SERVIGLIANO: LA PARROCCHIA SAN MARCO
UNA COMUNITA’ IN CAMMINO NEI SECOLI
La Parrocchia
Nella parrocchia confluiscono i due aspetti, uno visibile, istituzionale delle opere, ed un altro invisibile, spirituale della santificazione con la Parola, i Sacramenti ed il servizio fraterno.
Si vedono gli edifici delle chiese, gli arredi, i locali per la catechesi e per la gioventù, si vedono i parroci ed i loro stretti collaboratori, l’azione cattolica in vari movimenti o forme. Si pensa all’interiore cristiana appartenenza, come figli del Padre, animati dallo Spirito.Non v’è altro ambiente che sia ‘di tutti’ come la chiesa parrocchiale.
Serviliano: La parrocchia, nella Chiesa cattolica, è parte della diocesi. Chi dal litorale Adriatico percorre la Faleriense verso i Sibillini, a metà percorso, a lato della strada stessa, trova il centro urbano unico al mondo per la sua planimetria neoclassica perfetta, Castel Clementino, chiamato così dal nome del fondatore.
Già dal primo secolo cristiano c’era il casamento Serviliano (di Servilio) con adiacente il parco. Il territorio Piceno era stato assegnato ai soldati veterani degli eserciti di Pompeo e di Cesare e vicino al fiume Tenna sorse il municipio di Falerio. Servilio ebbe le sue terre e la sua villa sulla sponda destra del fiume.
Primo secolo cristiano: I cristiani vennero nel territorio fermano nel primo secolo e celebravano, all’inizio, i loro riti nelle abitazioni delle loro famiglie. I proprietari delle ville avevano il pomerio, area sacra destinata alle celebrazioni religiose ed ai giochi.
Lo spazio del pomerio della villa di Servilio era nell’attuale quadrilatero del centro storico.
La più antica chiesa serviglianese, con cura delle anime, di cui si abbia notizia aveva il titolo di Santa Maria nei pressi del detto pomerio e faceva parte della diocesi di Falerio, di cui ora resta il nome e ne è vescovo mons. Giuseppe Betori.
Nella diocesi Fermana: La vicina Fermo incorporò nella sua diocesi le altre piccole diocesi adiacenti, tra cui quella faleriense dopo la cessazione dell’impero romano, alla fine del secolo quinto.
Già dal 387 l’imperatore Teodosio con suo editto da Milano aveva dato ai cristiani i templi pagani in disuso. I cristiani si trovarono ad affrontare anche le più urgenti necessità della popolazione, data la scomparsa di impiegati pagati per l’amministrazione.
Sul colle San Marco: Altre ville esistevano nel territorio, sulle colline adiacenti, fino al colle di 440 metri, chiamato colle San Marco.
Nel secolo settimo vennero i Longobardi che poi si convertirono al cristianesimo e fecero donazioni di terre agli ecclesiastici. I loro duchi non praticarono gli insediamenti vallivi a motivo del ristagno delle acque con aria malsana, a periodi. Preferirono arroccarsi sulle alture.
Il loro tipico metodo di costruzione delle chiese era l’erigere nella facciata una torre con portale d’ingresso. La chiesa della pieve san Marco sul Colle fu costruita al modo longobardo e mantenne la torre in mezzo alla facciata, finché esistette. Una chiesa con torre in mezzo alla facciata è quella di San Marco di Ponzano, tuttora esistente.
La pieve: La parrocchia fu detta pieve a motivo del suo essere in campagna, e il suo parroco pievano di San Marco.
San Marco è l’autore di un Vangelo che egli scrisse in lingua greca, seguendo la predicazione di san Pietro apostolo principe. L’evangelista trasmise la fede nella salvezza realizzata per tutti dal figlio di Dio incarnato, crocefisso e risorto.
Altre piccole chiese erano state costruite presso le edicole romane riutilizzate anche queste, ampliandole, dai cristiani. Tra queste la chiesetta di Santa Croce e varie altre collegate con la pieve di san Marco.
