VINCENZO MONTI (1754-1828)
Il Leopardi ha dato del Monti la seguente definizione: “ Poeta dell’orecchio e della immaginazione, del cuore giammai”.
La definizione del Leopardi, nel complesso, è valida anche per la critica di oggi. Il Monti fu un tecnico geniale dell’immagine e della parola, ma spirito poco profondo: letterato di buon gusto e di esperienza raffinata, ma un uomo di levatura sentimentale modesta.
Eppure il Monti era stato dotato dalla natura di intelligenza viva e acuta, e di una fine sensibilità. Mentre nei grandi scrittori la profondità del pensiero e l’ardore del sentimento sono pari alla capacità espressiva, come mai in Monti l’ispirazione rimase inferiore all’arte dell’immagine e della parola, cioè alla capacità espressiva?
Il Monti proveniva dall’Arcadia romana, e, secondo l’uso di questa accademia, fin da giovane si era abituato a comporre per la declamazione su temi in genere occasionali, di fronte ad un pubblico che gustava la poesia con l’udito. E una volta imboccata la strada della poesia declamatoria non ne uscì più. La poesia declamatoria deve strappare l’applauso degli uditori e, per strappare l’applauso, in genere, si avvale di immagini colorite e grandiose, del tono enfatico, di ritmi travolgenti mollemente melodiosi.
Il Monti componeva come avendo di fronte a sé un pubblico, al quale, con l’effetto magico della sua tecnica musicale e immaginifica, doveva strappare l’applauso. Dunque, può essere anzitutto definito “poeta di circolo e poeta declamatorio”, in quanto la sua formazione avvenne nei circoli letterari romani; e al poeta di circolo, che compone per declamare ed essere applaudito, il successo è assicurato dalla bravura tecnica. Era fatale che la sua arte attirasse chi bramava di passare alla storia in forza dei versi brillanti di un poeta di grido.
Solo chi compone per la lettura si preoccupa di dire cose profonde in modo efficace, perché chi legge ha tutto l’agio di meditare sui pensieri e sui sentimenti del poeta, e di rilevare i pregi e i difetti reali della sua espressione. Chi legge, infatti non approva il poeta che sa soltanto parlare bene, mentre avverte che l’espressione da lui creata è un artificio retorico. Il poeta autentico esprime una voce fedele del suo spirito e, attraverso la parola precisa, comunica pensieri e sentimenti profondi: “Sdegno il verso che suona, e che non crea” dice il Foscolo.
Un’altra definizione che possiamo dare del Monti è poeta “di professione” (nel senso nobile della parola) cioè cosciente di possedere gli strumenti per comporre bei versi su qualsiasi argomento. Scrive ogni volta che gli si offre l’occasione di dare un saggio della sua bravura. Possiamo, perciò, definirlo poeta che fa il mestiere del “compositore”, scrive su tutto e su tutti con la voglia di comporre per soddisfare le aspettative del committente, sia per amore di gloria, sia per opportunismo.
Non si può negare che il Monti amasse la sua arte, che ne avesse un alto concetto e che avesse una preparazione eccellente per esercitarla; ma non si può neanche negare che egli la considerasse come una professione più che come un’attività vitale del suo spirito; perciò egli si preoccupò più di far bella figura presso l’ingaggiatore, che di esprimere il suo proprio mondo interiore.
Poeta ‘di professione’ si oppone a poeta ‘d’ispirazione’. Il primo scrive su commissione di un cliente, per così dire; il secondo scrive per usare un’espressione di Dante “quando amor lo ‘spira” cioè quanto sente il bisogno di esprimere il suo animo commosso. Il poeta ‘d’ispirazione’ si preoccupa di trovare i modi espressivi più adatti per trasferire il suo stato d’animo nell’animo dei lettori. Il poeta ‘di professione’ si preoccupa di accontentare il cliente. Quel comporre per far bella figura di fronte agli altri impedì al Monti di esprimere sé stesso, gli impedì, per usare un’espressione del Manzoni di “sentire e meditare”.
