Anno 1503 – I Borgia, la cabala, Fermo e quel lontano primo maggio
Il numero diciotto è legato a fatti ed eventi della famiglia Borgia, oriunda dalla Spagna, celebre nella storia, per avere espresso dal suo seno Papa Callisto III (+ 1458) e Papa Alessandro VI (+1503) sotto il cui pontificato venne scoperta l’America, nonché Lucrezia Borgia, Cesare Borgia ed altri.
Lucrezia Borgia, nata il 18 aprile 1480, a 13 anni va sposa a Gio¬vanni Sforza; poco dopo, il matrimonio è annullato. A 18 anni, secondo matrimonio, con Alfonso di Bisceglie, figlio naturale del Re di Napoli Alfonso IL Ne nasce un figlio, ma il 18 agosto 1500 il nuovo marito di Lucrezia è ucciso; tra i mandanti, il cognato, Cesare Borgia, fratello di Lucrezia. A fine del 1501, terzo matrimonio di Lucrezia che ha solo 21 anni. Artefici, ispiratori e pronubi di questa serie di connubi, il padre di Lucrezia, Alessandro (che la creò tra l’altro govematrice di Spoleto, Ne- pi e Foligno) ed il fratello di lei Cesare Borgia, detto anche Duca Valentino.
Cesare, nato cinque anni prima di Lucrezia, figlio del Cardinale Roderico Borgia (poi Alessandro VI) e di Vannozza Cattanei, fu avviato alla carriera ecclesiastica e, grazie all’influenza paterna, ne percorse ra-pidamente i gradi maggiori: fu Vescovo nel 1491; Arcivescovo l’anno dopo e quindi nel 1493, cardinale. Ma cinque anni dopo rinunciò ad ogni dignità e al diaconato, secolarizzandosi. El fijo dii papa, ebbe subito parte importante nelle vicende d’Italia. Come è noto occupò la Romagna e poi il Ducato d’Urbino. Machiavelli, che lo conobbe in questa città, ne rimase ammirato. Leonardo da Vinci lavorò per lui, fortificando varie località. Astuto, intelligente, colto, valente nelle armi, era di¬ventato l’incubo dei signorotti dell’Emilia e Romagna. Suo motto era Aut Caesar aut nihil o essere come Giulio Cesare o niente. Sulla sua spada aveva fatto incidere Cum nomine Caesaris omen (il nome di Cesare è un augurio). I regnanti e signorotti dell’Italia centrale, temendo di essere sconfitti ed uccisi, si unirono in lega (la lega di Magione). Vi facevano parte tra gli altri Oliverotto da Fermo e Vitellozzo Vitelli. Ma egli li prevenne. Con “il bellissimo inganno” li convocò a Senigallia ed il 31 dicembre 1502 li fece strangolare; più tardi il 18 gennaio 1503 farà strangolare Paolo Orsini e il Duca di Gravina.
A Fermo, la notizia dell’uccisione di Oliverotto giunse fulminea il le gennaio 1503. Grande l’esultanza dei fermani che vedevano “spento” il loro tiranno. Oliverotto aveva commesso molti delitti e molte uccisioni per giungere alla signoria della città. Le città ed i potenti “trovavano più sicuro aderire a lui che resistergli”, afferma Machiavelli e Fermo ben presto manda ambasciatori al Borgia. Tra essi il conte Paccarone e Francesco di Leonardo. Ritornarono gli esuli banditi da Oliverotto. Venne il legato pontificio (si ricordi che era Papa il padre di Cesare Borgia) e requisì le rocche dello Stato di Fermo; venne anche il conte Giacomo Nardino da Forlì delegato del Borgia; “homo molto destro che oprò tanto che li cittadini elessero per signore il Duca e così voleva el Papa che se facesse. Il primo de magio in consiglio fu gridato per signore il Duca Valentino e dato lo governo a detto conte Giacomo”.
Ma il 18 agosto (notare il ricorrere dei 18!) 1503 muore Alessandro VI. Gli succede Pio III che aveva retto la Diocesi di Fermo prima di salire al soglio pontificio. Proteggeva Valentino, ma dopo soli 26 giorni di papato, muore il 18 ottobre 1503. Giulio II, che gli succede, esautora il Valentino e lo fa imprigionare. Dopo fortunose vicende e varie peripezie, il 12 marzo 1507 il Valentino muore combattendo sotto le mura di Viana nella Spagna.
Anno 1507 – E il Vescovo salvò il pesce della sua mensa
Porto S. Giorgio linda e graziosa cittadina, porto naturale di Fermo, è nominato dai “grossi calibri” della geografia antica, come Strabone vissuto prima di Cristo che nomina esplicitamente “Fermo e il suo Porto”; come Pomponio Mela (I sec. d.C.) ed altri fino ai nostri giorni, fino a Gabriele D’Annunzio che nel 1883 vi trascorse la luna di miele; fino a Luigi Bartolini che il 29 agosto 1928 (non 28 agosto) vi sposò la sua Zambon.
Di Porto S. Giorgio si interessò addirittura Federico Barbarossa, che in un privilegio “datato nei pressi di Pavia 2 maggio 1164” a favore dei Canonici di Fermo stabilisce… nessun vescovo, marchese, conte, nessuna persona grande o umile, tenga placiti sia nei castelli, sia nelle ville, sia nel Porto di S. Giorgio.
Gli stessi non potranno nemmeno riscuotere tasse”.
Porto S. Giorgio, pupilla di Fermo e del suo commercio marittimo, costituiva un tutt’uno con la città. La Rocca, fatta erigere dal Podestà di Fermo Lorenzo Tiepolo (1267) (che diverrà con Ranieri Zeno, Doge di Venezia) era il baluardo contro incursioni e di terra e di mare. Nominato sempre come “Portus Firmi”, oppure “Portus Sancti Georgii”, inneggia, in una lapide della Rocca, a Fermo ed al suo mare “O città di Fermo io ti conservo il lido sicuro, fatta per te chiave e tutela (Urbs o Firmana tibi servo ìitora sana etc.”.
Ma era anche la grande ricchezza ittica di Fermo e Circondario. Gli Statuti di Fermo (1507) prevedono delle normative per la vendita del pesce, normative che portarono ad una curiosa vertenza. I pescatori ed i cittadini del Porto, si ribellarono, chiedendo di poter vendere il pesce dove volevano e non essere obbligati a portarlo a Fermo soltanto. Lamentavano che ormai erano stufi di portare il pesce alla mensa arcivescovile, al Governatore ed al Magistrato, a prezzi stracciati o addirittura gratis. Portarono la faccenda davanti ai tribunali pontifici di Roma. Questi, invitarono l’arcivescovo e la magistratura a non approfittare dei poveri pescatori sangiorgesi! Pensare che pagavano il pesce due assi la libbra. Era troppo poco. Si stabilì che, per loro, il prezzo fosse inferiore di un terzo a quello pagato dal pubblico. D’altra parte, il pagamento della decima previsto “ab immemorabili”, riguardava i prodotti della terra del territorio, non del mare… Ma che? L’arcivescovo e magistratura insorsero. L’arcivescovo obiettò che il pesce era pescato “in acque territoriali della Diocesi ed il confine di esse era a metà Adriatico. L’altra metà era della Diocesi di Zara”.
La faccenda si concluse che la Congregazione Romana dovette ri-mangiarsi le decisioni prese (pesce a un terzo del prezzo al pubblico) e l’arcivescovo che era Alessandro Borgia, ebbe salvi i “diritti ittici” della sua mensa arcivescovile.
Anno 1507 – Magliano di Tenna, un castello che vale… tanto oro quanto pesa
Magliano di Tenna, piccolo, vivace Comune della Valle omonima, località di poco più di mille abitanti, si sta imponendo all’attenzione e all’ammirazione di molti.
È il più ricco Comune della Provincia di Ascoli (nelle Marche è secondo soltanto a Numana) nel reddito prò capite; vanta commerci, industrie, attività artigianali ed edilizie di rilievo; una laboriosità che incanta, una sedulitas che stupisce. Né si deve pensare che “Magliano privilegi solo l’industria e il commercio”. Anzi! Nel periodo estivo, ospita e promuove manifestazioni di arte, cultura e sport. Vi hanno luogo spettacoli degni di grandi città e qui puoi incontrare musicisti di fama nazionale o cantautori famosi.
Vi ebbe i natali Giovanni Battista Carducci (da non confondere con romonimo poeta), vissuto a cavallo tra la dominazione pontificia e il nuovo regno di Vittorio Emanuele IL Carducci, Architetto e scrittore famoso, illustrò i monumenti di Fermo, di Ascoli e della Regione in genere. Restaurò e ristrutturò il tessuto urbano di Fermo, realizzando fra l’altro la Torre dell’Orologio (la Torretta) di Piazza Ostilio Ricci; Villa Vinci sul Girfalco; la chiesa degli Angeli Custodi; il Palazzo Monti; le barriere di S. Francesco e di Santa Lucia. Oggi, riposa nella chiesa di S. Filippo, della sua Magliano.
Magliano fu sempre vivace e pugnace e se diamo uno sguardo re-trospettivo alla storia, lo vediamo castello dello stato fermano, cinto di mura e torrioni (ne erano 7; ne rimangono 2) poderosi e maestosi. Lottò contro la vicina Grottazzolina per questioni di pascoli e mulini; tali erano allora i motivi che costituivano il casus belli; oggi ci sono i pozzi di petrolio. La vittoria arrise a Magliano.
Infatti nel 1428, Ludovico Migliorati, signore di Fermo dette ragione a Magliano contro le pretese di Grottazzolina. In lite nel 1546 con Montegiorgio, sempre a motivo di confini, sebbene più piccolo, ne uscì vittorioso.
“Guerreggiò” nel 1507 con Monte Rinaldo per difendere i suoi “sacri confini” e vinse. Prima del 1266, con Grottazzolina, Monturano, Monte S. Pietrangeli (allora Monte S. Pietro oltre Tenna), costituiva il “quadrilatero” a difesa del Capitolo della Cattedrale di Fermo. Non ave¬va certo l’importanza di quello del Risorgimento (Verona, Legnago.
Mantova e Peschiera, aveva però la sua importanza e bellica e strategica. Dal 1266 Magliano e gli altri tre castelli vennero ceduti in enfiteusi al Comune di Fermo, per la cifra (allora cospicua) di cento once d’oro, da Noè i non quello dell’Arca), il capo del Capitolo della cattedrale.
