PREMESSA: Perché fare la storia di una chiesetta ? Senza dubbio perché c’è una passione che fa riscoprire le impronte del passato nel luogo dove si è nati e vissuti. Sono le radici dell’armonia con l’ambiente in cui si vive e che sentiamo appartenerci. L’interpretazione del passato arricchisce il presente di qualcosa di dimenticato, che è utile a ben affrontare il futuro. La storia di questa immagine ha accompagnato nei secoli la devozione popolare, ha incoraggiato la condivisione della popolazione nelle processioni domenicali, nel Rosario del mese di maggio, nei matrimoni, nei lavori per ristrutturarla e nelle offerte per mantenerla. Ogni chiesa è luogo dell’ineffabile e luogo di ricerca di realtà trascendenti che sono sorgenti del vivere. Anche le pitture aprono l’anima ad una speranza della verità che va oltre le piccole cose temporanee.
I DOCUMENTI: L’idea iniziale di una ricerca è nata dal ritrovare i documenti del sec. XVIII esistenti presso l’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, soprattutto gli inventari e le risposte alle visite pastorali. Queste carte testimoniano la vivacità della vita cristiana Belmontese, illuminano le vicende a cominciare dal secolo XVI, ed aprono orizzonti inesplorati. Questa ricerca può incoraggiare altre ricerche sugli avvenimenti significativi del divenire nei secoli. Sono visuali aperte sulla vita sociale, sul legame complesso del rapporto che lega da cinque secoli la comunità locale alla Chiesa.
LA NOSTRA MADONNA: “La nostra Madonna”. Così la celebra la parrocchia belmontese con affetto e familiarità. “Nostra” viene considerata dai compaesani per il cammino lungo i secoli delle nostra famiglie che hanno affidato la vita, le gioie e le sofferenze alla preghiera rivolta a lei. Il cuore profondo della nostra gente dice: “La Madonna” con fede e confidenza verso questa amata Madre spirituale.
LA CHIESA DELLE GRAZIE NEL BIVIO : I Belmontesi hanno creato quest’opera. I muri sono un segno della comunità che si sente non evanescente ma presente. E’ stata costruita in un punto di passaggio nell’antica strada collinare Fermana, fuori dall’abitato da cui dista circa mezzo chilometro, in una posizione panoramica, tra la vallata del fiume Tenna e quella del fiume Ete, un luogo di sosta, al bivio della strada che immette verso l’interno.
UNA TRADIZIONE: Le antiche memorie scritte nel 1728 dal rettore di questa chiesa, tramandano che ci fu un miracolo quando Bartolomeo Galaro, partito da Fermo per accompagnare sua moglie in pellegrinaggio verso una chiesa presso i monti, si fermò in preghiera davanti a questa immagine dipinta dentro la nicchia di una finestra rimurata della casa dei Vittori. La moglie fu liberata dal male. Il fatto avvenuto fece scalpore e la popolazione venne qui a pregare, a ringraziare, a donare le offerte. La famiglia Vittori fu coinvolta perché era devota della Madonna e nella loro parentela c’erano dei sacerdoti, tra cui don Vittorio Vittori che celebrava le sante messe nella pievania del SS.Salvatore, presso l’altare di S. Rocco.
DAL SECOLO XVI: Nel 1575 era venuto a Belmonte il visitatore apostolico mons. Maremonti, e fece la visita pastorale al piccolo edificio costruito di fronte all’immagine chiamata popolarmente “Madonna delle Grazie”. I verbali scritti sono conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Fermo e nel registrato si legge che questo luogo di preghiera era un “sacello”, come spazio sacro di dimensioni piccole.
IL CONTESTO STORICO: L’ambiente di pace che caratterizzava lo Stato Romano pontificio è stato alla base dello sviluppo delle iniziative economiche e sociali da parte delle persone e della parrocchia, insieme con le Confraternite del SS.Rosario, della S. Croce e del
SS.Sacramento. Gli anni di pace che ebbe a godere la provincia di Fermo nei tre secoli che precedettero la occupazione del Re di Savoia (1860) erano favoriti dal paterno regime del “Buon Governo” romano e rendevano prospere le attività agricole, edilizie, artigianali ed i traffici. Il benessere, relativo ai quei tempi, facilitava le famiglie che erano per la stragrande maggioranza dedite all’agricoltura, agli allevamenti domestici, alle tipicità dei prodotti alimentari. Il traffico delle merci aveva il mercato maggiore a Fermo, mentre i prodotti di prima necessità erano di produzione locale.
