Gaetano Sbaffoni
GUARDO QUESTO MONDO, E’ TANTO BELLO
scritti
RICORDANDO MIO CUGINO DANTE AGOSTINI
-POETA-
Dante Agostini nacque a Monteleone di Fermo il 10 maggio 1909. Fin da fanciullo mostrava ogni forma di buona volontà e di bene. Egli si sapeva sempre distinguere tra tutti i suoi compagni di scuola e di lavoro, volenteroso in tutte le attività.
Mi pare di vederlo ancora fanciulletto con un grembiule davanti lavorare insieme al padre nella bottega di calzolaio, gli piaceva. Era bravo anche per altri lavoretti come impagliare fiaschi, fare canestri e cestini di ogni specie insieme a mio fratello Nello.
Lavorava in campagna specie nei giorni della mietitura del grano e della raccolta del granoturco. Mi ricordo che dopo ottenuta la licenza della quarta elementare andò a Montegiorgio per gli esami di maturità come usava in quel tempo, e fu il più bravo tanto che ebbe degli elogi che entusiasmarono i suoi nonni ed i suoi genitori.
Aveva solo diciotto anni quando gli morì la mamma. Furono quelli per Dante i giorni più tristi della sua vita, spesso sfogava il suo dolore in versi di tristezza. “Mai più vedrò quegli occhi tanto belli/ con la sua serica chioma di capelli” e ancora “Poi torna a rifiorir la primavera/ torna la rondine al nido/ torna la barca al lido/ma il ritorno di mamma non si spera”.
Da quel momento, non essendo soddisfatto del lavoro di calzolaio, cominciò a fare il barbiere e tutti i giorni andava a Fermo in bicicletta per meglio perfezionarsi.
Spesso dormiva nella mia casa a Belmonte Piceno perché mia madre era per lui e per gli altri fratellini rimasti orfani, la seconda mamma.
Ero legato a lui con amore fraterno sia per lo stesso ideale sia per le amicizie intrecciate insieme con i Monti, i Rinaldi di Curetta di Servigliano e con Vitturini Secondo di Penna San Giovanni. I dibattiti poetici erano i passatempi delle lunghe sere d’inverno.
Durante la mia vita militare a Fiume e più tardi ad Ancona, ci scrivevamo sempre, e lui sempre col dolore della perdita della sua giovane mamma. “Vivo così miseramente solo/ come battello sperso in alto mare/ solo nel desco, solo a lavorare/ e solo a riposar nel letticciuolo/ unica compagnia che mi conforta/ il bel ritratto della mamma morta”.
Congedatosi dalla vita militare, aveva tanta voglia di studiare che tante volte mi diceva che sarebbe andato, pur di raggiungere lo scopo, nel convento dove studiava il fratello Dino.
Più tardi si sposò con Orga Bracalenti di Curetta di Servigliano, donna laboriosa e molto economa con raffinato mestiere di sarta. Insieme con lui, che lavorava da barbiere, raggranellavano il denaro non solo per una vita dignitosa, ma pure per l’acquisto di libri per riprendere lo studio interrotto da Dante alla quarta elementare.
Con poco tempo riuscì a meritare il diploma di ragioniere, ma non si accontentò. Si iscrisse all’università, frequentò per qualche anno la facoltà di economia e commercio. Ricordo ancora i suoi temi premiati.
Subito dopo la guerra trovò impiego a Roma presso il Banco di San Paolo di Torino, ma il suo maggiore diletto, il suo hobby fin da fanciullo, fu sempre la poesia.
Aleggiava in lui la spiritualità al di sopra della materia. Pubblicava le sue poesie nei giornali “Rugantino” e “Aquila Romana”.
Dante fu un uomo di qualità stupende, di un’infinita delicatezza e di una bontà che oltrepassava i limiti, uomo onesto e di alto valore morale, amico e rispettoso con tutti. Se qualcuno lo offendeva rispondeva calmo e sorridente con parole dolci e pronte che sgorgavano dal suo cuore aperto e generoso. Sempre pronto a pennellare i suoi pensieri con la sua grande vena poetica. Il destino ha voluto, proprio quando poteva raccogliere i frutti del suo sudato lavoro i lasciasse per sempre con un gran vuoto intorno a noi che gli volevamo tanto bene e che lo ricordiamo con tanto rimpianto come maestro di una cultura vasta e aperta e come amico sincero. E’ per me il cugino più caro.
***
La poesia Marchigiana
PER LA MORTE DI VITTURINI SECONDO
Un faro luminoso oggi si è spento,
si è spento un uomo dotto, uno scrittore
una fonte di sapere, un gran poeta,
semplice e buono, assai saggio e gentile,
genuina sorgente di poesia
nascosta tra le siepi, ove nessuno pensa
o va a cercare.
Noi che ti seguimmo e ti ammirammo
siamo restati sconsolati e mesti,
come scolari a cui manca il maestro,
come barca che ha rotto il timone
e nave senza nocchiero.
Tu non sei morto, no! Rivivi ancora:
nelle nostre memorie sempre echeggia il tuo canto.
Signor che tutto vedi dall’alto dei cieli,
il nostro amico Secondo Vitturini
accoglilo con Te, al regno beato
che sol da Te eguaglianza e giustizia egli ha sperato!
LA MIA TERRA
Amo questa terra marchigiana,
la bellezza delle sue colline,
ove si gustano le radiose aurore
e i silenziosi tramonti,
ove si scorgono sereni
interminabili orizzonti,
graziosi poggi, vecchi abituri e ville,
amo le lussureggianti sue vallate,
siepi e fossati verdi di viole,
torrenti e fiumi dalle limpide acque
che scorrono giù verso il mar
fresche e lucenti.
Amo l’azzurro mar, le amene spiagge,
i monti Sibillini a mesi nevosi
le cose antiche d’arti medievali,
le sue industrie, i suoi edifici,
i suoi paeselli arrampicati sui colli,
la brava gente laboriosa,
le case imbiancate con le soglie erbose,
dove sono i ricordi del passato,
gli amori giovanili,
i giorni di contento, di speranza
e di desìo.
Ricordo la vita allegra e miserella
di allora, gli allegri canti
degli agricoltori, le messi ondulate
dal vento, i prati verdi,
gli alberi mossi da un venticello
che mitigava la stanchezza dell’agricoltore.
Amo i boschi popolati
di volatili e altri animali,
le piante, i rovi, le acacie,
le ginestre, i ginepri con altri fiorellini
sconosciuti e selvatici:
un miscuglio di odori che rallegra e piace.
A tutte queste cose son legato
e tanto amore ho per la mia terra
dove sono nato e son cresciuto,
dove tanto ho goduto e tribolato
e ancor mi accoglierà al riposo eterno.
CHE COSA E’ PER ME LA POESIA?
La poesia è la bellezza interiore
Del nostro essere:
il fiore della letteratura.
Come il fiore è migliore
di tutte le cose che ha creato la natura:
migliore delle foglie,
dello stelo e del frutto…
E’ qualche cosa che esalta ed eleva
al di sopra del materialismo
e del fango umano.
La poesia ingentilisce l’animo del poeta,
lo distrae dalle cose più brutte ed effimere.
Aleggia la spiritualità
al di sopra della materia.
La poesia è amore perché il poeta ama:
assapora tutte le bellezze della natura,
le descrive, le ammira e le canta.
Il poeta sente il fascino della poesia,
guardando agli occhi di una fanciulla,
all’amore di una mamma,
alla bellezza di una donna, di un bimbo,
alla personalità di un uomo,
al fiorellino sperduto nei campi,
alle piante fiorite,
ai boschi profumati di fiori,
ai campi verdi, alle brezze mattutine,
agli uccellini che cantano,
alle zolle assetate,
alla pioggia che cade,
alla neve che fiocca:
quanta poesia v’è nell’aria!
Vorrei essere poeta per cantare
le grandezze delle piccole cose
ed “illuminarmi d’immenso…”.
TUTTO E’ POESIA
E’ poesia ritrovarsi insieme nonni e nipoti:
un vivo ricordo dei tempi lontani.
E’ poesia una montagna innevata,
una pioggia che cade,
un giardino fiorito,
un vigneto con i grappoli coloriti,
un passeggiar nelle sponde di un fiume,
tra la freschezza dell’acqua che scorre
e il tappeto di piante spontanee.
E’ poesia vedere un’aurora che nasce,
un tramonto estivo,
un merlo che fischia,
un usignolo che verseggia,
una rana che gracida nella fonte,
uno svolazzar di polli in una casa colonica,
un tintinnio di pecore alla pastura
o nelle capanne poste sulle cime
a tutti i venti
o nascoste nelle valli.
E’ poesia il sorriso di una fanciulla
Che cancella una tristezza,
annulla un dispiacere.
Ripenso alla poesia di un tempo !
A quella vita tanto semplice e miserella,
ai lieti canti delle fanciulle.
Le gioie delle feste,
del vestito nuovo,
della befana
pregustate dall’attesa!
Poesia: le stelle che brillano
lassù nell’azzurro,
la luna che rischiara l’oscurità
della notte.
Poesia: le bellezze femminili,
muse ispiratrici dei poeti,
sentimentali di ogni tempo!
In occasione della festa degli anziani e dei nipoti il giorno dell’Epifania a Servigliano: 6/1/1989
L’anno nuovo
IL NUOVO ANNO
Ascolta, anno di speme, la preghiera
che con amore fa l’agricoltore,
riporta ansia di pace in seno al cuore,
di moralità e di giustizia vera.
Della campagna la genìa più fiera
sia nei tuoi campi e cessi il lividore
dell’uomo indegno e regni aura d’amore
la pia linfa di Dio viva ed imperi.
Risuoni in ogni dove il dolce canto
misto con quello degli uccelli in coro
che ti fa inorgoglir di onore e vanto.
Il nuovo anno ci porti gran tesoro:
tanta salute e di raccolto tanto,
che è poi il compenso di tutto il lavoro!
LA NEVE
Oh, in che silenzio
scende la neve!
Come farfalla
agitata dal vento,
tutto imbianca
per tutto s’attacca.
Il gelido vento
trasporta la neve;
bufera invernale
che ancor non s’arresta,
agita, turba,
interrompe le strade,
copronsi gli alberi
copre le case,
ai monti e al piano
si vede sol neve!
Casette sperdute
in aperta campagna,
rimaste isolate.
Intorno al ceppo
che avvampa i camini
siedon sommessi
gli avi e i bambini.
Uccelli sgomenti
vanno alle stalle,
vanno ai pagliai
cercando il granello:
quelle bestiole
che di lieti canti
empivan la valle;
com’eran allegre!
Soffrono il freddo,
soffron la fame.
Il viandante s’affretta,
pauroso, sperduto,
traccia la neve
per rincasare:
i suoi cari l’attendon!
Molto sgomento
pei poverelli
che attendon con ansia
giornate migliori
per lavorare,
per guadagnare
il pane ai figlioli.
O inverno che fai?
Soltanto freddo
e diluvio di neve!
Dacci anche un giorno
di tiepido sole.
Facci scaldare,
distruggi la neve.
Quando vedremo
fiorir la semente
che bene riposa
sotto la neve?!
O inverno non puoi!
Verrà primavera,
verrà il sole d’oro
a ridare la vita!
LA NEVE
Mugola il vento,
scende la neve,
il sole, nascosto
tra un velo di nubi,
ogni tanto risplende
nel bianco lenzuolo,
sfavilla d’argento
il ghiaccio di neve.
Quante pitture
sulle grondaie,
sugli alberi nudi,
sui pali e sui muri,
sui monti e le valli,
in aperte campagne!
In case sperdute
guizza il camino,
il fuoco riscalda
l’intera famiglia
dei contadini
che giocano e veglian
in lunghe serate
e lunghi riposi,
pensano al pane,
al pane futuro
che è sotto la neve!
La Primavera
MARZO
Capriccioso e pazzerello
il sol scalda la campagna,
note allegre che accompagnan
il cantar del villanello.
Spira ovunque un venticello,
nuvolaie alla montagna,
qualche spruzzo che ci bagna
e poi il sole splende bello.
Brillar fa le goccioline
sugli alberi ormai in fiore
e le tenere fogline.
Marzo spiri gioia e amore
tu, a tutte le piantine
dài più forza e più vigore!
PASQUA
E’ Pasqua, giorno felice:
suona a festa la campana!
Dalla Chiesa più lontana
che è risorto il Signore, dice.
Ce lo comunica il sole d’oro!
La natura si ridesta
tutta pace e tutta festa!
Tutto gioia, tutto un coro.
Non più nubi fosco cielo
di giornate e passione,
tristi venti e confusione,
oggi invece senza velo
splende il sole che rinnovella
e ogni essere vivente
più vicino a Dio si sente
e con l’anima più bella!
Lo annuncian i fiorellini
che nei prati e nei fossati
ogni dove sono nati
belli, freschi e graziosini.
E ancor le rondinelle
a far festa son venute,
così nobili ed astute
come tante monachelle.
Tutto un inno di preghiera
sale al cielo col Signore
dalla terra con amore
in sì bella primavera!
E’ PASQUA
La festa che ci riempie di gioia,
la festa della vegetazione,
del risveglio di tutta la natura,
di ritrovi, di scampagnate.
Fioriscono gli alberi di ogni specie,
i prati sono coperti di un tappeto verde,
con fiorellini sparsi.
Piante ondulate dal vento,
come onde del mare.
A tutte queste bellezze della natura,
s’accompagnano il cinguettìo dei passeri
in amore e il garrir di rondinelle
pellegrine ritornate da paesi lontani!
Dai versi degli usignoli,
dalle rane che a sera gracidano
nei fossati profumati di viole,
è tutto un festeggiar di canti diversi
per la Resurrezione di Gesù!
Per comprendere
questo grande mistero Pasquale
basta spaziare gli occhi lontano
tra i monti rinverditi dalla primavera,
con lo spirito sollevato dalla Fede
e da questa infinita bellezza nascono
e prosperano in noi il perdono,
la pace e l’amore!
IL GIORNO DOPO PASQUA
Mentre sto qui solo, in questa casetta,
lo sguardo spingo lungo la pianura:
vedo il bel manto fresco di verzura,
gli uccelli che festeggian tra l’erbetta.
In questo lieto giorno di Pasquetta,
che son le piante in piena fioritura,
contemplo la bellezza che natura
offre alla mente mia fiacca e negletta.
Se avessi intelligenza e più destrezza
di queste belle Piane Falerone
dipingerei il volto e la bellezza
per recitar di loro un gran sermone:
elogerei l’ingegno e l’accortezza,
tutta l’attività delle persone!
PIOGGERELLA D’APRILE
Da tutti attesa la pioggerellina
eccola calda,
fina e penetrante entro la terra.
La guardo qui dalla finestra,
mi par tant’oro che viene giù dal cielo!
Godo si una freschezza che m’invade
e di nuove speranze
il cuor s’accende.
Gli alberi ne han bisogno a primavera,
s’imbeve il succo e assorbon le radici;
il nutrimento dà fiori e frutta
e li fa crescer rigogliosi e belli!
Domani il sole scalderà la terra,
bietole, medicai, prati ed orti
cambiano volto
e verde aspetto prende la natura.
Gli uccelli, le rane nei fossati,
le rondini che volano,
sui tetti qui d’intorno,
godono tanta freschezza
e fanno festa!
Mi par già un mondo nuovo:
è vera provvidenza del Signore.
Pioggerella d’april, sii benvenuta!
APRILE
Ritorna con April la primavera
e ritorna la rondine sul tetto,
sulle ramaglie in fiore l’uccelletto
verseggia e canta da mattina a sera.
Ogni essere creato si rallegra
nel dolce tuo tepor, caro apriletto;
piante, animali, campi, ed il boschetto
ci parlano il linguaggio di preghiera.
Pure l’agricoltor spinge lo sguardo
col cuore già ricolmo di speranza,
come l’atleta prossimo al traguardo,
al cielo con amore ed esultanza.
Lieto nei campi lavora pregando
perché i prodotti siano in abbondanza!
AURORA PRIMAVERILE
Mi affaccio alla finestra
e guardo l’aurora che sorge
e via via si fa sempre più lucente
perché s’appresta l’apparir del sole.
Tramontano le stelle
nel ciel sgombro di nubi e senza vento:
gli uccelli cantano gioiosi
al tepor di primavera.
Le rondini sono tornate ai vecchi nidi
l’aria è più leggera, profumata
di fiori che cominciano a sbocciare
in ogni luogo: i peschi e gli albicocchi
sono già in fiore.
Alla mia settantasettemima primavera
osservo questa mattina
e per un attimo mi sento
tranquillo e sereno
come nei giorni dell’età passata.
L’albero vicino alla morte
al risveglio della primavera,
magari per pochi giorni
riprende la vita.
Io pure avrò poco tempo
da vivere ancora:
verranno i giorni di tristezza
e d’angoscia,
ma oggi l’aurora annuncia
un bel giorno: oggi è primavera!
MATTINO DI PRIMAVERA
Nel mattino,
quando l’oriente si rischiara
di una luce che irradia tutto l’universo,
le stelle scompaiono,
gli uccelli festeggiano
tra le siepi e le acacie
biancheggianti di fior
e tra le tenere foglie degli alberi.
Gli operai vanno al lavoro,
un via vai di macchine, moto e biciclette.
In tutto questo piacevole risveglio
percorro in bicicletta la strada
per andare al mio campicello.
Amo la mia terra,
i miei animali domestici.
Mi diverte guardare
le messi ondulate dal vento,
i grappoletti dell’uva che nasce,
i ciliegi, i peschi
i mandorli, gli albicocchi
coperti di frutticini e di foglie.
E’ bello lavorare in silenzio
interrotto solo dal canto degli usignoli
e dall’acqua che scorre limpida
lungo l’ombroso canale.
Un delizioso venticello
allevia la stanchezza del mio lavoro…
Un alito di vita e di giovinezza
Mi spinge ad amare e pregare!
NOTTE DI MAGGIO
Piacevole e corta
questa notte di maggio!
Un venticello fresco,
un verso d’usignolo,
una nota stonata
di uccelli randagi,
una rana che canta nel fonte
rumore d’acqua che scorre,
la luna che splende,
le stelle brillano
lassù nell’azzurro;
io non vado a dormire
per guardare
e gustarmi il canto della natura
in questa notte di maggio
in cui tutto è poesia,
tutto è preghiera!
IN BICICLETTA
Ecco il mattino,
ce lo annuncia il gallo
e il suono della campana odo
della vicina Servigliano.
Giù nell’oriente vedo un chiaror d’oro,
un festeggiar d’uccelli tra le fonde,
un movimento di macchine e trattori.
Qualche bifolco con le vacche al giogo
mi ricorda i bei tempi passati…
mia gioventù nei campi consumata;
ripenso a quei giorni al mio lavoro,
immerso in questi pensieri, m’incammino
sotto il cielo di nubi un po’ velato.
Vi è qualche stella ancor verso ponente,
la luna si nasconde dietro al monte,
ed io con piacere corro in bicicletta,
mi gusto l’aria fresca mattutina,
pochi minuti, il pianeggiante asfalto.
Senza per nulla affaticar le gambe
silenziose girano le ruote!
UNA SERA DI PRIMAVERA
Sole che ci aiuti
con gli ultimi raggi d’or,
dietro i monti ti nascondi.
Segue buia la sera
con un luccicar di stelle,
lassù nel limpido cielo.
Nei paesi e villaggi sparsi,
splendono le lampade
mentre dall’oriente sorge la luna
che a poco a poco si alza e rischiara
sempre più questa verde pianura
e le circostanti colline.
Di tanto in tanto un venticello
porta strani e piacevoli odori.
Tutto è pace e silenzio,
in questo mondo così bello!
Sono i primi giorni della primavera
in cui tutta la natura si ridesta
dal lungo riposo invernale.
Ed io torno dal mio usato lavoro,
proprio in questa silenziosa sera,
scendo dalla mia bicicletta,
mi fermo a guardare, a pensare;
rivedo il mio nulla,
osservo le colline verdi,
le luci nelle case, nei paesi,
il limpido cielo, e assaporo
questa dolcezza primaverile.
Ripenso alla mia giovinezza lontana
tanto in fretta fuggita:
il tempo non passava mai
ed or mi accorgo che i mesi e gli anni
volano via come il vento.
Ricordo tutte le mie ottanta primavere:
da quand’ero spensierato fanciullo
alla mia giovinezza cui bastavano
uno sguardo, un sorriso, un saluto,
un incontro con una fanciulla
per rasserenare l’animo.
Ed in questo percorso tra alti e bassi,
gioie e dispiaceri: quante speranze,
quanto lavoro! In attività diverse
principalmente d’agricoltore
che mi ha fatto conoscere
la vita delle piante, degli animali,
l’amore, la poesia,
il sacro, il bello, il buono,
l’umano.
La fede che mi ha accompagnato
Lungo il sentiero della vita,
spero mi sia ancora di guida
fino a quella sera
che non si farà più giorno …
… che sia bella come questa sera
di primavera!
UN MERLO CHE CANTA AL MATTINO
SULLE ALTE PIANTE
Vago uccelletto
che verseggi e canti
tra le piante dei pioppi
in sulle cime
quando al mattino
si schiarisce il giorno
tu ci rallegri e svegli.
Io dalla cameretta
Guardo l’alte piante e la pineta,
ti sento, mi piaci, ti invidio
perché nessun problema
in te si pone.
Ti sai nascondere
da tempeste e venti
ed hai la libertà
ch’è tanto cara!
Beato te che poi volare in alto!
Godi la vita
sempre contento.
Oh, potessi teco
fuggir dal fango umano
e cantare in alto
per lodare Iddio!
MATTINO DI MAGGIO
Com’è bella questa mattina di maggio,
in un limpido cielo, senza nuvole!
Risplendono i primi raggi del sole nascente
nelle colline fiorite e nelle messi ondulate
che cominciano a maturare. Dai fieni sparsi
giungono insoliti profumi, mentre trilli d’uccelli
e metodici canti di usignoli, che mai ripetono
gli stessi versi, echeggiano
dagli ombrosi fossati odoranti di viole.
Lungo la strada, in questo lieto mattino di primavera,
s’odono i primi rumori delle automobili di operai
che si affrettano al solito lavoro.
Seguono i pulmini pieni di giovani donne
Tutte sorridenti e con le facce serene,
che si recano ai calzaturifici: sono stelle
che brillano sulla terra, unite con filo
invisibile a quelle che splendono, con lacrime
d’argento, nell’immenso infinito dei cieli.
Dopo poco, ecco i pulmini dell’asilo e delle scuole
dove altre stelle splendono per illuminare
le intelligenze umane.
Ed io, tra le bellezze naturali, lavorando
Nel silenzio dei campi, osservo i movimenti,
ascolto questi canti soavi, ed il mio cuore stanco
riprende un palpito di giovinezza e d’amore!
MAGGIO
Sento il venticello
che accarezza:
fresco e profumato.
Il sole splende bello
e ci riscalda,
risveglia tutto alla novella vita.
Par che torni a gioir
tutto il creato!
Il prato è fiorito
di tanti colori,
i bei fossati odoran di viole,
e nel boschetto
un gorgheggiar d’uccelli,
rumor dell’acqua
cristallina e chiara,
mentre le rane con le cantilene
gracidan giù nel fosso,
quando è sera.
Fertili colli rivestiti a festa!
Tra questa poesia
quanta bellezza!
Lavorano nei campi gli agricoltori,
lungo i filari irrorano le viti,
altri, con trattori e falciatrici,
tagliano l’erba,
raccolgono il fieno,
lo trasportano nei fienili
e nei pagliai,
sarchiano altri
bietole e granturco.
Tutto un via vai,
e tutto un fermento,
ma ristorarsi
con buon vinetto
fresco e genuino
gusta nell’ombra
e un attimo riposa,
l’agricoltor sudato, affaticato
girando intorno
e alungo le pupille:
quanta dolcezza al cuor
quante speranze!
Sogna pieni i granai,
uva e frutta
saporita e bella!
L’estate
GRANDINATA A BELMONTE 7.06.1967
O bel paesello
d’invernale aspetto!
Più non ondeggian al vento
le tue messi e i verdi prati!
Festose piante, ombravate un viale
e con violenza restaste spoglie;
più non verseggia l’uccellin spaurito
per l’infuriar della tempesta.
Le viti carichi d’uva
ed i frutteti
spezzati, strangolati
hanno i bei tralci.
Il saltellar dei grossi
chicchi bianchi
infranser vetri e lampade
che a sera risplendean.
Squallide e desolate le verzure.
Addio liete speranze! Addio bei frutti!
Fra poco rinverdiranno gli alberi,
germoglieranno i grani
ed un tappeto verde rivestirà la terra.
Riprenderà a far festa l’uccellino
tra le novelle foglie.
Risplenderanno lampade alla sera
E pago l’occhio sarà dei campi verdi;
ma l’agricoltor più non s’allegra,
più non s’allegra chi ha perduto tutto!
Ogni ferita è una ferita al cuore
che guarirà soltanto a primavera!
DI MATTINO AL VIGNETO
Nel lieto mattino di giugno,
rinfrescato dalla recente pioggia
mentre il sole dirada le ombre,
lavoro nel vigneto a potare
ad arte gli inutili tralci delle viti
gustandomi il profumo
dei grappoletti in fiore.
Quanto entusiasmo!
E quanta dolcezza si assapora
Al sentire gorgheggi e trilli di uccelli,
di merli che nereggiano a coppie
sopra le piante di acacie
e sulle cime del vigneto.
Mi siedo un momento
a riposar le ginocchia,
vicino al canale ove scorrono
le limpide acque
con i lati tappezzati di verde
e di fiori spontanei di fari colori.
Mentre mi gusto questo scenario
piacevole della natura,
rivolgo lo sguardo in alto.
Ripenso ai tempi della giovinezza
al cambiamento di usi e costumi
storici e politici,
a tutte le innovazioni avvenute
nel campo agricolo ed industriale,
mentre splendida resta la natura!
Le albe e i tramonti,
gli uccelli e le piante,
le messi ondulate, il sole,
la luna, le stelle, le colline verdi
sono come allora.
Con questi pensieri immersi tra memorie
trascorro gli ultimi giorni della mia vita
senza rimpiangere il peggio di ieri
per elogiare il benessere di oggi!
MATTINO D’ESTATE
Levarsi alla mattina di buon’ora,
respirar l’aria ossigenata e pura,
seppur la fatica sia un po’ dura,
quanta bellezza veder l’aurora!
