FERMO città romana storico Giuseppe Michetti

I PICENI

Da Giuseppe MICHETTI, Fermo nella letteratura latina, dalle origini alla fine del Regno Longobardo, vol.1, Edizione La Rapida, Fermo, 1980

PLINIO- Historia Nat. Cap.13.1.3

“ Quinta regio Piceni est quondam oberrimae multitudinis: CCCLX millia Picentium in fidem populi romani venère: orti sunt a Sabina voto vere sacro. Tenuère ab Aterno amne,  ubi hunc est ager Adrianus et Hadria colonia a mari VII mill. Passuum; flumen Vomanum: ager Praetutianus Palmensisque; iten Castrum Novum et flumen Vibatinum; Truentum cum amne quod solum Liburnorum in Italia reliquum est. Flumina Albula, Tessuinum Elvinum (Tervinum) quo finitur Pretutiana regio et Picenum incipit (o Palmentrum?), Cupra oppi dum, Castellum Firmanorum et super id colonia Piceni nobilissima; intus Novana, in ora Cluentum, Potentia, Numana a Siculis condita. A iisdem colonia Ancona apposita promontorio Cumero, in ipso flectentis se orae cubitu, a Gargano CLXXXIII m. pass. Intus Asculani, Auximantes, Beregrani, Cinculani, Cuprenses cognomine montani, Falerienses, Pausulani, Pleninenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Treienses cun Urbe Salvia Pollentini iunguntur”.

La quinta regione é il Piceno, un tempo fiorente per popolazione; si sottomisero a Roma 360.000 Piceni. Ebbero origine dai Sabini in occasione della Sagra di Primavera. Tennero il territorio che comincia dal Fiume Aterno, dove è l’Agro Adriano con la colonia Adria, lontana dal mare sette miglia; il fiume Vomano; l’Agro Pretuziano e il Palmense. Particolareggiatamente: Castronuovo  e il fiume Vibrata: Truento col fiume, che rappresentano ciò che rimane dei Liburni in Italia..Il fiume Albula; il Tesino col quale termina l’Agro Pretuziano e incomincia il Palmense. Il castello di Cupra; il Castello dei Fermani e a monte di questo la più insigne colonia del Piceno. Nell’interno Novana, sul litorale Cluana, Potenza, Numana fondata dai Siculi. Fondata pure la loro Ancona attaccata al promontorio Conero, proprio all’insenatura del gomito, lontana 183 miglia dal Gargano. Nell’interno: gli Ascolani,  Osimani, Beregrani, Cincolani, Cuprensi di nome Montani, Faleriensi, Pausolani, Pleninesi, Recinensi, Settempedani, Tolentinati, Treiensi, si congiungono a Urbe Salvia del Pollentino.

     Questa di Plinio è la descrizione geografica del Piceno, la più particolareggiata e la più esatta che ci hanno tramandato gli scrittori dell’antichità romana. Da questa descrizione possiamo dedurre:

1)- Castrum Novum erano alla valle del Vibrata (flumen Vibatinum), quindi non era Giulianova. Ce lo fanno pensare anche i reperti dei dintorni di Corropoli.

2)-Truento è legata “cum amne”, quindi era nella Valle del Tronto, ma non presso la foce, perché quella pianura era inabitabile. Né, come sostiene il Colucci e qualche scrittore abruzzese, a Martinsicuro, perché quella pianura, nella remota antichità non esisteva. Tutte le cittadine rivierasche del Piceno sono sorte sui “relitti nel mare”.

3)- Truentum e Castrum Truentinum sono due località diverse da identificarsi, la prima con Monteprandone, la seconda con Acquaviva Picena, come ci suggerisce l’Itinerario di Antonino, e anche la Carta Peutingeriana. L’Itinerario, in questo punto è esattissimo. Esaminiamolo:

   A)- Da Milano, attraverso il Piceno:

          “Potentia Civitas-Castello Firmano M.P. XX – Truento Civiats M.P. XXVI- Catronovo            

           Civiatas M.P. XII”. Quindi dal Castello Fermano a Truento città, con 26 miglia.

    B)- Per la via Flaminia, da Roma fino a Brindisi, attraverso il Piceno: “Ancona-Numana 

           m.p.VIII – Potentia m.p. X – Castello Firmano m.p. XII – Castro Truentino m.p. XXIIII –

          Castronovo m.p.XII” . Quindi dal Castello Fermano a Castro Truentino corrono 24 miglia, 

          due in meno di Truento città. Da queste due miglia in meno deduco che Truento e Castro

         Truentino non erano sulla stessa via; Truento era sulla via Adriatica, che allora correva

         sulle colline. Tre miglia prima della città, l’Adriatica incrociava la Salaria, la quale

        raggiungeva, dopo un miglio, Castro Truentino. Ed ecco spiegate le 2 miglia di differenza

       tra Castro Truentino e Truento, indicate dall’Itinerario. Anche oggi è così.

4)- La via Salaria, della quale si discute se corresse a destra o a sinistra del Tronto, sicuramente usciva da Ascoli a destra del fiume e a un certo punto si biforcava: un ramo risaliva le colline di Ancarano e scendeva a Castronuovo (Corropoli); l’altro ramo attraversava il fiume (come oggi) all’altezza di Castel di Lama, e risaliva le colline di Offida, o di Castorano, o forse di Monsampolo, e andava a Castro Truentino (Acquaviva), venti miglia lontana da Ascoli. Per questo, nell’Itinerario di Antonino, la Salaria non tocca Truento città che era sulla via Adriatica, a sud del suo Castro. Alla Salaria non interessava la città, quando il suo “Castrum”, che sicuramente aveva raggiunto uno sviluppo superiore, per i traffici del vicino porto alla foce dell’Albula e per le saline. (Solo sull’Albula poteva stare porto di Truento; e le saline restarono attivissimi fino al tardo medioevo).