”… il reverendo Noè prevosto del capitolo della chiesa Cattedrale di Fermo, con la volontà ed il consenso degli infrascritti canonici cioè Saiimbene. Anduolone. Attone di Montelupone, Ramundino, Angelo e Giovanni di Assisi… diede, cedette e concesse in enfiteusi e per diritto enfiteutico a Giacomo di Nicola, sindaco del Comune di Fermo, ricev ente a nome di detto Comune e per il Comune stesso, il castello di Magliano, con Grottazzolina. Monturano e S. Pietro oltre Tenna. con tutti i diritti, azioni reali e personali, rendite e proventi“.
Dal che si desume che già allora Magliano di Tenna e i suoi amministratori valevano (e valgono) tanto oro quanto è il loro peso.
Anno 1507- Città con il dominio su tutta la costa
Siamo in un periodo nel quale i Comuni in virtù della legge 142/90 debbono provvedere alla compilazione del proprio Statuto, riecheggiando i vecchi e gloriosi statuti comunali che, praticamente, sono durati fino all’epoca napoleonica! Essi regolavano minuziosamente la vita delle singole località.
A scorrerli, si nota quasi ovunque grande sapienza giuridica? Quel¬li di Fermo, risalenti al sec. XIII e pubblicati a stampa nel 1507 e poi nel 1589 evidenziano anche una peculiarità insospettata: recepiscono gli Statuti marittimi di Trani e lo jus varche di Ancona.
Ciò denota l’importanza marittima di Fermo, avvalorata dal motivo che anche qui esistevano i consoli del mare. Il fatto poi che l’imperato¬re Ottone IV nel 1211 aveva concesso a Fermo il dominio del litorale dalla foce del Potenza a quella del Tronto, documenta ancora una volta l’importanza marittima di Fermo.
Però, a nord del Tenna, Civitanova alzava la testa e, col suo porto, tentava di rivaleggiare con Fermo. Questa allora dichiarò guerra: vi furono scontri armati e il 31 maggio 1221 Civitanova, che aveva avuto la peggio, si impegnava a non effettuare azioni di approdo o di carico e scarico di merci nella zona costiera a nord di Porto S. Giorgio, senza il permesso di Fermo.
Questa città, che nel 1214 aveva ottenuto da Aldobrandino d’Este i castelli costieri di Torre di Palme, Lapedona, Altidona, Grottammare col suo porto consolidava così il suo dominio sulla fascia adriatica. Nel 1225 si ha un trattato con Termoli da cui si evince che i porti principali di Fermo erano due: Porto S. Giorgio e Grottammare. Nel 1258 Man¬fredi figlio di Federico II, il Manfredi che Dante descrive “biondo bello e di gentile aspetto” (Purg. Ili), rafforza il dominio di Fermo sulla costa adriatica confermandole i castelli di Marano (= Cupra Marittima), Torre S. Patrizio, Grottammare, Castel di Monte S. Giovanni, Monte S. Pietro, S. Martino, Petritoli, Montefalcone, Monterubbiano e Ripatran- sone che recalcitrava alquanto.
I villeggianti che affollano le spiagge adriatiche a sud del Potenza, ricalcano scenari dove si è svolta l’attività marittima di Fermo, esercitata specialmente attraverso il suo Porto (odierna Porto S. Giorgio), talché venne definita vera e propria repubblica marinara (prof. Giovanni Paparella). In ogni caso, fu proprio “città mercato“; così venne definita dal Prof. R.S. Lopez nel convegno “I Comuni dell’Europa post-carolingia”, tenutosi a Spoleto dal 6 al 13 aprile 1954.
Anno 1530 – Cronaca di una fine d’anno assai movimentata
Scena allucinante quella che si è consumata nella notte tra l’ultimo giorno del 1502 e il primo gennaio 1503. Scena di terrore, di orrore e di sangue. I corpi degli uccisi giacciono sulla pubblica piazza, monito eloquente contro i nemici del Duca Valentino.
Attori principali sono: Cesare Borgia, alias Duca Valentino. Oliverotto Eufreducci (meglio conosciuto come Oliverotto da Fermo) e Vitellozzo Vitelli. Oliverotto, signore di Fermo e Vitellozzo Vitelli, signore della Città di Castello si sono recati a Senigallia, invitati dal Duca Valentino. Presenti sono anche due personaggi, famosi non solo nella storia d’Italia ma in quella europea anzi mondiale. Sono Leonardo da Vinci (allora a servizio di Cesare Borgia, quale ispettore alle fortezze ed imgegnere militare) e Niccolò Machiavelli, il quale sarà anche il “reporter” del fattaccio. Il Duca Valentino aveva chiamato a sé a Senigallia Oliverotto, Vitellozzo ed i fratelli Paolo e Francesco Orsini fingendo di ignorare la Lega di Magione (Umbria) da loro stretta per difendersi dalla prepotenza dei Borgia che in breve tempo li avrebbe fagocitati ad uno ad uno. “A uno a uno divorati dal dragone” (Villari”). Il Borgia li temeva. Essi avevano già riconquistato Urbino e Camerino. Ma Cesare li invitata a Senigallia per espugnare insieme la rocca. Non fu certo ingenuità da parte dei “leghisti”, ma il “bellissimo inganno” di cui parla Machiavelli a farli cadere in trappola. Machiavelli che abbiamo visto presente (in quanto mandato come osservatore dalla Repubblica di Firenze per controllare le mosse del Valentino) da perfetto giornalista descrive il fatto, anzi lo consacra alla Storia, addirittura nel II Prìncipe (cap. VIII): “li fece morire in sua presenza strangolandoli con una corda pisana al collo e con un torcolo e poi li fece trascinare in camicia sulla piazza dove giacquero per tre giorni”.
Dopo l’uccisione, mentre ancora i corpi paonazzi giacciono sulla piazza, piena di brina, il 2 gennaio 1503 il Valentino, a cavallo, parte da Senigallia conducendo con sé, in manette, Paolo e Francesco Orsini. Essi il 18 gennaio 1503 subiranno (secondo atto della scena descritta) la stessa sorte di Oliverotto e di Vitellozzo. Si dice che prima di morire, sia Oliverotto sia Vitellozzo, implorassero pietà ma “preghiere e pianti si spensero con un gorgoglio, nel nodo della corda pisana stretta da un corto bastone che le mani del carnefice torsero con consumata perizia”.
Grande fu l’ammirazione di Machiavelli per il Valentino il quale gli aveva detto, quella mattina di Capodanno, che aveva voluto estirpare “quella zizzania che era per guastare l’Italia” e Machiavelli, ammiran¬do la gagliardfa e la perspicacia della vecchia volpe, cioè del Valentino, commentava: “Io giudico che sia meglio essere impetuoso che rispettivo perché la fortuna è donna e bisogna… batterla e urtarla… E però sempre, come donna, è amica dei giovani perché sono meno rispettivi, più feroci e con più audacia la comandano”.
Alla notizia dell’uccisione di Oliverotto, Fermo scese in piazza, ebbra di gioia. Colui che una anno prima aveva fatto uccidere lo zio Fogliani, due teneri bimbi e il suo genero ed aveva fatto appendere le cervella dei bimbi uccisi sul portale di Palazzo Fogliani, ora “era stato spento”. La pena del contrappasso era attuata! Poco dopo i Fermani chiesero al Papa Alessandro VI (che era il padre di Valentino) di essere governati da quest’ultimo. Interessante la delibera del Consiglio comunale (Libro Consigli e Cernite anno 1503 c. 48) che ne parla e rammenta quella triste vicenda, avvenuta or sono 490 anni.
Anno 1547 – Dolori (e qualche gioia) per Fermo il giorno 21
Ci sono giorni propizi e giorni nefasti. Checché se ne dica e a dispetto di esorcizzazioni o scongiuri, sembra accertato che la vita di ognuno ne sia condizionata. Raffaello Sanzio nasce alle ore 3 del 6 aprile 1483; muore alle ore 3 del venerdì (era il venerdì santo) 6 aprile 1520.
Un’astrologa raccomandò a Luigi XVI di Francia (quando era ancora fanciullo) di guardarsi dal 21 del mese. Luigi mise ogni cura a non compiere alcunché d’importante in tali ricorrenze, ma nonostante ogni precauzione, gli eventi ebbero il sopravvento. Il 21 giugno 1791 fu arrestato a Varennes insieme alla moglie, la Regina Maria Antonietta; il 21 settembre 1792 venne abolita in Francia la monarchia; il 21 gennaio 1793, il Re veniva ghigliottinato.
Venendo più vicino a noi, abbiamo esempi sorprendenti di strane coincidenze. Ad esempio quelle tra i presidenti degli Stati Uniti, Lincoln e J.F. Kennedy: il primo fu eletto presidente nel 1860; il secondo nel 1960; entrambi ebbero due vice presidenti di nome Johnson; entrambi vennero assassinati ed i rispettivi uccisori vennero a loro volta uccisi, prima del processo.
Ma lasciando da parte fatti ed eventi di capi di Stato, focalizziamo la nostra attenzione sulla nostra Fermo, e notiamo subito che i giorni 21 e 22 ne segnano le tappe gloriose o funeste.
Procediamo per ordine, non senza rilevare che la data del 21 aprile (natale di Roma) fu calcolata e fissata da un fermano: Lucio Taruzio, amico di Cicerone. Nel 1176, il 21 settembre, il cancelliere di Federico Barbarossa, Cristiano di Magonza (arcivescovo scomunicato di tale città) mette a ferro a fuoco Fermo, incendiando la cattedrale, palazzi e preziosi documenti. Il 21 settembre 1355 si ha la cessione di Fermo del suo “comitato” e distretto a Papa Innocenzo VI.
Il 21 marzo 1520, nella pianura tra Montegiorgio e Grottazzolina, i fermani sconfiggono Ludovico Euffreducci. Fermani ed alleati erano capitanati da mons. Nicola Bonafede di Monte S. Giusto, Vescovo di Chiusi.
Il 21 novembre 1547 vengono restituiti a Fermo i castelli di cui era stata privata e viene restituita la sede del capoluogo, che da dieci anni era stata portata a Montottone, capitale dello “Stato ecclesiastico in agro piceno”.
Pure al 21, stavolta del luglio (1550), comincia la serie dei gover¬natori designati dal Papa in quanto Fermo, per sedare le lotte intestine, aveva chiesto al Pontefice di essere governata dal Cardinale nepote o dal parente più prossimo del papa. Il Papa accolse la proposta e cominciò subito la serie con il conte Giambattista del Monte, nipote di Giulio III.