Dopo i Longobardi presero dominio del territorio i Franchi i cui conti costruivano piccoli castelli. A loro si deve la conservazione e l’ampliamento degli edifici sacri e la diffusione dei monasteri.
Secolo XI: La chiesa di san Marco è ricordata in un documento dell’ottobre 1035, quando Siezio di Sifredo ottenne, dal vescovo fermano, l’affitto alcune terre in contrada Pontariolo, a sud dal colle san Marco e si impegnò a pagare annualmente il canone di sei denari d’argento, versandoli, come si legge ‘nella vostra chiesa di san Marco’.
Questa chiesa serviglianese era vicina ai confini delle proprietà del conte Radone di Mainardo che risiedeva nei pressi di San Ruffino, mentre il padre Mainardo stava nel castel Manardo sugli alti monti amandolesi.
Secolo XII: Un fatto innovativo ci fu nel 1108 con la costruzione del castello di Servigliano. Erano iniziati i contrasti tra papa e imperatore per la nomina dei vescovi dato che l’imperatore voleva sceglierseli come propri conti, mentre il papa voleva che fossero consacrati alla cura delle anime. Nel territorio romano e fermano si riconosceva la giurisdizione che il papa concedeva al vescovo ed i castelli si impegnavano a difenderla assieme con la loro libertà.
I figli di Alberto Radone nel 1108 godettero dei diritti di amministrazione ( come un secolo dopo i comuni) e mentre il vescovo concedeva loro i suoi terreni sul colle di Servigliano per costruirvi un nuovo castello alleato con Fermo, essi giurarono fedeltà al vescovo.
La pieve di San Marco era al centro del castello nuovamente edificato, cioè ampliato e fortificato. Costituiva anche un segno dell’autorità del vescovo fermano, a confine con terre farfensi.
Secolo XIII: La pieve di san Marco insieme con i castellani pagava come tributo annuale al vescovo tre soldi e tre denari enrici (imperiali) a Natale, a Pasqua e ad santa Maria di agosto.
Nel 1202 il conte Monaldo Petri donava le terre che aveva nella sua azienda (chiamata curtis) serviglianese al pievano don Gentile. Ecco il primo nome proprio del parroco che troviamo scritto per la pievania di san Marco.
Il vescovo fermano apprezzava e dava importanza al pievano come suo collaboratore e nel 1215, quando ricevette il giuramento di fedeltà degli uomini di Casale San Claudio, volle vicino a sé don Morico, pievano di san Marco, come testimone.
Quattro anni dopo, nel 1219, l’atto con cui il vescovo riceveva i diritti feudali, fu controfirmato dal pievano di san Marco, don Pietro.
Un nuovo pievano, nel 1220, don Ypolito Sorveliani (figlio di Sorveliano) firmava come testimone il giuramento di fedeltà che il vescovo riceveva da parte dei signori di Montottone.
Nel 1232 il Marchese di Ancona affidò l’esecuzione di un suo mandato al pievano serviglianese don Diotaiuti. Questo nome è un richiamo alla provvidenza divina.
Tra i contrasti dei castelli: L’importanza politica e strategica della pieve di Servigliano aveva un duplice fronte: verso gli altri castelli e verso il dominio farfense a Santa Vittoria in Matenano.
Il pievano di san Marco era testimone all’atto esecutorio intimato dal vescovo ai castelli per il pagamento dei tributi su mandato del cardinal Sinibaldo rettore della Marca nel 1236.
Pochi anni dopo, da Santa Vittoria vennero nottetempo gli uomini che fecero una rappresaglia contro don Grazia, pievano di san Marco, aggredendolo e derubandolo. Ci fu il processo e nel 1272 il giudice della Marca impose loro di risarcire tutti i danni e di ricevere dallo stesso pievano la nomina del loro potestà per un anno.
Plebanato: Il territorio della pieve era detto plebanato e sotto la giurisdizione del pievano c’erano varie chiesette, tra cui S. Maria de Castro Firmano (alla Villa detta Brancadoro oggi Cippitelli), san Pietro in domo (cioè presso una domus romana nella contrada omonima), san Panfilo, e san Valentino avuta dall’Abbatia farfense, divenuta vescovile come parrocchia.