Gioisce il cuor dell’uomo che lavora
In questa bella scena di natura,
il Creato s’allegra e ogni creatura
di fede e di speranza si avvalora.
Si vedon, nell’oriente, i bei colori
e qualche stella ancor nel firmamento:
voci nei campi e rombo di trattori,
qualche paio di vacche, a passo lento
e il sol che nasce, con i suoi splendori;
specchia l’aratro di un color d’argento!
LAVORO RICCHEZZA PER TUTTI
In queste magnifiche giornate estive,
sotto il sole che brucia;
in questa deliziosa vallata
cosparsa di alberi, di olivi
e filari di viti,
il ronzio dei trattori che arano i campi
s’accompagna ai canti delle cicale
ed ai rumori del traffico. Corrono veloci
i pulmini, i motorini, le macchine
sul pianeggiante asfalto:
sono gli impiegati, i ragionieri,
gli operai, che pochi minuti dopo mezzogiorno
tornano dalla fornace, dall’edilmec,
dall’imbottigliamento d’acqua,
dai cantieri edili, dai calzaturifici.
Spesso anch’io in bicicletta m’incontro
in questo trafficar d’operosa gente.
Torno da un altro lavoro:
dalla stalla o dai campi …
a ciascuno la sua fatica!
Osservo questi movimenti,
contemplo la bellezza di questo spettacolo,
la grande macchina umana
che in funzioni diverse
opera per il bene comune …
PIOGGIA D’AGOSTO
Dopo giorni e giorni di calura,
tuoni e lampi là, verso ponente …
ecco vien l’aria fresca che rincuora
con la speranza d’una pioggiarella.
Bianchi nuvoloni su nei monti …
In qualche luogo già piove a dirotto, eccola!
Arriva qui, pure da noi:
incominciano a cadere dei goccioloni.
Io sto a guardar
dall’uscio della stalla
e il piacer sento
d’una freschezza nuova
che suscita nel cuor nuove speranze.
Mi par veder i campi rinverditi
come se fosse nuova primavera.
Le zolle arse dal sole apron la bocca
preparandosi ad accoglier le sementi.
Gli alberi rinverdiscono, si disetan
e tra le foglie dei boschi rinfrescati
che cinguettìo, che festa
per un avvenimento così grande!
E’ la natura che cambia all’improvviso
per un comando misterioso.
L’Autunno e l’Inverno
IL CILIEGIO VICINO ALLA STRADA
All’apparir del sole stamattina,
volgo lo sguardo al giovane alberello
coronato di goccioline d’oro,
che in brezza mattutina
splende e brilla!
T’ammiro e t’amo giovane alberello
Ognor sognando la tua ombrosa chioma.
Gli uccelletti festeggian all’intorno …
Sei piantato in fertile terreno
per meglio crescer rigoglioso e bello.
Verrai grande, godrai le belle primavere,
le fresche rugiade, i ventosi autunni
poi le nevi e infreddolito, spoglio,
risorgerai ad ogni primavera,
profumerai l’aria con i tuoi
petali di fiori,
e darai buoni frutti.
Sarai il ricordo dei miei tempi lontani,
mi accoglierai negli ultimi giorni
della mia vita
all’ombra tua seduto!
SETTEMBRE
Settembre è il mese migliore:
più mite, più ricco e piacevole!
Si vedono i bei colli come un dipinto
di quadri di vari colori,
un misto di verde, di pallido
di fresche zolle rivoltate di recente,
i bei vigneti sparsi qua e là,
dai pampini ormai sbiaditi
come i colori d’autunno;
dai tralci pendono i bei grappoli
vellutati, succosi e maturi.
Lungo le valli che solcano
Queste colline marchigiane,
strisce di terreno ben coltivate
vicino alle soglie delle case,
nei giardini, nelle aiuole,
ogni dove si ammirano
le bellezze dei fiori,
delle ultime rose
che non soffrono più il caldo
afoso d’agosto;
senza tema di brina,
come spesso avviene
con i capricci della primavera.
Nei boschi e sulle sponde dei fiumi
svolazzano gli uccelli di ogni specie,
si rallegrano di queste dolci
giornate di settembre,
pur temendo la morte,
perché i cacciatori
in questa fine d’estate
e principiar d’autunno,
sparano senza pietà.
Spesso, dal faticoso lavoro dei campi
volgo lo sguardo intorno,
ammiro le scene della natura
che vive ogni momento,
le bellezze del cielo
e l’ubertosità della terra.
LA VENDEMMIA
Che venticello fresco stamattina,
dopo la pioggia ch’è caduta ieri,
par che sia ritornata la primavera,
il sole splende,
un lieto gorgheggiar tra le piante ombrose,
un chiacchierio,
un tic tac di forbici tra i vigneti
e nei filari sparsi nei colli
rinverditi dalla prime piogge.
I vendemmiatori tagliano i grappoli
Vellutati: quanta poesia!
Ripenso ai tempi lontani,
alle liete vendemmie di una volta.
Erano i giovani che andavano
Su e giù per i pioli delle scale.
Le ragazze ci allietavano
coi loro canti.
Le veglie serali per pigiar le uve,
i mosti che bollivano nelle caldaie.
Or siamo tutti vecchi …
I giovani sono fuggiti dai campi alle città,
lavorano nelle industrie, negli uffici:
meno allegri e più insoddisfatti.
O bella vita dei campi!
Anche se miserella tanto cara …
Che piacere sentir il bollir dei mosti
e l’odore del buon vino.
Se io fossi giovanetto, ancor sarei
il contadinello spensierato e allegro
per vivere a tu per tu con la natura
tra le musiche più belle che ci siano.
LE RONDINI
Rondinelle pellegrine tutte pronte,
tutte in fila sopra i fili della luce,
dove andate?
Son tanto belle le vostre casette
impastate di sabbia
e riparate da venti e tempeste.
Andate in siti lontani
più riscaldati dal sole.
Senza avere calendario,
sapete che viene il freddo.
Alla scuola non andate,
per studiar la geografia,
eppur volate, volate lontano
al di sopra dei mari
nei cieli tra le nubi.
Ritrovate il vecchio nido …
Beate voi che sfuggite al gelido inverno!
Ritornate a primavera
a portare gioia nei cuori,
col far festa intorno al tetto,
anche noi rallegrate,
con fringuelli e canarini,
passerotti ed usignoli
salutate al mattino l’alba nascente
e i vostri canti mi commuovon!
Osannate
per il sole che ci scalda
per i prati che sono fioriti
per le gemme che veston gli alberi
per le messi che ondeggian nei campi
per i frutti della terra
coi canti “Grazie” voi dite al Signor.
NOVEMBRE
O mese di novembre
caro e mesto,
tu mi richiami
a meditar pensoso.
Mentre la vita fugge,
una tristezza m’invade:
meste e piovose giornate,
sole che non riscalda la terra
con i suoi raggi,
alberi che rimangono nudi
allo sferzar dei venti,
nebbie mattutine
che oscuran l’orizzonte,
uccelletti che svolazzano
attorno ai fienili,
come per annunciare
una prossima nevicata,
donnette vestite di nero,
in oscuri mattini
vanno in chiesa a pregare.
Tutta la natura si addormenta
mentre gli agricoltori si precipitano
a levare dai campi
gli ultimi raccolti;
da qualche albero cadon
le foglie ingiallite.
In qualche notte serena
i campi cosparsi di brina
annuncian l’inverno che arriva.
Mese dei morti è questo!
In questi mesti giorni
tutto par che ci annunci
il tramontar della vita,
mentre i camposanti
son cosparsi
di lacrime e fiori!
Là una tomba di un giovane,
qua una mamma
i cui figli piangono attorno,
un simpatico vecchietto
da tutti conosciuto,
persone care!
Un genitore,
un figlio,
un marito.
Quanti ricordi!
Quanto dolore!
Che mistero è la vita!
RIVEDENDO IL MIO ARATRO
O mio aratro di ferro
gettato all’ombra di un antico gelso
come ferraccio vecchio arrugginito,
dopo molti anni ti rivedo!
E tanti ricordi mi ritornano in mente
di quando su di te curvo, energico e giovanile
ti afferravo, entusiasmato di vedere
il solco tuo profondo
e il versoio lucente d’argento che rivoltava
e frantumava le zolle indurite dal sole.
Eri allora trainato da lenti buoi
aiutati da un paio di vacche davanti.
Ti guardo e penso a quando ti facevo risplendere
al sorgere del sole ed ai bei tramonti estivi,
nei solatii colli Belmontesi,
tra il festeggiar degli uccelli
ed il rintocco della campana che segnava l’ore.
Nella capanna aderente la casa colonica
in riposo invernale ti osservavo primeggiare
tra tutti gli attrezzi agricoli.
Pensavo al tuo solco profondo
e al risparmio della fatica umana!
Ora sei gettato via, dimenticato, inopportuno
alle nuove esigenze della meccanizzazione.
Io come te, vecchio e inosservato, dimenticato.
Rimangono solo a consolarmi i ricordi
di un tempo lontano, i campi verdi
tutte le belle aurore, le bellezze naturali
che non cambiano mai col passare degli anni.
L’ESTATE DI SAN MARTINO
Dopo piogge scroscianti
e nevicate,
improvvisamente s’è cambiato il tempo:
limpido il cielo,
l’aria più mite dei giorni passati.
Il sole nasce tra un velo di nebbia,
si vorrebbe nascondere vergognoso,
ma al suo alzarsi, la nebbia si dilegua
e tutta la natura si riscalda.
Ogni albero, ogni fiore
par che riprenda la vita.
Anche le foglie ingiallite
baciate dal sole
svolazzando nell’aria;
vorrebbero vivere ancora
in questo giorno di sole,
ma presto giunge la sera,
e un venticello fresco,
ancor più veloci,
le spinge a terra già morte.
Pure gli uccelli svolazzano allegri,
soltanto il pettirosso
nascosto tra le siepi
non festeggia, non canta,
silenzioso e pensoso!
Saran forse due giorni,
tre giorni,
ma sempre piacevole e calda
è l’estate di San Martino!
LA SEMINA DEL GRANO
Nei campi arati si semina il grano:
è l’autunno!
Giornate brevi di novembre,
dopo la pioggerella che il sol asciuga,
un affannarsi di agricoltori che seminano.
La terra rimossa fumiga ai primi raggi del sole.
Scorron veloci gli attrezzi
Che spianano e raffinano il terreno;
poi le seminatrici trainate dai trattori,
in diritte file lungo le valli
e nei clivi scoscesi,
in piccoli solchetti semiaperti
nascondono il seme.
Il grano fra pochi giorni
coprirà la terra di un bel tappeto verde
e abbellirà ancor più
le ridenti colline marchigiane
e le fertili valli che le circondano.
Mentre gli alberi rimangono nudi
i campi sono sempre belli
anche nel gelido inverno.
Vengono così affinate le bellezze naturali
dalle mani callose degli agricoltori:
uomini semplici e buoni
che nei silenzi dei campi
lavorano con fede e sacrificio,
con lo sguardo rivolto al cielo
allietati solo da un compenso divino!
Essi godono delle belle aurore,
dei primi raggi del nascente sole,
degli ultimi al tramonto
delle cangianti musiche del cosmo.
Cari ricordi di un tempo
quando col gesto della mano,
misurato col passo,
volava in aria il grano,
cadeva in terra a eguali distanze
ed il vecchio aratro di legno, poi,
trainato da buoi, lo ricopriva.
Sono cambiati i tempi, gli usi e i costumi
mentre immutata resta la natura.
I fiumi dalle grandi sponde ombrose,
la acque cristalline, i monti Sibillini,
la vecchia e verde pineta di S. Paolino
or io vedo di prospetto,
dalla mia cameretta ove ricordo
il giocar da fanciullo,
e il ripetersi delle stagioni.
Piacevole vision della natura
in cui io sento un alito divino:
impronta viva delle mani di Dio!
AUTUNNO
L’autunno arriva
con le piogge e il vento,
strappa le foglie
ingiallite e morte.
Spoglie le piante e desolate …
Vedo i vigneti coi capelli sciolti
dopo aver dato grappoli dorati.
Lontan per me non è
l’autunno della vita …
E come te, o foglia,
anch’io ho vissuto.
Tu riparasti da estivi calori
i frutti e i grappoletti belli!
Li difendesti ancor dalle intemperie
per farli diventar buoni e pregiati.
Io soffro ancora
per le ingiustizie umane
e fra tutti i tormenti
anch’io, ingiallito e vecchio, me ne andrò
a sopirmi con te,
e nulla rimarrà
perché m’avvedo
non ho potuto dar dei buoni frutti!
Natura mi fu avara,
e vissuto così tra i poverelli,
lavorando nei campi silenzioso,
ho lo sguardo ognor rivolto al cielo
perché il breve percorso della vita
la luce della fede rischiari!
DOMENICA
Il suon delle campane
che echeggia lungo la valle
qualche colpo di fucile dei cacciatori
che si levano presto con i loro cani
e frugano in cerca di preda tra le siepi
e sulle sponde dei fiumi.
Spari di mortaletti che richiamano
a festicciole paesane
rompono il silenzio che stamane regna.
E’ domenica!
Ogni lavor si è fermato:
non rumori d’officine o di trattori,
non voci di agricoltori al lavoro nei campi.
Un alito di festa pervade
le nostre contrade, i nostri paesi
che si popolano in piazza
di persone vestite a festa:
giorno di riposo che il Signore
per sé e per noi ha riservato.
I fedeli in chiesa pregano,
elevano i cuori in alto,
in cerca di beni duraturi
che qui in terra mai trovano:
la felicità, la pace, la giustizia.
Tutti le cercano,
solo Iddio ce le dona
per amore con le Sue leggi
che tutti gli uomini
affratellano.
RACCONTO DI UN POMERIGGIO DOMENICALE
In un pomeriggio d’autunno, in riposo dal mio usato lavoro dei campi, mi sono divertito a passeggiare lungo le sponde del fiume Tenna.
Nella mia solitudine guardavo lungo lo spazio. Non ero solo!
Spiritualmente sentivo qualcosa, come un immenso sussurrio della natura tra i campi coltivati e le sponde del fiume. Inoltrandomi poi tra le piante dalle foglie già ingiallite, piccole e grandi delle diverse specie,parlavano tutte un linguaggio diverso l’una dall’altra: anche le pianticelle piccole mi dicevano qualche parola che io ho imparato a capire con l’esperienza dell’agricoltore.
Molte di esse soffrivano perché attaccate dai parassiti, altre non potevano crescere perché avevano le radici vicino alle pietre e non potevano formare il terreno agrario per svilupparsi, altre soffrivano per mancanza di alimentazione, altre ferite dagli uomini. Vi erano invece piante belle e sane. Mi pareva udirle osannare la vita!
Anche le pietre facevano rumoreggiare l’acqua che scorreva limpida e frettolosa lungo il fiume. Doveva arrivare presto!
Dove? A riempire i laghi che alimentano le centrali elettriche per l’illuminazione di città, di paesi e di tutte le abitazioni; per far girare i motori delle fabbriche industriali e dei mulini … per spegnere un incendio e per irrigare i terreni aridi perché arsi dalle soleggiate estive.
Guardavo ai piccoli animali: anch’essi sgomenti si affrettava no a procurarsi un riparo per le intemperie. Gli uccelli svolazzavano impauriti da qualche colpo di fucile dei cacciatori ed alcuni si nascondevano nei gruppetti di salici ancora verdi.
Le erbe ed i fiori selvatici emanavano vari e piacevoli odori che io assaporavo con tanto piacere.
Mi sono seduto sopra una pietra in compagnia di tutti questi esseri naturali ascoltando le loro voci che si riflettono all’umanità intera.
Attraverso il mormorio di questi esseri al servizio dell’uomo, salivo con gli occhi della mente in alto, al di sopra dei folti rami, in un cielo spazioso ed infinitamente bello!
Si scorgono l’immenso, l’infinito, il meraviglioso ed eterno ordine del creato!
Il pensiero a Dio, l’essere supremo che ci ha creato queste bellezze naturali per farci gioire ed apprezzare ancor di più la nostra vita.
Era quasi buio e me ne tornai a casa. Mai però potrò dimenticare quella bella serata di festa e quella silenziosa passeggiata vicino al fiume!
INVERNO
Scroscia la piaggia tanto attesa,
l’aspettavan le zolle arse nei colli
e gli alberi assetati,
l’aspettavan i boschi già ingialliti.
Son cadute le foglie per formare l’humus
a concimare le piante.
Ingrossano già i torrenti e i fiumi,
ristorano le vene semisecche.
Dormono i seminati
già imbevuti dall’acqua mista a neve.
L’inverno arriva col mantello bianco!
Arriva nelle montagne desolate,
nelle casette squallide campestri;
nelle città e villaggi.
Fan festa i bimbi con la prima neve!
Anche d’inverno la natura è bella!
I bei disegni scherzosi
Sulle grondaie delle case,
nei vigneti sui rami secchi,
sulle frasche delle siepi …
Tutto è adornato di pitture bianche:
nessun artista saprebbe dipingere
un simile spettacolo!
In ogni casa fumano i caminetti
di stufe, o di riscaldamenti.
Ma niente è più bello e piacevole
dell’antico focolare di legna.
I vecchi camini mi ricordano gli avi
e la fanciullezza.
Là presso l’affetto fiorisce, germoglia
e si espande.
LA PRIMA NEVICATA DI DICEMBRE
Silenziosa è la notte, gelido il vento,
uno strato di nebbia sottile
si spande lungo la valle,
la luna coperta da nuvolette bianche
proiettala luce un po’ velata
che s’accompagna al chiaror della neve;
si vedono i colli lontani coperti di neve.
Non si odono trilli di uccelletti,
cantilene di rane e voci dalle case,
solo l’eco dell’abbaiar di un cane
e i rintocchi dell’orologio
dalla torre di Servigliano.
Dalla finestra guardo le luci
delle case agglomerate e lontane,
osservo ogni colonna di fumo
che dai camini si sprigiona e si spande,
misurando coi rintocchi dell’orologio
il tempo che fugge.
Indietreggia il mio pensiero
agli inverni nevosi d’una volta:
facevamo festa tra la neve!
Quanta poesia ai tempi della fanciullezza!
Guardo la neve, mi piace
questo bianco lenzuolo disteso
che protegge i seminati dal freddo e dal gelo,
incorporando nel suolo acqua ed azoto
a disposizione degli alberi e dei seminati.
Sii benvenuta prima neve,
candida neve a dicembre!
La mamma Giustina
A MIA MADRE
IL GIORNO DOPO LA SUA MORTE
Mamma! Mamma! Non ci sei più.
Tu sei partita in fretta, non mi hai parlato,
non mi hai detto addio!
Me lo dicesti
quando nel silenzio della notte
mi affacciavo alla porta semiaperta
della tua cameretta.
Sentivi già una voce divina misteriosa
che ti chiamava per il cielo!
Pochi minuti prima guardavi dalla finestra,
spingevi lo sguardo lontano.
Al richiamo rispondevi:
“Guardo il mondo che è tanto bello!”
Alle bellezze naturali che tanto amavi
e mi hai insegnato ad amare!
Ogni luogo, ogni oggetto, ogni sguardo
è per me un doloroso ricordo.
La cameretta fredda, il tuo lettino vuoto,
il tavolinetto dove sostavi in preghiera,
il libricino logorato dalle tue mani,
i quadri appesi alle pareti,
le foto dei sofferenti:
guardo, ripenso e piango!
A MAMMA
Sono passati dieci anni dalla tua scomparsa:
non mi sembra vero!
Mi par di vederti ancora:
ricordo le tue parole, mi par di sentire
la tua voce, come un’eco lontana
quella voce amorosa che ho sentito
per sessantasette anni.
Rivedo
i tuoi gesti, il tuo pregare,
i tuoi atteggiamenti,
il tuo comportamento, la tua bontà
la tua carità elargita
soprattutto a pro dei sofferenti.
Sei sempre davanti ai miei occhi
come allora, come sempre!
Più passa il tempo e più penso e ricordo:
fin da quando ero bambino
che mi “imparavi” a leggere il sillabario,
a lavorare, ad amare tutti e tutto.
Mi par di sentir la voce
che mi svegliava al mattino presto;
mi dicevi: “Se vuoi aver fortuna
devi esser mattiniero!”
Io debbo a te, mamma,
se alla soglia dei miei settantasette
anni ho ancora voglia di lavorare,
di amare e qualche volta anche di scrivere
di rassegnarmi ai sacrifici della vita,
d’innalzare a Dio la mia preghiera
nei momenti di sconforto,
di compatire, di accettare le ingiustizie
dell’attuale società.
Tu fortificasti il mio cuore,
tu mi hai insegnato che la condanna
più grave per chi mi faceva del male,
era il perdono.
Mamma! Ora tu non ci sei più,
non puoi parlare, dar consigli,
incoraggiami nei momenti di depressione
e di abbandono. Sì, mamma,
spiritualmente lo puoi ed io lo sento,
ti ascolto, sento ancora la dolcezza
del tuo amore sincero.
RICORDO DI MAMMA
Era dicembre
al principiar dell’inverno,
nei giorni gelidi,
scuri e nebbiosi,
gli alberi sfregati dal vento
rendevano alla terra
le loro foglie.
Tutta la natura già dormiva
quando anch’essa,
la mamma mia
s’addormentò nel sonno eterno.
Senza parlare
partì la mia mamma improvvisamente,
senza un lamento,
senza darci un addio!
Or che la primavera
è tornata
con i suoi fiori
e con il manto verde,
il sol splende
nei giorni riscaldati;
a me l’amor di mamma
non riscalda.
Più non la vedo seduta nell’aia
qui nel vecchio selciato
incontro al sole
o camminar appoggiata
al suo bastone;
non odo
la sua voce fioca e stanca
recitar preghiere per sofferenti
nella cameretta.
O mamma, ora sei là
In quel piccolo camposanto,
entro la tomba
col tuo sguardo
rivolto all’interno:
mi par di vederti
circondata da pellegrini celesti
come lo eri qui in terra
da pellegrini sofferenti.
Vengono a trovarti
come tu venivi da me,
quando eri lontana.
Riposi là, accanto al babbo,
compagno fedele della tua vita.
Volgi lo sguardo
ai tuoi figli
che lasciasti pellegrini in terra
e quando anche noi
ci addormenteremo per sempre
porgici ancor la tua mano
per condurci a te!
DOMENICA 20 LUGLIO
DAVANTI ALLA TOMBA DELLA MAMMA
Mamma!
Sono venuto a trovarti stamattina
in questo campo santo.
Solo, nessuno si vede,
non odo voci o rumori, qui è pace, è silenzio,
mentre là, in chiesa, si celebra la messa.
Sono solo qui avanti alla tua tomba,
a colloquio con te, mamma!
Il mio cuore parla, ricorda e piange!
Da questo avello dove sei rinchiusa,
mi guardi, ancora
ed io in silenzio dico la preghiera
che da bambino mi hai insegnato.
Mamma! Vedo le tue mani incrociate
che stringono il Crocifisso,
quella mani che mi hanno accarezzato,
che mi hanno retto nei primi passi,
che hai posato sulla mia fronte
nei momenti di dolore.
Le tue labbra mi hanno baciato tante volte
quando ero bambino e quando sono partito
e tornato da lontano.
Quei tuoi occhi così belli che posavi su di me
col tuo sguardo amoroso, la tua voce
dalla quale ho imparato ad amare e pregare.
Mamma! Come sono felice di esserti vicino,
confidarmi con te, gustarmi tanti ricordi,
chiederti ancora consigli,
sentirmi ancora attratto dal tuo materno amore!
A MAMMA
Ho dei ricordi,
in questi luoghi belli,
della mia mamma!
Brucia il cuore mio
d’amor filiale:
mi fermo a pregare
la mamma celeste
al ricordo di quando lei pregava
preoccupata e ristabilir la chiesa
ed ora qui intorno al camposanto
e alla chiesetta
aleggia di splendor
e pieno di gloria
lo spirito suo immortale.
Ed io commosso, peccator pentito,
seguir l’orme vorrei
della mia mamma
e con lo spirito mio purificato,
in questo colle, insieme a mamma
abitar per sempre.
A MIA MADRE
Mia padre ha novant’anni …
Novant’anni: è ancor vegeta e gaia
come se avesse solo settant’anni.
Florido il viso, di color rosa,
gli occhi belli, lucida di mente,
legge e scrive
e non si sente stanca;
qualche ruga sulla fronte
e sulle gote,
cammina barcollando col bastone.
Non un lamento
per l’età avanzata:
paziente e generosa,
sempre prega!
Il libricino ha in mano e la corona,
par che sia sostenuta dalla fede.
Ed io guardo,
e col pensier ritesso
i tristi e lieti eventi del passato,
quando bambino mi porgea la mano
e seco mi portava,
mi additava lassù l’azzurro cielo:
“Di sopra ancor del sole e delle stelle, c’è Dio”
E m’imparava a farGli la preghiera!
Le fiabe d’inverno, intorno al fuoco …
Quando veniva a riscaldarmi il letto,
mi raccontava tante cose belle!
Mi mormorava d’essere più buono
e m’insegnava a vivere.
Ricordo ancor le birichinate,
tutta la mia fanciullezza
intrecciata alla sua giovinezza.
Caro ricordo del passato,
oh, come passa il tempo,
com’è misteriosa la vita!
Or son’io che la prendo per mano
per aiutarla a scendere e salire
e lieto sono perché compenso un po’
un atto gentile e generoso.
Ma sempre debitore
sono a colei che mi donò la vita
e nei momenti tristi del dolore
mi ha sempre circondato
del suo materno amore!
NATALE SENZA MAMMA
Il Natale senza mamma
come nebbia a primavera,
come buio nella sera,
come fuoco senza fiamma!
Sempre triste resta l’alma
e la casa non si allegra
di gran festa e di preghiera,
se non v’è il cuore di mamma!
Ella ti esorta, ti accarezza
e lenisce ogni dolore,
sempre pronta con dolcezza
apre ai figli tutto il cuore
con solerte sua accortezza
e non v’è più grande amore!
AL CAMPOSANTO DI BELMONTE
Mentre sono a far visita
ai miei cari morti,
invaso di mestizia,
il ricordo di lor
mi stringe il cuore!
Quanti pensieri
intorno a queste tombe!
