STATUTA FIRMANORUM
Invocato il nome della SANTA ED INDIVIDUA TRINITA’
Il Libro quinto degli Statuti del Comune di Fermo inizia felicemente
Libro 5 Rub.1
– L’officio e la giurisdizione del signor Capitano.
Il Capitano del popolo della Città di Fermo e del suo distretto e del contado sia tenuto e debba esigere, mantenere e difendere, anche governare, per quanto possibile, le giurisdizioni del Comune e del popolo di questa Città e accrescere lo stato prospero e tranquillo eccelso del presente e libero popolare stato della Città di Fermo; così pure le Società delle arti del popolo, e i Priori, i Confalonieri, i Capitani, i Consoli dei mercanti, e la giurisdizione loro, e lo stato prospero e tranquillo di queste arti e del popolo; praticare integralmente e fare praticare, senza alcuna diminuzione, gli statuti fatti, e ordinati, stabiliti, e deliberati e anche da farsi per queste Società e per il popolo ad opera di essi stessi. Per tutto quanto sia e potesse essere contro questo popolo e contro il Comune e inoltre contro gli statuti di questo volume e contro gli altri comunque pubblicati o da pubblicarsi per l’onore e per lo stato prospero, pacifico e tranquillo di questa Città, del popolo e della società delle arti di questa stessa Città, <il Capitano> non possa fare, né in alcun modo faccia fare, né consenta a chi voglia fare, né permetta di cambiare gli statuti, le proposte, gli ordinamenti e le delibere, ma, secondo il possibile, si sforzi per praticare, mantenere, custodire, difendere, governare, far crescere, e aumentare sempre, questi statuti e questo Comune e le Società e le arti e questo popolo e il buono e pacifico stato prospero e tranquillo di questi stessi; e proibisca che avvenga, e punisca e respinga quanto fatto o inferto in vilipendio, ogni turbativa a pregiudizio, a pericolo o aggravio dei signori Priori del popolo e delle arti e delle Società del popolo, o di qualcuno di questo popolo, secondo la forma dei contenuti dello statuto, anche qualora gli statuti non lo esprimessero, secondo la forma del diritto comune, con ogni modo, via, norma e forma come meglio possibile. E lo stesso signor Capitano e il suo giudice e il vicario e chiunque di questi sia Giudice negli appelli civili e penali, giudiziari ed extra giudiziari e in tutte qualsiasi le querele e i ripristini all’originario, e le revisioni o le domande di revisioni all’arbitrato di un buon uomo, da interporre di fronte a questi stessi o ad uno di questi, o ritornato a costoro o a costui, o capiti che di fronte a uno, o ad un altro di costoro che si faccia un appello o un reclamo o che si interponga la revisione all’arbitrato di un buon uomo, oppure capiti di fronte a un Giudice, o ad un arbitro, o ad un conciliatore che introduce il gravame che venga fatto un appello o sia chiesta il ripristino all’originario o la revisione all’arbitrato di un buon uomo. Inoltre <il Capitano> stia come Giudice ordinario ed abbia la giurisdizione ordinaria riguardo a tutte le cose, sulle quali e riguardo alle quali, in base alla forma degli statuti di questo volume, ha il potere di investigare. E questo Capitano, ad opera del Podestà, e dei suoi officiali e di altri qualsiasi officiali, pratichi e faccia praticare soprattutto gli statuti di questo volume e le altre delibere e gli ordinamenti tutti del Comune e del popolo di questa Città, quelli fatti o <quelli> da farsi a vantaggio del popolo e delle Società di questo popolo; e non faccia nulla né intervenga in contrasto a queste stesse cose o contro qualcuna di esse, e qualora abbia scoperto altre cose fatte contro questi statuti e contro gli ordinamenti o le delibere fatte a vantaggio di questo popolo e delle società non le eseguirà né le farà fare, né permetta che siano in alcun modo praticate, ma egli piuttosto farà in modo che siano considerate e fatte considerare totalmente come cose non fatte. E questo signor Capitano stia e debba stare, insieme con i Sindacatori del Comune di Fermo, a richiedere e ad esigere il rendiconto sulle cose dell’officio del Podestà e dei suoi officiali e di tutti gli altri officiali del Comune di Fermo, e sull’amministrazione dell’officio di questi stessi per tutte le cose che abbiano compiuto o abbiano dato commissione di compiere o abbiano amministrato o abbiano fatto al di là o al di fuori o contro con la forma degli statuti e degli ordinamenti del Comune e di questo popolo. Il Capitano faccia e sia obbligato a fare ciò sotto pena di 100 libre di denari <da prelevare> dal suo salario. E questo Capitano faccia eleggere questi sindacatori ad opera dei signori Priori e del Gonfaloniere di giustizia. E questo Capitano debba richiedere il braccio <aiuto> dei signori Priori e del Podestà a vantaggio del mantenimento, della difesa, dello sviluppo per lo stato pacifico e tranquillo della Città di Fermo, per il governo delle società del popolo e delle arti e per l’esercizio di tutte le singole cose spettanti al suo officio e per praticare al meglio la sua giurisdizione. E questi signori Priori e il Podestà, siano obbligati a concedere e dare aiuto, consiglio e favorire questo signor Capitano, secondo quanto la materia richiederà, secondo l’occorrenza delle cose fatte e come esigerà la qualità del fare, al fine che egli possa esercitare il suo officio nel modo migliore. Inoltre, questo signor Capitano sia obbligato e debba condannare il Podestà e il milite, i Giudici, i notai e i famigli o gli sbirri suoi, con tutte le pene ed i bandi <d’esilio> contenuti nei capitoli del Comune di Fermo, qualora ci siano state trasgressioni contro questi <capitoli> o contro alcuni di questi, o abbiano fatto ciò gli stessi, oppure qualcuno di essi, nel modo e nel senso di un reato secondo la forma di uno statuto del Comune di Fermo. Faccia questo, sia per il suo officio, sia anche a richiesta di un qualsiasi Cittadino o di un abitante di Fermo, o del distretto, che faccia la denuncia o l’accusa, 3gli faccia la procedura sommaria, semplice, e con calma, senza alcun comando, senza strepito, senza immagine di processo, secondo la forma degli statuti che trattano del punire i reati. E il Podestà sia obbligato a riscuotere queste condanne a favore del Comune e debba fare queste cose nel tempo del sindacato di questo Podestà. In realtà il Capitano durante il tempo dell’officio del Podestà non possa far procedura né fare condanne contro costui, né contro i suoi officiali, né contro i famigli per alcun crimine o reato, a meno che non avvenga per tradimento, o per malizia contro il presente stato del popolo, sotto penalità di 100 libre di denaro <da prelevare> dal suo salario, per ciascuna delle cose contenute in ciascuno degli anzidetti capitoli. E questo signor Capitano sia obbligato a far praticare e compiere tutte queste cose che sono contenute in ciascuno dei capitoli che tratta del suo officio, sotto la pena e le pene contenute in questi capitoli. Inoltre il signor Capitano debba far pervenire nella camera <cassa> del Comune di Fermo ogni moneta recuperata a opera sua o ad opera dei Regolatori del Comune o di un’altra qualunque persona e non faccia dare come compenso nessuna somma. E al fine che non ci siano turbamento, né alcuna rivalità fra i detti Rettori, riguardo all’inquisire sui reati, sopra i quali questo Capitano ha la stessa giurisdizione che ha anche il Podestà, vogliamo che nel caso in cui entrambi i Rettori facessero la procedura, colui che giunge per primo tramite il solo mandare la copia alla Camera abbia autorità a portare a termine il suo processo. In realtà il Rettore giunto primo, dopo avuta la certezza, debba pronunciare che riguardo a un processo avviato ad opera della sua Curia non si debbano far procedure <da altri>, sotto penalità di 200 libre da prelevarsi al contravventore, sul fatto, per ciascuna volta. E ciascun Rettore, Podestà o Capitano debbano portare a termine i loro processi entro i termini che sono stabiliti e assegnati dagli statuti del Comune di Fermo che trattano di quella materia, sotto la penalità contenuta in questi statuti. E <il Capitano> sia obbligato, precisamente entro i primi quattro mesi del suo governo, a fare indagine o farla fare, esigere, ultimare e assegnare tutti i prati, i pascoli, le selve e i boschi del Comune che siano stati posseduti fino a tale momento da qualsiasi persona o <da chi> li possedesse o li tenesse per il proprio uso, oppure li tenesse ad uso per il Comune, nonostante una vendita o una concessione o una qualche tenuta, né sotto qualche pretesto di queste stesse cose, e nonostante le accettazioni, o le consegne in restituzioni oppure in concessioni di questi prati, pascoli, selve, e boschi, fatte a chiunque. Egli faccia questa inquisizione e questa requisizione ad opera sua propria e in base al suo officio, oppure su denuncia e su istanza di chiunque chieda che la si faccia, insieme con due uomini che siano eletti per ciascuna contrada dallo stesso signor Capitano, dei signori Priori e dal Gonfaloniere, <scegliendo> uomini buoni e fedeli che non siano quelli già detti, che hanno il possesso e la tenuta, e neanche tra i loro consanguinei o affini o senza neanche uomini, a talento di volontà. E qualora abbia scoperto qualcuno che abbia già occupato o stia occupando queste cose, applichi la punizione contenuta nello statuto che riguarda chi occupa i possedimenti del Comune. E il Capitano sia obbligato a fare l’indagine su costoro. Inoltre questo Capitano sia obbligato e debba indagare e fare inquisizione contro tutti e singoli coloro della Città di Fermo e del suo distretto, che avessero dato, a qualsiasi titolo, avessero alienato le terre, i possedimenti posti nella Città di Fermo e nel suo distretto, a qualcuno o ad alcuni i quali non siano sottomessi alla giurisdizione della Città di Fermo e non corrispondessero dazi né tasse a questo Comune. E tutti quelli che questo signor Capitano avrà scoperto che hanno commesso reati su tali cose, li punisca e condanni secondo la forma dello statuto del Comune di Fermo. E questo signor Capitano inoltre sia obbligato e debba fare investigazione contro tutti i singoli Cittadini e gli abitanti del distretto i quali abbiano lasciato le proprie abitazioni ed abbiano traslocato per abitare altrove, in luoghi non soggetti al Comune di Fermo. Egli procuri in ogni modo che costoro ritornino entro un determinato tempo che egli dovrà assegnare loro affinché ritornino, insieme con tutta la loro famiglia, alle proprie abitazioni che abbiano abbandonato. Qualora essi non siano tornati, condanni costoro e ciascuno di loro alle pene da imporre a suo arbitrio, ed riscuota queste condanne a favore del Comune. E si intenda che a questo Capitano siano concessi e attribuiti i poteri e ogni giurisdizione per tutti i singoli casi nei quali, per effetto di qualche statuto o delibera, si riscontra che i poteri gli sono attribuiti o concessi.
5 Rub. 2
– Sulla stessa giurisdizione del signor Capitano.
Inoltre il signor Capitano sia obbligato a investigare e fare inquisizione e praticare l’articolo scritto sul giorno di domenica e delle festività da rispettare. Inoltre il detto Capitano sia obbligato ad indagare e a fare le procedure, per suo officio, a seguito della denuncia e dell’accusa fatta da chiunque, e, su quanto detto, questa possa essere fatta da ognuno; e tale denunciatore sia tenuto segreto; e <il Capitano agisca> contro tutti i singoli che, pubblicamente o di nascosto, in qualche modo o per caso, osassero o presumessero di dire male, o denigrare, e disonorare, e a vergogna ed insulto contro gli offici del signor Podestà, dei signori Priori del popolo, e del Vessillifero di giustizia, del Collegio, o delle Società del popolo o <a scapito> di qualcuno di costoro della Città di Fermo, e punisca i trasgressori con 100 soldi di denari fino a 25 libre di denaro, a suo arbitrio. E il detto signor Capitano faccia pubblicamente annunciare con bando le dette cose attraverso la città all’inizio del suo governo, allo scopo che diventino note chiaramente a tutti. Inoltre il detto signor Capitano, con sollecitudine, si applichi ad investigare sui Beccai <macellai> che non si adoperano per le carni e che delinquono, in contrasto con la forma degli statuti, nella loro arte e nelle cose a cui sono obbligati, eccetera.
5 Rub.3
– Sulla stessa giurisdizione del signor Capitano contro le signore che portano ornamenti vietati.
Inoltre il detto signor Capitano sia obbligato investigare, fare inquisizione e far fare indagine contro le donne e le signore che portano ornamenti in contrasto alla forma degli statuti e punirle e condannarle secondo la forma degli statuti che scrivono sugli ornamenti delle donne durante il lutto per i morti.
5 Rub.4
– Sulla stessa giurisdizione del signor Capitano.
Inoltre <il Capitano> sia obbligato e debba in ogni mese investigare contro quelli i quali abbiano caricato o scaricato olio o altre mercanzie in qualche luogo della riva del mare o vicino al mare dal fiume Tronto e da Tronto <castello> fino al fiume Potenza, in cui non si pagasse il dazio del Comune di Fermo o che non sia <luogo> sottoposto integralmente alla giurisdizione di questo Comune; cosicché in questi stessi <luoghi>, dal Comune di Fermo potessero imporsi la tassa o gli estimi o i fumanti <tasse focatico>, al modo come negli altri luoghi sottoposti a detta Città. e qualora egli abbia scoperto uno che delinque in tal modo, lo debba punire in modo reale e personale, a suo arbitrio, secondo il modo del reato; purché le anzidette cose non abbiano validità in quei luoghi che siano del distretto di Fermo, e legittimamente il Comune di Fermo <vi> può applicare le tasse.
5 Rub.5
– Il signor Capitano sia obbligato a gestire l’officio daziario.
Inoltre il detto signor Capitano sia obbligato e debba esercitare con precisione l’officio dei dazi da sé stesso, e tramite un suo Giudice, se lo abbia avuto, secondo i capitoli e gli statuti che scrivono sui dazi. E nessun altro Giudice venga eletto ad esercitare questo officio daziario, tuttavia <si faccia> sì che nulla del denaro di detti dazi possa, né debba in alcun modo giungere nelle mani di questo Capitano o dei suoi officiali, in alcun modo, ma nelle mani del Banchiere del Comune. E il Capitano e gli officiali che nelle dette cose abbiano commesso una qualche frode siano puniti con 100 libre di denaro, per ciascuno e per qualsiasi volta.
5 Rub.6
– Il Capitano possa indagare tutti i reati.
Parimenti il detto signor Capitano sia obbligato, possa e debba esaminare tutti i singoli reati, che il Podestà possa ed abbia autorità di conoscere; dopo che il Capitano abbia iniziato ad esaminare questi reati, e ciò si intenda che per mezzo della trasmissione della copia alla Camera, il Capitano abbia iniziato ad indagare, e il Podestà e il suo Giudice, in nessun modo, possano né debbano intrometter(vi)si, neppure abbiano la facoltà di indagare, né di farne alcun processo; e se abbiano fatto qualcosa, in questo caso, è nulla e di nessuna validità, per la legge stessa. Il detto signor Capitano possa, e sia anche obbligato e debba esaminare, ed anche portare a conclusione con la sua sentenza e definire con il consiglio del suo Giudice e dell’assessore, se l’abbia avuto, tutti i singoli reati. E debba finire e ultimare tutti i processi penali iniziati dal Podestà e dalla sua Curia e non finiti né ultimati entro la scadenza prevista negli statuti; e con lo stesso processo infliggere la condanna con le pene contenute nello statuto per quel tale reato, oppure debba assolvere, secondo come meglio si faccia per legge e venga praticata la giustizia. E questo Capitano debba indagare, completare, ultimare ed esaminare tutte le cose che competono al suo officio; e il Capitano per un officiale, qualora abbia agito contro gli statuti e la forma di questi, sia obbligato in solido. E allo scopo che si conosca la verità, qualora i reati intrapresi dal Podestà e dalla sua Curia, che siano individuati, o non lo siano, entro il detto tempo previsto nello statuto; e qualora detto tempo per procedere sia trascorso, o no, il Podestà, il Giudice e il suo Notaio siano obbligati e debbano nei singoli mesi, almeno a fine mese, mostrare gli atti a questo Capitano. E, viceversa, questo Podestà e la sua Curia sui processi di detto Capitano facciano in simile modo; e il signor Capitano e la sua Curia siano obbligati a mostrare a costui i loro processi da concludere con gli stessi modo e forma.