Il 21 novembre 1799 in territorio di Fermo, a Marina Palmense, si fronteggiano due eserciti: quello francese – cispadano, comandato dai generali Rusca e Casablanca e quello napoletano comandato dal generale Micheroux.
Il 21 febbraio 1831 il generale Giuseppe Sercognani, al comando al delle truppe dell’Armata Nazionale, irrompe su Fermo.
Il 21 aprile 1831, Papa Gregorio XVI riceve una delegazione di Fermani che gli chiedono la grazia per 28 cittadini fatti arrestare da mons. Folicaldi.
Il 21 settembre 1860 i Cacciatori del Tronto, e quindi le truppe piemontesi, si impadroniscono di Fermo. Il 21 luglio 1870 comincia la pubblicazione del giornale “Il Piceno”. Il 21 giugno 1944 si insedia il comando militare alleato, dopo che il giorno precedente erano giunte le truppe degli Alleati tra cui molti polacchi. Il 22 del mese fu pure fatidico per Fermo; lo vedremo qui di seguito.
Anno 1548 – Sisto V si laurea a Fermo
Grande festa a Fermo il 26 luglio 1548. Fra Felice Peretti, che diverrà poi Papa Sisto Quinto, in tale giorno si laureava davanti al Corpo Accademico composto da docenti e prelati del suo ordine, davanti ad una folla numerosa di dottori, spettatori, ecclesiastici.
“Le volte del tempio di S. Francesco, vaste e possenti risuonarono quel giorno echeggiando la proclamazione grave e solenne di una laurea in teologia conferita a pieni voti a Fra Felice Peretti”.
Dopo gli studi a Fermo, dove era stato preceduto nello studio dal suo predecessore S. Pio V (1566-1572), Punico Papa piemontese, Peretti aveva studiato a Ferrara (1540),
a Bologna (1543), a Rimini (1544), a Siena 1546). Ma il corso di Filosofia e Teologia,lo aveva compiuto e perfezionato a Fermo. Nell’archivio Segreto vaticano (c.4 Sixtus Quintus) si legge in un bel latino curiale di cui traduciamo che “dopo aver discusso pubblicamente nel tempio dei Francescani difficili e numerose tesi di Filosofia e di Teologia”, con grande plauso degli estimatori, degli uditori e dei presenti fu proclamato dottore in Sacra Teologia (theologiae magister): ovviamente maxima cum laude.
In quel tempo a Fermo esisteva l’Università ed era così famosa da gareggiare con quella di Bologna e simili. Contava, si badi bene, 1200 studenti; quella dove si laureò Sisto V era l’università dell’ordine dei Francescani, che conferiva i gradi accademici ecclesiastici.
L’anno dopo, ad Assisi, Peretti durante il capitolo generale dei Francescani, si fece notare difendendo una tesi contro il seguace di Telesio, Antonio Persico. Nel 1551 è nominato preside della facoltà di teologia a Siena, dove aveva studiato nel 1546. Incomincia poi la luminosa, brillante ascesa che porterà il nostro al Pontificato e sarà consacrato alla storia e nella storia con nome di Sisto V, Papa mecenate, restaura¬tore di Roma e dello Stato Pontificio.
Peretti era nato a Grottammare, Stato e Diocesi di Fermo il 13 dicembre 1521, era stato Vescovo di Fermo dal 1571 al 1577. A Fermo aveva studiato, come visto, e brillantemente. A Fermo secoli dopo ave¬va studiato anche il celebre Giuseppe Sacconi. Questi eresse il monumento della patria: il Vittoriano; Sisto Quinto, il massimo monumento della cristianità: S. Pietro. Entrambi spiccarono il volo da Fermo ed ancor oggi il turista che viene a Roma annota: “Sisto V elevò la basilica di S. Pietro con gli obelischi e abbellì e trasformò Roma”. Poi: “Giuseppe Sacconi, autore del monumento a Vittorio Emanuele II”. I Fioretti di S. Francesco terminano con il refrain finale: “A laude di Cristo”. Oggi, osiamo aggiungere “e Sisto V suo vicario, da 484 anni Maestro di teologia proclamato a Fermo il 25/7/1548”. Amen.
Anno 1553 – Ventimila scudi d’oro per riavere i castelli
Data fatidica il 4 marzo del 1553 per Fermo. Dopo umiliazioni e traversie, le erano stati restituiti due castelli: Mogliano e Petritoli, in aggiunta agli altri riavuti cinque anni prima. Ma vediamo come andarono le cose.
Tra Fermo e Monte S. Pietrangeli non corse mai buon sangue specialmente nei secoli XV e XVI. I fermani, ogni tanto, lo assalivano ed Ascoli, puntualmente, si schierava a fianco di Monte S. Pietrangeli, dando origine a guerricciole, incendi e lotte accanite che si protrassero per molti anni. Alla fine Papa Paolo III decise una mattina di tacciare Fermo di ribellione, punirla e mandargli contro suo figlio Pier Luigi Farnese (avuto prima di accedere al papato). Era il 10 settembre 1537. Pier Luigi subito saccheggiò la città, la privò di tutti i privilegi, ma quel che è più grave, di tutti i castelli del suo Stato. L’anno successivo, Paolo Ri- nuccio, luogotenente del nuovo governatore, il card. Farnese, la privò pure della sede del governo, trasportandola a Montottone dove rimase per dieci anni col nome di “Stato Ecclesiastico in Agro Piceno”.
Fermo piombò nella disperazione più nera; priva della sede di governo; priva di magistratura; costretta a pagare le spese del Comune; senza redditi, era allo stremo. Vari, e vani, i tentativi di ottenere dal Papa la reintegrazione. Alla fine, dopo varie suppliche, il Papa si decise a restituire a Fermo i suoi castelli.
“Diletti figli, salute ed apostolica benedizione. Poiché ce lo avete richiesto con insistenza e molte volte con umili suppliche (così inizia la bolla) e molte pressioni, noi vi restituiamo i castelli del vostro Stato, cioè: Marano, Loro Piceno, S. Angelo in Pontano, Falerone, Campofilone, Pedaso, Gualdo, Grottammare, Acquaviva, Servigliano, Porto S. Giorgio, Montefalcone, Petriolo, Torre di Palme, S. Benedetto (del Tronto), Carassai, Monturano, Monte Giberto, Rapagnano, Torre S. Patrizio, Lapedona, Massignano, Belmonte Piceno, Smerillo, Massa Fer- mana, Ortezzano, Altidona, S. Elpidio Morico, Moresco, Francavilla, Monte Leone,Monte Vidon Corrado, Monte Rinaldo, Magliano (di Tenna), Grottazzolina, Montappone, Monte Vidon Combatte, Ponzano, Monsampietro Morico. Ripa Cerreto, Montottone, Montefortino.
Però (precisa il Papa) non vi restituiamo Monte S. Pietrangeli, Mogliano e Petritoli”.
Passi per il conteso Monte S. Pietrangeli. ma non restituire Mogliano e Petritoli era un affronto per Fermo. La loro restituzione tuttavia avvenne rispettivamente il l° ed il 3 marzo 1553. Ecco il motivo del tripudio e delle feste a Fermo.
Dobbiamo però precisare subito, che il Papa non aveva restituito i castelli di cui sopra senza alcuna contropartita. Volle ventimila scudi d’oro. La cifra era alta per Fermo, che ricorse per prestiti al Duca d’Urbino, a Firenze, Venezia, ecc. Anzi, dovette pagare una cifra cospicua di interessi per il ritardo nel pagamento. Ma il marzo 1553 Fermo pote¬va celebrare la reintegrazione del suo Stato al completo, eccettuato il castello di Monte S. Pietrangeli che passò alle dirette dipendenze della Curia di Roma.
Anno 1556 – Il Papa Marcello II è nato a Montefano
Alla TV nei giorni scorsi è stato asserito da uno storiografo che Papa Marcello II, vicino alla tomba del quale è stato sepolto Giovanni Paolo I, sarebbe di Montepulciano (Siena). Ci spiace dover dissentire dallo “storiografo”, ma Papa Marcello II (1555-1555) è nato a Montefano, in Provincia di Macerata.
Alessandro VI aveva nominato il padre, Riccardo Cervini nativo di Montepulciano, vice-tesoriere della Marca di Ancona. Cervini rimase in tale ufficio per nove anni, risiedendo ora a Macerata ora nei paesi limitrofi. Il figlio (che divenuto Papa non volle cambiare il nome e si chiamò Marcello II), nacque mentre la famiglia si trovava a Montefano.
Perché la nostra non sembri una asserzione campanilistica o partigiana, citiamo testualmente dal Pastor… “allorché nel 1501 trovavasi a Montefano, non lungi da Macerata, la moglie Cassandra dell’illustre famiglia dei Benci al sei maggio gli partorì un figlio che ebbe nome Marcello” (Von Pastor, Storia dei Papi, vol. IV, pag. 311, Roma 1922). Il Panvinio, quotato storico, coetaneo del Papa, nella sua Vita Papae Marcelli II scrive: “.. .in agro piceno, oppido Montis Fani natus.. “. Singolare coincidenza: tale Papa accanto a cui riposa Giovanni Paolo I, regnò soltanto 22 giorni e come Giovanni Paolo I (che regnò per soli 33 giorni) fu trovato morto dai domestici che erano andati a svegliarlo.
Ci permettiamo precisare quanto sopra per amore di verità e di “marchigianità”, perché anche in opere storiche di valore, nonostante l’autorità del Pastor, si persiste nel dire che Marcello II è di Montepulciano. Altre opere (fra cui la Treccani e l’Enciclopedia Cattolica) dicono pure che Leone XII (Papa dal 1823 al 1829) è nato a Genga presso Spoleto facendo capire che sarebbe un Papa umbro. Genga si trova in Provincia di Ancona, Diocesi di Fabriano, non in Umbria.
Ci spiace, ma queste sono doverose precisazioni ad onore e prestigio della nostra bella Regione, tanto spesso bistrattata, sconosciuta e ignorata.