Altri due nomi dei pievani, don Avellino nel 1290 e don Fratuccio nel 1299 sono registrati nel versamento delle decime per la crociata, assieme con quelle delle chiese collegate.
I sacerdoti che venivano nominati rettori delle chiese ricevevano il loro sostentamento dalle rendite dei terreni con l’obbligo di celebrare le sante Messe ed assistere spiritualmente i fedeli. Questo sistema era detto ‘beneficio ecclesiastico’.
San Gualtiero: Nella seconda metà del secolo XIII il religioso eremitano fra Gualtiero venne ad abitare con il sacerdote Armando o Armeno, in territorio serviglianese, prima nella valle Marana presso l’attuale chiesetta di Santa Lucia, poi nella pianura della Valentella.
Formò una comunità che assisteva i malati. Qui morì in concetto di santità e ne fu riconosciuto valido il culto. Le sue reliquie furono trafugate dagli ascolani, ma fatte restituire a Servigliano dal papa nel 1326.
Il clero viveva vicino alla popolazione per insegnare che è da Dio che proviene ogni bene. Gli abusi di ricchezze, piaceri e poteri, o diritti, erano superabili con l’aiuto delle grazia soprannaturale.
Nella pianura del Santo: Nel 1400 il pievano don Marino fece riporre le reliquie del venerato Gualtiero in un’urna sotto la torre della facciata di San Marco e per il suo capo (teschio) si procurò dagli argentieri ed orafi di Guardiagrele un magnifico reliquiario, un vero gioiello.
Nella pianura dove era il romitorio del ven. Gualtiero, dopo che le sue reliquie erano state portate nel castello, cominciarono i santavittoriesi ad allargare i loro confini oltre il fosso (oggi detto di san Gualtiero), ma nel 1450 furono fatti intervenire i priori del governo di Fermo che imposero ai santavittoriesi, con atto scritto, di riconsegnare il piano a Servigliano. Questa pacificazione fu facilitata dalla predicazione del francescano riformatore, san Giacomo della Marca, ‘nel nome del Redentore’, I H S (Gesù degli uomini Salvatore) con il sostegno del cardinale Domenico Capranica arcivescovo fermano.
Secolo XV: Servigliano era ben collegato con Fermo e, dopo la morte di don Marino di Giovanni, nel 1448 il vescovo nominò pievano il fermano don Antoniolo di Nicolò che era chiamato con il diminutivo per distinguerlo dal cugino Anton di Nicolò, notaio restato famoso per aver trascritto tutta la Divina Commedia di Dante Alighieri che il vescovo fermano BERTOLDI Giovanni (nativo da Serravalle di San Marino) tradusse in latino ed offrì ai cardinali nel concilio di Costanza. Il secolo XV fu molto ricco di religiosità popolare e varie chiesette officiate sotto il plebanato di san Marco, erano diffuse sino a Montelparo.
Presso Santa Maria del Piano vicino al Tenna dimoravano dei religiosi del Terz’ordine francescano. Nel 1414 la chiesa venne ampliata con le offerte dei fedeli a cura del Comune serviglianese. Nel 1578 il papa la chiese al Comune per stabilirvi i Frati Minori Osservanti.
Con il concilio di Trento: Con il Concilio di Trento fu potenziata la pratica eucaristica rafforzando la partecipazione dei fedeli alla santa Messa. La parrocchia veniva visitata periodicamente dal vescovo che, tra l’altro, impartiva il sacramento della Confermazione o Cresima. Gli atti di Battesimo, di Cresima e di Matrimonio venivano obbligatoriamente scritti in appositi registri. Divenne stabile l’archivio parrocchiale.