5 Rub.7
– Il Capitano sia obbligato a riscuotere le condanne.
Inoltre questo Capitano e la sua Curia per tutte le condanne da lui stesso fatte e tuttavia nuovamente inquisite, siano obbligati a fare la riscossione entro 20 giorni, dopo che queste sono state rifatte e notificate e effettivamente debba mandarle ad esecuzione e farle assegnare in Comune, nelle mani del Banchiere del Comune di Fermo, a favore dello stesso Comune che le riceve, sotto pena di 100 libre di denaro, e nondimeno ciò sia conteggiato nel suo salario, e tramite i suoi officiali successori debbano essere riscosse entro 20 giorni dopo l’inizio del proprio officio. Egli possa anche eseguire o mandare ad esecuzione tutte le singole sentenze penali e le condanne penali emanate da qualunque Rettore, in modo reale e personale, come è contenuto nella sentenza, sul fatto, senza alcun processo. Sia obbligato a eseguire e a mandare in esecuzione anche le sentenze non nuovamente inquisite, o notificate in contumacia come e nel modo contenuto nello statuto dei reati sotto la rubrica su “Esecuzione delle sentenze; eccetera”.
5 Rub.8
– Il Capitano faccia indagine contro coloro che offendono il Podestà e i suoi Officiali.
Inoltre questo signor Capitano abbia la giurisdizione di indagare e fare la procedura in tutti i singoli reati, ingiurie, offese fatti e commessi contro la persona del Podestà e dei suoi officiali e servitori, e condannare i delinquenti alle pene contenute nell’articolo che è scritto sugli stessi reati.
5 Rub.9
– Il Capitano sia obbligato ad indagare su coloro che esportano vettovaglie.
Inoltre <il Capitano> abbia giurisdizione e sia Giudice competente e ordinario in tutti i casi specificati sopra in qualunque capitolo di tale contenuto degli statuti ed abbia la potestà di punire, di fare la procedura, ed esigere, come indicato in questi articoli. E sia inteso che è Giudice ordinario, e si intenda che egli ha la giurisdizione ordinaria, nonostante alcuni statuti e nonostante ogni legge civile o canonica, che si esprima in contrasto.
5 Rub.10
– Condanne all’esilio da imporre per mezzo del signor Capitano.
Il Capitano e i suoi officiali nell’imporre l’esilio abbiano quella giurisdizione che hanno il Podestà e i suoi officiali, contenuta nell’articolo sulla giurisdizione del Podestà e degli officiali circa l’esilio da imporre. Nell’esercito, in realtà, o nella cavalcata, nel parlamento Generale, nella controversia o nella rissa sia il Capitano che il Podestà possano imporre una pena a loro arbitrio, dopo aver valutate la persona e la natura del fatto.
5 Rub.11
– I Balivi (delle imposte) del signor Capitano.
Il detto signor Capitano abbia e debba avere per esercitare il suo ufficio cinque Balivi ad intraprendere la ‘scarfina’ <controlli>. E questi Balivi debbano di continuo stare con il Capitano e obbediscono a lui e ai suoi officiali e rivolgono la loro attenzione a tutte quelle cose che comprendano essere di competenza dell’officio loro. E ognuno degli stessi Balivi abbia il proprio salario da stabilirsi per qualunque mese dai signori Regolatori come salario e mercede dagli averi del Comune. E debbano avere e presentare e portare continuamente sul capo in evidenza le fasce con sopra una croce bianca, come sta nel vessillo del Comune, allo scopo che siano riconosciuti dagli altri. E questi Balivi siano sottoposti alle pene, alle condanne e alle leggi a cui sono soggetti gli altri Balivi del Podestà, e ad opera dello stesso Capitano possano e debbano essere puniti e condannati a queste pene secondo la forma degli statuti del Comune di Fermo che sono scritti contro e a favore di essi.
5 Rub.12
– In quali casi nella causa penali sia lecito fare appello, ed in quali non lo è.
Ordiniamo che prima del tempo della sentenza definitiva in qualche causa penale non sia lecito fare l’appello, e qualora sia stato fatto un appello, non sia ammesso dal Giudice degli appelli, sotto pena per il Giudice d’appello, che faccia il contrario, di 100 libre di denaro, e nondimeno si consideri come se l’appello non sia stato fatto. E il Giudice “da cui” <= su cui non è consentito fare appello = appello non lecito>, nonostante qualche appello o qualche divieto nella causa, proceda fino alla sentenza definitiva inclusa, e in questa sentenza definitiva tutti i diritti e le difese del caso siano e si intenda che sono completamente riservate <ad incarico >, anche senza l’intervento del Giudice, per l’autorità della presente legge. In verità, contro la sentenza definitiva personale, in tutto od in parte, si possa e si abbia validità a fare appello nel giorno della notifica della sentenza o nel giorno seguente. Possa essere fatta la presentazione di ciò davanti al Giudice “da cui” <non anticipare>, o davanti al Giudice “a cui” <arriva l’appello>, e tale presentazione, per legge, abbia validità. Questo Giudice “a cui” <arriva l’appello> sia obbligato e debba decidere e concludere tale appello, così presentato, entro otto giorni da calcolarsi dalla presentazione; e se non lo abbia concluso entro questo tempo, la prima sentenza rimanga stabile; e questa sia eseguita a talento di volontà. E il Giudice “da cui” <non anticipare> o il Sindaco del Comune addetto alle cause, dopo ricevuta la lettera inibitoria, siano obbligati e debbano assegnare e presentare gli atti e tutto il processo avanti al Giudice “al quale” <arriva l’appello>, sotto pena di 100 fiorini d’oro per il Giudice “da cui” <non anticipare>, se costui sia stato e sia restato negligente nelle dette cose. Essi debbano mandare i loro Giudici alla difesa e per la difesa ossia per difendere il suo processo e la sentenza. Questo scadenza di otto giorni non scorra se il Giudice sia rimasto fermo o sia stato negligente presentando gli atti o le cose attivate nella causa su cui sia stato fatto l’appello; si faccia eccezione per i casi già detti, sui quali non sia lecito appellarsi, e su questi di seguito si farà menzione: cioè sul tradimento della Città o di qualche Castello, o sullo sconvolgimento dello stato presente, sui latrocini, sul lenocinio, sul rapimento di vergini, di monache, o di <recluse eremite> ‘carcerate’, oppure su percosse fatte nella persona di qualcuno dei signori Priori o del Vessillifero di giustizia, durante il loro officio; e neanche sia lecito fare appello contro le sentenze pronunciate sui danni dati in modo personale o insieme con animali. Ma, in realtà, sia lecito entro 5 giorni in continuità da calcolarsi dal giorno della notifica della sentenza, fare appello per una sentenza definitiva in casi puramente pecuniari, o <in parte> anche pecuniari, ma, nel fallimento, personali in tutto o in parte; e l’appello abbia validità sia se presentato davanti al Giudice “da cui” <non anticipare>, sia davanti al Giudice ”al quale” <arriva l’appello>. Il Giudice “al quale” debba ultimare questo appello entro 10 giorni in continuità dopo presentato l’appello. Il giudice “da cui” nell’appello fatto, debba mostrare gli atti e fare le altre cose come sopra è stato detto. E se il Giudice dell’appello non abbia concluso l’appello entro i detti 10 giorni in continuità, la prima sentenza rimanga stabile; e il Giudice “da cui” la metta in esecuzione a talento di volontà, a meno che si sia rifiutato o non abbia presentato gli atti e tutto il processo; nel quale caso i tempi per concludere l’appello non decorrano. I <rei> contumaci tuttavia, nelle cause penali, siano privati del beneficio dell’appello. E in tutti i casi detti sopra, il Giudice “da cui” <non anticipare> sia obbligato e debba fare la copia della sua sentenza, quando ne sia stato richiesto, immediatamente in quel giorno, diversamente i tempi <di scadenza> non decorrano fino a che egli non abbia fatto copia delle dette cose e, per il fatto stesso, egli incorra nella pena di 500 libre di denaro. E in tutti i singoli casi, nei quali viene fatto appello nelle cause penali, tutti i tempi <di scadenze>, tanto per interporre l’appello, quanto per proseguire, anche per concluderlo, si intendano e siano in continuità; e anche le feste introdotte in onore di Dio non siano d’impedimento e non né abbiano vigore per impedirlo.
5 Rub.13
Gli appelli delle cause civili.
Ordiniamo che non sia lecito che si interponga un appello in alcun modo, prima del tempo della sentenza definitiva in una causa civile, quando si spera che la sentenza definitiva sarà pronunciata; ma tutti i ‘pesi’ <obblighi>, i diritti e le difese di parte siano riservati <ad incaricati> per la sentenza definitiva, e siano e si intenda che siano riservati, per effetto dell’autorità della presente legge, senza che intervenga un Giudice e essi tutti stiano riservati e debbano stare riservate per l’appello da interporre contro la sentenza definitiva e vengano ad essere esaminati e portati a termine ad opera del Giudice per l’appello. Contro una sentenza definitiva di un Giudice, in realtà, si può fare appello, anche reclamare a viva voce o per iscritto, anche scrivere di nullità, ossia si inserisca in uno stesso solo appello, in forma principale oppure in modo incidentale, o non, entro i 5 giorni in continuità, da calcolare dal giorno di pubblicazione della sentenza. E il Giudice dell’appello abbia ad ultimare questo appello o la causa di nullità, entro 30 giorni continuativi che vengano calcolati dal giorno in cui vengono interposti l’appello o la causa di nullità, sotto penalità di 500 libre di denaro. Contro una sentenza di arbitri conciliatori si possa fare appello o esporne la nullità, in forma principale oppure incidentale, entro 5 giorni in continuità da calcolare dal giorno del ‘lodo’ <arbitrale> o della sentenza. E il Giudice porti a termine questa causa di appello o di nullità entro 20 giorni, dal giorno in cui è interposto l’appello o chiesta la nullità, sotto la detta penalità. Inoltre contro una sentenza degli arbitri, o dei compositori amichevoli, o contro i loro atti di arbitrati di conciliazioni o di composizioni o di ‘lodi’ si possa fare appello e scrivere di nullità o di revisione all’originario, anche alla revisione arbitrale di un buon uomo, entro i 5 giorni in continuità dal giorno della pubblicazione dell’atto dell’arbitro o del lodo o della composizione. E questo Giudice sia obbligato e debba portare a termine questa causa di appello e di nullità o di revisione arbitrale di un buono uomo, entro 20 giorni in continuità, dal giorno in cui si sono interposti l’appello o la chiesta la nullità o la revisione di un buono uomo come arbitro, sotto la detta pena. E in tutti i casi di questo statuto le scadenze date al Giudice nel portare a termine le cause di appello, di nullità, di revisione arbitrale di un buon uomo, di far ripristino all’originario, siano e si comprenda che sono in continuità, facendo eccezioni per le ferie per <raccogliere> le messi, per le vendemmie o per eventi improvvisi, per tutti gli altri giorni di ferie <non lavorativi> previsti da uno statuto sulle ferie da eccettuare e questi tempi siano tutti di ferie tolte di mezzo. Per volontà delle parti si possano fare proroghe tra la durata di questi tempi e anche il tempo intermedio prorogato per volontà delle parti non venga calcolato <per le scadenze>. In qualunque dei casi anzidetti, il Giudice che esamina queste cause sia obbligato sempre a condannare alle spese chi soccombe a vantaggio del vincitore. E in qualunque degli anzidetti casi, qualora il Giudice di appello non porti a termine entro questi tempi stabiliti per dover terminare una causa, rimanga sempre valida la prima sentenza definitiva, o interlocutoria e la parte intenda che ha approvato quanto fatto dal primo Giudice. In realtà le cause di ripristino dell’originario, qualunque siano, debbano essere poste e discusse di fronte al Capitano o al Giudice di giustizia del Comune di Fermo e costoro debbano esaminare queste cause poste e portarle a termine entro 20 giorni in continuità dal giorno della richiesta o del ripristino dell’originario. E in tutte le cause di appello si faccia la procedura in forma semplice, sommaria, calma, senza rumore, né parvenza di processo, sotto la penalità già detta. E prima che avvenga la sentenza definitiva non si possa né debba fare una qualche richiesta di ripristino dell’originario, ma si comprenda che questa è riservata alla stessa sentenza definitiva, e al <poter> fare appello contro questa definitiva. In realtà contro chi interpone un secondo decreto o contro un qualsivoglia precetto, o contro una sentenza interlocutoria che abbia il vigore di una <sentenza> definitiva, e questa definisca la faccenda in forma principale, e non interposta a una causa e non si spera che sia portata una sentenza definitiva sulla causa principale, dopo questa, oltre questa, si possa fare l’appello nella medesima istanza e si possa scrivere di nullità, entro cinque giorni in continuità, dal giorno dell’interposizione o della presentazione del precetto o della sentenza. E questa stessa causa di appello e di nullità debba essere portata a termine entro venti giorni in continuità dal giorno dell’interposizione, dell’appello, o della nullità. Inoltre vogliamo che quando entro i termini stabiliti per agire contro tali sentenze o contro qualcuna di esse, si sia interposto l’appello, il reclamo, il discorso di nullità, sia stato chiesto il ripristino dell’originario o la revisione di un buon uomo come arbitro, come già detto sopra, la parte che così fa l’appello, e che scrive di nullità o che chiede la revisione arbitrale di un buon uomo, o che chiede il ripristino dell’originario, entro i cinque giorni in continuità, immediatamente successivi dopo l’appello o dopo le dette richieste, o una già detta, che fanno seguito immediatamente a questa causa da proseguire e faccia sì che sia citata la parte avversa per dover fare la prosecuzione in detta causa. E qualora entro i detti cinque giorni, non abbia fatto ciò, il Giudice “a quo” <non anticipare> possa e debba far la procedura nella causa come se non ci sia stato un appello, né una richiesta, né alcunché sia stato contrastato in questa causa. Aggiungiamo che dopo trascorsi i tempi già detti per fare l’appello, per fare la prosecuzione, e per giungere a termine, come detto sopra, qualora la sentenza, ad opera del Giudice, non sia stata ritrattata oppure confermata e la causa sia andata deserta, non si possa ulteriormente dire alcunché, né lamentare, né opporre appello, nel modo di nullità, né di ripristino dell’originario, né revisione arbitrale di un buon uomo, in contrasto alla detta sentenza e al pronunciamento fatto dal primo Giudice. Ma la sentenza pubblicata dal Giudice “a quo” <non anticipare> rimanga stabile e abbia stabilità con ogni pienezza di vigore e venga messa in esecuzione, secondo la forma stabilita nel terzo libro delle cause civili nella rubrica sull’esecuzione delle sentenze delle cause civili. Aggiungiamo anche che non si possa fare appello, né reclamare, né scrivere in nessun modo di nullità, né stare all’udienza, né in nessun’altra maniera si ammetta contro quanto è stato scritto o debba essere scritto nel bastardello <minute> sugli istrumenti di garanzia e sulle sentenze, che siano passate in giudicato, secondo la forma degli statuti ad istanza della parte principale o del cessionario, o degli eredi stessi, o dei loro procuratori, agenti, tutori o curatori. Ma per l’autorità della presente legge, sia cancellata completamente ogni facoltà di appello, di reclamo o di scrivere di nullità, e sia preclusa la via intorno allo scrivere, come detto. Similmente avvenga riguardo alle esecuzioni delle gabelle, e delle frodi su queste, e dei dazi loro e di altri debiti del Comune, a meno che questi debitori non si dessero prove in contrario.