I contributi per costruire la prima chiesina sono da riferire alla generosità della gente che donava varie cose: tessuti, lana, indumenti aghucchiati, calze, grembiuli e panni, inoltre oggetti elaborati dalla metallurgia o oreficeria.
L’IMMAGINE SACRA: Nella tribuna il dipinto è dentro una nicchia che permane dall’originaria finestra rimurata e risale, secondo una tradizione, attorno all’anno 1547. La nicchia è a sguancio, ha l’altezza di cm.107 all’interno e cm.118 all’esterno. Anche la larghezza è a sguancio da cm.78 a cm.91. L’immagine dipinta è alta cm.78 e larga 67.
La beata Vergine siede in trono con manto colore verde mare e con veste color rosso. Tiene sulle ginocchia il divin Bambino che è dipinto in colore incarnato tenero. Sui capelli di entrambi sono poste, da quattro secoli, le due corone argentee ornate con pietre preziose. La dipintura è nitida, con figure eleganti, motili, a colori chiari, di stile rinascimentale. Il pittore ignoto lavorò per la famiglia dei Vittori, proprietari dell’abitazione. L’opera appare pregevole per gli elementi compositivi e per l’impressione estetica. I tratti tipici evidenti sono: l’equilibrio delle componenti, l’apertura al paesaggio sconfinato, il tratto pittorico lungo, il compiacimento per l’effetto contemplativo in sintonia con la rappresentazione in movimento.
OPERA DI UN PITTORE NON IDENTIFICATO: Il dipinto è a tempera e la figura della “Beata Vergine in trono con il santo Bambino” non è rara nella pittura marchigiana del secolo XVI. Nel corso dei secoli i colori si sono più volte sbiaditi e quindi sono stati rimaneggiati a più riprese. Da come si può vedere, l’opera sembra di mano, se non eccellente, almeno buona. Probabilmente opera della scuola Farfense del Piceno e si può attribuire alla bottega dei pittori Bonfini di Patrignone (vicino a Montalto), ma è una attribuzione generica dovuta alle somiglianze con altri dipinti murali del genere. E’ pensabile che resterà un dipinto anonimo, perché è difficile determinare un’identità ben precisa. Un tempo si facevano dipinti sulle facciate delle case, pur sapendo che le intemperie non permettevano loro lunga conservazione, ma erano espressioni di fede.
LE CELEBRAZIONI: Il valore di questo dipinto è di tipo devozionale, a motivo della frequenza dei fedeli che in questa chiesa hanno invocato e invocano le speciali protezioni della Vergine e del divin Figlio, e li ringraziano. Le figure danno un senso di benevolenza e di serenità. Dalla risonanza che la guarigione della moglie di Bartolomeo Galaro da Fermo aveva diffuso nel territorio Fermano provenne una affluenza di pellegrini in questo luogo, che sta a metà percorso tra il mare e i monti. Si facevano celebrazioni liturgiche nel “sacello” e si donavano risorse per mantenere costante il culto. Alla parete dove era l’immagine fu accostato un altare, probabilmente costruito in legno da falegnami del Fermano, con cornici ed ornato dipinto.
TERRENI DONATI ED AMMINISTRAZIONE: Si ha notizia del lascito testamentario di tre appezzamenti di terre a Monte Giberto da parte di Giovan Berardino, figlio di Nicola Gentili del luogo. Con il fruttato dei terreni era richiesta la celebrazione di una S. Messa, in ogni mese dell’anno, in onore della Madonna delle Grazie a beneficio dei defunti. Il testatore Giovan Berardino morì nel 1665 e già nel 1666 era nominato Don Nicola Savini per le celebrazioni.
Ad amministrare le rendite ci furono varie persone e nel 1676 il pievano della parrocchia del SS. Salvatore di Belmonte. La famiglia Vittori aveva donato l’area del terreno davanti all’immagine ove sostavano i pellegrini. Qui venne prolungato un edificio. La proprietà immobiliare veniva poi data in “affitto”, e spesso erano i parenti della famiglia donatrice a prenderne la concessione, per cui corrispondevano il canone al pievano belmontese.
