BRUNELLI RUFFINO sacerdote parroco
E’ interessante ricordare la personalità di don Ruffino Brunelli che ha affrontato validamente i problemi del tempo ed ha guidato i Belmontesi nella solidarietà. Allora i giornali predicavano che lo Stato risolveva i problemi della gente, Ma don Ruffino preferì fidarsi di Cristo per diffondere nella società la luce della pace. Ha scelto, insieme con i vescovi le opere cristiane, coerenza e altruismo, e si è distinto per l’azione a favore dei poveri e degli indifesi.
Nato nel 1875 nella campagna di Belmonte, coetaneo e amico di Silvestro Baglioni, assieme frequentarono la scuola del maestro Luigi Bertoni e dopo le scuole elementari si recarono nel seminario arcivescovile di Fermo. Silvestro passò poi a Montalto per il ginnasio. Don Ruffino seguitò a Fermo ove fu ordinato prete nel 1901 dal dinamico arcivescovo mons. Roberto Papiri che lo mandò come vicario cooperatore a Montegiberto. Qui si distinse nel creare solidarietà tra i gibertesi, per fare i restauri necessari e l’abbellimento pittorico del santuario della Madonna delle Grazie. Appena finita la grande guerra mondiale, fu mandato parroco a Piedivalle di Montefortino ove restò per vent’anni, poi divenne pievano a Belmonte, nel gennaio 1939, esattamente il giorno dell’epifania,. Qui affrontò i danni causati dal terremoto dell’ottobre 1943 e nella chiesa restaurata fece fare l’altare maggiore in marmi pregiati, e i bei dipinti che ancora restano.
Si adoperò a fronteggiare, con il clero, i molti bisogni di assistenza durante gli anni 1944 e 945. Da un verbale inviato dalla diocesi alla Pontificia Opera di Assistenza a tempo di Pio XII conosciamo molte notizie. A Belmonte, il parroco don Ruffino Brunelli, accolse circa cento sfollati da Napoli e da Porto San Giorgio, che ebbero dal parroco indumenti e generi alimentari. Per essi acquistò maglioni da una bottega del paese. Fece inoltre l’offerta di lire mille, insieme a fornire stoviglie, letto e materasso per altri sfollati di Bellaria, continuando ad assisterli.
Insieme con i sacerdoti dell’archidiocesi fermana, si trovò direttamente a contatto con gli antifascisti e con i perseguitati per ragioni di razza e di politica. Essi sapevano che il prete era superiore ad ogni discriminazione di razza o di partito, e cercavano nella casa del sacerdote il primo rifugio, e un aiuto. Nell’0ttobre 1943,fu aperto il campo di concentramento di Servigliano, in cui vennero internati gli ebrei, gli slavi italiani e i prigionieri di guerra, circa 3000: I parroci dei paesi vicini vollero prestare la loro opera per la salvezza per gli ebrei e fecero in modo da nasconderli alle ricerche dei nazi-fascisti e aiutarli a sopravvivere. Nella casa canonica di don Ruffino Brunelli furono ospitati tre ebrei, aiutati poi a mettersi in salvo. Don Ruffino impedì che avvenissero fatti di sangue in occasione delle spedizioni punitive delle famigerate SS.e protesse le persone in condizioni di emergenza.
Insieme con il presidente fermano don Cosimo Morelli, Don Ruffino fece parte del Comitato di Liberazione Nazionale. Quando a Belmonte furono catturati una decina di ostaggi e sequestrati presso le scuole elementari, don Ruffino Brunelli si presentò al comando ed offrì se stesso, al loro posto. Ma non vi fu bisogno grazie all’intervento del prof. Dott. Silvestro Baglioni. Poi il parroco don Ruffino fece liberare Quinto Brunelli ritenuto un partigiano e fece rilasciare anche Domenico Lubrano catturato dai tedeschi che imponevano che trasportasse con i buoi del materiale bellico.
La parola del parroco don Ruffino era ascoltata e seguita, con grande efficacia per impedire atti di violenza. In quel periodo furono sospesi i trasporti commerciali ed era difficilissimo procurarsi il sale e i generi alimentari. Scarso era il lavoro per gli operai e aumentava dovunque la miseria. Ma la forza dei principi sociali della Chiesa fu operosa. Gli sfollati ed i bisognosi erano soccorsi chiamandoli a giornate di lavoro e con le opere di carità da parte dei volontari e dei sacerdoti. Questi si adoperarono anche a scrivere le lettere ed i messaggi da parte dei familiari ai soldati lontani, talora prigionieri. In Vaticano. mons. Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI) riusciva a ricevere e trasmettere le notizie necessarie da una parte ai familiari e dall’altra parte ai prigionieri. Una nuova leva militare impose la partenza per i fronti di guerra ai giovani e ai mariti, richiamati in guerra, mentre peggioravano le tristi condizioni delle famiglie. Esse ottennero aiuti materiali dalla carità parrocchiale. I sacerdoti aiutavano direttamente e impegnavano anche le persone delle associazioni di Azione Cattolica e delle Conferenze di San Vincenzo. Questi organizzavano raccolte e distribuzioni di indumenti, viveri e oggetti. I preti svolgevano l’opera formativa, assistevano la gioventù con l’istruzione e con la direzione morale.