Anno 1560 – Carlo Borromeo Cardinale protettore
Era il 3 gennaio 1560. Pio IV, il milanese Giovan Angelo de’ Medici, eletto Papa il giorno di Natale del 1559 e non ancora coronato, si affretta a chiamare a Roma il giovanissimo nipote Carlo Borromeo; gli affida alte ed importanti mansioni nel governo della Chiesa ed il 31 gennaio successivo, lo nomina Cardinale. Carlo ha appena 22 anni. Ma non basta: l’8 febbraio seguente, gli conferisce l’arcivescovato di Milano con l’obbligo però di restare a Roma, dove praticamente svolge le mansioni di Segretario di Stato. Il primo, in ordine di tempo! Carlo Borromeo non è prete. Sarà ordinato diacono nel dicembre 1560 dopo un anno dalla sua venuta a Roma. Invece, sarà ordinato sacerdo¬te tre anni dopo: il 17 luglio 1563 e, sempre nello stesso anno, il 2 dicembre, consacrato Vescovo. Come si vede, il nepotismo ha fatto mi¬racoli! Ma i fatti dimostrarono poi, che mai scelta fu più azzeccata.
Al neo Cardinale sono subito affidate le legazioni dell’Emilia e della Romagna e la Marca d’Ancona. Per tale motivo entrò subito in relazione con Fermo. Nelle deliberazioni comunali del tempo, il suo nome appare più volte ed il 28 febbraio 1560 lo troviamo Cardinale Protettore della Città. Prima del Borromeo, Fermo aveva avuto a che fare con i milanesi. Fra magistrati, governatori, podestà, etc. contiamo una quindicina di nomi, alcuni dei quali di fama. Tra essi, Giovanni Visconti d’Oleggio
(+ 1366), il cui sarcofago si ammira nel Duomo, ma le cui ossa sono raccolte in urna di vetro nella Biblioteca comunale di Fermo. I conti Sforza, Francesco ed Alessandro, noti nella storia nazionale. Qui nella fortezza del Girfalco, nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1444, nacque Galeazzo Sforza, che sarà il quinto duca di Milano. E come dimenticare frate Ugolino da Milano, che miniò il famoso Missale de Firmonìbus, dove si ha la prima rappresentazione miniata della Cavalcata e Palio dell’Assunta? Ora, veniva il card. Borro¬meo, il più famoso Cardinale della chiesa ambrosiana dopo Sant’Am- brogio: il Cardinale che tutti conoscono anche per via della statua alta 35 metri ad Arona; il Cardinale dal motto Humilitas e dall’attività poliedrica. Fermo conserva due sue lettere: una del 7 maggio 1561 ed una del 4 marzo 1562. Un’altra si trovava presso i Domenicani fino al 1860. In Duomo vi è il suo zucchetto cardinalizio, una veste, calze da Cardinale ed altre reliquie, nonché un manoscritto con 16 sermoni in latino; un cilizio etc. E così un altro grande, che proprio il 3 gennaio di 435 anni or sono, cominciò il cursus honorum ebbe relazioni con Fermo, relazioni sconosciute o poco conosciute, ma documentate nella e dalla storia.
Anno 1567 – Petritoli interdetta e scomunicata
Era il 7 ottobre 1567 quattro anni esatti prima della battaglia di Lepanto. Antonio Raynaldi da Fermo, a nome e per conto della comunità fermana, si reca personalmente in vari Comuni della zona per dare comunicazione ufficiale della scomunica lanciata contro Petritoli.
“Scomunica”, vocabolo che, nel Medio Evo ed anche nel corso della storia, faceva tremare. Essa poteva essere inflitta a singole persone, sia laiche che ecclesiastiche, e comportava l’esclusione dai sacramenti, dai divini uffici, ecc… Nel Medio Evo la scomunica lanciata ad un sovrano, comportava lo scioglimento dei sudditi dall’obbligo di fedeltà. Era perciò un’arma potentissima. Basti ricordare quella contro il Barbarossa (nel 1161 e nel 1164); quella di Enrico IV e la conseguente Canossa; le tre scomuniche inflitte a Federico II (1194-1250) e via via fino a Napoleone che, scomunicato da Papa, disse: “Non sarà scomunica papale a far cadere le armi di mano ai miei soldati”. Ma in Russia, nella tremenda ritirata, il gelo faceva letteralmente cadere le armi dalle mani delle sue truppe. Ironia del destino!!
Ed a Petritoli, oltre alla scomunica, vi fu anche l’interdetto, che non è come taluno ha recentemente scritto in un volume su Fermo, “la stasi del commercio di uno stato”. Interdetto è una pena canonica che priva i fedeli dei sacri riti e li rende incapaci di taluni diritti spirituali, senza tuttavia escluderli dalla comunione della chiesa. Ecco perché, sempre a Petritoli, su cui più tardi venne lanciato l’interdetto, un defunto rimase insepolto per più giorni, perché era proibito celebrarne i funerali.
Ma eccoci alla notificazione della scomunica contro Petritoli ed al “messo” che, personalmente, si reca a dame ufficiale comunicazione alle varie comunità gravitanti attorno a Petritoli. “Antonio Raynaldi da Fermo per la Mag(nifica) Comunità di Fermo, è andato personalmente nell’infrascritti luochi a notificare” la scomunica. Tali luoghi sono: Carassiale (= Carassai), Mont’Alto, Porchia (allora era molto importante), Cosignano (sic!), Ripatransone, Acquaviva, S. Benedetto, Grot-tamare (sic), S. Andrea (antica frazione di Cupra Marittima, ndr), Marano (= Cupra Marittima), Massignano, Montefiore, Campofilone, Moresco, Monterobbiano (sic), Altidona, Lapidona, Torre di Palme, Porto, Torchiaro (oggi frazione di Ponzano), Ponzano, Monte Giberti (sic), Moregnano, Monte Guidon (sic) Combatti, Collina. Ortezzano. Monte Ottoni (sic), Sant’Elpidio Morico, Monte Leoni, Serviliano, Falleroni, Sant’Angelo (in Pontano), Gualdo. Ma il notificatore non si ferma alla zona attorno a Petritoli, va anche a: Gualdo, Loro (Piceno), Urbisaglia, Montemilone, Macerata, Petriolo, Monte dell’Olmo (= Corridonia), Monte S. Giusto, località queste tutte in Provincia di Macerata. E non basta ancora. Sono oggetto della notifica: Francavilla (d’Ete), Mogliano (Me), Massa (Fermana), Mont’Apponi (sic), Monte Guidon Corrado, Montegiorgio, Magliano (di Tenna), Cerreto, Rapagnano, Torre S. Patrizio.
Il lettore facilmente si chiederà perché Petritoli era stata scomunicata. Più che le località di notifica, interessano senza meno i motivi della pena canonica: ne parleremo prossimamente.
Anno 1571 – La Bolla del 30 luglio 1571
Di questi giorni, nel 1571, giungeva a Fermo una notizia che mise in seria apprensione la città. A Roma, pochi giorni prima, Papa Pio V, aveva con la sua bolla tolto alla Diocesi Fermana: Acquaviva, S. Benedetto (del Tronto), Marano (= Cupramarittima), S. Andrea e Grottammare.
Con queste località, con due, tolte alla Diocesi di Ascoli (Colonnella e Patrignone) ed altre otto sottratte al Presidato Farfense, erigeva una nuova Diocesi: Ripatransone. A Fermo non fu certo piacevole essere privato di località tanto importanti come S. Benedetto del Tronto, Grottammare, Acquaviva e Cupra Marittima.
In precedenza, il suo territorio si estendeva anche in Abruzzo, giungendo a sud di Tortoreto. Alla calata dei barbari, si era ingrandito con l’annessione dei territori delle Diocesi scomparse o distrutte di Truentum, Falerone, Cluentum (= Civitanova Marche), Pausolae (= Corridonia) e, in parte, di quella di Urbisaglia, centri questi distrutti dai barbari, per cui la sede vescovile non poteva più sussistervi.
Fortunatamente, Gregorio XIII. l’anno dopo, aggrega a Fermo S. Vittoria in Matenano. Montefalcone e Monte Giorgio, sottratti all’Abbazia di Farfa, volendo così compensare la Diocesi dell’amputazione dell’anno precedente.
Nel 1586 Sisto V, che dal 1571 al 1577. era stato Vescovo di Fermo, giunto al Pontificato, volle elevare a sede vescovile la sua patria: Montalto Marche. Ristrutturò i territori delle Diocesi di Fermo togliendole ancora: Comunanza, Montelparo. Monte Monaco (ad Ascoli tolse Castignano).
Sottrasse pure a Fermo Montelupone, per darlo alla nuova Diocesi di Loreto.
Però, per compensarla, nel 1589, eresse Fermo a sede arcivescovi- k, le metropolitana, assegnandole come suffraganee: Ripatransone, Montalto, Macerata, Tolentino, S. Severino Marche.
Nei carteggi relativi alla creazione della Diocesi di Ripa è importante notare la popolazione dei Comuni sottratti a Fermo: Grottammare aveva 250 abitanti, S. Benedetto del Tronto 150, Acquaviva 650, S. Andrea 50, Cupra Marittima addirittura 400.
Ad Acquaviva non garbò di essere passata alle dipendenze di Ripa; lo stesso non piacque a S. Benedetto ed a Grottammare.
Addirittura troviamo che, anche dopo l’erezione della nuova Diocesi, il Vescovo di Fermo effettua le Sacre Visite sia ad Acquaviva che a S. Benedetto, i quali non cessarono di fare le loro rimostranze per la forzata separazione da Fermo.
E pensare che Pio V, poi Santo, aveva studiato a Fermo e qui aveva dimorato per un certo tempo! Ma i Piemontesi furono sempre infesti ai Piceni specie a Fermo. Basti ricordare quello che ci ha fatto Vittorio Emanuele II, Cavour, and Company!
Anno 1572 – Sisto V e lu ‘Marguttu’
Chi in autostrada (A 14) si dirige verso sud, proprio prima di imboccare la galleria di Grottammare, scorge alla sua sinistra una chiesa.
E’ Santa Lucia, eretta sul luogo dove il 13 dicembre 1521 nasceva Felice Peretti, divenuto poi Papa Sisto V. Oggi sono 473 anni. Su di lui sono stati scritti volumi e volumi. In soli cinque anni di pontificato (1585-1590) cambiò il volto di Roma: impresse nuovo impulso al governo della Chiesa; elevò obelischi e palazzi; risanò le finanze.
