VERISMO
Definzione –
E’ un movimento letterario che si afferma in Italia nell’ultimo trentennio del secolo XIX, ad opera di Capuana e di Verga, con questo programma: rappresentare la vita nei suoi aspetti più vari, con stile impersonale e oggettivo.
Varietà – impersonalità – oggettività, sono i termini che riassumono l’estetica verista. Vi influì anche la decadenza della narrativa in versi. Questa, aristocratica com’era, non si è prestata ad esprimere gli aspetti usuali, comuni ed ordinari della vita. Evidentemente la narrativa in versi, decade quando la narrativa esce dagli ambienti letterati e scende in mezzo al popolo. Si sostituisce il romanzo. Romanzo ideale quello romantico, romanzo più aderente alla realtà cruda mano mano.
Cause del Verismo:
Il movimento è promosso dai seguenti fattori storici:
1)- dalla cultura positivistica che domina nella seconda metà dell’ottocento.
Il Positivismo insegna che le ricerche debbono essere positive, cioè:
a)- debbono limitarsi a ciò che cade sotto l’esperienza (viene ignorata o negata la realtà metafisica: agnosticismo e materialismo).
b)- debbono essere condotte senza veli ideali e senza pregiudizi.
c)- debbono concretizzarsi non in teorie, bensì in un corpo organico di osservazione.
Questi principi trasferiti sul piano della letteratura si applicano nel modo seguente: gli scrittori parlino di ciò che costituisce la vita vissuta di ogni giorno; dell’uomo quale risulta dal suo operare quotidiano; di ciò che è e non di ciò che dovrebbe essere; e ne parlino senza commenti; lascino parlare i fatti stessi; evitino assolutamente di volere scorgere nel fatti significati ideali o astratti.
2)- dal momento storico politico che sta attraversando l’Italia.
Esso è caratterizzato da due aspetti:
a)- dal ritorno alla vita ordinaria, dopo la fase eroica ed eccezionale del Risorgimento.
b)- dal bisogno in cui si trova l’Italia unificata di conoscere i gradi della vita nelle sue varie Regioni per farli presenti a chi ha il compito di provvedere alle eventuali deficienze.
E’ naturale perciò che gli scrittori in questo periodo, invece di cantare liricamente gli ideali, analizzino e riproducano oggettivamente la realtà della vita di un popolo, che è ancora assai arretrato rispetto alla civiltà moderna.
3)- dall’affermarsi del proletariato nella storia contemporanea.
In seguito a questo fenomeno storico l’attenzione degli scrittori, che prima della rivoluzione francese si è costantemente rivolta agli ambienti aristocratici, e dopo la rivoluzione si è concentrata sui grandi artefici della rinascita spirituale e politica della Patria, ora si rivolge alla vita degli ambienti umili, nei quali l’arte trova una infinità di motivi umani interessantissimi.
4)- dal bisogno di reagire al soggettivismo romantico, radicato nel soggettivismo idealistico.
Hegel e i suoi colleghi idealistici avevano parlato dello spirito che crea il reale e li dà la sua forma; e i romantici avevano concepito l’opera d’arte come “campo di sfogo della soggettività commossa”.
Come avviene sempre nella fase decadente di ogni movimento storico, anche nella fase decadente del Romanticismo, gli scrittori avevano condotto all’esasperazione la tendenza soggettivistica: dilagava ovunque la lirica lacrimosa e sospirosa, i cuori si mettevano di proposito in certe situazioni critiche per affliggersi e per far sapere a tutti che soffrivano. Il linguaggio non era né quello dei libri, né quello della vita vissuta, bensì una mescolanza ibrida di forme libresche e popolari.
Lo scrittore verista, si potrebbe dire, è un fotografo. “Nel romanzo verista le forme sono così perfette, la sincerità della sua realtà così evidente , il suo modo e la sua ragione di essere così necessario, che la mano dell’artista rimane assolutamente invisibile e il romanzo ha l’impronta dell’avvenimento reale e l’opera d’arte sembra essersi fatta da sé, aver maturato ed essere sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore”, così dice il Verga illustrando il concetto dell’oggettività e della impersonalità assoluta nell’arte.
5)- dallo scientismo, tendenza culturale strettamente legata al positivismo, e di cui si potrebbe riassumere la sostanza in questa espressione: come la natura fisica, così l’uomo deve essere studiato con criteri esclusivamente scientifici. La scienza sa tutto e spiega tutto: essa toglie la parola alla poesia, alla religione, al cuore al gusto, alla fantasia. Scienza si scrive con lettera maiuscola, così come nella seconda metà del settecento si era usato fare per la ragione. Qualsiasi altra attività, durante l’impero della scienza, o si ritira dalla circolazione, o passa al servizio di essa.
