MARINOZZI Lucio professore di filosofia
L’insegnamento del prof. Marinozzi Lucio si ambienta nel contesto della tradizione educativa ecclesiastica a Fermo nella prima metà del secolo XX quando, era fiorente il seminario delle vocazioni sacerdotali. Sull’esempio di don Bosco ricordato e lodato come padre e maestro della gioventù, gli arcivescovi Castelli Carlo, Attuoni Ercole e Perini Norberto , volevano favorire lo sviluppo ed la trasmissione del genuino umanesimo cristiano, in tempi di anticlericalismo più o meno manifesto.
I docenti e gli alunni del seminario avvertirono l’emergere di notevoli cambiamenti durante e dopo i terribili anni della guerra dei dittatori. Nel dopoguerra i professori si aprivano alle innovazioni e accettavano un nuovo dialogo con gli studenti. Don Lucio orientava gli animi giovanili in modo da farli passare dall’instabilità emotiva verso la consapevolezza dei propri impegni. Non ripiegava nell’afasia dei grandi ideali, ma faceva riferimento ai valori necessari per contraddistinguere le scelte cristiane.
I seminaristi apprezzavano la coerenza stabile del professor Marinozzi e il suo sforzo prioritario per l’educazione delle coscienze. Il suo compito educativo era proteso a formare cristiani autentici e coraggiosi nelle virtù genuine. Voleva far crescere persone dalla solida spiritualità che dessero un’anima altruista alla società. Aveva fiducia nel vigore del seme della parola che gettava e si rivestiva della pazienza come virtù per lui fondamentale.
Don Lucio era la pazienza in persona, ma non nel senso confuso di arrendevolezza o debolezza. Come educatore era saldo nelle idee, pronto a fare bene il proprio dovere, senza inveire mai contro chi sbagliasse, non cedeva allo sdegno per le debolezze umane; sapeva compatire, né mai faceva affiorare il rancore. Era un docente padrone del suo pensiero e del suo comportamento sorretto dalla benevolenza. Qualche rara volta uno studentello esibizionista faceva lo spavaldo, ma a lungo andare si ravvedeva per la calma e lo sguardo di don Lucio.
Questo professore di filosofia, usava comprensione fiduciosa e rasserenava pacificamente le menti e i cuori dei discenti. Esercitava un’influenza persuasiva, era un uomo illuminato dallo Spirito ed a scuola sapeva passare sopra ad alcuni errori degli studenti. Evitava la puntigliosità di chi impara pagine e pagine da ripetere a pappardella.
I sacerdoti ed i laici che l’hanno conosciuto potranno spiegare le origini di questa pazienza di don Lucio. La si può derivare dal suo essere religioso dell’Amore Misericordioso. Usava il rimprovero al momento adatto, con la sua tipica pacatezza con i modi più ragionevoli. Non sceglieva il biasimo, cercava di farne capire i motivi. Non intimidiva. Dava segni di lode a chi agiva bene. Anche il suo silenzio era di monito. Nessuno era emarginato. Manteneva il clima di fiducia vicendevole tra gli alunni in classe.
Il professor Marinozzi non usava le ideologie, né appariva un genio; introduceva invece ad una visione completa del significato della vita umana ed incoraggiava a cercarlo nella direzione giusta. Poche parole, il più breve di tutti nell’eloquio, ma preciso. Docente sobrio e magnanimo.
La sua figura di persona umile e libera ricorda il servo “inutile” del Vangelo; mai si ostentava. Alle mode dei mass-media non si piegava, cercava per il bene comune una visione concreta, lungimirante nel promuovere il sapere e il benessere per tutti. Sacerdote consapevole del fatto che le persone hanno l’apertura allo Spirito divino, valorizzava ogni momentanea debolezza con l’amore redentivo del Cristo.
Nel 1954, a trentanove anni, aderiva alla spiritualità dell’Amore Misericordioso che è espressa in Gesù Crocifisso. Voleva con Lui farsi carico dei pesi gravosi degli sbagli umani ed essere testimone della speranza necessaria a rinnovare l’autentica giustizia nella verità. I suoi ragionamenti suggerivano la riscoperta del bene comune nella consapevolezza delle ragioni vagliate nella corresponsabilità che accogliesse e unisse le aspirazioni, i bisogni, i progetti e le risorse disponibili. Sapeva ascoltare e stare in mezzo agli altri, in modo comunitario.
Nel coinvolgersi, non si distraeva; nel condividere non giudicava gli altri, offriva valida testimonianza nel rivedere le idee apparentemente certe perché gratificanti o di comodo. Le idee si chiarivano con il ragionarci, con un’intelligenza che viene da Dio. Si vedeva in lui il raccoglimento interiore nel vivere la presenza di Dio per lasciarsi da lui illuminare, in modo da riverberare l’interiore luce con una pacatezza lieta e fiduciosa e capace di far migliorare. Emanava un senso di umanità unito alla fede. Nello spiegare la filosofia, mai ostentava erudizione, né correva il rischio della pedanteria.