Dagli inventari risultano acquistati alcuni arredi liturgici. Questi oggetti sono rimasti per secoli nella sacrestia e sono stati descritti con foro per la Soprintendenza di Ancona. In particolare tre opere del secolo XVII: un reliquiario, un calice ed una piccola pisside. Sono interessanti per i ceselli a sbalzo di ornato barocco e arcadico (vengono riferiti in appendice).
IL CULTO BELMONTESE ALLA BEATA VERGINE:
L’altare della Beata Vergine era il punto di riferimento costante della devozione dei credenti richiamati dall’immagine della Madonna delle Grazie con profondo significato per la comunità cristiana. Un’altra chiesa, esistente nel borgo belmontese, fu dedicata alla Madonna del Rosario, che ha avuto una propria Confraternita dal 1586. Queste due immagini mariane, una all’inizio ed una alla fine dell’abitato, sembrano esprimere l’intenzione di voler dedicare l’intero paese alla Madonna. Nella chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, l’immagine della Madonna è dipinta davanti all’altare maggiore, come Assunta vicina al Figlio in gloria. Inoltre qui, in un altare laterale si vede la S.Casa di Nazareth.
Le immagini servivano agli appuntamenti della gente che amava radunarsi presso queste per recitare il santo Rosario nei mesi mariani di maggio e di ottobre, e le onoravano con vasi di fiori.
DEVOZIIONE NON SUPERSTIZIONE: Il clero della parrocchia e i fedeli disponibili, nei pomeriggi delle domeniche estive, dopo le funzioni in parrocchia, andavano alla chiesa delle Grazie per una preghiera ed un canto. Si tramanda per ricordo dei più anziani che dietro la sacrestia di questa chiesa dimorava un “romito”, che significa eremita, un uomo che viveva libero, e curava la manutenzione ordinaria della chiesa.
Nella devozione popolare sarebbe semplicistico fermarsi a notare soprattutto le superstizioni, le paure e le passioni individuali, mentre fioriva un dinamismo positivo lievitato dalla fede in Dio, presente nella sofferenza e nell’agire quotidiano delle persone, come anche nella fiducia dei giovani. La vita è vivente e non vuole disfarsi nella disperazione, trovando in Dio e nella Santa Vergine una forza superiore.
TRASFORMAZIONI E RESTAURI DELLA CHIESA :Secondo le notizie di tradizione scritte nel 1728, il primo ingrandimento della chiesa è riferibile agli anni dal 1678 al 1688, a seguito della frequenza dei devoti oranti davanti alla immagine dipinta nel muro. Dalle loro elemosine si ebbe la possibilità di fare una costruzione sempre più grande, a cominciare dal ‘sacello’ del secolo XVI in modo da facilitare il maggior numero possibile di persone nel partecipare alle celebrazioni con preghiere e con canti.
L’EDIFICIO: La costruzione successiva del secolo XVII, ad asse longitudinale, era di linee semplici e armoniose, per cui fu mantenuta nelle ristrutturazioni. Era una navata con il presbiterio rialzato di pochi gradini. Una delle finestre era nella facciata, sopra al portone. Dietro al presbiterio c’era la piccola sacrestia su cui scendeva la corda della campana sistemata su un muretto a vela sopra alla parete. Dei lavori eseguiti dal 1678 non abbiamo nessun disegno perché, quando il regno di Savoia confiscò, nel 1866 questa chiesa, fu portato via anche il carteggio d’archivio con le mappe e gli atti dell’amministrazione.
UN RETTORE E UN BENEFICIO: Dagli inventari arcivescovili risulta il convergere delle iniziative che diedero stabilità istituzionale a questa chiesa. In armonia con il parroco e con la Curia Fermana la famiglia di Pietro Vittori, nel 1726, donò un terreno in contrada Molino di Belmonte. L’Arcivescovo mons. Alessandro Borgia, nello stesso anno 1726, venne in visita pastorale e volle nominare un rettore stabile per la chiesa ampliata e dotata di rendite sufficienti al sostentamento di un sacerdote addetto alla liturgia. Con bolla vescovile del 6 novembre 1727 nominò don Maurizio Cordella di Fermo come primo rettore della chiesa beneficiata della Madonna delle Grazie di Belmonte. Nell’inventario che questo rettore scrisse nel 1728 la chiesa risultava con pavimento di pianche e le dimensioni all’interno dell’edificio erano: lunghezza di palmi romani 63 e 1/2 (mt.15,20 circa) e la larghezza di palmi 64 (mt.6 circa) e l’altezza di palmi 31 (mt.7,40). Sopra al tetto il campanile in muratura a vela con la campana di peso libre 150, nella quale era effigiata in semirilievo sul bronzo la “Madonna di Loreto”
MOMENTI DELL’AMMINISTRAZIONE: Nel 1728 gli obblighi derivanti dai lasciti di offerte per la liturgia impegnavano il rettore incaricato per 44 sante Messe all’anno, mediamente una santa Messa la settimana e stabilmente si celebravano le liturgie per le feste della Madonna durante l’anno. Al secolo XVIII risale anche un calice di artigianato marchigiano o romano con le parti basali in bronzo e la coppa in argento dorato. Si può pensare che fosse stato procurato dal rettore come dote liturgica di questa chiesa. Si ha notizia che il rettore don Giacomo Nobili procurò un reliquiario circa l’anno 1740.