          5)- “Castellum Firmanorum”, porto di Fermo, (che sicuramente non era Porto San Giorgio, ma

          situato sulla foce dell’Ete, vicinissimo alla quale è il porto anche oggi) era una località distinta 

         da Fermo che stava più in alto (super id) “più in alto la più insigne colonia del Piceno”, che era

          Fermo.

         6)- Novana era nell’interno: “intus Novana”.

         7)- Il Fiastra (Fiastrello) si chiamava”Fiume Pollentino “, da Pollentia, che era il nome piceno

         della romana Urbe Salvia. Questa bella città occupava un posto centrale e una importanza   

         particolare, perché congiunta alle altre città picene da comode strade.

CHI ERANO E DA DOVE VENIVANO

    Vediamo che cosa ne pensano gli scrittori antichi.

    Plinio: “ I Piceni trassero origine dai Sabini, per voto sacro di Primavera”.1

    Strabone: “antichissimo e il popolo dai Sabini che sono indigeni; loro coloni sono i Piceni e i Sanniti”.2

     Festo: “La regione Picena è chiamata così, perché quando i Sabini partirono per Ascoli, un pica si posò sul loro vessillo”.3

     La favola di Festo e ripetuta da Paolo Diacono:” Dopo la regione Flaminia(Emilia), viene dodicesima il Piceno, che ha dalla parte australe i monti Appennini e dall’altra il Mare Adriatico. Questa regione si estende fino al fiume Pescara. In essa sono le città di Fermo, Ascoli, Penne e Adria decrepita per vecchiezza, la quale diede il nome al mare Adriatico. Quando gli abitanti di questa regione quì si diressero  dalla Sabina, una pica si posò sul loro vessillo, per cui la regione prese il nome di Piceno.4

   Queste leggende, come argomenti storici, valgono quanto la favola di Romolo che scava con l’aratro le fondamenta delle mura di Roma. Argomenti storici sull’origine dei  Piceni non possiamo averne, ma questo non ci permette di scambiare la leggenda colla storia.5

   Senza dilungarci a dimostrare irragionevoli tutte queste affermazioni, proponiamo una teoria che non è del tutto nuova, perché trattata, a modo loro, anche da autorevoli scrittori, specialmente da Giuseppe speranza nella sua opera: “Il Piceno”.6

   Nel secolo XV a.C., l’Italia fu invasa da un grande popolo sceso dalle Alpi Orientali che man mano si dilatò fino alle regioni del Sud Italia, dove si incontrò con potenti colonie di altri popoli della stessa levatura civile. Era il popolo degli  “UMBRI” (uomini forti), i quali probabilmente iniziarono l’età del bronzo delle nostre regioni.

   Gli Umbri, occupata la Penisola, svilupparono la loro civiltà, a seconda della regione occupata, e da questo fattore nacquero pure le diverse autonomie politiche e culturali. Gli Etruschi, di fronte a un mare aperto, si diedero al  commercio e raggiunsero presto una ricchezza e un progresso sociale meraviglioso, assimilando anche la cultura dei Greci e soprattutto dai Fenici, coi quali si trovarono presto a contatto di traffici; le popolazioni interne, come i Sabini, i Sanniti, i Vestini, si diedero alla pastorizia; i Piceni, di fronte a un mare segregato dalle vie dei grandi traffici, ebbero sì contatti commerciali con i Greci, ma la loro terra meravigliosamente fertile li spinse all’agricoltura, della quale divennero maestri. Strabone ci fà del Piceno questa descrizione:

“L’agro piceno è per natura adatto a ogni attività. La sua marina e tranquille pescosa e non è esposta incursioni piratesche; il suo clima è saluberrimo; le acque delle sorgenti pure e leggere; i suoi abitanti illustri in ogni epoca, sia nelle lettere, che nelle armi”.7

I PICENI E LE LORO CITTA’

   Non sappiamo con sicurezza da che derivi il nome “Piceni” o “Picentes”, ma data l’antichissima leggenda del picchio, pensiamo che Piceni si chiamassero così, perché il loro simbolo, il loro emblema era il Picchio.

   “Picentes” ci suggerisce anche un’altra possibile spiegazione: Picentes (da pix-picis) perché fabbricavano l’ambra artificiale, della quale troviamo abbondanti reperti archeologici, o anche perché usavano spalmare di pece le loro case di terra battuta, per renderle impermeabili.

   Piceni potrebbero anche essersi chiamati, per dirsi discendenti del dio Pico, figlio di Saturno e agricoltore.

   Di città PICENI stavano dove stanno oggi, perché l’origine di una città non è determinata dal capriccio, ma dall’ambiente favorevole all’insediamento umano. I Piceni non furono essi a scegliere la posizione delle loro città, ma trovarono anche che i luoghi abitati dagli indigeni erano le più adatte all’insediamento umano, egli si stabilirono. Le città picene non stavano nel fondovalle, a causa della malaria; non sugli estuari dei grandi fiumi, che s’impantanavano quasi tutti in grandi paludi; né in riva al mare per il pericolo di incursioni piratesche.8

   Da Plinio e da Strabone possiamo conoscere che le città marinare Picene erano in media a sette o otto km distanti dal mare. Auximum supra mare, Potentia, Cluana (Civitanova alta), Firmum Cupra Marittima, Truentum, Adria. Le città interne erano in collina: Cupra Montana, Beregra, Settempeda, Pollentia (Urbisaglia), Pausula, Falerion, Novana, Ausculum.9 Nessuna nel fondovalle.10

