IL POPOLO FERMANO PARTECIPAVA ALLA VITA PUBBLICA E SANZIONAVA I GOVERNANTI SECONDO LO STATUTO (artt. 30 e 31).
Il rischio educativo in epoca medievale era competenza pubblica della comunità civile assieme con quella ecclesiale che davano merito e incarichi a persone capaci di offrire esempi di buona vita in modo da favorire il perfezionamento delle persone. Gli amministratori cercavano inoltre di responsabilizzare i cittadini invogliandoli a partecipare alla vita sociale e pubblica.
Le autonome iniziative che le singole famiglie sostenevano per i propri componenti erano intenzionate a promuovere l’esercizio qualificato delle professioni, delle arti, della letteratura, delle scienze, delle tecnologie, nella valorizzazione delle risorse territoriali e del patrimonio culturale. Al ruolo fondamentale della famiglia si dava massimo valore.
Per la vita pubblica leggiamo alcune notizie sugli aspetti partecipativi legiferati nello Statuto medievale Fermano edito a stampa nel 1507.
I Podestà era il giudice ordinario della Città e del suo Stato. Al Capitano di Giustizia spettava l’appello delle cause civili, criminali e miste. Entro gli ultimi quattro giorni del loro esercizio, il Podestà e il Capitano dovevano consegnare ai Regolatori della Città i libri degli atti dei processi ed erano obbligati a trattenersi altri otto giorni in città, affinché i Sindaci eletti dai Priori, facessero il Sindacato o valutazione al termine del loro mandato. Ogni persona che si fosse considerata oppressa, poteva sporgere querela scritta contro il loro operato e questa veniva letta pubblicamente. Nel mattino del nono giorno il Sindacato si concludeva con i verdetti di assoluzione oppure di condanna alle ammende, previste allo scadere d’ufficio dalla rubrica 31 dello Statuto Fermano. Per gravi reati il processo avveniva subito.
Per qualsiasi turbolenza intervenivano i sei Gonfalonieri di Contrada che riunivano la gente della rispettiva contrada per pacificare. Le vertenze relative al commercio, entro un certo limite, spettavano a due Consoli dei mercanti, cioè un avvocato ed un mercante ed un notaio. Questi venivano eletti a sorteggio, tra18 avvocati, 18 mercanti e 18 notai dalle diverse contrade, messi in “bussolo” per l’estrazione, su decisione dei Priori, del Gonfaloniere e di cittadini incaricati.
Tutti i pubblici Magistrati , anche i Priori, il Gonfaloniere di Giustizia e i loro notai, dopo scaduti d’ufficio, erano sottoposti al Sindacato o giudizio. I successori nel loro ufficio dovevano eleggere un cittadino per ogni contrada per celebrare il processo sulla precedente gestione e pronunziare, all’ottavo giorno, la sentenza o di assoluzione o di condanna, secondo la rubrica 30.
La partecipazione del popolo alle decisioni amministrative era attuata per mezzo dei tre Consigli: Consiglio di Cernita, Consiglio Speciale e Consiglio Generale. Il Consiglio di Cernita composto da 24 nobili (quattro per ogni contrada) si riuniva alla presenza dei Regolatori, dei Priori, del Gonfaloniere di Giustizia, dei Capitani delle arti e dei Gonfalonieri di Contrada, per formulare le Proposte da far decidere nel Consiglio Speciale (eletto da questi) o nel Consiglio Generale.
Il Consiglio Speciale era composta da non più che 150 popolani eletti dalla Cernita per decidere a favore o contro le Proposte predette.
Il Consiglio Generale era costituito da non meno di 300 persone, anch’esso per approvare o rifiutare le Proposte. Vi intervenivano i Deputati dei Castelli soggetti, quando le Proposte riguardavano le tasse o contributi del territorio, l’annona, le spedizioni di ambasciatori a Roma o comunque questioni che coinvolgevano i castelli stessi. In certi casi erano convocati a decidere se graziare o no i condannati a qualsiasi pena.