IL CONFORMISMO
Il Conformismo è l’epoca della nostra civiltà che intercorre fra la metà del secolo XVI e la metà del secolo XVIII; epoca caratterizzata dal sopravvento di forze disciplinatrici autoritarie e tiranniche e dall’adattamento degli spiriti alla situazione.
L’autorità ha la funzione di educare, elevare, difendere il popolo: ma l’autorità ha la funzione di educare sia religiosa che politica, impone la legge senza eccessivamente preoccuparsi che essa venga assimilata dai sudditi e diventi promotrice di autodisciplina. La legge, appoggiata dalla forza, garantisce un ordine esteriore e interviene in tutti i campi a imporre limiti e a minacciare punizioni.
La maggior parte degli spiriti in questa epoca preferisce evitare noie e, quindi si assoggetta alle imposizioni pur senza accoglierle, a fa volentieri largo alla invadenza della autorità ritirandosi in un mondo piccino, in una specie di guscio in cui si esaurisce nella suggestione, nell’artificio, nel soggettivismo stravagante.
Si tratta di un’epoca che, come tutte le altre, ha le sue fasi d’inizio, di giovinezza e di maturazione rappresentate, rispettivamente, dagli autori della seconda metà del ‘500, dal secentismo e dall’Arcadia.
Vediamo quali sono le caratteristiche spirituali e formali di questa epoca, cioè la concezione di vita e il modo di esprimersi di essa.
Concezione della vita.
In generale, nel periodo del Conformismo, la vita è intesa come espressione delle energie umane, entro confini ben definiti, nell’ambito dei quali, però, è lecito sbizzarrirsi come si vuole. Da questa concezione risulta un atteggiamento spirituale caratteristico: una specie di indifferenza per i grandi problemi della vita vissuta e una tendenza spiccatissima alla mania del grande o del piccolo, che è propria di chiunque si aggiri in un mondo ristretto e da questo si lasci suggestionare.
Ma vediamo in particolare i più importanti aspetti della civiltà conformistica:
1)- Disciplinarismo nel campo religioso e morale.
Abbiamo visto come la libertà propugnata dal naturalismo rinascimentale fosse degenerata in libertinaggio religioso e morale. Era necessario correre ai ripari; e le autorità responsabili, che più o meno colpevolmente avevano differito la riforma, quando era possibile compierla con certezza di riuscita, furono costrette a riparare quel che Lutero aveva rovinato, o meglio, a prendere provvedimenti per salvare il salvabile. Si trattò di una riforma polemica, tanto vero che fu chiamata “Controriforma”; ed è noto che le polemiche chiarificano le idee, tuttavia inaspriscono anche gli animi, favoriscono l’intolleranza, compromettono la libertà e con la perdita della libertà viene meno la forza morale dell’uomo.
La religione a la morale sono le forze più potenti dello spirito umano; gli uomini più gloriosi sono stati, infatti, generati da esse. Per i medievali, particolarmente per Dante, la religione era principio di sublimità spirituale e la morale era passione altamente umana: al tempo della Controriforma religione e morale diventano più un limite che energie propulsive, forze impegnate più a disciplinare che ad elevare lo spirito. E non poteva essere diversamente: anzitutto religione e morale, per circa due secoli e mezzo, erano venute perdendo di serietà e di importanza e non era ormai più possibile una restaurazione mistica integrale in un mondo diventato troppo umano, e sotto certi aspetti indegno dell’umanità (basterebbe pensare al concetto del principe padrone e del volgo da disprezzarsi); in secondo luogo chi si trova nella necessità di arginare forze che straripano, non può assumere i metodi ed il tono del placido agricoltore che coltiva campi sicuri.
Né gli uomini, dunque, erano disposti ad una restaurazione mistica, né la Chiesa, di fronte alla secessione di decine di milioni di cattolici e alla crisi delle nazioni rimaste fedeli, poteva pensare ad un lavoro di approfondimento.