Medito ad una ad una queste foto,
rivedo i loro volti,
ripenso ai colloqui,
ai ritrovi festivi,
alle sere d’inverno:
veglie e giochi.
O bella gioventù troppo fugace!
Troppo veloci passano
i miei giorni,
qui son gli amici di un tempo
i miei avi, il genitore,
i belmontesi
di un Belmonte caro!
Un altro paesello
fatto di tombe, croci
e cappelline care!
E’ bello star solo
in questo camposanto
all’imbrunir della sera,
circondato
da un silenzio cupo;
tra sospiri e ricordi
una preghiera!
La sposa Carolina
PRESSO L’ALBERO OMBROSO
INSIEME A CAROLINA
Quando l’estate avvampa di calore,
oppur col venticello della sera,
ripenso ai dì festivi d’una volta,
all’ombrosa tua chioma,
ti rivedo come me invecchiato
coprire ancor quel tavolo di pietra
ove mangiavamo al fresco della sera
o al monotono canto di cicala.
Mi dispiace davvero esser lontano,
vorrei risiedermi insieme a Carolina,
come nei tempi andati,
or che siam vecchi, all’ombra tua dorata!
CINQUANTESIMO ANNO DEL MIO MATRIMONIO
Nel millenovecentoventinove,
ricordo quella data, sei gennaio,
quando incontrai la prima volta
la compagna che mi sta accanto!
Era una fanciulletta sedicenne,
andava insieme con le sue compagne
lungo la strada di Santelpidiuccio.
Con slancio giovanile mi accostai
vicino a quel gruppetto …
Lo sguardo si incontrò proprio con lei,
l’osservai, la guardai e riguardai ancora
e coraggio non ebbi di parlare.
Però rimase in me scolpita al cuore
quella figura bella di fanciulla
dai bei capelli con le trecce antiche,
e con ingenuità contadinesca,
semplice nel vestir,
ancora inesperta,
come fiore sbocciato in mezzo al bosco.
Non fu per me la solita vampata
che in quell’età sovente m’invadeva.
Era lontana ed il mio pensier vicino,
l’amavo con amore puro e sincero
la sognavo compagna della vita!
Si realizzò il sogno!
Nei cinquantenni e più vissuti insieme,
quando le nubi della fantasia
portavano il cuor nella tortuosa via,ù
riflettevo e pensavo
a quella fanciulletta che incontrai
nella migliore età, sul fior degli anni.
Tanto tempo è passato!
Ed io ripenso al navigar trascorso.
Tra l’onde burrascose della vita,
la navicella non è mai affondata.
Ormai stanchi ed invecchiati
giunti al porto,
d’amore il cuore mio
s’accende ancor
come nei tempi della giovinezza!
SESSANT’ANNI INSIEME
Ricordo quel giovedì del 17 settembre 1931
e la chiesetta sulla cima più alta di Montelparo,
l’altare dove ci inginocchiammo
per giurarci reciproco amore!
Avevo allor venticinque anni e Carolina diciannove.
Era un giorno nuvoloso con temperatura mite.
Dopo pranzo un acquazzone di breve durata.
Fu una gran festa! Attorniati
dai parenti più stretti e pochi vicini.
Oggi quei ricordi tornano alla memoria.
Rivedo ad uno ad uno tutti i cari
che non ci sono più, i miei ed i tuoi genitori
che gioiosi e soddisfatti del nostro matrimonio
si sedevano accanto a noi.
Quanti avvenimenti in questo lungo percorso!
Disgrazie, malattie, lutti in famiglia, guerre,
Ma ogni evento ha contribuito a rinsaldare
il nostro amore.
Ed oggi a distanza di sessant’anni
siamo qui attorniati dai figli, nipoti, generi
e dai coniugi dei due nipoti, che tutti ci consolano
e ci riportano indietro nel tempo.
Ora non siamo più giovanissimi né belli
questa bella riunione famigliare
fa per un po’ dimenticare
le depressioni e gli acciacchi della vecchiaia
per far splendere dai nostri occhi
la fiamma viva d’amore che accese i nostri cuori
al primo incontro, nel gennaio del 1929
quando ci vedemmo per la prima volta.
Ed oggi auguro ai figli ed ai nipoti
per l’esperienza vissuta,
tanta felicità e tanto bene:
di camminar sempre uniti
e far brillare davanti ai vostri occhi la stella
che illumina il vostro cammino
intessuto di speranze, di pace e d’amore.
A MIA MOGLIE CAROLINA
Sono passati sessantuno anni
da quando ci siamo conosciuti.
Quanti ricordi! Quanti avvenimenti!
Quanta strada percorsa!
Ci siamo incontrati, poi sposati
anche superando le difficoltà.
Sempre vissuti insieme con l’entusiasmo
di un tempo, ci siamo resi liberi
senza la gelosia che poteva nascere
dal mio carattere espansivo e compassionevole
verso le donne tenute a quei tempi
come oggetti di piacere e macchine di lavoro
in un mondo abbrutito, dominato
dal potere economico indiscriminato
di uomini ricchi …
Malgrado tante avversità
non siamo due coniugi stanchi!
La vecchiaia con la malferma salute
che mi preoccupa per te
rinvigorisce il nostro amore.
Quando torno in bicicletta dal lavoro,
ti vedo che mi stai aspettando
e dai vetri della finestra vedo
sul tuo volto che si rallegra
un qualcosa di lieto che ti solleva: il desiderio
l’attesa come quando ero giovanetto
e venivo a trovarti, a volte a piedi,
da Belmonte, con il giornale in mano
che leggevo camminando,
nei tratti di strada meno frequentata.
Ricordi? Avevo sempre un fiorellino
oll’occhiello e una fogliolina di edera
segno di attaccamento e di amore.
Amavo anche allora la poesia
e la semplicità femminile.
Ero tanto bene accolto dalla tua famiglia
che mi riservava stima
e attenzione notevole.
Bei tempi della nostra giovinezza!
Ormai siamo arrivati al fine
di questa misera vita terrena,
senza un rimpianto che possa
amareggiare la nostra esistenza.
Il nostro lungo cammino è stato
sempre illuminato dalla fede
e sostenuto da un amore vero
sempre più rafforzato
or da tristi, or lieti eventi
e dall’affetto dei figli e dei nipoti.
A MIA MOGLIE MONALDI CAROLINA
Ti ricordi?
Fu proprio il sei gennaio 1929
che ci incontrammo la prima volta!
Sono passati cinquantanove anni
da quando apparisti agli occhi miei
come una luce che risplendeva nell’oscurità
di quel freddo e nebbioso pomeriggio festivo.
Non ci conoscevamo. Domandai il tuo nome
e per sapere la tua età andai a vedere
il registro di nascita al comune di Montelparo.
Avevi sedici anni, più giovane, sei anni, di me
tornato da un anno dal fare il militare.
Entrasti subito nel mio cuore
col tuo visino bello, la tua boccuccia
che muoveva il labbro ad un grazioso sorriso,
i tuoi capelli neri, crespi ed ondulati.
Vestivi un abito modellato alla tua vita
ben fatta, un fazzoletto color caffè
per coprirti il capo in chiesa,
un paio di stivaletti di cuoio.
Mi sembra rivederti come allora!
Così carina! Così fanciulla!
Purtroppo il tempo passa, ci trasforma,
ma non ci toglie la bellezza interiore:
l’amore non invecchia mai col passare degli anni.
Si consolida anzi con i giorni
tristi e gioiosi della vita.
Così è stato per noi!
Quanti ricordi!
L’amore vero si riconosce nelle sofferenze,
nel dolore cui siamo tutti sottoposti
chi più, chi meno, noi poveri mortali.
Tutti felici i primi anni insieme:
pieni di salute, di vita, con tre figlioletti
che crescevano come tre fiorellini.
Ma come sempre accade, dopo la felicità
Viene anche il dolore. Avevi trent’anni
Quando improvvisamente ti assalì un brutto male.
Come furono lunghe quelle quattro ore
che eri in sala operatoria!
E quando il professore che ti aveva operata
Mi comunicò le difficoltà per la tua sopravvivenza,
me ne andai a sedere al penultimo scalino
davanti all’ospedale a piangere tutta la notte,
fino alle cinque del mattino
quando potei tornare nella tua cameretta.
Ricordo che con le lacrime bagnai quelle scale:
conobbi com’è il dolore
e l’amore per la persona che si ama.
E capii che solo nella sofferenza
Si riconosce l’amore vero, che non ha mai fine
e che perpetua oltre la morte fisica.
Da quel momento ho aperto il mio cuore
A tutte le persone perseguitate,
a quelle che soffrono, che lavorano e amano,
dimenticate o fisicamente ammalate.
Tutto si risolse bene,
risultò un male di origine benigna.
Tornasti dopo due mesi dall’ospedale
a riabbracciare i figlioletti
ed a seguitare insieme a me
il cammino interrotto.
Sono passati altri quarantadue anni
di piena salute.
Il ventinove febbraio del 1984,
un altro intervento,
anche questa volta assai grave.
Ma grazie a Dio, tutto è andato per il meglio,
malgrado un po’ di acciacchi!
Ed eccoci ora arrivati
al cinquantasettesimo anno di matrimonio!
Siamo felici di essere ancora in cammino
e che il nostro amore non si è logorato
perché è sostenuto da un grande ideale
che va al di sopra dei fugaci piaceri
e delle terrestrità di cui siamo imbevuti.
IL RITRATTO DI MAMMA CAMILLA
Da sopra il letto della cameretta,
senza girarmi o sollevarmi affatto,
aprendo gli occhi, vedo di prospetto
il bel ritratto di mamma Camilla!
Vedo la donna intelligente e bella,
la donna tanto brava e laboriosa,
dal vispo sempre allegro e sorridente,
di cuore buono, aperta e franca.
Io la guardo, la ricordo,
insieme a Carolina giovinetta,
mi par vedere ancora le sembianze sue …
Mi sembrava diversa dalle altre,
miravo le sue doti, i suoi modi.
Le volevo bene, sapeva comandare,
dar consigli: era pure per me la mamma.
Mi sembrava non ci dovesse mai mancare,
ma in un momento inaspettato ci ha lasciati,
si è spento quel faro che risplendeva
e tutto è nel buio nella vecchia casa.
Noi soffrimmo per quel vuoto incolmabile
per quell’amore che ci venne meno …
Ora tu non ci sei più, ma ci ami ancora,
ci guardi, ci illumini questa cameretta.
A t il pensier mio, prima di prender sonno,
a te la mia preghiera, a te lo sguardo
quando mi sveglio al mattino.
Ci vuoi bene. Ci fai amare tra noi,
come quando eravam giovanetti
che pacificavi i nostri capricci amorosi.
Fa che sempre viviamo insieme,
nella chiarezza della fede in Dio
e regni tra noi pace ed amore
per ricongiungerti a te, lassù nel cielo!
LORETA MONALDI
Morta all’età di quindici anni
Or quarant’anni
son già passati,
leggiadra fanciulla,
e ancor ti vedo
bella nella tua foto.
A me sembran lunghi,
al par d’un giorno:
il sole che nasce,
e si fa sera.
Al fiorir di primavera
di tua vita
Dio ti tolse dal giardin terreno:
eri innocente, semplice, graziosa,
era brava, gentile e tanto cara,
il viso roseo,
coi capelli biondi,
simile al fiorellin
sbocciato e spento,
ti vidi declinare a poco a poco:
il tuo visetto si faceva bianco,
in pochi giorni ci dicesti addio!
Partisti allegra,
senza un lamento …
Tutti piangean
e la mamma si disperava.
Tu rassegnata e pronta
a partire da questo mondo
nel momento in cui
davanti a te vedevi
delinearsi l’avvenire più bello,
come può veder
una giovinetta quindicenne,
non ti dolesti
della tua immatura fine:
guardavi sorridente il cielo!
Or che pur io verso il tramonto
stanco declino,
medito, penso
e dico: “Te beata!
Che innocente e pura
volasti al cielo,
perché il mondo
non dà ciò che promette
e spesso i figli suoi delude”.
Tu certo in seno a Dio
veloce andasti.
Pregalo pure per me
che senza duolo
passi dal mondo
alla celeste patria!
I Giovani Sposi
AD ANNA E DANIEL
Vorrei, con cuore aperto e animo gentile,
scriver due versi, e con tanto calore
augurarvi felicità e tempo migliore
per tutta l’esistenza: sempre aprile!
L’ardente fiamma vivace e giovanile
che vi ha uniti, prenda più vigore,
come nel giardino il più bel fiore
nella lieta stagion primaverile.
Oggi per voi facciamo questa festa
per dimostrar che vi vogliamo bene,
e impressa nel cuore sempre resta
questa sera che tutta a voi appartiene,
la luna, le stelle, il cielo lo manifesta
col ponentin che a rinfrescar ci viene!
PER IL MATRIMONIO DI ROSSELLA E PEPPE
Carissimi Sposi,
dopo la bella cerimonia in chiesa ed il discorso di don Franco che mi ha molto commosso, non avrei altre parola da aggiungere; ma è mia abitudine dire qualche parola in queste occasioni.
Tanto più lo è per un nipote che mi è stato sempre tanto caro fin da quando era fanciulletto svelto e vivace che tutto voleva sapere e voleva fare mentre ero a lavorare nei campi: poi diventato più grandicello mi guidava il trattore che trainava il vecchio aratro usato con i buoi.
Ed oggi in questa domenica di agosto ci fate gioire di questa bella festa per la celebrazione del vostro matrimonio che è il sacramento più nobile della vita perché unisce fisicamente e spiritualmente due persone che si vogliono veramente bene e che ai piedi dell’altare hanno giurato fedeltà ed amore.
Noi tutti parenti ed amici siamo qui per testimoniare che vi volete bene e per augurarvi tanto benessere felicità e gioia ma soprattutto tanto amore.
Amore vero, profondo da cui scaturiscono lealtà, compatibilità, tenerezza e reciprocità di affetto, e se è necessario anche sacrificio l’uno per l’altro.
Amore che con il passare del tempo diventi sempre più grande e più radicato nei vostri cuori!
Che mai, Giuseppe e Rossella, sia dimenticato da voi questo giorno ed il primo incontro, e ricordatelo soprattutto se qualche nube offuscherà l’orizzonte sereno della vostra vita; (io mi auguro non avvenga mai).
Rinvigorite allora quella fiamma d’amore accesa da giovanetti e fatela sempre risplendere nei vostri occhi per illuminare sempre più il sentiero della vostra vita!
Vi rinnovo i miei più sentiti auguri di tanto bene e di tanto amore, invocando Dio perché benedica questa nuova famiglia che oggi con tanto entusiasmo salutiamo!
AGLI SPOSI FORTUNATO E MARIA
A te, nipote mio, con tanto affetto
insieme alla tua giovinetta preferita
che hai scelto per compagna della vita
degna di ammirazione e di rispetto.
Benché a scriver versi più non mi diletto,
come facevo all’età mia fiorita,
pur di scrivere qualcosa il cuor m’invita
riportandomi ad un tempo giovanetto …
Per far gli auguri a voi di vero cuore
insieme ai parenti ed a chi vi onora
in questo giorno in cui vi unisce amore!
Gioia e felicità vi accresca ancora
e con spirito vital e con più fervore
risplenda il vostro amor come l’aurora!
AGLI SPOSI VITTORIA E BENEDETTO
Con questi rozzi versi poverelli,
col cuore aperto e con sincero affetto,
auguro a Vittoria e a Benedetto
tanta felicità e giorni più belli!
In questa festa per voi sposi novelli,
amici e parenti son qui con gran diletto
dopo che nell’altar vi han benedetto
acciocché il giurato amor non si cancelli.
La fiamma accesa in voi da giovanetti
rimanga sempre tal nei vostri cuori,
senza accusar stanchezza oppur difetti.
Senza cercar altri svaghi ed altri amori
vi auguro vivere ognor sani e perfetti:
questi son nella vita gran valori!
A CLAUDIO E LAURA
-Ottava-
In questo giorno a voi sposi novelli
tanti auguro do di vero cuore,
splenda sempre nei vostri visi belli
viva la fiamma del giurato amore.
Come due fiori, come due gemelli
lo stesso stelo irradi di splendore:
sempre bel tempo, senza mai bufera
sorrida sempre a voi la giovinezza.
E la giocondità di primavera!
Coi migliori auguri di felicità
E benessere per tutta la vita!
A CLAUDIO E LAURA
-Sonetto-
Ai vostri volti guardavo stamattina,
vi ho visto uniti nell’altar divino
in quella chiesa antica, San Ruffino
splendenti come un’alba mattutina.
Vedevo, Claudio, te e la sposina
che è un giardino dell’amore, un fiorellino
or or sbocciato, candido e genuino:
semplice, un po’ commossa assai carina.
Voglile bene ed usa ogni accortezza,
come un tesoro, come cosa rara …
con tanto amore e con tanta dolcezza.
Come il Petrarca per la donna rara
descrisse, amò e cantò la sua bellezza,
sì soave è l’amor alla tua Laura.
AGLI SPOSI MILENA E ROBERTO
Con tutto l’animo sincero ed aperto
ed ravvivato da tanto calore,
gli auguri vi fo di vero cuore
a te, Milena, con il tuo Roberto.
Che stimo bravo, intelligente, esperto
a fare il vostro avvenir ben migliore,
con gioia, felicità, pace e amore!
Lungo l’aspro sentier dubbioso e incerto.
Giammai l’amor giurato nell’altare
venga mai meno, e per nessun motivo
il rispetto tra voi deve mancare
e di offuscate nubi ognor sia privo!
Sempre come oggi vi dovete amare
d’amor prolungato e sempre vivo!
I Nipoti e i Bambini
RICORDO DEL NIPOTINO GIOVANNINO
Chi ti colse, tenero fiorellino
In così verde età? Quanto dolore,
quanto strazio hai lasciato in ogni cuore!
Eri svelto, vivace, eri carino.
Ti volevamo tutti bene, Giovannino;
i genitori nutrivan tanto amore!
Te, tra i figli, vedean il migliore:
Dove sei andato caro nipotino?
Nel giardino celeste trapiantato
su sarai grande, su sarai allietato,
da tutti gli angioletti circondato
Ognor con Gesù che in terra hai amato,
pregalo tanto, or che sei ascoltato
per venir noi con te al ciel beato.
DAVANTI ALLA TOMBA DEL NIPOTINO
Sono passati degli anni, mipotino
e piccolo ti vedo come allora.
Qui, genuflesso, sulla tua dimora
Rivivo, insieme a te, come un bambino:
a scuola e in bicicletta, Giovannino
svelto e vivace, ti rivedo ancora,
ripensando a quel maggio, mi addolora:
che triste giorno, che fatal destino!
Più non sentimmo palpitare il cuore
non più una parola, un tuo sorriso.
Singhiozzanti e affranti di dolore
Demmo gli ultimi basi sul tuo viso:
sembravi un angioletto, e come un fiore
Dio t’avea colto per il Paradiso!
A MARISA
Non dolerti, Marisa, del tuo male,
offrilo a Gesù, ch’è nostro Signore
che solo comprender sa pene e dolore
e conforto sa dare a ogni mortale.
Sappi che a questo mondo poco vale
aver tanta ricchezza, gioia e onore
ma premio eterno avrà, che ha più valore,
colui che col pensier su in alto sale.
Fatti sempre guidare dalla fede
senza segni di noia e di stanchezza
che, dopo la burrasca, il sol si vede
e dopo il mal, del bene si ha certezza
e al mondo gode sol chi spera e crede
con animo sincero e con saggezza!
DISCORSO PRONUNCIATO A ROMA IN OCCASIONE
DELLA CELEBRAZIONE DELLA PRIMA MESSA DEL
NIPOTE FAUSTO
Fausto!
Questa mattina quando salivi l’altare ti ho guardato commosso. Indietreggiando il pensiero nel tempoti rivedevo fanciulletto vivace, un bambino come tanti altri. Volevi fare, volevi sapere: mi ricordo quando volevi guidare le vacche che trainavano un carro carico di fieno.
Ti ho visto più tardi sui banchi di scuola: volevi con impegno essere il primo, il migliore, e lo eri davvero!
Ad un certo momento diventato grandicello ti sei trovato davanti a tante strade: forse eri imbarazzato per la scelta in mezzo a tante ideologie politiche, a tante incertezze umane, a tanti piaceri effimeri, falsi e fugaci che ci offre la vita terrena?
Tu hai preso la via spirituale, la via a volte più irta e faticosa che però conduce alla gloria eterna! Hai appreso l’insegnamento di Gesù: prendi la tua croce e seguimi …
La via dell’amore!
Quante versioni ha questa parola: amore! Amore per le cose, per le persone, per il sesso, per le piante, per le bellezze naturali. Ma tu hai scelto l’amore spirituale, l’amore per i fratelli che soffrono, l’amore per tutta l’umanità, amici e nemici nella stessa misura.
Tu da oggi in poi sei un soldato di Gesù, un combattente, non con la spada ma con l’amore, con l’esempio. “Con lo spander del tuo parlar sì largo fiume”, vuoi portare a salvamento l’umanità vacillante nel mare tempestoso della vita!
Ora sei un ministro di Cristo, dell’eucarestia, e questa tua consacrazione ti mette al di sopra di tutti noi, a servizio degli altri, per il bene della Chiesa e del mondo.
Noi siamo tanto contenti di te, ti ringraziamo per questa festa, ci sentiamo vicini oggi, mentre ti festeggiamo insieme alla comunità religiosa di cui fai parte. Noi parenti vogliamo essere tutt’uno con la tua comunità.
Hai aperto il tuo cuore ai bisogni del mondo, non hai guardato al denaro, non hai cercato il tuo interesse personale, ma insieme con i fratelli hai sentito la forza dello Spirito Santo che ti ha chiamato e ti ha mandato tra i popoli.
Vogliamo esprimerti il nostro augurio: che tu sia sempre felice di vivere con gli altri e per gli altri, che la tua missione apostolica sia feconda di fiori e frutti, che la felicità di questo giorno si rinnovi ogni giorno della tua vita.
Anche tu ricordi nonna Giustina che sempre parlava di te e tanto pregava per te, perché prevedeva che avresti avuto una missione importante.
Anche noi ti seguiamo con tutto il cuore, e tu non ci dimenticare!
ALLA NIPOTINA ANNARELLA
Pure tu volenterosa,
o mia cara nipotina,
vai alla scuola, alla mattina,
con le bimbe baldanzosa.
Sempre forte e coraggiosa,
con la nebbia e con la brina
non fai mai la birichina
sempre brava e assai studiosa.
Quando poi sei grandicella,
tu ricordi con amore
la tua brava monachella
che per tante lunghe ore
insegna, cara Annarella,
come madre di gran cuore.
ALLA NIPOTINA MARIA GRAZIA
Sono fine le vacanze
liete e belle dell’estate.
Or la svegli ancor più presto
e con l’aria frizzantina
t’incammini per la scuola,
preoccupata e sbrigativa.
E così la vita cambia
ed il tempo passa e vola.
Tu il mare sogni ancora,
sulla spiaggia e tra la rena
ancor pensi di giocare.
L’aria fresca della sera
ed il sole risplendente
ti godevi con piacere,
sempre allegra e sorridente.
Io, Grazietta, ancor ti seguo,
da quassù col mio pensiero,
nella casa e nella scuola
sempre attenta e sempre brava,
ubbidiente e rispettosa.
Son le doti tanto care
Di una bimba come te!
ALLA NIPOTINA MARIA GRAZIA
Oggi scrivo in tutta fretta,
e con gran soddisfazione,
non curando occupazione
per risponderti, Grazietta!
La tua bella paginetta
scritta ben con attenzione
dà al cuor consolazione:
sei una brava scolaretta!
Ora è Pasqua, mia Grazietta,
primavera tutta in fiore
spira ovunque gioia e amore
nella festa benedetta.
Fra i bei prati profumati,
l’acqua chiara, cristallina
sgorga giù dalla collina
tra i fioretti dei fossati.
E le bimbe in vesti chiare
stanno allegre sotto il sole
profumate di viole
non si stancan di giocare!
Pure te vorrei vedere
come giochi in mezzo al prato,
ed io pure sarei beato
in sì liete e fresche sere.
Viver lieto e spensierato,
senza pesi, né malanni,
vecchio, stanco riposarmi
dai nipotini accarezzato.
In sì bella primavera,
con Gesù resuscitato
che perdoni ogni peccato
tutti pregan e tutti speran!
Pure tu Grazietta mia
volgi al ciel la tua preghiera
a Gesù, in sulla sera,
che salute ognor ti dia.
Prega tu che sei innocente
per la mamma e per il tuo papà
perché possano campare
lunga vita allegramente.
Prega ancor la Madonnina
Perché in chiesa, a casa e a scuola,
la tua mamma si consola
nel vederti assai bravina!
LA MATERNITA’ DI LAURA
Sbocciato nel tuo seno giovanile
come un fiore di candida bellezza
pieno di vita, pieno di dolcezza
quasi un nuovo miracolo d’aprile.
Proprio nella tua età primaverile
per te giovane mamma è una ricchezza:
un sorriso di bimbo, una carezza
specie nella tua età fresca e gentile.
Tu lo circondi di un amore profondo
lo stringi al petto tuo quest’angioletto.
Il novello Matteo venuto al mondo
porti tanta allegria sotto il tuo tetto.
Io gli auguro benessere fecondo
crescere al fianco tuo sano e perfetto.
A PAOLETTA IL GIORNO DELLA
PRIMA COMUNIONE
Questa festa è per te cara Paoletta!
Oggi Gesù è disceso nel tuo cuore,
con la Sua grazia e il Suo grande amore,
diventerai una brava fanciulletta.
Prendi il sentiero della vita diretta
Che col Vangelo ti addita il Signore,
sana, robusta e pura al par di un fiore
sempre graziosa, semplice e perfetta.
Prega, Paoletta, in questo santo giorno
per i tuoi nonni, per i genitori
per tutti quelli che ti stanno intorno.
Pregalo ancor perché nei nostri cuori
regni la vera gioia e perché un giorno
viva l’umanità senza rancori!
A CINZIA
Con tutto l’animo mio e con affetto,
giacché di tua amicizia mi fai onore,
scrivo questa poesia con amore,
non per mio capriccio o per diletto.
Sol perché ti stimo e per il rispetto
che hai avuto per me col tuo buon cuore
con tanta cordialità e uman calore
le parole che hai scritto ad un vecchietto.