ORIGINE DI FERMO

   lasciando da parte le dotte elucubrazioni del Catalani, dello Speranza11 e di altri, i quali vogliono le città picene costruite da popoli, dei quali non sappiamo niente e, tanto meno, se hanno fondato città; scartando come infondata e illogica l’invasione del Piceno da parte dei Sabini e negando, per conseguenza, che il Colle Sabulo ripeta il suo nome da “Sabio”, progenitore dei Sabini; mi permetto di affermare che l’origine di Fermo si perde nella preistoria e la città non fu “fondata” da nessuno.12 Tremilacinquecento anni fa, anche nella nostra regione gli uomini abitavano nelle grotte e, dove non era possibile avere caverne asciutte, in capanne. Ce lo dicono le grotte che ancora rimangono a Montefiore, a Massignano, a Ripatransone, a Atri, a Civitella del Tronto; e anche il Colle Sabulo  ospitò una città abitata da cavernicoli.

   Furono gli “Umbri” a portare su queste colline i primi aneliti di civiltà e di progresso. Da questo grande popolo, sceso dal Nord, dobbiamo ripetere l’origine dei popoli Italici; la meravigliosa documentazione della millenaria civiltà etrusca; e l’Impero universale di Roma, che impose per sempre alle genti la sua civiltà col pensiero, colla lingua, colle leggi.

   La parte degli “Umbri” che occupò la nostra regione determinò col tempo la sua autonomia politica; fissò i suoi confini dall’Esino al Pescara, e diventò una forte nazione: il Piceno.

   Non furono essi a scegliere il Colle Sabulo, per costruirvi una città, ma trovarono che gli indigeni avevano scelto bene la loro residenza su questo colle, aperto su una immensa regione di ricche terre; alla luce abbagliante del sole nascente; alla brezza vivificante del mare sempre verde. Qui, vicino alle grotte degli indigeni incominciarono a costruire le loro abitazioni di terra battuta e alcune anche di pietra; ma preferivano costruire colla terra, perché la pietra scarseggiava in queste fertili campagne, e le case di terra resistevano meglio alle frequenti scosse telluriche.

   Per la felice posizione, per la ricchezza del territorio, per la comodità dei traffici terrestri e marittimi, la città si ingrandì man mano, diventando la più rappresentativa del Piceno, e si chiamò Palma13. La descrizione infatti che del Piceno fanno gli antichi scrittori ci fanno supporre che le quattro grandi province che lo costituivano prendessero nome dalla loro città principale: Ager Adrianus = territorio di Adria; Ager Pretutianus = territorio di Pretuzio14; Ager Palmensis = territorio di Palma; Ager Beregranus = territorio di Beregra15.

   Dei Piceni, nel migliaio d’anni prima della conquista romana, sappiamo pochissimo: solo quello che hanno voluto tramandarci scrittori romani di tarda epoca, nella quale anche Virgilio cantava la favolosa origine del popolo romano; poco anche possiamo conoscere della loro lingua molto affine a quella degli altri popoli italici, e della loro civiltà, testimoniata da scarsi reperti archeologici.

   Qualche scrittore si affanna a descrivere l’ordinamento politico e l’organizzazione familiare dei Piceni, ma sono solo supposizioni fantasiose, impossibili a documentarsi. Qualcuno parla pure di re Piceni, ma la storia non si può fondare sulla fantasia.

   Sappiamo che nel terzo secolo a.C., il Piceno era una forte nazione, poiché i Romani cercano l’alleanza “cum Picenti populo”, ma nessuno ci dice l’organizzazione civile e politica di questo popolo. Forse è probabile l’ipotesi del Catalani16, che il Piceno fosse una specie di repubblica federativa, che trovava la sua unità nei “Concilia” al tempo della dea Cupra, dove periodicamente si adunavano i rappresentanti delle varie città; e della loro vita civile possiamo solo affermare che usavano per i loro morti sia l’inumazione, che la cremazione.

   Molto invece possiamo dire della loro attività e della loro potenza.

ATTIVITA’ DEI PICENI

Pesca- Commercio-Artigianato-Agricoltura

   L’attività marinara dei Piceni era molto sviluppata. Si può arguire dalla descrizione di Strabone riportata sopra: “Piceni ora pisculanta”; se il mare era molto pescoso, avrà offerto un lavoro proficuo a molti pescatori. Il litorale, anche se le colline finivano quasi ovunque a strapiombo sul mare, presentava pure comode insenature per accogliere pescherecci, negli estuari dei fiumi minori17.

   Ma i porti più grandi: Ancona, Numana, Fermo, Truento, Pretuzio, altri non ospitavano solo barche da pesca, ma da essi partivano le entravano velieri carichi di merci. In territorio ricco di agricoltura, ma povero di minerali, i Piceni avevano bisogno di esportare prodotti agricoli e artigianali, e importare materie prime per fabbricare arnesi da lavoro, armi, oggetti di lusso e monili.

   Per la tintura delle stoffe, arte molto diffusa nel Piceno, avevano bisogno di materie coloranti, che le navi di Ancona, di Fermo, di Truento importavano dal sud, principalmente da Taranto18.

   Benché il Piceno fosse molto boscoso19, era vantaggioso importare dal golfo veneto il legname di larice per la costruzione delle navi e delle case, data la sua maggiore resistenza.

   Ma la grande ricchezza del Piceno era l’agricoltura. Gli antichi scrittori romani sono concordi nel dire meraviglie dei prodotti agricoli Piceni20. Marziale come incantato di fronte alla meravigliosa qualità del pane Piceno21.