Tuttora brilla per fama come astro di prima grandezza nella storia della Chiesa, dell’Italia e dell’Europa. Fermo, nel cui Stato e Diocesi nacque, è fiera di averlo avuto per Vescovo (1571-1577). Sisto elevò ad archidiocesi la Diocesi fermana; anzi, la dichiarò metropolitana, dandole come suffraganee le Diocesi di Macerata, Tolentino, Ripatransone, Montalto. A tutt’oggi tale preminenza è sempre attuale. Anzi, in virtù dei recenti accorpamenti delle diocesi, sono suffraganee di Fermo: Macerata, Tolentino, Recanati, Cingoli, Treia, S. Benedetto del Tronto, Ripatransone, Montalto Marche, Camerino, S. Severino. Se poi si pensa che Fermo è sede arcivescovile e metropolitana dal 24 maggio 1589 ed Ancona è arcivescovile solo dal 1904 e metropolitana dal 1972, balza evidente l’importanza della archidiocesi di Fermo allora e adesso. È infatti tuttora la più importante e popolata delle Marche.
Oggi il turista che si reca a Fermo e visita la piazza maggiore, è subito attratto dalla statua di bronzo di Sisto V che domina l’ampia facciata del Palazzo dei Priori. Fu eretta nel 1590, in ringraziamento appunto dell’elevazione della sede episcopale in arcivescovile e metropolitana e per il potenziamento dell’università, risalente all’anno 825. Ma qualcuno si domenderà come mai le altre due statue in bronzo coeve, innalzate nelle Marche in onore di Sisto, sono opera di artisti marchigiani, mentre quella di Fermo è opera di uno scultore toscano. Quella di Loreto è del recanatese Calcagni; quella di Camerino di Tiburzio Vergelli, camerte; quella di Fermo, la più bella, secondo la definizione di Ludovico von Pastor (St. dei Papi, vol. X) è invece ope¬ra di Accursio Baldi, toscano di Monte S. Savino (Arezzo). Il motivo è il seguente. Si trovava allora a Firenze Ostilio Ricci, maestro di Galileo. Qui insegnava matematiche chiamato dal Gran Duca di Toscana. A conoscenza dell’iniziativa di Fermo di erigere la statua, propose il nome di Accursio Baldi detto il Sansovino (tre sono i Sansovino nella storia della scultura!) di cui conosceva l’alta professionalità. I fermani accettarono, e la statua, dal 1590, torreggia dall’alto del Palazzo dei Priori. “Guardulu Papa Sistu quant’è bellu / Quant’anni adè che sta su la loggetta / .. .Quante n’ha viste, quante brutte facce / pe’ la scaletta a ji ’ningnò e ’ninzù / e issu sempre sù fra le crepacce / tra lo cacà de cento e più picciù / …Ma guarduli sse ’è bellu!, guardulu ve’ / a vede tutto e sta sempre a sede’ / .. .0 Papa Sistu, ma co’ quella ma’ / Ce venedici o credi de scherza’?”. Così il poeta fermano Leone Bernardi: “Ecculu sù felice notte e jorno / e con quell’aria so’ cuscì serena / Ce dice a tutti: Me facete pena”. Ora nella rinnovata facciata del Palazzo dei Priori, la statua appare ancora più bella e solenne e ci richiama un’altra poesia. Si tratta del colloquio immaginario tra Sisto e lu Marguttu che faceva parte della Quintana che si praticava a Fermo da tempi lontanissimi. Sisto si rivolge a lu Marguttu chiamandolo beato, perché è andato tra i dotti, in biblioteca. Lui invece, Sisto, deve stare lassù “a vedenne de tutte qualità… E mentre a certi su lu cocociò / come che tu facii, je’ vurrio da’ / Me tocca a daie la benedizziò”. Buon compleanno Sisto!
Anno 1574 – Quando il biografo di Michelangelo annegò nel Menocchia
Il 10 dicembre 1574 esattamente 415 anni or sono, moriva Ascanio Condivi travolto dalle acque del torrente Menocchia. Ascanio Condivi conobbe Michelangelo probabilmente per mezzo di Annibai Caro, il celebre letterato di Civitanova Marche, di cui divenne in seguito parente, avendone sposata la nipote. Michelangelo si affezionò subito al mite Condivi, del quale ammirava la bontà d’animo.
Il Condivi accarezzò l’idea di scriverne la vita. “Mi diedi con ogni attenzione e ogni studio a osservare e mettere insieme non solamente i precetti ch’egli mi dava dell’arte, ma i detti, l’azione e i costumi suoi, con tutto quello che mi paresse degno di maraviglia e d’imitazione o di lode in tutta la sua vita, con animo ancora di scriverne a qualche tempo”.
Nel 1550 era apparsa la Vita del Vasari, ma Michelangelo non ne fu soddisfatto. Lo stesso Ascanio Condivi lamenta che vi sono “alcuni che scrivono di questo raro uomo… da canto hanno detto cose che mai non furono; dall’altro lassatene molte di quelle che sono dignissime di essere notate”. Michelangelo, come accennato, aveva intravisto nel Condivi il suo biografo; questi non era un letterato di grido, tuttavia avrebbe ritratto docilmente e diligentemente la figura del maestro.
Con destrezza e con lunga pazienza “cavò le notizie dal vivo oraculo” del sommo artista, il quale non doveva essere certo insensibile all’iniziativa del Condivi. Dato il suo carattere fiero e chiuso, non avrebbe palesato ad altri la sua vita famigliare, se non avesse veduto nel Condivi colui che lo avrebbe celebrato per la posterità. La Vita di Michelangelo, compilata tra il 1550 e il 1552, uscì a Roma per i tipi di Antonio Biado nel 1553. Andò a ruba e nel 15&Ò, il Vasari che si sentì offeso dal giudizio dato dal Condivi sulla sua biografia, ne fece una seconda, saccheggiando, per quanto riguarda Michelangelo, quella di Condivi, senza mai citare l’autore, anzi lo citò una sola volta “con astio e veleno”, descrivendolo come pittore da nulla.
Condivi invece, che pare sia stato iniziato alla pittura dal monterubbianese Vincenzo Pagani, operò con una discreta fama nelle Marche.
A Ripatransone, sua patria, si conservano 15 quadretti dei Misteri della Vergine. A lui sono attribuiti anche la Deposizione, con influssi michelangioleschi, e la Madonna con Bambino che si trova nella casa di Michelangelo. La morte avvenuta per annegamento mentre attraversava il torrente Menocchia rigonfio d’acqua, gli tolse la possibilità di raccogliere le rime e le tavole di “anatomia pittorica”, che egli vagheggiava di raccogliere ad onore e gloria di Michelangelo.
Condivi ha il merito di essere stato il più efficace ed attendibile biografo di Michelangelo. La “Vita di Michelangelo Buonarroti, pittore scultore e Architetto e gentiluomo fiorentino, pubblicata dal suo scolaro Ascanio Condivi”, vide la luce in seconda edizione a Firenze nel 1746 corretta ed “accresciuta con ritratto del medesimo ed altre figure in rame”. Seguirono altre edizioni.
Merito del Condivi è quello d’aver fatto conoscere in tutto il mon¬do colui che alzò un “Nuovo Olimpo ai celesti” con una narrazione viva, aderente alla realtà, di aver compilato la vita di questo gran “Maestro”, in tutte e tre le nobili professioni e nella poesia ancora piena di maestà e di sodezza e che fece esclamare alFAriosto: “Michel più che mortale, Angiol divino”.
Anno 1575 – Otto castelli dei 48 che Fermo ha…
Era il 20 gennaio del 1575. In tutto il mondo cattolico si celebrava il Giubileo e Papa Gregorio XIII. il bolognese Ugo Boncompagni, quello per intederci che riformò il calendario, volle dare a Fermo una prova tangibile della sua benevolenza e generosità, restituendogli otto castelli in precedenza sottratti dal suo predecessore.
Per meglio comprendere il gesto “munifico‘’ di Gregorio, occorre rifarsi alla logica dei rapporti tra la curia papale e la città di Fermo, capoluogo di uno stato formato da 48 castelli, che andava dal Tronto al Potenza e dai Sibillini al mare. Però Fermo aveva una spina al fianco: il castello di Montesampietrangeli (in seguito patria del famoso Romolo Murri). Tale castello non voleva sottostare alla dominazione
ogni tanto ne scuoteva il giogo, come ogni tanto Fermo accorreva a dargli una lezione e a ricordargli la sua sudditanza, volente o nolente, alla “metropoli della Marca”.
Montesanpietrangeli aveva però un protettore: Ascoli, che al minimo cenno, correva in suo aiuto. Ogni volta che un Papa moriva, Fermo andava ad assediare Montesampietrangeli o meglio Monsanpietrangeli e, puntualmente, Ascoli correva in suo aiuto a mano armata. Interveniva poi il neo eletto pontefice e le cose, almeno apparantemente, si calmavano…
Al tempo di Papa Paolo III e dei Farnese, a Fermo furono tolti i 8 castelli e la capitale dello Stato trasferita a Montottone che divenne così capoluogo dello “Stato Ecclesiastico in Agro Piceno”. Ciò per la durata di dieci anni: dal 1537 al 1547. Dopo tale anno, dietro esborso di 23.000 scudi (l’un sopra l’altro infila, scudi ventitremila), Fermo riebbe i castelli ad eccezione di Monsampietrangeli, Mogliano e Petritoli. La bolla di restituzione parla di una situazione abnorme, gravemente incomoda e dannosa (graviter incommoda et damnosa). Pio V in seguito sequestrò otto castelli togliendoli di nuovo a Fermo e dandoli “ai diletti figli e chierici della reverenda Camera Apostolica”. Tali castelli erano: Altidona, Massignano, Montottone, Ponzano, Loro Piceno, Servi- gliano, Falerone e Petritoli.
Gregorio XIII, successore di Pio V, ci ripensò: proclamò pubblicamente che la separazione da Fermo era stata deleteria per tutti; poi dopo un pittoresco piroettare ed incalzare di avverbi, aggettivazioni e un tambureggiare di formule giuridiche, li riconferma irrevocabilmente a Fermo. Ma le giustificazioni erano di facciata; restituì sì i castelli, ma questi dovettero metter mano alla borsa: Massignano fu tassato per 1563 scudi; Montottone per 2200; Ponzano per 290; Loro Piceno per 2860; Servigliano per 2340; Petritoli per 2700; Falerone per 1200; Altidona per 500. Versate tali somme, si disse che il distacco da Fermo era stato effettuato contro le intenzioni del precedente pontefice Pio V (contro mentem et intentionem). In ogni caso Fermo, il 20 gennaio 1575, riebbe gli otto castelli.
1579 – Monte Urano ricorre al Papa
Non è da tutti scomodare un Papa e per giunta Papa Gregorio XIII (famoso tra l’altro per la riforma del calendario) per una questione di confini, ma Monturano, allora piccolo paese della Diocesi fermana. ci riuscì e come!!!