E’ stato per me un regalo eccezionale:
per un’ottantenne stanco ed avvilito
è qualcosa che sa di celestiale!
E’ far rifiorire un albero ingiallito.
Un grazie con l’augurio mio cordiale
di felicità e successo infinito.
A MONIA
Per la prima comunione
Ti ho visto stamattina un po’ commossa,
con le manine umilmente piegate,
dolce, tenera, come un fior d’aprile,
come una rosa fresca e profumata
in una tiepida notte sbocciata:
alla prima alba di un lieto mattino.
Oggi è sceso Gesù nel tuo cuore,
con la Sua grazia e il Suo grande amore
a illuminar della vita il sentiero
con la luce che viene dalla fede,
con la viva fiamma dell’innocenza.
Con te festeggiamo il giorno più bello
da ricordare sempre vivamente:
sia portatore d’altri lieti eventi
di bellezza interiore e di purezza,
da farti splender tra tutte le stelle
con femminile incanto sulla terra.
Gli Amici
BRINDISI A DON ELIO
Bersaglierescamente e con ardore
hai rinnovato Piane Falerone
diffondendo in tutte le persone
un’atmosfera di pace e d’amore.
Con la tua bontà aperta ad ogni cuore
e con lieta e sincera convinzione
che ti fa degno di ammirazione
a tutti sai lenire ogni dolore.
Tu il bene l’hai fatto e predicato
in venticinqu’anni di ministero
oggi preghiamo Gesù, caro Curato,
che ad insegnare della fede il gran mistero
sii sempre in mezzo a noi gaio e onorato.
questo è l’augurio mio tanto sincero.
IN RICORDO DEL PARRO DI PIANE DI FALERONE
DON ELIO JACOPINI
Don Elio carissimo,
tu ci hai lasciato, hai lasciato i tuoi parrocchiani che ti volevano bene e che tu amavi come una propria famiglia: noi siamo tutti addoloratissimi per la tua scomparsa.
Sei stato per noi una guida, un maestro saggio, un consigliere spirituale.
Ti ho conosciuto tanti anni fa, cioè quando dalla vicina Montottone ti trasferisti qui a Piane di Falerone e per motivi economici, famigliari, civici e politici venivi a trovarmi quando io non avevo il tempo di venire a parlare insieme!
Dovevo a volte aspettare la pioggia per stare ore ed ore insieme. Tu mi consigliavi, mi insegnavi tante cose che io non capivo.
Nei momenti di dolore accorrevi a confortare, ogni famiglia, ad ogni capezzale ove era un infermo e con parole di luce, con la tua bontà, col tuo grazioso sorriso, così caro, sapevi così bene lenire ogni dolore.
Tu hai fatto del bene a tutti, specie ai giovani. Quando ne parlavamo cercavi sempre di esaltarne i pregi e nascondere i difetti.
Eri qui a Piane un faro che risplendeva ed illuminava tutti la via della salvezza.
Cari amici, Don Elio non fece mai discriminazioni di sorta, amò tutti nella stessa misura, non osservò le differenze tra opposte idee politiche: in poche parole, trattò tutti uguali nella grande famiglia umana, senza discostarsi dal campo spirituale.
Tutta la sua vita è stata intensa di attività. E’ stato molto altruista, disinteressato, ha pensato più per gli altri che per se stesso.
Mi disse una volta: “La mia famiglia è la parrocchia e nulla debbo togliere ai miei figli, piuttosto dare a loro”.
Sarebbe troppo lungo parlare delle sue attività: la chiesa, la casa, tanti impegni.
Non sono io all’altezza di parlare del campo spirituale, spetta agli altri più bravi e più competenti.
Don Elio! Noi parrocchiani ti vogliamo qui nel camposanto di Falerone: ancora in mezzo a noi.
Sorridente col tuo sguardo benevolo ci parli ancora: e spiritualmente ti ascoltiamo.
Addio do Elio, addio, addio! Prega per noi perché dopo la parentesi terrena ci ritroviamo ancora insieme.
POSA DEL MONUMENTO A DON ELIO
Con questo busto eretto nel piazzale abbiamo ancora don Elio immortalato in mezzo a noi: qui vicino a queste piante che lui tanto amava.
Vicino a questi sedili, mi pare di vederlo ancora seduto a conversare con i suoi parrocchiani, specie nelle giornate estive quando il male gli vietava la solita vita attiva e movimentata com’era sua abitudine:in mezzo ai giovani che giocavano a pallone, oppure nei luoghi pubblici a conversare con le persone, o dopo lunghe passeggiate a piedi a trovare gli ammalati, gli amici.
La sua vasta conoscenza di tutte le cose spirituali e umane, il suo zelo sacerdotale, la sua intelligenza, il suo carattere espansivo, lo resero caro a tutti.
Era sempre presente in tutti i luoghi ove era necessario portare una buona parola di verità, di moralità e di pace.
A Fermo a fare i corsi di cristianità; a predicare nei paesi limitrofi dove era chiamato in occasione di ricorrenze e festività paesane. A loro Piceno, Belmonte, Servigliano, a Monteleone di Fermo alla ricorrenza della Madonna del Soldato, in piazza tra i bersaglieri egli era sempre presente ed ovunque aveva apprezzamento e stima.
Troppo approfittava della sua fibra robusta.
Aveva sempre uno slancio giovanile ed una grande volontà di fare, affrontando ogni difficoltà per l’altrui bene.
Sempre sereno, sempre col suo sguardo luminoso, sempre gioviale, sempre sorridente, sempre pronto ad incamminarsi sulla strada del colloquio con tutti: con tutti egli dialogava.
Quante preoccupazioni! Quanti sacrifici, quante difficoltà ha incontrato per costruire la chiesa e la casa; quelli erano tempi difficili per trovare il denaro che occorreva.
Altre difficoltà per unire la popolazione divisa da opposte ideologie politiche.
Fece il cinema all’aperto, organizzò la squadra di calcio, procurava le riumioni nella sala parrocchiale senza distinzioni di idee e di categorie di cittadini.
Egli, al di sopra delle ideologie, al di sopra dei difetti e dei pettegolezzi vedeva la persona, valorizzava la vita materiale e spirituale, gioiva nel vedersi attorniato da amici come un padre dai propri figli.
Quanti ricordi abbiamo di lui, dei suoi ragionamenti! La sua voce eloquente, le sue parole penetranti scendevano nei nostri cuori con tanta dolcezza.
Ora lui non c’è più, ma noi lo ricordiamo ed ancora chiediamo a lui di pregare per noi affinché in quelle belle Piane di Falerone regnino sempre la pace, la concordia, la giustizia e l’amore, la sopportazione ed il rispetto reciproco.
Più ancora chiediamo a don Elio di pregare per il parroco don Giuseppe suo successore perché tutti i cittadini di Piane siano uniti in un solo ovile alla guida di un solo pastore.
DISCORSO IN CHIESA PER LA POSA DI UNA
LAPIDE IN ONORE DI DON ELIO
Dieci mesi orsono in questa stessa chiesa gremita, demmo l’ultimo addio al nostro caro don Elio, dico nostro perché don Elio era di tutti noi, il capo della famiglia parrocchiale a cui tutti volevamo bene.
Egli fu in mezzo a noi per trentasei anni, come maestro, come guida spirituale, educatore, dotato di una grande intelligenza, di un cuore buono e di un perfetto ottimismo.
Noi lo ricordiamo oggi con la posa di una lapide in questa chiesa che lui eresse con tanti sacrifici e nella quale parlò, educò, insegnò a tutti noi.
Da questo pulpito noi apprendevamo la sua parola esplicita, facile e penetrante, lui oltretutto sapeva parlarci col cuore!
Questa lapide serve per ricordare don Elio non solo a tutti noi che l’abbiamo conosciuto. Il ricordo caro di lui l’abbiamo impresso nei nostri cuori, lo ricordiamo in chiesa quando andiamo a messa, quando ci mettiamo seduti all’ombra, i n quelle panchine, quei sedili e giriamo intorno lo sguardo per gustare le bellezze che lui ci creò, lo ricordiamo volgendo lo sguardo al loggiato dove molte volte conversava insieme: lo ricordiamo entrando nel salone dove lui faceva le riunioni, e dove celebrava la messa durante la sua lunga malattia.
Ma soprattutto lo ricordano i giovani che gli furono vicini e con lo spirito giovanile di parroco bersagliere, sapeva interpretare i loro sentimenti, le loro ansie e le loro attese, noi a mezzo di questa lapide lo ricordiamo ancora alle nuove popolazioni future che verranno dopo di noi.
Egli ci ha guidato con la sua parola, con il suo esempio,col suo coraggio nel mare burrascoso della vita!
Con la sua personalità, col suo sorriso così grazioso sapeva ricondurre all’ovile pe pecorelle sperdute.
Era molto altruista e disinteressato, amò tutti nella stessa misura senza discriminazioni, giovani e meno giovani, poveri e ricchi, fu caro a tutti!
Preoccupato per favorire lo sviluppo qui a Piane di Falerone di cui fu l’artefice primario.
Per lui la ricchezza, la proprietà doveva sempre, in ogni circostanza, avere una funzione sociale …
Lo ricordiamo ancora nella sua grave malattia, quando la sofferenza del male, a poco a poco, lo declinava consumando la sua fibra di bersagliere forte e robusto.
Mi pare di vederlo ancora lungo la strada con la bicicletta a tre ruote, spesso si fermava all’ombra a parlare con gli amici per ore e alla domanda: “Come stai don Elio?” rispondeva sempre: “Bene!”.
Accettò con molta rassegnazione tutte le sofferenze del male incurabile che lo consumava, anche negli ultimi giorni di vita a chi lo andava a trovare rispondeva col solito sorriso a fior di labbra: “Sto benissimo”!”.
Si consolava guardando magari dalla finestra tutte le bellezze del creato che lui tanto amava.
Guardava le piante fiorite, i campi verdi, il sorgere del sole, i silenziosi tramonti e tutte queste cose lo rallegravano, sottoponendosi umilmente alla volontà di Dio.
Soffriva con molta rassegnazione e negli ultimi momenti, quasi agonizzante, apriva gli occhi per guardare i parrocchiani che lo andavano a trovare come per dal loro l’addio per sempre.
No! Non ci siamo separati con don Elio, egli vive ancora spiritualmente dentro di noi, vediamo ancora aleggiare la sua figura immortale in questi luoghi, pregherà ancora per noi che serbiamo il di lui ricordo finché non lo raggiungeremo per sempre nella vita ultraterrena per godere anche noi delle beatitudini eterne!
ALLE LAVORATRICI ED AI LAVORATORI
DEL TOMAIFICIO
Ero timido e commosso quel giorno del nove giugno,
quando mi onoraste di un prezioso regalo.
Leggevo in voi tante bellezze interiori,
tanta femminilità, bontà e nobiltà d’animo
che si sprigionavano dai vostri cuori.
All’osservare voi o giovani mamme, anziane, fanciulle
Tanta poesia vibrava nel mio cuore stanco,
entro il vecchio stabile illuminato dai vostri volti.
Cominciavate a lavorare mentre tante parole mi
venivano in mente, che non potei pronunciare,
emozionato dalle attenzioni da cui ero circondato,
tanto da suscitare in me un sentimento di affetto vivo,
un amore non profanato da erotismo,
ma limpido e puro come acqua sorgiva.
E’ verità quel detto poetico:
“spesso nascosti son tra vaghi fiori
aspidi crudi e velenosi serpi
e altre volte ancor li gran tesori
stan sotto i sassi e sotto rudi sterpi”.
Vi esprimo la mia stima con i meritati riconoscimenti
a tutti, operaie e operai del tomaificio
per il pensiero così nobile e gentile nei miei riguardi.
Sperando di scrivere ancora per rinnovare
un grazie di cuore per il regalo che ho tanto gradito,
lo tengo e lo terrò sulla scrivania come ricordo,
tanto caro tra i ricordi.
Cordialmente.
A TUTTE LE DONNE CHE LAVORANO
NEL TOMAIFICIO
E’ Natale! Colgo l’occasione per farvi gli auguri e per rinnovare il mio grazie!
Come posso io rinfrancare, se non con il mio affetto, con l’apprezzamento e la comprensione per il lavoro che fate?
Vi vedo sempre puntuali in questi gelidi mattini.
Viene dimenticato spesso, purtroppo,che le donne sono gli angeli delle famiglie, le fonti vive della vita umana: lo dimostra anche la costernazione di una famiglia cui mancasse il sorriso della mamma che consola ed addolcisce.
Sono le perle che splendono nelle maternità, nelle case, negli ospedali, nelle fabbriche ed in tutte le attività che danno ricchezza all’intera società.
Formulo i migliori auguri per il Santo Natale e per l’anno nuovo: che porti a voi tutte tanta serenità, prosperità e pace con il riconoscimento per il ruolo importante che vi aspetta come operaie pur semplici per un mondo più giusto e più umano!
Con tanta cordialità.
CHI E’ MARCELLA?
Chi è Marcella? Perché alla mia età di 81 anni ho dedicato a lei alcune poesie?
Marcella è una ragazza che abita a Penna San Giovanni, in contrada Caselunghe. Da circa dieci anni la incontro più volte al giorno alla guida di un pulmino che trasporta le operaie che lavorano in un tomaificio qui vicino ed io ho voluto sceglierla come simbolo quale capofabbrica, soprattutto per la sua semplicità,la sua attenzione alla guida, la capacità nel lavoro che svolge, sempre a puntino, attiva, scrupolosa e cosciente nell’adempimento del dovere.
Poi perché la mia maggiore stima, la mia simpatia, il mio modesto semplice scrivere vanno a coloro, donne o uomini che lavorano dalla mattina alla sera con coscienza, come queste umili e semplici operaie che hanno il senso dell’economia e del dovere, beni indispensabili alla società, come personaggi utili, al pari di scienziati, professori, dottori, infermieri, educatori dimenticati e inosservati dalla stampa, in poche parole a tutte le persone di cui nessun giornalista scrive, nessun ne parla dando loro valore umano come veramente meritano, mentre si parla, si scrive, si onorano persone che amministrano male il denaro, che fanno giocarelli alla TV, che sfruttano, sprecano ed amministrano male il denaro sudato dlla povera gente!
Quante immeritate ricompense, quante buonuscite, quanti onori, quante ingiustizie umane si commettono?
POESIA A MARCELLA (I)
Bella giovanetta che incontro spesso
lungo la strada che passi ogni giorno
ti vedo nell’andar e nel ritorno
alla guida del pulmin nel luogo stesso.
Con l’animo mio aperto ti confesso
che a stile giovanil più non m’aggiorno
giacché so n vecchio, stanco e disadorno
pur ti auguro di cuor gioia e successo.
Sei negli anni miglior di tua givinezza
che ti basta uno sguardo ed un sorriso
per sentirti nel cuor tanta dolcezza!
Un fulgente stella in te ravviso
quando mi specchio nella tua bellezza
e con i tuoi capelli penzolanti al viso!
POESIA A MARCELLA (II)
Cara Marcella, non prenderla a male
se un vecchierello che tanto ti stima
ti scrive poche righe messe in rima
in occasion del Santo Natale.
Tu sei schivetta, limpida e leale
nella scala dei valori sei alla cima
perché da tutte le altre ti sublima
la dote natural che tanto vale.
Ti mando tanti auguri con fervore
per Natal, Capodanno e per Pasquella:
goder nel bel giardino dell’amore!
Or che trascorri l’età tua più bella
col giovanetto che hai dentro il tuo cuore
questo è l’augurio mio, cara Marcella!
POESIA A MARCELLA (III)
Come al limpido ciel fulgida stella
e lo sbocciar d’un fiore in mezzo al prato
dietro al bianco pulmino per l’asfalto,
a guida del volante appar Marcella.
Sempre svelta, vivace, agile e snella
ha gli occhi belli, il viso delicato,
atteggiamento nobile e pacato
dalle idee chiare e facile favella.
Attiva, intelligente e giudiziosa
per lavoro e dover donna esemplare
espressiva, espansiva e generosa.
Brava per ubbidir e comandare
beato il giovanetto che la sposa
perché miglior mai potrà trovare.
POESIA A MARCELLA (IV)
Tanto ancor Marcella, per te scriverei,
pur dovendo la mente affaticare,
ma cosa fuori posto a me già appare
perché più non si addice agli anni miei!
Pur tuttavia pago già sarei
tu possa il verso mio u n po’ dilettare
benché mi avvedo che non so poetare,
scrivere qualcosa ancor io vorrei.
Il sentimento spontaneo e naturale
mi spinge, dico il ver, con tutto il cuore
a mandarti gli auguri per Natale.
Il nuovo anno sia per te migliore
portandoti ogni dono che più vale:
tanta fortuna, gioia, pace e amore.
AGLI SPOSI (MARCELLA E MARTINO)
Avete scelto un giorno a primavera,
in cui si ridesta tutta la natura,
l’aria si è fatta tiepida e più pura,
s’ode un canto che tanto ci allegra!
E’ un festeggiar gli sposi! Una preghiera,
un porgervi gli auguri a dismisura
di gioia e felicità duratura,
e un buon auspicio di pace vera!
Ve lo auguro pure io con tanto ardore:
nei vostri cuori ognor si rinnovelli
lo spirito vital con più vigore,
per apprezzarvi voi come gioielli.
La fiamma accesa del giurato amore
Risplenda sempre in voi, negli occhi belli!
AL MAESTRO GENTILI
Maestro assai sapiente e gentile
che ai tuoi alunni insegni con amore,
nell’aula chiuso stai per lunghe ore
della tua vita in sì grazioso aprile.
Io elogio e ammiro il tuo benigno stile,
dei fanciulletti sei il benefattore,
del campo del saper il coltivatore
non ti dimostri mai noioso e vile.
Nutriente il succo della tua parola
irrobustisce lor la mente e il cuore
e ricordando ognor la prima scuola,
quei ragazzetti ti faranno onore:
la fama ti rimane il tempo vola!
Io apprezzo la saggezza e il tuo valore!
DISCORSO PRONUNCIATO IN CHIESA
PER LA IMMATURA MORTE
DELLA PROFESSORESSA SANDRA
Prima di tutto ringrazio il parroco Don Giuseppe che mi ha permesso di parlare in chiesa per dare l’ultimo saluto, l’ultimo doloroso addio ad una giovane mamma, giovane sposa che oggi ci ha lasciato.
Ha lasciato i suoi diletti figli che amava tanto, il suo Davide e la sua cara mamma. Tutti sappiamo delle conversazioni umili e fraterne, dell’insegnamento, del modo con cui trasfondeva nei giovani la luce del sapere.
La vedevamo pregare in chiesa, apprezzavamo la cordialità con cui riceveva in casa ogni persona: senza inorgoglirsi della sua personalità e del suo titolo di studio.
Sapeva vivere in una semplicità meravigliosa, aveva delle doti non comuni perfezionate con la saggezza e con la grazia di Dio. L’ho rivista questa mattina nella camera ardente dello spedale di Montegiorgio con un volto così angelico che mi ha dato l’impressione di una statua.
Sandra resta indimenticabile per i giovani che hanno tratto profitto dal suo insegnamento e per noi tutti suoi compaesani che ricorderemo sempre quel suo modo benevolo e accogliente che ci lascia l’esempio della sua bontà.
Noi preghiamo per te o Sandra e tu puoi fare ancora qualcosa per noi. Raccomanda al Signore la nostra gioventù e il nostro paese.
Addio!
PER LA CHIUSURA VDELLA FORNACE
Ho rivisto la fornace: fa pena!
Vederla squallida, e già abbandonata,
lì nello spiazzo, intorno assai insozzata
da fradice foglie, erbacce e rena.
Più non si sente il suon della sirena.
Or la cornacchia sol nota stonata
o randagio animal ulula e agguata
nel rumor dell’acqua del Salino in piena.
Quegli automezzi carichi che vedevo,
quel via vai, quel rumor, quel movimento,
la grande utilità che intravedevo
il perfetto funzionar d’ogni strumento
sono le ragioni per cui credevo
a un serio autorevole intervento!
(L’autore ha lamentato la mancata volontà politica di tenere attiva la fornace rinnovata)
AD ANNA GUALTIERI
Or son molti anni che si fa notare
al mattino, al meriggio, ed alla sera,
d’estate, d’autunno, inverno e primavera
mentre va con premura a lavorare.
Sempre a puntino nel venire e andare
in centoventisei la ragioniera,
tanto gentile amabile ed austera
sempre ligia al dover, donna esemplare.
La si conosce pur solo a guardarla
d’animo aperto, brava e intelligente,
io spesso mi onoro di incontrarla.
Per le sue qualità sinceramente
Merita a mio parere di premiarla
Con una stella al merito …. Nascente.
Cari Paesi
RITORNANDO A VEDERE
Vecchia casetta
nera, affumicata,
dopo tant’anni
ti rivedo ancora.
Rivedo lo scalino
là, d’un lato
dove noi bimbi
sedevamo insieme;
il camino
e la pietra consumata,
la cappa col chiodetto
per il lume
ed un altro ov’era appesa la corona
per recitare il rosario
nella sera.
Il soffitto,
la scala di legno
rosa dai tarli
annerita dagli anni,
la cameretta
tutta screpolata
dove dormivo
insieme a mio fratello,
i due scalini
che vanno alla loggetta.
Il forno,
il fornacchiolo frantumato,
la stalla, la cantina,
la capanna.
Il pero, il melo, il ciliegio,
le noccioline
lì la concimaia.
Le grosse querce
vicino alla capanna;
sotto le chiome
si stendea un bel prato
ove noi bimbi
giocavamo insieme
e per gli adulti
affaticati e stanchi,
lieti riposi
nei giorni festivi;
o quando il sole
bruciava la campagna,
nelle ore del giorno
più infuocate.
Il suon del martello
che battea le faldi
il canto confonde
delle cicale.
Le corse per i campi,
la scuola,
il portar buoi e vacche
alla fontana.
Spighetta! La bella cavallina!
Il cenone,
le feste in famiglia,
e Sora Rosa
quando ci portava la befana.
Le veglie d’inverno
al tepor della stalla riscaldati.
Mi per di vedere nonna che filava
mentre mamma tesseva la tela
alla fioca luce d’un lumino
appeso là, d’un lato,
in un localetto tra stalla e cantina.
Rivedo quelle crepe,
il finestrino,
la porticina con i due scalini
che lì scendea
ov’era il telaio:
qualche sera
a mamma tenevo compagnia,
lieto di girare il filarello
con l’arcolaio
che girava insieme;
cari ricordo
dell’età infantile!
Giorni belli!
Tutta semplicità
pace e allegria!
Quando tra ingiustizie
e pensier gravi,
pace non trovo
o non son tranquillo,
ripenso sempre a te,
vecchia casetta!
A BELMONTE PICENO
Sei bello, pittoresco
ed a me caro.
Da su, dall’alto
domini la valle!
Io da lontano
ognor t’ammiro.
Mi ridèsti i ricordi del passato.
Proprio là il boschetto
di alte piante
Ove si nota natural bellezza;
e lo sguardo spingi
fino alla marina.
Nascosta tra le querce
Una casetta,
lì nacqui e poi emigrò
la fanciullezza
ma in te tornò
nell’età migliore,
quando tutto si vede più bello
quando il cuore palpita d’amore.
Tra la gente buona e laboriosa
la vita mi passò più spensierata.
Il lieto canto delle fanciullette
par riecheggiar ancor le tue colline,
dove la messe ondeggia come mare
il contadinel pago si allegra.
Ma più vivi in mente
ancor mi restano
quel colle solatio,
quei pendii solchi coi lenti buoi,
le fresche aurore
ed i tramonti d’oro!
Parmi ancor di sentire
quel cinguettio d’uccelli
ed il fruscio d’ali
sulle querce annose
che con musica gentil
mi venia a salutar festosamente.
In te non v’è cosa:
alberi, strade, vie
e vecchie casette
che non mi ridesti ricordi.
Io son legato a te,
con tutto il cuore
t’amo, paesello mio,
con tanto amore.
Oh amici d’un tempo, vi rivedo tutti;
rivedo ancor la nonna e il genitore
posti lassù, col nipotino
all’ombra dei cipressi.
Vorrei venir pur io stanco
e smarrito nel peregrinare
tra l’ingiustizie umane,
per ritrovar la pace
quassù nell’alto colle
a poter dire:”Mio paesello,
tu mi desti la vita,
tra le festose piante.
Quando il Signore vorrà
te la rendo all’arido colle
per riposare il sonno della pace!”
LE DUE QUERCE
O grosse querce antiche,
mi fate ripensar gli ozi infantili,
i giochi al prato che ancora ombreggiate,
le canzoncine che da giovanotto,
sentivo riecheggiar da ogni luogo,
nell’aia lo sfogliar del granoturco,
lo sceglier la paglia dai covoni;
gli stanchi buoi ruminanti al fresco,
il canto degli uccelli e le cicale,
i quieti riposi sotto ombrose chiome.
O dell’età novella rimembranze!
Sono passati gli anni e sono già vecchio.
Voi invece sempre più belle, superbe e grandi,
par che dall’alto dominate tutto.
Né venti né tempeste v’han logorato,
nessun male giammai v’ha disturbato
e le vostre ghiande ancora belle e dorate.
Riparate gli uccellini nei nidi a primavera!
Voi siete sempre lì e godete le feconde rugiade,
il sol che nasce e i suoi tramonti,
mentre io in qua e in là sbalzato dall’imperversar
d’altre tempeste, vecchio e stanco,
sono tornato a vedervi ancora.
Or siete sole! Non più canti e rumori.
Non giochi di bimbi e svolazzar di polli.
Non più i canti degli agricoltori
e i muggiti dei buoi.
Vi rivedo e ricordo, le gioie e le persone care.
Or tutto tace! Ed io contemplo
la vita fugace e le bellezze eterne
che mai non bambian col passar degli anni!
BELMONTE
Fertili colli,
sempre dal vento accarezzati,
io vi ripenso ognor e mi sovviene
quando ancor giovinetto, ci abitavo;
i lieti canti di allor dei mietitori,
le ridenti stagion di verdi prati,
di maggio le stellate sere,
quella chiesetta antica, San Simone,
dove alla sera si andava a pregare,
quella vita sì semplice e lieta:
ripenso e rimpiango.
Ti rivedo, o mio paesello,
le tue mura più abbrunite,
i figli tuoi che son partiti,
le scuole, il busto di quel grande
che ti onorò di sua fama immortale!