5 Rub.14
– Nulla sia innovato quando l’appello è pendente.
Ordiniamo che, quando in qualche caso consentito dalla forma dei nostri statuti, l’appello sia stato fatto, o si sia parlato di nullità o si sia fatta richiesta di ripristino dell’originario o si sia reclamato, il Giudice “da cui” <contestato> non faccia alcun danno, né novità, per qualche aspetto richiesto che si esprime tanto contro l’appellante o reclamante, o contro chi scrive di nullità, o contro chi chiede il ripristino dell’originario come pure contro i loro beni o i fideiussori, sotto pena di 500 libre di denaro da prelevare sul fatto a lui, ciascuna volta quando abbia trasgredito. E ciò si intenda quando abbia avuto contezza ossia sia stato informato che è avvenuto un appello, o un reclamo, o sia stato parlato di nullità o che sia stato chiesto il ripristino dell’originario per mezzo di un <procedimento> inibitorio, o in un altro modo qualunque; e su questo espressamente sia fatto il sindacato. E nondimeno, il Giudice dell’appello possa e debba revocare e riportare allo stato di prima le cose contrastate e innovate. Incorra, come sopra, in questa stessa pena anche la parte che innova.
5 Rub.15
– La condanna del Giudice che non permetta di fare appello.
Ordiniamo che nessun Rettore o un altro officiale crei ostacoli a qualcuno che vuole fare appello né proibisca a costui di fare appello, ma consenta ad ognuno che vuole fare appello, liberamente, nei casi permessi da uno statuto, sotto la pena di 500 libre di denaro, da prelevarglisi sul fatto. E si intenda che impedire o non permettere di fare appello, avviene qualora abbia trattenuto uno avendolo costretto, o abbia inferto un’altra cosa violenta contro la possibilità almeno di fare appello.
5 Rub.16
– Tutti gli statuti che trattano le cause di appello si intendano per i primi e secondi appelli.
Vogliamo che tutti gli statuti che trattano di appelli e di cause di appello e tutte le realtà espresse da questi esistano, e vogliamo che esistano per le prime e le seconde cause di appello, ed abbiano vigore, tanto per le scadenze, e per le proroghe date per fare appello, quanto per le proroghe date per proseguire e ultimare, e in tutte le altre cause comprese in questi statuti, e, come già è stato espresso, siano da rapportare ai primi e ai secondi appelli.
5 Rub.17
– Gli statuti che si riferiscono al Capitano abbiano vigore per il Giudice di giustizia e viceversa.
Parimenti decretiamo che se nella Città di Fermo non vi fosse il Capitano del popolo o detto ufficio del Capitano fosse vacante in questa Città e il Giudice di giustizia stesse in questa Città, tutti gli statuti che trattano del Capitano del popolo abbiano vigore per il Giudice di giustizia. E il Giudice di giustizia abbia giurisdizione, potestà e potere, come quelle del Capitano ha e che potesse avere dagli statuti di questo volume. E viceversa, se in qualche statuto si menzionasse il Giudice di giustizia, e nella Città di Fermo questo Giudice non ci stesse, ma ci stesse il Capitano del popolo, si intenda che tali statuti, che trattano del Giudice di giustizia, in tutto e per mezzo di tutto, stiano nella persona del Capitano e siano parimenti come scrivessero del Capitano, e dal Capitano uniformemente debbano essere praticati ed adempiuti. Inoltre vogliamo che il Capitano del popolo e il suo Giudice o il Collaterale, ed anche il Giudice di giustizia già detto, ciascuno di questi, possano aver cognizione delle cause di appello, di nullità, del ripristino dell’originario, della revisione a giudizio di un onesto uomo, e sui dazi e sui danni dati e possono fare procedura contro le Signore che portano ornamenti in contrasto con la forma del presente statuto, o sul lutto dei morti, e su coloro che esagerano l’abitudine nei banchetti, e sul divieto del sale e delle vettovaglie e su tutte le altre cose, che venissero accordate a loro o a qualcuno di loro dalla forma dei nostri statuti. Inoltre questo signor Capitano, o il suo Vicario, il Giudice di giustizia e ciascuno di questi stessi sia Giudice competente ed abbia la giurisdizione ordinaria di sindacare i Signori Priori del popolo, e il Vessillifero di giustizia, i Regolatori, i Banchieri e gli altri officiali del Comune, anche i Vicari, ossia i Potestà dei Castelli del contado. E siano obbligati a condannare costoro, secondo la forma dei nostri statuti, se nel loro officio commettessero una frode, un inganno e una malignità, o facessero, o trascurassero qualcosa in contrasto con la forma dei nostri statuti. E quando abbiano trascurato di fare le dette cose, questo signor Capitano incorra nella penalità di 200 libre di denaro per ciascuna volta e lui stesso, durante il tempo del sindacato, ad opera dei loro sindacatori debba essere sindacato sulle dette cose. In realtà, egli in nessun modo si intrometta e non abbia giurisdizione nelle cause civili ordinarie o sommarie, e qualora abbia fatto diversamente, le cose trattate non abbiano validità, a meno che non sia stato per via di appello, di nullità, di ripristino dell’originario, e di revisione con l’arbitrato di un onesto uomo, come è stato detto sopra.
I DANNI DATRI HANNO INIZIO
5 Rub.18
– La giurisdizione e il potere del Giudice dei danni dati, delle vie, dei ponti e delle fontane.
Decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano del popolo, che ci sarà nel tempo, o il Giudice di giustizia della Città di Fermo siano e si intendano essere Giudice competente e officiale dei danni dati, dei ponti, delle fontane ed abbia la piena giurisdizione sopra tutti i singoli statuti contenuti nel Quinto libro degli statuti, di procedere, per via di inquisizione, di denuncia o di accusa, come a lui sembrerà opportuno, e di condannare i delinquenti alle pene contenute negli statuti; in un modo che non ecceda le pene contenute negli statuti. Tuttavia vogliamo che non indaghi su un campo con stoppia, su un campo lavorato a maggese o sodo, né possa far procedura per via di una inquisizione, né in altri casi inseriti negli statuti dei danni dati, nei quali l’inquisizione è vietata in modo speciale, ma <indaghi> soltanto per via di un’accusa, a meno che il danno sia stato dato ad alberi o ai frutti degli alberi ivi esistenti, e in questo caso possa fare la procedura per via di accusa, di denuncia o di inquisizione, come a lui sembrerà opportuno, come è stato detto sopra. E le sentenze di costui abbiano validità e restino stabili, nonostante che nel fare la procedura sia stata trascurata qualche solennità, purché non ecceda le pene inserite nello statuto dei danni dati, e purché riguardo al reato, il danno arrecato sia stato constatato dalla confessione, o dai testimoni, o da altre prove, come viene concesso dalla forma degli statuti. Salvo sempre ciò che è stato detto sopra, intorno ad un campo di stoppia o campo sodo, cioè che non possa indagare, se non riguardo agli alberi o altro, purché non si intenda il danneggiare il podere con il tagliare gli alberi, o con la raccolta dei frutti fatta da qualcuno; e in questo caso da chi ha fatto il taglio non sia acquisito alcun diritto sul podere. E nessun altro abbia la giurisdizione di indagare in alcun modo sui danni dati, contenuti nel presente libro degli statuti, se non quando il fare la procedura e l’indagare l’azione, siano stati omessi da parte dell’officiale dei danni dati, entro un mese da calcolarsi dal giorno in cui è stato commesso il crimine; dopo trascorsa tale scadenza, il Podestà e il suoi officiali possano procedere e punire secondo la forma degli statuti. Aggiungiamo anche al presente statuto che il Giudice di giustizia e <il giudice> dei dazi del Comune di Fermo ed anche il Capitano del popolo, quando il Capitano fosse presente nella Città di Fermo, ciascuno di questi stessi abbia ogni sorta di giurisdizione di fare la procedura, di indagare e di punire ogni reato, crimine, o qualunque eccesso, che siano stati commessi o che venissero commessi in futuro su qualche membro di qualsiasi officio pertinente a questo stesso e anche all’officio dei dazi, o in occasione di dazi e sulle cose che si commettessero in frode per qualunque motivo con dolo o senza, anche quando si facesse qualcosa contro la verità, oppure fosse stato fatto al tempo del proprio officio, punendo e condannando a pene pecuniarie, punendo e condannando in denaro e propriamente secondo la forma degli statuti della Città di Fermo, imponendo e condannando, non in altro modo. Inoltre aggiungiamo che gli officiali dei danni dati della Città di Fermo non possano per il proprio specifico officio indagare se non sia stato per movente di una denuncia o di una accusa del proprietario contro coloro che arrechino danni con animali nei prati, dalle calende di novembre fino alle calende di marzo. In realtà nelle altre stagioni possa investigare, punire e condannare secondo la forma dei nostri statuti per un’accusa, una denuncia o anche per il proprio vero e specifico officio.
5 Rub.19
– Coloro che alla prima citazione non siano venuti <presenti>.
Decretiamo ed ordiniamo che chiunque sia stato denunciato, accusato, segnalato o inquisito nella Curia o dalla Curia del signor Capitano o del Giudice di giustizia per queste cose che riguardano la loro giurisdizione sopra i danni dati, debba essere citato una volta soltanto in modo personale o presso la casa di abitazione. E se costui entro la scadenza della citazione non si sia presentato, sia ritenuto come <reo> confesso per queste cose per cui si fanno le procedure contro di lui, e sia condannato secondo la forma degli statuti che trattano questa stessa materia. E se si facesse la procedura in altro modo, senza che sia praticata la forma anzidetta dal detto officiale, il processo non abbia validità in alcun modo, neppure la sentenza.
5 Rub.20
– Il signor Capitano mandi i suoi Notai a rintracciare coloro che arrecano un danno.
Decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano sia obbligato a mandare gli officiali attraverso la Città, i villaggi <contrade> del Comune di Fermo, dentro e fuori, di giorno e di notte, al fine che rintraccino coloro che arrecano e procurano un danno in contrasto alla forma dei detti statuti. E l’officiale sia obbligato a mandare i suoi famigli <aiutanti> e ad andare alle porte della Città di Fermo per vedere e verificare se ci sono alcuni che portano uve o alcuni frutti, o legna, o rami di oliva, allo scopo che possa scoprire se portano cose dai loro poderi, oppure no. E quando abbiano scoperto qualche delinquente nelle dette cose o in qualcuna di esse, condanni i tali colpevoli con le pene comprese in questo volume degli statuti, secondo la forma degli statuti che trattano della materia. E le dette cose non siano rapportate, né abbiano vigore nei Castelli del distretto di Fermo, i quali hanno il Podestà e il Vicario o un altro officiale che li governa, assegnato loro dal Comune di Fermo, sotto penalità per il signor Capitano, se abbia trasgredito nelle dette cose, di 25 libre di denaro da prelevarsi al tempo del suo sindacato. Se egli, insieme con un testimonio o almeno con un Balivo, abbia detto di aver scoperto qualcuno o di aver visto uno procurare un danno, si creda alla relazione del Notaio, o dell’officiale, o dell’aiutante di questo Capitano o del Giudice di giustizia.
5 Rub.21
– Un officiale non riceva alcunché da alcuna persona.
Decretiamo ed ordiniamo che l’officiale già detto eserciti il suo officio soltanto da sé e non tramite alcun sostituto. Neppure riceva da sé qualche regalo, né tramite altri da alcuna persona ecclesiastica o secolare <laica>, sotto la penalità di 50 libre di denaro per ciascuna volta che abbia trasgredito su ciò. E lo stesso signor Capitano abbia quattro Balivi dai Balivi del Comune di Fermo.
5 Rub.22
– Il Capitano faccia e faccia fare il bando di non arrecare un danno di persona o con animali.
Inoltre decretiamo che il signor Capitano già detto faccia e faccia pubblicizzare, all’inizio del suo officio, che nessuna persona produca un danno di persona o con animali, di giorno o di notte, in contrasto alla forma dei detti statuti.
5 Rub.23
– Concedere l’abolizione <revoca della denuncia>.
Decretiamo ed ordiniamo che tutte le volte o in qualsiasi modo, nei danni dati con i passaggi o in altro modo si procedesse in vigore degli statuti dei danni dati, descritti nel presente volume degli statuti, o con la modalità dell’accusa, o della denuncia, o della indagine, possa essere chiesta l’abolizione <revoca> dall’accusatore, da denunciatore o da chi ha ricevuto qualche danno, fino alla lettura della sentenza compresa, e non successivamente; purché venga chiesta e possa essere chiesta tramite un cittadino o un abitante della Città, entro sei giorni, e tramite uno del contando o tramite un abitante del contado entro 10 giorni, da calcolare dal giorno della difesa per chi si è presentato, per il contumace <calcolando> dal giorno del bando. Chi chiede l’abolizione già detta paghi al Banchiere del Comune 5 denari, altrimenti colui che chiede questa revoca non sia ascoltato. E il Capitano sia obbligato ad ammettere questa revoca, dopo praticata la detta forma; e quando questo Capitano non l’abbia fatto, sia condannato con 25 libre di denaro per ciascuna volta quando abbia trasgredito, e su ciò debba essere condannato dai Sindacatori durante il tempo del suo sindacato. E questa revoca in nessun modo sia ammessa in opposizione contro coloro che prendono o riconducono animali scoperti a fare un danno; Né sia ammessa nel caso che non sia stata fatta la presentazione degli animali da parte di chi li ha catturati e riportati <citati> al Giudice, o all’officiale competente entro il tempo di scadenza stabilita dallo statuto sotto la rubrica “A chiunque <per danno> sia consentito di propria autorità prendere gli animali- eccetera -”. Vogliamo inoltre che per i ritrovamenti fatti dall’officiale del signor Capitano o del Giudice di giustizia, se abbiano scoperto alcuni che arrecano danni con animali o senza, <l’abolizione> non sia ammessa e non venga accolta in alcun modo; ma sia totalmente interdetta la facoltà a chi la chiede. E se fosse ammessa o si accogliesse, il riceverla non abbia validità, e l’officiale che l’accoglie o l’ammette sia punito con la già detta pena. E per l’accoglimento di detta abolizione, nel caso in cui si possa accogliere, l’officiale non possa né debba ricevere qualcosa a titolo di mercede da alcuna delle parti, sotto la penalità già detta da trattenersi dal loro salario nel tempo del loro sindacato. Aggiungiamo che quando un patrono dei poderi, o chi ha subito il danno, conducesse l’officiale a scoprire e vedere le persone o gli animali che arrecano un danno, allora il patrono e colui che ha subito il danno possano revocare il ritrovamento per abolizione <della denuncia>, dopo che sono stati pagati 5 soldi al Banchiere del Comune. E l’officiale condotto per l’occasione del detto ritrovamento, quando la pena superasse la somma di 4 libre di denaro e sotto ciò, abbia per il suo lavoro quattro denari soltanto; e per <pena> sopra la detta somma, <abbia> dodici denari per qualsiasi libra di denaro con cui chi arreca il danno, o il patrono degli animali scoperti a dare il danno come sopra, venisse a dover essere condannato.