La gerarchia ecclesiastica riservò a sé ogni iniziativa di carattere religioso, per sottrarlo all’arbitrio ed alla interpretazione soggettiva dei singoli; si creò così una religione di autorità, che si preoccupava più di dirigere che di formare, più di contenere entro i limiti del dogma e della legge morale, che di promuovere un arricchimento positivo e una elevazione integrale dello spirito, attraverso una libera e cosciente accettazione dei sublimi principi del Cristianesimo.
Basta a questo proposito osservare con quali metodi, durante l’epoca del Conformismo, la Chiesa abbia curato la vista spirituale del popolo cristiano: si tratta di metodi preventivi di carattere disciplinare (Inquisizione, Indice, Scomunica), o di metodi educativi religioso-morali ispirati più alla paura ed all’orrore dei Novissimi (morte, giudizio, Inferno e Paradiso) che al concetto della religione intesa come esercizio di amorosa imitazione delle perfezioni divine. L’Ordine religioso esponente di questo nuovo indirizzo religioso, a carattere disciplinare, è quello dei Gesuiti: è noto che la pedagogia applicata nelle scuole di questo ordine mirava soprattutto alla formazione della volontà, cioè di quella facoltà che può accogliere o rifiutare la disciplina.
Circola nell’atmosfera spirituale della Compagnia di Gesù un tono militarista a cui va strettamente connesso il costume della decisione e della disciplina: l’intelligenza ed il cuore vengono assoggettati ad una disciplina speculativa ed affettiva che, se favorisce da una parte atteggiamenti energici e risultati proficui nel lavoro circoscritto dalla legge, dall’altra toglie la possibilità dell’iniziativa e quindi di un progresso più agile e più celere.
Non si deve pensare che questo disciplinarismo sia stato caratteristica esclusiva del mondo religioso cattolico: anche i protestanti, che avevano tanto esaltato la religione di coscienza e ricordavano le folle immense che intorno a Lutero cantavano in libertà e spontaneità di spirito le lodi del Signore, si assoggettarono ben presto all’autoritarismo del principe, diventato padrone anche della religione.
Lo stesso Calvinismo, così democratico nella sua struttura teorica, diventò intransigente e intollerante, sia all’interno con i suoi adepti, che nei rapporti con le altre religioni, particolarmente con quella cattolica o papista.
Come il Machiavelli aveva affermato che la legge suprema era l’interesse del principato, così cattolici e protestanti affermano che l’interesse della religione prevale su qualsiasi norma civile e morale. Il Botero, portavoce dei Gesuiti, afferma, proprio in questo periodo, che, in vista degli interessi della Chiesa, al principe è lecita qualsiasi violazione dei diritti naturali dell’uomo.
I furbi (e tra gli uomini politici non vi possono essere persone che non siano furbe) approfittavano di queste belle teorie e costumanze, per affermare i loro interessi, accaparrandosi, col pretesto della professione religiosa, l’appoggio fanatico delle masse.
Non si tratta, dunque, di un misticismo religioso che pervada, trasformi ed elevi lo spirito delle masse e delle classi colte delle società, ma di una religione autoritaria, fatta di formule, aggressiva e polemista, strumento opportuno per servire gli interessi dei più svariati egoismi: dalle lotte religiose in Francia e dalla persecuzioni religiose in Inghilterra, alla guerra dei trent’anni (1618-1648), assistiamo ad una serie di iniziative ipocrite che, col pretesto della fede, sono destinate a garantire il sopravvento di questa o quella famiglia principesca.
2)- Nel campo civile e politico:
La vita pubblica è stata sottratta definitivamente alle deliberazioni ed alle iniziative del popolo, fin da quando in Italia si sono affermate le signorie, durante le quali, tuttavia, è stato possibile alle famiglie più nobili più ricche conservare una certa libertà di iniziativa: alla metà del ‘500 si affermano ovunque i regimi assolutistici: monarchie assolute nei grandi regni d’Europa: principati assoluti locali e governo tirannico straniero in Italia.