Ripenso alla casa affumicata
alle gioie, al dolor,
al genitor, al nipotino, alla famiglia,
qua e là sbalzata … Lì era unita.
Io pur son vecchio,
come i tuoi fabbricati, i tuoi alberi,
i tuoi abitanti che son con me qui nati.
Ritornerò da te come tuo figlio,
quando stanco del mio peregrinare
inerte riposerò per sempre
nel tuo silenzioso colle.
RIPASSANDO PER LA STRADA DI BELMONTE
Vi rivedo bei colli belmontesi
ove per trent’anni ho lavorato!
Or qui passando in bicicletta ancora,
mi riporto a quei tempi miei lontani,
vedo messi e rilucenti prati
piante di acacie ed alberi fronzuti,
l’annose querce su cui mi arrampicavo.
Oh! Garruli trilli e cinguettii d’amore!
E lieti canti delle fanciulle
belle sudanti, innamorate e schive.
Ripenso … a quei buoi placidi e buoni
che un muggito facean per salutarmi
se un momento da lor mi allontanavo,
… quegli incontri!
… al passeggiar nelle stellate sere!
… alle liete attese nei giorni festivi!
… alla casa crollata i cui mattoni
mi parlano ancor delle passate cose.
Al ripensar, quanti ricordi sono in voi racchiusi,
o ameni colli della mia Belmonte
del tanto caro a me natio paesello.
LA STAZIONE DI BELMONTE PICENO
Che solitudine!
Depressa e disabitata
la stazionetta!
Ricordo il movimento di una volta!
Quanta gente qui ho visto
arrivare, partire, sostare e parlare
in sala d’astetto …
Giovani, che partirono piangendo
per la guerra,
che io fin qui ho accompagnato.
Quante corse per prendere
il treno che mi portava a Fermo,
quel trenino che per tanti anni
ho visto correre su e giù
per la Val Tenna.
Quanto eri carina stazionetta!
Intorno circondata da fiori,
in aiuole del bel giardinetto …
Ricordo Giacinto, Maria
che oltre a capo stazione
accudiva alle cure esterne
e interne per far sempre più bella
e più accogliente la stazionetta.
Or ti rivedo circondata da rovi ed erbacce:
io solo e triste seduto
ov’erano i binari
della strada ferrata,
penso alle cose che cambiano,
invecchiano e finiscono.
Anch’io son solo,
non più circondato
da giovani amici
e giovanette di un tempo;
solo e pensoso aspetto!
Non il trenino che passa,
non il parlar di gente
che arriva e parte,
non aspetto coloro
che non ci sono più,
nella mia memoria;
ma il mio treno
veloce corre
per il viaggio
senza ritorno!
DAVANTI AL MONUMENTO DEL PROFESSORE
SILVESTRO BAGLIONI IN BELMONTE PICENO
Tu sei stato la gloria belmontese,
Iddio ti diede il portentoso dono
di tanta intelligenza, onesto e buono,
la fama tua nel mondo ognor si estese.
Con tutti sempre affabile e cortese
io qui avanti, riverente e prono
ricordo lo scienziato, il grande, il buono
orgoglio e vanto del nostro paese.
Chi non ricorda il tuo grande cuore?
O nel dolce tuo parlar con tutti eguale,
pel tuo paesello avevi un grande amore!
E questo monumento tanto vale
perché la scienza abbia più valore
e per l’umanità resti immortale.
IL PROFESSORE SILVESTRO BAGLIONI
Il professore Silvestro Baglioni nacque a Belmonte Piceno il 30 dicembre 1876, in contrada Colle Ete. Il padre Nicola faceva l’agricoltore. Fin da fanciullo dimostrò una spiccata simpatia ed una ferrea volontà per lo studio,tanto che mio padre che era amico di famiglia mi raccontava che il padre Nicola era entusiasta dell’intelligenza del figlio che studiava nel liceo di Fermo.
Quando ero giovinetto, abitavamo a Falerone e ogni tanto veniva a casa qualcuno di Belmonte e parlava di questo famoso personaggio.
Nelle elezioni politiche, mi pare nel 1919, mio padre si impegnò a far votare per lui. Per la prima volta,a dir la verità, non furono molti quelli che lo votarono a Falerone.
Conobbi personalmente il professor Baglioni nel 1923 quando da Falerone ci trasferimmo a Belmonte Piceno mio paese natio.
So che poi fu eletto deputato con un gran numero di voti. Al parlamento furono numerosi i suoi interventi specie nel campo scientifico e della medicina.
Si distinse sempre per le sue pubblicazioni e spesso leggevo i suoi articoli nei giornali del tempo. Fu accademico d’Italia in Svezia. Ricordo si aver letto che aveva studiato una medicina estratta dal granturco.
Si distinse sempre quale professore di medicina insegnando all’università di Roma. Parlare dei suoi meriti, dei testi universitari da lui scritti, delle sue numerose pubblicazioni scientifiche, è competenza degli studiosi, ho voluto solo accennare a qualcosa di mia conoscenza.
Potrò invece raccontare di lui, del comportamento con i paesani, della sua bontà, dell’altruismo di questo grande umanista.
Il professor Silvestro Baglioni fu esempio di onestà, altruista disinteressato. Non ho mai saputo che abbia fatto pagare le sue visite mediche agli abitanti di Belmonte e dei paesi vicini.
Continuamente la gente si recava da lui per cure mediche e consigli.
Mi sembra di vederlo ancora passeggiare, col bastoncino in mano, lungo la strada che dal paese segue per Servigliano, insieme con gli amici.
Egli non faceva differenza se erano operai, contadini, oppure medici, o personaggi di grande cultura.
Lo vedevo sempre attorniato da persone, quando ritornava a Belmonte per le vacanze estive.
Aveva amore per il paese nativo, tanto che quando abitava a Roma non trasferì mai la sua residenza.
Lo vedevo spesso giocare a carte con gli amici, specialmente muratori, operai che nelle serate estive tornavano dal lavoro quando c’era ancora il sole, e lui era ad attenderli passeggiando sullo spiazzale delle scuole per fare insieme una partita a carte attorno ad un tavolinetto all’ombra degli alberi davanti alla scuola.
Spesso veniva nella mia abitazione, entrava nella stalla a vedere le bestie, s’intratteneva a parlare dei lavori agricoli, molte volte entrava nella cucina che era alzata dal piano terreno solo di tre scalini, si intratteneva con le donne a parlare di cucina, di cibi più o meno salutari, poi andava a vedere la chiesetta di S. Simone quale antichità architettonica, aveva molta passione per le opere d’arte.
Quando nel 1943 passarono le truppe tedesche in ritirata, era a Belmonte e fu proprio lui a salvare questo paesino occupato da tedeschi e ciò perché parlava benissimo la loro lingua, e vi erano persino ufficiali ai quali lui aveva fatto scuola e così ci salvò dalle rappresaglie che ci avrebbero fatto.
Credo che la sua scomparsa abbia lasciato un gran vuoto nel campo medico. Egli rimarrà nella storia e nel ricordo di tutti noi che l’abbiamo conosciuto e di quanti l’ebbero come maestro nel campo della medicina, e dei giovani.
In ricordo di questo grande personaggio, professore, scrittore, umanista, scienziato, il comune di Belmonte ha posto un busto davanti alla scuola.
Ricordo bene quel giorno quando Belmonte festeggiò la posa del busto, io ci andai insieme all’onorevole Francesco Concetti di Falerone, allora deputato, che rimase stupito perché non sapeva che Baglioni avesse tanto merito. Vi erano molti personaggi oltre ai direttori dei principali ospedali italiani e stranieri.
Erano presenti anche uomini di grande cultura e di governo, compreso il ministro della sanità Vincenzo Monaldi, suo allievo, che ne illustrò i meriti e ricordò le tappe più salienti della sua onorata carriera.
LA CASA A BASCIONE
Dove abitavo fanciullo
Colle in cui abitavo un tempo,
nostalgico il mio cuor di rivederti,
ripenso, guardo e osservo in ogni luogo,
ma ohimé, che pena, che dolor io sento!
Veder la casa abbandonata e sola,
le soglie erbose, il vecchio selciato
coperte di rovi;
le ortiche hanno preso il posto delle rose.
Or tutto è desolato, tutto incolto!
Odo il lamento della madre terra
che accorata rimprovera i suoi
figli di oggi; rimpiange gli avi.
Il grano bello biondeggiante al sole
il granoturco nell’aia, i buoi,
le pecore, lo svolazzar dei polli nel cortile
sono i ricordi della fanciullezza.
Amata terra, attendi sperando
qualcun che ti riporti a nuova vita.
Se i miei settantadue anni fosser venti
in questo colle ritornerei a rivoltar le zolle
a ridarti l’antica giovinezza,
per rigodermi ancor quel venticello
e, da sopra il monte,
i bei tramonti estivi!
LA CHIESA DI PIANE DI FALERONE
Nobile, maestosa
sopra l’altre case,
con la facciata
che dà sulla strada:
ben attira
l’occhio del passante,
la bellezza angelica, divina
della chiesa parrocchiale
ove si possono osservare
vetrate artistiche moderne.
Riscaldamento, altoparlante.
La casa del Signore,
quanto è bella!
Qui si ravviva la fede
del credente,
del peccator pentito
e penitente
perché il Signor
cancelli ogni peccato.
Dentro al cuore,
quando si prega
si sente una gioia
che esprimer non si può:
il pensier s’innalza
verso il cielo
e la luce riflette dall’alto.
Un altro luogo
più splendido ancora
di riflesso vedi
con gli occhi della fede.
Benedici Signor
il nostro curato
che tanto zelo ha
per la Tua casa:
è ricco di sapere e di bontà.
Fa che seguiam la via
che lui ci addita.
Premialo ancor
di bene e lunga vita
perché dall’opera sua,
così feconda,
nessuna pecorella
sia smarrita!
Qui si conforta
chi soffre nel dolore,
chi l’ingiustizia umana,
or rattrista.
Chi dal retto sentiero
si è smarrito
ritrova la via
che al ciel conduce.
In questa chiesa
mi piace pregare,
mi par più accetta a Dio
la preghiera.
E quando l’anima dal corpo
si dischiude,
per l’ultima volta,
qui mi porteranno
col bagaglio di colpe e di peccati:
allor, Signore,
infinitamente buono,
sii indulgente con me con il perdono
e fammi degno
di salire in cielo!
PIANE DI FALERONE
La festa per i duemila anni dalla nascita
Sono duemila anni
che nascesti, o Piane;
Falerio Picenus fu
tuo antico nome.
Nascesti al centro
tra mare e montagne,
tra pittoreschi monti
e il fiume Tenna:
tra il bello artificiale
e naturale.
T’amo e t’ammiro,
mia piccola patria,
e sento per te
piacevole attrattiva.
Quando all’ombra seduto
spingo lo sguardo intorno,
gusto una panoramica bellezza,
un non so che di dolcezza
e di poesia che mi rallegra,
ma non so spiegare.
Sei bella Piane,
bella in ogni tempo!
O che annunci il giorno
l’aurora mattutina
col venticello che vien giù
dai monti;
o nelle notti estive
al ciel sereno
col canto degli uccelli;
o che il sol si nasconda
dietro i monti lassù
e gli ultimi raggi a noi
danno l’addio:
allor splendono le luci
lungo i bei viali,
ornati da giardinetti
e da palazzi,
da aiuole fiorite e cipresseti.
Amo i tuoi declivi
e i tuoi vigneti
ed i pregiati ulivi,
i tuoi abitanti ricchi
di iniziative,
i tuoi giovani
che amore nutrono
allo studio e al lavoro
e chi si adopera
perché tu sempre più grande sia,
come lo fu un tempo
Falerio Picenus.
PIANE DI FALERONE
Quabro sei bella, Piane a primavera
quando il sole riscalda le giornate,
senti il profumo delle piante in fiore
e sui terrazzi sboccian fiorellini …
Ancor più bella sembri quando è sera,
quando il sole ci dà l’ultimo addio,
gli ultimi raggi specchia alle vetrate,
l’aria più dolce appare e più leggera,
il traffico più intenso, in un via vai
ti dà l’aspetto di città moderna!
Tornano gli operari dai cantieri
e i giovanetti giocano a pallone;
il parroco gentile e bersagliere,
sembra un tenente in mezzo ai soldati,
assiste sorridendo la partita
finché il rintocco della campanella
richiama tutti e invita alla preghiera!
Ovunque lo sguardo giri tutto è bello!
Case e palazzi di novello stile,
vi son le case antiche medioevali,
ruderi ancor dell’antica Faleria,
fan da cornice i pittoreschi monti
ricchi di olivi, di frutti e di vigneti,
ma più che spicca, di colore rosso,
l’alta chiesa che domina
i fabbricati che stanno d’inorno
perché i fedeli volgono lo sguardo
lassù in alto al di sopra delle natural bellezze.
Bello vivere qui in lussuosa valle!
Una visione che rallegra e piace,
allo sguardo, all’udito e al pensier!
SERVIGLIANO ANTICO
Attento guardo questo monticello
dove fu un tempo Servigliano antico!
E’ proprio pittoresco e tanto bello,
circondato di verde e di arboscelli.
Il primo raggio del sol qui si rispecchia
E l’ultimo al tramontar dà il suo saluto!
E’ bello qui guardar da tutti i lati …
È posto panoramico davvero!
Qui l’amico Rinaldi le sue ottave
con la sua bella voce fa echeggiare,
qui di poeti è una canora schiera
che più belli ancor fan questi luoghi
e li descrive con tanta maestria
che io ne rimango sì meravigliato …
Perché la natura non mi ha fornito
di tanta intelligenza e bravura
per cantar le bellezze de ‘sto sito
e descriver la bontà, la storia vera
di un antico e rustico paesello?
L’Agricoltura
BELLO FAR L’AGRICOLTORE
Nei campi è davvero la vita!
Al profumo dei fiori del prato,
lavoro, e lavoro accorato
col cuore gioioso e sereno
Sia che zappo, che aro o che mieto
Sotto i raggi del sole cocente
in ogni momento si senton
le speranze intessute nel cuor.
Questa è l’arte nobile, antica
cantata da illustri scrittori,
è la prima che in patria e fuori
muove tutto il commercio dell’uom.
La bellezza ai campi si ammira,
dai bei colli all’ampia pianura
coltivata e retta con cura
dalla mano dell’agricoltor.
Ovunque lo sguardo si gira
pago è l’occhio, e un amore sentito
par dica: “A restare ti invito
nei campi al proficuo lavor”.
La terra vuol bene ai suoi figli
la terra dà il pane che è oro
dà prodotti come un tesoro:
diamole dunque il suo valor!
LA MIA ARTE
Io son così, contadinello,
miseramente vivo e il mondo godo
lavoro tutto il giorno e son tranquillo
in mezzo ai campi dove tutto è bello,
dove si gode una pace infinita
e l’aria si respira pura e sana,
in compagnia dell’acqua cristallina:
questa è la vita da me preferita …
L’AGRICOLTORE
Che bella cosa far l’agricoltore,
godersi una bellezza indefinita;
davvero si può dir: “Questa è la vita!”
In cui pur regna vera pace e amore,
nel lavorare con lena e con ardore.
Questa è l’arte per me la più gradita
da cui sorge una speme direi infinita
per l’indefesso e buon coltivatore.
La terra giammai si mostra avara,
dà per poco l’indorato pane,
lasciare mai non potrei, tanto m’è cara.
Non si disvii verso le mete vane!
La terra è il cuor che tutto a noi prepara,
la terra è fonte di ricchezze umane!
L’ARATRO
Non è la vanga ancor
dei nostri padri
ora è l’aratro con la punta d’oro.
Traina il trattore gli aratri lucenti,
rivoltano le zolle ad una ad una.
Le livella tutte l’un sull’altra:
tutto il terreno arato è assai più bello!
Ripenso ai tempi miei lontani
quand’andavo coi buoi.
Quant’era duro levarsi nella notte
e sempre curvo sull’aratro nel polverone
che la zampe dei buoi faceano alzare.
In quel colle solitario belmontese
mi rallegravan l’albe mattutine,
il canto degli uccelli,
le voci dei contadini intorno,
camminando su e giù in ripida china,
per giorni e giorni … non finivo mai.
Aravo, tutta la stagione estiva!
Or lavorar la terra è un’altra cosa;
non è un lavoro duro, come allora
e non mi stanco più anche se vecchio!
Vorrei diventar giovane ancora
Per dedicare, terra, tanto amore,
a te, gran madre nostra,
tanto cara! Tutto ci dai:
ci insegni ad essere buoni,
fai brillar negli occhi la speranza
e dall’alto, con Dio, ci benedici!
Ho ritrovato queste tre poesie nel giornale “L’amico dell’agricoltore” che le pubblicò in tempi diversi per l’agricoltura: più miserella, più lavoro, più poesia e tanta serenità.
PROPAGANDA PER L’ABBONAMENTO A
“L’AMICO DELL’AGRICOLTORE”
La grande utilità e il certo valore
la gioia che procura ed il diletto
è tutto qui o lettor nel giornaletto
che è questo “Amico dell’Agricoltore”
Se in pratica si mette con amore
l’insegnamento suo così perfetto
ogni agricoltor è senza difetto
grazie all’insigne e bravo direttore.
E’ la luce che illumina il da fare
che dà progresso alle campagne: dico
risveglia, insegna e sprona a migliorare
dell’arte dei campi informatore antico
che sempre più ci ha fatto guadagnare
tutti leggiam l’agricoltore amico.
LA MIETITURA
Quando si mieteva a mano con la falce, nei tempi in cui l’agricoltura aveva più valore, a capo dell’Ispettorato era il professore Nicola Tozzi Condivi ed io ero legato a lui da un’amicizia sincera.
Vivere in mezzo ai campi è una bellezza
si ammira il grano d’oro che è un’incanto
nei campi solatii incomincia intanto
la mietitura con tanta accortezza.
Ormai di un buon raccolto si ha certezza,
e i mietitor si pongono d’accanto
le curve falci che al dorato manto
crea di solerti lampi argentea brezza.
Che dolce festa è la mietitura!
Canti, entusiasmi crea ai suoi cultori
che tutto l’anno attendon con premura …
Ambito premio avran gloria e onori
che si consacra per l’agricoltura
arte sublime di tanti valori.
PRIMAVERA
Con l’aria che si sente riscaldata
e il cinguettìo di augelli più festosi,
giorni più belli, splendidi e gioiosi,
sento che la primavera è ritornata.
La campagna che si vede ornata
di seminati verdi e rigogliosi
rende gli agricoltori più orgogliosi
delle fatiche e dell’arte lor pregiata.
Veder gli ameni campi a primavera
suscita ardor nell’animo e nel cuore
che in tutti i tempi ne gioisce e spera;
nei campi si lavora con amore
col cuore contento e l’anima sincera
che infonde più salute e più vigore.
VERSO IL TRAMONTO
Ormai mi avvio verso il tramonto
come foglia ingiallita esposta al vento
nel denudato autunno,
appesa ancora nel ramo della vita
ed il primo venticel la spinge a terra.
Indietreggiando il pensier nel mio passato
mi rivedo allo specchio.
Or non sono quel giovanetto di un tempo
vestito di tessuto al telaio.
Con quello mi vestivo nel dì di festa.
Giorni sereni erano quelli!
Pieni di vita spensierata e gaia
Veglie serali ed amorosi incontri,
ma il mondo è bello ancor come allora.
Pure ora torna a rifiorire la primavera,
e torna maggio con l’odor dei fieni,
col festeggiar degli uccelletti in coro,
nei boschi profumati e campi verdi,
lungo le strade, nelle città e paesi
passeggiano ancora le coppie innamorate.
Il sole riscalda nei meriggi estivi,
l’alba e i tramonti sono come allora,
nell’ordine natural nulla è cambiato.
Ma per me mai più tornerà la primavera,
sono già vecchio, brutto, affievolito
e stanco,mia mano più non scrive
ed il mio cervel delira.
A che ha giovato affaticarmi tanto?
A che tanto sgomento?
Cosa val la mia vita?
Cosa sono io al paragon di Dio,
al creato, all’infinito?
Un briciolin di sabbia in riva al mare
un moscerin invisibile.
Io sono creatura e nell’eterno
alfin sarà mia sorte.
Non per mio vanto né per doti
natural che non ho avuto
onde lenir le sofferenze altrui.
Sempre al silenzio dei campi ho lavorato,
come albero senza frutti
strerile e dimenticato nel più semplice lavoro!
Gli uccelli mi cantavan
le canzoni … bei versi recitava
l’usignolo e serenate mi facean le rane.
Così mia vita in un balen vissuta
or che il mio partir più si avvicina
ripenso, ricordo e chiedo venia
delle mie mancanze e che mi accolga
Dio lassù nel cielo!
BREVE RACCONTO DELLA VITA
NELLE CAMPAGNE DALL’UNITA’ D’ITALIA
AI NOSTRI TEMPI
L’unità d’Italia fu una grande conquista per quell’Italia allora divisa in sette stati.Si fecero tante cose belle che sono passate alla storia con i grandi personaggi dell’era risorgimentale.
Furono invece trascurati gli interessamenti per i lavoratori dei campi che erano oppressi e schiavi dal grande capitalismo terriero.
Ai quei tempi in campagna esisteva molta povertà, sia per la mancanza dei mezzi che la scienza non aveva ancora messo a disposizione dei lavoratori dei campi, sia perché si era schiavi dei grandi proprietari terrieri, latifondisti di grande e media borghesia, principi, conti, marchesi, eccetera.
Io sono nato nel gennaio 1906 a Belmonte Piceno, in un terreno dell’allora proprietà del conte Luigi Morrone Mozzo di Fermo; un luogo delizioso per la caccia, ricco di querce e di altre lussuose piante, con fabbricato annesso, usato dal padrone per le riunioni di personaggi illustri di quel tempo. Venivano lì a pranzare, a giuocare e bisbocciare specie in autunno all’apertura della caccia.
Il conte Morrone aveva migliaia di ettari di terreno tutti coltivati da mezzadri. Vi erano molti amministratori anche perché la sua proprietà era un po’ frazionata con dieci grandi fondi tra Belmonte e Montottone (Forche di Tenna), molti altri a Fermo, Morrovalle, Monterubbiano ….
Questi conti avevano molta servitù, fattori, contabili, magazzinieri, addetti ai cavalli, personale di servizio interno, camerieri e servi, in poche parole un piccolo “parlamento”; quando al mezzadro occorreva qualche cosa si doveva rivolgere al fattore che a sua volta lo faceva presente al ministro oppure al contabile se era di sua competenza.
Ricordo inoltre il conte Marcello Gallo di Amandola, il conte Bernetti di Fermo, il conte Ganucci di Montegiorgio che oltre ad una grande proprietà terriera in Toscana aveva terre fertili ed irrigue a Piane di Montegiorgio e potrei elencarne molti altri, come i conti Piccolomini e Corsi di Belmonte Piceno, i Vinci di Fermo …
I prodotti venivano divisi in tre parti: due per il proprietario ed una per il mezzadro, ma l’oliva veniva divisa alla quinta parte: quattro per il proprietario ed una per il mezzadro.
Nel 1915 scoppiò la grande guerra e tutte le forze giovanili partirono per la guerra: rimasero nelle case solo donne, vecchi e bambini.
Alcuni proprietari, per non avere terreni incolti, premiavano gli sforzi di costoro dividendo i prodotti a metà, ma per la verità erano in pochi.
Terminata la guerra, i contadini stanchi della trincea e delle ingiustizie umane formarono le leghe bianche e le leghe rosse: fin dal 1917 cominciarono le lotte nelle campagne, ancora non terminata la guerra, poi nel novembre del 1918 erano in piena funzione.
Mi ricordo nelle aie, le trebbiatrici ferme, circondate dai contadini armati solo di bastoni e furcine, che non facevano trebbiare finché il proprietario non decideva di dividere il prodotto a metà.
Fra i personaggi che capeggiavano le leghe bianche del partito popolare di allora ricordo Sobrini di S. Elpidio Morico, rimastomi impresso come parlatore, trascinatore di folle. Lo ricordo bene: quando parlava le sue prime parole erano rivolte alla forza pubblica per giustificare l’insurrezione delle masse. Le leghe bianche e le leghe rosse facevano una lotta comune con lo slogan “Evviva le bollette* – Abbasso le scarpette” (* delle scarpe) finché ci fu la scissione nel 921 del partito socialista e nacque il Partito Comunista Italiano.
Ricordo bene la settimana rossa capeggiata da Pietro Nenni ad Ancona che dette sì esiti positivi per un breve momento, ma poi finì male perché il suo compagno Benito Mussolini, allora direttore del giornale “L’Avanti”, per porre fine al disordine che regnava, alle lotte e agli scioperi a catena si staccò completamente da Nenni, dando vita ad un altro movimento: il Partito Fascista.
Ci fu allora un immediato benessere nelle campagne; nel 1922 si stipularono nuovi contratti di mezzadria e tutti i prodotti agricoli per legge dovevano essere divisi a metà. Finirono tutte le lotte: ogni comune nominava due rappresentanti: uno in difesa dei proprietari, l’altro in difesa dei mezzadri. Ogni piccola questione veniva discussa ed appianata insieme: quando non si raggiungeva l’accordo si faceva il verbale e si mandava in tribunale ove veniva giudicato con sollecitudine.
Ritornò così la pace nelle campagne. Cominciarono subito le bonifiche dell’Agro Pontino dove le terre erano tutte incolte e dove regnava la malaria (febbre terzana) e sorsero lì molte città: Latina, Pomezia, Sabaudia, Cisterna ed altre. Si fecero fondi con nuove e moderne case, con superfici di circa dieci ettari, e forniti di irrigazioni. Fu quella la vera riforma agraria perché essi furono gratuitamente assegnati ai contadini, soprattutto veneti, con famiglie numerose.
Vi era un certo ordine, riprese di molto il valore della moneta italiana, nel 1931 fu al culmine che durò fino all’entrata in guerra. Poi incominciò lo scontento pure di quelli che avevano inneggiato al Duce.
Non fu per gli italiani una guerra voluta. Finita la guerra avvenne quel che avvenne! L’esercito sbandato. Si istituirono in ogni comune i comitati di liberazione.