LA CASA PRESSO IL MOLINO AL TENNA: Nel 1743 si costruì una abitazione nel terreno in contrada Molino per la famiglia dell’affittuario coltivatore Domenico Moretto. I lavori furono eseguiti dal mastro muratore Nicola Laurenzi. Si adoperarono 4.000 mattoni e due canne e mezzo di pietre. Mille i coppi del tetto. Altrettanti pianconi da pavimento. Compresa la manifattura, il costo totale fu di 62 scuti. Allo scopo furono ricavati 40 scuti abbattendo quattro querce nei terreni a Monte Giberto. Nel 1759 questa casa fu ampliata di una stanza. La rendita totale del beneficio della Madonna delle Grazie nell’anno 1771 era di scuti 32 annuali.
I RETTORI BENEFICIATI: A governare la chiesa delle Grazie dal 1727 in poi l’Arcivescovo nominava un sacerdote il quale promuoveva la devozione pubblica e privata, garantiva le officiature delle sante Messe e gestiva l’amministrazione dei beni. Come guida spirituale offriva il conforto cristiano dei sacramenti tra cui l’Eucarestia, e la Penitenza o Riconciliazione. Nello stesso tempo, irradiava lo spirito di fraternità e di assistenza ai bisognosi. In questo senso contribuiva a facilitare la consapevolezza dell’identità di “paese”. La mobilitazione spirituale guidata dal clero era in sintonia con la società civile. La nomina a rettore comportava la responsabilità della manutenzione della stessa chiesa. Alcune donazioni straordinarie erano fatte in ringraziamento di proprie “grazie ricevute”, ad esempio un pericolo scampato, o una grazia in famiglia.
Il vescovo, in visita pastorale, faceva curare l’adempimento degli obblighi legati ai “lasciti o legati” e il decoro della vita liturgica in tutti i suoi aspetti, secondo le norme canoniche. Un grave colpo alla autonomia amministrativa delle chiese fu inferto da Napoleone Bonaparte negli anni 1808-1816, quando le autorità pubbliche, confiscarono e vendettero i beni ecclesiastici. Una peggiore confisca fu fatta nel 1866 dal Re di Savoia. Subentrarono i privati.
I CITTADINI RIPARANO LA CHIESA: A seguito dei danni del terremoto del 5 settembre 1950 la chiesa aveva bisogno di riparazioni di cui fece perizia il geometra Giuseppe Orgeas Vittorini il 3 marzo 1952, quando il pievano don Rufino Brunelli con don Mauro Natali, cappellano a Belmonte, organizzò un comitato per i lavori urgenti di restauro, raccogliendo dalle offerte dei paesani la somma di lire 202.184, mentre la spesa in previsione era di lire 730.446. Erano cadenti varie parti della chiesa tra cui il tetto con volti in camorcanna, il campanile, le pareti lesionate furono demolite col lavoro dei paesani volontari. Per la ricostruzione si fece contratto con la ditta Vallorani Otello di Cossignano sotto la direzione tecnica dell’Arch.Gramolini di Fermo. La spesa di lire 1.650.000. I lavori, iniziati li 25.3.1952, furono terminati il 16.6.1952 e pagati tutti entro l’ottobre dello stesso anno con la collaborazione delle persone che frequentavano Giustina Sbaffoni, una santa donna che a Belmonte accoglieva molte persone per pregare, secondo le necessità. Per la riapertura della chiesa si fecero solenni festeggiamenti con fuochi d’artificio. La celebrazione eucaristica fu presieduta da Mons. Norberto Perini arcivescovo di Fermo e solennizzata dalla Schola Cantorum. A sera, nella chiesa parrocchiale si tenne un concerto vocale con la soprano Ferracuti, il 28.9.1952.