In regime assolutistico chi conta è la persona del capo e chi vale è il complesso dei parenti, degli amici, degli alleati, dei servi del capo. Il popolo viene, di proposito, lasciato nell’ignoranza e nella miseria, perché possa essere più facilmente mantenuto in obbediente servitù: delle famiglie illustri, alcune entrano nell’ordita dei satelliti del capo, altre si isolano in una opposizione puntigliosa e sterile che si esaurisce in piccole rivalità e in critiche inconcludenti.
Viene meno il concetto di patria, viene meno il concetto di popolo; si afferma orgogliosamente il concetto di famiglia; famiglia del principe, quasi divina, casati nobiliari chiusi in un isolamento presuntuoso e aggressivo.
Il Rinascimento si era vantato di aver restituito l’autonomia all’individuo e la sovranità ai principi, troncando i legami che impegnavano individui e popoli di fronte al programma spirituale e alla struttura religioso-politica della comunità cristiana; il tutto per garantire agli individui e ai popoli la piena libertà di movimento.
Procedendo verso la via dell’individualismo, si doveva fatalmente sfociare nella tirannide più squallida; sopravalutando le individualità forti, al popolo doveva sostituirsi il signore, al signore il principe , al principe il tiranno, al tiranno il ministro onnipotente e la cricca degli spregiudicati.
Giustamente il Manzoni nel V capitolo dei Promessi Sposi, parlando di due Re, si esprime così: “ Luigi XIII, ossia il Cardinale di Richelieu; Filippo IV, ossia il conte d’Olivares”: i tiranni per garantirsi hanno bisogno di collaboratori che ci sappiano fare; ma i collaboratori che ci sanno fare si accorgono della inettitudine del padrone e, pur chiamandolo padrone, lo costringono a fare la parte del servo.
In certi momenti sono le dame di corte che decidono degli interessi supremi dei popoli: la corruzione, l’intrigo, il puntiglio sono i metodi che predominano durante l’epoca del Conformismo.
Il popolo, ignorante, povero e, spesso, vizioso, subisce e paga le spese dei capricci delle personalità “alte”.
La colpa di questa situazione è da imputarsi al Rinascimento, il quale, adorando la natura e identificando le nature maggiori nei potenti, favorì l’affermarsi del pregiudizio di casta, cioè del pregiudizio che bastasse nascere da famiglia nobile per essere perfetti e avere di diritto di poter fare quello che si volesse.
Così la storia dei popoli, nel periodo del Conformismo, fatalmente subisce i riflessi del capriccio, dell’orgoglio e della incapacità dei cosiddetti grandi: iniziative clamorose, architettate per dare spettacolo di grande capacità, normalmente si concludono lasciando le cose come stavano.
La storia di quest’epoca si riduce ad un intreccio di intrighi, di colpi di mano e di contro colpi organizzati in campo internazionale dagli Asburgo e dai Borboni, e nel campo nazionale dalle famiglie aristocratiche più potenti per accaparrarsi la successione o la reggenza nel caso di morte del Re senza eredi, o con eredi minorenni: una storia di famiglia, insomma, più che una storia di popoli o di civiltà.
3)- Nel campo economico.
Come negli altri campi, così anche in quello dell’economia si afferma il controllo esoso dell’autorità sulle attività produttive e commerciali senza tuttavia che chi comanda e controlla, si senta impegnato a favorire e a promuovere l’organizzazione e lo sviluppo delle attività stesse.
Domina sempre il pregiudizio che chi comanda è un privilegiato a cui la fortuna ha dato il diritto di utilizzare ai suoi fini tutti i beni che si trovano nell’ambito della sua giurisdizione.
Lo Stato non si preoccupa se le attività agricole, industriali e commerciali falliscono o si sviluppano, diminuiscono o si moltiplicano; l’essenziale è che il fisco possa trovare il campo dell’economia sempre pronto a rifornire le casse dell’erario pubblico, le quali, a loro volta, debbono essere sempre pronte a finanziare guerre più o meno capricciose, più o meno inutili.