Stanchi ed esasperati dal fatto che i paletti che delimitavano i confini del loro territorio venivano di continuo rimossi, i Monturanesi deciderò di rivolgersi direttamente a sua Santità Gregorio XIII. Il Papa, pur tra le occupazioni e cure del suo pontificato, si interessò della faccenda. Anzi la prese così a cuore che addirittura il giorno 13 aprile del 1579, anno settimo del suo pontificato (ìdibus Aprilis pontificatus nostri anno septimo) inviò al Vescovo di Fermo una bolla in pergamena con tanto di sigillo di piombo, raccomandandogli di interessarsi personalmente della cosa.
Molto probabilmente i cittadini di Monturano avevano inviato a chi di dovere ricorsi e doglianze in proposito ma, a quanto sembra, senza alcun esito, tanto è vero che scavalcando la “via gerarchica” si rivolgono al Papa in persona.
Gregorio allora, investe della faccenda il Vescovo di Fermo scrivendogli testualmente: “Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio, al venerabile fratello e diletto figlio il Vescovo di Fermo od al suo vicario generale per gli affari spirituali salute ed apostolica benedizione. Ci è stato fatto presente dai diletti figli, sindaci ed officiali del castello di Monturano della Diocesi fermana che vi sono dei figli di iniquità di entrambi i sessi (quindi pure le donne) che svellono i termini che indicano i confini portandoli di luogo in luogo, creando confusione e gravi danni al Comune di Monturano, causando altresì un pericolo per le loro anime e grande detrimento a detto castello”.
“Essi – continua la bolla – hanno invocato aiuto a questa Sede Apostolica. Per la quale cosa ti scriviamo invitandoti ad intervenire nella faccenda ordinando di ammonire dal pulpito, in presenza del popolo, i trasgressori a riparare il male fatto e stabilire un congruo lasso di tempo, trascorso il quale quelli che hanno usurpato beni e possessi o li detengano fraudolentemente pongano riparo.
Se non lo faranno tu devi scomunicarli”.
Noi non sappiamo come andò a finire la faccenda. Dobbiamo tuttavia notare che i cittadini di Monturano erano intraprendenti anche allora, se non nel commercio calzaturiero, nel ricorrere personalmente al Papa e riuscendo ad ottenere il suo personale interessamento per una questione di confini “nell’anno di grazia 1579, idi di aprile, anno settimo del nostro pontificato”.
Anno 1583 – Torquato Tasso e la fermano Accademia degli Sciolti
Oggi ricorre l’anniversario della scomparsa di Torquato Tasso, il poeta ovunque conosciuto per la Gerusalemme Liberata. I primi versi che il Tasso scrisse, li vergò in terra marchigiana, precisamente a Pesaro, alla corte dei Della Rovere; anzi diremo subito che fu compagno di studi del figlio di Guidubaldo, Francesco Maria Della Rovere. Ma Tasso ebbe a che fare con Fermo e con suoi illustri cittadini e vescovi. Ricordiamo che Sisto V, già Vescovo fermano, lo aiutò e protesse, anche se non lo ricevette alla corte pontificia. Tasso celebrò con versi raffinati l’erezione della Statua di Sisto V che tuttora campeggia sulla facciata del Palazzo dei Priori. Lode altissima ad Accursio Baldi, autore della statua. Ma quello che più interessa è che Tasso fece parte dell’Accademia degli Sciolti di Fermo. Nella lettera di adesione, chiama Fermo: valorosa città. Ma leggiamola, anche perché si tratta di uno dei più prestigiosi poeti della letteratura italiana: “Molto illustre Sig(no)re e P(adr)on mio oss/mo; VS poteva in ogni tempo rinnovare con molto mio piacere, la memoria della nostra antica amicizia: perché sempre mi doveva essere cara, per li molti meriti suoi: ma in questo, nel quale è stato eletto Principe dell’Accademia degli Sciolti, mi è grato oltremodo, che si sia ricordata di me e che mi abbia invitato a divenire uno degli altri con lodi così grandi: le quali benché siano soverchie, nondimeno perché sono argomento dell’Amore, le ricevo assai volentieri: et insieme accetto l’invito fattomi dall’Accademia, alla quale non credo di poter aggiungere alcun honore, ma ella che n’è abondevole per se stessa può accrescere la mia reputazione: e le mando la mia impresa, la quale è un leopardo col collare ma senza catena, il motto è: “l’attendo al varco”, il nome che io ho preso “Lo Scatenato”. “Al sonetto et alla lettera del signor Vinco (odierno Vinci n.d.r.) ho dato risposta la quale cosa sarà con questa e le bacio le mani. Di Ferrara il XXIII d’Aprile del 1583 DVS Aff/mo Ser(vito)re Torq(ua)to Tasso”. L’Accademia degli Sciolti fu fondata da Uriele Rosati, nel 1583. Nel palazzo Vitali Rosati, nella serie delle decorazioni rievocanti le glorie di Fermo, il pittore Giuseppe Carosi ha immortalato l’adesione di Tasso a tale Accademia.
Anno 1585 – 18 aprile: fatidiche date
Grandi ricorrenze oggi! A parte la data odierna, relativa ai referendum, il 18 aprile segna ed ha segnato date molto importanti: la posa della prima pietra della Basilica di S. Pietro a Roma, avvenuta il 18 aprile 1506 per mano di Giulio II e la nascita di Lucrezia Borgia, avvenuta il 18 aprile 1480.
Vi sono altre ricorrenze famose come la nascita di Ardito Desio (18-4-1897) nome legato al K2; il terremoto di S. Francisco (1906); la scomparsa di Einstein (18-4-1955), etc. Ma a noi interessano le prime due, anche se sarebbe da ricordare quel famoso 18 aprile 1948, tappa fondamentale nella storia d’Italia.
Lucrezia Borgia, sposa a 12 anni, fu a Pesaro; passata poi a 18 anni a nuove nozze con Alfonso d’Aragona, è una figura celebre nella storia nazionale. Fu tra l’altro govematrice di Spoleto, Foligno e Nepi. Ma il suo nome evoca quello del fratello Cesare Borgia, alias Duca Valentino, che a Senigallia fece uccidere Oliverotto da Fermo e Vitellozzo Vitelli (31-12-1502). Dopo tale misfatto (levati tu che mi ci metto io) Fermo, su pressione del Conte Giacomo Nardino da Forlì, commissario del Valentino “homo destro e molto scaltro” elesse a suo signore il Duca Valentino.
“…oprò tanto che li cittadini elessero per signore il Duca; così voleva il Papa che se facesse. Il primo de maggio in conseglio fu gridato per signore il Duca Valentino e dato il governo a detto Conte Giacomo, se bene fece resistenza finché non venisse ordine da Roma”.
La posa della prima pietra in S. Pietro, ci interessa perché ben due vescovi di Fermo ascesero al soglio di Pietro: Francesco Todeschini Piccolomini che divenne Pio III (1503/1503) e Felice Peretti che fu Papa col nome di Sisto V (1585/1590).
Anzi, i Papi sarebbero tre, se si conteggiasse Giovanni XVII (1003) della famiglia Siccone di Rapagnano. Sisto V è così famoso che è inutile parlarne. Diremo solo che nel 1590 completò la Basilica di S. Pietro, portando a termine la famosa cupola, opera di Michelangelo.
Numerosi furono i Fermani insigniti della porpora. Fra essi alcuni segretari di Stato della Sede Pontificia, come il Cardinale Decio Azzolino senior; il Cardinale Decio Azzolino junior in ottimi rapporti con Cristina, Regina di Svezia ed il Cardinale Tommaso Bernetti.
Nel corso dei secoli l’Archidiocesi di Fermo fu retta da ben 19 Cardinali-arcivescovi. Tra gli ultimi i Cardinali F. De Angelis che fu presidente del Concilio Ecumenico Vaticano Primo (1870) e risultò terzo tra i papabili nel conclave che elesse Pio IX. Durante l’episcopato di Mons. Castelli (+1933) l’Archidiocesi aveva contemporaneamente tre Cardinali: Luigi Capotosti di Moresco; Giuseppe Mori di Loro Piceno; Giovanni Tacci di Mogliano. A sua volta, l’ultimo cardinale-arcivescovo di Fermo fu Amilcare Malagola, morto esattamente un secolo fa (1895).
Oggi, a 487 anni dalla posa della prima pietra di S. Pietro e 513 dalla nascita di Lucrezia Borgia si pone forse una prima pietra di un nuovo edificio politico.
Che il cielo ce la mandi buona… e senza vento… !
Anno 1585 – I giorni fortunati di Papa Sisto V: Mercoledì e Venerdì
In questi giorni in cui è tutto un susseguirsi di celebrazioni in onore di Sisto V (a Macerata, a Loreto, a Fermo, a Grottammare) ci permettiamo riportare alcune curiosità, o preziosità storiche (ognuno è libero di considerarle come vuole), sul Papa piceno. Nella vita, secondo opinioni autorevoli, ci sono giorni favorevoli e giorni sfavorevoli, giorni di vittoria o di sconfitta, “giorni di riso o giorni di duolo”, come canta Longfellow, il poeta statunitense morto nel 1882. Sisto V ebbe in particolare due giorni fortunati; furono: il Mercoledì ed il Venerdì.
Il Mercoledì 17 maggio 1570 è creato cardinale; è eletto Papa il mercoledì 2 aprile 1585; è incoronato il 1Q maggio successivo, di mercoledì; il le maggio 1586, sempre di mercoledì, viene eretto l’obelisco di piazza S. Pietro. Sono due mercoledì il 26 novembre 1586 e il 10 dicembre dello stesso anno, date nelle quali Sisto V eleva a Diocesi rispettivamente Loreto e Tolentino. Cade di mercoledì il l2 gennaio 1587, data di emanazione della bolla con cui istituisce il collegio di S. Bonaventura. Il mercoledì 10 agosto 1588, è innalzato l’obelisco di S. Giovanni in Laterano, il più grande di Roma. Il mercoledì 11 ottobre 1589 ha luogo la prima ispezione alla bonifica delle Paludi Pontine. Fermo è elevata a sede arcivescovile metropolitana mercoledì 24 maggio 1589; la stampa della Vulgata viene portata a termine il 2 maggio 1589, mercoledì.
