T E S T I M O N I A N Z E S U PAOLA RENATA CARBONI
Paola Renata Carboni, un fiore rapito nella freschezza dei suoi 19 anni. Da dodici anni ha manifestato un continuo impegno di ascesa spirituale, tra difficoltà. Il 21 febbraio ri-corre il suo compleanno centenario.
Verrà commemorata in molti comuni: a Santa Vittoria in Matenano, che è il paese della madre, a Montefalcone dove lei nacque il 21 febbraio 1908, a Grottazzolina dove si tra-sferì la sua famiglia, nel 1910, ed a Fermo ove visse dal 1919. Suo padre Raffaele era medico condotto, la mamma Rosa Majeski, casalinga, proveniva da antenati polacchi.
Ecco alcune testimonianze.
Racconta la sorella maggiore Giuseppina: “ I nostri geni-tori erano severissimi: Non hanno mai permesso che uscis-simo a giocare sulla strada; ma solo nel giardino di casa. Niente ozio. Papà era avverso alla religione e alla Chiesa, educato come era nelle idee materialiste dominanti nelle scuole di allora. Era rimasto orfano fin dai 9 anni. E cercava di inculcare nei figli lo stesso odio contro la Chiesa e contro i preti.
Luisa Moschini conosceva la famiglia Carboni e ne parla-va come “ Gente onestissima e rettissima; persone stimate, ma del tutto irreligiose”.
Il dott. Raffaele Carboni (nato ad Ortezzano 1872) si era sposato a 29 anni (1901) con Rosina diciottenne e convinse ben presto la moglie ad abbandonare le pratiche religiose. In quest’uomo c’era un animo generoso nella solerte cura ai malati, nella generosità e nella difesa verso i poveri.
Le figlie Giuseppina: e Renata furono battezzate il 22 giu-gno 1908 a Montefalcone Appennino, in assenza del papà e della mamma, dalla zia Giuseppina Majeski. Il Battesimo fu amministrato da don Sbaffoni priore a Santa Vittoria.”
Nel luglio 1910 il dottor Carboni, passava alla condotta medica di Grottazzolina, e vi si trasferiva, in una casa nell’antico castello azzolino. Qui Renata trascorse l’infanzia e la puerizia con grande vivacità ed espansività nei giochi e negli incontri con le coetanee. Scriveva lei stessa:
A scuola riusciva molto bene e chiamava le compagne per fare insieme i compiti.
Dopo le scuole elementari a Grotta, prima Giuseppina, poi Renata nel 1919, si trasferirono a Fermo, ospiti in casa della famiglia Maricotti. Renata frequentava la scuola tecni-ca e normale presso l’Istituto Santa Chiara. Giuseppina il ginnasio.
Fabiola Breccia (nata 1896) religiosa delle Missionarie del-la Scuola, le conobbe presso la famiglia di Maria Maricotti con la quale si occupava di Azione Cattolica. Racconta di lei Giuseppina: Fece la proposta ( di istruirci sulla religione) prima a Renata, la quale accettò con slancio. Da allora (1920) il catechismo diventò il suo libro prezioso. La notte che precedette la prima Comunione rimase quasi sempre in preghiera. Quando poi ricevette la sacra Ostia dalle mani del Vescovo, ricordo scoppiò in pianto e (poi) rimase pro-fondamente assorta.“.
Era il 22 aprile 1922, Renata aveva 14 anni. Si erano reca-te nell’arcivescovado di primo mattino per i sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima che ricevettero dalle mani dell’Arcivescovo Carlo Castelli, nella sua cappellina. Poi si recarono a scuola.
Dal 1919 al 1922 frequentò la scuola tecnica. Dal 1922 al 1925 quella normale presso l’Istituto Santa Chiara.
Ecco come le compagne di scuola la ricordano.
Iris Guadagnali ha detto: “Era sempre lieta, buona con tutte le compagne, specie con le più bisbetiche e con quelle malate. Era sempre pronta ad aiutarmi. Si poteva rivolgere a lei per qualunque cosa.“.
Dora Traini : “ Sempre modesta nell’abbigliamento, ma nello stesso tempo accurato. Era a disposizione delle compa-gne per insegnare solfeggio di cui era tanto brava.
In tempo di carnevale, una volta prese parte ad una com-media fatta a beneficio della scuola. Recitò e cantò tanto be-ne; ma in modo particolare si distinse nel suonare il violino. Fu applauditissima: ringraziò con un affabile sorriso, poi si nascose (dietro le quinte) per la sua grande umiltà “.
Maria Beni raccontava: “ Renata era tanto prudente che seppe evitare qualunque dissapore con le compagne, anche con le più difficili.“
La compagna Maria Moscoloni ha riferito che quando Renata vedeva dei giornaletti o libri poco adatti, con buone maniere riusciva a persuadere a non leggerli. “ Avvicinava apertamente le compagne un po’ strane, cercando di indurle al bene. A scuola aiutava le compagne a fare i compiti. Se vedeva delle compagne afflitte o malinconiche, le conforta-va“.