5 Rub.24
– I danni fatti alle cascine (casette).
Se qualcuno abbia fracassato una casetta, un’abitazione o un atterrato, chiusi con la porta e con serramenti, esistente fuori dalle mura della Città o di un Castello, per la sola effrazione venga punito, in ciascuna volta, con fiorini 25. Se, in realtà, dopo la detta effrazione, sia entrato in essa e abbia provocato un danno prendendo colombi o polli esistenti in essa o uccidendo, o dando un altro qualsiasi danno, venga punito con 50 fiorini. Se poi qualcuno non abbia fracassato la casetta, l’abitazione o l’atterrato già detti alla porta e ai serramenti, ma abbia aperto la porta senza rottura della porta, né della casetta, per la sola apertura venga punito con 20 fiorini. Qualora, in realtà, dopo l’apertura, sia entrato, soltanto per questo entrare sia punito, altre alla penalità di aprire, con soldi 20. Se, in realtà, abbia dato un danno in quella, venga punito come sopra è stato detto per la rovina di una casetta; e sempre faccia emenda per il danno arrecato con il doppio del danno fatto subire <inferto> in tutti gli anzidetti casi.
5 Rub.25
– Su coloro che debbono essere ammessi ad accusare.
Decretiamo ed ordiniamo che nei processi fatti o da farsi nella Curia del Capitano o del Giudice di giustizia sopra i danni dati, sia per l’accusare quanto per il difendere o per scagionare dall’accusa dei danni dati, contenuti in questo volume, venga ammesso il figlio della famiglia <minorenne> e sia considerato come persona legittima, nonostante non abbia avuto il consenso del padre. E chiunque con età maggiore di 10 anni possa essere presente in detto giudizio, nonostante che non sia intervenuta l’autorità del tutore o del curatore; ed anche qualsiasi altro familiare, o lavoratore, colono, suo figlio di costui, e servo, e qualsiasi altro familiare; e sia prestata fede al giuramento dell’accusatore, se abbia detto che egli vide, senza alcun’altra prova, secondo la distinzione dei detti statuti, fino a quella somma <nello statuto>. Ma a nessuno sia consentito, se non una volta soltanto in un mese, accusare nel modo principale con giuramento, sotto la pena di due ducati d’oro per qualsivoglia trasgressore e per l’officiale che accoglie <l’accusa>; e tuttavia quanto venga fatto in modo diverso sia nullo per il diritto stesso. E se qualcuno abbia fatto una accusa o denuncia calunniosa o falsa, venga punito ad arbitrio di questo Rettore, fino alla somma di 100 soldi di denaro. Se in realtà l’accusatore non abbia visto colui che ha fatto il danno e abbia voluto accusare persone incerte <non identificate>, sia ammesso a fare l’accusa e la denuncia di persone incerte in questo modo: cioè che egli accusa e denuncia le persone, tutte quelle che i tali testimoni della cosa detta, abbiano detto e abbiano dato testimonianza che essi stessi hanno visto anche se abbiano detto di se stessi ed abbiano dato testimonianza; e con la testimonianza di costoro, i delinquenti debbano essere condannati, quando le prove ci siano state, secondo la forma degli statuti, senza fare alcun processo. L’officiale già detto possa e sia obbligato, per suo officio, ad investigare anche a richiesta di chiunque dicesse che un danno venne dato ed è stato dato, qualora abbia voluto giurare che egli non conosce coloro che hanno fatto il danno sul quale chiede che si faccia un’indagine. Decretiamo che in un’accusa o una denuncia generale, chi accusa o chi denuncia non possa produrre più di sei testimoni dal contado e otto dalla Città, e diversamente, al di fuori di questa forma, il Capitano o la sua Curia, anche qualsiasi altro officiale non debbano accogliere alcuna accusa né denuncia generale <generica>, sotto la penalità di 25 libre di denaro.
5 Rub.26
– I danni fatti personalmente.
Parimenti decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno sia entrato in un orto altrui recintato, per il solo ingresso venga condannato, per ciascuna volta, a 40 soldi di denaro. Se poi, dopo esservi entrato, egli abbia arrecato un danno nell’orto recintato, sia condannato, per ciascuna volta, a cento soldi di denaro in tutto per il danno e per l’accesso. Se poi <è entrato> in un orto non recintato venga condannato, per il solo ingresso, alla metà della pena detta sopra per l’orto recintato. Se, in realtà, dopo fatto l’ingresso abbia fatto un danno, per ciascuna volta, venga condannato a 40 soldi di denaro: e, dopo il danno fatto, non venga punito per l’ingresso. Se qualcuno poi sia entrato nelle vigne coltivate o lavorate da altri, dalle calende di marzo fino alle calende di novembre, sia condannato per il solo ingresso ad un ducato d’oro; in realtà, in altri periodi sia condannato a cinque soldi di denaro, per ciascuna volta. Se poi, dopo questo ingresso, abbia arrecato danno cogliendo uve acerbe o mature, oltre alla pena per questo ingresso, venga condannato 10 soldi di denari per ogni grappolo d’uva o di uva acerba. Se poi, in altra maniera, abbia dato un danno prendendo olive, legno, o travetti, o canne, viti, o procurando un danno in altro modo in dette vigne, oltre alla pena per l’ingresso, sia condannato a 20 soldi di denari per ciascuna volta. Se poi qualcuno sia entrato nella vigna di un altro, non coltivata né lavorata, o abbia ivi fatto un danno dopo l’ingresso, sia punito alla quarta parte di quella pena con cui sarebbe punito nelle vigne coltivate o lavorate. Se qualcuno abbia arrecato un danno in un canneto raccogliendo foglie o strappando le fronde “fatte” <mature>, venga condannato a 40 soldi di denaro per ciascuna volta. Se in verità abbia fatto un danno spezzando le cime delle canne, incorra nella pena di cinque bolognini per ciascuna cima e si possa fare la procedura anche contro coloro che sono stati scoperti mentre asportavano le anzidette cime, nel camminare, o nell’abitazione, o che le tenevano altrove, o che le trasportavano. E coloro che risolutamente negano al padrone o all’officiale di contare le cime scoperte e di segnalarle per la pena, possono essere puniti, ad arbitrio del padrone o dell’officiale, per il numero che essi stessi abbiano voluto o abbiano deciso nell’atto arbitrale. Se, in realtà, abbia spezzato le canne e le abbia portate via, sia punito, per ogni canna, alla stessa già detta pena. Tuttavia se qualcuno sia entrato nell’altrui podere, coltivato a qualche genere di cereali, di lino, di agrumi, o di legumi, dalle calende di aprile fino a quando il cereale o il legume, o il lino, o l’agrume ci stesse o rimanesse nei detti poderi, o in qualcuno di questi stessi, <prodotto> non tagliato o non estirpato, sia condannato per il solo ingresso con cinque soldi. Se poi abbia fatto un danno, dopo tale ingresso, oltre ai detti cinque soldi, sia condannato a 40 soldi per ciascuna volta. Eccetto che se qualcuno abbia dato un danno mietendo nel campo, o procurando in altro modo un danno, sia condannato a 40 soldi per ciascuna volta. Se poi qualcuno, nei prati altrui custoditi, o nei foraggi segnalati di qualcuno, abbia fatto un danno di persona, mietendo l’erba o il fieno, dalle calende di aprile fino alle calende di luglio, sia condannato per ciascuna volta a 20 soldi. Se qualcuno poi, abbia fatto danno sugli alberi del moro (gelso) cogliendo foglie da questi alberi, sia condannato per ciascuna volta a 40 soldi di denari. Se poi <qualcuno> abbi fatto un danno negli olmi, cogliendo le fronde, incorra nella pena di 10 soldi di denaro, per ciascuna volta, per ciascuno, e per ogni albero. Se qualcuno invece abbia fatto un danno nei frutti degli alberi domestici <privati>, o nei frutti degli ulivi, sia condannato a 100 soldi di denaro, per ciascuna volta. In realtà, negli altri frutti non commestibili per gli uomini o non domestici, se qualcuno abbia fatto un danno, sia condannato a 10 soldi, per ciascuna volta. E nei detti singoli capitoli, coloro che arrecano un danno, siano obbligati a risarcire col doppio del danno inflitto.
5 Rub.27
– La pena per chi coglie le olive degli altri.
Se qualcuno abbia venduto, scambiato o in qualsiasi modo rubato o macinato o abbia fatto macinare o in qualche maniera abbia portato via o abbia ritenuto anche una minima quantità di olive, colui che non abbia i poderi propri o coltivati con ulivi, se non abbia dimostrato da dove e da chi abbia avuto o abbia fatto l’acquisto, incorra nella pena di 10 scuti per ciascuna volta e per qualsiasi quantità, da assegnare per una metà al Comune di Fermo; per l’altra metà all’accusatore, e egualmente all’esecutore. Se poi le anzidette cose siano state commesse nei Castelli e nei luoghi su cui si hanno notizie circa i reati e fruiscono delle loro pene, allora al Comune di Fermo sia assegnata la quarta parte della pena, una quarta parte al luogo anzidetto che è a conoscenza, ciò che rimane, poi, di detta pena sia assegnato come <detto> sopra. E si possa fare la procedura, in queste cose già dette, per via dell’accusa, della scoperta, dell’inquisizione, anche senza che una mala fama preceda, e l’accusatore sia tenuto segreto, e a costui sia prestata fede con giuramento e insieme con un testimonio degno di fede. E nella stessa pena incorrano gli acquirenti e i ricettatori, contro i quali si possa fare la procedura come sopra; se non abbiano dichiarato di aver fatto l’acquisto da un proprietario o da uno che ha ulivi, e a questa legge soggiacciano anche le terze persone, dalle cui mani le dette cose siano state commesse. E nella medesima pena incorrano coloro che hanno ulivi se siano stati scoperti a coglierle nei poderi di altri o ci siano state le prove che le hanno colte. E la stessa pena per le olive, negli stessi modo e forma, come sopra, abbia vigore per le melarance; e se non abbiano pagato questa pena per i casi già detti, entro un mese, allora siano puniti con la pena del furto. Parimenti non sia consentito ad alcuno raccogliere olive, come si dice popolarmente «per lo raccogliticcio» <al suolo> senza il permesso del padrone del podere, sotto la pena di cinque fiorini, e per questo permesso ci si attinga al giuramento del padrone.
5 Rub.28
– I danni procurati con animali.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno abbia immesso un cavallo, un bue, un somaro, una puledra, un mulo, un porco, una capra o una cavalla o <animali> a questi simili in una vigna coltivata o lavorata piena di uve e non vendemmiata, in un orto, in un canneto coltivato o lavorato, oppure, con essi o con qualcuno di questi, abbia apportato un danno, dalle calende di marzo fino alle calende di novembre, qualora <sia> nelle vigne già dette, negli orti o nei canneti lavorati o coltivati, il custode degli animali paghi per il danno, per ciascuna volta, e per ognuno dei detti animali 40 soldi di denaro. Se, in realtà, nei campi seminati egli paghi il danno con 20 di denari per ciascuna volta e per qualsivoglia animale; se su alberi che portano frutti commestibili per gli uomini che stanno <altrove> anziché nei detti luoghi, in ogni tempo, egli paghi 5 soldi di denaro. Se, in realtà, il danno sia stato arrecato nei giardini coltivati e lavorati delle melarance con animali grandi, in ogni tempo, il custode o il padrone degli animali paghi la pena di 20 soldi di denaro per qualsivoglia animale e per ciascuna volta. In realtà, con gli animali piccoli, 10 soldi di denaro, per singolo animale e per ciascuna volta. Dalle calende di novembre fino alle calende di marzo e in qualunque altro tempo, se sia stata fatta la vendemmia nelle vigne coltivate, negli orti o nei canneti coltivati, per il danno, per ciascuna volta e per qualsivoglia animale, egli paghi al Comune 20 soldi di denari; in realtà, nei campi seminati, soldi 5 di denaro. E in ognuno dei casi anzidetti si risarcisca il danno, con il doppio, a colui che l’ha sofferto. In realtà, se sia stato arrecato un danno con le pecore o con una pecora, nelle vigne o negli orti coltivati, dalle calende di maggio fino alle calende di novembre, il custode degli animali paghi e sia condannato, per ogni pecora, e per ciascuna volta, a soldi 5 di denaro, e in un canneto o per un cereale o per fieno, 2 soldi di denaro. Se, in realtà, dalle calende di novembre fino alle calende di marzo in detti luoghi paghi per il danno per qualsivoglia animale e per ciascuna volta, 12 denari. Se, in realtà, in un campo per il fieno, 6 denari. Se, in realtà, in altri luoghi anziché nei luoghi già detti, in ogni tempo e per qualsivoglia animale, per ciascuna volta <paghi> 6 denari e risarcisca chi ha sofferto il danno, con il doppio. Se, in realtà, con questi animali piccoli o con qualcuno di essi abbia arrecato un danno nei prati custoditi, nelle selve o tra piante non domestiche, paghi 12 denari per qualsivoglia animale, e per ciascuna volta. Se, poi, gli animali grandi abbiano portato un danno dalle calende di maggio fino le calende di ottobre, cioè una cavalla in un prato non tagliato o non falciato o per il fieno custodito, paghi per il danno, al Comune 20 soldi di denaro. <Con> altri animali grandi, nei detti tempi, 10 soldi di denaro. In realtà negli altri tempi ed anche nel detto tempo, se il prato sia stato falciato o ‘fienato’, 12 denari, e per prato si intenda che sia nel tempo <come> quando sia delimitato ogni campo. A nessuno sia consentito delimitare <recingere> un terreno se non fino a sei modioli soltanto, e questo terreno sia e debba essere idoneo per produrre fieno, né in altro modo sia consentito segnare i limiti. E gli officiali in nessun modo, nelle cose già dette, abbiano il potere di fare la procedura in altra maniera; e ciò che avessero fatto oltre le dette cose, sia nullo, dichiarando espressamente che sia inteso che il terreno sia proprietà di colui dal quale è stato delimitato. Se, in realtà, l’immissione dei detti animali, oppure il danno arrecato siano stati fatti astutamente, di giorno, oppure di notte, paghi il doppio delle dette pene. E il danno e l’immissione degli animali, si intendano come arrecati astutamente quando il custode sia stato scoperto a custodire i detti animali nei detti luoghi. E in tali danni dati con animali, o senza, sia prestata fede e ci si attenga al giuramento del padrone del podere o del lavoratore, o dei famigliari o di un famigliare e di chiunque di questi stessi, se abbiano visto arrecare il danno, fino alla somma di 20 soldi. E se abbia avuto un testimonio, gli sia prestata fede con il giuramento, fino alla somma di 40 soldi di denaro, per tutte le bestie che il testimonio abbia dichiarato e abbia attestato che egli ha visto. In realtà, <per una somma> sopra a ciò con due testimoni, sia punito con le pene riferite sopra. E in ogni caso, qualora qualcuno sia condannato sul danno arrecato, debba essere condannato nello stesso processo e con la condanna al risarcimento del danno, al doppio, a favore di chi ha sofferto il danno, e per l’estimo di questo danno ci si attenga e sia prestata fede al giuramento del padrone del podere, fino alla somma di 20 soldi di denaro. < Per una somma> superiore a ciò, in realtà, ci si attenga e sia prestata fede alla parola di due vicini giurati più prossimi e ubicati fino a dieci poderi a lato del podere nel quale il danno arrecato sia stato procurato e scelti da colui che ha sofferto il danno; purché nei singoli casi detti sopra ci si attenga alla parola del padrone, con un solo testimonio oculare, sul danno arrecatogli di notte; e in questo caso sia considerato come prova piena e legittima. Inoltre il Notaio dei danni dati sia obbligato e debba, col vincolo del giuramento, sotto la pena di 25 libre di denaro dal suo salario, investigare diligentemente nel tempo dell’indagine da farsi sul custode degli stessi animali nei casi sopra indicati. Decretiamo anche che siano considerati vigne e canneti coltivati come lavorati anche se nel tre anni immediatamente precedenti, ma non di più, non siano stati lavorati. Se in realtà siano restati incolti per un tempo maggiore e non lavorati non siano considerati coltivate le vigne e coltivati e lavorati i canneti.