Si incominciò a discutere della gente dei campi. Mi ricordo che io disapprovavo il metodo violento con cui altri intendevano arrivare alle più alte conquiste sociali nella campagne. Preferivo raggiungere il benessere dei contadini attraverso la dialettica, le leggi più umane e più giuste senza ricorrere alle lotte selvagge, alla banalità ed all’odio.
Era allora un tema preoccupante quello della gente dei campi, in quanto viveva in campagna un numero esorbitante di persone per cui non era possibile una vita decorosa con i pochi redditi della terra, redditi da destinare a troppe persone.
Si bloccarono le disdette, si riaccesero le polemiche, le lotte, poi avvenne il lodo De Gasperi che consisteva in una percentuale sui prodotti divisi anche per gli anni precedenti, finché non si stipularono per legge contratti con la divisione dei prodotti al cinquantatre per cento a favore del mezzadro, percentuale che poi fu alzata al cinquantotto per cento.
Si dette così avvio alle discussioni della riforma agraria cominciata dall’allora ministro Segni, sollecitata dalle organizzazioni sindacali e dai maggiori partiti politici. Contemporaneamente cominciava l’esodo dalle campagne soprattutto i giovani fuggivano in massa per andare nelle industrie, nelle città in cerca di un lavoro più decoroso e di maggior reddito.
Si è discusso per anni ed anni il passaggio per legge dalle mezzadria all’affitto. Sono stati fatti molti disegni di legge per la proprietà contadina. Una delle migliori ha fatto sì che la maggior parte dei contadini, specie nei paesi collinari, diventassero proprietari dei terreni che coltivavano. Sono intervenute le macchine ad aiutare l’uomo nel lavoro dei campi, sono state create nuove industrie, nuovi posti di lavoro. Qualche industriale acquista terreni per mettere al sicuro i propri risparmi e fa grosse aziende. Il mezzadro ha reddito minimo.
Si sono fatte leggi per aiutare gli agricoltori con prestiti a tasso agevolato per attrezzi, macchine agricole, stalle, trattori, irrigatori ….
Di recente è stata varata una legge per il passaggio dalla mezzadria all’affitto; ma la mezzadria è già finita per morte naturale, perché il mezzadro oggi non potrebbe vivere con i prezzi così poco remunerativi dei prodotti in rapporto al costo di produzione.
Con l’entrata dell’Italia nel Mercato Comune, l’agricoltura italiana non è stata agevolata in quanto non siamo competitivi per ragioni di clima, di frazionamento dei terreni, dalla loro natura pedologica, oltre che per l’aumento indiscriminato dei costi di produzione.
Vedo, a mio parere, uno squilibrio di massa creato dalla partitocrazia e dai sindacalisti: alti stipendi in certi settori e bassi in altri; lavoratori occupati con pensione ed altro reddito, mentre ci sono molti disoccupati. Anche l’uso indiscriminato del denaro pubblico crea scontenti.
Ma ritornando al tema: la campagna, oggi, se non arricchisce come l’industria ed il commercio e se richiede molti sacrifici, pur tuttavia ciò viene compensato dal vivere all’aperto ed a contatto con la natura in un lavoro libero e responsabile che prima o poi riprenderà il ruolo importante che le spetta, quale arte primaria fin dai tempi più remoti della storia dell’uomo a cui sono legate le industrie, i commerci, i trasporti ecc. …
Beato colui che vive
nei lieti campi suoi
proprio cultore.
Meditando
O DIO, TI RINGRAZIO
O Dio, Ti ringrazio delle bellezze del creato
che davanti ai miei occhi si spalancano:
i pittoreschi monti, il mar, le valli,
tutto dipinto d vari colori.
Boschi rallegrati dagli uccelli,
bianche casette e luccicanti fiumi,
il profumo dei fieni,
le ondulate messi,
al piano e al monte olivi e frutta
e fiorenti vigneti,
o Dio grazie della tua Provvidenza!
La pioggia che rinfresca
e che disseta l’amica terra
l’uom fornisce per umani bisogni.
La luna che risplende, le stelle,
il ciel turchino:
tutto un insieme di cose belle.
Grazie della fede, di quel fascino sublime
che in alto mi trasporta
e della divina tua bontà
che mi fa godere queste bellezze terrene.
Illumina Signore, il mio cammino
nel buio della notte che mi circonda.
O DIO, TI VEDO
O Dio, Ti vedo nei limpidi mattini d’estate,
ogni volta che sorge l’auora,
e quando il sole splende nel cielo.
Ti vedo quando i miei occhi guardano lontano
tra i campi verdi ,
o al di sopra dei monti, al di sopra delle nubi.
Ti vedo quando gli alberi fioriti,
col venticello primaverile,
gettano via i petali profumati
e gli uccelletti festeggiano
tra le novelle foglie.
Ti vedo nelle brezze mattutine d’autunno,
quando le foglie ingiallite
si staccano dal verde ramo
e danzano a terra col vento,
nelle immense pianure
di messi ondulate dal vento,
nell’umile fiorellino
sperduto nei boschi,
nell’acqua che scorre li,pida
lungo i fossati profumati di viole;
nella pioggia che cade;
nel bianco lenzuolo di nevi;
nelle brine notturne che spazzano via
le lordure del nostro pianeta.
Ti vedo e Ti prego
per tutta l’umanità sofferente,
per gli scienziati e per gli uomini
che detengono le sorti del mondo:
i talenti che ad essi hai donato
siano spesi per il bene comune
e siano promotori di pace
e di benessere per tutti i popoli.
Inoltre Ti prego
per tutti quelli che lavorano:
gli operai delle industrie,
le giovani donne dei calzaturifici,
gli agricoltori e gli artigiani,
gli insegnanti, gli educatori
ed i religiosi;
per tutti ed in tutti i luoghi
penetri il raggio della tua luce
vivificatrice
e i loro occhi, nel proprio cammino,
vedano solo
bellezza.
O DIO, TI PREGO!
Quando vedo i bei prati
di verde tappezzati,
la violetta nata nei fossati
e ogni albero che emana
grato odore,
odo il fischiettar del merlo
lungo le siepi
tra le novelle foglie,
o il gorgheggiar dell’uccellin
sul far del giorno
mentre l’oriente s’irradia
di splendore,
col mio pensiero vado
a Dio Vicino!
Quando, stanco e sudato dal lavoro,
un attimo mi siedo,
volgo lo sguardo al cielo,
o Dio, Ti vedo!
Quando sboccia un fiorellino,
si dischiude poi
e nasce il frutticino,
cresce e matura
sotto gli occhi dell’agricoltore,
o Dio, Ti penso!
Quando un delizioso venticello
dall’albero i petali trasporta
come fiocchi di neve
nel pioppeto,
o Dio, Ti prego!
E quando guardo
alle stellate sere,
il mio pensier
su in alto sale:
o Dio, sei grande!
Quando nel mio campo arato
tra fresche zolle
mi par vedere
l’ondeggiar di messi,
verso il cielo
innalzo la preghiera!
Viene la pioggia
mitiga l’arsura,
crescon le piante
e i seminati:
Iddio provvede!
Quante cose ci insegni
o madre terra!
Maestra di bontà!
Chi in te rimane
e in te spera
gode delle bellezze naturali,
Dio lo premierà
con la sua grazia
perché al silenzio dei campi ancor
lavora e prega!
IL LAVORO MATTUTINO
Zappo con lena a braccia riposate
lungo i filari pria che sorga il sole
tra il festoso risveglio degli uccelli
e il profumo delle piante in fiore.
La brezza mattutina mi accarezza
mentre l’oriente di luci si colora
che annunciano il giorno
e spengono le stelle.
Gioisco in cor
e piano di speranze
verso il limpido ciel volgo lo sguardo,
vagando col pensier tra cielo e terra:
contemplo la bellezza dell’infinito:
Dio splende e regala il creato
benedicendo la fatica umana!
AL SOLE
Sei bello, sei vita, rischiari,
riscaldi, risvegli, dai forza,
bruci e sconvolgi le zolle,
asciughi e fecondi:
sei il migliore degli astri lucenti.
Dio ti ha dato potere
per tutti gli esseri
dagli uomini a tutti gli animali
che volano o strisciano in terra,
dagli alberi giganti all’umil fiorellino
sperduto tra le desolate montagne.
Senza di te la vita sarebbe morta.
E’ merito dei tuoi raggi
questo miscuglio di soavi odori
di fiori, di foglio, di piante,
che si spande nell’aria
che noi respiriamo.
Rispecchi i tuoi raggi
nell’acqua cristallina
che scorre lungo i fossati
nei fiumi che solcano
queste fertili colline marchigiane,
incanto di naturali bellezze
che io vedo, sento, assaporo,
grazie a Dio
che mi fa essere
in questi luoghi belli
in cui lavoro, prego e spero!
IL TRAMONTO D’ESTATE
Com’è bello il tramontar del sole
quando i suoi raggi tremuli, dorati
si proiettano sui campi dal ciel sereno.
L’aria allor si fa più dolce, s’allieta,
rinfresca, piace, conforta
dopo l’afoso ed infuocato giorno.
Oh lieti tramonti estivi!
Oh bei tempi della giovinezza,
quando nei colli verdi scampagnati,
m’era caro lavorar tra profumati fieni
o nei lieti canti della mietitura,
oppur tra zolle rivoltate al sole
che nell’indurito suol rompea l’aratro
allor trainato da pacati buoi.
Ora l’ombra avvolge la pianura
mentre tra i monti color di fuoco
si spegne il sol e si fa sera.
Non è così il tramonto della vita
in cui l’ombra tenebrosa e scura
ci avvolge tutti:
pianto e duolo intorno, tutto è buio.
Ti prego, Signore,
perché in quel triste momento
uno spiraglio di luce
mi circondi e conforti
ed aiutato dalla tua grazia
meno gravoso sia per me
il tramonto!
FIORE DI PRATO
O fiorellin del prato
che sbocci a primavera
in candida veste
riscaldato dal sole,
il tuo profumo spandi
e zefir etto lo porta lontano.
Tu ti distingui
tra l’erbe novelle
che a mille a mille
nascon a primavera!
Ti ammiro, sei bello!
E mi piace vederti soffrire,
se l’ape a punzecchiarti viene
oppur la farfallina in te riposa.
Oh. se tu fossi nato in u giardino!
Forse più accarezzato, èiù ammirato,
il giardiniere
ti avrebbe annaffiato
e non saresti, no, appassito al sole!
Non dolerti fiorellino mio
se vai al campo
a profumare il fieno!
Invece che dal giardino
al letamio!
RICORDI DELL’AGRICOLTORE
Scorrono i giorni, passano gli anni!
Sono i pensieri del dormiveglia
di queste lunghe notti d’inverno.
Settantatre anni!
Così fugaci, così brevi,
come un piacevole sogno;
mi pare ancora riveder quei luoghi
belli e popolati d’un tempo.
Or li rivedo silenziosi, desolati e incolti.
Piante spontanee e naturali nascono
ove un tempo si mieteva il grano,
profumo di fiori selvaggi, di ginestre
e cinguettio d’uccelli.
Le belle primavere della mia giovinezza,
i gelidi e nevosi inverni d’una volta.
Colli bruciati dal sole di luglio:
rivoltano le zolle
con l’aratro trainato dai buoi,
la lunga fila di uomini contenti, con la falce,
l’erba dei prati distendeva al suolo.
Le falci lucenti scintillanti al sole
e i campi di messi tremule alla brezza
cui i mietitor con slancio giovanil
rasente al suolo tagliavano steli.
Quanto m’è caro ricordar quei tempi,
or che son vecchio e vivo di ricordi;
con la memoria stanca e affievolita,
dico grazie al Signor che tutto bello,
in tutti i momenti, mi ha fatto vedere.
Lo prego ancor perché più bella sia
delle giornate terrene la fine!
Postfazione
INDOVINELLO: CHI E’?
Semplice e buono, privo di malizia,
altruista, simpatico e garbato,
lavoratore quasi esagerato
ignora il tornaconto e la furbizia.
Di cuore aperto e di animo elevato,
sa esprimersi con senno e con perizia
ritiene più che sacra ogni amicizia
ed è perciò stimato e rispettato.
Sicuramente lo protegge Igea
che vivendo la quarta giovinezza
ha un’energia da non averne idea ….
Con la bici raggiunge il colle e il piano
senza accusar fatica o spossatezza
insomma è gran fenomeno: è Gaetano!
Dante Agostini poeta*
La poesia serve a presentare la personalità di Gaetano, cugino di Dante da parte di Giustina Agostini sposata Sbaffoni.
AL MIO CARO CUGINO GAETANO
I
Diciannove gennaio: freddo ingrato,
neve che cade, soffice e silente;
ma da una casa rustica si sente
il vagito di un bimbo appena nato ….
Festa in famiglia, giorno fortunato
Per l’arrivo di un tenero innocente:
la gioia scalda ormai tutto l’ambiente
e il freddo intenso è presto superato!
Ma quel bimbo paffuto poi divenne,
col tempo, un uomo in gamba, forte e sano,
che con pregi e virtù ben si mantenne …
Da quel gelido giorno, ormai lontano,
quel bimbo, oggi è un simpatico ottantenne
che risponde al bel nome di Gaetano!
II
Ed io che lo conobbi giovinetto,
sempre attivo, assennato e giudizioso,
gli dedico, con slancio generoso,
tutta la piena del mio grande affetto.
Ottant’anni, non sono uno scherzetto!
Ma poi portati in modo delizioso,
come un trentenne energico e focoso
giovanile di spirito e di aspetto.
Auguri affettuosissimi e sinceri:
che tu possa toccare altri traguardi,
sempre in salute, ancor più lusinghieri …
Questo è l’augurio mio, caro Gaetano,
che parte dal mio cuor, senza ritardi
perché raggiunga il tuo felice e sano!
Dante 19 gennaio 1986
AL MIO CARO CUGINO GAETANO
I
Mi è giunto ieri il tuo gradito plico
con dentro una sorpresa straordinaria:
molta tua produzione letteraria,
che mi ha fatto un piacer che non ti dico.
Tu non solo sei stato esperto in Arte agraria,
perché sei della terra un vero amico,
e ti piace spaziar nel verde aprico,
gustando quel salubre odor dell’aria.
Ma è l’aria aperta, il verde, la quiete,
ch’aiutan a far sbocciar pensieri belli
che tu poi esprimi in prosa o in rime liete.
Ed è perciò che tu, caro Gaetano,
ti distingui dal novero di quelli
che fanno onore al gran consorzio umano.
II
Tu lavori la terra per diletto,
ma ti impegni nel campo letterario:
la tua mente si esprime in modo vario
perché attingi nei campi ogni concetto.
Il possente vigore necessario
alla esistenza, lo prelevi netto
dalla natura viva al cui cospetto
stacchi i fogli a quel tuo gran calendario.
La tua semplicità limpida e pura
la sai trasmetter a chi ti di avvicina
che in fondo è una virtù che rassicura.
Qualcosa hai dentro della zia Giustina,
perché pur non avendo una cultura
svolgi temi di altissima dottrina!
Indice
Ricordando mio cugino Dante Agostini
LA POESIA MARCHIGIANA
Per la morte di Vitturini Secondo
La mia terra
Che cosa è per me la poesia? (19-01-1986)
Tutto è poesia (06-01-1989)
L’ANNO NUOVO
Il nuovo anno
La neve
La neve
LA PRIMAVERA
Marzo
Pasqua
E’ Pasqua
Il giorno dopo Pasqua
Pioggerella d’aprile
Aprile
Aurora primaverile
Mattino di primavera
Notte di maggio
In bicicletta
Una sera di primavera (1986)
A un merlo che canta al mattino sulle alte piante
Mattino di maggio (maggio-1089)
Maggio
L’ESTATE
Grandinata a Belmonte
Di mattino al vigneto (07-06-1993)
Mattino d’estate
Lavoro ricchezza per tutti
Pioggia d’agosto
L’AUTUNNO E L’INVERNO
Il ciliegio vicino alla strada
Settembre (16-09-1982)
La vendemmia
Le rondini
Novembre
Rivedendo il mio aratro (15-09-1982)
L’estate di san Martino
La semina del grano
Autunno
Domenica
Racconto di un pomeriggio domenicale
Inverno
La prima nevicata di dicembre
LA MAMMA GIUSTINA
A Mmia madre il giorno dopo la morte
A mamma
Ricordo
Domenica 20 luglio davanti alla tomba della mamma
A mamma
A mia madre
Natale senza mamma (1973)
Al Camposanto di Belmonte
LA SPOSA CAROLINA
Presso l’albero ombroso insieme a Carolina
Cinquantesimo anno del mio matrimonio (estate-1981)
Sessant’anni insieme (17-09-1991)
A mia moglie Carolina (06-01-1988)
A mia moglie Monaldi Carolina
Il ritratto di mamma Camilla
Loreta Monaldi
I GIOVANI SPOSI
Ad Anna a e Daniel (23-06-1986)
Per il matrimonio di Rossella e Peppe (27-08-1089)
Agli sposi Fortunato e Maria (19-07-1987)
Agli sposi Vittoria e Benedetto (24-09-1988)
A Claudio e Laura (ottava) (10-04-1983)
A Claudio e Laura (sonetto) (10-04-1983)
Agli Sposi Milena e Roberto (27-06-1987)
I NIPOTI E I BAMBINI
Ricordo nel nipote Giovannino
Davanti alla tomba del nipotino
A Marisa
Discorso pronunciato a Roma in occasione della celebrazione della prima messa del nipote Fausto
Alla nipotina Annarella
Alla nipotina Maria Grazia
Alla nipotina Maria Grazia (lettera)
La maternità di Laura (Pasqua 1984)
A Paoletta nel giorno della prima comunione (25-5-1975)
A Cinzia
A Monia per la prima comunione (27-5-1990)
GLI AMICI
Brindisi a don Elio
In ricordo del parroco di Piane di Falerone don Elio Jacopini
Posa del monumento a don Elio
Discorso in chiesa per la posa di una lapide in onore di don Elio
Alle lavoratrici ed ai lavoratori del tomaificio (10-06-1989)
A tutte le donne che lavorano nel tomaificio (natale-89)
Chi è Marcella?
Poesia a Marcella I
Poesia a Marcella II
Poesia a Marcella III (27-07-1986)
Poesia a Marcella IV (festività 1986-1987)
Agli sposi Marcella e Martino (25-04-1987)
Al maestro Gentili
Discorso pronunciato in chiesa per la immatura scomparsa della professoressa Sandra
Per la chiusura della fornace
Ad Anna Gualtieri
CARI PAESI
Ritornando a vedere
A Belmonte Piceno
Le due querce
Belmonte
Ripassando per la strada di Belmonte (giugno-1987)
La stazione di Belmonte
Davanti al monumento del professore Silvestro Baglioni in Belmonte Piceno
Il professore Silvestro Baglioni
La casa a Bascione (dove abitavo da fanciullo)
La chiesa di Piane di Falerone
Piane di Falerone (la festa per i duemila anni dalla nascita)
Pine di Falerone
Servigliano antico
L’AGRICOLTURA
Bello far l’agricoltore
La mia arte
L’agricoltore
L’aratro
Propaganda per l’abbonamento a “L’amico dell’agricoltore (1953)
La mietitura
Primavera
Verso il tramonto
Breve racconto della vita nelle campagne dall’unità d’Italia ai giorni nostri
MEDITANDO
O Dio, Ri ringrazio!
O Dio, Ti vedo! (16-11-1986)
O Dio, Ti prego!
Il lavoro mattutino
Al sole
Il tramonto d’estate
Fiore del prato
Ricordi del passato
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Digitazione
di Albino Vesprini
Gaetano Sbaffoni
GUARDO QUESTO MONDO,
E’ TANTO BELLO
scritti
RICORDANDO MIO CUGINO DANTE AGOSTINI
-POETA-
Dante Agostini nacque a Monteleone di Fermo il 10 maggio 1909. Fin da fanciullo mostrava ogni forma di buona volontà e di bene. Egli si sapeva sempre distinguere tra tutti i suoi compagni di scuola e di lavoro, volenteroso in tutte le attività.
Mi pare di vederlo ancora fanciulletto con un grembiule davanti lavorare insieme al padre nella bottega di calzolaio, gli piaceva. Era bravo anche per altri lavoretti come impagliare fiaschi, fare canestri e cestini di ogni specie insieme a mio fratello Nello.
Lavorava in campagna specie nei giorni della mietitura del grano e della raccolta del granoturco. Mi ricordo che dopo ottenuta la licenza della quarta elementare andò a Montegiorgio per gli esami di maturità come usava in quel tempo, e fu il più bravo tanto che ebbe degli elogi che entusiasmarono i suoi nonni ed i suoi genitori.
Aveva solo diciotto anni quando gli morì la mamma. Furono quelli per Dante i giorni più tristi della sua vita, spesso sfogava il suo dolore in versi di tristezza. “Mai più vedrò quegli occhi tanto belli/ con la sua serica chioma di capelli” e ancora “Poi torna a rifiorir la primavera/ torna la rondine al nido/ torna la barca al lido/ma il ritorno di mamma non si spera”.
Da quel momento, non essendo soddisfatto del lavoro di calzolaio, cominciò a fare il barbiere e tutti i giorni andava a Fermo in bicicletta per meglio perfezionarsi.
Spesso dormiva nella mia casa a Belmonte Piceno perché mia madre era per lui e per gli altri fratellini rimasti orfani, la seconda mamma.
Ero legato a lui con amore fraterno sia per lo stesso ideale sia per le amicizie intrecciate insieme con i Monti, i Rinaldi di Curetta di Servigliano e con Vitturini Secondo di Penna San Giovanni. I dibattiti poetici erano i passatempi delle lunghe sere d’inverno.
Durante la mia vita militare a Fiume e più tardi ad Ancona, ci scrivevamo sempre, e lui sempre col dolore della perdita della sua giovane mamma. “Vivo così miseramente solo/ come battello sperso in alto mare/ solo nel desco, solo a lavorare/ e solo a riposar nel letticciuolo/ unica compagnia che mi conforta/ il bel ritratto della mamma morta”.
Congedatosi dalla vita militare, aveva tanta voglia di studiare che tante volte mi diceva che sarebbe andato, pur di raggiungere lo scopo, nel convento dove studiava il fratello Dino.
Più tardi si sposò con Orga Bracalenti di Curetta di Servigliano, donna laboriosa e molto economa con raffinato mestiere di sarta. Insieme con lui, che lavorava da barbiere, raggranellavano il denaro non solo per una vita dignitosa, ma pure per l’acquisto di libri per riprendere lo studio interrotto da Dante alla quarta elementare.
Con poco tempo riuscì a meritare il diploma di ragioniere, ma non si accontentò. Si iscrisse all’università, frequentò per qualche anno la facoltà di economia e commercio. Ricordo ancora i suoi temi premiati.
Subito dopo la guerra trovò impiego a Roma presso il Banco di San Paolo di Torino, ma il suo maggiore diletto, il suo hobby fin da fanciullo, fu sempre la poesia.
Aleggiava in lui la spiritualità al di sopra della materia. Pubblicava le sue poesie nei giornali “Rugantino” e “Aquila Romana”.
Dante fu un uomo di qualità stupende, di un’infinita delicatezza e di una bontà che oltrepassava i limiti, uomo onesto e di alto valore morale, amico e rispettoso con tutti. Se qualcuno lo offendeva rispondeva calmo e sorridente con parole dolci e pronte che sgorgavano dal suo cuore aperto e generoso. Sempre pronto a pennellare i suoi pensieri con la sua grande vena poetica. Il destino ha voluto, proprio quando poteva raccogliere i frutti del suo sudato lavoro i lasciasse per sempre con un gran vuoto intorno a noi che gli volevamo tanto bene e che lo ricordiamo con tanto rimpianto come maestro di una cultura vasta e aperta e come amico sincero. E’ per me il cugino più caro.
***
La poesia Marchigiana
PER LA MORTE DI VITTURINI SECONDO
Un faro luminoso oggi si è spento,
si è spento un uomo dotto, uno scrittore
una fonte di sapere, un gran poeta,
semplice e buono, assai saggio e gentile,
genuina sorgente di poesia
nascosta tra le siepi, ove nessuno pensa
o va a cercare.
Noi che ti seguimmo e ti ammirammo
siamo restati sconsolati e mesti,
come scolari a cui manca il maestro,
come barca che ha rotto il timone
e nave senza nocchiero.
Tu non sei morto, no! Rivivi ancora:
nelle nostre memorie sempre echeggia il tuo canto.
Signor che tutto vedi dall’alto dei cieli,
il nostro amico Secondo Vitturini
accoglilo con Te, al regno beato
che sol da Te eguaglianza e giustizia egli ha sperato!
LA MIA TERRA
Amo questa terra marchigiana,
la bellezza delle sue colline,
ove si gustano le radiose aurore
e i silenziosi tramonti,
ove si scorgono sereni
interminabili orizzonti,
graziosi poggi, vecchi abituri e ville,
amo le lussureggianti sue vallate,
siepi e fossati verdi di viole,
torrenti e fiumi dalle limpide acque
che scorrono giù verso il mar
fresche e lucenti.
Amo l’azzurro mar, le amene spiagge,
i monti Sibillini a mesi nevosi
le cose antiche d’arti medievali,
le sue industrie, i suoi edifici,
i suoi paeselli arrampicati sui colli,
la brava gente laboriosa,
le case imbiancate con le soglie erbose,
dove sono i ricordi del passato,
gli amori giovanili,
i giorni di contento, di speranza
e di desìo.
Ricordo la vita allegra e miserella
di allora, gli allegri canti
degli agricoltori, le messi ondulate
dal vento, i prati verdi,
gli alberi mossi da un venticello
che mitigava la stanchezza dell’agricoltore.
Amo i boschi popolati
di volatili e altri animali,
le piante, i rovi, le acacie,
le ginestre, i ginepri con altri fiorellini
sconosciuti e selvatici:
un miscuglio di odori che rallegra e piace.
A tutte queste cose son legato
e tanto amore ho per la mia terra
dove sono nato e son cresciuto,
dove tanto ho goduto e tribolato
e ancor mi accoglierà al riposo eterno.
CHE COSA E’ PER ME LA POESIA?
La poesia è la bellezza interiore
Del nostro essere:
il fiore della letteratura.
Come il fiore è migliore
di tutte le cose che ha creato la natura:
migliore delle foglie,
dello stelo e del frutto…
E’ qualche cosa che esalta ed eleva
al di sopra del materialismo
e del fango umano.