Alla Confraternita del Corpus Domini o de SS. Sacramento di Servigliano il papa nel 1562 affidò l’incarico di provvedere alla parrocchia stessa per mezzo di suoi cappellani spesati per il sostentamento. Al posto del pievano venivano nominati tre cappellani per officiare la chiesa con un loro turno settimanale, e aver cura delle anime. Nel 1574 i cappellani divennero quattro. Tra i primi si ricordano don Gasparo Simonetti, don Marco Antonio Simonetti e don Antonio Discreti, poi don Sinadoro Simonetti.
Gli Agostiniani: Altre importanti presenze cristiane erano le confraternite che rafforzavano la formazione e l’apostolato dei laici, tra cui quella mariana del santo Rosario, attiva nel 1590.
I religiosi padri Agostiniani ebbero un piccolo convento fuori dalla porta meridionale del castello. Con loro si formò la confraternita della Madonna della Consolazione o della Cintura data dalla Madonna a santa Monica, madre di sant’Agostino.
Nel 1652 per ordine del papa furono soppressi i conventini che avevano pochi religiosi, per riunirli in altri maggiori. Quello di Servigliano fu chiuso. C’ero un dipinto fatto a Falerone da G. Ruffini nel 1650 per la confraternita della Cintura o di santa Monica. Dopo chiusa la Chiesa agostianiana fu portato in altra chiesa suburbana che divenne parrocchiale nel 1783 e ancora vi si conserva.
I Frati Minori: La chiesa di Santa Maria del Piano detta dei Frati, nella piana del mercato vicino al fiume Tenna, ebbe una bella statua lignea della Madonna, raffigurata seduta con il santo Bambino sulle ginocchia. Quest’opera resta tra le sculture classicheggianti più antiche del territorio, riferibile alla fine del secolo XV.
Fu collocata poi sotto la nicchia del Crocifisso che fu scolpito da Cesco da Udine e portato via mare da Venezia nel 1599; opera lodatissima in cui il Cristo è a grandezza naturale. Si formò allora la Confraternita del Crocifisso.
Questa chiesa è chiusa da anni per futuri restauri.
Oratorii: Nella parrocchia le chiese rurali officiate erano, oltre a quelle nominate, anche san Giovanni de Belluco, s. Lorenzo, s. Maria de Strada, s. Filippo, s. Lucia de Valentella, s. Lucia de Marano e san Pietro che il vescovo Felice Peretti (poi Sisto V) assegnò alla cappella musicale della sua cattedrale fermana.
Poco lontano dal convento agostiniano extra urbano, nell’oratorio di san Gualtiero, sulla parete fu fatto il dipinto, ancora esistente, con s. Agostino e san Gualtiero, benedetti da Maria e Gesù.
La chiesa più grande di s. Gualtiero è nella pianura al termine della Valentella, detta Piani di s. Gualtiero.
I Patroni: San Serviliano ebbe venerazione dopo che il papa nel 1650 fece estrarre dalle catacombe le reliquie di questo martire per donarle in artistici reliquiari alla Parrocchia di san Marco.
Serviliano era, secondo la tradizione, un militare romano che per non voler rinnegare la fedeltà a Gesù Cristo, fu martirizzato nel 102 dal prefetto di Roma Amiano.
I protettori della parrocchia e del territorio da allora furono ufficialmente tre: san Marco evangelista, san Gualtiero abate serviglianese, san Servigliano martire romano.
Nel 1597 i cappellani della Confraternita del Corpo di Cristo, che fungevano da parroci, erano don Lorenzo Simonetti, don Tardanio Massucci e don Scipione Luciani.
Secolo XVII: Nel 1634 la popolazione era di circa 1050 persone e nascevano, in media annualmente 54 infanti. In tale anno i Cappellani erano don Bartolomeo Mancini, don Giacinto Simonetti, don Andrea Iaffei, don Pirro Confaloni. Nel 1648, dal registro dei Battesimi, risulta come curato don Francesco Jaffei, con suoi vicari.
Da allora in poi, il curato rimase unico reggente della parrocchia, così don Domenico Vittori dal 1652 al 1687. Gli succedette don Domenico Gualtieri fino al 1716.
