Onore alla Casa di MARIA LAURETANA nella poesia di Laura Maria Gratiani anno 1698

Premessa; traduzione e ODE

LORETO IN UNA POESIA del secolo XVII.

   A Fermo (FM) la poetessa, nel secolo XVII, Laura Maria Gratiani trasfonde la sua ammirazione per il mistero di Dio umanato che si è fatto carne nella casa di Nazaret . Il suo canto ammutolisce per lo stupore di fronte alla Persona divina che fa propria la natura mortale. Usa i paragoni della grandezza che esalta la miseria, il Signore dei Signori che si assimila al suo servo, il mare che si prodotto da una fontana, il cielo che si racchiude in un ripostiglio, una realtà immortale che si innesta  in una mortale, la gloria infinita immersa in realtà umilissime. Di questo mistero è ospitatrice la casa di Nazareth che è rocca di protezione per il popolo e rende il territorio attorno lussureggiante, immune da guerre e da tutti i flagelli. La Mediatrice Maria reca la salvezza allumanità.

Bibbia: Gesù rigenerò la natura corrotta e la rivestì di immortalità. E’lui la luce delle genti che guida che sta nella tenebra alla luce della salvezza cfr. At 10, 37-38

   \\\    Dal libro «Alle diuotissime brame dell’illustrissimo signor Giuseppe Triller, decano del collegio Martiale dell’Illustriss. città di Fermo, che nella laurea del suo feliciss. dottorato. S’applauda solo all’augustissima casa della gran vergine lauretana». (Fermo : per Gio: Francesco de’ Monti e fratelli stampatori 1698)

                                                         ODE del Seicento con traduzione nel linguaggio del xxi secolo

Bibbia: Gesù rigenerò la natura corrotta e la rivestì di immortalità. E’lui la luce delle genti che guida alla luce della salvezza chi sta nelle tenebre cfr. At 10, 37-38

   \\\    Dal libro «Alle diuotissime brame dell’illustrissimo signor Giuseppe Triller, decano del collegio Martiale dell’Illustriss. città di Fermo, che nella laurea del suo feliciss. dottorato. S’applauda solo all’augustissima casa della gran vergine lauretana». (Fermo : per Gio: Francesco de’ Monti e fratelli stampatori 1698)

             ODE del Seicento con traduzione nel linguaggio del xxi secolo

Traduzione dell’invito al laureato di onorare la casa di MARIA

\   Nobile germoglio di protagonisti, dato che poni la riflessione sui dotti successi di cui la Giustizia t’intesse una degna corona ed un plauso immortale, vuoi soltanto che siano molto onorati i Lauretani, per i quali la Casa orna e corona MARIA: il mio canto risuona devoto in tale armonia tra queste laudi ossequienti e riverenti.

\ Quali miscredenti centri; oh fama, quali spettacoli e facce orgogliose di disordinate forze, e che sono mai che tu fai rimbombare l’universo sui giri dei loro nomi? Darai applausi gloriosi ogni ora, avrai risonanza più sublime, se suoni la tua tromba e rafforzi la schiena per rendere celebre ovunque soltanto una Abitazione.

\ Questa abitazione è umile, eppure in alto sovrasta le stelle; è abitazione fragile, eppure forte, che non teme l’assalto ostile del tempo e respinge ogni colpo dell’impeto infernale: è povera; ma anche la più ricca di speranza per i mortali: e – oh meraviglia! – non ha fondamenta. Ma è essa il fondamento della salvezza universale.

\ Si vedono le pareti affumicate all’intorno, eppure essa rende il vostro cuore sempre più candido e adorno di purità intatta: è fatta di pietra gelida, eppure emoziona ed accende ogni animo agghiacciato. E’ in ombra eppure illumina con i raggi più fulgidi lanciati dal Cielo la mente velata da nebbie ingombranti.

\ Ognora qui è provveduto il potente soccorso, con il dolce sollievo e il sospirato aiuto all’umana miseria: qui c’è il ricorso comune, qui ciascuno ritrova la gradita gioia, mentre la brutta tempesta degli affanni fa fremere, qui nell’ira più infestante gli sbalzi del furore sono calmati. C’è salute per i malati e c’è vita per i morti.

