Dio viene a cercare il suo popolo
14. CANTICO DEI CANTICI, SÍR HASSÍRÍM
“CERCARE” NELLA SCRITTURA <l’amore di Dio per il suo popolo>
Bisogna cercare sempre, notte e giorno, senza sosta. Qui si innesta un nuovo tema: cercare il volto di Dio, che è la sua presenza, la sua misericordia, il suo perdono. Il volto è l’aspetto esterno di una persona, rivela i suoi pensieri, desideri, atteggiamenti, soprattutto quando è in rapporto con gli altri. Dal nostro viso le persone vedono come stiamo: se bene o male, se contenti o meno, se dispettosi o ben disposti. Anche di Dio potremmo dire che ha un volto “iroso” ed uno “splendente, misericordioso”.
Nel Cantico dei Cantici il tema della “ricerca” è sottinteso nel cap. 1 ove ai vv. 7ss. si dice: “Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia vagabonda dietro ai greggi dei tuoi compagni”. La Bibbia di Gerusalemme alla nota del v. 7 dice: “Il tema della separazione e della ricerca è in tutta la letteratura amorosa altrettanto o forse più frequente di quello della presenza e del possesso”. Quando si canta l’amore si parla piuttosto della separazione, della ricerca, più che del possesso e della presenza. Questo tema è comune alla letteratura di tutti i popoli: l’uomo o la donna sono colpiti dal fatto che l’altro non c’è e quest’assenza fa sgorgare il canto o il lamento o la ricerca.
Quando si canta, perciò, si dice che l’amato è lontano, perché quando lui è presente si gioisce. Nei capitoli 3, 1-4; 5, 2-8; 6, 1 del Cantico, il paesaggio è quello di un idillio pastorale, che è una scena campestre di serenità e di pace, un ambiente di respiro, dove non si è costretti da niente, ma c’è libertà. Sono realtà simboliche, che indicano una situazione dello spirito. Al cap. 5, 2 la nota dice “ritorna il tema della ricerca (già iniziato nel cap. l, 7)”. La scena è la stessa del cap. 3, ove i versetti 1-4 formano un tutt’uno col v. 5, il ritornello identico al v. 7 del cap. 2 e al v. 4 del cap. 8. Nel cap. 5 che tratta lo stesso tema degli altri citati, l’ambiente è costituito dalla città e la scena si svolge nella notte. Una ragazza corre nella notte, decisa a trovare il suo amato per portarlo a casa della madre, cosa assai contraria alle abitudini e ai costumi ebraici, tanto da far pensare ad un sogno: gli innamorati si dilettano ad immaginare situazioni irreali, come i nostri sogni.
Qui l’audacia della ricerca e la volontà di non voler lasciar partire l’amato sono le prove di un amore appassionato. Sempre la stessa nota al v. 2 dice: “Ci sono la notte, la corsa attraverso la città, le guardie, ma il movimento è differente: l’amato sta dietro la porta e vuole entrare, la amata lo stuzzica e oppone pretesti futili, che sono smentiti dalla sua sollecitudine ad andare ad aprire; ma egli è sparito, ella non lo trova”. Cercheremo di capire ora, attraverso la Scrittura, cosa vuol dire tutto questo in rapporto al tema della “ricerca”. Abbiamo già detto che la chiave di lettura di tutto il Cantico è l’amore di Dio verso il suo popolo. Nello sposo è rappresentato Dio, nell’amata il popolo, ognuno di noi il nostro spirito, l’anima, come diceva Origene.
Per capire il Cantico però, come si diceva che descrive l’arte dell’amore, tutto il nostro cammino verso Dio, in realtà dobbiamo considerare la parola della Scrittura. Il popolo d’Israele concepisce il Cantico dei Cantici sulla base della sua esperienza passata, presente e futura. Il Cantico infatti è anche un libro escatologico, perché proietta verso il futuro, non parla solo del passato: sulla base di ciò che è avvenuto nel rapporto tra Dio e il suo popolo, concepisce tale rapporto col Signore sempre. E’ necessario, allora, lasciarci trasportare dalla parola biblica, per capire il nostro rapporto con Dio e per imparare l’arte dell’amore, cioè, come amare il Signore e come sentirsi amati da Lui. Al v. l del cap. 6 si dice: “Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove si è recato il tuo diletto, perché noi lo possiamo cercare con te?” .