Veniamo ai Venerdì: Felice Peretti, il futuro Sisto V, nasce a Grottammare il 13 dicembre 1521 alle ore 16: è venerdì; il 25 settembre 1534 veste per la prima volta il saio francescano: è venerdì. E venerdì 10 maggio 1585 data del suo primo concistoro; di venerdì il 13 settembre 1585, Sisto restituisce a Fermo l’Università; è venerdì il 20 dicembre 1585, giorno di emanazione della bolla Decet Romanus Pontifex relativa all’unione tra Papa e Vescovi; il 14 novembre 1586 eleva al rango di città Montalto, è venerdì; fa innalzare l’obelisco di Piazza del Popolo il venerdì 24 marzo 1587; ha inizio la costruzione della cupola di S. Pietro il 15 luglio 1588, venerdì. Curiosa è la storia! I soldati di Napoleone venuti a Fermo volevano fondere la statua di Sisto V che campeggia sulla facciata del Palazzo dei Priori. A loro occorreva bronzo per fare cannoni. I fermani come già detto, per scongiurare tale pericolo, vestirono Sisto V da santo, mettendogli in testa una mitra. Diedero ad intendere che fosse S. Savino, protettore di Fermo.
Erano sì anticlericali i francesi, ma davanti alle statue dei santi si fermavano e qui lo stratagemma riuscì a perfezione e Sisto V fu salvo. Non siamo però riusciti a trovare se ciò accadde di mercoledì o di venerdì.
Anno 1587 – Ostilio Ricci, l’unico maestro amato dal sommo Galileo
Tutto il mondo ci invidia Galileo Galilei, colui che… “vide sotto l’etereo padiglion / rotarsi più mondi e il sole irradiarli immoto”, ma ben pochi sanno che suo primo e vero maestro fu un fermano: Ostilio Ricci. Se è vero come è vero che nessuno dà ciò che non ha, la somma di cognizioni scientifiche date da Ostilio al suo discepolo Galileo mostra quale e quanta dovizia di scienza possedesse il nostro Ricci.
“… vivendo allora un tal messere Ostilio Ricci di Fermo, matematico de’ signori paggi di quell’altezza di Toscana e di poi lettore delle matematiche nello Studio di Firenze”, così Vincenzo Viviani ultimo discepolo del grande Galilei nella “Vita di Galileo”. Tale autore prosegue dicendo che il diciannovenne Galileo chiese a Ostilio Ricci se gli poteva insegnare “qualche proposizione di Euclide”, ma di nascosto del padre, che poi seppe tutto e diede il suo assenso.
Cominciò dunque il Ricci ad introdurre Galileo (prosegue Viviani) nelle solite esplicazioni delle definizioni, assiomi e postulati del primo Libro degli Elementi; ma questi, sentendo proporsi principi tanto chiari e indubitati, e considerando le domande d’Euclide così oneste e concepibili, fece immediatamente concetto che se la “fabrica della geometria” veniva alzata sopra tali fondamenti, non poteva essere che fortissima e stabilissima.
Il Ricci fu sempre vicino a Galilei, anche dopo la fine dell’insegnamento. Ci piace ricordare i due grandi perché di questi giorni (26 settembre 1592) Galilei ascese alla cattedra di matematica e fisica dell’università di Padova; perché proprio il 27 settembre il Ricci apri gli occhi alla luce a Fermo, dove nacque da Orazio e da Elisabetta Gualteroni nell’anno 1540.
Anno 1588 – Sisto V e la cupola di S. Pietro
Quattrocento anni or sono, di questi giorni, giungeva a Fermo la notizia che la cupola di S. Pietro era terminata! Da quando, quel 18 aprile 1506, Giulio II aveva posto la prima pietra della basilica di S. Pietro, ne era passata d’acqua sotto i ponti del Tevere… I lavori procedevano a rilento e la cupola da molti anni era ferma al tamburo. Ma Sisto V, il Papa che si faceva chiamare natione firmanus (era infatti nato a Grottammare, Stato di Fermo), appena eletto, con la solita energia decise la prosecuzione dei lavori e l’innalzamento della cupola. Si era perso troppo tempo!
Il lavoro fu iniziato il 15 luglio 1588. A Roma correva voce che ci sarebbero voluti non meno di 10 anni con una spesa di un milione di ducati. Ma Sisto V era Papa volitivo ed abile amministratore: l’opera fu compiuta in soli 16 mesi; costo totale: 200 mila ducati! Vi lavorarono giorno e notte 800 operai. Per l’armatura furono utilizzate centomila travi; 15 mila quintali di canapi: 10 mila quintali di ferro per “spranghe, staffe e bandelle”.
Furono usati milioni e milioni di mattoni e migliaia di quintali di pietra per i sedici costoloni. Proprio in questi giorni, nel 1590, furono dati gli ultimi ritocchi. Da allora, la cupola, “novo Olimpo ai Celesti”, spicca sul panorama di Roma. Una cronaca del tempo riporta: “A sua perpetua gloria ed a vergogna dei suoi predecessori, il nostro Santo Papa Sisto V ha terminato il voltamento della cupola di S. Pietro”.
Secondo i calcoli di P. Ruggero Boscovich, scienziato di fama mondiale (insegnò nell’allora Università di Fermo), e di Thomas Le Seur e Francois Jacquier, il peso delle strutture murarie era di 14 mila tonnellate, esclusa la lanterna.
Con Michelangelo, Sangallo e Della Porta, nomi marchigiani sono legati alla vicenda della Basilica e della cupola, come Bramante e Raffaello. Le folle di turisti che si riversano in questi giorni a Roma per i Mondiali, ammireranno i vari monumenti, ma i due maggiori (S. Pietro e l’Altare della Patria) ricordano, come detto altrove, glorie picene, o meglio fermane: Sacconi studiò e si formò a Fermo Sisto V natione fir manus, ne fu Vescovo dal 1571 al 1577.
Anno 1589 – Il regalo di Sisto V e la gratitudine dei fermani
Il 24 maggio 1589 è una data storica per Fermo e il fermano, nessuno l’ha commemorata e ciò è male! Solenne e altisonante la bolla del fermano (natione firmamus si definiva) Sisto V, diretta Universis Orbis ecclesiis (alle chiese di tutto il mondo). Con essa elevava da vescovile ad arcivescovile metropolitana, la sede di Fermo dandole come suffragale le Diocesi di Macerata, Tolentino, Montalto, Ripatransone (a cui oggi si unisce S. Benedetto) e S. Severino.
In forbito latino la bolla recitava… “e condecoriamo la sede vescovile fermana, col titolo ed onore di sede arcivescovile metropolitana. L’arcivescovo abbia l’uso del pallio e della croce, secondo il costume degli Arcivescovi nonché i privilegi ed onori etc.”.
L’onore era grande ed unico, se si pensa – come già detto – che Ancona è sede arcivescovile solo dal 14 settembre 1904 e metropolitana solo dal 15 agosto 1972 e Camerino è sede arcivescovile solo dal 1785. Vi sarebbe anche Urbino, ma ha una storia a sè. La gioia di Fermo era grande: il 20 agosto 1589 venne eletto Arcivescovo Sigismondo Zanet- tini, che reggeva la Diocesi da 4 anni. Ma Fermo voleva dare un segno tangibile di riconoscenza a Sisto V che, oltre la sede metropolitana, aveva ripristinato l’università, la più antica delle Marche, originata da un capitolare di Lotario I nell’825. Si eresse una statua in suo onore. Fu chiamato Accursio Baldi, detto il Sansovino, uno dei più celebri scultori del Rinascimento e si fuse la statua, ponendola su un plinto e con sotto le iscrizioni di gratitudine. Il costo fu di scudi mille e settecento (scu- tos mille et septingentos). Alla deliberazione dell’erezione della statua, interverranno deputati di tutto lo Stato fermano: l’entusiasmo per Sisto V era alle stelle. Vi fu chi la voleva d’argento; taluno addirittura d’oro (iurans quod si possibile foret fieri esse debet de puro auro!).
Da allora, la statua a Fermo, campeggia sulla facciata del Palazzo dei Priori. Ne ha viste Sisto V e di belle e di brutte. Al tempo della rivoluzione francese, per sfuggire alle rapine delle truppe, fu vestito da santo e da vescovo. Grande fasto e tripudio per l’inaugurazione e cospicua produzione di sonetti e poesie, sia in latino e in italiano. La statua venne decantata da poeti del calibro di Torquato Tasso (mira un sol di virtù in terra di Dio / Sisto il quinto ecc.). Ma ora che ricorrono quattro secoli, da quando Fermo è stata elevata ad archidiocesi e sede metropolitana, non si è vista l’ombra di commemorazione di tale ricorrenza. L’archidiocesi è tuttora la più vasta e popolosa non solo della Provincia ma di tutta la regione. Ma Sisto V attende… Egli che conosceva bene la psicologia degli uomini e il latino, ripensa al passo dell’Eneide Exoriare aliquis (IV – 625) (sorga qualcuno che lo faccia) o forse a Sallustio, là dove dice “Perhé non vi sveglite Quin igitur exspergescimini?’\ Non vorrei però, dato che sulla statua compaiono non le chiavi, ma un libro, che leggesse “qualcosa” che assomigliasse a quanto, secoli dopo, affermava Dumas padre “Ci sono servizi così grandi che si possono ripagare solo coll’ingratitudine”. Fermo rifletta! E molto!
Anno 1590 – Gli ultimi giorni di Sisto V
Faceva caldo, molto caldo in quell’ultima decade di agosto 1590. Si era al quinto anno di pontificato. Il lavoro febbrile, i dispiaceri causati dalla Spagna, le cure del governo, avevano procurato a Sisto V (è di lui che si parla) febbri intermittenti. Tuttavia, pur con la febbre, aveva celebrato il pontificale; aveva ricevuto delegazioni di vari Stati ed esplicava un’attività incessante e poliedrica. Soleva dire che “un principe deve morire in mezzo agli affari del suo ufficio”. E così avvenne.
Nonostante il persistere della febbre, il 18 agosto partecipò, a piedi, ad una processione di lunga durata; nei giorni 22/23/24 agosto sbrigò affari di Stato. La febbre dapprima scomparve; poi ritornò, violentissima. Il 27 agosto, Sisto V moriva nel palazzo del Quirinale; primo Papa ad abitarvi, primo Papa a morirvi. In soli cinque anni, aveva rinnovato Roma, innalzato obelischi, eretto la cupola di S. Pietro, costruito acquedotti, estiipato il brigantaggio, risanato le finanze pontificie.