Possiamo parlare addirittura di governi fiscali: nessun interesse da parte di essi per promuovere le iniziative agricole e industriali e l’evoluzione dei sistemi di produzione, per facilitare gli scambi interni e le esportazioni: e tanto meno per elevare il tono delle classi lavoratrici.
A somiglianza dello Stato, i grandi proprietari di latifondi si preoccupano di succhiare il più possibile il lavoro dei dipendenti, senza preoccuparsi affatto di migliorare le proprietà e tanto meno di migliorare le sorti dei contadini: si afferma il tipo del signorotto, che vive in paese o in città, fra lussi e guerricciole di antagonismo con le famiglie colleghe, e che, attraverso una gerarchia di amministratori e sub-amministratori, alla fine dell’anno, riesce a tirar fori dalle sue proprietà quel che gli sta bene.
Le classi produttrici sono quelle degli artigiani, dei contadini e dei borghesi.
Gli artigiani sono ancora generalmente organizzati in corporazioni, le quali godono in molti luoghi il privilegio del monopolio di certe lavorazioni, cioè del diritto di impedire ad un privato di impiantare la stessa industria nello stesso luogo dove esse lavorano: ma nel complesso le pressioni fiscali, le difficoltà di acquisto delle materie prime e di smercio dei prodotti, rendono precaria la vita economica dell’artigianato, sia libero che corporativo.
I contadini in molte nazioni d’Europa sono ancora allo stato di servi della gleba. In Italia, pur essendo stata abolita la servitù della gleba fin dal secolo XI, tuttavia la classe agricola è soggetta agli arbitri di padroni; e né da questi, né dallo Stato riceve alcun aiuto per aumentare la produzione e per migliorare la sua situazione; la sua miseria economica è gravata anche essa dai pesi fiscali.
Nell’epoca del Conformismo, una vera e propria borghesia in Italia non c’è, come c’è, invece, nelle nazioni atlantiche. Parliamo di grande borghesia, cioè di proprietari di grandi aziende sia industriali che agricole, o di dirigenti di potenti ditte commerciali o finanziarie: come si è già visto, con la scoperta dell’America e col venir meno dei traffici nel Mediterraneo, le grandi famiglie borghesi si erano ritirate a vita privata ed avevano comperato titoli nobiliari per godere in pace e in decoro le ricchezze ammassate.
Il piccolo borghese sente quasi vergogna della sua attività e, quando gli è possibile, o compra anche egli un titolo nobiliare o si aggrega a qualche illustre casato. E’ opportuno ricordare qui la figura del padre di Ludovico nei Promessi Sposi: quel brav’uomo avendo fatto un po’ di soldi attraverso l’attività commerciale, si sente quasi in dovere di cambiare condizione sociale; e perciò si dà a vivere da signore e, con impegno addirittura pedantesco, si sforza di cancellare ogni traccia della sua passata attività.
Del resto non valeva la pena di impiantare industrie e commerci in Italia in cui la circolazione delle materie prime e dei prodotti era ostacolata dal frazionamento politico con cui andava connesso il frazionamento doganale: in una Italia in cui, come in quasi tutte le nazioni d’Europa, i Principi assoluti fanno pagare le spese delle loro iniziative, più o meno prudenti e più o meno pazzesche, a coloro che guadagnano qualche cosa attraverso l’esercizio di attività produttive e lucrative, lasciando in pace i nobili e i preti che sono esenti da tasse.
Il fatto stesso che, durante il periodo del Conformismo, si verificarono, con impressionante frequenza, carestie e fame, sta ad indicare che la borghesia in Italia o non esisteva o non era attiva: le importazioni, infatti, avrebbero rimediato facilmente al difetto dei prodotti nelle varie località colpite.
Nell’epoca del Conformismo, dunque, le attività economiche ristagnano, la miseria è generale, l’agiatezza è privilegio di pochi fortunati: in mezzo ad una società di questo genere, senza forti interessi, senza iniziativa, senza dinamismo, non può fiorire la vera civiltà, cioè quel complesso di opere che rivelano ricchezza spirituale e agilità pratica.