\ Oh fortunate Marche! annunciate i gloriosi pregi della Casa onorabile che con meraviglia hai visto giungere sul tuo territorio ameno: ammiraste i re pellegrinanti con i loro regni, e l’abbassarsi della sontuosità del lusso regale, e provaste stupore al vederli genuflessi nel dare in tributo a questa piccola realtà gli scettri, i diademi, le spoglie con gemme.

\ Se l’orgoglio indegno della barbara guerra mai è giunto a folgorare il tuo litorale con il tuono dei cannoni bronzei: se la spiaggia insicura della marina Adriatica non viene flagellata da navi della zona Balcanica; se i loro riflessi accesi non dominano sul tuo ambiente, tutta la difesa sta solamente in questa Casa.

\ Se la noncurante natura altrove non rende produttivi i colli assolati e prepara la furente carestia mossa a crudele mortalità; essa benevola, soltanto qui mostra le tue colline feconde di bionde messi; pertanto non è avara con te nel dare il benefico Sole sotto i bei bagliori, indorando i campi con le ondeggianti spighe.

\ Se nelle vicine contrade la fatale disumana morte svuota la sua faretra di pestiferi strali; se essa con falce affilata in funeste rovine causa morti; qui soltanto l’energia sovrana di questa Rocca, per il tuo scampo essa, o l’allontana, oppure fa scudo di protezione ai cuori privi di difesa.

\ Ma un’abitazione così piccola come accoglierebbe un così grande abbondanza di valori? Come le glorie degne di ammirazione possono mai scaturire da questa? Non dobbiamo meravigliarci. Le potenze celesti dalla sede eterea s’inchinarono ossequienti e hanno subito apportato con premura gli influssi della grazia e della virtù, ogni pregio, ogni gloria, ogni salvezza.

\ E di fatto qui un’abitazione tanto umile si innalzò grandemente quando l’amore della Vergine si abbassò nell’abisso dell’umiltà, e qui attrasse dal cielo il divino Architetto che sostiene il grave peso dell’Empireo e del mondo con tre dita, e Colui che in Cielo non può esser contenuto, si è chiuso nella ristrettezza di un seno umano.

\ Qui, dunque da una Fontana è nato l’immenso Mare dell’infinita bontà: qui una Fiaccola si presenta origine del divino incendio: qui il Signore dei Signori abbassa la sua fronte ad una Ancella: qui da una stella, l’eterna luce del Sole immortale è venuta al mondo. Qui la divinità si veste di involucro mortale.

\ Oh! quale immenso prodigio tale che fa vibrare ogni stupore. Quale maggiore gloria di mistero sovrano! Dunque che fare? Che pensare? Ormai, perché intanto non sospendo il canto, per la meraviglia che mi rende muto insieme con una vibrazione? Che si può dire di più? Mia poesia, qui ascolta: Dio si è fatto carne, nella natura umana.

In segno di riverente e cordialissimo ossequio           Laura Maria Gratiani

.-.-.-. ODE di Laura Maria Gratiani

Giacché poni in un cale,

nobil germe d’Eroi, i dotti allori, 

di cui t’intesse Astrea degna corona,

et applauso immortale

vuoi sol che si tributi a gl’alti onori

de’ Laurei, onde il suo tetto orna e corona

MARIA; ecco risuona 

tra carmi ossequiosi e riverenti

divota la mia lira in tali concenti.

*

Che Menfitiche moli

che Dedalei teatri e fronti altere

di Babilonie torri, e che son mai,

o fama che sui Poli

dei nomi lor fai rimbombar le sfere?

Più gloriosi applausi ogni ora darai,

suon più sublime havrai,

se gonfi la tua tromba e impiumi il tergo 

per celebrare ovunque un solo Abergo.