A noi interessa soprattutto il destino della letteratura sotto questi impero.
In Francia notiamo due movimenti:il Realismo e il naturalismo.
Il realismo: si specializza nella presentazione di “quadri d’ambiente” (specie di ambiente borghese, con aderenza assoluta alla realtà della psicologia. Della morale, degli usi, delle situazioni comuni nel ceto medio. E’ il realismo borghese di Balzac (autore della collana di romanzi intitolati “Commedia umana”) e di Flaubert (autore di “Madame Bovary”). Dalla scienza questo movimento accoglie solo il procedimento oggettivo.
Il Naturalismo. Alleato nel vero senso della parola con la scienza e, invece, il Naturalismo, di cui furono esponenti lo Zola ed i fratelli Goucourt. Il naturalismo, infatti, riceve dalla scienza: il compito di illustrare i fenomeni anormali della psicologia umana ( identificata materialisticamente con la fisiologia) alla luce dei principi della ereditarietà divulgati da Darwin.
Gli scrittori compongono i cosiddetti “romanzi documento”, cioè romanzi in cui la trama è inventata e condotta col fine di dimostrare vere certe affermazioni della scienza circa le anormalità psico-fisiologiche dell’uomo.
In Italia si ha il verismo: un indirizzo letterario che della scienza assume il metodo, oggettivo e impersonale.
Contenuto della letteratura verista.
I classicisti si erano specializzati nell’idealizzare personaggi, psicologie, situazioni eccezionali; i romantici nell’esprimere stati d’animo riscaldati dall’ideale, pervasi di alto lirismo; gli scapigliati per ostentare la loro spregiudicatezza e la loro sincerità assoluta, avevano espresso la psicologia di temperamento.
I veristi considerano le forme idealizzate ed eccezionali dei classici come pure creazioni letterarie; considerano la passionalità ideale dei romantici come stato d’animo rarissimo e creato più dalla suggestione che dalle energie reali della psicologia umana; considerano l’anarchismo degli scapigliati più come una posa che una forma reale della vita.
Essi si propongono di rappresentare la vita degli individui e degli ambienti sociali nella loro realtà vera, comune, di ogni giorno. Più che la grande vicenda, che sposta i personaggi da un luogo all’altro, per spazi amplissimi e attraverso situazioni eccezionali, nel romanzo verista rimane costantemente in scena lo stesso ambiente, con i suoi personaggi. Sono gli interni della case e dei paesetti che il verista scruta diligentemente, sicuro che anche la psicologia e le vicende di quel mondo hanno il loro fascino e suscitano interesse nel lettore moderno, avviato sempre più al concreto e desideroso di vedere finalmente sulla scena dell’arte la vita che egli vive ogni giorno.
Il Manzoni, dopo aver condotto i suoi “Promessi Sposi” alla conclusione del loro sogno, cessa il suo racconto: “dolori e imbrogli della qualità, e della forza di quelli che abbiamo raccontato, non ce ne furon più per la nostra buona gente; fu, da quale punto in poi, una delle vite più tranquille….. di maniera che, se ve l’avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte”.
Un verista, invece, incomincerebbe il suo romanzo proprio da questo punto, cioè da quando cessa la vicenda eccezionale e comincia la vita comune. I classicisti avevano presentato uomini eccezionali in vicende eccezionali, con stile eccezionale; il Manzoni aveva presentato uomini comuni in vicende eccezionali, con stile medio; i veristi presentano uomini comuni, in ambienti e vicende comuni, con linguaggio comune.
Ecco come è fatto l’uomo di ogni giorno, in qualsiasi luogo egli viva, in qualsiasi condizione venga a trovarsi:
a)- è attaccato alla sua roba, alla sua casa, al suo ambiente, al suo lavoro, ai figli, alla moglie, più per istinto che per motivi ideali e riflessi: si può dire che a forza di stare a contatto, fin dalla nascita, con certe cose e con certe persone egli venga ad identificarsi con loro; per cui la difesa, la perdita, il recupero di esse è difesa, perdita, recupero di sé stesso. I motivi ideali di questa lotta, per la conservazione delle cose e delle persone, non c’entrano.
b)- nel suo amore è mosso da calcoli economici, non va più oltre di una simpatia sensibile, ignare delle idealità estetiche o morali che animavano gli amori dei classici e dei romantici.
c)- si adatta inconsciamente a lavori bestiali, a malattie, a maltrattamenti; ovvero si compiace di spadroneggiare, di truffare, di soverchiare.
d)- sente e vive la religione in forme interessate e quasi feticistiche e fanatiche; non conosce l’ideale religioso.
e)- difficilmente e a malincuore si allontana dal suo ambiente; ma quando se n’è allontanato e ha conosciuto forme di vita migliori, difficilmente si adatta a ritornare nei limiti del vecchio ambiente.