La cugina Nerina Carboni riferiva: “ Ascoltava, quando poteva, la Messa con grandissima devozione, rimanendo sempre in ginocchio e tutta immersa nella preghiera, e come estranea a tutto.
La compagna di scuola, Sara De Pretis, ricordava: “ Due compagne di carat-teri sensibili e troppo pessimisti, continuamente la interpel-lavano con i loro scoraggiamenti per ottenere consigli e gui-da sicura spirituale. Infondeva loro la fiducia e la speranza cristiana. Ella riusciva a far tutto senza scomporsi. Con noi compagne sapeva essere anche gioviale, insegnando che la religione è santa allegria.”
Renata mostrò molto dispiacere per le persecuzioni contro la Chiesa, e per la propaganda del male. Per riparare a ciò, voleva diventare un giorno missionaria.“. Il padre spirituale le indicò il suo campo di apostolato in famiglia.
Maria Pompei: “ La sua vita era una continua e rapida a-scesa . . . Lei diceva: – Le ore più belle sono quelle che si pas-sano ai piedi del Tabernacolo. Colui che è nascosto, ci vede, ci insegna il bene, ci guida nella buona via, accanto a lui non si sbaglia – “
Paola Renata conseguì la licenza di maestra elementare con l’esame di Stato ad Ancona nel 1925 con pieno successo nonostante fosse febbricitante. Subito dopo il padre le affidò la direzione della casa acquistata a Fermo e il compito di aiutare i fratelli. Colse subito l’occasione di iniziare alla re-ligione i fratelli minori, non battezzati, a cominciare da Ena.”
L’avv. Amato Carboni, cugino del padre, ha riferito: “ Il padre non sapeva capacitarsi come mai Renata riuscisse a mantenere la casa di Fermo con cinque persone, con tanto ordine e con pochissima spesa, tanto che un giorno il padre stesso, dubitando che mancasse ai figli qualche cosa del ne-cessario, ebbe quasi a rimproverare Renata, dicendole: -Ma tu mi fai soffrire questi ragazzi!- Renata domandò allora, in presenza, ai fratelli se mancasse loro niente e tutti risposero di trovarsi benissimo “.
Il fratello Paolo ha scritto che nell’ambiente di famiglia era molto riservata, senza mai dar motivo a discussioni e contrasti.
E in casa teneva nascoste le immagini sacre“.
Frequentò il laboratorio di S. Chiara,ed aveva una particolare disposizione per il disegno e per il ricamo. Suor Maria Letizia Lulli, maestra nell’Istituto, ricordava altri impegni: “ Per la meditazione aveva sempre con sé l’Imitazione di Cristo e si faceva spesso dare libri spirituali da altri. . Va attribuito a lei se quell’anno (1926) la scuola andò molto be-ne. Parlava poco, non diceva mai male, si guardava dalle critiche e le faceva evitare alle altre “.
Maria Maricotti raccontava che Renata: “Esprimeva i suoi pensieri con semplicità serena, era allegra, coglieva il lato umoristico delle cose, di tante situazioni. Rideva di cuo-re. Faceva comprendere che l’unione con Dio era felicità.“
L’assistente diocesano dell’Azione Cattolica, don Cipriani, disse di aver sperimentato lo zelo apostolico di Renata, come Segretaria del Consiglio Diocesano della Gioventù Femmini-le Cattolica. Dichiarava: “ Ho sempre avuto l’impressione di una giovane preoccupata di custodire ad ogni costo la sua purezza, attraverso le parole, gli atteggiamenti, la vita. “
Suor Erminia Contarini, superiora, riferiva: “ Mi aiutava vo-lentieri nel preparare le piccole alla prima Comunione e fa-ceva il catechismo con entusiasmo“.
Dal 1926 al 1927 Renata fu chiamata dal direttore don Cipriani ad insegnare italiano e matematica presso lo stesso Istituto di S. Chiara, a Fermo. Suor Erminia ha testimoniato: “ Era giusta nella scuola come insegnante, nell’apprezzamento e nei voti alle alunne “. Il fratello Paolo riferiva: “ Era severissima con se stessa, da controllarsi in ogni suo atto. Per la scuola si è prodigata anche al di sopra delle sue possibilità fisiche “.
Testini Giuseppa, una delle sue alunne, ricordava che in chiesa era lei che accompagnava le fun-zioni con l’armonium e preparava i canti. “ Era tanto umile; nella scuola la rispettavano tutte per la sua bontà. Si interessava con zelo del bene delle anime. Era giusta, a scuola, era incoraggiante con tutte, non si lasciava certo guidare da simpatia o antipatia. So che visitava ipoveri “.
