MIRELLA RICORDA LA GUARIGIONE CON LE PREGHIERE DI GIUSTINA AGOSTINI SBAFFONI

Mirella ricorda GIUSTINA Sbaffoni

   La storia che voglio narrarvi, seppure vissuta da me in prima persona, mi è stata in parte raccontata dai miei genitori. Al tempo dei principali avvenimenti qui narrati, non ero infatti in grado di comprendere cosa stesse accadendo intorno a me.

   È il mio incontro con Giustina Sbaffoni che intendo narrare e di come, da quel momento, la mia vita è cambiata al punto da poter dire di essere nuovamente nata.

Avevo non più di 14 anni d’età al tempo dei fatti: ero una bambina normale trasferitasi dal Fermano, in quel di Roma, all’età di cinque anni con i genitori. Mio padre Renato e mia madre Angela sono dovuti emigrare per motivi economici dalle loro terre natie, ma, nonostante ciò, la mia vita trascorreva tranquilla, se non fosse che, in un giorno qualsiasi dei tanti, la salute smise di sorridermi.

Iniziai a provare un profondo malessere, improvviso e violento: inspiegabile. Sono bastati due o tre giorni per veder appassire il mio fisico e il mio umore. Smisi di mangiare. I miei genitori, da una lieve apprensione iniziale, cominciarono seriamente a preoccuparsi quando smisi di vedere. Iniziava così il calvario dei miei cari. Si susseguirono visite e medici, un via vai continuo che inizialmente ancora comprendevo, ma poco dopo la mia mente si spense. Dai racconti ascoltati, ho appreso che non ero più in grado di muovermi, né parlare, rimanevo fissa nel letto dove il mio corpo iniziava a spegnersi. Mi stavo consumando lentamente e senza che si capisse un perché. Le lacrime dei miei genitori, di fronte al capezzale di una bambina che ormai pesava meno di trenta chili, non si contavano più. In seguito, mi furono raccontati per lungo tempo quei momenti di disperata preoccupazione che profondamente hanno marchiato i miei cari, nell’impotenza di darmi un qualsiasi aiuto. Anche la scienza medica non ne sapeva dare un perché.

Da ragazza robusta e piena di salute quale ero prima, apparivo al contrario smunta ed inerme alla visita dell’ennesimo medico. La disperazione dei miei genitori raggiunse il culmine quando mi fu palesata, nell’ennesima visita, una forma di tumore al cervelletto. La diagnosi arrivò terribile e cruda, accompagnata dalle parole del medico che prognosticava ormai poco tempo per me da trascorrere in vita.

Rivivo ancora oggi i racconti dei miei cari: il loro smarrimento ed il senso di impotenza. La loro vita era ad un bivio come ormai la mia. I miei genitori vagavano costantemente in cerca di qualche aiuto di rimedio. Un giorno mia madre arrivò a sfogarsi con una loro cara amica, piangendo presso di lei e con lei di gran dolore. Fu questa donna che risvegliò un ricordo in mia madre. Tra le confidenze, in tempi non sospetti, avevano parlato tra loro di Giustina. Questa conversazione aveva fatto ricordare a mia madre la signora Giustina, conterranea, che si prodigava nell’aiutare i malati. Lei con la fede e la preghiera aveva aiutato molti. Ci fu come un risveglio. La decisione di portarmi da Giustina fu immediata. I timori per il viaggio erano molti: più di quattr’ore di macchina da affrontare e la quasi certezza che non sarei sopravvissuta alla fatica. Non rimaneva altro che provare.

Mio padre in seguito mi raccontò lo sforzo per sollevarmi dal letto e adagiarmi sui sedili posteriori della sua auto, sforzo di animo più che di fisico, dato il mio poco peso. Posatami una coperta addosso, il viaggio iniziò senza interruzioni. Erano compagni, il silenzio e la preghiera. All’arrivo, di nuovo tra le braccia di mio padre, incontrai Giustina. Non potevo vedere. I loro racconti mi hanno dato modo di ricostruire quei momenti, ma si fanno nebbiosi. Ricordo di mia madre che parlava mentre Giustina era seduta su di uno sgabello in una stalla con delle mucche. Vicino a lei una seggiola. Giustina invitò mio padre a farmi sedere. Mia madre disse che non sarei riuscita a rimanere seduta, inevitabilmente sarei caduta. Giustina si rivolse a mio padre insistendo per adagiarmi sulla seggiola, con la raccomandazione di rimanere accanto. Dai racconti di mia madre ho appreso che Giustina poggiò le sue mani sulla mia pancia, pregando ad occhi chiusi. Dopo breve tempo, rivolgendosi a mio padre, disse di riprendermi in braccio e portarmi via. Mentre venivo riadagiata sul sedile dell’auto, mia madre era rimasta sola con Giustina e le raccontava dei tormenti a seguito della diagnosi di tumore al cervelletto e dei timori per la mia morte. Fu allora che Giustina chiese di riportarmi da lei. Nuovamente mio padre sollevò il mio corpo privo di consapevole volontà per riadagiarmi sulla seggiola al cospetto di Giustina. Fin qui, il racconto, ricevuto da parte dei miei, mi ha permesso di ricostruire quei tempi. Io non ho nessun ricordo di quei giorni.