   Al pane si affianca il vino che abbonda in tutta la regione, ma si distingue per la sua finezza il vino dei colli palmensi e pretuziani22.

   Plinio, Orazio, Giovenale trovano impareggiabili le frutta del Piceno: pere, mele, olive. Marziale afferma che non era pregevole un banchetto che non cominciasse e non si chiudesse con le olive picene23.

   La lavorazione della carne suina e antica di tremil’anni, nelle Marche e raggiunse presto quella tipica perfezione, anche oggi imitata da ogni parte, ma non superata24.

   Diffuso l’allevamento degli ovini, ma la pecora adriatica aveva un pregio maggiore, perché secondo alcuni, figliava due volte l’anno. Forse volevano dire che facevano due figli all’anno; come avviene quasi sempre anche oggi, che le pecore partoriscano gemelli.

   Il tipico formaggio marchigiano si confeziona anche oggi come lo facevano gli antichi Piceni. Pure le galline di Atri fetavano due volte al giorno25.

   Queste attività, questa ricchezza possiamo tranquillamente riferire anche, e direi principalmente a Fermo, che era al centro del fertilissimo Agro Palmense e provvista di un porto, tra i più grandi e comodi di tutto il Piceno.

POTENZA MILITARE DEI PICENI

   Dopo quasi settecento anni dalla calata degli “Umbri” in Italia, la storia della penisola inizia un nuovo corso. Già si erano consolidate le varie autonomie nazionali dei popoli italici. Gli Etruschi avevano dovuto cedere i nuovi invasori Galli le pianure padane, ma restavano sempre una ricca e forte nazione, che dominava il territorio ovest degli Appennini, con favorevolissime relazioni commerciali verso Oriente, favoriti dalle miniere di ferro dell’isola d’Elba.

   I Sanniti, intorno ai quali gravitavano le popolazioni minori dei Frentani, dei marrucini, dei Peligni, costituivano la fortissima nazione italica nel sud, che arginava all’espansione greca nella Penisola. I Sabini, in collaborazione coi Vestini e i Marsi, spaziavano con le loro greggi dai monti al mare, a sud del Tevere. I Piceni, che avevano fermato l’avanzata dei Galli all’Esino, occupavano la regione di qua dei monti, da questo fiume al Pescara.

   Nell’ottavo secolo a.C., ci fu chi diede una organizzazione unitaria ai villaggi sparsi sui colli adiacenti al Tevere, facendone una città che si chiamò Roma e che doveva trasformare l’ordinamento politico d’Italia e del mondo. Su quei colli si incontravano i pastori Sabini e i trafficanti etruschi che vi avevano stabilito un fiorente emporio per i loro commerci. Da questi pastori e da questi commercianti, fusi con 1 accordo sapiente, se Roma, la città nella posizione strategica più felice d’Italia: abbastanza distante, per non subire attacchi dal mare, e abbastanza vicino ad esso, per goderne i vantaggi e annullare attacchi dall’interno.

  Roma in cominciò presto ad allargare il suo dominio sulle città etrusche  e sabine dei dintorni, e non nascose il progetto di sottomettere tutti alla sua obbedienza. Era il popolo degli “Umbri”, sceso in Italia tanti secoli prima, che si rinnovava e incominciava con Roma la sua riunificazione e la conquista del mondo.

   Il cammino di Roma fu difficile, circondata com’era da nazioni forti; tanti pericoli superati, con coraggio incrollabile, appoggiato da una Provvidenza che guidava la sua ascesa fatale.

  I progressi di Roma però non furono celeri, come a prima vista potrebbe sembrare, se nel 299 a.C. , cioè 455 anni dopo la sua fondazione, erano ancora minacciosi gli Etruschi, i Galli, i Sanniti, e poteva disporre di meno di trecentomila  combattenti.

   Quello che gli storici hanno voluto ignorare è , che Roma ebbe bisogno dei Piceni, per sopravvivere e per trionfare. Questo popolo di pacifici agricoltori non aveva mai avuto mire espansionistiche, ma era forte, sia per la sua ricchezza, sia per il numero dei suoi abitanti26. Nel 299 a.C. (455 di Roma), presentandosi gravi pericoli, a causa della feroce reazione Sannita da una parte, e gallo etrusca dall’altra, Roma chiese alleanza al popolo Piceno27. Questa alleanza difensiva e offensiva fu, per Roma, la salvezza, perché le sue forze venivano più che raddoppiate; per il Piceno, fu l’inizio della rovina.

ALLEANZA ROMANO-PICENA

   Prima di narrare i fatti successivi a questa alleanza, per facilitarne la lettura e comprenderli meglio, voglio presentare un quadro cronologico di essi, sia”ab Urbe condita”,  sia “ante Cristum natum”, avvertendo che nella narrazione userò solo le date a.C.

A.U.C.      Ante CH

 455            299       alleanza omano-picena

 457            297       colonia romana in Adria

 458           296        battaglia del Sentino

 470           284        sconfitti i Galli Senoni 

 472           282        nuova guerra coi Senoni

 474           280        guerra contro Taranto

 475           279        sconfitta romana sul Siri

 479           275        contro Pirro

 483           271        conquista di Taranto

 485           269        GUERRA ROMANO-PICENA

 488           266        di deduzione della colonia a Fermo   

 489           265        1ª guerra punica

   Nel 298 a.C., l’anno successivo all’alleanza, i Piceni avvertirono i Romani che i Sanniti preparavano la rivolta, sobillavano i popoli vicini, e anche essi erano stati sollecitati a seguirli28.