La poesia ingentilisce l’animo del poeta,
lo distrae dalle cose più brutte ed effimere.
Aleggia la spiritualità
al di sopra della materia.
La poesia è amore perché il poeta ama:
assapora tutte le bellezze della natura,
le descrive, le ammira e le canta.
Il poeta sente il fascino della poesia,
guardando agli occhi di una fanciulla,
all’amore di una mamma,
alla bellezza di una donna, di un bimbo,
alla personalità di un uomo,
al fiorellino sperduto nei campi,
alle piante fiorite,
ai boschi profumati di fiori,
ai campi verdi, alle brezze mattutine,
agli uccellini che cantano,
alle zolle assetate,
alla pioggia che cade,
alla neve che fiocca:
quanta poesia v’è nell’aria!
Vorrei essere poeta per cantare
le grandezze delle piccole cose
ed “illuminarmi d’immenso…”.
TUTTO E’ POESIA
E’ poesia ritrovarsi insieme nonni e nipoti:
un vivo ricordo dei tempi lontani.
E’ poesia una montagna innevata,
una pioggia che cade,
un giardino fiorito,
un vigneto con i grappoli coloriti,
un passeggiar nelle sponde di un fiume,
tra la freschezza dell’acqua che scorre
e il tappeto di piante spontanee.
E’ poesia vedere un’aurora che nasce,
un tramonto estivo,
un merlo che fischia,
un usignolo che verseggia,
una rana che gracida nella fonte,
uno svolazzar di polli in una casa colonica,
un tintinnio di pecore alla pastura
o nelle capanne poste sulle cime
a tutti i venti
o nascoste nelle valli.
E’ poesia il sorriso di una fanciulla
Che cancella una tristezza,
annulla un dispiacere.
Ripenso alla poesia di un tempo !
A quella vita tanto semplice e miserella,
ai lieti canti delle fanciulle.
Le gioie delle feste,
del vestito nuovo,
della befana
pregustate dall’attesa!
Poesia: le stelle che brillano
lassù nell’azzurro,
la luna che rischiara l’oscurità
della notte.
Poesia: le bellezze femminili,
muse ispiratrici dei poeti,
sentimentali di ogni tempo!
In occasione della festa degli anziani e dei nipoti il giorno dell’Epifania a Servigliano: 6/1/1989
L’anno nuovo
IL NUOVO ANNO
Ascolta, anno di speme, la preghiera
che con amore fa l’agricoltore,
riporta ansia di pace in seno al cuore,
di moralità e di giustizia vera.
Della campagna la genìa più fiera
sia nei tuoi campi e cessi il lividore
dell’uomo indegno e regni aura d’amore
la pia linfa di Dio viva ed imperi.
Risuoni in ogni dove il dolce canto
misto con quello degli uccelli in coro
che ti fa inorgoglir di onore e vanto.
Il nuovo anno ci porti gran tesoro:
tanta salute e di raccolto tanto,
che è poi il compenso di tutto il lavoro!
LA NEVE
Oh, in che silenzio
scende la neve!
Come farfalla
agitata dal vento,
tutto imbianca
per tutto s’attacca.
Il gelido vento
trasporta la neve;
bufera invernale
che ancor non s’arresta,
agita, turba,
interrompe le strade,
copronsi gli alberi
copre le case,
ai monti e al piano
si vede sol neve!
Casette sperdute
in aperta campagna,
rimaste isolate.
Intorno al ceppo
che avvampa i camini
siedon sommessi
gli avi e i bambini.
Uccelli sgomenti
vanno alle stalle,
vanno ai pagliai
cercando il granello:
quelle bestiole
che di lieti canti
empivan la valle;
com’eran allegre!
Soffrono il freddo,
soffron la fame.
Il viandante s’affretta,
pauroso, sperduto,
traccia la neve
per rincasare:
i suoi cari l’attendon!
Molto sgomento
pei poverelli
che attendon con ansia
giornate migliori
per lavorare,
per guadagnare
il pane ai figlioli.
O inverno che fai?
Soltanto freddo
e diluvio di neve!
Dacci anche un giorno
di tiepido sole.
Facci scaldare,
distruggi la neve.
Quando vedremo
fiorir la semente
che bene riposa
sotto la neve?!
O inverno non puoi!
Verrà primavera,
verrà il sole d’oro
a ridare la vita!
LA NEVE
Mugola il vento,
scende la neve,
il sole, nascosto
tra un velo di nubi,
ogni tanto risplende
nel bianco lenzuolo,
sfavilla d’argento
il ghiaccio di neve.
Quante pitture
sulle grondaie,
sugli alberi nudi,
sui pali e sui muri,
sui monti e le valli,
in aperte campagne!
In case sperdute
guizza il camino,
il fuoco riscalda
l’intera famiglia
dei contadini
che giocano e veglian
in lunghe serate
e lunghi riposi,
pensano al pane,
al pane futuro
che è sotto la neve!
La Primavera
MARZO
Capriccioso e pazzerello
il sol scalda la campagna,
note allegre che accompagnan
il cantar del villanello.
Spira ovunque un venticello,
nuvolaie alla montagna,
qualche spruzzo che ci bagna
e poi il sole splende bello.
Brillar fa le goccioline
sugli alberi ormai in fiore
e le tenere fogline.
Marzo spiri gioia e amore
tu, a tutte le piantine
dài più forza e più vigore!
PASQUA
E’ Pasqua, giorno felice:
suona a festa la campana!
Dalla Chiesa più lontana
che è risorto il Signore, dice.
Ce lo comunica il sole d’oro!
La natura si ridesta
tutta pace e tutta festa!
Tutto gioia, tutto un coro.
Non più nubi fosco cielo
di giornate e passione,
tristi venti e confusione,
oggi invece senza velo
splende il sole che rinnovella
e ogni essere vivente
più vicino a Dio si sente
e con l’anima più bella!
Lo annuncian i fiorellini
che nei prati e nei fossati
ogni dove sono nati
belli, freschi e graziosini.
E ancor le rondinelle
a far festa son venute,
così nobili ed astute
come tante monachelle.
Tutto un inno di preghiera
sale al cielo col Signore
dalla terra con amore
in sì bella primavera!
E’ PASQUA
La festa che ci riempie di gioia,
la festa della vegetazione,
del risveglio di tutta la natura,
di ritrovi, di scampagnate.
Fioriscono gli alberi di ogni specie,
i prati sono coperti di un tappeto verde,
con fiorellini sparsi.
Piante ondulate dal vento,
come onde del mare.
A tutte queste bellezze della natura,
s’accompagnano il cinguettìo dei passeri
in amore e il garrir di rondinelle
pellegrine ritornate da paesi lontani!
Dai versi degli usignoli,
dalle rane che a sera gracidano
nei fossati profumati di viole,
è tutto un festeggiar di canti diversi
per la Resurrezione di Gesù!
Per comprendere
questo grande mistero Pasquale
basta spaziare gli occhi lontano
tra i monti rinverditi dalla primavera,
con lo spirito sollevato dalla Fede
e da questa infinita bellezza nascono
e prosperano in noi il perdono,
la pace e l’amore!
IL GIORNO DOPO PASQUA
Mentre sto qui solo, in questa casetta,
lo sguardo spingo lungo la pianura:
vedo il bel manto fresco di verzura,
gli uccelli che festeggian tra l’erbetta.
In questo lieto giorno di Pasquetta,
che son le piante in piena fioritura,
contemplo la bellezza che natura
offre alla mente mia fiacca e negletta.
Se avessi intelligenza e più destrezza
di queste belle Piane Falerone
dipingerei il volto e la bellezza
per recitar di loro un gran sermone:
elogerei l’ingegno e l’accortezza,
tutta l’attività delle persone!
PIOGGERELLA D’APRILE
Da tutti attesa la pioggerellina
eccola calda,
fina e penetrante entro la terra.
La guardo qui dalla finestra,
mi par tant’oro che viene giù dal cielo!
Godo si una freschezza che m’invade
e di nuove speranze
il cuor s’accende.
Gli alberi ne han bisogno a primavera,
s’imbeve il succo e assorbon le radici;
il nutrimento dà fiori e frutta
e li fa crescer rigogliosi e belli!
Domani il sole scalderà la terra,
bietole, medicai, prati ed orti
cambiano volto
e verde aspetto prende la natura.
Gli uccelli, le rane nei fossati,
le rondini che volano,
sui tetti qui d’intorno,
godono tanta freschezza
e fanno festa!
Mi par già un mondo nuovo:
è vera provvidenza del Signore.
Pioggerella d’april, sii benvenuta!
APRILE
Ritorna con April la primavera
e ritorna la rondine sul tetto,
sulle ramaglie in fiore l’uccelletto
verseggia e canta da mattina a sera.
Ogni essere creato si rallegra
nel dolce tuo tepor, caro apriletto;
piante, animali, campi, ed il boschetto
ci parlano il linguaggio di preghiera.
Pure l’agricoltor spinge lo sguardo
col cuore già ricolmo di speranza,
come l’atleta prossimo al traguardo,
al cielo con amore ed esultanza.
Lieto nei campi lavora pregando
perché i prodotti siano in abbondanza!
AURORA PRIMAVERILE
Mi affaccio alla finestra
e guardo l’aurora che sorge
e via via si fa sempre più lucente
perché s’appresta l’apparir del sole.
Tramontano le stelle
nel ciel sgombro di nubi e senza vento:
gli uccelli cantano gioiosi
al tepor di primavera.
Le rondini sono tornate ai vecchi nidi
l’aria è più leggera, profumata
di fiori che cominciano a sbocciare
in ogni luogo: i peschi e gli albicocchi
sono già in fiore.
Alla mia settantasettemima primavera
osservo questa mattina
e per un attimo mi sento
tranquillo e sereno
come nei giorni dell’età passata.
L’albero vicino alla morte
al risveglio della primavera,
magari per pochi giorni
riprende la vita.
Io pure avrò poco tempo
da vivere ancora:
verranno i giorni di tristezza
e d’angoscia,
ma oggi l’aurora annuncia
un bel giorno: oggi è primavera!
MATTINO DI PRIMAVERA
Nel mattino,
quando l’oriente si rischiara
di una luce che irradia tutto l’universo,
le stelle scompaiono,
gli uccelli festeggiano
tra le siepi e le acacie
biancheggianti di fior
e tra le tenere foglie degli alberi.
Gli operai vanno al lavoro,
un via vai di macchine, moto e biciclette.
In tutto questo piacevole risveglio
percorro in bicicletta la strada
per andare al mio campicello.
Amo la mia terra,
i miei animali domestici.
Mi diverte guardare
le messi ondulate dal vento,
i grappoletti dell’uva che nasce,
i ciliegi, i peschi
i mandorli, gli albicocchi
coperti di frutticini e di foglie.
E’ bello lavorare in silenzio
interrotto solo dal canto degli usignoli
e dall’acqua che scorre limpida
lungo l’ombroso canale.
Un delizioso venticello
allevia la stanchezza del mio lavoro…
Un alito di vita e di giovinezza
Mi spinge ad amare e pregare!
NOTTE DI MAGGIO
Piacevole e corta
questa notte di maggio!
Un venticello fresco,
un verso d’usignolo,
una nota stonata
di uccelli randagi,
una rana che canta nel fonte
rumore d’acqua che scorre,
la luna che splende,
le stelle brillano
lassù nell’azzurro;
io non vado a dormire
per guardare
e gustarmi il canto della natura
in questa notte di maggio
in cui tutto è poesia,
tutto è preghiera!
IN BICICLETTA
Ecco il mattino,
ce lo annuncia il gallo
e il suono della campana odo
della vicina Servigliano.
Giù nell’oriente vedo un chiaror d’oro,
un festeggiar d’uccelli tra le fonde,
un movimento di macchine e trattori.
Qualche bifolco con le vacche al giogo
mi ricorda i bei tempi passati…
mia gioventù nei campi consumata;
ripenso a quei giorni al mio lavoro,
immerso in questi pensieri, m’incammino
sotto il cielo di nubi un po’ velato.
Vi è qualche stella ancor verso ponente,
la luna si nasconde dietro al monte,
ed io con piacere corro in bicicletta,
mi gusto l’aria fresca mattutina,
pochi minuti, il pianeggiante asfalto.
Senza per nulla affaticar le gambe
silenziose girano le ruote!
UNA SERA DI PRIMAVERA
Sole che ci aiuti
con gli ultimi raggi d’or,
dietro i monti ti nascondi.
Segue buia la sera
con un luccicar di stelle,
lassù nel limpido cielo.
Nei paesi e villaggi sparsi,
splendono le lampade
mentre dall’oriente sorge la luna
che a poco a poco si alza e rischiara
sempre più questa verde pianura
e le circostanti colline.
Di tanto in tanto un venticello
porta strani e piacevoli odori.
Tutto è pace e silenzio,
in questo mondo così bello!
Sono i primi giorni della primavera
in cui tutta la natura si ridesta
dal lungo riposo invernale.
Ed io torno dal mio usato lavoro,
proprio in questa silenziosa sera,
scendo dalla mia bicicletta,
mi fermo a guardare, a pensare;
rivedo il mio nulla,
osservo le colline verdi,
le luci nelle case, nei paesi,
il limpido cielo, e assaporo
questa dolcezza primaverile.
Ripenso alla mia giovinezza lontana
tanto in fretta fuggita:
il tempo non passava mai
ed or mi accorgo che i mesi e gli anni
volano via come il vento.
Ricordo tutte le mie ottanta primavere:
da quand’ero spensierato fanciullo
alla mia giovinezza cui bastavano
uno sguardo, un sorriso, un saluto,
un incontro con una fanciulla
per rasserenare l’animo.
Ed in questo percorso tra alti e bassi,
gioie e dispiaceri: quante speranze,
quanto lavoro! In attività diverse
principalmente d’agricoltore
che mi ha fatto conoscere
la vita delle piante, degli animali,
l’amore, la poesia,
il sacro, il bello, il buono,
l’umano.
La fede che mi ha accompagnato
Lungo il sentiero della vita,
spero mi sia ancora di guida
fino a quella sera
che non si farà più giorno …
… che sia bella come questa sera
di primavera!
UN MERLO CHE CANTA AL MATTINO
SULLE ALTE PIANTE
Vago uccelletto
che verseggi e canti
tra le piante dei pioppi
in sulle cime
quando al mattino
si schiarisce il giorno
tu ci rallegri e svegli.
Io dalla cameretta
Guardo l’alte piante e la pineta,
ti sento, mi piaci, ti invidio
perché nessun problema
in te si pone.
Ti sai nascondere
da tempeste e venti
ed hai la libertà
ch’è tanto cara!
Beato te che poi volare in alto!
Godi la vita
sempre contento.
Oh, potessi teco
fuggir dal fango umano
e cantare in alto
per lodare Iddio!
MATTINO DI MAGGIO
Com’è bella questa mattina di maggio,
in un limpido cielo, senza nuvole!
Risplendono i primi raggi del sole nascente
nelle colline fiorite e nelle messi ondulate
che cominciano a maturare. Dai fieni sparsi
giungono insoliti profumi, mentre trilli d’uccelli
e metodici canti di usignoli, che mai ripetono
gli stessi versi, echeggiano
dagli ombrosi fossati odoranti di viole.
Lungo la strada, in questo lieto mattino di primavera,
s’odono i primi rumori delle automobili di operai
che si affrettano al solito lavoro.
Seguono i pulmini pieni di giovani donne
Tutte sorridenti e con le facce serene,
che si recano ai calzaturifici: sono stelle
che brillano sulla terra, unite con filo
invisibile a quelle che splendono, con lacrime
d’argento, nell’immenso infinito dei cieli.
Dopo poco, ecco i pulmini dell’asilo e delle scuole
dove altre stelle splendono per illuminare
le intelligenze umane.
Ed io, tra le bellezze naturali, lavorando
Nel silenzio dei campi, osservo i movimenti,
ascolto questi canti soavi, ed il mio cuore stanco
riprende un palpito di giovinezza e d’amore!
MAGGIO
Sento il venticello
che accarezza:
fresco e profumato.
Il sole splende bello
e ci riscalda,
risveglia tutto alla novella vita.
Par che torni a gioir
tutto il creato!
Il prato è fiorito
di tanti colori,
i bei fossati odoran di viole,
e nel boschetto
un gorgheggiar d’uccelli,
rumor dell’acqua
cristallina e chiara,
mentre le rane con le cantilene
gracidan giù nel fosso,
quando è sera.
Fertili colli rivestiti a festa!
Tra questa poesia
quanta bellezza!
Lavorano nei campi gli agricoltori,
lungo i filari irrorano le viti,
altri, con trattori e falciatrici,
tagliano l’erba,
raccolgono il fieno,
lo trasportano nei fienili
e nei pagliai,
sarchiano altri
bietole e granturco.
Tutto un via vai,
e tutto un fermento,
ma ristorarsi
con buon vinetto
fresco e genuino
gusta nell’ombra
e un attimo riposa,
l’agricoltor sudato, affaticato
girando intorno
e alungo le pupille:
quanta dolcezza al cuor
quante speranze!
Sogna pieni i granai,
uva e frutta
saporita e bella!
L’estate
GRANDINATA A BELMONTE 7.06.1967
O bel paesello
d’invernale aspetto!
Più non ondeggian al vento
le tue messi e i verdi prati!
Festose piante, ombravate un viale
e con violenza restaste spoglie;
più non verseggia l’uccellin spaurito
per l’infuriar della tempesta.
Le viti carichi d’uva
ed i frutteti
spezzati, strangolati
hanno i bei tralci.
Il saltellar dei grossi
chicchi bianchi
infranser vetri e lampade
che a sera risplendean.
Squallide e desolate le verzure.
Addio liete speranze! Addio bei frutti!
Fra poco rinverdiranno gli alberi,
germoglieranno i grani
ed un tappeto verde rivestirà la terra.
Riprenderà a far festa l’uccellino
tra le novelle foglie.
Risplenderanno lampade alla sera
E pago l’occhio sarà dei campi verdi;
ma l’agricoltor più non s’allegra,
più non s’allegra chi ha perduto tutto!
Ogni ferita è una ferita al cuore
che guarirà soltanto a primavera!
DI MATTINO AL VIGNETO
Nel lieto mattino di giugno,
rinfrescato dalla recente pioggia
mentre il sole dirada le ombre,
lavoro nel vigneto a potare
ad arte gli inutili tralci delle viti
gustandomi il profumo
dei grappoletti in fiore.
Quanto entusiasmo!
E quanta dolcezza si assapora
Al sentire gorgheggi e trilli di uccelli,
di merli che nereggiano a coppie
sopra le piante di acacie
e sulle cime del vigneto.
Mi siedo un momento
a riposar le ginocchia,
vicino al canale ove scorrono
le limpide acque
con i lati tappezzati di verde
e di fiori spontanei di fari colori.
Mentre mi gusto questo scenario
piacevole della natura,
rivolgo lo sguardo in alto.
Ripenso ai tempi della giovinezza
al cambiamento di usi e costumi
storici e politici,
a tutte le innovazioni avvenute
nel campo agricolo ed industriale,
mentre splendida resta la natura!
Le albe e i tramonti,
gli uccelli e le piante,
le messi ondulate, il sole,
la luna, le stelle, le colline verdi
sono come allora.
Con questi pensieri immersi tra memorie
trascorro gli ultimi giorni della mia vita
senza rimpiangere il peggio di ieri
per elogiare il benessere di oggi!
MATTINO D’ESTATE
Levarsi alla mattina di buon’ora,
respirar l’aria ossigenata e pura,
seppur la fatica sia un po’ dura,
quanta bellezza veder l’aurora!
Gioisce il cuor dell’uomo che lavora
In questa bella scena di natura,
il Creato s’allegra e ogni creatura
di fede e di speranza si avvalora.
Si vedon, nell’oriente, i bei colori
e qualche stella ancor nel firmamento:
voci nei campi e rombo di trattori,
qualche paio di vacche, a passo lento
e il sol che nasce, con i suoi splendori;
specchia l’aratro di un color d’argento!
LAVORO RICCHEZZA PER TUTTI
In queste magnifiche giornate estive,
sotto il sole che brucia;
in questa deliziosa vallata
cosparsa di alberi, di olivi
e filari di viti,
il ronzio dei trattori che arano i campi
s’accompagna ai canti delle cicale
ed ai rumori del traffico. Corrono veloci
i pulmini, i motorini, le macchine
sul pianeggiante asfalto:
sono gli impiegati, i ragionieri,
gli operai, che pochi minuti dopo mezzogiorno
tornano dalla fornace, dall’edilmec,
dall’imbottigliamento d’acqua,
dai cantieri edili, dai calzaturifici.
Spesso anch’io in bicicletta m’incontro
in questo trafficar d’operosa gente.
Torno da un altro lavoro:
dalla stalla o dai campi …
a ciascuno la sua fatica!
Osservo questi movimenti,
contemplo la bellezza di questo spettacolo,
la grande macchina umana
che in funzioni diverse
opera per il bene comune …
PIOGGIA D’AGOSTO
Dopo giorni e giorni di calura,
tuoni e lampi là, verso ponente …
ecco vien l’aria fresca che rincuora
con la speranza d’una pioggiarella.
Bianchi nuvoloni su nei monti …
In qualche luogo già piove a dirotto, eccola!
Arriva qui, pure da noi:
incominciano a cadere dei goccioloni.
Io sto a guardar
dall’uscio della stalla
e il piacer sento
d’una freschezza nuova
che suscita nel cuor nuove speranze.
Mi par veder i campi rinverditi
come se fosse nuova primavera.
Le zolle arse dal sole apron la bocca
preparandosi ad accoglier le sementi.
Gli alberi rinverdiscono, si disetan
e tra le foglie dei boschi rinfrescati
che cinguettìo, che festa
per un avvenimento così grande!
E’ la natura che cambia all’improvviso
per un comando misterioso.
L’Autunno e l’Inverno
IL CILIEGIO VICINO ALLA STRADA
All’apparir del sole stamattina,
volgo lo sguardo al giovane alberello
coronato di goccioline d’oro,
che in brezza mattutina
splende e brilla!
T’ammiro e t’amo giovane alberello
Ognor sognando la tua ombrosa chioma.
Gli uccelletti festeggian all’intorno …
Sei piantato in fertile terreno
per meglio crescer rigoglioso e bello.
Verrai grande, godrai le belle primavere,
le fresche rugiade, i ventosi autunni
poi le nevi e infreddolito, spoglio,
risorgerai ad ogni primavera,
profumerai l’aria con i tuoi
petali di fiori,
e darai buoni frutti.
Sarai il ricordo dei miei tempi lontani,
mi accoglierai negli ultimi giorni
della mia vita
all’ombra tua seduto!
SETTEMBRE
Settembre è il mese migliore:
più mite, più ricco e piacevole!
Si vedono i bei colli come un dipinto
di quadri di vari colori,
un misto di verde, di pallido
di fresche zolle rivoltate di recente,
i bei vigneti sparsi qua e là,
dai pampini ormai sbiaditi
come i colori d’autunno;
dai tralci pendono i bei grappoli
vellutati, succosi e maturi.
Lungo le valli che solcano
Queste colline marchigiane,
strisce di terreno ben coltivate
vicino alle soglie delle case,
nei giardini, nelle aiuole,
ogni dove si ammirano
le bellezze dei fiori,
delle ultime rose
che non soffrono più il caldo
afoso d’agosto;
senza tema di brina,
come spesso avviene
con i capricci della primavera.
Nei boschi e sulle sponde dei fiumi
svolazzano gli uccelli di ogni specie,
si rallegrano di queste dolci
giornate di settembre,
pur temendo la morte,
perché i cacciatori
in questa fine d’estate
e principiar d’autunno,
sparano senza pietà.
Spesso, dal faticoso lavoro dei campi
volgo lo sguardo intorno,
ammiro le scene della natura
che vive ogni momento,
le bellezze del cielo
e l’ubertosità della terra.
LA VENDEMMIA
Che venticello fresco stamattina,
dopo la pioggia ch’è caduta ieri,
par che sia ritornata la primavera,
il sole splende,
un lieto gorgheggiar tra le piante ombrose,
un chiacchierio,
un tic tac di forbici tra i vigneti
e nei filari sparsi nei colli
rinverditi dalla prime piogge.
I vendemmiatori tagliano i grappoli
Vellutati: quanta poesia!
Ripenso ai tempi lontani,
alle liete vendemmie di una volta.
Erano i giovani che andavano
Su e giù per i pioli delle scale.
Le ragazze ci allietavano
coi loro canti.
Le veglie serali per pigiar le uve,
i mosti che bollivano nelle caldaie.
Or siamo tutti vecchi …
I giovani sono fuggiti dai campi alle città,
lavorano nelle industrie, negli uffici:
meno allegri e più insoddisfatti.
O bella vita dei campi!
Anche se miserella tanto cara …
Che piacere sentir il bollir dei mosti
e l’odore del buon vino.
Se io fossi giovanetto, ancor sarei
il contadinello spensierato e allegro
per vivere a tu per tu con la natura
tra le musiche più belle che ci siano.
LE RONDINI
Rondinelle pellegrine tutte pronte,
tutte in fila sopra i fili della luce,
dove andate?
Son tanto belle le vostre casette
impastate di sabbia
e riparate da venti e tempeste.
Andate in siti lontani
più riscaldati dal sole.
Senza avere calendario,
sapete che viene il freddo.
Alla scuola non andate,
per studiar la geografia,
eppur volate, volate lontano
al di sopra dei mari
nei cieli tra le nubi.
Ritrovate il vecchio nido …
Beate voi che sfuggite al gelido inverno!
Ritornate a primavera
a portare gioia nei cuori,
col far festa intorno al tetto,
anche noi rallegrate,
con fringuelli e canarini,
passerotti ed usignoli
salutate al mattino l’alba nascente
e i vostri canti mi commuovon!
Osannate
per il sole che ci scalda
per i prati che sono fioriti
per le gemme che veston gli alberi
per le messi che ondeggian nei campi
per i frutti della terra
coi canti “Grazie” voi dite al Signor.
NOVEMBRE
O mese di novembre
caro e mesto,
tu mi richiami
a meditar pensoso.
Mentre la vita fugge,
una tristezza m’invade:
meste e piovose giornate,
sole che non riscalda la terra
con i suoi raggi,
alberi che rimangono nudi
allo sferzar dei venti,
nebbie mattutine
che oscuran l’orizzonte,
uccelletti che svolazzano
attorno ai fienili,
come per annunciare
una prossima nevicata,
donnette vestite di nero,
in oscuri mattini
vanno in chiesa a pregare.