Si preoccupò più dei mezzi per ottenere l’effetto che dell’approfondimento dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. I contemporanei e i posteri rimproverarono al Monti di aver cambiato troppo spesso bandiera. Il rimprovero era giusto; ma il Monti, avendo concepito l’arte come professione, per forza di cose doveva cantare quello che piaceva al cliente. In tal modo doveva rinunciare ad esprimere il proprio sentimento e doveva limitarsi ad impegnare a fondo soltanto la sua capacità tecnica.
Più che un interprete di sé stesso, il poeta ‘di professione’ è, per forza di cose, interprete degli altri. Può essere paragonato al professionista della musica che trova naturalissimo musicare un inno religioso ed un inno ateo, perché, secondo lui, l’arte dei suoni non impegna le convinzioni. Dal fatto che il Monti concepiva la sua arte come una professione esteriore, scaturisce naturale il fatto che egli fosse “poeta ufficiale”, con il dovere di commemorare gli eventi più importanti del mondo in cui esercita il suo servizio. Se si tratta di eventi gloriosi si deve entusiasmare anche se non prova alcun entusiasmo; se si tratta di eventi tristi, deve piangere anche se non è commosso. Il Monti, spirito suggestionabile, riuscì talvolta ad entusiasmarsi e a rattristarsi; ma il suo entusiasmo o il suo dolore è quello di un attore che si immedesima nella sua parte.
L’impostazione della sua poesia è quella del ‘poeta ufficiale’, che non coglie negli eventi i significati profondi e universali che interessano tutta l’umanità, ma solo quegli spunti che si prestano ad una celebrazione d’effetto, altisonante e clamorosa. Poeta ‘ufficiale’ non nel senso che il Monti fosse stipendiato per comporre le sue opere, ma nel senso che, stimando sé stesso compositore valente ed essendo stimato tale anche dagli altri, egli si assunse spontaneamente l’ufficio di cantore dei vari regimi per i quali successivamente simpatizzò.
Inoltre possiamo definire il Monti anche poeta ‘d’occasione’ che prende lo spunto dall’occasione e rimane chiuso nel significato contingente di essa. Costretto a commentare gli eventi in qualità di ‘poeta ufficiale’, più che di approfondire l’ispirazione si preoccupò di far appello a tutte le risorse della poesia declamatoria. Ai grandi poeti l’occasione offre soltanto lo spunto per esprimere tutto il loro mondo interiore. Essi sono capaci di trascendere l’episodio, per entrare nel mondo delle idee grandi dei sentimenti profondi. Il Monti, invece, coglie l’occasione per un “pezzo d’effetto” e solo raramente riesce a superare il motivo occasionale, e in ciò egli non manifesta una concezione profonda della realtà e della vita.
Nel 1782 il pontefice Pio VI partiva da Roma alla volta di Vienna. Il Monti che allora era poeta ufficiale del Papa, scrive un poemetto dal titolo “ Il pellegrino apostolico ” in cui fa addirittura scendere dal cielo San Pietro per porgere gli auguri di buon esito del viaggio al suo angustiato successore. Nel 1789 viene scoperto un busto di Pericle fra le rovine di una villa romana a Tivoli. Il Monti compone “ La prosopopea di Pericle “ in cui il celebre mecenate ateniese si compiace di essere tornato alla luce proprio sotto il pontificato di Pio VI che a lui somiglia per il suo mecenatismo.
Nel 1801 muore il poeta e matematico bergamasco Lorenzo Mascheroni, professore dell’università di Pavia. Il Monti, che è diventato poeta ufficiale di Napoleone, immagina che l’anima del Mascheroni, dichiari quanto i buoni sperino nelle opere del giovane Bonaparte, di cui si esaltano le sublimi doti di stratega e di un uomo politico. Esempi di poesia occasionale sono le opere del Monti.