  Per far fronte al pericolo sannita, si dovette indebolire il fronte etrusco, e ciò portò al nuovo accordo dei Galli cogli Etruschi che cercarono di approfittare dell’occasione favorevole per sopraffare Roma.

   Il pericolo per Roma fu gravissimo. Mentre il suo esercito era impegnato su due fronti: a nord e contro i gallo-etruschi, a sud contro Sanniti, il condottiero di questi ultimi, Gellio Ignazio, compì una delle più brillanti operazioni strategiche di tutti i tempi. All’insaputa del nemico, con un forte esercito sannita, attraverso i monti, raggiunge l’esercito gallo-etrusco e, in una prima battaglia, sconfisse l’esercito romano presso Arezzo, ma ricostituitisi un nuovo esercito di romani e di Piceni, al comando di Fabio, e Decio Mure, i gallo-sanniti furono costretti a battaglia nella valle del Sentino,  (presso Sassoferrato), e furono sconfitti e dispersi. Dicono che in quella battaglia, detta poi “della Tovaglia” dal nome della località, caddero 25.000 Galli e 8000 Piceni; tra i caduti fu Decio Mure e genio Ignazio condottiero dei Sanniti.    

   Ho detto che l’alleanza con i Piceni, per Roma, fu la salvezza. Difatti, come sarebbe finita quella guerra, se i Romani l’avessero combattuto da soli, mentre, anche aiutati dai Piceni, stavano per perderla? Ho detto che l’alleanza con i Romani, per il Piceno, fu l’inizio della rovina. Difatti, una delle quattro province Picene, Adria, non volle aderire all’alleanza e fece causa comune con i Sabini, favore dei Sanniti, per cui fu invasa dai Romani che vi collocarono una colonia, promettendo ai Piceni di ricompensarli di quella perdita. La ricompensa avvenne nel 282 a.C., dopo la sconfitta definitiva dei Senoni, poiché i Romani cedettero ai Piceni il territorio gallico fino a Rimini29. Magra ricompensa: i Piceni avevano perso una grande vecchia provincia e avevano avuto in cambio un grande territorio da colonizzare e difendere contro i Galli.

     Però non azzardo l’ipotesi che le cose sarebbero andate meglio per il Piceno, se non avesse collaborato con Roma, perché qui si raccontano i fatti avvenuti, non i possibili.  

PRIMI DISSAPORI

   I Piceni si pentirono presto dell’alleanza contratta con Roma. Vi avevano aderito per una giusta valutazione politica. Questa città giovane irrequieta, polarizzava su di sé l’attenzione degli Etruschi e dei Galli al Nord, e dei Sanniti a sud; e finché queste tre forze si combattevano fra loro al di là degli Appennini, il Piceno poteva godere pace sicura. Ma ora che i gallo-etruschi e Sanniti si erano coalizzati per la rovina di Roma, i Piceni non si sentivano più tranquilli, perché l’eliminazione di quella città avrebbe accresciuto per essi il pericolo delle popolazioni confinanti, già alleate fra loro, e soprattutto il pericolo dei Galli, smaniosi di espansione. L’alleanza con i Romani significava per il Piceno salvaguardare l’equilibrio politico esistente, per assicurarsi la pace. Ma quando si accorsero, ed era troppo tardi, che l’alleanza con Roma significava obbedire a Roma, la loro collaborazione si raffreddò, e il peggio è che lo fecero capire.

   Era bene che Roma fosse forte, ma al di là dei monti; ora invece si era affacciata sull’Adriatico e aveva piantato una forte colonia in Adria, che non aveva voluto restituire ai Piceni; e da qui Roma poteva controllare il loro traffico con le colonie greche del sud. In cambio aveva dato ai Piceni la Gallia Senonia, ma questa cessione, più che costituire un acquisto, era un nuovo peso, perché impegnava il Piceno a mantenere al Nord una continua vigilanza contro una prevedibile reazione dei Galli che restavano sempre fortissimi: in sostanza non era un dono, ma un servizio imposto.

   Nel 280 a.C., i Romani mossero guerra Taranto. Gli alleati Piceni non potevano vedere di buon occhio questa guerra, perché le loro relazioni commerciali con questa città erano antichi e molto rilevanti; 1 vittoria avrebbe portato Roma sul Canale di Otranto, da dove avrebbe controllato i commerci dell’Adriatico e dello Ionio. I Piceni diedero a qualche aiuto, ma i Romani notarono la loro freddezza e corsero ai ripari, per costringerli a mantenere l’alleanza.

   Il console Levino subì, sul fiume Siri, una disfatta dagli elefanti di Pirro. Il Senato di Roma ordinò che le legioni sconfitte fossero mandate a svernare a Fermo30. È il Senato che ordina, senza chiedere il consenso dei Piceni; e ordina di costruire a Fermo l’accampamento per svernare due legioni, come si sarebbe fatto in territorio nemico: due legioni, cioè circa dodicimila soldati, nel punto centrale e  strategico della nazione.

  Sicuramente fu la prima volta che Fermo sperimentò un’invasione nemica, poiché, anche se quelle due legioni di Ciociari non si potevano dire ufficialmente nemiche, lo furono per il loro comportamento e per gli immensi danni recati al territorio fermano. 

GUERRA ROMANO-PICENA

  Nove anni di guerra era costata ai romani la conquista di Taranto; ma la caduta di questa città aveva dato a Roma il dominio di tutta l’Italia Meridionale; sul versante Adriatico, Roma dominava dal Vomano in giù.