Un altro aspetto: le donzelle, amiche della sposa, dicono che vogliono cercare anche loro lo sposo; è come se dicessero: se interessa tanto a te, interessa anche a noi. Dice qui la nota: “Altro intervento del coro che prepara la conclusione dei vv. 2 e 3”. Ma dove è andato l’amato? E’ sceso nel suo giardino: il luogo dove si farà trovare. Ma cosa è questo giardino? La nota dice: “Non bisogna ricercare l’amato, egli è presente nel cuore della sposa, che è il suo giardino”. Allora non bisogna più cercare? Qui è il problema: non serve cercare perché è nel cuore dell’amata, nel suo giardino, però non si è ancora trovato.
La sicurezza dell’amore reciproco è espressa nel v. 3 “Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me”; simile al v.16 del cap. 2 che si esprime in termini più concreti: “Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me, egli pascola il gregge tra i gigli”. C’è un luogo dove è l’amato, ma bisogna cercarlo, è molto vicino, ma la sposa non vi è ancora. Prendiamo ora alcuni testi della scrittura che ci possono aiutare. Questo tema della ricerca di Dio, è uno dei punti fondamentali della religiosità dell’A.T., perché esprime l’essenza stessa della religione in senso biblico; non più noi andiamo verso Dio, ma Lui si avvicina a noi e ci dà la fede che immette in noi un tale desiderio di Lui che si è fatto conoscere, da indurci a cercarLo.
La religiosità in tutti i popoli è una ricerca di Dio attraverso i suoi segni: anche il creato manifesta Dio. Ma nella religiosità l’uomo si sente come in dovere di fare delle cose, per accattivarsi Dio, qui invece, siamo in un altro contesto, è un altro aspetto della religiosità; Dio attraverso i suoi interventi provoca in noi la fede, allora la ricerca diventa un entrare nella sottomissione a Lui, diventa disponibilità totale dell’uomo nei confronti del Signore. Questo sarà un ‘atteggiamento del credente anche nel N.T. La ricerca di Dio, allora, è legata strettamente a questa sottomissione totale di se stessi a Lui. Allora è chiaro che comprende la piena rottura con ciò che non permette una tale ricerca.
Per questo essa è spesso un ritorno a Dio dalle varie situazioni di peccato, di lontananza. In Es. 33, 7, il verbo ricercare è nascosto sotto il termine consultare, che vuol dire “cercare la sua volontà”. Mosè, ad ogni tappa, prendeva la tenda della riunione e la piantava fuori del l’accampamento. Ad essa si recava chiunque voleva consultare il Signore. La tenda era come un padiglione, un luogo di convegno, e vi erano i segni della presenza di Dio: chiunque voleva cercarLo, doveva uscire e dirigersi verso la tenda, il verbo qui usato è ‘daras’.
Oggi noi sappiamo che Dio “ha posto la sua tenda in mezzo a noi”. Dice la Parola: “Dio, nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio unigenito, rivolto verso il Padre, Lui ce lo ha fatto conoscerete, lo ha rivelato”. L’umanità di Gesù, la sua parola che sono i suoi segni, i suoi miracoli la sua umanità risorta, sono il luogo della presenza di Dio, la sua Shekinà, la sua presenza in mezzo a noi, la sua parola fatta carne. I giudei questo non potevano capirlo, per loro c’era un luogo dove era presente Dio. Noi però sappiamo che il Signore è presente in Gesù, sua Parola, nella Scrittura, nei sacramenti, in Cristo risorto ed asceso al cielo. Questo per noi fonda tutta la realtà dei sacramenti e del Corpo Mistico che è la Chiesa.
Per gli ebrei andare verso la tenda per studiare Dio significava studiare la Scrittura, perché c’è una presenza di Dio nella Bibbia. Infatti dicono così in Palestina: “Se vuoi vedere la faccia della Shekina in questo mondo, studia la toràh” E i rabbini dicono che Dio è più vicino in ognuno. C’è un testo rabbinico che dice: “Nel luogo che il mio cuore ama, i miei passi mi conducono; se tu vieni nella mia casa, io verrò nella tua”, siccome è detto “in ogni luogo dove io commemorerò il mio nome verrà verso di te e ti benedirò. Dove farò memoria del mio nome io sono là, dove sta il nome di Dio io sono là”.