4)- Nel campo dei costumi.
Le espressioni esteriori della vita, le abitudini private e pubbliche, in una determinata epoca, sono in stretto rapporto con la sua spiritualità.
Nell’epoca del Conformismo, che spiritualmente è caratterizzato dalla soggezione passiva alla autorità e alla disciplina legale, i costumi presentano queste forme particolari: inappuntabilità esteriore e ipocrisia, artificio ed enfasi, miseria e sfarzo presuntuoso, individualismo orgoglioso e schiavitù.
a)- Inappuntabilità esteriore e ipocrisia.
In atmosfera disciplinaristica, in ambiente conformistico, la prima cosa di cui ci si preoccupa è l’inappuntabilità nel rispetto delle norme per evitare noie, per non apparire scorretti, per far carriera. Ma il Conformismo non è forma morale acquisita attraverso una educazione spirituale coscienziosa e ricca di motivi, e quindi lascia l’uomo come lo trova, cioè con il suo complesso di istinti più o meno volgari, di debolezze più o meno vergognose. Solo una buona formazione spirituale è capace di elevare e fortificare l’uomo: ma siccome nel regime conformistico tale formazione viene trascurata, è fatale che, nelle epoche in cui esso predomina, l’osservanza esteriore vada connessa con una infinità di miserie interiori.
b)- Artificio ed enfasi.
Un’altra caratteristica della spiritualità conformistica è la mancanza di spontaneità: di qui lo studio costante e scrupoloso di presentarsi in pubblico con uno stile che risponda alle esigenze non della naturalità umana, ma della mentalità e delle abitudini ambientali.
Siccome nell’epoca conformistica, non è il popolo, ma sono le corti principesche e l’aristocrazia che creano l’ambiente, è naturale che il nuovo stile di vita sia ispirato alla mentalità presuntuosa e bizzarra dei cosiddetti potenti, i quali, preoccupati di distinguersi dalla plebe e in gara fra di loro per superarsi reciprocamente, studiano tutti i mezzi per fare colpo e mettersi in evidenza.
Ci troviamo, perciò, di fronte ad un artificio di tendenza enfatica, pieno di sussiego e capriccioso: vengono meno il buon senso e il buon gusto della naturalità e si afferma un indirizzo espressivo ispirato ad una mentalità, per così dire, suggestionata dall’orgoglio del casato, dalla preoccupazione della grandiosità.
c)- Miseria e sfarzo presuntuoso.
Uno stile di vita quando è espressione di una spiritualità ben nutrita, può presentare forme interessanti per genialità, buon gusto e armonia, anche se è promosso da un particolare settore sociale che lancia la moda, cioè l’aristocrazia, è misero dal punto di vista spirituale e assai modesto dal punto di vista economico.
Orbene, tutti gli stili creati dalla presunzione normalmente presentano forme sfarzose che mirano ad imporsi con clamorosità dei toni e lo sfavillio dei colori: la povertà spirituale e la mediocrità economica, quando sono unite alla modestia, si esprimono in forme semplici e talvolta anche simpatiche, almeno per la loro ingenuità: quando, invece, esse sono unite alla presunzione ed alla mania del grandioso, allora, normalmente, si esprimono in forme ampollose e bizzarre.
L’aristocrazia dell’epoca conformistica non ha una educazione spirituale, perché non studia, non coltiva ideali, non esercita alcuna attività utile, né d’altra parte dispone di adeguate risorse finanziarie per pompeggiare decorosamente: non avendo una formazione spirituale, manca di buon senso, e, mancando di buon senso, manca di buon gusto, e, mancando di buon gusto, confonde il lusso con la sfarzosità, il decoro col sussiego, la originalità con la bizzarria: non avendo sufficienti risorse economiche, si sforza di dar tono alla miseria con la sgargianza dei toni e dei colori.