Don Ruffino si adoperò per mantenere la pace quando venne l’ora delle vendette e seppe farle evitare. Placava gli animi avvelenati dall’odio. Quando il parroco faceva opera di aiuto alle persone offese, pur avendo l’appoggio favorevole da parte dei belmontesi, veniva comunque osteggiato dagli avversari. Agì a favore dei prigionieri, sia italiani che stranieri. I fedeli inviavano anche pacchi di aiuti. Don Ruffino salvò alcuni partigiani dalla cattura, diede loro anche sussidi in denaro, spese la bella somma di lire 4.700.
Don Ruffino volle provvedere, in momenti di necessità, al mantenimento di una decina di prigionieri inglesi e alleati. A loro diede poi del denaro. Quando finalmente anche i soldati belmontesi tornavano a casa, era una festa comune con momenti di raduno a carattere religioso e civile a cui prendevano parte le famiglie dei reduci.
Nel maggio 1945, su iniziativa diocesana, furono raccolti: grano, granoturco, legumi, grassi, uova ed oggetti utili per farne dono al Papa a favore degli sfollati. Il parroco promosse la collaborazione dei Belmontesi ed esortava alla pazienza cristiana di fronte ai disagi arrecati dalle condizioni disastrose della guerra. Fece predicare le missioni popolari ed i momenti di preghiera.
Nell’opera di soccorso ad ogni genere di sofferenze che la guerra procurava, don Ruffino veniva incontro con la carità parrocchiale e la faceva condividere alla popolazione. Acquistò una casa di fronte all’antico “ospedale”, a Belmonte, destinandola alle donne bisognose di alloggio.
Le migliori attenzioni del parroco e del cappellano erano dedicate alla gioventù di quel dopoguerra con ogni mezzo e modo. Per i lavoratori creò il circolo ACLI, per i ragazzi e aspiranti dell’azione cattolica creò i locali del ricreatorio e teatro, per la gioventù femminile il laboratorio presso le suore che servivano all’asilo infantile. Le persone, contente di stare assieme con spirito cristiano, rimarginavano le ferite dei giorni della guerra. Si tentavano nuovi lavori, nuovi servizi e professioni.
Gli anziani di oggi ricordano l’Azione Cattolica, rivivono l’interesse che manifestarono da ragazzi e da giovani nel fare insieme in parrocchia il presepe, la pesca, le gite, i pellegrinaggi, gli spettacoli teatrali. Ricordano il pallone ed il biliardo e si può dire che non si viveva solo per i soldi. Si pensava ad un futuro qualificato con l’istruzione e con le attività professionali. E’ un fatto significativo che si sono laureati cinque medici belmontesi.
La chiesa belmontese della Madonna delle Grazie fu rimurata per merito di don Ruffino che creò un’organizzazione di collaboratori assieme con il cappellano don Mauro Natali e con Giustina Sbaffoni che era frequentata da persone di paesi vicini e lontani a motivo della preghiera, mai da confondere con la magia. Nell’agosto 1952 venne l’arcivescovo Mons. Norberto Perini a benedire l’altare allora costruito rivolto al popolo, anticipando così di quindici anni quello che volle il concilio Vaticano II.
Don Ruffino creò il ricreatorio e il teatro e all’ingresso fu posta con la dedica al padre e maestro della gioventù, san Giovanni Bosco, e con la data dell’estate 1956. Volle istituire anche una borsa di studio a favore di un seminarista. Dopo la commemorazione del suo caro amico, il prof Silvestro Baglioni, don Ruffino si sentì sempre più debole e cominciò a doversi trattenere a letto per vari disturbi. Lo salutammo per l’ultima volta, nel gennaio 1958.
Il Foglio Ufficiale Ecclesiastico di Fermo, alla sua morte, pubblicò un necrologio in cui si dichiarava don Ruffino Brunelli ” Sacerdote pio ed umile” e ricordò che aveva istituito vari Legati. Molte furono le opere da lui completate in vita. I belmontesi capirono le esigenze del rispetto reciproco e della fiducia per il futuro, con la competenza nei mestieri e nelle professioni. Fece apprezzare la solidarietà.