- Storia degli studi
L’apporto della documentazione scritta alla conoscenza dei primi secoli dell’alto Medioevo non è molto consistente e nasce principalmente in ambito ecclesiastico. Presso i cenobi si provvide a raccogliere e trascrivere tutti i documenti che in qualche modo potevano attestare la proprietà dei beni, difendere i diritti e le esenzioni acquisite, in modo da avere subito disponibili i necessari munimina, scritture private, nel caso di processi e contestazioni.
Essendo la storia medievale di Santa Vittoria interamente legata a quella dell’Abbazia di Farfa, che con i suoi beni che si espandevano in una larga parte dell’Italia centrale appenninica propagava la sua crescente influenza e attraverso cui riorganizzava le sue strategie non soltanto nel campo del sacro, ma anche dal punto di vista politico e quindi economico, l’apporto testimoniale è quello offerto da tale cenobio.[1] In questo quadro si inseriscono le più note e studiate fonti farfensi, giunte fino a noi grazie all’opera di un monaco dell’abbazia di S. Maria di Farfa, vissuto fra la fine del XI e la prima metà del XII secolo, Gregorio di Catino. È al Monastero di Farfa che è stato dedicato il “Contributo alla storia del ducato romano nel Medio Evo” di Ildefonso Schuster, pubblicato dalla tipografia del Vaticano nel 1921. Allo studioso si deve il grande merito di aver lasciato una serie di contributi validi.
Nel suo primo studio di cose farfensi, lo Schuster, rammaricandosi che il Monastero di Farfa non avesse ancora trovato il suo storico pur tra i molti che si erano occupati del suo cartulario, indirizza la sua ricerca su codici farfensi conservati presso la Biblioteca Nazionale di Roma. Nel 1910 egli iniziò a tracciare quello che definiva “un piccolo sunto della storia di Farfa”. Il suo interesse per i rapporti con il Piceno e con il Presidato Farfense di Santa Vittoria in Matenano lo portò alla ricerca di documenti dall’archivio vaticano relativi a provvedimenti di pontefici. L’ingresso nel 1912 come membro nella Società romana di storia patria coincise con il completamento dell’opera su Farfa; nel 1921 papa Benedetto XV ne finanzia le spese di stampa.[2]
I rapporti tra l’Abbazia di Farfa e i suoi possessi marchigiani nel loro divenire sono stati affrontati nel tempo da numerosi studiosi. Due grandi eruditi del Settecento che se ne sono occupati per il periodo storico nel quale sono vissuti sono l’abate Giuseppe Colucci[3] e il canonico alsaziano Joseph Anton Vogel.
Tra i contributi più recenti e maggiormente significativi è necessario ricordare Anna Luciana Palazzi Caluori.[4]
Per quello che concerne gli studi sull’insediamento rurale e sulle modalità attraverso le quali si attuarono i processi della sua trasformazione durante e dopo la tarda età romana fino al pieno Medioevo, Emilia Previdi Saracco apportò informazioni attraverso lo studio delle fonti testuali alto medievali costituite principalmente dal ricchissimo fondo dell’Abbazia di Farfa e di quelle più tarde.[5]
Riguardo alle dinamiche di transizione dalla tarda antichità all’alto medioevo che generarono nuove forme di organizzazione delle campagne e delle città, il contributo dell’archeologia nelle Marche centro meridionali è scarso, al contrario dell’abbondanza di fonti scritte che hanno favorito una notevole bibliografia storica. In questo campo gli sviluppi si hanno nel nuovo millennio. L’Università di Macerata si occupa da diversi anni di progetti di ricerca archeologica sugli insediamenti medievali nell’entroterra marchigiano.[6] Interessanti i contributi che ne sono derivati negli Atti del convegno di Archeologia medievale e che hanno permesso un confronto tra fonti archeologiche e quelle documentarie.[7]
Tra gli studiosi che si sono interessati di storia dell’alto Medioevo marchigiano tra maceratese e fermano ricordiamo Delio Pacini, che ha dedicato molta attenzione alla formazione ed espansione del patrimonio fondiario di Farfa nelle valli dei fiumi Chienti, Potenza, Tenna e Aso, nonché alle vicende storiche del fermano tra alto e pieno Medioevo.[8]