*

Albergo è questo humile,

e pur sovra le Stelle alto sormonta:

debole Albergo, e pur forte non teme

del tempo assalto hostile 

e d’impeto infernal rintuzza ogni onta: 

povero è sì; ma del Mortale insieme

è la più ricca speme:

non hai dove si fondi (ed oh portento!) 

d’universal salute ha il fondamento.

*

Affumigate intorno 

dimostra le pareti, e pure il core 

d’intatta parità vieppiù vi rende

biancheggiante e adorno:

è di gelido sasso e sagro ardore

ogni agghiacciato sen vi strugge e accende: 

è oscuro eppur v’apprende

mente ingombrata di Cimmerio velo

i più fulgidi rai che vibri il Cielo. 

*

Qui possente soccorso,

dolce sollievo e sospirata aita

all’umana miseria ogni hor s’appresta: 

qui si ha commun ricorso 

qui ritrova ciascuno gioia gradita 

mentre ferve d’affanni atra tempesta: 

qui ne l’ira più infesta 

de l’ondoso furor calma gli assorti,

salute gli Egri e qui la vita i Morti. 

*

Fortunato Piceno, 

del Tetto augusto i gloriosi pregi 

dì tu, ch’andar mirasti 

sovra il tuo grembo ameno 

co’ Regni lor pellegrinanti i Regi, 

e di pompa real negletti i fasti

stupido gli ammirasti 

tributar genuflessi a queste foglie 

scettri, diademi ed ingemmate spoglie.

*

Se con bronzo tonante 

non giunse mai a fulminar tuo lido 

di barbara Bellona orgoglio indegno;

se con remo regnante 

d’Adriatica Teti il dorso infido

flagellato non è da Tracio legno; 

se di sangue e di sdegno 

non regna nel tuo sen sua Luna accesa,

tutta di quest’Albergo è sol difesa.

*

Se Cerere sdegnosa 

niega rendere altrove i colli aprici, 

ed a strage crudel mover prepara

la fame più rabbiosa; 

qui solo a fecondar le tue pendici 

di bionda messe graziosa impara; 

onde a te non avara 

di benefico Sol sotto i bei lampi 

con ondeggianti ariste indora i campi.

*

Se in contrade vicine 

Di pestifero stral rende già vota 

la faretra fatal Morte inhumana; 

se in funeste rovine

sui Cadaveri suoi la falce arruota;

qui per tuo scampo sol forza sovrana,

o la tiene lontana, 

o pure al cor d’gni riparo ignudo

questa Rocca del Ciel serve di scudo.

*

Ma virtude sì grande 

un’angusta Magion come possiede?

Come, come da questa unqua spuntaro

glorie tanto ammirande?

Non sarà stupor: già dall’Eterea sede

ossequiosi i Ciel qui s’inchinaro 

ed a gara lasciaro

influenze di grazia e di virtù,

ogni pregio, ogni gloria, ogni salute.

*

E allhor tanto si inalzossi 

Un alberto sì umil, quando l’affetto 

qui di Vergine eccelsa l’imo fondo

d’umiltade abbassossi,

e qui trasse dal Ciel l’alto Architetto,

che sostien con tre dita il grave peso 

de l’Empireo e del Mondo; 

e chi non cape l’Universo intero, 

tra l’angustie del sen fe’ prigioniero. 

*

Qui dunque il vasto Mare 

d’infinita Bontà figlio è d’un Fonte: 

qui d’incendio divino una Facella 

Madre lucente appare: 

ubbidiente qui curva la fronte

il Signor de’ Signori ad un’Ancella: 

qui parto d’una Stella

e di Sole immortal l’eterno Lume; 

qui di spoglia mortale vestesi un Nume.

*

O qual prodigio immenso,

ch’a lo stesso stupore alza le ciglia! 

Di Mistero sovran qual maggior vanto!

Che fo dunque, che penso?

Che non sospendo ormai, da meraviglia

muto reso, a queste Mura intanto

insiem col plettro il canto?

E che più si può dire? Odi, mia Clio, 

qui si fe’ carne e si umanossi un Dio.

         In segno di Riverente e Cordialissimo ossequio            Laura Maria Gratiani

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