5 Rub.29
– La pena per chi taglia un olivo e altri alberi.
Se qualcuno contro o fuori dal volere del padrone di un podere abbia tagliato qualche ulivo alla base, o lo abbia estirpato completamente o nella maggior parte, o abbia tagliato un ramo o i rami di qualche base di ulivo, o abbia rovinato i rami sia condannato con scuti 10. Se, in realtà, abbia tagliato qualche parte alla base di qualche ulivo, come si dice, “facendo tacchie” <pezzi>, non in tutto o nella maggior parte, sia condannato a 20 libre di denaro e debba risarcire col doppio il danno arrecato a colui che ha sofferto il danno. Se entro un mese, da computarsi dal giorno della notifica della sentenza, non abbia pagato queste condanne, debba essere frustato nella Città di Fermo, nudo e con le carni scoperte; e nondimeno risarcisca il danno col doppio a chi ha sofferto il danno. Se in realtà <abbia tagliato> una qualche pianta che sostiene una vite o preparata per sostenere una vite, o qualche altro pianta domestica che produce frutti commestibili per gli uomini, o una pianta di gelso dalla radice o al basso del fusto, sia condannato a 5 scuti per ciascuna volta. Se, in realtà, abbia tagliato i rami, o abbia estirpato piante di alberi, paghi la metà della già detta pena di 5 scuti; la metà di queste condanne sia per il Comune e l’altra per chi ha sofferto il danno, e sia sufficiente la prova di un solo testimonio oculare in tutti i casi già detti. Se in realtà <abbia tagliato> piante selvatiche che non recano frutti commestibili per gli uomini, per qualsivoglia pianta così tagliata dalla base del fusto o al piede, sia condannato a 2 scuti per ciascuna volta. E se la pianta così tagliata sia stato grande e adatta per edifici, sia punito a scuti 5. Se in realtà <siano tagliate> piante piccole o rami secchi, per ogni pianta o ramo secco o piccolo, o novello, per ognuna di esse così tagliate sia condannato a uno scuto per ciascuna e per ogni volta. E questo non abbia vigore per spini, ‘vetiche’ <vincoli>, ginestre, e simili a questi, per i quali il danno arrecato sia punito con un fiorino per ogni salma. Se in verità abbia spezzato una fratta o una siepe, per la sola effrazione, sia condannato a due libre. In realtà, se abbia tagliato una fratta o una siepe oppure in altro modo l’abbia devastata, per ogni “passo” <misura> sia condannato a un fiorino. Se in realtà in questa siepe ci siano state piante di qualche specie delle piante già dette, e le abbia tagliate, nella detta siepe o a confine, il delinquente sia punito a somiglianza alle già dette pene. E in tutti casi già detti se i danni già detti siano stati fatti di notte, il delinquente sia punito al doppio delle dette pene. E se qualcuno abbia portato via da qualche catasta, o da qualche mucchio o da qualche altro cumulo di legnami o di viti giacenti nel podere di qualcuno, incorra nella pena di uno scudo per ogni salma <misura>. Se in realtà abbia preso meno di una salma, la metà di detta pena. Se poi da qualche canneto abbia portato via fasci di canne, o abbia portato via foglie ‘fatte’ <appassite>, paghi per il bando 40 soldi di denaro per ciascuna volta e per ogni fascio di canne, o bracciata di canne in qualunque modo risulterà o sarà manifestato per mezzo di una prova piena o semi piena; e sia prestata fede al giuramento dell’accusatore fino alla somma di 20 soldi, senza alcun’altra prova, se abbia detto che lui stesso abbia visto. E il danno, nei già detti capitoli, sia risarcito con il doppio a chi ha sofferto il danno; e l’officiale possa e debba investigare d’officio sopra le già dette cose, fuorché per gli spini, le ginestre, le “vetiche”, le sanguinelle, o le spuntature o rametti minuti selvatici o per cose simili a questi, per i quali non possa fare procedura sul ritrovamento; ma sopra queste cose sia totalmente negato all’officiale dei danni dati il potere e la giurisdizione di procedere e di investigare per mezzo di un ritrovamento.
5 Rub.30
– Pena per chi taglia le viti.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che chiunque abbia tagliato qualche vite, se dal fusto o dalla radice, paghi una condanna di 10 libre di denaro, per qualsivoglia vite. Se, in realtà abbia tagliato un ‘capo’ <tralcio> della detta vite, paghi per penalità 100 soldi di denari per qualsivoglia vite. Se, in altro qualunque modo, abbia tagliato una vite, senza il permesso del padrone della vigna, purché permanga il tralcio già detto, paghi la pena con 5 denari per qualsivoglia ramo di detta vite. Riguardo al permesso dato, ci si attenga al giuramento da parte del padrone della vigna. E le anzidette pene non siano rapportate alle viti, o ai rami di queste viti, tagliati, esistenti in quei poderi, o nelle vigne non lavorate per il tempo dei tre anni, immediatamente precedenti al tempo del taglio delle viti, o dei detti rami. Ma se qualcuno abbia tagliato una vite dal fusto o dalla base di questa vite in questo podere o nella vigna non lavorata per il detto periodo di tre anni, qualora questa vite sia stata potata entro il detto periodo, paghi la pena di 100 soldi di denaro. Se, in realtà, non abbia tagliato la detta vite nel fusto o alla base, ma in altro qualunque modo, paghi la pena di 10 soldi di denaro. Se, in realtà, non vi sia stata fatta la potatura entro il detto periodo, paghi per qualsivoglia base di detta vite la pena di 5 soldi di denaro. E se qualcuno sia stato condannato per qualcuno dei detti motivi a 25 libre di denaro o sopra a ciò e non abbia pagato la detta condanna entro la scadenza, per quella condanna, da assegnarsi ad arbitrio del signor Capitano o dell’officiale dei danni dati, debba essere frustato sulle carni nude attraverso la Città. E se qualcuno abbia tagliato qualche pergolato entro le mura della Città o dei Castelli di Fermo, paghi la pena di 25 scuti, anche più, o meno, ad arbitrio del signor Capitano secondo la qualità del danno; e in qualsiasi dei detti casi, risarcisca col doppio che è stato danneggiato. E per l’estimo del danno, in <uno> qualsiasi dei detti casi, sia prestata fede e ci si attenga al giuramento del padrone del podere fino alla somma di 100 soldi. In realtà sopra a questa <somma> ci si attenga alla parola di due uomini confinanti al podere dove il danno è stato fatto, fino a 10 poderi <vicini>, su selezione di chi ha sofferto il danno. Aggiungiamo a questo statuto: che l’esecuzione di detta pena corporale non possa essere fatta da alcun officiale del Comune di Fermo, qualora il condannato abbia voluto pagare la sua condanna entro un mese dopo che egli sia venuto sotto il potere militare del Comune di Fermo
5 Rub.31
– Come debba essere risarcito il danno fatto di giorno e di notte e ad opera di chi, di uno o di molti.
Decretiamo ed ordiniamo che se qualche danno sia stato fatto di giorno o di notte in un podere di qualcuno e non si sapesse per opera di chi, di uno o di molti, il danno fosse arrecato, se detto podere sia stato vicino a qualche Villa o a qualche Castello, che stesse lontano mezzo miglio dal detto podere, ad opera degli uomini di detta Villa o del Castello più vicino al detto podere, dopo che chi ha arrecato o coloro che hanno arrecato il danno non fu possibile che fossero indagati, fossero scoperti, né fossero rintracciati, questo danno arrecato venga risarcito a colui al quale questo podere sia appartenuto; e sia prestata fede sul danno arrecato al giuramento di chi ha sofferto il danno, fino alla somma di 20 soldi di denaro. In realtà, qualora sia sopra a questa somma, venga praticata la forma degli statuti relativi sul dover risarcire i danni dati. In realtà, se il danno arrecato sia stato nel podere di qualcuno, in qualche contrada o in un vicinato, altrove, non nei detti luoghi, quelli che stanno vicini nell’anzidetto modo, o coloro che hanno i possedimenti più vicini, cioè in dieci possedimenti tutto all’intorno al podere nel quale il danno fosse arrecato, siano obbligati e debbano emendare tale danno a colui che ha sofferto il danno, in un modo simile a quello detto sopra. E a ciò similmente siano obbligati i Fornaciai, i Mugnai, i Coltivatori di granaglie, i Bifolchi, che abbiano dimorato, o siano stati, che abbiano abitato a mezzo miglio presso il podere nel quale sia stato arrecato il danno. E ci si attenga e sia prestata fede al giuramento di colui che ha sofferto il danno riguardo ai detti vicini dimoranti o agli altri detti sopra. L’officiale già detto sia obbligato e debba praticare tutte le dette cose, con vincolo del giuramento, e sotto penalità di 10 libre di denaro da pagarsi dal suo salario.
5 Rub.32
– Coloro che sono stati scoperti dal Capitano o dai suoi Officiali e dagli aiutanti con frutti o con legna in Città, o in qualche via, e che non abbiano un podere o un lavoriero proprio.
Decretiamo ed ordiniamo che se qualche persona ad opera del signor Capitano o del Giudice di giustizia o di un officiale o degli officiali di costoro e di chiunque di questi stessi, sia stata scoperta con frutti o con legna per terra, sulla via o sulla strada, e la stessa persona nella stessa contrada ove sia stata scoperta, non avesse alcun podere proprio né un lavoriero, oppure se lo avesse ed in esso non ci fossero frutti trovati per se stessa, o legna, il signor Capitano, o i suoi officiali, che ci saranno stati nel tempo, contro la persona scoperta con le dette cose, possano e debbano investigare, fare la procedura, punire e condannare alle pene dette sopra, senza alcun’altra prova. Si faccia salva quando tale persona scoperta desse prova che portasse o prendesse i detti frutti o la legna col permesso del padrone del podere e di questo si faccia costatazione e si debba costatare e debba risultare mediante un pubblico instrumento o un giuramento del padrone del podere almeno con un testimonio, il quale dichiari a parole che abbia dato e abbia concesso tale permesso prima del danno arrecato scoperto, allora la persona scoperta non sia minimamente tenuta alla detta pena. Possa inoltre tale persona che porta i detti frutti essere accusata e denunciata da chiunque e sia prestata fede al giuramento dell’accusatore fino alla somma di 10 soldi di denaro. Aggiungiamo che se qualcuno sia stato scoperto a portare legna di ulivi, e di alberi che producono frutti commestibili per gli uomini e di olmi con viti e queste viti grosse, se non avrà informato che egli le ha tagliate nel proprio podere, o con un provato permesso del padrone, come sopra, sia obbligato a pagare un ducato d’oro per uno qualsiasi e per ciascuna volta. E possa anche essere accusato da chiunque e l’indagine sia fatta alla porta e dovunque dagli officiali dei danni dati.
5 Rub.33
– La pena per chi ha tracciato un sentiero.
Decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno abbia fatto, sopra un podere altrui, una strada maliziosamente senza animali o una scorciatoia, venga punito con 20 soldi di denari per ciascuna volta; e se abbia procurato danni, venga punito con le pene indicate sopra, e <indicate> sotto nello statuto sui danni dati, in seguito; se <avvenisse> con animali sia punito con 20 soldi di denaro, e sia prestata fede al giuramento dell’accusatore; cioè al padrone del podere, oppure <che> la sua famiglia abbia detto di aver visto. E il fare maliziosamente una strada o una scorciatoia si intenda quando la via <di percorso> comune fosse in buono stato e percorribile per farci camminare gli uomini e gli animali e non in altro modo. E per tutte le dette cose il detto signor Capitano e i suoi officiali non possano fare la procedura contro qualcuno o contro alcuni, se non a richiesta del padrone del podere.
5 Rub.34
– La pena per chi ha fatto un varco <passaggio> sulla proprietà altrui.
Decretiamo ed ordiniamo che chiunque abbia fatto un varco attraverso un podere o un beneficio <in godimento> di qualcuno, qualora il varco sia stato fatto personalmente, sia punito con 20 soldi di denaro e su ciò sia prestata fede al padrone del podere. E se l’accusatore abbia potuto dare prova per mezzo di un solo testimonio sul varco fatto, sia punito con 40 soldi di denari. Se in realtà abbia fatto un varco <tragitto> con gli animali, con qualsiasi animale grande, oltre la pena anzidetta, sia condannato a 5 soldi di denari. E se qualcuno vi sia andato a cavallo, paghi soltanto la pena per una sola persona, qualora abbia potuto dare la prova di ciò con due testimoni. E se non abbia potuto dar prova con due testimoni che abbia fatto il detto tragitto con l’animale, con il giuramento dell’accusatore o del denunciatore, sia condannato a 20 soldi di denaro. E se abbia avuto un solo testimonio, come è stato detto sopra, fino a 40 soldi di denari. E sia inteso l’aver fatto il tragitto allo scopo di accorciare il suo cammino, purché l’anzidetto statuto non rivendichi per sé vigore nei luoghi ove non ci siano strade delimitate, ma vadano al modo <consueto>, secondo come nei tempi passati è stato consuetudine, come l’andare nel pianoro di Monte Secco <a Fermo>, o in altri luoghi, è stato consueto. Se, in realtà, questo tragitto sia stato fatto attraverso un campo di stoppia, paghi la metà di dette pene. Qualora stia attraverso qualche podere sodo, paghi la quarta parte delle dette pene. E sulle anzidette cose l’officiale non possa d’officio fare la procedura, se non a richiesta e per volontà del padrone del podere. E ciò, soltanto sul tragitto dei cacciatori, non abbia valore, ma se <essi> abbiano arrecato un danno siano puniti come è contenuto nello statuto sui danni dati, purché tuttavia i detti cacciatori nei mesi di maggio, giugno e luglio non possano passare e fare caccia attraverso i poderi con cereali. E questo statuto sul varco non rivendichi vigore contro i forestieri.
5 Rub.35
– Nessun Notaio possa sedersi al banco <sedile in tribunale> del signor Capitano o del Giudice.
