Il cardinale Filippo De Angelis arrestato e deportato da arcivescovo di Fermo a Torino nel 1860 non esercitava alcun potere di governo politico amministrativo

<Lettera al giornale L’ARMONIA n. 167 del 18 luglio 1861 di Torino a difesa del Card. De Angelis>\

                                                                 Roma, 10 luglio 1861

                                    Ill.mo Sig. Direttore,

     Ho letto con penosa sensazione nella Gazzetta del Popolo che si stampa costà, N°173, delli 14 giugno p. p., una lettera firmata – I Venti di Fermo – (sic), indirizzata all’E.mo sig. Cardinale De-Angelis, la quale piucché ad aggravare i fatti relativi ad epoca infaustissima, tende a far prevalere l’odiosa opinione che l’Eminenza Sua avesse mano nelle cose di governo, e specialmente nelle politiche misure del 24 giugno 1859, onde farlo misero segno dei sarcasmi e dell’ira dei tristi, forse per attenuare l’iniqua ingiustizia e il sacrilegio di vederlo da lunghi mesi sostenuto prigione in Torino.

     Poiché aveva io l’onore di reggere qual Delegato Pontificio la Provincia fermana, così posso dinanzi a Dio e agli uomini a testimonio che tutte e singole le disposizioni prese in quei frangenti per salvare, come salvai, il capoluogo del movimento sovversivo, tutte procedettero dalla autorità governativa senz’alcuna partecipazione di questo reverendo e degnissimo porporato. Se non che per decorosa cortesia ed alla persola di Lui, e dirò anche per tener conto della commozione dei buoni in quei disgraziati momenti, mi vidi obbligato ad avvisare poche ore avanti l’attuazione degli arresti l’E.mo Arcivescovo a scanso di impressioni allarmanti, e vedendo milizie in giro o clamori sospetti durante la notte. Ecco tutto ciò che seppe il Sig. Cardinale De Angelis delle cose di Fermo del 24 giugno 1859.

      Denudata da questo lato la vergognosa calunnia, non sarà men facile di credere menzognero il rimanente della lettera rapporto agli arrestati che posso assicurare in numero di “sei” essere da Fermo partiti in comode vetture coperte alla volta di Roma, dove subito formali contestazioni,, da loro stessi di poi notificate nei pubblici fogli, come altri “sei” detenuti in Fermo ebbero tutti questi a scelta – o un regolare processo, o l’esilio.- Prudentemente acconciatisi al secondo, furono tosto e spontaneamente somministrati ad alcuni degli ultimi sussidi pecuniari, perché non avevano mezzi del proprio da sostenere le spese giunti che fossero alla prescelta destinazione.

     Io la prego, signor direttore, di voler accogliere nel suo egregio giornale la presente significazione di animo, che riguardando un fatto personale non può essere impugnata dai tristi, né posta in dubbio dagli onesti. In questa occasione sarebbe stato colpa il tacere; obbedendo alla mia coscienza, ho soddisfatto me stesso, ed ho reso non meno un tributo alla verità, che se in molti casi può essere un bisogno, era in questo certamente un dovere.

                                                     Mi creda con ogni stima ed ossequio

                                                                                  Suo Devotissimo Servitore

                                                  N<icola> Marchese Morici

    

   

  

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