Oltre alla formazione cristiana ed alla liturgia la parrocchia testimoniava l’aiuto fraterno con il Monte di pietà per aiuti in denaro e il Monte frumentario per dare grano. All’origine di queste opere caritative c’era l’esempio dei religiosi.
Suor Angela Benedetta Buongiovanni: Nel 1640 nacque nella casa presso la porta meridionale dell’antico castello (ne esiste il muro) la figlia del capitano Carlo Buongiovanni e di Maria Iaffei che nel 1656 si consacrò clarissa a Potenza Picena (allora Monte Santo) in spirito di umiltà e di amore a Gesù Cristo ed al prossimo.
Morì santamente il 24 novembre 1713 e ne fu celebrato il processo diocesano come serva di Dio. L’arciprete don Giorgio Quondamatteo ne pubblicò la biografia nel 1982. Ancor oggi è considerata interceditrice dai fedeli.
Le frane delle case ed il nuovo centro: Un problema irresolubile furono le continue frane che sfaldarono la collina del centro urbano a motivo delle infiltrazioni delle acque piovane sotto le fondazioni degli edifici che si screpolarono e crollarono dalla metà del secolo XVIII.
I muri di sostegno esterni alla collina risultarono inutili. I profughi serviglianesi avanzarono richiesta tramite don Monti ai cardinali riuniti in conclave nel 1769. Il papa neoeletto Clemente XIV fece costruire un nuovo centro urbano in pianura, con suo chirografo del 9 ottobre 1771.
L’ingegnere idraulico Virginio Bracci fece stabilire anzitutto le opere fognarie nel 1772, poi le case a schiera, dal 1773, ed i muratori della Camera apostolica, con lavoro da aprile a ottobre, realizzando un lato ogni anno.
Clemente papa XIV: Giovanni Vincenzo Ganganelli, nato a Sant’Arcangelo di Romagna (RN), il 31 ottobre 1705, era figlio del medico Lorenzo che morì nel 1708. Dopo la formazione negli studi, da giovane si consacrò religioso francescano con il nome di Fra Lorenzo.
Fu docente di teologia in Ascoli, a Bologna, a Milano, a Roma dove fu creato Cardinale meritandosi la generale stima per l’affabilità dei modi. Nel maggio 1769 fu eletto sommo pontefice. Realizzò molte opere pubbliche, tra l’altro in Ancona, e fece costruire nuovo anche il castello di San Lorenzo vicino al lago di Bolsena.
Morì il 22 settembre 1774 quando erano costruiti solo due lati del quadrilatero di Castel Clementino. Pio VI fece portare a termine la costruzione e vi eresse nel 1786 la Collegiata parrocchiale di san Marco, chiesa dotata di un campanile maestoso. Le lapidi con epigrafi ai lati del presbiterio della chiesa ricordano questi eventi.
Curetta: La località Curetta ai piedi della collina di Paese Vecchio deriva il nome della cura parrocchiale che vi fu stabilita da Pio VI nel 1783 per favorire gli abitanti delle vicine contrade.
Qui è collocato il bel dipinto del 1650 della Madonna della Consolazione opera del Ruffini ed un altro dipinto, datato 1790, opera del Liozzi raffigurante la piccola Maria di Nazareth, educata alla Parola biblica dai genitori Anna e Gioacchino.
Nel secolo scorso fu dipinto anche il soffitto della chiesa.
Dal 1983 si fecero restauri al presbiterio ed in seguito l’impianto nuovo di riscaldamento.
La chiesa fu benedetta da mons. arciv. Gennaro Franceschetti, come si legge nell’iscrizione appostavi.
I militari napoleonici nel 1799: Un fatto di grande risonanza fu l’occupazione da parte delle truppe napoleoniche, giunte dalla Repubblica Cisalpina in Ancona nel 1797. Dopo il trattato di Tolentino stabilirono la Repubblica Romana e nella notte del 28 maggio 1799 fecero una rappresaglia a Castel Clementino. Saccheggiarono le case ed uccisero alcune persone. La resistenza fu praticamente nulla.