Infine possiamo definire il Monti poeta ‘letterato’, abilissimo esperto di tutte le finezze della tecnica letteraria,appresa attraverso lo studio amoroso ed intelligente delle opere dei classici greci e latini, italiani e stranieri moderni. Per svolgere bene la funzione di poeta oratore è sufficiente una buona preparazione letteraria. Le metafore colorite, le personificazioni, le similitudini, le interrogazioni retoriche, le esclamazioni, i ritmi variati, il vario periodare sono i suoi mezzi d’efficacia.
Il Monti era dotato di una formidabile capacità di assimilazione, in forza della quale le immagini più belle, i metri più musicali creati dai poeti da lui prediletti entravano a far parte del suo stile e del suo linguaggio nel modo più naturale e spontaneo. Attingendo al suo ricchissimo repertorio letterario degli riesce sempre ad intessere una smagliante veste per le sue idee (talora piuttosto modeste).
Si ritrovano nelle sue poesie tracce dei poeti insigni per grandiosità di stile come quelle derivanti dai Profeti dell’Antico Testamento, da Omero, da Dante, da Milton, da Shakespeare, da Klopstok, da Ossian. La padronanza perfetta delle risorse figurative, musicali e coloristiche della parola. Io rende capacissimo di riprodurre con la parola la grande creazione altrui: ecco perché il Monti riesce bene nella traduzione dell’Iliade. Il compito del traduttore infatti non è quello di creare, ma solo quello di rivivere e di rendere con parole appropriate lo spirito del testo originale.
Opere del Monti
La produzione letteraria del Monti può essere divisa in gruppi ben definiti che corrispondono ai periodi del servizio poetico che egli prestò, in qualità di scrittore ufficiale, a vari regimi.
1 ) Il primo periodo è detto “romano” e comprende gli anni dal 1778 al 1797 nel quali prestò servizio a Pio VI. Comprende: “La prosopopea di Pericle”.” Ode al signor di Mongolfier”.” Pensieri d’amore”.” La bellezza dell’universo”.” Il Pellegrino apostolico”. In questo periodo inizia anche”La Feroniade” che condurrà a termine nell’1828.
Le migliori sono: l’ode Al signor de Mongolfier, in cui il poeta, dopo aver lamentato che la prima navigazione aerea non abbia un cantore pari ad Orfeo che celebrò la prima navigazione marittima degli Argonauti, esalta la scienza e l’ingegno umano che sono stati capaci di superare le leggi della natura, e si augura che presto o tardi l’uomo riesca ad infrangere il dardo della morte.
“ Pensieri d’amore “ sono 10 frammenti lirici in cui il poeta effonde le sue pene d’amore nel ricordo di Carlotta Stewart che non ha potuto sposare perché di classe sociale aristocratica. Imita il Werte di Goethe e certi atteggiamenti spirituali e stilistici di Ossian. È un’opera influenzata dalla moda preromantica che si afferma in Inghilterra e in Germania negli ultimi decenni del secolo XVIII e che è caratterizzata da passioni forti, da sentimenti dolorosi, da visioni tempestose della natura, da stile ardente e vigoroso.
“ La bellezza dell’universo “ è un poemetto in cui l’autore presenta le varie creature che escono dalla mano di Dio, ciascuna con le note più significative che la caratterizzano. L’argomento offre alla autore la possibilità di dar prova delle sue abilità descrittive. Il Monti, affidando il compito di strutturare e modellare l’universo alla Bellezza e alla Sapienza, secondo il principio umanista e neoclassico (Sapienza unita a Bellezza). La bellezza si identifica con quell’armonia che è frutto di proporzione e che, a sua volta, nasce dal ragionamento.