Lo stile di quest’epoca è stato concordemente definito “ampolloso”: si tratta di una ampollosità destinata a coprire la miseria: si tratta di una mania del grandioso, che ha invasato anime piccole. Non possiamo fare a meno di ricordare la sfarzosità delle mode maschili e femminili: le une destinate a dare tono militaresco agli uomini più imbelli che la storia italiana ricordi: le altre a dare tono di maestà muliebre alle donne più insignificanti che la storia del sesso gentile registri; non possiamo fare a meno di ricordare quell’enorme quantità di ritratti in cui i personaggi rappresentati sono tanto più carichi di boria quanto meno hanno importanza nella vita civile.
d)- Individualismo orgoglioso e schiavitù.
Il Rinascimento esaltando le nature maggiori aveva quasi divinizzato i potenti e le loro famiglie: si era così affermato l’orgoglio di casta e nel seno della casta si era affermato l’orgoglio del casato: antagonismi insignificanti, puntigli, provocazioni, duelli provocati dall’orgoglio di famiglia costituiscono le manifestazioni più comuni del costume sociale nell’età conformistica. Eppure la plebe dei nobili, illusa di essere padrona assoluta della vita, è miseramente schiava di sé stessa, cioè delle esigenze e degli usi che ha artificiosamente creato: la personalità umana, le aspirazioni più legittime del cuore, le risorse più preziose delle indoli vengono sacrificate a quell’idolo mostruoso che si chiama “decoro del casato”.
Le ragazze vengono sposate non a chi esse amano, ma a chi può garantire la dignità sociale, l’integrità patrimoniale della casa: le ragazze non destinate al matrimonio vengono forzatamente chiuse in convento: dei figli maschi, il primogenito eredita il patrimonio e sposa, i cadetti, o restano scapoli, o si dedicano ad una vita disordinata e avventurosa, o entrano nel ceto ecclesiastico senza vocazione e vivono incoscienti dei loro doveri e delle loro responsabilità.
Esigenze di convenienza, legami di interesse, ostilità generate ed alimentata dagli antagonismi, restringono talmente la libertà dell’aristocratico che, in confronto a lui, è molto più libero il plebeo, già pur tanto schiavo.
Insomma, chi osservi i costumi dell’epoca conformistica ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una società spiritualmente primitiva, non ostante le apparenze chiassose e pompose: non si tratta certo di una primitività infantile, bensì di una primitività adulta, e quindi astuta, maliziosa e, ad essere sinceri, notevolmente ridicola.
La colpa di questo stato di cose è da attribuirsi sia al Rinascimento che, dando un indirizzo esclusivamente umano alla vita, ha inaridito l’ideale sia agli uomini di Chiesa che non seppero o non vollero rigenerare soprannaturalmente la civiltà naturalistica in crisi, sia ai Principi che, dopo aver tolto ingiustamente l’iniziativa al popolo, si sono dimostrati indegni di un compito che avevano usurpato, credendosi solo essi in grado di esercitarlo.
5)- Nel campo della cultura.
Cultura è nutrizione dello spirito, cioè potenziamento dell’intelletto per mezzo della verità, irrobustimento e affinamento della sensibilità per mezzo della vivificazione e dell’armonizzazione degli affetti, disciplinamento e snellimento della volontà, attraverso un intenso esercizio di libertà razionale: la fonte da cui lo spirito umano trae il vero, il decoroso, l’onesto è la realtà con i suoi due settori naturale e soprannaturale
Non si concepisce cultura che non abbia rapporto con la vita: l’istruzione che è fine a sé stessa è erudizione: la sensibilità scissa dai grandi ideali della vita è sentimentalismo vuoto: l’energia di volontà scissa dall’azione è disciplina inerte.
Nell’epoca del Conformismo, lo spirito umano perde il contatto con svariati settori della realtà, perché li vede vigilati da una autorità che li considera come campi di sua proprietà; o, se osa entrare in essi, li percorre seguendo le tracce segnate dai padroni: così avviene per i settori della politica, dell’economia, della morale, della religione.