Prima di essere papa, Sisto V era stato Vescovo di Fermo; era nato nel territorio del suo Stato e amava definirsi natione firmanus: di nazione fermano. Rinunciò alla sede di Fermo nel 1577 per altri ed alti incarichi in Vaticano. Elevò la sede vescovile di Fermo ad arcivescovile, dandole quali Diocesi suffraganee: Macerata, S. Severino, Tolentino, Ripatransone e Montalto. Ricostituì l’università ed accordò a Fermo molti altri privilegi.
Abbiamo parlato di Quirinale. Tale palazzo fu fortunato per i marchigiani. Nel solo periodo dal 1823 al 1846, vi furono eletti (allora i conclavi avvenivano al Quirinale e non in Vaticano) ben tre Papi marchigiani su quattro: Leone XII di Genga di Fabriano (1823); Pio Vili di Cingoli (1829); Gregorio XVI (il solo non marchigiano perché di Belluno) e Pio IX di Senigallia (1846). Detto fra parentesi, Pio IX fu il Papa che regnò più a lungo di tutti i Papi finora esistiti: 32 anni, sei mesi, 22 giorni.
Altra curiosità è che, quando morì Sisto V, furono celebrate solenni cerimonie funebri in tutto lo Stato pontificio, ma specialmente in tutte le Marche, data la sua origine marchigiana. In Ascoli, finite tali celebrazioni, non si trovava chi pagasse le spese. Solo cinque anni dopo la morte di Sisto V, ci fu qualcuno che pagò. Il motivo? Perché Sisto V non aveva elargito ad Ascoli i benefici concessi a Fermo. Ad Ascoli, riferisce lo storico mons. Giuseppe Fabiani, aveva regalato “un bel nulla d’oro rilegato in argento”.
Ora però Ascoli ha allestito in onore di Sisto una mostra, aperta fino a fine ottobre. Mostra stupenda, anche se il catalogo relativo lascia alquanto a desiderare… Come si fa a parlare di quadri, datandoli con secoli di differenza e come si può sostenere che “Sisto V era francescano – cappuccino”? (pag. 170). Cavallerescamente però, bisogna riconoscere che Ascoli si è mossa per Sisto V, mentre Fermo è sempre… ferma, anzi immobile.
Anno 1590 – Sisto V e i tre Sansovino
Sulla facciata del Palazzo dei Priori di Fermo, solenne, sopra una loggetta, campeggia dal 1590 la statua in bronzo di Sisto V. Fu eretta in suo onore dal Senato del Popolo Fermano (S.P.Q.F.), per aver elevato la città a sede arcivescovile metropolitana e per aver restituito e potenziato l’università esistente sin dal sec. X. … “Ob episcopalem in metro- politanam erectam et Gymnasium universale restitutum”, così recita la lapide del piedistallo.
Nelle immediate vicinanze, un cartello turistico, indica “Statua di Sisto V del Sansovino”. Un turista tedesco, tempo fa, faceva osservare che vi era un errore di cronologia e di storia. Sansovino morì nel 1529 e la statua risulta eretta nel 1590. Era (diceva il teutonico) un anacronismo stridente.
È vero che Andrea Contucci detto Sansovino nato nel 1460 a Monte S. Savino (Arezzo), quando venne eretta la statua era morto da 61 anni e il suo omonimo Jacopo Tatti, anche lui detto il Sansovino era morto a Venezia da venti anni, ma è anche vero che i Sansovino, scultori, furono tre (almeno i famosi).
Il primo: Andrea Contucci nacque, come detto, a Monte S. Savino ed è celebre per i suoi altorilievi nella Santa Casa di Loreto e per altre opere tra cui S. Anna e la Madonna a Roma.
Il secondo: Iacopo Tatti (Firenze 1486 – Venezia 1570), fu allievo del precedente da cui prese il soprannome Sansovino. Celebre per la Loggetta del Campanile di S. Marco a Venezia per la Libreria di S. Marco, Palazzo Corner, la Zecca e per altorilievi a Padova, nella Basilica del Santo, operò a Venezia dove si rifugiò dopo il Sacco di Roma.
Ma vi è un terzo: è il nostro Accursio Baldi, detto il Sansovino per essere nato come il Contucci, a Monte S. Savino. Egli è l’artefice della statua di Sisto Quinto, la più bella, superiore a quelle di Camerino di Triburzio Vegelli, di Loreto di Andrea Calcagni, di Grottammare, Roma, etc. Non sono io che lo affermo, ma è il Pastor (Storia dei Papi, X, 59). Tale statua, ispirò poeti e prosatori che scrissero lodi in proposito. Tra essi, Torquato Tasso.
Il fatto di prendere il nome del paese di origine è una prassi che si ripete nel corso dei secoli. Per limitarci alla nostra regione, notiamo che Pergolesi, non è il vero cognome del celebre musicista di Jesi. La sua famiglia aveva per cognome Draghi. Quando da Pergola emigrarono a Jesi, tutti li chiamavano “Pergolesi” perché provenienti da quella località. Il Sassoferrato, celebre pittore (1609-1685), venne così chiamato perché nato ivi. Il suo vero nome era Giovanni Battista Salvi detto Sassoferrato. Del resto, Camillo Benso conte di Cavour, dal nome della località è comunemente detto Cavour. Quindi parlare di Sansovino quale autore della statua di Sisto V non è né improprio, né anacronistico.
Ora, oltre alle statue di cui sopra, ne sono state innalzate altre: a Grottammare davanti alla chiesa di S. Pio V; una in bronzo opera di Aldo Sergiacomi di Offida (1985); un’altra a Montalto Marche, opera di Pericle Fazzini (1986). Ma Accursio Baldi, detto il Sansovino, “sopra gli altri com’aquila vola”, per quella eretta a Fermo.
Anno 1598 – Il De jure belli e e l’Irak
Mentre incombe minaccioso lo spettro della guerra, ricorre l’anniversario della nascita di un grande giureconsulto marchigiano Alberi- co Gentili, nato a S. Ginesio il 14 gennaio 1552. Egli è celebre nel mondo come fondatore del diritto intemazionale, derivatogli dall’opera De jure belli.
Iscrittosi alla facoltà di legge a soli 17 anni a Perugia, ne usciva a 21 col titolo di dottore. Ad Ascoli, dove si recò non appena laureato, per raggiungere il padre Matteo che vi esercitava la professione forense, fu eletto pretore, prima per la durata di un semestre, poi confermato per tre anni consecutivi. Dopo il soggiorno ascolano, durato fino al 1574, tornò col padre alla natia S. Ginesio, dove ricoprì le mansioni di avvocato comunale, riordinando lo statuto. Ma a S. Ginesio v’era un focolaio protestante e il padre era uno dei più accesi fautori delle nuove dottrine anticattoliche. Il Cantù in Eretici in Italia, dice che “San Ginesio, con Como, Cremona, Vicenza, Faenza e Calabria erano le località dove venivano spediti dalla Germania sacchi di libri di dottrine protestanti per essere poi smerciati nelle zone circostanti”. L’inquisizione ne ebbe sentore; vista la mala parata, Matteo con i figli Alberico e Scipione, fuggì, rifugiandosi a Lubiana; dopo poco, riparò in Inghilterra di recente separata da Roma.
Alberico insegnò ben presto Diritto romano ad Oxford ed a Londra, conobbe Giordano Bruno, in casa del suo amico, il poeta Filippo Sidney. A 33 anni si unì in matrimonio con la francese Ester de Peigny e in questo periodo, pubblicò l’opera che doveva renderlo famoso. Essa è, proprio in questi giorni, di palpitante e direi drammatica attualità. Si intitola De jure belli (Il diritto della guerra), opera in tre libri, uscita in Inghilterra nel 1598.
Alberico definisce la guerra “giusta contesa di pubbliche armi”. Inizia, parlando dell’atteggiamento del cristianesimo dinanzi alla guerra e dalle posizioni dei padri e scrittori dell’età apologetica, quali Tertulliano (+240), Origene (+254), Lattanzio (+330). Fa inoltre un’acuta ed accurata indagine del pensiero dei classici, compreso Cicerone, definendo la guerra un atto di giustizia vendicativa.
“Lo stato offeso colpisce con la guerra l’offensore, per piegarlo al rispetto dell’ordine e della giustizia”.
Ha poi un passo (libro primo, cap. 17, pag. 127) che sembra prefigurare la vicenda dell’Irak: “.. .È lecito fare guerra a chi la fa per conquistare luoghi più feraci e più ricchi e per cupidigia di spazio” e… sarei per dire: “di petrolio”.
Aggiunge inoltre: “È giusta la guerra intrapresa per soccorrere chi è stato oggetto di una ingiusta aggressione”.
Se Bush o i suoi consiglieri conoscessero questo passo, lo citerebbero davanti alle assise internazionali e all’Onu.
Il De jure belli, prevede l’ultimatum, rievocando quanto al tempo dei Romani facevano i Feciali.
Vi si parla anche dello spionaggio; degli stratagemmi bellici; della cattura e trattamento dei prigionieri; dei criminali di guerra (come si vede, esistevano già allora); del postliminio, ossia del diritto del prigioniero di riacquistare la libertà se, fuggendo, avesse potuto raggiungere i confini della patria.
Alberico prevede anche la guerra “chimica”. “È un’azione da barbari – scrive – usare veleni nella guerra. Il valore non ha più la sua forza quando l’esito della guerra viene affidato ai veleni. Tutti condannano tale modo di condurre la guerra”.
Egli chiude il secondo libro con un’invocazione al “Sommo Iddio”.
“Rimuovi da noi le barbarie, le ferità, la insaziabile inimicizia. Tu che sei buono! Il bove ed il leone si cibino dell’erba dei campi, e mai il bove impari la ferocia; bensì il leone apprenda la mansuetudine. Né mai imparino dai barbari i cristiani tuoi, i modi di guerreggiare, ma i barbari imparino bene dal popolo tuo modi più umani”.
Termina poi l’opera ineggiando nuovamente alla pace.
Alberico Gentili nato a S. Ginesio da genitori ottimi e illustri (ex op- timis nec non Clarisparentibus Sanginesii…), morì a Londra a 59 anni, nel 1608. Era il 19 giugno (obiìt Londini anno MDCVIII die XIX junii, si legge nella lapide sepolcrale nella chiesa di Sant’Elena a Bishopgate).
Nella natia S. Ginesio,, un monumento lo ricorda ai posteri. Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo come “fondatore del diritto internazionale”.