FRANCESCO DE SANCTIS (1817-1883)
In un primo tempo il De Sanctis seguì la critica formale del Puoti, di cui egli era discepolo. Però, ben presto, sentì l’aridità e l’inutilità di una critica che, smontando, per così dire, l’opera nei vari pezzi che la compongono, impediva al lettore di penetrare nella vita che l’autore aveva creato.
Perciò aderì alla critica storica del Foscolo, che gli permetteva di capire l’anima vivente nell’opera e di vedere questa come l’espressione di un’anima più universale, cioè dello spirito del tempo in cui fu composta.
Tuttavia comprendere l’anima di un’opera non significa ancora comprendere il valore estetico. Per dare un giudizio di valore, è necessario un criterio, un complesso di principi estetici.
Perciò il De Sanctis aderì all’estetica hegeliana, soprattutto perché Hegel non faceva distinzione tra contenuto e forma, e sosteneva la nascita simultanea in forza di un unico atto creativo, della materia e della forma.
Tuttavia anche l’estetica hegeliana non lo soddisfece del tutto, in quanto Hegel, affermando che l’opera d’arte è incarnazione dell’universale nel particolare, sembrava quasi fare della creazione artistica l’allegoria di un’idea. L’allegoria, osserva il De Sanctis, è senza dubbio una forma, ma non è una forma autonoma: l’immagine allegorica è certamente una creazione; ma una creazione non obbedisce alle esigenze del pensiero che essa deve incarnare. Ad esempio: quando Dante crea una Beatrice come la sente il suo spirito, la forma di Beatrice è autonoma e poetica; quando invece crea una Beatrice che parla, opera, veste come la Rivelazione, costruisce una forma schiava di un concetto, una forma che, se la vuoi capire e gustare, devi fare di continuo il rapporto tra i particolari di essa e i particolari del concetto che essa rappresenta.
Alla conclusione della sua meditazione estetica, il De Sanctis enuclea con chiarezza i seguenti concetti:
a)- non c’è distinzione tra materia e forma.
La forma è il modo con cui sorge e si definisce uno stato d’animo. Tale modo dipende soprattutto dalla costituzione mentale, affettiva e fantastica dello scrittore: è un modo quindi soggettivo.
b)- materia e forma sorgono con lo stesso atto creativo.
Non si può concepire una materia che non abbia la sua forma allorché nasce e che l’acquisti solo successivamente. In tal senso e in opposizione col Carducci, il quale afferma che prima avviene la fusione dei motivi nel crogiolo del sentimento del poeta e quindi si trova la forma più adatta per tradurli in immagini vive (concetto espresso nel “Congedo” della raccolta “Rime nuove”.)
c)- le facoltà che concorrono alla creazione della forma sono in particolare il sentimento e la fantasia, senza però dimenticare che la forma è l’espressione di tutta la personalità del poeta.
d)- la forma deve essere autonoma, cioè deve essere il modo spontaneo e naturale di uno stato d’animo, senza porla in rapporto di dipendenza con intenti più o meno cerebrali. La forma è l’espressione immediata dello spirito: ma una riflessione che la leghi a significati estrinseci, la uccide.
e)- la forma deve essere concreta, ben visibile e ricca di vitalità.
Le forme sbiadite o pallide sono espressione di vitalità fiacca, di anime pallide e meschine. Si sente in questa concezione della forma concreta l’influsso del Romanticismo. In forza di questa concezione il De Sanctis considera riuscite le forme create da Dante nell’Inferno; mentre attribuisce un grado inferiore di arte alle forme del Purgatorio e meno ancora a quelle del Paradiso, dove, secondo lui, tutto si rarefà nella luce, nella meditazione filosofico-teologico-mistica.
In base a questi criteri estetici il De Sanctis procede all’analisi estetica delle opere.
Per analisi estetica egli intende la individuazione della forma, ossia del modo che ha assunto lo stato d’animo dell’autore, e la individuazione delle note con cui la forma si presenta. Per fare un’analisi estetica è quindi necessario ripercorrere tutto il cammino fatto dal poeta nella sua creazione: significa mettersi nelle sue condizioni, sentire quello che egli sente, e, ad un certo momento, trovarsi di fronte alla forma come alla cosa più naturale e più adatta a quello stato d’animo, quando quella forma risulta talmente viva da sembrare reale e talmente ricca di vitalità da concentrare in sé significati vasti e profondi, allora si può dire che essa è bella.
Già questo procedimento, a dir la verità, era stato scoperto dal Manzoni, che aveva parlato di capacità poetica attiva e passiva, cioè di capacità di creare e di capacità di rivivere la poesia.
Però il Manzoni non ci aveva dato nessun saggio di critica impostato su questo criterio; mentre il De Sanctis si è specializzato proprio in questo settore dell’attività letteraria.
Nei suoi otto volumi di “Saggi critici” egli rivive, e fa rivivere agli altri, personaggi, situazioni, trame narrative o teatrali.
Nella “Storia della letteratura italiana”, come del resto nei “Saggi critici”, il De Sanctis utilizza sempre la critica storica che gli serve a inquadrare e quindi capire il personaggio o l’epoca di cui parla.
In particolare nella “Storia della letteratura italiana” egli ha messo in rapporto i vari momenti della letteratura con i vari momenti della storia politica e civile, in base al seguente criterio: ad epoche ricche dal punto di vista politico e civile corrispondono epoche ricche dal punto di vita letterario; ad epoche politicamente e civilmente misere, corrispondono periodi di letteratura caratterizzate da saggi di pura retorica.
Ad esempio, il Medioevo, ricco di passioni e di attività, ci dà una letteratura fiorente. Il Rinascimento estetizzante, ma politicamente e civilmente povero, ci dà opere regolari, linde e lavorate, però povere di vitalità.
Il Seicento, epoca di decadenza, sotto ogni aspetto, ci dà soltanto opere di esercitazione ingegnosa, nelle quali si concentrano tutte le risorse della retorica.
Nella seconda metà del settecento, col Parini, rinasce l’uomo, e con l’uomo rinasce la poesia, perché la poesia non si può pensare se non come espressione di una umanità piena.
In conclusione:
al De Sanctis spetta il merito di aver abituato i lettori a rivivere l’opera d’arte e a giudicarla in base alle profonde emozioni che essa suscita: ad una critica, cioè, veramente vitale in cui i mezzi espressivi (la parola, il ritmo, l’immagine) sono considerati solo come strumenti a servizio dello spirito.