Ecco, perciò, lo schema del romanzo verista: ambienti comuni spesse volte primitivi – psicologia comune, spesse volte primitiva – una vicenda in cui rientrano tutti i personaggi tipici di un ambiente e di una psicologia di questo genere: gente che lavora e che pena; che sfrutta, che spadroneggia, che soverchia, che serve, che ama e litiga per gelosia, per incorrispondenza, per tradimento.
Questa è la vita vera, perché in essa si riflette la struttura della psico-fisiologia umana naturale: le altre forme di psicologia e di vita sono inventate, sono creazioni della retorica e non riscuotono più la fede dei lettori moderni smaliziati e realisti.
Come si vede i veristi tendono ad identificare il vero con la realtà comune grezza e primitiva. In questo senso essi si distinguono dal realismo romantico, e più precisamente dal realismo manzoniano. Per il Manzoni, infatti, vero è tutto ciò che fa parte della psicologia e della vita; vero, quindi, è anche l’ideale che costituisce realmente oggetto di culto e di passione per le anime sensibili, a qualunque categoria sociale esse appartengano.
Si potrebbe dire che, per paura di non essere fedeli alla realtà delle cose, invece che gli aspetti veri, essi abbiano preferito cogliere gli aspetti veristici.
La forma del verismo.
Forma oggettiva e impersonale. I classicisti avevano retorizzato la poesia; i romantici l’avevano sretorizzata, ma l’avevano liricizzata: i veristi gettano a mare la retorica e il lirismo e si propongono di riprodurre la realtà così come essa è, senza alcun commento, senza aggiungere nulla.
Questo è il proposito, ma in pratica anche i veristi si propongono di svolgere una tesi: ad esempio il Verga intitola la serie dei suoi romanzi “Ciclo dei vinti”, in quanto vuol dimostrare che nella vita l’uomo è sconfitto dalle sue stesse vittorie, (specie in “Mastro don Gesualdo”).
Forma analitica. Lo scrittore verista, per dare il senso della realtà vera, della riproduzione perfetta, rileva i particolari più minuti; per cui nelle descrizioni non viene trascurato nulla, anche di ciò che è umile e sbiadito. Mancano nella prosa verista i grandi quadri, le figurazioni scultoree, appunti perché gli uni e le altre sono creazioni di chi compone non riproduzioni di realtà oggettive.
Racconto semplice e impersonale. Lo scrittore parla come un semplice osservatore, rimanendo costantemente imparziale e impassibile di fronte a ciò che osserva e riproduce. Evita, perfino, di riferire i discorsi in forma indiretta, per conservare, ad assi la forma genuina. Il verismo, data l’impostazione oggettiva e impersonale, non poteva che darci altro prosa narrativa: la lirica non poteva sorgere nel terreno della oggettività impersonale.
Il linguaggio. Per aderire, anche nel linguaggio, alla realtà della vita vissuta, il verista evita le forme letterarie e abbassa il tono del suo racconto alla forma del parlare comune, accogliendo spesse volte anche modi di dire dialettali.
Regionalismo verista. I veristi scelgono gli ambienti delle regioni più arretrate, nei quali la psicologia umana di istinto vive e si esprime nella sua perfetta naturalità.
Ci presentano l’ambiente regionale siciliano il Verga ( in “Vita dei campi” – “I Malavoglia” – “Mastro don Gesualdo”); il Capuana (che inizia naturalista col romanzo “Giacinta”, e poi dà inizio al verismo col “Marchese di Roccaverdina”).
Ci presenta l’ambiente sardo Grazia Deledda (“Canne al vento” – “Elias Bortolu”).
Ci presenta l’ambiente napoletano Matilde Serao (“Gioco del lotto”).
Giudizio sul verismo.
a)- risponde ad una esigenza dello spirito contemporaneo che non crede più agli ideali astratti, alle vicende straordinarie, e che solo a quello che vede, e si interessa solo di ciò che lo riguarda da vicino.
Anche oggi la letteratura è sul binario veristico, con spassionatezza e crudezza accentuate.
b)- Verga, Capuana, Deledda sono riusciti a dare vita artistica alla vita quotidiana: sono riusciti a cogliere il groviglio psicologico degli uomini comuni, gli istinti più naturali e più veri, a descrivere gesti e situazioni con impareggiabile precisione, a parlare di uomini e di cose, con quella simpatia affettuosa e umile, che era evitata dalla grande arte, perché troppo famigliare, ma che piace tanto all’anima moderna, schiva delle forme studiate e composte.