Ha testimoniato la sorella Giuseppina: “ Non era precipitosa nelle sue azioni, prima pregava, rifletteva, si consigliava. Faceva tutte le faccende. Si esercitava ogni giorno nella musica con il violino, perché, di-ceva, era lo strumento degli angeli. Suonava benissimo. “.
Giuseppina raccontava anche di una giovane malata di tisi. Renata la frequentò e riuscì a farla liberare dalla disperazione. “ Pure un giovane ammalato di tisi, si era allontanato da Dio. Quando seppe la gravità della sua malattia, non sapeva rassegnarsi ed attraversava momenti di di-sperazione. Renata si recò da lui ogni giorno; la sua dolcezza divenne per lui un balsamo salutare e ogni giorno l’attendeva con ansia. Così morì serenamente assistito da don Cipriani “.
L’alunna, Bianca Maria Fortini riferiva che Renata la in-vitava ad iniziare la giornata con la visita al ss. Sacramento. Di fatto lei lo faceva. Secondo la sorella Giuseppina: “Sembrava che il tempo le si raddoppiasse o che l’aiutasse l’Angelo custode. Riusciva a fare alla perfezione anche cose mai fatte prima. In compagnia sapeva essere soavemente allegra, tanto da attirare le giovani e i bimbi. Soleva ripetere: – Scrupoli e malinconia, fuori di casa mia Gesù vuole la gioia-. .
Il 1927 fu l’ultimo dei suoi anni sulla terra. Per seguire l’esempio di S. Teresina che in tutto emulava, si recò a Ro-ma nel maggio ed ebbe un incontro con il papa Pio XI, poi disse” Tutto è compiuto”. Raccontava Maria Maricotti: “ Il suo sorriso angelico rimase fino all’ultima ora della sua vita ed oltre. Si aveva la sensazione che con lei entrasse nel cuore come una luce, una pace, un conforto sovrumano. Carità spirituale ne elargì a piene mani “.
Negli ultimi momenti la si sentì dire: “ Quant’è bello mori-re con una visione di angeli “. Morì per effetto di tifo diven-tato setticemia, il giorno 11 settembre 1927. “ Il fratello Pa-olo scriveva: “ La notizia si sparse immediatamente e ci fu subito un grande afflusso di gente che voleva vedere la sal-ma e si dovette mettere un nostro contadino di nome Enrico Marilungo a guardia della salma per impedire l’asportazione di capelli della defunta, come reliquie.
Al funerale parlò don Filippo Cipriani. E secondo Maria Maricotti: “ Si esaltò in un cantico di glorificazione e di ve-nerazione “. Lo stesso don Cipriani ha testimoniato: “ Nel mio discorso al funerale di Paola Renata non ebbi difficoltà di dichiarare che lei aveva offerto la sua vita per la conver-sione della famiglia e del babbo, giudicandolo dalle sue af-fermazioni “.
Si recarono a Grottazzolina anche la professoressa Luisa Moschini, insieme con la superiora e le alunne. Vide un cor-teo imponente, malgrado la pioggia, in particolare fu im-pressionata perché: “ Quando il corteo sostò al cimitero, vidi uno sprazzo di luce, un raggio di sole venne ad illuminare la nostra scena “.
Il professor Vincenzo Monaldi ha testimoniato che a Grot-tazzolina Renata era da tutti considerata un’anima superio-re per virtù, per fede e in particolare fortezza d’animo “. Maria Pompei invitava ad additarla come esempio a tutte le giovani “.
Ha riferito la maestra suor Letizia Lulli che qualche mese dopo la morte, la mamma di Renata, che non si era ancora mai vista, si recò all’Istituto chiedendo di confessarsi al con-fessore della figlia “. Si disse che dal cielo la figlia spargeva tante grazie come petali di fiori. Il padre ricevette i sacra-menti, ottantaquattrenne, dieci giorni prima di morire nel dicembre 1956. Erano passati 29 anni dalla morte della fi-glia offertasi per la salvezza spirituale dei famigliari.
Ecco una grazia testimoniata del fratello Paolo: “ Nel di-cembre del ‘940 sono stato protagonista del seguente episo-dio: ero sul fronte Greco-Albanese, quale ufficiale di arti-glieria. Trovandoci un giorno in una posizione avanzatissi-ma e sentendo dal sibilo l’arrivo di un colpo di mortaio, in-vocai mia sorella Renata, mentalmente. Il proiettile cadde a circa 5 metri da me e dai miei soldati, fra due pietre rialzate, distanti un quattro o cinque centimetri. La spoletta del proiettile, invece di urtare si è incastrata nel vuoto, per cui, battendo, l’ogiva sulle dure pietre laterali, avveniva lo spez-zettamento del proiettile e non lo scoppio”.