teatri di Macerata, Jesi, Osimo). Successivamente, per ovviare ad alcuni inconvenienti tecnici e di movimento scenico, l’arch. Giuseppe Lucatelli di Mogliano, apportò modifiche alla boccadopera, realizzata a tre arcate come al Teatro Olimpico di Andrea Palladio a Vicenza, dando la forma e le proporzioni attuali (1797). Durante la stagione di Carnevale del 1826, un violento incendio distrusse 13 palchi del secondo ordine; per impedire danni più gravi, fu necessario abbattere una colonna di palchi e sostituire le pitture del Lucatelli che abbellivano la volta gravemente danneggiata. Venne chiamato da Roma Luigi Cochetti (1802-1884), il quale dipinse a tempera “I Numi dell’Olimpo con Giove, Giunone e le tre Grazie e le Sei Ore notturne danzanti, intenti ad ascoltare il canto di Apollo” e nel sipario, l’”Armonia” che consegna la cetra al Genio fermano. Il famoso scenografo Alessandro Sanquirico di Milano, eseguì quattro stupendi scenari; Biagio Baglioni, da Macerata, le dorature. Un grandioso lampadario al centro della volta arricchisce la fastosità del teatro. Nel 1830, dopo i restauri, ebbe luogo la solenne apertura con “La donna del lago” e “Tancredi” di Rossini. Sin da allora, tale teatro era uno dei più importanti della Penisola; il 17 gennaio 1849 Giuseppe Garibaldi, che si trovava a Fermo, invitato da G. B .Murri, assisté alla rappresentazione di una commedia di Cesare Trevisani. Dopo varie e memorande stagioni liriche (celebri quelle del 1842, del 1867, 1869 e il 1872) si procedette ad un nuovo restauro, richiesto dal tempo e dall’usura. Il dipinto del Cochetti tornò al suo splendore originario; trasformato l’addobbo dei palchi; acquistato, ad imitazione di quello del Teatro della Pergola di Firenze, un nuovo fastoso e sontuoso lampadario. Ha luogo nel 1878 per la terza volta, una nuova solenne inaugurazione e, il 17 agosto 1886, la rappresentazione dell’opera giovanile “Le Villi” di Giacomo Puccini, presente l’autore. Da allora ai nostri giorni, è sempre un crescendo di successi e di prestigiose rappresentazioni. Di nuovo restauro nel 1925-26: il sipario venne sostituito da un velario. È riaperto nel 1927 con la rappresentazione della “Tosca”, interpetrata da Beniamino Gigli, e della “Gioconda”. Nel 1964, hanno luogo l’ampliamento e l’ammodernamento nei camerini e nel 1980 i nuovi restauri resi necessari in conseguenza del lungo periodo di destinazione del Teatro a sala cinematografica. Il teatro, sebbene uno dei più belli d’Italia, non ha facciata, malgrado il progetto redatto sin dal 1876, dall’architetto fermano Giambattista Carducci. Medaglioni e busto in bronzo e di marmo, siti  nell’atrio, ricordano i celebri artisti che ivi si sono avvicendati. Sono: Giulia Marziali Passerini (1837-1904) eccellente soprano. Biancolini (1846-1902), contralto. Ludovico Graziani (1820-1885) per cui Verdi scrisse la parte di “Alfredo” nella Traviata. Enrico Fagotti (1825-1902), baritono. Enrico Petrella di Palermo (1813-1877), compositore melodrammatico; Francesco Graziani (1828-1901) baritono, fratello del tenore Ludovico; Giuseppina Vitali Augusti che vi cantò nell’estate del 1878; Francesco Cellini (1813-1873) maestro di canto: ebbe allievi i fratelli Ludovico e Francesco Graziani, Enrico Fagotti, la Marziali, la Biancolini ed altri; Beniamino Gigli (1890-1957); Ermete Novelli cittadino onorario (1851-1919) nato a Lucca dalla fermana Giuditta Galassi; Giacomo Lauri Volpi che vi cantò nel maggio del 1943; Renata Tebaldi nel 1961; Isaia Billè (1874-1961) contrabassista di fama internazionale nello stesso anno; Mario del Monaco nel 1963; Anna Moffo nel 1964. Dal 1970 al 1985 si sono succedute 195 le stagioni liriche in 379 edizioni con un totale di quasi 2000 rappresentazioni. In circa due secoli di vita, il Teatro dell’Aquila ha il vanto di aver tenuto a battesimo per la prima volta in Italia, il noto dramma di Paolo Giacometti “La Morte Civile” (6 settembre 1861); di aver creato, per essere vissuti a Fermo, i capocomici, per molti anni, le fortune artistiche, nel secolo passato della drammatica compagnia Andreani-Brignone, progenitori dell’attrice Lilla Brignone, cittadina onoraria di Fermo; la città le ha dedicato anche un artistico medaglione, opera di Giuseppe Pende; di aver segnato il debutto nel 1907 del baritono veneto Carlo Galeffi; di avere eseguito per la prima volta nelle Marche, e nell’Umbria nel 1896, l’opera che ha il maggior numero di rappresentazioni nel mondo: “La Bohème”. Il Teatro dell’Aquila è il più grande della Regione e ha il maggior numero di posti, è il secondo nella graduatoria cronologica. Il primo è il Lauro Rossi di Macerata (1767); segue Fermo (1791). Viene poi Jesi con il “Pergolesi” sul disegno di M.Francesco Ciaraffoni modificato da Cosimo Morelli (1798). Abbiamo poi Pesaro con il teatro “Rossini” (1815), quindi di Ancona col “Teatro delle Muse” di P. Ghinelli (1826); segue Ascoli Piceno con il “Ventidio Basso” sul disegno di Ireneo Aleandri (1864); ultimo è Urbino “Teatro Raffaello” progetto di Vincenzo Ghinelli (1853). Il Teatro di Fermo recentemente ristrutturato riaperto al pubblico (1999) è uno dei più prestigiosi d’Italia.

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