E’ il tema della abitazione trattato da Giovanni. I discepoli chiesero a Gesù dove abitava e Lui rispose: “Venite e vedete” e precisa l’evangelista: “quella sera rimasero con Lui”. Dice ancora la parola del Vangelo: “Dove sono due o tre, riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Ecco il luogo della sua presenza. Vedete che ci sono vari sensi del tema “cercare”, tutti molto interessanti e che ci abituano a risvegliare in noi il desiderio. Pensiamo anche a quello che dice la Regola di San Benedetto per chi entra in Monastero. Si richiede il discernimento da parte dell’abate, per vedere se colui che vuole entrare cerca veramente Dio. San Benedetto dice questo anche in rapporto alla vita monastica del suo tempo, perché vedeva che c’erano anche coloro che volevano entrare in monastero non per cercare Dio, ma per altri motivi, per questo non permetteva loro di entrare.
Sia l’A.T. che il N.T. ripropongono il tema: “cercare il regno di Dio, tutto il resto verrà dopo”. Se uno non ha una ricerca sincera fin dall’inizio, se non sa cosa veramente cerca e vuole, non è adatto per la vita monastica, il suo non è un atteggiamento corretto. San Benedetto risente molto dei Padri attraverso i quali ha amato anche la Scrittura leggendola, sia amando e studiando la tradizione. Per lui la Parola biblica ha il significato che la tradizione gli ha conferito e riconosciuto. Questo mi sembra vero e giusto.
Un testo del Turbessi parlando della ricerca di Dio nei primi secoli propone un excursus molto ampio. Nella Bibbia, particolarmente nell’Antico Testamento, l’espressione frequentissima “cercare Dio” non designa il movimento della ragione verso la conoscenza della esistenza di Dio, ma piuttosto la adesione cordiale del cuore, della volontà umana a quella dell’Onnipotente, adesione che si traduce in pratiche di vario tipo, di molteplici significati religiosi: la preghiera, la legge, la volontà di Dio. I Padri dicono che la preghiera è la concretizzazione della ricerca di Dio, perché prepara alla recezione dello spirito, che scende nell’anima.
Sant’Agostino è l’autore che ha più approfondito questo tema; quando spiega il versetto del Salmo “cercate sempre il Suo volto” dice che quando Lo vedremo “faccia a faccia”, tale quale è, ci occorrerà ancora di cercarLo senza fine, perché Dio deve essere amato senza fine. In fondo il tema della ricerca è l’amore. Se diciamo ad una persona di non cercarla, equivale a dirle “non ti amo” perché quando si ama, si cerca anche colui che è presente affinché non si allontani. Quando si ama qualcuno, persino quando lo si vede, si vuole che resti presente sempre, si cerca cioè che non se ne vada. Questo, indubbiamente, significa “cercare sempre il suo volto”. Il fatto di trovare non costituisce la fine della ricerca, che caratterizza l’amore, ma col crescere di questo, aumenta la ricerca del diletto trovato.
C’è un testo bellissimo delle Confessioni, di cui leggiamo solo una piccola parte tratta dal cap. X: “… Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo, e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte, mi dicono di amarti, come lo dicono senza posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse. Più profonda misericordia avrai di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi a sordi. Ma che amo, quando amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale; non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene d’ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ove è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà. Tutto questo io amo, quando amo il mio Dio. E che cos’è? L’ho chiesto alla terra, ed essa mi ha risposto: “Non sono io”; ed ogni cosa che si trova su di essa ha ripetuto la medesima confessione. L’ho chiesto al mare, agli abissi e ai rettili con anime viventi e mi hanno risposto: “Noi non siamo il tuo Dio; cerca al di sopra di noi”. L’ho chiesto ai venti che soffiano, e tutta l’atmosfera con i suoi abitanti mi ha risposto: “Anassimene s’inganna: io non sono Dio”. L’ho chiesto al cielo, al sole, alla luna e alle stelle: “neanche noi siamo il Dio che tu cerchi”, rispondono. L’ho chiesto a tutti questi esseri che stanno intorno al mio corpo: “Parlatemi del mio Dio; poiché voi non lo siete, ditemi qualche cosa di lui”. Ed essi esclamarono a gran voce: “è lui che ha fatto noi”. La mia richiesta era la mia riflessione, la loro risposta era la loro bellezza. Mi rivolsi poi a me stesso e mi chiesi: “Tu chi sei?”. E mi risposi: “Un uomo”. Ed ecco che ho a disposizione un corpo e un’anima: esteriore l’uno, interiore l’altra; a quale dei due dovrei chiedere del mio Dio? Con il corpo lo avevo già cercato in terra e in cielo, dovunque potei inviare come messaggeri i miei occhi. Meglio, dunque, con l’anima. A lei come a chi presiede e giudica riferivano tutti i messaggeri del corpo le risposte del cielo, della terra e di tutto ciò che è in essi: “Non siamo Dio”, e “E’ lui che ci ha fatti”… Come devo dunque cercarti Signore? Quando cerco te o mio Dio, io cerco la felicità della vita. Ti cercherò affinché viva l’anima mia. Quanto ho spaziato nella mia memoria per cercarti, o Signore; non ti ho trovato fuori di essa. Infatti non ho trovato nulla di te che non mi ricordassi, da quando ti ho conosciuto; poiché da quando ti ho conosciuto non ti ho più dimenticato”. Ti cerco perché c’è una memoria che mi porta a ricordarmi di te: le cose che hai fatto mi spingono a cercarti ancora. La facoltà dell’anima con cui si può cercare Dio è la memoria che non ha niente a che fare con quella con cui ricordiamo le date, le cose, e altro.”
La memoria per Sant’ Agostino vuol dire che noi sappiamo che Dio ha agito e ne conosciamo i fatti che niente ci fa dimenticare. “Dove ho trovato la verità, lì ho trovato il mio Dio, la Verità stessa, di cui non mi sono dimenticato dal giorno in cui l’ho conosciuta. Da allora tu dimori nella mia memoria, e lì io ti trovo quando ti ricordo e gioisco in te. Questa è la santa gioia che tu mi hai misericordiosamente donato volgendo il tuo sguardo alla mia povertà…. Ma dove ti ho trovato, per poterti conoscere? Tu non eri nella mia memoria già prima che ti conoscessi; e allora, dove ti ho trovato per conoscerti, se non in te, al di sopra di me? Tu non hai un luogo: ci allontaniamo, torniamo, e non hai un luogo. Tu, Verità, siedi alto su tutti coloro che ti consultano, e rispondi contemporaneamente a tutti, anche se le domande sono diverse. Tu rispondi chiaramente, ma non tutti capiscono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre si sente rispondere come vorrebbe. Servo fedele non è tanto chi bada a sentirsi dire da te ciò che vorrebbe, ma piuttosto chi si sforza di volere quello che da te si è sentito dire. Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me, e io stavo fuori, ti cercavo qui, gettandomi, deforme, sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le creature che, se non esistessero in te, non esisterebbero per niente. Tu mi hai chiamato, il tuo grido ha vinto la mia sordità; hai brillato, e la tua luce ha vinto la mia cecità; hai diffuso il tuo profumo, e io l’ho respirato, ed ora anelo a te; mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace”.
Commentando poi il salmo 41: “Come la cerva anela”. sant’Agostino chiarisce molto bene cosa vuol dire anelare a Dio, desiderarlo. Spiegando il versetto 4b: “Dov’è il tuo Dio?”. Sant’Agostino afferma: “se mi dice ogni giorno dov’è il tuo Dio e il pagano mi rivolge questa domanda, posso anch’io dirgli: “dov’è il tuo Dio?” Egli infatti mi mostra con il suo dito il suo Dio (la statua), tende il dito verso una qualche pietra e dice: “ecco il mio Dio”. Poiché ho udito le parole “Dov’è il tuo Dio?”, ho cercato il mio Dio per potere non solo credergli, ma anche un po’ vederlo…”. L’anima cerca di comprendere ciò che è Dio in modo da non essere insultata da coloro che dicono: “Dov’è il tuo Dio?”. Cerca la verità immutabile, la sostanza che non viene mai meno, l’anima non è così, perché viene meno e progredisce, sa e ignora, si ricorda e dimentica, ora vuole ora non vuole. Questa mutevolezza non si trova in Dio, se dicessi che Dio è mutevole mi insulterebbero coloro che mi dicono dov’è il tuo Dio?” Io cerco il mio Dio in ogni essere corporeo, ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio desiderando intravedere gli attributi invisibili del mio Dio con l’intelletto, attraverso le cose create, effondo sopra di me l’anima mia e più non mi resta che conoscere se non Dio stesso, perché ivi è la dimora del mio Dio, al di sopra dell’anima mia, lì egli abita, di lì egli mi guarda, di lì mi ha creato, di lì mi governa, di lì mi consiglia, di lì mi trascina”.
Dio, per Sant’Agostino, che è un maestro in questo, sta nell’interiorità. La ricerca è interminabile, ciò è interessante perché costituisce il fondamento del cammino monastico-cristiano. Voi quindi siete i veri teologi, si perché la teologia è la “ricerca di Dio” è la “fides” è la “fede” che cerca la sua comprensione”.
Don Raffaele Canali (†)
Digitazione A. Vesprini