NUOVE OPERE: Nell’aprile 1957 si costruirono i gradini esterni all’ingresso e nel 1963 la rampa di scale di accesso dalla strada alla chiesa. I banchi e l’inginocchiatoio sono opera del falegname Remia Remo, il mobile-armadio di sacrestia di Attorri Brunello di Grottazzolina. Già nel 1953 don Mauro aveva provveduto diffuso un libro di Preghiere di 150 pagine. Attorno alla chiesa furono piantati oleandri ad alberello ed il ligustrum ovalifolium. Dietro alla chiesta è stato costruito negli anni 60 del secolo scorso un edificio ad uso abitativo con portico sul lato est. Tra questa casa e la sacrestia della chiesa nel muro meridionale è innalzato a vale il campanile.
DESCRIZIONE ESTERNA: Prima della ricostruzione l’edificio della chiesa era lungo mt.15,20, continuati da altri 4,70 nella sacrestia retrostante. La larghezza era di mt.6,10. Attualmente le dimensioni sono maggiori. Le misure esterne in metri sono di lunghezza mt.19, di larghezza mt.10 e di altezza mt.7,30.
Sulla parete meridionale si legge l’epigrafe dettata da Giustina:
“O passeggero che il cammin t’arresta
la chiesa è di Dio la Madre è questa.
Guardala, piangi, prega
Maria ai devoti suoi grazia non nega”.
La parte esterna è senza intonaco, a mattoni “a faccia vista”. Mentre nella parte inferiore si notano murate le pietre. In alto la parete è tutta a mattoni. Nella facciata la parte superiore ha una serie di finestre, che danno molta luce all’interno.
ALL’INTERNO: La chiesa ha due livelli di pavimenti. Nella parte della tribuna e del presbiterio, ove si conserva l’immagine della Madonna col il santo Figlio, c’è una volta a quadrivela, che deriva dalla primitiva cappella del secolo XVI, a cui fu aggiunta la navata a livello poco più basso. Il prospetto dell’icona, nella tribuna, è ornato in marmo bianco mt.5,3 x 2,1 con l’epigrafe “MATER GRATIAE” cioè Madre della Grazia divina. Due lesene mistilinee sorreggono il timpano. Ad altezza di persona c’è il tabernacolo a muro, con porticina dorata. Nel presbiterio, dal 1952 c’è una mensa in marmo compatto sostenuta da due stipiti verticali.
L’arredo è stato proseguito con un confessionario. Alle pareti sono stati collocati dei lampadari in ferro battuto e cromato. Inoltre sono stati donati alcuni quadri.
Nel 1963 il Presidente della Repubblica Italiana ha pubblicato il riconoscimento di Ente Morale alla chiesa della madonna delle Grazie di Belmonte.
PELLEGRINI :La devozione è generosità. I sacerdoti che hanno amministrato la chiesa belmontese delle Grazie non si sono fermati ai canti, alle preghiere, alle liturgie, ma hanno seguito le esigenze spirituali e umane dei fedeli. La religiosità popolare non è stata inficiata da superstizioni; ma ripiena di generosità, sull’esempio di Giustina Agostini Sbaffoni che qui impetrava molte grazie ed invitava a riconciliarsi con Dio.
Il santuario fa avvertire ancora il senso della comunità. I pellegrinaggi che qui giungono, provenienti da altri paesi della provincia, sono prevalentemente famiglie, con genitori e figli per chiedere una grazia particolare alla Madonna. Un gruppo è ricordato da don Giuseppe Biondi (parroco belmontese dal 1957 al 1995, come scritto in una sua omelia.
DON GIUSEPPE BIONDI PARROCO: Nella chiesa della Madonna delle Grazie, nel giugno del 1984, ad un gruppo di pellegrini venuti da Ascoli Piceno con la signora Cicconi don Biondi ricordava: “Con la vostra presenza in questo luogo voi onorate la Vergine delle Grazie che qui si venera ed intendete anche onorare la memoria di Giustina che ha molto lavorato per il decoro di questa chiesa. Fu restaurata nel 1952, era fatiscente, destinata a scomparire tra la vegetazione selvatica, come un rudere. Un gruppo di volenterosi riuniti in comitato, sotto la guida dello zelante sacerdote don Mauro Natali, si misero all’opera per restaurarla. Ma quando ci misero mano si accorsero che andavano incontro ad un’impresa superiore alle loro forze: si trattava di riprendere i lavori quasi dalle fondamenta e fu allora la devozione alla Madonna delle Grazie a rendere generosi tutti quelli che andavano a trovarla. Giustina distribuiva un’immaginetta raffigurante l’effigie sopra l’altare e raccomandava di pregarla con fiducia. Lei non chiedeva niente alla gente, ma le offerte venivano spontanee e consistenti.
