Da UGHELLI, COLETI, Italia Sacra (ed 1717) coll. 683-687 mai trovato l’originale né la copia vescovile. Documento costruito tardivamente e riferito all’anno 887
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Rendiamo noto ai venerabili e santi nostri successori e a tutti i fedeli cristiani, i quali temono e venerano Dio, che con il consenso ed il consiglio di tutti i Vescovi esistenti nel Ducato di Spoleto, io, Teodosio, vescovo della santa Chiesa Fermana, per divina grazia, ho voluto una chiesa nei beni di San Marone martire di Cristo, in un’isola <=terreno tra corsi d’acqua> che il mio signore, l’augusto invitto imperatore Carlo ed io abbiamo vista circondata dai fiumi Ete e Chienti, con boschi di cipressi e di piante fruttifere, ed ho comandato che venisse costruita dalle fondamenta ed innalzata una basilica, per la costante grazia divina, per amore del nostro Signore Gesù Cristo e della sua santa Croce, e volli consacrare la sua prima pietra insieme con gli altri vescovi. Dopo aver convocato i miei confratelli, con la comune ispirazione dello Spirito Santo, insieme abbiamo fatto la sua consacrazione in onore del divin Salvatore e della santa sua salvifica Croce. Dove prima si vedeva un’abitazione e una caverna da volpi, ora con il favore della divina grazia si ammira la casa di Dio e l’abitazione dei Santi <religiosi> ed ho stabilito un monastero per infervorare l’entusiasmo dello zelo di Dio. Dopo aver realizzato queste cose, mi sono sentito triste e mesto e quanto più avevo largheggiato nella costruzione e nella consacrazione di questo monastero, tanto più pensavo con mestizia alle persone solitarie ivi radunate che non avevano di che vivere. Il signore Carlo, invitto imperatore, per la salvezza della sua anima aveva concesso a questo almo luogo, alcune cose pubbliche di sua proprietà e anche del patrimonio dei suoi genitori, nonostante che questo luogo fosse stato incrementato con donazioni imperiali, come si legge scritto nel decreto da lui fatto a favore di questo luogo, in realtà le predette cose donate ad esso non appaiono sufficienti per questo luogo e per i famigli che vi stanno a servizio. Pertanto lo stesso imperatore ha concesso che io di persona facessi dono di tutti i beni che volevo dare con il consenso del clero della santa Chiesa Fermana, senza che alcuno, né ora né in futuro, potesse essere contrario, seguendo io la divina ispirazione. Dopo tale fatto, ho concesso, in perpetuo, alcuni beni della Chiesa Fermana a me affidata, per consiglio di questo imperatore e con il consenso di tutti i sacerdoti e diaconi e di tutta la famiglia della Chiesa Fermana, per il sostentamento dei monaci, in modo che entrambi <i doni> uniti diano sufficiente abbondanza di cibo e di vesti per quelli che stanno qui in unione con Dio. Non è opportuno tacere quali cose della Chiesa a me affidata, io ho donato a questo monastero, con il consenso della gente Fermana, per cui le annoto qui tutte e singole. Ho dato a questo venerabile monastero tutti i possedimenti, le case e le sostanze, con terre, vigne, piante fruttifere e infruttifere, case, abitazioni, ogni spazio e le colonie <=coloni con le terre>, coltivate e non coltivate, i beni mobili e stabili, cose queste che un tempo furono della pievania di San Masone <= Marone> esistenti su questa parte del fiume Chienti e in tutte le adiacenze attorno a questo monastero, e altre cose che sono attorno alle colline da una parte del monastero con i castelli e in altre parti, quello che giace vicino al fiume Chienti, sino al litorale marittimo, intermedio sta il corso dell’Eta e dal detto litorale si va verso gli insediamenti curtensi di San Martio fino al mare; dalla parte superiore i possessi di questo monastero, quelli concessi dal divino Carlo imperatore, le ville, i casali, con la nostra chiesa di San Bartolomeo e gli insediamenti curtensi del castello di Roccio, gli insediamenti di terra Tallita, gli insediamenti di San Martio fino al mare con la detta chiesa e dentro queste adiacenze anche gli uomini, i servi, le serve, tutte le pertinenze, interamente fino al rivo di Putro, tutto ho dato e concesso a questo monastero. Ho donato anche le grotte degli Eremiti ed ho voluto che essi consacrassero una basilica ad onore dell’Altissimo Dio e di Sant’Egidio, con tutte le pertinenze di queste grotte e con le adiacenze, facendo però eccezione di conservare per la Chiesa Fermana il teloneo <=dazio> del porto del Chienti, come usa il conferimento alla porzione nostra di vescovo. Inoltre a questo monastero ed ai servi di Dio qui radunati e da radunare in futuro ho donato la chiesa di San Lorenzo che è situata e posta nel castello della città Fermana, vicino alla sede episcopale, con case, terre, vigne, alberi, libri, campane e paramenti e con tutte le cose appartenenti a questa chiesa, e con le offerte di vivi e di morti, in modo che quando l’abate, i monaci, i famigli di questo monastero volessero recarsi da noi e nella città Fermana per qualche utilità di questo monastero, in questa chiesa <= San Lorenzo> abbiano luogo accogliente e usino i beni di essa, secondo la necessità, a loro volontà; inoltre è donato l’insediamento curtense di San Liberatore interamente insieme con le “libertà”, i servizi, i campi, le vigne, gli alberi, i beni mobili e stabili,le terre coltivate e non coltivate, insieme con la chiesa di Santa Maria de Salliano, con le offerte di vivi e morti, con tutti gli utensili, inoltre è donato