   Non sappiamo se fu il Piceno a rompere l’alleanza e a darsi da fare per cercare aiuti contro di potere pericoloso di Roma; o piuttosto se furono i Romani a prevenire le mosse dei Piceni e attaccarli, prima che riuscissero a trovare alleati e formare una forte coalizione31.

   Nel 269 a.C., il Senato romano spedì contro il Piceno i due consoli, Appio Claudio e T. Sempronio Sofo, il primo dall’Umbria, per le strette di Pioraco, scese nella valle del Potenza e conquistò Camerino, già occupata e fortificata dai Piceni; il secondo, per la via Salaria, scese nella Valle del Tronto.

   Dalle mosse dei due consoli si può arguire che il loro intento era: ricongiungere le forze e invadere prima l’Agro Palmense e la sua capitale Fermo, per dividere il Piceno superiore da quello inferiore e costringere il nemico a combattere diviso su due fronti. Difatti il console T. Sempronio Sofo, evitò Ascoli, che gli avrebbe procurato gravi ritardi, perché in posizione imprendibile, e cercò di dirigersi nella valle dell’Aso. Superata la resistenza degli Ascolani a “Interamnia Poletina Piceni”, un centro nei pressi dell’attuale Comunanza32, giunse a Urticinum (Ortezzano), dove i Palmensi avevano organizzato una forte resistenza. Anche questa fu spezzata e Urticinum distrutta nel furore della battaglia33; ma il Console non poté seguitare l’avanzata, perché dovette ritornare nella Valle del Tronto, per fronteggiare un forte esercito piceno che stava organizzandosi presso Truento.

   Qui si affrontarono l’esercito romano di Tito Sempronio Sofo, composto da due legioni, quindi non meno di 24.000 uomini34, e l’esercito Piceno, non meno numeroso e forte, benché gran parte delle forze picene fossero impegnate contro l’altro console, appio Claudio.

   Già stava per iniziare la battaglia, quando un terribile terremoto seminò il terrore nei due eserciti. I Romani furono i primi a superare il timore superstizioso, per merito del loro condottiero che fu pronto da arringare i soldati, affermando che quel presagio era favorevole ad essi, e fece voto di un tempio alla dea Tellure; ma anche i Piceni, superato il primo terrore, si gettarono ferocemente nella mischia, la battaglia fu così feroce, che pochi furono i superstiti, da una parte e dall’altra35.

   Dopo questa battaglia, i Piceni non videro alcuna possibilità di rivincita, e cercarono di salvare il salvabile, chiedendo la pace36.

   L’importanza di questa vittoria fu stimata tanto grande dai Romani, che il Senato decretò di ricordarla, coniando per la prima volta monete d’argento37; e di onorare i  due consoli con la celebrazione del trionfo38.

   Con la conquista del Piceno, mentre per i romani veniva eliminata 1 nazione pericolosa, il loro territorio si accresceva di una grande e ricca provincia, popolata da oltre un milione di abitanti39.

NOTE

 1- PLINIO SEN.- Historia Naturalis III-13.”Picentes a Sabini horti sunt voto Vere sacro”

 2- STRABONE – Geographia – III-13- “Antichissima est gens Sabinorum et aunt indigenee; horum coloni sunt Picentini et Samnites”.

  3- FESTO – Picena Regio – “Picena regio dicta, quod Sabina cum Asculum profisciscerentur in vexillo eorum picus consederit”.

  4- PAOLO DIACONO – Storia dei Longobardi – “Post Flaminiam duodecima Picenus occorri, habens ab Austro Appenninos montes; ex altera vero parte Adriaticum mare. Haec usque ad flumen PiscariamPertendit.In qua sunt civitates Firmus, Ausculum et Pinnis, et iam vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit. Huius abitatores cum e Savini illuc properarent, et eorum vexillo pivus consedit, atque hac de causa Picenus nomen accipit”.

 5- non mi sembra ragionevole sostenere la migrazione dei Sabini nel Piceno, perché la popolazione si espande verso 1 zona più povera di abitanti; ma il Piceno, per la sua fertilità, doveva essere molto più popolato che non la Sabina a sparare montuosa. Così mi pare più ragionevole dare alla “Sagra di Primavera di Plinio il significato di una festa al tempio della dea Feronia che, come dice il nome, era protettrice degli animali (ferae), come il nostro S. Antonio. Quella festa si faceva per invocare la protezione della dea sui prezzi che, come si sa, in Primavera migrano verso la montagna. Non si capisce poi quale valore possa avere l’affermazione di Strabone secondo la quale sarebbero stati coloni dei Sabini “Picentini e Sanniti”, proprio 2 popoli che più d’ogni altro avevano fatto tremare Roma.

 6- GIUSEPPE SPERANZA – Il Piceno – c. VI, p, 63 – Ed. S.T.A.M.P.A., Ancona, 1924.

 7- STRABONE – Geographia: “Natura Picenus ager aptus ad omnia,  cuius maritima ora tranquilla pisculenta, nec piratum incursioni bus esposita, cuius aer saluberrimus,  cuius latice set et scatebrae innoxiae et leves;xuius incolae tam literis, tam militia clari Omni Tempore”.

 8)- STRABONE dice il Piceno”non è esposto mai incursioni piratesche”; ma Strabone non poteva ignorare che ai suoi tempi l’Adriatico era infestato dai pirati. Forse voleva dire che i pirati non erano pericolosi, perché le città erano distanti dalla costa.

9)- T. LIVIO V-12 (Ascoli) “…locus munitissimus et (ob collem) in quo positus est murur et colles cingentes, qui coscendi a nullo possunt exercitu”.

10)- Mi si potrebbe contraddire citando Falerion ed Helvia; ma fo osservare che esse erano città romane, non picene. Anche Falerio Picena non era in pianura, ma addossata alla collina.