Pacini collaborando insieme a Giuseppe Avarucci e Ugo Paoli, ha raccolto nel “Liber Iurium” dell’episcopato e della città di Fermo, noto anche con il nome di “Codice 1030”, documenti fondamentali per lo studio del Medioevo marchigiano. Tali informazioni risultano importanti sia per l’analisi degli assetti del popolamento rurale all’interno di una ampia area montana a cavallo delle valli del Tenna e dell’Aso, sia per comprendere il ruolo dei poteri laici ed ecclesiastici che si andavano formando e rafforzando rappresentati, da un lato dalle aristocrazie prima longobarde e poi franche e dall’altro dagli episcopati e dalle abbazie.[9]
Allo studio di tali vicende hanno inoltre concorso le indagini di altri ricercatori e i convegni organizzati dal Centro di Studi Storici Maceratesi e dalla Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Grande tema della storiografia regionale è quello dell’incastellamento; la crescita dei poteri laici ed ecclesiastici e la nascita di complessi fortificati tra la fine del IX e X secolo, con ampliamenti significativi tra la metà del XII e XIII secolo che segnarono la formazione di centri di rilievo.[10] In questo contesto non si può non citare Roberto Bernacchia.[11]
Un compito notevole lo ha svolto il Centro di studi farfensi, frutto della Scuola di Memoria Storica e quindi gli Atti dei vari convegni tenutisi a Farfa e a S. Vittoria in Matenano.[12]
In questo scenario un ruolo importante hanno rivestito gli storici locali, tra questi Gabriele Nepi e Giovanni Settimi.[13] Numerosi sono gli studi del canonico, nonché storico Giuseppe Crocetti.[14]
Da ricordare lo studioso Dario Rossi, cittadino di S. Vittoria in Matenano, e le sue pubblicazioni.[15]
[1] Si veda in Dondarini 2006, “L’utilizzo delle fonti farfensi nelle ricerche topografiche” di Maria Letizia Mancinelli.
[2] Si veda in Marca/Marche 8/2017 Riletture: “Alfredo Ildefonso Schuster storico di Farfa”, p. 147-155.
[3] “Delle Antichità Picene”, “Codice diplomatico di Santa Vittoria”, tomi XXIX e XXXI.
[4] “I monaci di Farfa nelle Marche – il Presidato farfense”, 1957.
[5] “Il patrimonio fondiario dei monaci farfensi nelle Marche”, “Articolazione fondiaria e distribuzione insediativa nei secoli VIII e XII”.
[6] Progetto R.I.M.E.N. diretto dal Professor Umberto Moscatelli.
[7] Del Professor Moscatelli le pubblicazioni su riviste specializzate come “Marca/Marche”; a tal proposito si veda il n° 14/2020: “Un’altra archeologia: il Medioevo nelle Marche centro-meridionali” e diversi lavori come “L’Appennino centrale e le sue storie” del 2021.
[8] “Diocesi ducato contea marca secoli VI-XIII”.
[9] “Liber Iurium” dell’episcopato e della città di Fermo (977-1266). Codice 1030 dell’Archivio storico comunale di Fermo, 1 (Introduzione e Docc. 1-144) a cura di D. Pacini; 2 (Docc. 145-350) a cura di G. Avarucci; 3 (Docc. 351-442 e Indici) a cura di U. Paoli, Ancona 1996 (Fonti per la storia delle Marche, pubblicate dalla Deputazione di Storia Patria per le Marche, n. s., I, 1-3), in “Studia Picena”, 60 (1996), pp. 430-436.
[10] Si veda in Dondarini 2006, “Farfa e le autonomie locali nella marca meridionale” di Valter Laudadio.
[11] “Santa Vittoria in Matenano e l’incastellamento nella Marca Fermana del X secolo”.
[12] “I rapporti tra le comunità monastiche benedettine italiane tra alto e pieno medioevo” (1994); “le vie europee dei monaci. L’Europa mucchio di frante immagini su cui batte il sole” (1996); “Le vie europee dei monaci. Civiltà monastiche tra occidente e oriente” (1999); “Farfa abbazia imperiale” (2007).
[13] “Santa Vittoria in Matenano Storia del Comune”, 1977.
[14] “I monasteri farfensi del Matenano”, 1997; “Il Presidato Farfense”, 1993.
[15] Sua ultima pubblicazione: “Forse non tutti sanno che … Santa Vittoria in Matenano Arte Storia Documenti Tradizioni”.