l’insediamento curtense di Sant’Agata de Mucilli, con le sue pertinenze e adiacenze e con le offerte di vivi e morti. Parimenti è donato l’insediamento di San Patrizio con le sue pertinenze, con anche i servi e le serve che stanno in questi luoghi e nella villa di San Mar<t>io e con la chiesa di San Mar<t>io, le sue pertinenze e adiacenze, con le offerte di vivi e di morti. Tutto questo l’ho dato e concesso a questo monastero in perpetuo, come eredità da tenere e fruire per comodità del monastero. E l’abate che nel tempo vi sarà abbia potere su queste cose che noi, con sovrano dono, abbiamo dato e su quelle che in futuro saranno donate, consegnate, permutate come piacerà, con il consenso dei suoi monaci, senza che alcuno possa contrastarli. Concediamo loro anche il potere di dare in locazione, di disporre, di stabilire le chiese parrocchiali, già concesse loro da me o quelle che concederemo, mettendovi i cappellani, i chierici, o rimuovendoli con decisione propria e mai avvenga – penso non avverrà o sarà difficile – che un mio successore, mosso da avarizia, osi mai fare qualche diminuzione o detrarre qualcosa dei beni dati da me ai servi (famuli) di Dio ad usare per le loro necessità i beni della nostra Chiesa che ho voluto dare. Sappia che ho acquistato con i miei sforzi molte cose per la Chiesa Fermana e per amore di Cristo e alla sua salvifica Croce, delle anime, con il favore divino, li ho dati ad uso dei servi di Dio, cioè gli insediamenti curetnsi di Santa Petronella e il campo Sanignano, e l’insediamento curtense di Columnella e tutta una porzione di terre di un ‘manso’, le consociazioni <di lavoratori> e molte altre cose nelle colline attorno, come ho indicato già affinché nessuno osi far diminuzione al mio episcopato nelle cose fatte da me per il bene delle anime. Sia mantenuta stabile ogni cosa dell’abate e dei monaci di questo cenobio, con l’aiuto dello Spirito divino. Abbiamo deciso di far riferimento a quello che noi e i nostri successori debbono adempiere, negli offici sacri che debbono essere celebrati nel monastero di questa congregazione. L’abate ottenga da noi e dai nostri successori gli ordini sacri che avrà richiesto, senza che per questo il vescovo abbia nessun onore di ricambio da loro. Quando saremo chiamati dall’abate a consacrare un altare in una loro chiesa o nel monastero, lo consacreremo. Il sacro crisma che ogni anno richiederanno, lo concederemo per la riverenza del luogo, senza compenso, secondo la divina concessione. Quando sarà migrato in cielo dal Signore un abate di questo monastero, l’elezione <= del successore> avverrà nell’assemblea ad opera dei monaci stessi, trovando chi è adatto alla loro regola, e noi e i nostri successori, senza compenso, lo promuoveranno abate. Né l’abate né i monaci hanno potere di sottrarre questo monastero alla chiesa Fermana, a meno che il vescovo o il clero Fermani non facciano cose contrarie a quanto è stato detto in precedenza. Ogni anno, nel mese di agosto, il monastero deve dare dieci soldi al vescovo Fermano o metterli sopra l’altare di Santa Maria che è nella città di Fermo e mai riconosceranno altro dominio sopra questo monastero né sui beni ad esso già donati, o da donare, né per le ordinazioni sacre delle persone, né per le espulsioni, né nelle ville o possedimenti o altre cose di dono regio, o da ricevere in dono, da noi o anche da altri, fatte in occasione di morte o di decesso di qualcuno, oppure fatte in vita. Nessuno presuma, né noi, né nostri successori vescovi o arcidiaconi o altri operatori, di tenere qualcosa dei beni mobili, immobili, stabili di questo monastero, né di ciò che è stato trasferito ad esso, o lasciato, o dato, od offerto sull’altare, come sacri volumi o qualsiasi ornato pertinente al culto divino, già consegnato o da consegnare in futuro, e non sia tolto loro in nessun modo, né motivo e nessuno osi entrare all’interno del monastero se non è stato richiesto a farlo dall’abate di questo monastero per avvantaggiarsi dell’occasione. Nessuno osi entrare entro i limiti dei recinti per qualche invadenza né fare mutamento in qualcosa dei loro beni. Qualora un pontefice <=vescovo> sia chiamato dall’abate per l’utilità di questo monastero o per altro vantaggio da godere, abbia premura di andarvi e dopo compiuti i sacri riti, in modo semplice, senza chiedere alcun dono, riceva la benedizione. Così avvenga allo scopo che i monaci, che sono chiamati “solitari”, possano godere della perfetta quiete <serenità>, nel tempo, con la guida di Dio, e sotto la regola loro propria, seguano la vita dei santi Padri, e possano giovare alla salvezza della regione, della patria, e alle anime nostra, dei predecessori e successori nostri. Se qualcuno di questi monaci fosse tiepido nella propria religione, sia corretto dall’abate, secondo la regola loro, per le mancanze. Qualora un monaco volesse agire temerariamente e non obbedire alle regole normalmente, su richiesta dell’abate, noi e i nostri successori abbiamo potere di correggerlo in relazione alle colpe commesse. Se peraltro qualche vescovo, oppure altra persona – che Dio ci scampi- mosso da astuzia, per qualche sua comodità, con pregiudizio, oserà violare le cose espresse in precedenza, con spirito temerario, sia colpito dalla vendetta divina e incorra nell’ira di Dio. Qualora poi non si ravvedesse e non si emendasse sia fatto soffrire con il vincolo della scomunica e per composizione dia centro libre di ambrosia (?!) a questo monastero.