Allo scopo di evitare ogni sospetto decretiamo ed ordiniamo che nessun Notaio Cittadino, né alcun altro oltre all’officiale dell’anzidetto signor Capitano, o del Giudice di giustizia possano stare né rimanere presso il banco del signor Capitano o del Giudice o dell’officiale di costoro, in alcun modo, né ingegno. Né lo stesso signor Capitano, il Giudice o l’officiale possano tenere al proprio banco alcun altro Notaio, né farcelo sedere per scrivere alcuni atti d’officio di questo Giudice o dell’officiale. Né lo stesso signor Capitano, o il Giudice o l’officiale, secondo la forma degli statuti, possano affidare il proprio officio, tanto per i danni dati, quanto per le vie, per i ponti e per le fontane, ad alcun Cittadino Fermano, sotto la pena e a scopo di pena, 50 libre di denaro dalla sua paga. Salvo che sia lecito a ciascuno, per proprio volere, condurre al banco del detto signor Capitano, del Giudice o dell’officiale un Notaio qualunque abbia voluto per esercitare e scrivere copie e atti di pertinenza propria.
5 Rub.36
– Il Capitano oppure il Giudice di giustizia debbano produrre le sentenze.
Decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano o il Giudice di giustizia siano obbligati e debbano, due volte in ogni mese, fare le condanne per tutte le singole trasgressioni, le inosservanze, le colpe, i delitti, e i danni dati, sul quale o sui quali risultasse qualche condanna. E di queste subito siano fatte due copie, una delle quali debba stare presso di lui, e l’altra presso il Banchiere del Comune, in quel giorno nel quale vengono lette le condanne, e queste stesse condanne rimangano presso il detto Banchiere. E lo stesso Capitano, il Giudice o l’officiale siano obbligati e debbano, sotto vincolo di giuramento, riscuotere o far riscuotere e far pagare con efficacia queste condanne e le sentenze delle condanne, sotto la pena di 25 libre di denaro dal suo salario; cioè le condanne che potranno essere riscosse legittimamente, comodamente; e debbano far dare, far pagare e far pervenire al Banchiere del Comune di Fermo, che sarà all’officio della Tesoreria, il denaro riscosso e da riscuotere per le stesse condanne. Questo Banchiere e il suo Notaio siano obbligati e debbano restare per il tempo congruo nel Palazzo del signor Capitano per ricevere il denaro e per pagare e per esercitare il loro ufficio e non altrove, come è d’obbligo per il Banchiere del Comune e per il suo Notaio. E il detto Capitano o il Giudice di giustizia siano obbligati a fare prima le condanne poi le assoluzioni; e quando le condanne vengono cancellate, essi debbano tramite il Notaio del Banchiere di detto officiale, far cancellare e far scrivere in margine coloro che pagano le condanne, e un ordinamento simile sia praticato nelle cose già dette, come viene praticato e deve essere praticato dal Banchiere Generale del Comune di Fermo sotto la penalità di 10 libre di denaro per ciascuno e per ciascuna volta.
5 Rub.37
– Il beneficio della confessione e della pace.
Decretiamo e ordiniamo che chiunque sia stato accusato, denunciato, o inquisito di fronte al signor Capitano, al Giudice di giustizia o a un officiale loro o ad uno qualsiasi di loro, in occasione di un danno arrecato per l’ingresso e il tragitto con bestie o senza, e nella prima giustificazione <difesa> o nella risposta che abbia fatto di fronte a questi stessi o a qualcuno di questi, spontaneamente, sinceramente e semplicemente abbia confessato le cose contenute nell’accusa, nella denuncia, o nella detta indagine, nella condanna da farsi su ciò stesso, una quarta parte della pena originale per il detto danno arrecato, di persona, o con animali, sia diminuita. Qualora, in realtà, antecedentemente alla lettura della sentenza <condanna> egli abbia avuto la pace da chi ha sofferto il danno ed abbia presentato questo istrumento di pace, nella forma pubblica, di fronte a questi stessi, allora un’altra quarta delle pene sia diminuita e debba diminuirsi. Vogliamo tuttavia e dichiariamo espressamente che questo beneficio della pace non abbia vigore, neppure sia dato nei casi già detti di danni dati, se non soltanto nella decisione su piante private e su quelle che producono frutti commestibili per gli uomini <persone>, e anche nella devastazione di casette e sui danni dati in tali casette dopo devastate. In realtà questo beneficio della pace non sia affatto esteso sugli altri danni dati <arrecati> in qualsiasi modo. E, in realtà, il beneficio per il pagamento concesso entro una certa scadenza ai condannati per tali danni dati, non sia affatto esteso.
5 Rub.38
– La pena per un incendiario.
Dato il fatto che molti enormi danni a causa della immissione del fuoco in qualche campo con la stoppia, o in una fratta spessissimo avvengono o sono avvenuti nei tempi passati, decretiamo ed ordiniamo che nessuna persona della Città di Fermo e del suo contado e del distretto, o di altro luogo, o in alcun tempo, senza il permesso del signor Capitano del popolo o del suo Giudice di giustizia, che vi fossero nel tempo, osi né presuma immettere un fuoco in qualche campo con la stoppia, o in una fratta, o in un terreno incolto, o in una macchia, o nei mannelli, o in qualunque altro sito, modo o forma, sotto la penalità e la condanna con 25 libre di denaro per ciascuno e per ciascuna volta; e nondimeno sia obbligato a riparare il danno con il doppio <del danno> a favore di chi lo ha sofferto. E colui che abbia avuto il permesso del signor Capitano o dal suo Giudice o dal Giudice di giustizia, non sia obbligato affatto a pagare la pena al Comune al minimo, ma vogliamo che sia obbligato soltanto a risarcire il danno a favore di chi ha sofferto il danno; purché chi chiede il permesso al signor Capitano o al suo Giudice o al Giudice di giustizia in primo luogo e prima di ogni cosa, sia obbligato e debba dare e garantire idonei fideiussori di non arrecare danno ad alcuno con il detto fuoco, di fronte ai detti signori Capitano o Giudice, e se abbia arrecato un danno, sia obbligato a risarcire nel modo già detto.
5 Rub.39
– La pena per chi arreca danno alle melarance.
Decretiamo che coloro che entrano senza permesso dei padroni, nei frutteti custoditi di melarance, incorrano per il solo ingresso, nella pena di un “aurum” oltre alla pena per il danno arrecato; fatta eccezione tuttavia <all’ingresso> per i frutteti che sono contigui al mare con un percorso, talmente angusto che, con le onde mosse del mare, non si possa camminare attraverso la spiaggia, o per necessità, in altra maniera, a causa dei passi stretti, o in altra maniera non si possa transitare, purché non sia stato arrecato ivi un danno. Inoltre decretiamo e ordiniamo che se qualcuno abbia tagliato la base del fusto o un ramo di qualche pianta di melarance, di limone o del pomo di Adamo, o di limoncella, ognuno venga condannato e per ciascuna volta a 10 scuti. Se in realtà non abbia tagliato, ma abbia spezzato, o prodotto un troncone, ciascuno venga condannato a due scuti, per ciascuna volta e per ogni ramo o troncone. Se, in realtà, qualcuno abbia arrecato un danno in altra maniera, cioè cogliendo i frutti da questi alberi, o da qualcuno di questi, eccetto il limone, venga condannato a soldi 5 di denaro per ogni melarancia, fino a 10 melarance; e da qui, oltre 10, sia punito, per ogni melarancia, per ciascuna volta, con tre soldi di denaro; e per ogni limone con soldi 10. E nelle dette cose, la pace e la confessione siano gestite. E in qualsivoglia dei detti casi, sia obbligato e sia condannato nello stesso processo a risarcire il danno con il doppio a favore di chi ha sofferto il danno; e debba essere fatto l’estimo da due dei più prossimi vicini. E se in qualsiasi dei detti casi, fatta eccezione per l’accesso, il condannato non abbia pagato al Comune entro un mese, dopo che sia pervenuto nel potere militare del Comune di Fermo, debba essere frustato nudo attraverso la città; e per le già dette cose, di notte, le pene siano raddoppiate, per qualsivoglia delle anzidette. E per tutte le dette cose il Podestà della Città di Fermo e i suoi Giudici, e il Giudice dei danni dati, e ogni altro officiale della Città e del contado di Fermo, o di un Castello, ove tali cose avvenissero, possano e debbano investigare e condannare i delinquenti alle pene già dette, con il vincolo del giuramento e <per costoro> sotto la penalità di 25 libre di denaro da trattenere dal loro salario; tuttavia cosicché coloro che hanno questi pomi o i detti frutti siano obbligati e debbano lasciarli portare o fare che siano lasciati portare alla Città di Fermo, cioè la terza parte degli stessi frutti e dei detti pomi, e presentarli dinanzi all’officiale delle gabelle <dazi> della Città, dichiarando e affermando il numero e la quantità degli stessi pomi e dei frutti che concorrono alla terza parte, e farli scrivere all’officiale delle gabelle della riva del mare; e coloro che abbiano trasgredito, per ciascuna volta, quando siano stati richiesti e non abbiano portato <ciò>, siano condannati a 10 libre di denaro per ciascuna volta. Coloro che in realtà arrecassero un danno sui frutti dei limoni, siano puniti e condannati a 10 soldi di denaro per ogni limone e per ciascuna volta e al risarcimento al doppio del danno. Aggiungiamo che i cacciatori e gli uccellatori non possano né abbiano potere di colpire o arrecare danno pregiudizievolmente alle basi <dei fusti>, né ai rami dei detti alberi, con qualche genere di bastoni o di canne, o di pietre, con cui possa essere arrecato un danno ai giardini e agli alberi, sotto la pena di 20 bolognini per ciascuno e per ciascuna volta e per qualsiasi pianta. Se in verità in detti giardini il danno sia stato fatto con animali, il padrone degli animali incorra nella pena di un fiorino per qualsivoglia animale e per ciascuna volta. E gli animali scoperti possano impunemente essere uccisi, come negli orti, nelle vigne, nei canneti, in un campo di cereali, e oltre alle pene per gli animali, sia punito anche il custode con 25 libre di denaro, se li abbia introdotti intenzionalmente, e di notte, queste pene siano raddoppiate. Se qualcuno in realtà abbia rovinato la siepe o la fratta del giardino, incorra nella pena di dodici libre <di denaro>.
5 Rub.40
– La pena per chi si cambia il nome.
Se qualcuno che sia stato accusato, denunciato, inquisito, o in altra maniera interrogato dal signor Capitano, dal Giudice di giustizia o dal suo officiale, o chi è stato interrogato sul proprio nome dinanzi a qualcuno di questi stessi, e abbia mutato per sé il suo proprio nome, o <il nome> del padre, per questa cosa soltanto, sul fatto, senza alcun processo, sia condannato a 100 soldi di denaro e in queste cose abbia efficacia il beneficio della confessione.
5 Rub.41
– A ciascuno sia lecito di propria autorità catturare gli animali scoperti a far danno nella sua proprietà, e abbia la quarta parte.
Decretiamo ed ordiniamo che sia lecito e sia stato lecito a chiunque, tanto al padrone o alla sua famiglia, quanto ai lavoratori di catturare di sua propria autorità un animale o gli animali che egli abbia scoperto mentre procurano un danno nei suoi poderi da lui coltivati, purché nella circostanza della cattura abbia la presenza di un testimone, il quale dia la testimonianza che l’animale è stato scoperto nel fare così un danno, e che era e stava nel podere o nella coltivazione di colui che l’ha catturato; purché in quel giorno, in cui l’abbia preso, o nel successivo lo porti e lo conduca e lo presenti davanti all’officiale dei danni dati; altrimenti se non lo presentasse nel detto giorno o nel seguente, dinanzi a questo Giudice, per il fatto stesso, per la sola cattura e ritenzione, incorra nella pena di 25 libre di denaro, nella quale il Giudice dei danni dati, il Podestà, il Capitano o un loro officiale siano obbligati a condannare il tale che così ha catturato o tenuta e che non si è presentato nel detto modo. A nessuno sia consentito resistere contro colui che cattura e che conduce presso la Curia gli animali anzidetti in qualsiasi modo, sotto la pena già detta di 25 libre di denaro. E chiunque abbia catturato, durante un danno a lui dato, un qualche animale, di notte o di giorno, senza dover fare alcuna offesa, e abbia presentato questo stesso e l’abbia posto sotto il potere di detto Giudice o dell’officiale, abbia la quarta parte della tale condanna; e questo Giudice e l’officiale siano obbligati di far questa esecuzione, con vincolo del giuramento.
5 Rub.42
– Un danno arrecato con i buoi, e con altri animali, il cui malfattore non è reperibile.
Parimenti decretiamo ed ordiniamo che se qualche danno sia da essere stato arrecato in un podere di qualcuno, con buoi o con altri animali, eccetto gli ovini, cioè sui cereali, su una vigna o un canneto e in cumuli <di covoni>, o in un orto o sul fieno custodito o delimitato <intorno> e non venissero rintracciati coloro che fanno il danno con i buoi o con gli animali già detti, i bifolchi o i custodi dei buoi e degli animali già detti, che vi stanno al tempo del danno arrecato, o che lavorano in detta contrada, ove il danno fosse stato arrecato, in vicinanza di mezzo miglio dal luogo ove il danno fosse stato arrecato, siano obbligati a risarcire il danno a colui che lo ha sofferto, e siano condannati, tra tutti, a 20 soldi di denaro a favore del Comune di Fermo. E il detto statuto non abbia vigore per un cereale e per fieno dalle calende di agosto fino alle calende di aprile. E si presumano e riconoscano essere <responsabili> quei bifolchi, o custodi del tempo del danno arrecato nella contrada ove questo danno è stato arrecato, dove sono stati soliti, o staranno a fare qualche residenza, o a lavorare; a meno che non abbiano dato prova che nel tempo del detto danno arrecato, essi siano stati altrove, oltre mezzo miglio. E affinché, in modo chiaro, sia manifesto chi sono i bifolchi, all’inizio dell’officio del Capitano, e entro 5 giorni, dopo il bando <avviso> da farsi tramite la presenza del signor Giudice di giustizia, siano obbligati a farsi iscrivere dal Notaio di questo signor Capitano, il quale scriva i loro nomi, e le contrade ove dimorano, e il numero dei buoi, sotto penalità di 50 soldi di denaro per ognuno degli stessi e per ciascuna volta, oltre al risarcimento del danno.
5 Rub.43
– Il padrone non possa essere costretto a pagare una condanna fatta su un servo o su un bifolco.
Decretiamo ed ordiniamo che il signore o il patrono non possa essere obbligato dall’officiale dei danni dati, né da un altro in alcun tempo, a pagare qualche condanna <già> fatta, o che avvenisse in futuro su qualche suo servo, bifolco o inserviente, se non fino alla corrispondente somma del salario o dello stipendio per questo servo, bifolco o inserviente. E <per stabilire> se debba o no, e quanta somma; ci si attenga e si dia fede al giuramento del signore o del patrono. E questo statuto sia l’ultimo e derogatorio di tutti gli altri che si esprimono in contrasto.
5 Rub.44
– La quota parte da dare all’accusatore o al denunciatore.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che l’accusatore o il denunciatore, sempre, ed in ogni caso, abbia e debba avere la mezza porzione della condanna, che si facesse dall’officiale nell’occasione dell’accusa o della denuncia fatta da lui, e la parte restante pervenga al Comune. E il Banchiere del Comune sia obbligato a pagare questa mezza parte allo stesso signor Capitano, al Giudice, o all’officiale dei danni dati, senza alcuna bolla <ricevuta>, dopo aver visto la sola condanna.