Un’arte pedagogica, quella di andare oltre le parole, per cui l’importante più dell’essere istruiti, è l’essere buoni. Ispirava bontà più che nozionismo, coinvolgeva nelle motivazione delle convinzioni perché era un professore intelligente, motivato e convinto. Chi lo ascoltava capiva di non poter trascurare Dio che dà il senso ad ogni realtà e tutto crea per il bene umano. Non appariva questa una cosa teorica, ma un modo di porsi dello spirito, come una luce che illumina la misericordia del Creatore verso tutte le persone. Con questo criterio don Lucio agiva ovunque onestamente e mostrava il desiderio della verità.
I giovani talvolta apparivano battaglieri sulle idee, per scuotere la sua imperturbabile pacatezza e tentarlo a sfogarsi in critiche, o sdegno. Niente da fare. Ricevevano da lui la spinta ad indagare la realtà con mente aperta. Nel mentre essi avvertivano la rete complicata dei valori tipici dell’ammodernamento del dopoguerra, si sentivano ribelli ad ogni indottrinamento o temuta manipolazione, Don Lucio voleva evitare che la verità fosse offuscata. Era il professore che stimolava allo studio ragionato, critico dei problemi e con sensibilità alle preoccupazioni cruciali dell’umanità. Le sue risposte aprivano la ragione a riflettere sulla vita con la luce del Vangelo.
Né a lui docente, né ai suoi alunni erano sufficienti gli slogans né le battute; non si fermava alle risposte puramente emozionali o egoistiche. Non poltriva nelle soluzioni immediate semplicistiche. Muoveva a valutare ogni visione parziale e distorta della dignità umana. Evitava il rischio che si chiudessero gli occhi di fronte alla verità. Pertanto non gli bastava l’essere informato e competente, ma sviluppava lo spirito accogliente dell’alterità, altruisticamente.
Marinozzi, il professore dalla voce esile e dal tono tranquillo, era ricco di riflessione. Soppesava i valori contrastanti che sollecitano la società, considerava l’impatto che una decisione potesse avere sulla gente, faceva la cernita dei motivi dell’agire. Don Lucio riuniva il sapere filosofico in una moralità umanistica e cristiana. Si capiva, al solo guardarlo, che era misurato ed equilibrato, che voleva le scelte giuste e rifiutava le scelte sbagliate.
Era un tipo adamantino nella sua integrità pronta a riflettere sui dati di fatto. In questo suo “essere se stesso” insegnava insieme come “essere per gli altri”. volgendo il suo sguardo all’unico bene suo, Gesù Cristo, l’Uomo per gli altri.
Si apprezzava la sua personalità per la padronanza di sé, senza desideri possessivi, era una persona liberante per gli altri. Gli studenti liceali, a diciassette anni capivano che l’egoismo disumanizza se stessi nello sfruttare gli altri.
Il professor Marinozzi dallo stile pacato, equilibrato, sereno, era anche coraggioso nell’affrontare le prospettive dei miglioramenti innovativi ed i valori complessi dei tempi nuovi: non li rifiutava per opportunismo, ma li orientava a salvaguardare l’onestà, rinunciando ai comodi. Faceva capire che “quello che siamo parla più forte di quello che diciamo”. Incoraggiava a realizzare gli ideali, con l’esempio conduceva al di là delle conoscenze, portava al desiderio di vivere con competenza, con coscienza e con amore perché don Lucio era competente, discreto e benevolo.
Perseguiva gli scopi educativi con ordine e chiarezza, sapeva quel che doveva raggiungere e come arrivarci. Nitido nella grafia, nitido nell’azione. Amava la scuola e gli alunni. Era abile nel proporre le materie di studio all’attenzione ed al desiderio dello studio, in modo tale che il discente potesse esercitarsi a scoprire da sé la verità.
Lasciava che la Luce interiore agisse direttamente sulle menti. Evitava di voler risolvere molto, non esponeva lungamente le sue idee e incoraggiava l’attività di ricerca dello studente. Il professor Marinozzi non abbondava mai nelle parole, sempre sobrio nell’eloquio, stimolata l’intelligenza degli studenti. Inoltre li sosteneva nell’assimilare con sicurezza l’insieme della filosofia. Di fronte allo studente desideroso di dibattere e di eccellere, si mostrava sorridente senza piaggeria.
Ci si può domandare: se mai per quella sua voce flebile, gli alunni potessero annoiarsi? Don Lucio motivava l’apprendimento e rendeva piacevole lo studio, suscitava interesse per la filosofia. Sviluppava la comprensione dei procedimenti ed i giovani erano motivati allo sforzo personale nell’esercizio intellettuale. Seppure la voce era sempre debole, tuttavia lo spirito era risvegliato all’energia.
Una volta, Eugenio, liceale del banco vicino alla finestra, non riusciva a sentire bene le parole dall’esile voce del professor Marinozzi e si mise a muovere l’imposta della finestra. “Che stai facendo?” gli domanda il professore. Ed Eugenio: “Professore, muovo le onde acustiche, per sentire meglio!” Lui sorrise cordialmente ed ancor più gli altri alunni. Sì, lui sapeva sorridere persino di se stesso e accettava che i giovani sorridessero con serena amicizia. Alla fine dei conti bastava che realizzassero valide scelte personali alla luce della ragione e della fede.