11)- MICHELE CATALANI – Il Piceno – Ancona ED. S.T.A.M.P.A. – 1934. Sono opere che, nonostante l’insufficienza critica ed evidenti manchevolezze, restano basilari per la storia locale.

12)- “Sabulo”, da sabbia. “Colle Sabulo”, Colle di sabbia, colle tufaceo,

13)- Alcuni autori, tra i quali G. Fracassetti: memorie della città di Fermo – Ed. Atesa- Bologna 1977-sostengono che la città si chiamasse Fermo anche prima dell’occupazione romana (pag.10). È 1 probabilità.

14)- Non si sa quali località corrisponde “Pretuzio”. L’agro Pretuziano andava dal bono, Tesino. I romani diedero molta importanza 1 città chiamata “Castrum Novum”, che qualche scrittore vuole identificare con Giulianova, la cui origine non mi pare possa essere Picena. Tutto sarebbe più ragionevole se si ponesse Pretuzio presso l’attuale Corropoli. 1 zona ricca di agricoltura; con un comodo porto sulla foce del vibrata; dove terminavano la via Salaria e la via di Campli e di Teramo. Invece di Pretuzio, forse si dovrebbe leggere “Prepuzio”, dalla forma del promontorio che la sovrasta.

15)- E’ incerta la posizione di Beregra. Con ogni probabilità Beregra corrisponde a Filottrano (Turchi-  De Ecc. Camerin. Dissetatio praelim.).

16)- M. CATALANI – Origini e antichità permane – c. XI, p.89 – Ed. Lazzarini, Fermo, 1778.

17)- I porti non potevano essere sugli estuari dei fiumi maggiori, e non ci sono nemmeno oggi, sia per il loro corso a volte impetuoso, sia perché quasi tutti impantanavano in grandi paludi,

18)- SILIO ITALICO – Punica – VIII, 432: “Stat fucare colos nec Sidone vilior Ancon . Murice nec Libico…Q, Ancona non inferiore a Sidone e alla Libia per le porpore. Celebri pure le tintorie di Truento.

19)- LUCIO FESTO AVIENO – Descritio orbis terrae – v. 500: “Et nemorosi maxima cernes culmina Piceni Q. Ammirerai le altissime cime del boscoso Piceno, (Anche: VITRUVIO – II Lo: Plinio – XVI, 191.

20)- T. LIVIO – l. XXII – IX: “Per Picenum avertit iter non copia solum omnis generis frugum abundantem, sed refertum praeda, quam effusae avidaequae suae gentes rapiebant”. (Annibale volse la sua marcia attraverso il Piceno, non solo abbondante di ogni genere di frumento, ma ricco di prede che le sue genti sbrigliate e insaziabili portavano via).

21)- MARZIALE – Xenia 46 – “Picentina ceres nivea sic nectare crescit- Ut laevis  arrepta sponcia turget aqua”. Il pane Piceno si gonfia di bianchissimo nettere, come una spugna si gonfia di acqua

22)- RUFO FESTO AVIENO – v.501 – “Mirum in Piceno gallicam placere vitem, picenum in Gallia”. Nel Piceno è molto gradita la vite gallica, come in Gallia la vite picena.

Idem- “Coma largi palmitis illic – tenditur, ac fuso baccu stegit arva flagella – tum qua vitiferos domitat praetutia pubes – plena vigoris agro”: Là si estendono larghe chiome di pampini, e dopo la vendemmia la vigorosa gioventù pretuziana tende i tralci su tutti i campi fertili di viti da essi coltivati.

PLINIO – l. XIV, c. 6 “Ex reliquis vinis a Supero Mari praetutia et Anconae nascentia et quae a Palma una sorte enata, palmensia appellantur”. I vini dell’Adriatico, quello prodotto a Pretuzio e Ancona e quello della stessa qualità prodotto da Palma, si chiamano “Palmensio”.

T. LIVIO – XXII,87 – “…opulenta fertili provincia exercitum alebat veteribus vinis, quorum permagna est copia, pedes equorum abluens”. In quella ricca e fertile regione, rianimava i soldati contadini invecchiati che la abbondano, medicandoci perfino gli zoccoli dei cavalli.

23)- MARZIALE – Xenia 35 – Epig. L. 1, 44 e seg. “Haec quae picenis venit subducta trapetis. Incoat, atque eadem finit oliva dapes. Questa oliva che viene sottratta ai Fantoni piceni apre e chiude il pranzo.

PLINIO – “Praeferentur … in ipsa Italia ceteris picenae”. Nelle stesse Italia (che vuole olive straniere), sono preferite alle altre le olive picene.

MARZIALE – “Et quae Picenum senserunt frigus olivae. Haec satis in gustu”. Sono molto gustose di olive che sentirono il freddo del Piceno.

PLINIO – c. 15 “Quid cum picenis excepersent semina pomis gaudes?” (Cioè: quanto è gioioso mangiare pomi piceni.

“Picenis cedunt pomis Tburtia succo, nam facie praestant”. I pomi tiburtini eccellono per l’apparenza, ma cedono ai piceni per il sapore.

24)- Marziale – Xenia – Ep. L. I,I ivi – “Filia Picenae venia Lucanica porcae – Pultibus hinc niveis grta corona datur”. (Le salsicce PICENI, confezionate in corona di profumate carne suina). Potete mangiare anche oggi ovunque salumi confezionati alla maniera marchigiana, ma quelli fabbricati dai nostri campagnoli sono un’altra cosa.

25)- PLINIO – V 53 – “Atrianis laus maxima”

(26)- PLINIO – “Regia Piceni quondam uberrimae multitudinis, CCCLX millis Picentium in fidem populi romani venerunt”.