Le memorie della costruzione di Castel Clementino furono scritte da don Filippo Celestino Monti che fu il primo economo della Collegiata. Le ha pubblicate l’arch. Clementina Barucci nel bel volume del 1992 su Servigliano, in cui ripubblica le planimetrie edite nel 1961 dall’arch. Dante Tassotti.
Pratiche cristiane
Tra gli atti di culto, diffusi con devozione, preghiere ed immagini, anzitutto il ss. Crocefisso, segno del dono supremo del Cristo che ripara il male con la sua incarnazione e morte in croce. Ogni venerdì santo è tradizione onorare l’Amore misericordioso con la precessione della croce, nella parrocchia s. Marco.
La beata Vergine Maria, Immacolata Concezione, eletta a dare al mondo il divin Figlio incarnato, è onorata come affettuosa mediatrice di grazie. A Curetta il venerdì santo la processione accompagna l’Addolorata.
Il 25 aprile si festeggia il primo patrono della Parrocchia e del Comune, San Marco evangelista, la cui immagine è dipinta nello stemma di Servigliano. Durante la processione si fa la benedizione del territorio. San Gualtiero è festeggiato il 4 giugno.
Il 13 giugno era antico uso festeggiare sant’Antonio da Padova, francescano, ma dopo rimasta impraticabile da oltre un decennio la chiesa dei frati, l’usanza è sospesa.
La benedizione delle rose, delle automobili e mezzi di locomozione si fa con la festa dell’agostiniana santa Rita, il 22 maggio.
Illustri ecclesiastici
Nel secolo XIX Servigliano ha dato un docente all’Università Gregoriana, il p. Giovanni Curi qui nato nel 1771. Si dedicò alla predicazione, fu confessore di papa Leone XII, morì a Roma nel 1846. Fu il prozio dell’arcivescovo Augusto Curi.
Don Serviliano Vecchiotti nato a Castel Clementino nel 1819 fu docente di matematica e scienze a Fermo in seminario. Il card. De Angelis lo incaricò di avviare l’istituto di arti e mestieri, fondazione Montani, oggi istituto industriale e di fondare con altri la Cassa di Risparmio di Fermo. Fu anche parroco e morì in grande stima nel 1876.
Mons. Augusto Curi arcivescovo di Bari dal 1925 al 1933, era stato nominato nel 1918 vescovo di Cagli e Pergola. Nel 1927, tornato nella natia Servigliano, consacrò la chiesa di San Marco ove era stato battezzato nel 1870.
A Don Giuseppe Oreste Viozzi è stata intitolata la scuola primaria di Servigliano. Qui nato nel 1890, formatosi ed ordinato sacerdote nel 1916, partì come militare per la grande guerra e vi restò fino al 1919. Fu nominato arciprete di San Marco nel 1921. Scrisse la storia del suo paese, edita postuma dai nipoti. Morì tra il comune rimpianto nel 1966, quarant’anni fa.
DOCUMENTI: Si rinvia alla Bibliografia riferita nel volume di Clementina BARUCCI, Servigliano. Atlante storico delle città italiane. Marche 1, Roma ( ed. Kappa) 1992, pp. 61 s. Per la descrizione della chiesa e l’impianto degli altari si veda Fabio PACI, Servigliano, guida storico turistica, Comune di Servigliano, 2002.
I nomi dei pievani di San Marco, secondo gli anni, sono nei documenti dattilografati da Carlo TOMASSINI usati da AA.VV. ‘Liber iurium’ dell’episcopato e della città di Fermo, Ancona 1996: anno 1035 pp. 673 / 677; anno 1036, pp 226 / 228; anno 1108, pp. 136 / 140 e 502 / 504; anno 1202, p. 440s; anno 1215, pp. 435 / 437; anno 1219, pp. 570s; anno 1220, pp. 610s; anno 1236, p. 285s.
Inoltre da Antichità Picene di Giuseppe COLUCCI, Codice diplomatico di Santa Vittoria in Matenano nel volume XXIX a p 79 per l’anno 1232 e a p. 112 per l’anno 1272; nel Supplemento al Codice (predetto) vol. XXXI, p. 32 per l’anno 1032 (1035?).
Per gli anni 1290 e 1299 Rationes Decimarum Italiae. Marchia, a cura di Pietro SELLA, Città del Vaticano 1950, numeri 6172; 6723; 6810; 7240; 7241; 7243.
Per la riconsegna dei Piani di Servigliano, anno 1450: Carlo TOMASSINI, Le riforme statutarie a Fermo e san Giacomo della Marca, in <Atti del convegno di studi in onore di S. Giacomo della Marca, Monteprandone 23 novembre 1991>, Centobuchi 1991, pp. 72 / 76 ove la pergamena serviglianese è trascritta e tradotta; non c’è menzione alcuna di monaci farfensi.
Per il sec. XV in Archivio storico arcivescovile di Fermo (ASAF) registri Collationes con repertorio di indice.
Per il sec. XVI e seguenti in ASAF Visite Pastorali, agli anni, registri nelle serie II.O e II.P agli anni indicati.
Per i cappellani dal 1565 in Archivio della Parrocchia ‘San Marco’ in Servigliano, registri dei Battesimi e dei Matrimoni, agli anni indicati.
PARROCI A SAN MARCO
La prima comunità cristiana era in diocesi di Falerone nei secoli III, IV e V. La pieve di San Marco sorse in altura a tempo dei Longobardi. I primi nomi conosciuti dei pievani sono del secolo XIII: don Gentile nel 1202; don Morico nel 1215, don Pietro nel 1219, don Ippolito nel 1220, don Diotaiuti nel 1232, don Grazia nel 1272, don Avellino nel 1290, don Fratuccio nel 1299.
Non si son trovati nomi di pievani del secolo XIV. Il secolo XV inizia con il pievano don Marino Iohannis, seguito nel 1448 da don Antoniolo Nicolai. Don Marco Greci nel 1497, poi don Pietro Antonio fino al 1506.
Nel secolo XVI per un anno nel 1506 fu nominato pievano don Giovanni, segretario del vescovo fermano Francesco, poi don Gerolamo Nicolai ( o Di Nicolò) dal 1507 . Nel 1555 don Brancadoro Tornabuono restò sino alla presa di possesso della Confraternita incaricata.
Dal 1562 subentrò la gestione della Confraternita del Corpus Domini che eleggeva tre cappellani che officiavano a turno la chiesa parrocchiale. I preti beneficiati celebravano negli altari laterali.
Nel secolo XVII fu nominato curato don Francesco Iaffei seguito da don Domenico Vittori dal 1652 fino al 1687 quando gli succedette don Domenico Gualtieri fino al 1716. Dopo un anno e mezzo di economato di d. Giovan Francesco Navarra, nel 1719 divenne parroco don Venanzo Prosperi fino al 1726. Successore per trentacinque anni don Carlo Antonio Andreozzi. Dal 1770 don Francesco Giacomozzi fino al 1779, continuato da don Vicenzo Vincenzi a Castel Clementino.
Nel secolo XIX dal 1807 fu arciprete don Giovanni Domenico Luciani, continuato nel 1816 da don Francesco Maria Luciani per un anno, poi fu parroco arciprete dal 1817 al 1822 don Nicola Vitelli, continuato dal don Gaspare Gualdieri morto nel 1840. Divenne economo don Giovanni Vittori, poi arciprete dal 1841 don Tommaso Marini per ben cinquantun anni. Don Ascenzo Curi subentrò arciprete nel 1892.
Nel secolo XX nel 1906 divenne per pochi mesi economo don Giuseppe Selandari. Nel 1907 la parrocchia fu data a don Raffaele Gasparri, dimissionario nel 1921, continuato da don Giuseppe Oreste Viozzi fino al 1966. Nel 1967, dopo il Concilio Vaticano II fu parroco don Giorgio Quondamatteo fino al 1991, poi don Umberto Eleonori fino al 2003. Poi don Luigi Marini fino al gennaio 2008. Attuale parroco din Piero Pigliacampo.