Resta libero all’accesso di chi voglia lavorarvi il campo della scienza, a patto che non si pretenda sconfinare di lì in altri campi.
Possiamo, quindi affermare che, in genere, nell’epoca del Conformismo, la cultura è scissa dalla vita e che gli spiriti che ad essa si dedicano, o sono costretti a chiudersi nel mondo piccolo e innocuo di uno sterile soggettivismo, più o meno bizzarro, o si adattano a commentare, senza sentirli, e seguendo una via obbligata, i motivi proposti dalla autorità.
Vediamo la ripercussione di questa situazione particolarmente nel campo della letteratura.
In poesia, intesa come interpretazione e rappresentazione della vita nei suoi aspetti più profondi e più significativi, è senza dubbio la sintesi più sublime della cultura. Essendo, perciò, la cultura scissa dalla vita, nell’epoca del Conformismo, ci troveremo di fronte a scrittori che, perduti di vista i più gravi ed urgenti problemi della loro età, o si ritireranno nel mondo della retorica, e faranno pompa di belle chiacchiere nelle accademie e nei salotti, o si metteranno al servizio della boria presuntuosa di chi prometteva loro di trattarli meglio.
Anzi, essendo pochissimi i poeti che possono vivere in completa autonomia, vedremo l’enorme maggioranza di essi impegnati in uno sforzo retorico degno di maggior causa, per trovare i modi più efficaci per esaltare questo o quel personaggio, a commentare questo o quel fatto.
Qualche raro spirito indipendente, per non compromettersi con nessuno e acquistare più facilmente la forma di originalità, si darà le arie del mattacchione che ha il solo scopo di divertire chiunque abbia voglia e tempo di passare la vita in allegria.
Lo stile di cui si varranno questi scrittori bizzarri o asserviti, o autonomi, sarà quello che più piace al mondo aristocratico, cioè alla classe più legata alla famiglia dei forti, nelle diverse fasi della sua evoluzione.
Il popolo, la nazione, gli interessi vitali della religione sono fuori del mondo letterario, salvo rarissime eccezioni che hanno poi una importanza assai limitata.
La letteratura né si ispira alla vita, né promuove la vita. Giustamente, perciò, il Renzo dei Promessi Sposi, espressione tipica della mentalità popolare, pensava che il poeta fosse “un cervello bizzarro e balzano” che, come dice il Manzoni, “nei discorsi e nei fatti avesse più dell’arguto e del singolare che del ragionevole”, un uomo, insomma, che dicesse delle cose curiose in momenti di euforia.
Anche le arti si allontanarono, durante il Conformismo, dalla naturalità, per seguire uno stile più o meno bizzarro, destinato a far colpo: drammaticità teatrale, esagitazione e arditezza di linee, contrasti violenti di luci e di ombre, intensità di colori sono le risorse di cui si vale la nuova tecnica artistica per esprimere non la realtà della vita della natura interpretata con spiritualità seria, ma l’audacia e la presunzione di ingegnacci che assumono posa da ispirati.
Nel complesso, sia in letteratura che in arte, ci troviamo di fronte ad un indirizzo, al culto più della forma che del contenuto, più della tecnica che dell’ispirazione.
Se è vero che ove manca una forte spiritualità, lì anche la civiltà è minore, possiamo senz’altro definire il Conformismo epoca di civiltà mediocre.
Se la poesia e l’arte sono l’espressione più alta della spiritualità di un’epoca: se la poesia e l’arte, nell’epoca del Conformismo, più che spirituali sono sensitive, cioè più che esprimere stati d’animo sono audaci avventure di tecnica nell’ansia di trovare ciò che più impressiona la fantasia, la vista e l’udito se la sensitività è caratteristica delle civiltà infantili o invecchiate, possiamo definire il Conformismo epoca o primitiva o senescente: non potendosi parlare di primitività, perché essa è continuazione del Rinascimento, bisognerà ammettere che si tratti di decadenza per vecchiaia.