5 Rub.45
– Il Capitano, il Giudice dei danni dati e i loro officiali siano obbligati a dare al richiedente una copia dell’accusa, della denuncia o dell’indagine.
Decretiamo ed ordiniamo che riguardo a tutti i processi da farsi dal signor Capitano, o dal Giudice o dai suoi officiali sui danni dati, ciascuno di essi sia obbligato e debba consegnare una copia dell’accusa, della denuncia, o dell’indagine all’accusato, al denunciato o all’inquisito richiedente, oppure al suo procuratore nominato dall’accusato, dal denunciato o dall’inquisito dopo l’intervento a giustificazione <difesa in tribunale>, sotto la pena di 25 libre di denaro per ognuno e per ciascuna volta, purché tale accusato, denunciato o inquisito, o il suo procuratore o qualsiasi altro per lui non possa opporre qualche contestazione, senza l’intervento di un Giudice, prima della sua giustificazione <difesa> o prima della lite contestata, ma tutte le opposizioni siano riservate nella stessa giustificazione, per il fatto stesso. E ciò che è stato detto riguardo ai processi dei danni dati, egualmente venga inteso per i processi delle vie, e delle strade, dei ponti e delle fontane di questa Città.
5 Rub.46
– I citati che non si presentano nel tempo stabilito.
Decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno sia stato citato da un Balivo del Comune, personalmente, o nell’abitazione, un giorno per l’altro <successivo>, e non si sia presentato nella scadenza fissata nella citazione, possa essere multato dal Giudice o dai suoi officiali e essere gravato a mettere danari nel Coppo <cassaforte>, come sarà sembrato conveniente agli stessi officiali o a qualcuno di essi, fino alla somma di 5 soldi, e meno dopo valutata la qualità della persona e dell’affare.
5 Rub.47
– Le pene da imporre dal signor Capitano e dai suoi Giudici e dagli Officiali dei danni dati.
Decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano o il suo Giudice o l’officiale sui danni dati, chi lo è ora e nel tempo <ci sarà in futuro>, sulle vie, i ponti, e le fontane, per esercitare il suo officio, possa e debba imporre una pena per il primo precetto di 10 soldi di denaro o meno; per il secondo 20 soldi di denaro, o meno; per il terzo 40 soldi di denaro o meno; purché ciascuno qualunque di questi precetti sia fatto e debba essere fatto con un intervallo di almeno un giorno, e possa condannare in tal modo colui che disprezza l’avvertimento o il spregiatore; e riscuotere le stesse penalità pagate dai detti o dagli stessi spregiatori o da chi disprezza i precetti e farle pervenire in Comune. E contro questi spregiatori possa fare la procedura con una indagine o in altro modo come a questo Capitano o al Giudice sembrerà conveniente; e i suoi Notai possano precettare, comandare, o imporre le penalità alla metà di dette pene, per dover esercitare la loro giurisdizione, in assenza del signor Capitano o del Giudice, nel modo e nella forma detti sopra. Queste metà di tali pene possano essere riscosse liberamente, riscuotendole, con efficacia, su questi sprezzatori dei comandi dei detti Notai, o di un altro degli stessi, a favore del Comune di Fermo.
5 Rub.48
– I condannati della Curia del signor Capitano o del Giudice che sono da catturare.
Inoltre decretiamo che sia lecito a chiunque di catturare e costringere un condannato o i condannati della Curia del signor Capitano o del Giudice dei danni dati, o dei suoi officiali e presentarli ai detti signor Capitano o al Giudice o ai suoi officiali. E chiunque abbia presentato tale condannato o i condannati, come è stato detto, abbia tre soldi per ogni libra della condanna di questo condannato, e ciò venisse riscosso e pervenisse in Comune. E il Banchiere del Comune sia obbligato a pagare ciò, nel modo già detto, <dandolo> a chi presenta o abbia presentato a chiunque dei detti signori Capitano o Giudice, un multato o i multati o i condannati. E se il detto signor Capitano, o il Giudice non abbiano fatto questa esecuzione, siano obbligati a pagare quella somma con il proprio salario.
5 Rub.49
– Coloro che di notte l’Officiale o i collaboratori del Giudice dei danni datiscovano a recar danno.
Decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno sia stato scovato, di notte, dagli officiali o dagli aiutanti del Giudice, a recare danno, personalmente o con animali, in qualche altrui podere o in una cosa altrui, e abbia portato armi, si possa e si debba fare su lui la procedura per i detti danni scoperti, dal detto signor Giudice o dal Capitano contro quello stesso e lo debbano condannare al doppio della tale pena contenuta nello statuto posto nella Rubrica di cui sopra: “Nessuno bifolco possa portare un’arma” e la pena originale e principale per questo caso questo sia raddoppiata. E sul ritrovamento delle armi ci si attenga e venga prestata fede alla relazione dell’officiale o dell’aiutante, o di uno di <questi> stessi, senza alcun’altra prova.
5 Rub.50
– Nessuno porti legna, viti, canne, grosse o piccole,con animali, o senza, ed i danni arrecati in recinzioni incustodite.
Inoltre decretiamo che nessuno della Città di Fermo o del suo distretto o di altro luogo, osi o presuma di portare o di far portare alcuni legnami, le viti, le canne grosse o minute, in testa, o sulle spalle, con animali o senza, da altrove, anziché dai suoi poderi, e il trasgressore venga punito, per ciascuna volta con 10 soldi di denaro. E a nessuno inoltre sia lecito portare le canne, i pali o i rami secchi anche dai propri poderi senza il bollettino del Cancelliere con il sigillo del Comune, sotto la pena di un ‘aurum’ (aureo), per ognuno e per ciascuna volta; e chiunque possa fare l’accusa e guadagni la quarta parte. E il Giudice o l’officiale dei danni dati sia obbligato e debba investigare e fare scoperte su costoro e condannare i colpevoli; e nondimeno i trasgressori possano essere accusati e denunciati da chiunque. Inoltre decretiamo che chiunque abbia arrecato un danno con i buoi o con le capre nelle recinzioni incustodite, paghi e sia condannato, per ogni bue, a 5 soldi di denaro, ed anche altrettanto per qualsivoglia capra, e sia prestata fede al giuramento dell’accusatore se abbia detto e abbia giurato che il detto danno sia stato arrecato.
5 Rub.51
– Il Capitano debba inviare uno dei suoi Notai nei Villaggi, nei borghi, e nei paesi e nelle contrade di Fermo per indagare su coloro che arrecano danni.
Per lo scopo che i danni non passino o rimangano impuniti, decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano o il Giudice o l’officiale, chi ci sarà nel tempo, sia obbligato e debba, col vincolo del giuramento, e con la penalità di 25 libre di denaro dalla sua paga, per ciascuna volta quando abbia trascurato di praticare le dette cose ed inviare, di continuo di giorno e di notte, uno dei suoi Notai e lo stesso Notaio <abbia trascurato> di andare insieme con gli aiutanti di questi stessi, o di uno degli stessi, verso i quartieri, i paesi e le contrade, all’esterno della Città di Fermo, per ricercare, e investigare o rintracciare coloro che portano danni, personalmente o con animali, nei poderi e nei luoghi altrui, con proibizione dalla forma degli statuti contenuti nel presente volume; e per punire quelli scoperti colpevoli alle pene degli statuti inseriti nel presente volume degli statuti; purché tuttavia il detto officiale non possa condurre via con sé qualche custode delle porte che sta alla custodia delle porte, sotto la pena di 25 libre di denaro per ciascuna volta.
5 Rub.52
– Le pene da raddoppiarsi per danni arrecati di notte.
Affinché i danni arrecati di notte non rimangano impuniti, e poiché per la maggior parte essi vengono fatti occultamente, decretiamo ed ordiniamo che le pene debbano essere raddoppiate per tutti i singoli danni arrecati nottetempo e di notte, personalmente o con animali, e il signor Capitano o il Giudice o il suo officiale siano obbligati e debbano, in questi danni dati, imporre e riscuotere, in ogni tempo, una pena doppia, con efficacia, in modo tale che i danni clandestini non rimangano impuniti.
5 Rub.53
– Il signor Capitano o il Giudice dei danni dati non possa costringere alcuno a pagare, prima che su di lui sia fatta la condanna.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano o il Giudice dei danni dati non possa né debba costringere qualcuno a pagare o a depositare una certa somma di denaro con pretesto di un qualche processo che venisse fatto dai detti signor Capitano o Giudice, in qualche modo o con l’immaginazione di una qualche pena <pecuniaria> da assegnarsi al Comune di Fermo, se non dopo che sia stata pubblicata una sentenza di condanna da questi stessi o da qualcuno di essi; salvo nei casi nei quali in mancanza del pagamento di una pena pecuniaria, venisse imposta una pena corporale.
5 Rub.54
– La pena per i forestieri che arrecano un danno in un possesso dei Cittadini e degli abitanti nel contado della Città di Fermo
Dato che è cosa decorosa e conforme alla ragione che qualsiasi cosa di diritto uno abbia stabilito nei confronti di un altro, egli stesso fruisca dello medesimo diritto, e spesso capita che le Terre circostanti, che non sono nel contado di Fermo, in modo esagerato puniscono e condannano i Cittadini e gli abitanti del contado quando con i loro animali procurano un danno nei poderi delle dette Terre esistenti fuori del contado, come detto, decretiamo ed ordiniamo che chiunque non <sia> Cittadino <di Fermo>, né del contado, quando di persona o con animali arreca un danno nei poderi dei Cittadini o degli abitanti del contado o nei poderi del Comune <di Fermo>, nella Città Fermana e ad opera del signor Capitano o del Giudice di giustizia e <del Giudice> dei danni dati, sostenga quella pena e sia condannato con la stessa pena che sosterrebbero i Cittadini o i comitativi che arrecano un danno di persona o con animali nei possedimenti delle Terre o dei Castelli esistenti nelle Terre fuori dal contado o nei luoghi nei quali venisse fatta la punizione per le dette cose. E affinché l’officiale dei danni dati sia reso più attento per scoprire le dette cose, vogliamo che questo officiale per le cose anzidette, contenute in questo statuto, dopo che sono state scoperte da lui, abbia la metà della parte di quella pena <pecuniaria> che lo stesso officiale, con successo, abbia fatto pervenire e riscuotere in Comune.
5 Rub.55
– Le condanne non siano estinte fino a quando non è stato risarcito il padrone che ha sofferto il danno.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che l’officiale dei danni dati o il Banchiere del Comune di Fermo non possa e non debba cancellare o estinguere nessuna sentenza né alcuna condanna, se prima, il danno non sia stato risarcito al padrone che lo ha sofferto, da chi è stato condannato, sotto penalità per l’officiale o per il Banchiere di 10 libre di denaro qualora abbia trasgredito nelle dette cose.
5 Rub.56
– Entro quanto tempo è possibile fare la procedura sui danni dati.
Decretiamo ed ordiniamo che non si possa fare la procedura, in alcun modo, sui danni arrecati di persona o con animali, in qualunque dei possessi, per un’accusa, una denuncia o un’indagine, dopo trascorso un anno dal giorno in cui il danno è stato commesso. E il processo fatto in tal modo, per lo stesso diritto sia nullo per l’autorità del presente statuto.
5 Rub.57
– Non si possaprendere alcunché per la cancellazione di sentenze.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che nessun Notaio, che lo è ora, o che lo sarà stato nel tempo, nell’officio dei danni dati o nell’officio della cancellazione delle condanne, possa mai né debba prendere alcuna somma di denaro per la cancellazione di qualche condanna, da colui la cui condanna o la sentenza viene cancellata, né da alcun altro per conto di lui, ma sia soddisfatto della sua paga; e qualora abbia fatto in maniera diversa, venga punito nel tempo del suo sindacato o del suo rendiconto a 10 libre di denaro per ciascuno e per ciascuna volta. E gli anzidetti Notai non possano né debbano cancellare alcune condanne dei danni dati, se prima non sia stato risarcito il danno, a favore di chi l’ha sofferto, sotto la pena già detta.
5 Rub.58
– Il signor Capitano, o il Giudice di giustizia non possano sottoporre alcuno alla tortura in occasione di danni arrecati.
Decretiamo ed ordiniamo che il signor Capitano, il Giudice di giustizia o qualsiasi altro officiale dei danni dati non possa né debba sottoporre qualcuno alla tortura, in occasione di qualche danno arrecato, né a qualsiasi altro genere di tormenti, senza che sia spinto da un motivo legittimo; né possa detenere qualcuno a causa di una cosa testimoniata sul danno arrecato, o per un altro motivo, se non per un solo giorno, se la condanna o la pena ascendesse alla somma di 100 soldi di denari o meno. E se la condanna o la penalità ascendesse sopra ad una somma di 100 denari, fino a 25 libre di denaro, allora lo possa detenere per due giorni. E se scendesse sopra detta somma di 25 libre di denaro, possa detenere a suo arbitrio, più o meno, dopo aver considerato la qualità del reato e la condizione dei testimoni. E se abbia fatto in maniera diversa, venga punito a 25 libre di denaro. Inoltre <il giudice> non possa incatenare alcuno, né porlo alle catene in occasione di un danno arrecato, o per altro motivo, ma soltanto punire alle pene contenute in questo statuto, sotto la già detta pena; a meno che sia per più gravi danni dati, di giorno o di notte, e per la falsità dei testimoni. E in questi casi gli sia consentito incatenare o porre alle catene come a lui sembrerà convenire. E per qualsiasi più gravi danni, sia affidato all’arbitrio del detto Capitano e del Giudice.
5 Rub.59
– La <quota> parte da dare all’Officiale dei danni dati.
Inoltre decretiamo ed ordiniamo che il Capitano o il Giudice di giustizia e dei danni dati abbia e debba avere, da tutti i singoli ritrovamenti fatti tramite da loro stessi o da ciascuno di loro, o da ciascuno degli stessi officiali, la quarta parte di quella pena che abbiano fatto pervenire in Comune. Questo statuto non rivendichi per sé vigore nei confronti degli officiali dei Castelli del contado di Fermo; e vogliamo che questi officiali per i reperimenti fatti da loro, in nessun modo possano avere alcunché né la quarta parte. Inoltre aggiungendo vogliamo che lo statuto che concede all’officiale dei danni dati una parte sui reperimenti fatti da lui, sia inteso che abbia valore quando l’officiale scoprisse coloro che fanno danni con animali, o senza, oppure fanno un tragitto o una scorciatoia in flagrante danno, in maniera diversa questo statuto non rivendichi per sé alcun vigore. L’officiale del Comune di Fermo che può investigare sugli ornamenti delle signore, abbia la quarta parte di quella pena che abbia fatto pervenire in Comune a causa degli ornamenti, e di quelle <donne> che portano ornamenti o vestiti in contrasto con la forma dei nostri statuti, se abbia scoperto in fragranza di reato le donne che li portano, altrimenti no. Abbia tuttavia questo officiale la quarta parte di quello che abbia fatto pervenire in Comune, se abbia scoperto qualcuno mentre agiva in contrasto con la forma dei nostri statuti che trattano del lutto per i morti, o dei banchetti, o dei doni, tanto se li abbia scoperti in flagrante reato, quanto se no, purché per suo dovere e non per una denuncia o per un’accusa di qualcuno, il quale abbia scoperto chi delinque e chi non pratica i detti statuti.
5 Rub.60
– Sui danni dati non possa farsi grazia.