Questo decreto e quanto da noi stabilito abbia validità perpetua. Questo monastero ha avuto i suoi inizi da realtà regolari e con esse è aumentato, parimenti in seguito rimanga sotto la regia potestà con tutti i beni ricevuti o che dovrà ricevere e resti distaccato della proprietà del vescovo. Pertanto questo privilegio resti invariabile.
Abbiamo voluto, noi e i nostri confratelli vescovi e gli altri sacerdoti della nostra chiesa <Fermana>, i chierici, i religiosi e i laici, dare maggiore validità a questa nostra istituzione, e per stabilità vi abbiamo fatto apporre le firme. Noi, don Inquirino; don Casoli come notai pubblici abbiamo completato e pubblicato. Noi vescovi che sottoscriviamo vogliano elargire il perdono dalle divina misericordia, con nostra benevolenza a tutti coloro che forniranno questo monastero con le proprietà loro, e a quelli che decideranno di avere qui la loro sepoltura, concedendo il condono della terza parte<della soddisfazione> dei loro peccati, dei quali si saranno pentiti con reale penitenza. Al contrario coloro che offendono le persone o le cose di questo luogo e non si correggeranno, abbiano l’eterna maledizione. Redatto presso questo monastero, nell’occasione della consacrazione, alla presenza del serenissimo imperatore Carlo, con molti principi, chierici e laici il giorno 14 di settembre dell’anno 887, anno sesto dell’impero di Carlo, signore in Italia.
Io, don Teodosio, vescovo della chiesa Fermana ho fatto sottoscrivere e porre il suo nome in questo decreto fatto da lui per divina ispirazione, affinché sia riconosciuto valido in perpetuo.
Su richiesta di don Teodosio, vescovo della venerabile chiesa Fermana, firmano i consensi con sottoscrizioni in questo decreto.
Io don Giovanni, vescovo di Ascoli; io, Celo, vescovo di Camerino, io, Benvento, vescovo di Senigallia. Inoltre Americo, vescovo di Spoleto; Romano, vescovo di Fano; Lorenzo, vescovo di Pesaro; Roberto, vescovo di Numana; Debaldo, vescovo di Perugia; Pietro, vescovo di Osimo; Ricardo, vescovo di Rieti, Adolardo, vescovo di Cagli; Alberto, vescovo di Lodi; Alberto, vescovo di Urbino; Severino, vescovo di Nocera; Bartolomeo, vescovo di Forlì; Ruggerio, vescovo di Teramo; inoltre consenso e sottoscrizione dati da otto canonici, cioè: da Valeriano; da Radegario; da Teobaldo; da Roderico; da Giovanni; da Gionata; da Pertodia; da Idprardo; inoltre il consenso e la sottoscrizione dati da cinque canonici diaconi: da Rolando; da Lupo; da Americo, da Trensfero; da Rodilando; inoltre il consenso e la sottoscrizione dati da cinque canonici suddiaconi: da Teodorato; da Valprando; da Alberto; da Domizio; da Firmio;
inoltre il consenso e la sottoscrizione di quattro canonici accoliti: da Trasmondo; da Treavino;
da Tosso; da Toto oltre ai <17> vescovi ed ai <22> canonici presbiteri, diaconi, suddiaconi e accoliti anche i laici hanno dato consenso e sottoscrizione: il conte Alberto; il conte Manseo;
il gastaldo Erberto e Trapaldone. Io Inquirino, notaio dell’invitto imperatore Carlo e custode di camera ho fatto il rogito, ho pubblicato e firmato felicemente, eccetera.