27)- T. LIVIO – X – 11 – “Romae terrorem praebuit fama gallici tumultus ad bellum etruscum adiecti. Eo minus cunctanter fedus ictum cum Picenti populo est”. Terrorizzò Roma la notizia delle agitazioni dei Galli che aggravavano il pericolo della guerra etrusca. Immediatamente fu conclusa l’alleanza col popolo Piceno.

28)-  T. LIVIO – X – 11 – “Cum hoc bellum segnius opinione esset,  alterius belli quod non nullis invicem cladibus terribile erat, fama Picentium novorum sociorum inditio, orta est. Samnites arma et rebellionem spectare. Seque ab iis  sollecitatos esse, Picentibus gratiae actae, et maxima pars curae Patribus ab Etruria in Samnites versa est”. (Mentre la guerra cogli Etruschi era nell’opinione comune non troppo vicina, per avvertimento dei suoi alleati piceni, si diffuse il timore di un’altra guerra più terribile, per il ricordo di alterne stragi passate. Dicevano che i Sanniti preparavano le armi per la rivolta e anche essi erano stati sollecitati a seguirli. Furono ringraziati i Piceni, e la massima attenzione del Senato si spostò dagli Etruschi ai Sanniti).

29-  POLIBIO – “Regio Galliae quam Picenum vocant”.

        T. LIVIO – “Ariminum in Piceno”.

        EUTROPIO – “Senam Piceni civitatem”.

30)- FRONTINO – Stratagemma IV – l. “P. Valerio Consuli Senatui praecepit exercitum ad Sirim victum, ducere Firmum inique castra munire et hiemen sub tentoriis exigere”. Senato ordinò al Console P. Valerio di condurre a Fermo l’esercito vinto al fiume Siri e lì fortificare un accampamento e svernare sotto le tende.

31)- EUTROPIO – l. II, e XVI – “Pecentes bellum commovère”.

         LUCIO FLORO – l. I, c. XIX –  “Omnis mox Italia pacem habuit, quid enim post Truentu auderent? Nisi quod ultro persequi socios placuit. Domiti hinc  Picentes et caput gentis Asculum”. Quasi tutta l’Italia fu in pace; dopo Taranto difatti chi avrebbe osato muoversi? Se non che si volle castigare che aveva favorito i nemici. Furono perciò sottomessi i Piceni e la prima città di quel popolo, Ascoli.

32)- Nei documenti medievali, Comunanza è sempre detta “Interamnia” Teramo.

33)- PLINIO – l. III – c. XII – “Item Urticinum in Piceno, deletus a Romanis”. Plinio afferma che gli Urticini furono deportati a fondare una colonia presso il lago Fucino, dove sorse una nuova Urticinum, che fu poi inghiottita dal lago.

34)- Una legione era composta da circa seimila soldati romani e quasi altrettanti alleati.

35)-  FRONTINO – Stratagemma l. I – “Titus Sempronius Solus Consul acie adversus Picentes directa, cum subitus terremotus utrasque partes confudisset, exortatione confirmavit suos et impulit ut costernatun supertistione hostem invaderent, adhortatusque devicit”.

            I. FLORIO: l. I, c. XIX – “Domiti hinc Picentes et caput gentis Asculum, P. Sempronio duce, qui tremente inter proelium campo, Tellurem deam promissa sede placavit”.

           EUTROPIO – l. II, c. XVI – “Quinto Agulnio, C. Fabio Pictore Consulibus, Picentes bellum commovere, et ab insequentibus consulibus P. Sempronio et Appio Claudio victi sunt, et de bis triumphatum est”.

            PAOLO DIACONO (da Orosio IV – II: “Sempronius Consul adversus Picentes duxit exercitum, et cum directe intra iactum teli utraque acies constituiaaet, repente ita cum orrendo fragore terra tremuit,  ut stupore miraculi utrunque pavefactum agmem bebesceret, diu attoniti utrique populi esitavere praeiudicati incepti coscientia: tandem procursi conciti iniere certamen.Triste adeo istud proelium fuit, ut merito tantum humanum sanguibem, etiam cum gemitu horrisono, tunc evasere vicerunt et ad bis triumphatum est”. Contro le Sempronio diresse l’esercito contro i Piceni e trovandosi già le due schiere a un tiro di freccia, all’improvviso la terra tremò con sì orribile boato, che i due eserciti restarono esterrefatti da quel misterioso avvenimento e stettero sospesi per lungo tempo, esitanti se proseguire nel combattimento; finalmente riavutisi, si gettarono nella mischia. Fu tanto crudele il combattimento, che giustamente la terra tremò per il versamento di tanto sangue umano. Vinsero i pochi romani che poterono sopravvivere a quella battaglia e celebrarono il trionfo.

36)- T. LIVIO – Epit. L. XV – “Picentibus victis pax data”.

37)- T. LIVIO – ivi – “Tum primum argento uti coepit”. Allora per la prima volta incominciò a usarsi monete d’argento.

38)- SIGONII – Fasti Consulares ac triumphi – “… P. C. Consul de Picentibus anno CDXXCV … Ap. Claudius Consul, de Picentibus anno CDXXCV”.

39) – T. LIVIO – “Regio Piceni quondam uberrimae multitudinisCCCLXmillis Picentium in fidem populi romani venerunt”. Trecentosessantamila erano, secondo usavano fare il censimento i Romani, gli uomini dai 16 anni in su. Volendo includere donne e bambini, bisogna triplicare questa cifra.

This entry was posted in Senza categoria and tagged . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra