San Gualtiero di Servigliano (FM) raccontato nel 1657 da don Salvatore Navarri

Trascrizione in lingua antica del libretto con traduzione dei testi latini ed aggiunta una nota.

COMPENDIO DELLA SANTA VITA, E BEATA MORTE DI San GUALTIERO

ABBATE LE CUI SACRE RELIQUIE RIPOSANO NELLA PAR(R)OCHIALE DI S. MARCO DI SERVIGLIANO DIOCESI DI FERMO

DEDICATA ALL’EMINENTIS. E REVERENDIS. SIG. IL CARDINAL GUALTIERI ARCIVESCOVO E PRINCIPE DI FERMO

DA DON SALVATORE NAVARRI Sacerdote di Servigliano

In MACERATA, Per Serafino Paradisi. 1657 Con licenza de’ Signori Superiori

\ Si placet Illustriss. et Reverendiss. D.D. Papirio Silvestro Episc[opo] Maceraten[si] Imprimatur Fr[ater]Vincentius de Guliis Min[orum]. Con[ventualium] Sac[rae] Theol[ogiae] Mag[ister] in Patr[ocinio] Univers[ae] Phil[osophiae] Profes[sor]

Imprimatur

Malatesta Gabutius I[uris] V[triusque] D[octor] Protonor[ius] Apostol[icus] Can[onicus] et Vic[arius] et Aud[itor] Gen[eneralis] Illustriss. et Reverends. D[omini] Episc[opi] Maceraten[sis].

Hieronimus Spinuccius Sacrae Theol[ogiae] Doct[or] vidit pro Reverendiss. P. Inquisit[ori] Gen[erali] Anconae ideo si eidem placet Imprimatur.

Imprimatur Fr. Dominicus Maria Ancechius Lector, ac Vicarius S. Officij Maceratae Ord. Predic.

traduzione <Se piace all’ill.mo e rev.mo signor don Papirio Silvestri vescovo di Macerata.  Si stampi. Fra’ Vincenzo Delle Gole dei Minori Conventuali, maestro della sacra teologia, professore nel <patrocinio> di tutta la filosofia. \ Si stampi. Malatesta Gabuzio dottore nell’uno e nell’altro diritto, protonotario apostolico canonico e vicario e uditore generale dell’ill.mo e rev.mo sig. vescovo Maceratese. \ Gerolamo Spinucci dottore di sacra teologia vide per il rev.mo inquisitore generale di Ancona, pertanto se allo stesso piace si stampi. \ Si stampi Fra’ Domenico Maria Ancechi lettore e vicario del sacro Officio di Macerata dell’ordine dei Predicatori

–                  

                                  EMINENTISSIMO, E REVERENDISSIMO SIGNORE

   Nella terra di Servigliano riposano le venerande Ossa del Servo di Dio San Gualtiero Abbate Romano di Casa Patritii. L’affetto di devozione, che porto a questo santo, e il desiderio, che tengo, che la sua vita sia da tutti letta, imitata; mi hanno mosso a darla in luce, l’ho raccolta dall’originale, che in carta pergamena si conserva nella stessa arca del Santo (come ho mostrato con autentica ai superiori delle Stampe, che me l’hanno richiesto). Ma perché è assai antica, e di latinità, che mostra haver del semplice, l’ho tradotta in Italiano; la dedico a V. E. supplicandola, che si come con la sublimità del saper suo, ammirerà li mezzi, che tenne Dio per in(n)alzare il suo Servo alla Gloria; così ella con la generosità della sua Clemenza, scusi quelli errori, che posso haver commessi nel darla alle stampe. V. E. benedica questa piccolissima fatica, acciò che mediante la sua benedittione, altamente, si imprima nel cuore di chi la leggerà, e a guisa di grano di Senapa cresca sì, che possino gli animi inquieti degli Huomini venire, e habitare ne’ rami dell’imitazione del Santo Abbate, e io qui con questo picciolo ossequio della mia devozione, raccordandomele humilissimo Suddito, e Servo, bacio la sacra Porpora.

  Di V. E.              Humiliss. et Devotiss. Ser(vo)    D. Salvatore Navarri

COMPENDIO DELLA VITA DEL VENERABILE SERVO DI DIO

SAN GUALTIERO ABBATE DI CASA PATRITIA ROMANO

La cui festa si celebra alli 4 di Giugno

CAPITOLO I

   E’ ordinario costume di santa Chiesa nel descrivere, che ella fa le vite dei servi di Dio, proporre a’ Fedeli l’origine, e nobilità delle loro famiglie. Così ella nella vita di Sant’Antonio Abate, del quale dice Antonius Aegyptius et Christianis Parentibus ortus, etc. <Antonio Egizio e nato da genirori cristiani e altro>. Lo stesso usa nella vita de Santi Romualdo, Tomaso d’Aquino e tanti altri, la nobiltà del sangue, da un non so qual lustro alle attioni honorate, dei santi, e le fa più ragguardevoli ne gl’occhi de’ mortali. Io so, che il gran vescovo di Marsilia Santo Salviano con apostolico spirito intaccò un tantino la nobiltà lib. 3 de Gubernatione Dei. Quis est, vel dives omnino, vel nobilis, aut innocentiam servans, aut a cunctis sceleribus manus abstinens, quamquam superflue a cunctis dixerim, utinam, vel a maximis, quia volunt sibi id forte maiores, quasi privilegium vindicare, ut iure suo crimina, vel minora committant. <”Il Governo di Dio”. Chi è o in tutto ricco o nobile, o custode dell’innocenza o con le mani libere da tutte le malvagità, benché avrei detto ‘da tutte’ in modo superfluo, magari da quelle peggiori, poiché i maggiori vogliono rivendicare per sé ciò per caso, quasi come privilegio, in modo che per diritto prprio commettano almeno colpe minori ?>. E poco dopo segue Qui est, aut humano sanguine non cruentus, aut coenofa impuri tate non Sordidus? <Chi è che non è macchiato di sangue umano o non si è sporcato di macchie di fango?>Onde credo, che Chiesa Santa, sì come non riprova il detto del Santo Vescovo nelli nobili cattivi, così dimostra, che da nobili sa trarre fonti di virtù, e rivi di santa protezione, e sì come l’oro, e le perle si ritrovano l’uno nelle puzzolenti caverne della terra, e l’altro nel fango delli profondi seni de’ Mari; così la santità e perfettione christiana anco tra le ricchezze, e nobiltà si ritrova di finissimo caratt<er>o. Tale si scoperse in San Gualtiero humil Servo di Dio al racconto della di lui vita dò con essa principio.

CAPITOLO II

Trasse dunque la sua origine dalla Città di Roma, e discese dal sangue dei signori Patrizi nobilissimi per molti titoli. Il padre nomossi Eurito <=Enrico>, e la madre Vittoria alla nobiltà dei natali, benché accompagnassero una non ordinaria bontà di vita, conservandosi nel timore di Dio, nel quale consiste la vera felicità; era però loro di scontento la mancanza di prole, onde spesse volte pregavano la Divina clemenza, che desse loro qualche figlio, mentre fosse per essere a Sua maggior gloria, e a tale effetto non mancavano di ricorrere all’orationi d’altri Servi di Dio, conoscendo benissimo, che la molteplicità delli Intercessori ottiene alle volte da Dio, quello, che per altro sarebbe negato

CAPITOLO III

Pareva, che l’onnipotente tardasse ad essaudire le voci, che si mandavano al Cielo a quest’effetto. Onde Eurito <=Enrico>, e Vittoria implorarono l’aiuto dell’infocate Orazioni del Sommo Pontefice di quei tempi, facendo voto di edificare, e dotare una Chiesa, quando  la clemenza del benignissimo Salvatore si degnasse concedere loro un Figliuolo.

CAPITOLO IV

Non passò lungo tempo, che Vittoria conobbe sopra di sé caduta la celeste rugiada, ed essere gravida d’un Figliuolo, che doveva essere l’ornamento di sua Casa, e a suo tempo felicemente lo partorì a questa luce mortale, per dover con la luce di santa vita illuminare altri molti. Si fecero nella paterna Casa quelle allegrezze, che si possono im(m)aginare alla vista di graziosissimo Fanciullo, e più s’accrebbero con una non ordinaria ammirazione, quando si scoperse nella spalla destra del Bambino una lucente Stella di carne con sopra il salutevol segno della Croce, illustre presaggio di quel celeste splendore, con cui doveva poscia per la via della Croce guidare molti, e ritrovare il Salvatore.

CAPITOLO V

Portata la nova ad Eurito <=Enrico>, corse per vedere il figlio novellamente nato, e rimirando la sua bellezza, e attonito del segno lucidissimo della Stella, e Croce; rese a Dio le debite grazie con humile affetto riconoscendo non dai proprij meriti, ma dalle Orationi de’ Servi del Signore, e massime da quelle del Romano Pontefice aver ottenuto il compimento de’ suoi desiderij. Onde accompagnato da nobile comitiva, si trasferì dal Pontefice, e facendoli offerta del maggior bene, che possedesse, disse con profonda umiltà. “Ecco, Beatissimo Padre, il dono, che mi ha fatto Dio per mezzo delle vostre Orazioni, Voi ne avete da essere il Padrone, e Signore”.

CAPITOLO VI

Alla vista di Creatura sì bella restò il Papa preso, e dal vivifico segno di Croce nella spalla ammirato, e presolo tra le sue braccia, ringraziò il Signore autore di opera così riguardevole, e battezzandolo gli impose il nome Gualtiero, e con spirito divino predisse, che sarìa stato un gran Servo del Signore, e condottiero di molti a pascoli eterni.

CAPITOLO VII

Cresceva intanto il Benedetto Fanciullo sì in età, come ne’ lodevoli costumi, e religiose creanze, e tirava a sé gl’occhi di chiunque lo mirava, per essere di gravità, maturità, e prudenza ornato.

CAPITOLO VIII

Vestì Eurito <Enrico> il suo Gualtiero di vesti condecenti al nobil stato suo, e sopra la spalla destra fece ricamare una Croce, e Stella corrispondente a quella, che era nella carne impressa, acciò si conoscesse, qual grazia era stata concessa dal Cielo al suo Figlio. Arrivato all’età di sett’anni Gualtiero fu mandato alla scuola, nella quale facendo non ordinario profitto, mostrava, che il suo sapere fusse <più> dal Cielo infuso, che da Maestri terreni appreso, mercé che lo Spirito Santo si era eletto quell’anima semplice, per riporvi li tesori della sua sapienza.

CAPITOLO IX

Nell’andare alla scuola passava Gualtiero avanti una chiesa, della quale era custode un Venerando Sacerdote per nome Armando persona di eccellenti meriti, e di singolar devotione. Costui rimirando Gualtiero, in vederlo oltre della bellezza corporale, ornato di modestia, affabilità, e virginal candore abbellito; proruppe in tali parole: “Oh mio Dio, e Salvator Giesù fareste pure la bell’opra, se vi degnaste di concedere a questo Giovane, che alla bellezza del suo corpo accoppiaste la bellezza interna delle Sante virtù”. Mentre così discorreva, passò Gualtiero conforme all’ordinario suo, e dimandato dal Sacerdote Armando col proprio nome; rispose come un altro Samuele: “Eccomi venerando Padre, che cosa mi commandate, nella quale vi possa servire?” Soggiunse il Sacerdote: “Che segno è quello, che portate sopra la veste nella destra spalla?” “Ne significa un altro – rispose Gualtiero – che mercé la grazia di Dio, mi fu impresso nella carne naturalmente, e corrisponde a questo che voi vedete”. E scoperto il luogo del segno glielo mostrò. Preso da tal vista occasione Armando, disse: “Figlio dilettissimo non vogliate essere ingrato a Dio, che tanta gratia vi concesse, facendo nel Corpo vostro un marca, e segno del suo celeste amore; habbiate in voi sempre il suo santo timore, e humiliato nel suo Divino conspetto rendetevi degno sempre di maggiori gratie”.

CAPITOLO X

Sentì il beato giovane gli avvisi, come da Dio venuti replicò: “Che cosa poss’io fare per più piacere alla Divina bontà, e intracciare il suo santo volere?” A questa interrogatione rispose il Religioso Huomo: “Dovete sapere, che il nostro Salvatore in quanto all’esser suo Divino fu purissimamente, e eternamente generato dal suo Eterno Padre, e come Huomo fu dalla sua Santissima Madre senza opra di Huomo, senza lesione del virginal candore concetto, e partorito con ammirazione della natura, che mai più haveva visto, ne vedrà partoriente, né parto simile. Onde dilettati grandemente della purità della mente, e del corpo, e desidera, che si conservi il virginal candore dai suoi affettionati, quale per conservare non dubitarono Chori di Virginelle pudiche, sottoporre il collo alli Carnefici, lasciarsi arrostire nel fuoco, liquefarsi nelle caldaie di pece, essalare le loro anime fra crudeli tormenti con sparger quanto sangue havevano nelle vene.

CAPITOLO XI

Havendo fatte in un tratto profonde radici nel cuore di Gualtiero il discorso del Sacerdote Armando, si dispose di voler servire a Dio, non solo con purità di cuore, che consiste in non macchiare l’animo con sorte alcuna di peccato per quanto gli fosse dal Cielo somministrato l’aiuto di farlo, già che senza la Divina grazia nulla si può operare; ma anco propose di consacrare la purità del corpo abbandonando ogni sozzura di carnal diletto, lasciando raro essempio a’ mortali, li quali non ancora arrivati all’età perfetta, e avendo per così dire le lab(b)ra bagnate di latte si ingolfano com’animali nel fango del sozzo piacere, servendo l’uno, all’altro di mal accostumato Maestro, tanto in parole, com’in fatti. Non così il Santo Giovane Gualtiero, che cacciò dalla casa del suo cuore l’infame fantesca del piacere mondano, e vi collocò la padrona cioè la santa Virginità.

CAPITOLO XII

Profittando giornalmente Gualtiero in ogni conto, tanto ne’ costumi, quanto nelle scienze, giunse a quell’età, che è solita apportare contrad(d)itioni. Pensò il Demonio di sviarlo da’ suoi santi propositi, e staccarlo dalli cari abbracciamenti di quel Signore, al quale haveva dedicato tutto il suo amore, e perché non gli riuscivano le arti sue fraudolenti; adoprò quelle della malitia umana, come dimostra il seguente successo.

CAPITOLO XIII

La Figlia di certo Cavaliere Romano, che nell’Historia della vita di questo Santo è chiamato Preside, viste le cavalleresche maniere del honesto Giovane fortemente di lui s’innamorò, e venendo dalle fiamme d’amore abbruciata, e dagli strali del cieco appetito trafitta, non trovava, se non nel pensier di Gualtiero il suo riposo, e ogni giorno più consumandosi; determinò di scoprire il suo volere al proprio Padre, stimando di dover trovare compassione nel paterno seno, e il fogo ardente del travagliato suo cuore. Scoprì intrepida qual fosse il desiderio suo, e come unigenita, e amata ne ricevé risposta di sod(d)isfatione, piacendo al Padre il partito preso dalla Figliola, e incontinente fatto chiamare Eurito <=Enrico> Padre di Gualtiero il Preside così favellò. Non è cosa da Huomo prudente il lasciar fuggire quelle occasioni, che portano gl’avanzamenti alle Famiglie, che egli conoscendo le nobili maniere del giovane Gualtiero, haveria volentieri concesso a lui la sua Figlia in Moglie, e unite due nobilissime Famiglie insieme in un solo sangue. Piacque altresì ad Eurito <=Enrico> il proposito del Cavaliere, e accettando la Giovane per Moglie al Figlio, se ne ritornò allegro a Casa, e lo fece consapevole del già concertato Maritaggio. Fu questo avviso una ferita al cuore del Beato Giovane. Onde vigorosamente rispose al Padre, che non poteva esser mancatore di fede a chi egli haveva promesso la sua Verginità, cosa che non ne haveria potuto esse(g)uire, quando si fosse congiunto con Donna, anco con vincolo maritale; essendo verissimo come dice l’Apostolo San Paolo, che li maritati sono divisi, parte servendo Dio, parte al loro Corpo, ma li Vergini sono tutti di Dio seguendolo, dovunque egli va. Cominciò Eurito <=Enrico> a sentire assai la risolutione del Figlio; onde parte con preghiere, e parte con lusinghe andava ammollendo lo stabilito dall’imperturbabile cuore di Gualtiero. Pure non trovando il terreno cedente all’aratro delle persuasioni, si venne alle minacce, e battiture, le quali non ad altro valevano, che a far maggiormente scintillare il fuoco, che stava nel petto del martirizzato Giovane. Poveri Padri tanto ciechi, che non vedono il bello nell’essere virtuoso, mentre distornano li Figli dal servizio di Dio. Non mancava in oltre Eurito <=Enrico> di trattare Gualtiero come disob(b)ediente, e ingrato.

CAPITOLO XIIII

Tra queste violenze, e angustie già infastidito dal trattare del Padre, si risolvé d’andare a ritrovare il Sacerdote Armando, accio(c)ché con il di lui consiglio si pigliassero quelli partiti, che fossero valevoli per fuggire le diaboliche insidie. Fu concluso tra di loro che si attendesse alle Orationi, vero rimedio per ogni sorte d’afflittione. Ritornato a Casa il Santo Giovane, e ri(n)serratosi nella sua Camera prostrato in terra cominciò le sue Orationi dicendo: “Voi, o Figlio dell’Eterno Padre, Sapienza increata; Voi, o Gesù Figlio della più Santa Madre, che al Mondo fosse; Voi s(i)ete il Protettore de’ Vergini, e che tenete il sigillo dell’illibata Verginità. Ecco l’infelice Gualtiero maltrattato dal proprio Padre, non per altro, che per non voler con sozzo piacere, perdere la castità, ancorché palliato sia dall’honestà matrimoniale. Tra queste Orationi, Altissimus dedit vocem suam, <l’Altissimo diede la sua voce> e si sentì  un soffio di leggierissimo vento, che li portò all’orecchio questo consiglio. “Fuggi, Gualtiero, fuggi, e a guisa d’un altro Giuseppe lascia il mantello dell’occasione.” Obediente il Giovine alle voci di Dio ritornò dal suo fedele Padre spirituale manifestandogli l’ordine havuto dal Cielo; perciò ambedue di nascosto partendosi da Roma, pellegrinarono per qualche tempo; alla fine pervennero nella Marca, e nella Valle Marana, vicino (nota 1) al Fiume Tenna posero la loro habitatione, ivi tra le solitudini di quei luoghi fatti Romiti, e solitarij con vivere vita angelica, scordati d’ogni altro affare habitavano con la mente nel Cielo. Godeva Gualtiero di vedersi libero dalli lacci del Mondo, e lontano da quelle voci, che tanta noia gl’apportavano. Ma sì come non è possibile che la luce stia senza il suo splendore, che gl’è connaturale, e inseparabile, così la Vita de’ Servi di Dio manda copiose le sue luci. Onde molti tirati dall’essempio di Gualtiero lo seguirono, fondando un monastero vicino al detto Fiume Tenna, il quale poi dalle ingiurie del tempo fu distrutto, essendo quivi prima del Romano Pontefice stato dichiarato Abbate san Gualtiero.

CAPITOLO XV

Erano passati molt’anni, che li Parenti del Santo non havevano potuto havere nuova del loro Figliuolo, e sentendosi ispirati da Dio, partirono di Roma, né sapendo dove s’andassero, finalmente giunsero nella Marca, nel qual luogo hebbero qualche lume, dove si ritrovasse il loro tanto desiderato bene, e sollecitamente colà condotti, non si può spiegare l’allegrezza, che hebbero in vedere il venerando sembiante d’uno, che se bene haveva il Corpo mortale, conversava con lo spirito nel Paradiso. Proruppero gli buoni Genitori in quelle parole: “Fili, quid fecisti nobis sic? Ego, et Pater tuus dolentes queremus.” <Figlio cosa ci hai fatto? Io e tuo padre, dolenti, ti cercavamo.> Ma il santo Abbate havendo a sufficienza risposto a’ suoi Parenti, trattenneli seco per qualche tempo, consolandoli, e incam(m)inandoli per la via del Cielo. Ritornati poscia a Roma i Parenti, edificati sopra modo dalla vita esemplare del santo Abbate, si disposero di venire ad un atto heroico, nel quale consiste la vera perfezione. Venduto per tanto quanto havevano, e fatti poveri, per arricchire il Salvatore nelli altri poveri, e dato anco parte delle loro sostanze alle Chiese, si ricoverarono sotto l’ombre del santo Figlio, desiderando appresso di quelle chiudere gl’occhi, e esalare lo spirito nelle mani di colui, al quale essi havevano dato l’essere, e la vita temporale, sì come riuscì loro, chiudendo li giorni, come si può piamente credere, con la morte de’ Santi. Furono seppelliti conforme la tradizione, che si ha nella Chiesa, che ancora sta in piedi sotto il titolo di san Gualtiero vicino al Fiume Tenna, nella quale si v(u)ole, che ci siano anco le ossa di Armando Compagno di san Gualtiero.

CAPITOLO XVI

Il santo Abbate doppo haver governato con religiosi ammaestramenti li suoi Monaci, predicendo il giorno della sua morte, e profetizzando altre cose; andò a ricevere il premio delle sue honorate fatiche, e gloriosi travagli, che egli haveva  tol(l)erato in questa vita.

Il Corpo di questo Benedetto Servo di Dio doppo qualche tempo portato nella Par(r)(r)ochiale di San Marco di Servigliano, ivi risplende con molti miracoli, e con molte gratie, che egli fa a chi con devotione si raccomanda alla di lui intercessione, il che manifestano li molti voti, e tavolette appese nella Chiesa dove riposano le sacre Ossa, come anco nella Chiesa vicino al Fiume Tenna, dove rese lo spirito al Signore.

   La festa di quello Santo si celebra alli 4 di Giugno con concorso straordinario de’ Popoli vicini, e lontani, la cui sacra Testa resta fin al presente nella parte di dietro segnata con un risplendente segno della santissima Croce. Cosa di stupore a vedersi! Per tal giorno concesse il Sommo Pontefice Innocentio X. Indulgenza plenaria a chi visitando la Chiesa Par(r)ochiale di Servigliano farà quant’ordina sua Santità, il che sia a gloria di Dio.

Il Breve di sua Santità è il seguente.

INNOCENTIUS PAPA X

Universis Christifidelibus praesentes litteras inspecturis salutem, et Apostolican benedictionem Ad augendam fidelium et animarum salutem caelestibus Ecclesiae thesauris pia charitate intenti; omnibus utriusque sexus christifidelibus poenitentibus, et confessis, ac sacra communione refecti, qui Ecclesiam Parochialem Sancti Marci loci Serviliani Firmane Dioecesis, cui Ecclesiae, eiusque Cappellis, et Altaribus, sive omnibus sive singulis, eamque seu eas, vel ea, aut illarum, seu illorum  singulas, vel singula etiam visitantibus, nulla alia indulgentia reperitur concessa die Festo Sancti Gualtieri a primis Vesperis, usque ad occasum solis Festi huiusmodi singulis annis devote visitaverint et ibi pro Christianorum Principum concordia, Haeresum extirpatione, ac Sancte Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint; Plenariam omnium peccatorum suorum remissionem, et indulgentiam misericorditer in Domino concedimus, praesentibus tantum ad septennium valituris. Volumus autem ut si alias Christifidelibus in quacumque anni die dictam Ecclesiam, aut Cappellam, aut Altare in ea situm visitanti bus, aliqua alia indulgentia perpetuo, vel ad tempus nondum elapsum duratura etiam in erectione, et quacumque alio modo, quamtumlibet privilegio concessa fuerit, vel si pro impetratione, praesentatione, ordinatione, seu publicatione aliquid, vel minimum detur, aut sponte oblatum, recipiatur, praesentes nullae sint eo ipso.

Datum Romae apud Sanctam Mariam Maiorem sub Anulo Piscatoris die 5 Martij 1652.

< Breve del papa INNOCENZO X. Salute e Apostolica benedizione a tutti i fedeli cristiani che avranno guardato la presente lettera. Per potenziare la salvezza dei fedeli e delle anime per mezzo dei celesti tesori della Chiesa e con l’intenzione di maggiore carità per tutti i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, penitenti e confessati e nutriti della santa Comunione, quando visiteranno devotamente la chiesa parrocchiale di San Marco del luogo di Servigliano della diocesi Fermana, dai primi vespri fino al tramonto del giorno della festa di San Gualtiero, mentre si riscontra che non è stata concessa nessuna altra indulgenza a questa chiesa, alle sue cappelle e agli altari, sia tutti, sia singoli, noi facciamo concessione ai visitatori che ivi eleveranno a Dio pie preghiere per la concordia dei principi cristiani, per l’estirpazione delle eresie e per l’esaltazione della Santa madre Chiesa, dando loro l’indulgenza e la remissione di tutti i loro peccati per concessione misericordiosa del Signore, in ogni singolo anno soltanto durante un settennio. Ma vogliamo che qualora fosse stata altrimenti concessa qualche altra indulgenza valida in perpetuo o solo per un tempo non ancora trascorso, in un qualsiasi modo o in un’erezione, con qualsiasi privilegio a favore dei fedeli cristiani che visitano questa chiesa o una cappella o un altare sito in essa, quand’anche per una impetrazione, per una presentazione, per una ordinazione o per una pubblicazione, dando o ricevendo qualcosa anche minima, o un’offerta spontanea, per il fatto stesso la presente lettera sia nulla. Data da a Roma presso santa Maria Maggiore sotto l’anello del pescatore <=Pietro> il 5 marzo 1652.

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E perché al conseguimento di questa Santa indulgenza concorrono molti Popoli, ho stimato necessario acciò che fruttuosa si possi conseguire, porre qui alcuni avvertimenti, che serviranno per preparatione.

   Il Primo avvertimento è, che si deve andare alla visita del Santo, non per curiosità, o per spasso, né trattenersi in hosterie, o taverne bevendo allegramente, né per la strada andar burlando, o mormorando, o parlando delli altrui fatti. Ma con divota compuntione di cuore pregando Dio, che voglia perdonare i peccati passati, e preservarci per l’av(v)enire.

   Secondo avvertimento è che la persona, arrivata alla chiesa, dove si celebra la Festa, salutato prima il santissimo Sacramento, e poi venerate le sante Reliquie, si  ritiri un tantino in disparte per prepararsi alla confessione, la quale per vigore del Breve del Papa devesi premettere alla santa Comunione ad effetto di conseguire la sacra Indulgenza, e fatto questo, si deve far la sacra comunione, pregando per la concordia de’ Principi Cristiani, essaltatione di santa Chiesa, e estirpatione dell’Heresie.

   Terzo avvertimento è circa l’Orationi, che si devono fare a quest’effetto, delle quali non si può dare certa regola, lasciandosi alla divotione di ciascheduno, con tutto ciò saria fruttuosa Oratione il recitare li Salmi penitenziali con le Letanie de’ Santi, ov(v)ero per quelli, che non sanno leggere, recitare la terza parte del Rosario, ov(v)ero la Corona del Signore.

   Quarto avvertimento, ci deve ogn’uno guardare da balli, e altre leggierezze, acciocché, mentre la persona va per so(d)disfare a Dio con i meriti del sangue del suo Figliuolo, che si sborsa nel conseguimento dell’Indulgenza in sodisfatione all’eterno Padre, la persona incauta non contraesse nuova colpa mortale, alla quale corrisponde il reato della pena eterna, che è il maggior male, che possa avvenire ad anima ricomprata col sangue pretioso di Gesù.

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ORATIONE DI SAN GUALTIERO

Euge Serve bone, et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis, supra multa te constituam intra in gaudium Domini tui.

Iustum deduxit Dominus per vias rectas. Et ostendit illi regnum Dei. <Ben fatto, o servo buono e fedele, poiché fosti fedele nel poco, ti stabilirò sul molto: entra nel gaudio del tuo Signore. – Dio ha condotto il giusto attraverso le vie di rettitudine. E gli ha presentato il Regno di Dio>

OREMUS

Intercessio nos quesumus Domini Beati Gualterij Abbatis commendet, ut quod nostris meritis non valemus, eius patrocinio assequamur. Per Dominum nostrum ect. \ <Preghiamo. Di grazia, o Signore, l’intercessione del Beato Gualtiero ci raccomandi in modo tale che riusciamo a conseguire con il suo patrocinio quello che non riusciamo con i nostri meriti. Per Cristo Signore nostro ….>

<

nota 1. Documento base sono gli «Acta Sanctorum, Junii, I edizione 1695» ed. G. HENSCHEN pagine 405-407 con la trascrizione di una pergamena di epoca umanistica.

Riguardo al luogo dove giunsero nella Marca di Fermo Gualtiero e Armando (nome che altri autori leggono dalla pergamena “Armeno”) si precisa la traduzione: “Entrambi vennero nel Piceno, in una selva nella Valle Marana e si stabilirono presso Servigliano \….\ in seguito i ricchi e potenti costruirono per loro un ospizio presso il fiume Tenna che non molto dopo fu eretto a monastero in cui si inclusero molti nobiluomini dei quali Valterio era padre e guida. Precedeva gli altri per santità di vita e integrità di abitudini e a tutti insegnava quello che si deve osservare nella via del Signore …”

A Servigliano nella zona valliva del Fosso «Marana» che si versa nel fiume Ete vivo, resta una chiesa attualmente dedicata a Santa Lucia. Presso il fiume Tenna esiste ancora una chiesa di san Gualtiero.

Se il nome Armeno fa pensare al Medio Oriente per l’Armenia anche la stella a forma di Croce fa pensare alla Madonna del Monte Carmelo e ai Carmelitani, scacciati dalla Terra santa dai musulmani nel secolo XIII e l’epoca più probabile in cui questi due monaci vissero a Servigliano pare sia databile appunto al secolo XIII. Lode a Dio>

LAUS DEO

<Digitazione di Albino Vesprini belmontese>

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