In questa chiesetta accorrono ancora molte persone, ricevono le grazie che chiedono e anche se non ricevessero queste, ringraziano Dio lo stesso perché Dio va sempre ringraziato: nella gioia, ma anche nella croce e nella malattia e nella sofferenza”.
L’immagine della Madonna delle Grazie viene diffusa anche in Burundi dal belmontese padre Vittorio Blasi che è missionario a Bujumbura e tiene a scuola centinaia di bambini e bambine che sono rimasti orfani per causa delle lunghe guerre. Padre Vittorio dice che ha ricevuto a Belmonte la fede che ha predicato e donato nelle terre di missione. Con pazienza, tenacia, accoglienza diffonde la fiducia in Maria.
MESSAGGIO :L’azione della Beata Vergine Maria incoraggia il comportamento dei fedeli. La Madonna soccorre ai bisogni della gente. Le persone avvertono nella loro coscienza la chiamata a migliorarsi come cristiani con l’aiuto, la protezione e l’intercessione della Madre Celeste. La devozione alla Madonna, sentita e cordiale, è caratteristica del popolo italiano come dimostrano le migliaia di chiese, edicole ed immagini disseminate in ogni località. Certamente le Marche hanno a Loreto un santuario di primaria rilevanza internazionale, meta di centinaia di migliaia di pellegrini. Inoltre ogni paese ha la sua chiesa o più di una chiesa dedicata a Lei. Testimonianza eloquente della sincera fede è il voler conservare, restaurare ed abbellire i luoghi sacri mariani.
Le gente attende grazie e miracoli; ed è importante riconoscere i larghi benefici che la Madre Celeste elargisce con la divina misericordia. Lei chiede ai fedeli che le diano un posto specialissimo nei cuori che orienta la salvezza a Gesù Cristo, suo figlio di cui Lei è mediatrice, per avergli donato il corpo umano. Lode dunque alla Madonna che aiuta i credenti.
APPENDICE
PISSIDE. Tra le suppellettili di uso liturgico una pisside piccolina, alta cm.9,5 e con coppa di diametro cm.4,5 serviva per portare le ostie consacrate del Santissimo Sacramento come Viatico ai malati. E’ opera del secolo XVII, in argento dorato ed è autenticata dall’argentiere con un punzone a figura rampante e con l’altro punzone pontificio romano con delle due tipiche chiavi incrociate, dette di S. Pietro.
RELIQUIARIO. Don Giacomo Nobili ebbe la premura di provvedere una reliquia della veste della beata Maria di Nazareth, madre di Gesù, e portò, probabilmente da Roma, un antico reliquiario in legno intagliato, dipinto dorato e ornato con volute, medaglioni, cornici ondulate, mistilinee a raggiera.
CALICE del secolo XVII. Un piccolo calice a base circolare, in rame argentato e dorato, alto cm.11,5, ha la coppa di diametro di cm.8,7. E’ un’opera dell’oreficeria marchigiana riferibile alla fine del secolo XVII. La base è cesellata, ornata a fogliame, e il sottocoppa è fregiato a foglie di acanto con uno sbalzo semplice, non privo di eleganza.
CALICE del secolo XVIII. Un calice di artigianato marchigiano o romano in bronzo e argento dorato, alto cm.23 con coppa di diametro cm.8,6, ha l’ornato in linee flessuose, più spiccate nella base. La sottocoppa (aderente alla coppa) è sbalzata con una serie di cartigli intorno.
QUADRO DEL ROSARIO Molto recente un quadro con immagine della beata Vergine del Rosario, riferibile alla metà del secolo XX. La cornice è altra cm.62 e lunga cm.50, con listelli di cm.6,8. L’immagine tipica del santuario di Pompei, reca la scritta “Ave Maria”. Richiama i fedeli a pregare il santo Rosario, come si è usato per secoli in questa chiesa.