“ La Basvilliana “ è un poema in terzine, in forma di visione, come la Commedia di Dante di cui riproduce situazioni ed immagini. Nel 1792 viene ucciso in Roma un certo Ugo Basville, emissario della Francia rivoluzionaria. Il Monti, inquadrato allora nel regime ‘clericale’ ed avverso alla rivoluzione, immagina che l’anima di Brasville all’ultimo momento si sia pentita, ma che, per espiare il suo peccato, debba aggirarsi per le varie città della Francia, ad assistere alle scene più atroci della crudeltà rivoluzionaria. L’ultima scena è la morte di Luigi XVI, “santo re”.
“ Il Pellegrino apostolico “Pio VI si reca a Vienna per incontrarsi con l’imperatore Giuseppe II al fine di indurlo a desistere dalle sue intromissioni nelle cose della Chiesa. San Pietro gli augura un buon viaggio.
“ La Feroniade “ Pio VI ha deciso di prosciugare le paludi Pontine. Il poeta per celebrare il progetto, inventa un mito. La ninfa Feronia, che ha dei magnifici giardini a sud di Roma, è amata da Giove. Giunone, per gelosia, le distrugge i giardini, inondandoli. Feronia fugge via in esilio, e mentre una notte dorme, Giove la consola mostrandole Pio VI, che un giorno, prosciugando le paludi, le restituirà i giardini più belli di prima. È un poemetto schiettamente neo-classico, in quanto il Monti non utilizza, come in altre opere, le immagini create dai classici, bensì crea un mito nuovo ed originale per illustrare un fatto storico contemporaneo.
2 ) Il secondo periodo detto “giacobino” dal 1797 al 1800 ha tre poemetti: “ Il fanatismo”. “ La superstizione”.” Il pericolo”. Il Monti voleva dimostrare ai rivoluzionari della Repubblica Cisalpina che egli aveva rinunciato alle sue idee conservatrici. Sono tre poemetti di poco valore poetico e di spirito antitirannico e anticlericale.
Per il 21 gennaio 1798 (anniversario del regicidio) compone un’ode che è musicata e cantata al teatro della Scala (Milano). In essa Luigi XVI (chiamato “santo re” nella Basvilliana) viene definito vile e tiranno. Nell’1799, quando scendono in Italia gli Austro-Russi, il Monti fugge in Francia, dove traduce il poema di Voltaire intitolato “ La pulcelle d’Orleans. “
3 ) Il terzo periodo è detto “Bonapartista” dal 1800 al 1814. Nel 1800, dopo la battaglia di Marengo, il Monti compone l’ode “Per la liberazione d’Italia”. In essa esalta il Bonaparte per aver cacciato via dal “giardino di natura” (Italia) i barbari; e fa un confronto tra Napoleone ed Annibale, assegnando naturalmente la superiorità a Napoleone “muore ogni astro in faccia al sol”.
“ La Mascheroniana “ è un poemetto in forma di visione, come “Il pellegrino apostolico” e come “La Basvilliana”. Il poeta immagina che lo scienziato Lorenzo Mascheroni, morto, ascenda al cielo ove incontra le anime dei grandi lombardi Parini, Verdi, Beccaria, Spallanzani ai quali riferisce quanto tristi siano le condizioni dell’Italia a causa della demagogia rivoluzionaria,e con i quali parla di un giovane meraviglioso, Bonaparte, che con il suo genio e la sua energia è riuscito a ridare la libertà ai popoli ed a frenare le intemperanze della libertà nella rivoluzione.
Il Monti preferisce impostare molti suoi poemetti in forma di visione al modo dantesco, perché questa si presta all’ingrandimento degli eventi e dei personaggi e all’enfasi declamatoria e spettacolare.