Come il risvegliarsi da un lungo sonno. Mi trovavo in una stalla, con attorno a me persone sconosciute e tra loro una signora anziana, con un fazzoletto in testa e il Crocifisso tra le mani. Sentivo il peso di quelle mani sul mio stomaco. Percepivo le piccole battute fatte da quelle mani.

Poi guardavo spaesata intorno a me, vedevo i miei genitori e con voce forzata e flebile chiesi loro dove fossi. Li vidi mettersi a piangere al mio parlare. I miei ricordi si fanno confusi. Ero stanca.

Per la prima volta, udii Giustina che rivolgendosi ai miei cari, disse loro di andare, di stare tranquilli. Le parole che ancora ricordo furono: «Gli hanno voluto tanto male».

Sentii la voce di Giustina che mi diceva di alzarmi. Allora provai traballando per quanto ero indebolita, e ci riuscii. I miei che stavano inchinati, furono emozionati per l’accaduto, e alla vista di ciò si lanciarono verso di me e fui presa tra le braccia, subito, da mio padre e da mia madre. Non ricordo altro.

Affrontai il viaggio di ritorno verso Roma. E così, improvvisamente come era arrivato, il mio male se ne era andato, svanito. Dopo che mi ero ripresami a sufficienza in salute, iniziai a fare domande. Inconsciamente mi sentivo incuriosita sui fatti, mi sentivo spinta a chiedere notizie di quella signora di cui ricordavo chiaramente le poche parole. Sentivo un legame profondo e inspiegabile.

Tra i fatti più ricordati dai miei genitori e c’era quel nostro arrivo da Giustina. Mi hanno più volte raccontato che davanti al locale della stalla si accalcavano tante persone in attesa di poter incontrare Giustina e appena arrivati noi, queste si spostarono per farci passare. Scoprimmo poi che Giustina si era raccomandata con loro di far passare una bambina che stava male e che veniva da lontano e così fecero, seppure noi non avessimo avvisato nessuno di questo nostro viaggio.

Oramai pienamente ripresa in salute, iniziai a vivere la mia adolescenza in modo naturale. Sentivo peraltro il bisogno di rivedere Giustina. Il desiderio mi spinse a chiedere ai miei genitori di riportarmi da lei, non appena si sarebbe potuti tornare nelle Marche. Passò un anno.

Fremente riuscii a tornare da Giustina. Riconobbi la stalla, la sua voce, il suo profumo. Abbracciai e baciai Giustina, pensando a come mi sentissi stranamente legata a lei. In quel momento la sentivo dire, rivolgendosi a mia madre Angela: «Oh, quanto mi rimane impressa questa ragazzina». Poi, guardandomi, mi disse che avrebbe scritto di suo pugno una lettera per me, per la mia futura famiglia, per i figli che avrei avuto … Mi raccomandò di non lasciarla mai, di portarla sempre con me, parlandomi di gelosie che avrebbero minato la mia serenità, soprattutto da parte delle mie future cognate.

Non diedi importanza alla cosa, erano ancora adolescente, di sicuro non pensavo ancora ad un matrimonio. Promisi però di conservarla e dissi a lei che io sarei tornata nuovamente a trovarla non appena mi fosse stato possibile ritornare nelle Marche.

Fu allora, dopo questa mia promessa, che Giustina indicò una finestrella in alto sulla stalla e guardandomi con amore disse: « Vedi … Mi hanno già chiamata». Dissi un flebile “no”. Lei sorrise e mi disse: «Senti bene: tu tornerai da me ma io non ci sarò». La interruppi di nuovo chiedendo ingenuamente: Perché? dove vai?». Giustina mi rispose: «Lassù … ma ti dico che quando verrai sarai accompagnata con l’uomo giusto per te. E quando avrai bisogno di me chiamami … Quando la Madonna mi darà il permesso, io ti aiuterò». Mi allontanai perplessa, ma gioiosa nell’aver potuto abbracciare Giustina, e , nonostante tutto, la sentivo oramai parte di me.

Passarono gli anni e la vita trascorse, ma il desiderio di poter rivedere Giustina non svanì. Fu in un’estate spensierata che riuscii finalmente a tornare nella mia natia regione, in vacanza, con la mia famiglia e con il mio fidanzato. Fu naturale per me trovare il modo di tornare a Belmonte, da Giustina, per giunta con il mio fidanzato e volevo tanto che lei lo conoscesse. Arrivai a quella sua abitazione e non trovai le solite persone davanti alla stalla. Allora cercai di capire e potei chiedere ad una signora dove si trovasse Giustina. Mi rispose che non era più tra noi. Questa signora mi diede una foto di Giustina come ricordino. Stetti male.

Presi conoscenza del luogo della sua sepoltura e andai a trovarla, mantenni così la parola. Accanto a me il mio futuro marito. Giustina aveva ragione.

Mi sposai con l’uomo che mi aveva accompagnato fidanzato nell’andare da lei. E, come Giustina mi aveva predetto, così tutto accadde. Ho ancora la sua lettera, e da quel giorno ogni anno, faccio visita alle sue spoglie mortali e le porto un fiore per ringraziarla di tutto ciò che lei è stata per me e per i miei cari, da lei predetti.

   Queste poche righe vogliono essere una testimonianza per coloro che non hanno potuto conoscere Giustina Sbaffoni, e per quanti non hanno potuto bearsi della sua bontà e per quelli che, conoscendomi, sanno quanto bene, quell’incontro con Giustina abbia creato per la mia vita.

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