Poiché di giorno in giorno avvengono arrecati innumerevoli danni, e con la speranza di ottenere la grazia nella Cernita crescono ogni giorno; pertanto, con l’autorità della presente legge, decretiamo che i signori Priori, che ci saranno stati nel tempo, in nessun modo possano, né debbano accettare le suppliche dei danni dati, neppure fare le proposte nelle Cernite e nei Consigli, né farle leggere dal Cancelliere, o da chiunque altro, sotto la pena di 25 libre di denaro a questi signori Priori, per qualsivoglia di questi stessi; e similmente al Cancelliere se così accettasse le dette suppliche, e le leggesse nelle Cernite o nei Consigli.
5 Rub.61
– I custodi delle porte siano obbligati di andare insieme con l’officiale dei danni dati.
I custodi delle porte vadano e siano obbligati ad andare, di giorno o di notte, ad accompagnare gli officiali dei danni dati, allo scopo che i reperimenti non siano ostacolati, viziati né imbrogliati, e i signori Priori ed i Regolatori li possano condurre con loro, con una paga di 50 bolognini, per ogni mese e per ogni guardiano e custode di porte, e abbiano quei registri di minute ove facciano scrivere i reperimenti dei detti danni dati.
5 Rub.62
– Pene per chi piglia i colombi nelle colombaie.
Decretiamo che nessuno presuma di tentare, o preparare o inserire qualche azione astuta, un artificio, o un’ingegnosità con cui possa pigliare qualche colombo dalla colombaia; in realtà, il trasgressore venga punito con 25 scuti per ciascuna volta. Se in realtà con questo agire astuto, con un artificio, o con ingegnosità abbia preso i colombi, uno o più, incorra nella penalità di 40 scuti. Se, in realtà, qualcuno abbia preso qualche colombo o le colombe, con la balestra, con l’arco, con l’archibugio, o in qualunque altro modo, venga punito con la medesima pena per ogni colombo e per ciascuna volta. Se contro detti piccioni abbia mirato nel tirare con una balestra, un arco, una cerbottana, con l’archibugio o con le mani o con qualsiasi altro modo, in qualsiasi luogo, anche se non abbia colpito, incorra nella stessa penalità, per ciascuna volta. E negli anzidetti casi a chiunque sia lecito accusare con un testimonio, e l’accusatore sia tenuto segreto, e costui guadagni la quarta parte della penalità; e similmente l’officiale che fa l’esecuzione abbia la quarta parte di questa penalità; il <denaro> residuo poi pervenga in Comune, di fatto, senza alcun indugio. Sia lecito, tuttavia, a tutti i singoli di catturare i colombi selvatici o farli catturare nelle strade e nelle selve della Città di Fermo e anche del contado, e ivi preparare o far preparare e adattare le strategie, gli artifici, o le ingegnosità, dopo aver ottenuta precedentemente il permesso dai signori Priori del popolo e dal Gonfaloniere di giustizia di questa Città riguardo agli strumenti e al mangime da usare nelle dette strade e nelle selve della Città e dei Castelli del contado, che non hanno i Vicari o il Podestà; nelle strade e nelle selve dei Castelli del contado che hanno i Podestà o i Rettori, dopo avuto ed ottenuto il permesso da questi Podestà e Vicari o da qualcuno di essi. E i trasgressori, che non hanno ottenuto questo permesso, debbano essere puniti con le pene anzidette. E affinché si abbia una abbondanza e una fecondità di piccioni nella Città di Fermo, vogliamo che tutti e singoli coloro che fanno o che fanno fare qualche colombaia adatta a tenere i colombi, nel territorio della Città di Fermo fuori dalla Porta di detta Città, abbia e debba avere dal Comune di Fermo 25 libre di denaro dal denaro di questo Comune.
5 Rub.63
– La pena per coloro che pigliano o uccidono i pesci in una fontana o in una pescheria
Decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno abbia prosciugato in tutto o in parte una fontana o una qualche piscina dove ci saranno pesci e in queste abbia gettato alcune cose nocive ai pesci con lo scopo di ucciderli o di prenderli, incorra nella pena di 100 scuti e di tre tratti di fune. Se, in realtà, in esse abbia immesso o gettato reti, o le nasse o gli ami o qualsiasi altro arnese o artificio con i quali potessero prendere i pesci, incorra nella pena di 50 scuti. E queste pene, sul fatto e senza alcun processo, siano riscosse, e siano assegnate al Comune di Fermo. E nondimeno lo stesso malfattore, già detto, sia obbligato al doppio <della penalità> a favore del padrone di detta fontana o della piscina sul danno arrecato in tale fontana, nella piscina ed ai pesci. E riguardo a tutte le dette cose, e per ciascuna delle dette, chiunque si tenga e sia considerato e sia legittimo accusatore e denunciatore, e sia tenuto segreto, e guadagni la quarta parte della pena, e l’altra quarta parte sia e debba essere dell’officiale che ne fa l’esecuzione; e si presti fede alla parola dell’accusatore con la parola di un testimonio con il giuramento.
5 Rub.64
– La pena per chi cattura o devasta uno sciame di api.
Decretiamo e vogliamo che se qualcuno catturasse uno sciame di api, che stesse chiuso in qualche cavità o in un albero, o lo devastasse, o da quello estraesse miele, contro la volontà del padrone della cavità o dell’albero, incorra nella pena di 100 libre di denaro, e nondimeno sia obbligato a risarcire al doppio il danno a colui che ha sofferto il danno nelle dette cose. E qualora non abbia pagato la pena entro 10 giorni, dal giorno in cui sia stato condannato, sia frustato nei luoghi pubblici e consueti della Città, come un furfante e un ladrone. E a costui giovi in ciò soltanto il beneficio della confessione e della pace.
5 Rub.65
– Nei casi in cui sia ammesso un accusatore, nei medesimi sia ammesso un denunciatore.
Decretiamo ed ordiniamo che in qualsivoglia caso nel quale viene ammesso un accusatore per accusare dinanzi al Giudice dei danni dati, sia ammesso un denunciatore a denunciare, in qualsiasi modo faccia una denuncia; e quel guadagno che l’accusatore consegue per qualche accusa, il denunciatore lo ottenga per qualunque denuncia fatta; nonostante alcuni statuti o ordinamenti che parlino al contrario. E il presente statuto sia rigoroso e costituisca una deroga.
5 Rub.66
– I Sindaci dei Castelli e delle Ville della Città di Fermo, ai quali compete, debbano prendere la copia di tutti i detti statuti contenuti nel presente volume.
Decretiamo ed ordiniamo che tutti i Sindaci dei Castelli e delle Ville del distretto di Fermo, ai quali compete, siano obbligati e debbano prendere e far prendere la copia dei detti statuti, contenuti nel presente volume, e degli ordinamenti dei danni dati e farli leggere nei loro Castelli e nelle Ville, cioè nel Parlamento pubblico; allo scopo che nessuno procuri o faccia procurare un danno personalmente o con animali nelle terre di altri, o nei possessi, con il pretesto di qualche ignoranza di questi <statuti>. I Sindaci siano obbligati e debbano ricevere tale copia dei detti statuti, entro un solo mese prossimo successivo, da calcolarsi dal giorno della pubblicazione dei presenti, sotto penalità di 100 soldi di denaro per ciascun Sindaco, e per ciascuna volta, quando abbiano trasgredito nelle dette cose.
INCOMINCIANO LE COSE STRAORDINARIE
5 Rub.67
– I giorni festivi da celebrarsi nella Città e nel distretto di Fermo.
A lode e riverenza dell’onnipotente Dio e della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, affinché con le loro intercessione il Comune di Fermo sia governato in un buono, prospero e felice stato popolare, decretiamo che nessun cittadino né un abitante di Fermo, o del suo distretto, faccia qualche attività servile o un lavoriero in queste festività: cioè della Natività del Signore nostro Gesù Cristo, di santo Stefano protomartire, di San Giovanni Evangelista, dell’Epifania del Signore, del giorno del Venerdì Santo, nel giorno della Pasqua di Resurrezione con i due giorni successivi, nel giorno della festa del Santissimo Corpo del Signore Gesù Cristo, nel giorno dell’Ascensione del Signore, in tutte le festività della beata Maria Vergine, sotto il cui nome glorioso proclamato la Città Fermana sia governata, nelle feste di tutti i beati Apostoli, del beato Lorenzo martire, del beato Savino, il cui corpo riposa in questa Città, della santa Croce, del beato Giovanni Battista, di san Michele Arcangelo, del beato Nicola, del beato Francesco, del beato Domenico confessore, del beato Agostino, del beato Martino, di san Zenone, di san Gregorio Papa, di san Vigo <?Vito>, della beata Caterina vergine, in tutti i giorni delle Domeniche: in questi giorni di Domenica inoltre nessuno Notaio possa fare un contratto né alcuna scrittura pertinente all’officio notarile, sotto la pena di 100 soldi da riscuotersi sul fatto a ogni trasgressore e per ciascuna volta, tanto al Notaio, quanto ai contraenti. E nondimeno i detti contratti e le scritture siano inefficaci o di nessuna validità. Sia fatto salvo per i testamenti, per i matrimoni, per le riappacificazioni, le fideiussioni sul non fare offese, per i codicilli, o per qualsiasi altra ultima volontà: ai Notai sia lecito su queste cose fare il rogito e il redigere senza pena tali scritture. E a chiunque sia lecito di accusare i Notai, e coloro che fanno i contratti non praticando le dette cose, e l’accusatore sia tenuto segreto e abbia la terza parte della penalità. In modo speciale ci si astenga da ogni attività servile, siano custoditi e siano venerati i giorni di S. Lucia vergine, della festività della basilica del Santo Salvatore. Nel giorno secondo di giugno nel quale fu estirpato il crudelissimo tiranno e dragone Rinaldo da Monteverde insieme con i suoi figli e i seguaci, e nello stesso giorno le botteghe non siano aperte in alcun modo, né per un pensiero se i signori Priori e il Gonfaloniere di giustizia della Città riterranno opportuno che detto giorno sia solennizzato. E sopra queste cose, e riguardo a tutte le dette cose, il Notaio del signor Capitano, o del Giudice di giustizia, in tutti i giorni di domenica debbano investigare <andando> per le piazze e le porte di Fermo e se abbiano scoperto qualche delinquente o che in altro modo ne abbiano conoscenza, puniscano o condannino a 10 soldi di denari sul fatto stesso, e si presti fede alla relazione dello stesso Notaio quando abbia riferito di aver scoperto qualcuno e che abbia trasgredito sulle dette cose. Si fa salvo che sia consentito a ciascuno che vuole portare frutti, erbe, paglie, o tirar fuori le granaglie dalle fosse con gli uomini e con gli animali i cereali, e per il motivo di mangiare e di bere acqua, e <sia lecito> di portare la farina dai mulini: sia lecito a chiunque. E sia salvo che capitasse qualche necessità a qualcuno, e volesse diminuire il proprio sangue. E si fa salvo che per la furia del tempo, della pioggia, o della piena del fiume, sia lecito a chi abbia qualche cereale nell’aia, o il lino nel fiume, o la paglia nel campo, o qualcosa di simile a causa di detta furia o dei danni della pioggia, o a motivo di evitare la piena <d’acqua> che tracima; e chi abbia trasgredito venga punito, come è stato detto e inoltre sia condannato per ciascuna volta. E il signor Capitano, o il Giudice di giustizia siano obbligati e debbano farlo scrivere questo statuto ed ogni sua parte nelle lettere da scrivere, e da spedire da parte loro in tutti i Castelli e nelle Ville del distretto di Fermo, all’inizio del loro governo affinché pratichino questo capitolo scrupolosamente e lo facciano praticare inviolabilmente. E qualora questo signor Capitano o il Giudice di giustizia siano stati negligenti, perdano dal loro salario 50 libre di denaro. E parimenti i Magazzinieri o i Negozianti nei detti giorni possano impunemente vendere e dare a coloro che lo vogliono il pepe e tutte le cose commestibili; ed inoltre a tutti sia lecito portare agli uomini l’olio e altri frutti commestibili per gli uomini, portandoli con i loro animali con il basto, o a salme e vendere impunemente le dette cose nelle piazze o in altri luoghi della Città. Tuttavia nessun piccolo rivenditore possa acquistare i detti frutti o l’olio, né farli acquistare da qualcuno con lo scopo di rivenderli, per qualche atteggiamento, sotto la pena di 20 soldi per ognuno e per ciascuna volta, da riscuotere sul fatto ad opera dell’officiale, il quale sia venuto a conoscere la verità per sua scoperta o per altra denuncia o per un’accusa. I barbieri possano agire e ve(n)dere nelle <loro> botteghe, a causa della necessità di diminuire il sangue <salasso> o per cose simili di tale natura per gli ammalati, soltanto all’interno della porta della bottega; purché queste eccezioni non abbiano validità né rivendichino per sé luogo nei giorni di domenica, nei giorni della Natività del Signore, della Pasqua di resurrezione, e di Pentecoste, o nei giorni festivi della beata Maria Vergine, ma siano preservati da ogni lavoro o affare e siano di venerazione. E nessuno possa, nei giorni di domenica, o in quelli pasquali, e nella festività della beata Maria Vergine, mettere la sella o il basto ad un somaro né traportare qualche ‘salma’ <peso> con animali, a meno che non sia per portare il corredo di una moglie, che andasse dal marito, sotto la pena di 20 soldi di denaro, contro ogni trasgressore, senza alcuna remissione, per ciascuna volta e per ogni trasgressore tanto Cittadino, quanto forestiero. Vogliamo inoltre che se qualcuna delle dette festività capitasse nel giorno di sabato nel quale verrà fatto il mercato di questa Città, allora si possano tenere le botteghe aperte e questi botteganti e tutte qualsiasi le persone possano vendere impunemente ogni qualsiasi cosa, purché in dette botteghe non venga fatto alcun lavoro manuale, se non la sola vendita delle cose e il loro acquisto, come è consuetudine nei giorni di mercato. Aggiungiamo che, oltre alle dette cose, sia lecito a tutti coloro che vogliono andare per qualche indulgenza e poi ritornare indietro possano impunemente condurre le bestie con il basto e con le loro ‘salme’ <carichi>. E sia lecito ai tintori dei panni di lana, quando avessero il vasetto preparato per tingere e i panni nei tiratoi per essere tirati e per toglierli dai detti tiratoi. Sia lecito, infine, fare tutte quelle cose che non facendole producessero qualche danno alla loro attività lavorativa. E similmente sia lecito a coloro che vogliono fuggire a causa della peste, di andare impunemente, e condurre gli animali con il basto e con le some; e similmente ai mulattieri o agli altri forestieri che vengono da luoghi distanti per 40 miglia dalla Città di Fermo, anche per quelli che vengono per le fiere, e <sia lecito> a coloro che fanno lavori, e ai loro servitori di mettere i basti per trasportare il vitto, cioè pane e vino e cose simili per i propri coloni e per gli agricoltori, e <sia lecito> fare impunemente tutte le cose necessarie a vantaggio degli infermi e dei malati, senza che ci sia alcuna cosa in contrasto. E i signori Priori non possano in alcun modo concedere il permesso a nessuno per le e sulle cose proibite sopra.
5 Rub.68
– Franchigia <incolumità> per coloro che vengono in piazza, ossia al mercato.
Non valga che alcuno, sia Cittadino sia abitante del contado o forestiero, che viene in piazza, ossia al mercato nella Città di Fermo, possa essere preso o detenuto, in alcun modo, per debiti civili né per pagamenti dei cavalli, né per debiti civili delle loro Comunità.