Nel 1805 Napoleone vince l’Austria in quella che fu la sua battaglia più bella (ad Austerlitz). Monti subito compone un poemetto “ Il bardo della Selva Nera “, in cui immagina che un certo Terigi, ufficiale dell’esercito napoleonico, ferito ad Austerlitz, sia stato raccolto da un “bardo” poeta popolare medioevale delle nazioni nordiche, e che si innamora della sua figlia Malvina. Durante la malattia e la convalescenza, egli narra al “bardo” e a Malvina le imprese alle quali ha preso parte sotto le bandiere di Napoleone. L’introduzione della figura del bardo (che era un personaggio caro ai pre-romantici) sta ad indicare che al Monti piace anche la poesia medioevale per la sua vigoria rude e potente.
Nel 1806, dopo la battaglia di Vienna, Napoleone entra in Berlino, nella città di Federico II di Prussia. Il Monti compone allora il poema intitolato “ La spada di Federico II “ due in cui il Bonaparte è messo a confronto con il famoso re di Prussia a cui è infinitamente superiore come stratega e come uomo politico.
Dal 1802 al 1806, viene traducendo l’ Iliade: traduzione ottimamente riuscita, perché il Monti non doveva creare nulla; ma doveva soltanto riprodurre, con le risorse del linguaggio italiano, le creazioni di Omero. Siccome il Monti era espertissimo di tutte le risorse della lingua ed aveva un ottimo gusto letterario, la sua traduzione è rimasta fino ad oggi insuperata. Nel 1810 Napoleone sposa Maria Luisa d’Austria. Il Monti compone “ La ierogamia di Creta “ cioè le nozze sacre tra Giove e Giunone. Nell’1811 nasce “il re di Roma”. Il Monti scrive “ Le api panacridi di Alvisopoli.“
4 ) Il quarto periodo montiano è detto “austriaco”. Il 6 aprile 1814 Napoleone abdica ed il 23 dello stesso mese subentrano a Milano gli Austriaci. Il Monti compone “ Ritorno di Astrea “ e “ Invito a Pallade. “
Ritorno di Astrea. Astrea è la dea della giustizia e con il ritorno dell’Austria, finiscono le ingiustizie del periodo napoleonico e comincia un’era di giustizia.
Invito a Pallade. Pallade è la dea delle arti pacifiche. Tornata l’Austria, anche Pallade può ritornare in Italia, da troppi anni e straziata dalle guerre, provocate da Bonaparte.
Nel 1825 il Monti entra nella lotta fra Romantici e Classicisti, con il suo “Sermone sulla mitologia”, in cui afferma che il romanticismo, propugnando il vero nell’arte, uccide la poesia, perché questa è frutto dell’immaginazione: “Senza portento, senza meraviglia, nulla è l’arte dei carmi \ il vero, il nudo arido vero dei vati è tomba.”
Due anni prima della morte, nel 1826, compone l’ode “Per il giorno onomastico della sua donna” (Teresa). E’ un’ode veramente pregevole per il calore del sentimento, per la chiarezza e per la pacatezza del stile.
Conclusione
Poeta declamatore, letterato, professionista, occasionale, oratore, letterato il Monti si trovò a cambiare più volte la sua bandiera. Tuttavia ci sono dei motivi per scusarlo, se non giustificarlo: un motivo è quello stesso che egli addusse, cioè che egli amò sempre la libertà, l’Italia ed il progresso e che perciò non poté fare a meno di nutrire simpatie per questo o per quel personaggio, per questo o per quel l’indirizzo politico, che a lui sembrasse adatto a garantire il trionfo dei suoi sogni di patriota. Effettivamente il Monti, facilmente entusiasmabile, credette sinceramente che il Papa, Napoleone, l’Austria, il pacifismo dei conservatori, o l’impeto dei rivoluzionari, potessero essere tutti ugualmente accettati, purché garantissero libertà e progresso all’Italia.
Un altro motivo è da individuarsi nella persuasione che egli ebbe di essere un professionista della poesia per cui non trovava affatto indecoroso l’offrire i suoi servizi al potente che di volta in volta emergesse dalla confusione e dal tumulto di quell’epoca, che, del resto, non ingannò soltanto il Monti, ma, se osserviamo, un po’ tutti gli intellettuali italiani.