Tutta la natura si addormenta
mentre gli agricoltori si precipitano
a levare dai campi
gli ultimi raccolti;
da qualche albero cadon
le foglie ingiallite.
In qualche notte serena
i campi cosparsi di brina
annuncian l’inverno che arriva.
Mese dei morti è questo!
In questi mesti giorni
tutto par che ci annunci
il tramontar della vita,
mentre i camposanti
son cosparsi
di lacrime e fiori!
Là una tomba di un giovane,
qua una mamma
i cui figli piangono attorno,
un simpatico vecchietto
da tutti conosciuto,
persone care!
Un genitore,
un figlio,
un marito.
Quanti ricordi!
Quanto dolore!
Che mistero è la vita!
RIVEDENDO IL MIO ARATRO
O mio aratro di ferro
gettato all’ombra di un antico gelso
come ferraccio vecchio arrugginito,
dopo molti anni ti rivedo!
E tanti ricordi mi ritornano in mente
di quando su di te curvo, energico e giovanile
ti afferravo, entusiasmato di vedere
il solco tuo profondo
e il versoio lucente d’argento che rivoltava
e frantumava le zolle indurite dal sole.
Eri allora trainato da lenti buoi
aiutati da un paio di vacche davanti.
Ti guardo e penso a quando ti facevo risplendere
al sorgere del sole ed ai bei tramonti estivi,
nei solatii colli Belmontesi,
tra il festeggiar degli uccelli
ed il rintocco della campana che segnava l’ore.
Nella capanna aderente la casa colonica
in riposo invernale ti osservavo primeggiare
tra tutti gli attrezzi agricoli.
Pensavo al tuo solco profondo
e al risparmio della fatica umana!
Ora sei gettato via, dimenticato, inopportuno
alle nuove esigenze della meccanizzazione.
Io come te, vecchio e inosservato, dimenticato.
Rimangono solo a consolarmi i ricordi
di un tempo lontano, i campi verdi
tutte le belle aurore, le bellezze naturali
che non cambiano mai col passare degli anni.
L’ESTATE DI SAN MARTINO
Dopo piogge scroscianti
e nevicate,
improvvisamente s’è cambiato il tempo:
limpido il cielo,
l’aria più mite dei giorni passati.
Il sole nasce tra un velo di nebbia,
si vorrebbe nascondere vergognoso,
ma al suo alzarsi, la nebbia si dilegua
e tutta la natura si riscalda.
Ogni albero, ogni fiore
par che riprenda la vita.
Anche le foglie ingiallite
baciate dal sole
svolazzando nell’aria;
vorrebbero vivere ancora
in questo giorno di sole,
ma presto giunge la sera,
e un venticello fresco,
ancor più veloci,
le spinge a terra già morte.
Pure gli uccelli svolazzano allegri,
soltanto il pettirosso
nascosto tra le siepi
non festeggia, non canta,
silenzioso e pensoso!
Saran forse due giorni,
tre giorni,
ma sempre piacevole e calda
è l’estate di San Martino!
LA SEMINA DEL GRANO
Nei campi arati si semina il grano:
è l’autunno!
Giornate brevi di novembre,
dopo la pioggerella che il sol asciuga,
un affannarsi di agricoltori che seminano.
La terra rimossa fumiga ai primi raggi del sole.
Scorron veloci gli attrezzi
Che spianano e raffinano il terreno;
poi le seminatrici trainate dai trattori,
in diritte file lungo le valli
e nei clivi scoscesi,
in piccoli solchetti semiaperti
nascondono il seme.
Il grano fra pochi giorni
coprirà la terra di un bel tappeto verde
e abbellirà ancor più
le ridenti colline marchigiane
e le fertili valli che le circondano.
Mentre gli alberi rimangono nudi
i campi sono sempre belli
anche nel gelido inverno.
Vengono così affinate le bellezze naturali
dalle mani callose degli agricoltori:
uomini semplici e buoni
che nei silenzi dei campi
lavorano con fede e sacrificio,
con lo sguardo rivolto al cielo
allietati solo da un compenso divino!
Essi godono delle belle aurore,
dei primi raggi del nascente sole,
degli ultimi al tramonto
delle cangianti musiche del cosmo.
Cari ricordi di un tempo
quando col gesto della mano,
misurato col passo,
volava in aria il grano,
cadeva in terra a eguali distanze
ed il vecchio aratro di legno, poi,
trainato da buoi, lo ricopriva.
Sono cambiati i tempi, gli usi e i costumi
mentre immutata resta la natura.
I fiumi dalle grandi sponde ombrose,
la acque cristalline, i monti Sibillini,
la vecchia e verde pineta di S. Paolino
or io vedo di prospetto,
dalla mia cameretta ove ricordo
il giocar da fanciullo,
e il ripetersi delle stagioni.
Piacevole vision della natura
in cui io sento un alito divino:
impronta viva delle mani di Dio!
AUTUNNO
L’autunno arriva
con le piogge e il vento,
strappa le foglie
ingiallite e morte.
Spoglie le piante e desolate …
Vedo i vigneti coi capelli sciolti
dopo aver dato grappoli dorati.
Lontan per me non è
l’autunno della vita …
E come te, o foglia,
anch’io ho vissuto.
Tu riparasti da estivi calori
i frutti e i grappoletti belli!
Li difendesti ancor dalle intemperie
per farli diventar buoni e pregiati.
Io soffro ancora
per le ingiustizie umane
e fra tutti i tormenti
anch’io, ingiallito e vecchio, me ne andrò
a sopirmi con te,
e nulla rimarrà
perché m’avvedo
non ho potuto dar dei buoni frutti!
Natura mi fu avara,
e vissuto così tra i poverelli,
lavorando nei campi silenzioso,
ho lo sguardo ognor rivolto al cielo
perché il breve percorso della vita
la luce della fede rischiari!
DOMENICA
Il suon delle campane
che echeggia lungo la valle
qualche colpo di fucile dei cacciatori
che si levano presto con i loro cani
e frugano in cerca di preda tra le siepi
e sulle sponde dei fiumi.
Spari di mortaletti che richiamano
a festicciole paesane
rompono il silenzio che stamane regna.
E’ domenica!
Ogni lavor si è fermato:
non rumori d’officine o di trattori,
non voci di agricoltori al lavoro nei campi.
Un alito di festa pervade
le nostre contrade, i nostri paesi
che si popolano in piazza
di persone vestite a festa:
giorno di riposo che il Signore
per sé e per noi ha riservato.
I fedeli in chiesa pregano,
elevano i cuori in alto,
in cerca di beni duraturi
che qui in terra mai trovano:
la felicità, la pace, la giustizia.
Tutti le cercano,
solo Iddio ce le dona
per amore con le Sue leggi
che tutti gli uomini
affratellano.
RACCONTO DI UN POMERIGGIO DOMENICALE
In un pomeriggio d’autunno, in riposo dal mio usato lavoro dei campi, mi sono divertito a passeggiare lungo le sponde del fiume Tenna.
Nella mia solitudine guardavo lungo lo spazio. Non ero solo!
Spiritualmente sentivo qualcosa, come un immenso sussurrio della natura tra i campi coltivati e le sponde del fiume. Inoltrandomi poi tra le piante dalle foglie già ingiallite, piccole e grandi delle diverse specie,parlavano tutte un linguaggio diverso l’una dall’altra: anche le pianticelle piccole mi dicevano qualche parola che io ho imparato a capire con l’esperienza dell’agricoltore.
Molte di esse soffrivano perché attaccate dai parassiti, altre non potevano crescere perché avevano le radici vicino alle pietre e non potevano formare il terreno agrario per svilupparsi, altre soffrivano per mancanza di alimentazione, altre ferite dagli uomini. Vi erano invece piante belle e sane. Mi pareva udirle osannare la vita!
Anche le pietre facevano rumoreggiare l’acqua che scorreva limpida e frettolosa lungo il fiume. Doveva arrivare presto!
Dove? A riempire i laghi che alimentano le centrali elettriche per l’illuminazione di città, di paesi e di tutte le abitazioni; per far girare i motori delle fabbriche industriali e dei mulini … per spegnere un incendio e per irrigare i terreni aridi perché arsi dalle soleggiate estive.
Guardavo ai piccoli animali: anch’essi sgomenti si affrettava no a procurarsi un riparo per le intemperie. Gli uccelli svolazzavano impauriti da qualche colpo di fucile dei cacciatori ed alcuni si nascondevano nei gruppetti di salici ancora verdi.
Le erbe ed i fiori selvatici emanavano vari e piacevoli odori che io assaporavo con tanto piacere.
Mi sono seduto sopra una pietra in compagnia di tutti questi esseri naturali ascoltando le loro voci che si riflettono all’umanità intera.
Attraverso il mormorio di questi esseri al servizio dell’uomo, salivo con gli occhi della mente in alto, al di sopra dei folti rami, in un cielo spazioso ed infinitamente bello!
Si scorgono l’immenso, l’infinito, il meraviglioso ed eterno ordine del creato!
Il pensiero a Dio, l’essere supremo che ci ha creato queste bellezze naturali per farci gioire ed apprezzare ancor di più la nostra vita.
Era quasi buio e me ne tornai a casa. Mai però potrò dimenticare quella bella serata di festa e quella silenziosa passeggiata vicino al fiume!
INVERNO
Scroscia la piaggia tanto attesa,
l’aspettavan le zolle arse nei colli
e gli alberi assetati,
l’aspettavan i boschi già ingialliti.
Son cadute le foglie per formare l’humus
a concimare le piante.
Ingrossano già i torrenti e i fiumi,
ristorano le vene semisecche.
Dormono i seminati
già imbevuti dall’acqua mista a neve.
L’inverno arriva col mantello bianco!
Arriva nelle montagne desolate,
nelle casette squallide campestri;
nelle città e villaggi.
Fan festa i bimbi con la prima neve!
Anche d’inverno la natura è bella!
I bei disegni scherzosi
Sulle grondaie delle case,
nei vigneti sui rami secchi,
sulle frasche delle siepi …
Tutto è adornato di pitture bianche:
nessun artista saprebbe dipingere
un simile spettacolo!
In ogni casa fumano i caminetti
di stufe, o di riscaldamenti.
Ma niente è più bello e piacevole
dell’antico focolare di legna.
I vecchi camini mi ricordano gli avi
e la fanciullezza.
Là presso l’affetto fiorisce, germoglia
e si espande.
LA PRIMA NEVICATA DI DICEMBRE
Silenziosa è la notte, gelido il vento,
uno strato di nebbia sottile
si spande lungo la valle,
la luna coperta da nuvolette bianche
proiettala luce un po’ velata
che s’accompagna al chiaror della neve;
si vedono i colli lontani coperti di neve.
Non si odono trilli di uccelletti,
cantilene di rane e voci dalle case,
solo l’eco dell’abbaiar di un cane
e i rintocchi dell’orologio
dalla torre di Servigliano.
Dalla finestra guardo le luci
delle case agglomerate e lontane,
osservo ogni colonna di fumo
che dai camini si sprigiona e si spande,
misurando coi rintocchi dell’orologio
il tempo che fugge.
Indietreggia il mio pensiero
agli inverni nevosi d’una volta:
facevamo festa tra la neve!
Quanta poesia ai tempi della fanciullezza!
Guardo la neve, mi piace
questo bianco lenzuolo disteso
che protegge i seminati dal freddo e dal gelo,
incorporando nel suolo acqua ed azoto
a disposizione degli alberi e dei seminati.
Sii benvenuta prima neve,
candida neve a dicembre!
La mamma Giustina
A MIA MADRE
IL GIORNO DOPO LA SUA MORTE
Mamma! Mamma! Non ci sei più.
Tu sei partita in fretta, non mi hai parlato,
non mi hai detto addio!
Me lo dicesti
quando nel silenzio della notte
mi affacciavo alla porta semiaperta
della tua cameretta.
Sentivi già una voce divina misteriosa
che ti chiamava per il cielo!
Pochi minuti prima guardavi dalla finestra,
spingevi lo sguardo lontano.
Al richiamo rispondevi:
“Guardo il mondo che è tanto bello!”
Alle bellezze naturali che tanto amavi
e mi hai insegnato ad amare!
Ogni luogo, ogni oggetto, ogni sguardo
è per me un doloroso ricordo.
La cameretta fredda, il tuo lettino vuoto,
il tavolinetto dove sostavi in preghiera,
il libricino logorato dalle tue mani,
i quadri appesi alle pareti,
le foto dei sofferenti:
guardo, ripenso e piango!
A MAMMA
Sono passati dieci anni dalla tua scomparsa:
non mi sembra vero!
Mi par di vederti ancora:
ricordo le tue parole, mi par di sentire
la tua voce, come un’eco lontana
quella voce amorosa che ho sentito
per sessantasette anni.
Rivedo
i tuoi gesti, il tuo pregare,
i tuoi atteggiamenti,
il tuo comportamento, la tua bontà
la tua carità elargita
soprattutto a pro dei sofferenti.
Sei sempre davanti ai miei occhi
come allora, come sempre!
Più passa il tempo e più penso e ricordo:
fin da quando ero bambino
che mi “imparavi” a leggere il sillabario,
a lavorare, ad amare tutti e tutto.
Mi par di sentir la voce
che mi svegliava al mattino presto;
mi dicevi: “Se vuoi aver fortuna
devi esser mattiniero!”
Io debbo a te, mamma,
se alla soglia dei miei settantasette
anni ho ancora voglia di lavorare,
di amare e qualche volta anche di scrivere
di rassegnarmi ai sacrifici della vita,
d’innalzare a Dio la mia preghiera
nei momenti di sconforto,
di compatire, di accettare le ingiustizie
dell’attuale società.
Tu fortificasti il mio cuore,
tu mi hai insegnato che la condanna
più grave per chi mi faceva del male,
era il perdono.
Mamma! Ora tu non ci sei più,
non puoi parlare, dar consigli,
incoraggiami nei momenti di depressione
e di abbandono. Sì, mamma,
spiritualmente lo puoi ed io lo sento,
ti ascolto, sento ancora la dolcezza
del tuo amore sincero.
RICORDO DI MAMMA
Era dicembre
al principiar dell’inverno,
nei giorni gelidi,
scuri e nebbiosi,
gli alberi sfregati dal vento
rendevano alla terra
le loro foglie.
Tutta la natura già dormiva
quando anch’essa,
la mamma mia
s’addormentò nel sonno eterno.
Senza parlare
partì la mia mamma improvvisamente,
senza un lamento,
senza darci un addio!
Or che la primavera
è tornata
con i suoi fiori
e con il manto verde,
il sol splende
nei giorni riscaldati;
a me l’amor di mamma
non riscalda.
Più non la vedo seduta nell’aia
qui nel vecchio selciato
incontro al sole
o camminar appoggiata
al suo bastone;
non odo
la sua voce fioca e stanca
recitar preghiere per sofferenti
nella cameretta.
O mamma, ora sei là
In quel piccolo camposanto,
entro la tomba
col tuo sguardo
rivolto all’interno:
mi par di vederti
circondata da pellegrini celesti
come lo eri qui in terra
da pellegrini sofferenti.
Vengono a trovarti
come tu venivi da me,
quando eri lontana.
Riposi là, accanto al babbo,
compagno fedele della tua vita.
Volgi lo sguardo
ai tuoi figli
che lasciasti pellegrini in terra
e quando anche noi
ci addormenteremo per sempre
porgici ancor la tua mano
per condurci a te!
DOMENICA 20 LUGLIO
DAVANTI ALLA TOMBA DELLA MAMMA
Mamma!
Sono venuto a trovarti stamattina
in questo campo santo.
Solo, nessuno si vede,
non odo voci o rumori, qui è pace, è silenzio,
mentre là, in chiesa, si celebra la messa.
Sono solo qui avanti alla tua tomba,
a colloquio con te, mamma!
Il mio cuore parla, ricorda e piange!
Da questo avello dove sei rinchiusa,
mi guardi, ancora
ed io in silenzio dico la preghiera
che da bambino mi hai insegnato.
Mamma! Vedo le tue mani incrociate
che stringono il Crocifisso,
quella mani che mi hanno accarezzato,
che mi hanno retto nei primi passi,
che hai posato sulla mia fronte
nei momenti di dolore.
Le tue labbra mi hanno baciato tante volte
quando ero bambino e quando sono partito
e tornato da lontano.
Quei tuoi occhi così belli che posavi su di me
col tuo sguardo amoroso, la tua voce
dalla quale ho imparato ad amare e pregare.
Mamma! Come sono felice di esserti vicino,
confidarmi con te, gustarmi tanti ricordi,
chiederti ancora consigli,
sentirmi ancora attratto dal tuo materno amore!
A MAMMA
Ho dei ricordi,
in questi luoghi belli,
della mia mamma!
Brucia il cuore mio
d’amor filiale:
mi fermo a pregare
la mamma celeste
al ricordo di quando lei pregava
preoccupata e ristabilir la chiesa
ed ora qui intorno al camposanto
e alla chiesetta
aleggia di splendor
e pieno di gloria
lo spirito suo immortale.
Ed io commosso, peccator pentito,
seguir l’orme vorrei
della mia mamma
e con lo spirito mio purificato,
in questo colle, insieme a mamma
abitar per sempre.
A MIA MADRE
Mia padre ha novant’anni …
Novant’anni: è ancor vegeta e gaia
come se avesse solo settant’anni.
Florido il viso, di color rosa,
gli occhi belli, lucida di mente,
legge e scrive
e non si sente stanca;
qualche ruga sulla fronte
e sulle gote,
cammina barcollando col bastone.
Non un lamento
per l’età avanzata:
paziente e generosa,
sempre prega!
Il libricino ha in mano e la corona,
par che sia sostenuta dalla fede.
Ed io guardo,
e col pensier ritesso
i tristi e lieti eventi del passato,
quando bambino mi porgea la mano
e seco mi portava,
mi additava lassù l’azzurro cielo:
“Di sopra ancor del sole e delle stelle, c’è Dio”
E m’imparava a farGli la preghiera!
Le fiabe d’inverno, intorno al fuoco …
Quando veniva a riscaldarmi il letto,
mi raccontava tante cose belle!
Mi mormorava d’essere più buono
e m’insegnava a vivere.
Ricordo ancor le birichinate,
tutta la mia fanciullezza
intrecciata alla sua giovinezza.
Caro ricordo del passato,
oh, come passa il tempo,
com’è misteriosa la vita!
Or son’io che la prendo per mano
per aiutarla a scendere e salire
e lieto sono perché compenso un po’
un atto gentile e generoso.
Ma sempre debitore
sono a colei che mi donò la vita
e nei momenti tristi del dolore
mi ha sempre circondato
del suo materno amore!
NATALE SENZA MAMMA
Il Natale senza mamma
come nebbia a primavera,
come buio nella sera,
come fuoco senza fiamma!
Sempre triste resta l’alma
e la casa non si allegra
di gran festa e di preghiera,
se non v’è il cuore di mamma!
Ella ti esorta, ti accarezza
e lenisce ogni dolore,
sempre pronta con dolcezza
apre ai figli tutto il cuore
con solerte sua accortezza
e non v’è più grande amore!
AL CAMPOSANTO DI BELMONTE
Mentre sono a far visita
ai miei cari morti,
invaso di mestizia,
il ricordo di lor
mi stringe il cuore!
Quanti pensieri
intorno a queste tombe!
Medito ad una ad una queste foto,
rivedo i loro volti,
ripenso ai colloqui,
ai ritrovi festivi,
alle sere d’inverno:
veglie e giochi.
O bella gioventù troppo fugace!
Troppo veloci passano
i miei giorni,
qui son gli amici di un tempo
i miei avi, il genitore,
i belmontesi
di un Belmonte caro!
Un altro paesello
fatto di tombe, croci
e cappelline care!
E’ bello star solo
in questo camposanto
all’imbrunir della sera,
circondato
da un silenzio cupo;
tra sospiri e ricordi
una preghiera!
La sposa Carolina
PRESSO L’ALBERO OMBROSO
INSIEME A CAROLINA
Quando l’estate avvampa di calore,
oppur col venticello della sera,
ripenso ai dì festivi d’una volta,
all’ombrosa tua chioma,
ti rivedo come me invecchiato
coprire ancor quel tavolo di pietra
ove mangiavamo al fresco della sera
o al monotono canto di cicala.
Mi dispiace davvero esser lontano,
vorrei risiedermi insieme a Carolina,
come nei tempi andati,
or che siam vecchi, all’ombra tua dorata!
CINQUANTESIMO ANNO DEL MIO MATRIMONIO
Nel millenovecentoventinove,
ricordo quella data, sei gennaio,
quando incontrai la prima volta
la compagna che mi sta accanto!
Era una fanciulletta sedicenne,
andava insieme con le sue compagne
lungo la strada di Santelpidiuccio.
Con slancio giovanile mi accostai
vicino a quel gruppetto …
Lo sguardo si incontrò proprio con lei,
l’osservai, la guardai e riguardai ancora
e coraggio non ebbi di parlare.
Però rimase in me scolpita al cuore
quella figura bella di fanciulla
dai bei capelli con le trecce antiche,
e con ingenuità contadinesca,
semplice nel vestir,
ancora inesperta,
come fiore sbocciato in mezzo al bosco.
Non fu per me la solita vampata
che in quell’età sovente m’invadeva.
Era lontana ed il mio pensier vicino,
l’amavo con amore puro e sincero
la sognavo compagna della vita!
Si realizzò il sogno!
Nei cinquantenni e più vissuti insieme,
quando le nubi della fantasia
portavano il cuor nella tortuosa via,ù
riflettevo e pensavo
a quella fanciulletta che incontrai
nella migliore età, sul fior degli anni.
Tanto tempo è passato!
Ed io ripenso al navigar trascorso.
Tra l’onde burrascose della vita,
la navicella non è mai affondata.
Ormai stanchi ed invecchiati
giunti al porto,
d’amore il cuore mio
s’accende ancor
come nei tempi della giovinezza!
SESSANT’ANNI INSIEME
Ricordo quel giovedì del 17 settembre 1931
e la chiesetta sulla cima più alta di Montelparo,
l’altare dove ci inginocchiammo
per giurarci reciproco amore!
Avevo allor venticinque anni e Carolina diciannove.
Era un giorno nuvoloso con temperatura mite.
Dopo pranzo un acquazzone di breve durata.
Fu una gran festa! Attorniati
dai parenti più stretti e pochi vicini.
Oggi quei ricordi tornano alla memoria.
Rivedo ad uno ad uno tutti i cari
che non ci sono più, i miei ed i tuoi genitori
che gioiosi e soddisfatti del nostro matrimonio
si sedevano accanto a noi.
Quanti avvenimenti in questo lungo percorso!
Disgrazie, malattie, lutti in famiglia, guerre,
Ma ogni evento ha contribuito a rinsaldare
il nostro amore.
Ed oggi a distanza di sessant’anni
siamo qui attorniati dai figli, nipoti, generi
e dai coniugi dei due nipoti, che tutti ci consolano
e ci riportano indietro nel tempo.
Ora non siamo più giovanissimi né belli
questa bella riunione famigliare
fa per un po’ dimenticare
le depressioni e gli acciacchi della vecchiaia
per far splendere dai nostri occhi
la fiamma viva d’amore che accese i nostri cuori
al primo incontro, nel gennaio del 1929
quando ci vedemmo per la prima volta.
Ed oggi auguro ai figli ed ai nipoti
per l’esperienza vissuta,
tanta felicità e tanto bene:
di camminar sempre uniti
e far brillare davanti ai vostri occhi la stella
che illumina il vostro cammino
intessuto di speranze, di pace e d’amore.
A MIA MOGLIE CAROLINA
Sono passati sessantuno anni
da quando ci siamo conosciuti.
Quanti ricordi! Quanti avvenimenti!
Quanta strada percorsa!
Ci siamo incontrati, poi sposati
anche superando le difficoltà.
Sempre vissuti insieme con l’entusiasmo
di un tempo, ci siamo resi liberi
senza la gelosia che poteva nascere
dal mio carattere espansivo e compassionevole
verso le donne tenute a quei tempi
come oggetti di piacere e macchine di lavoro
in un mondo abbrutito, dominato
dal potere economico indiscriminato
di uomini ricchi …
Malgrado tante avversità
non siamo due coniugi stanchi!
La vecchiaia con la malferma salute
che mi preoccupa per te
rinvigorisce il nostro amore.
Quando torno in bicicletta dal lavoro,
ti vedo che mi stai aspettando
e dai vetri della finestra vedo
sul tuo volto che si rallegra
un qualcosa di lieto che ti solleva: il desiderio
l’attesa come quando ero giovanetto
e venivo a trovarti, a volte a piedi,
da Belmonte, con il giornale in mano
che leggevo camminando,
nei tratti di strada meno frequentata.
Ricordi? Avevo sempre un fiorellino
oll’occhiello e una fogliolina di edera
segno di attaccamento e di amore.
Amavo anche allora la poesia
e la semplicità femminile.
Ero tanto bene accolto dalla tua famiglia
che mi riservava stima
e attenzione notevole.
Bei tempi della nostra giovinezza!
Ormai siamo arrivati al fine
di questa misera vita terrena,
senza un rimpianto che possa
amareggiare la nostra esistenza.
Il nostro lungo cammino è stato
sempre illuminato dalla fede
e sostenuto da un amore vero
sempre più rafforzato
or da tristi, or lieti eventi
e dall’affetto dei figli e dei nipoti.
A MIA MOGLIE MONALDI CAROLINA
Ti ricordi?
Fu proprio il sei gennaio 1929
che ci incontrammo la prima volta!
Sono passati cinquantanove anni
da quando apparisti agli occhi miei
come una luce che risplendeva nell’oscurità
di quel freddo e nebbioso pomeriggio festivo.
Non ci conoscevamo. Domandai il tuo nome
e per sapere la tua età andai a vedere
il registro di nascita al comune di Montelparo.
Avevi sedici anni, più giovane, sei anni, di me
tornato da un anno dal fare il militare.
Entrasti subito nel mio cuore
col tuo visino bello, la tua boccuccia
che muoveva il labbro ad un grazioso sorriso,
i tuoi capelli neri, crespi ed ondulati.
Vestivi un abito modellato alla tua vita
ben fatta, un fazzoletto color caffè
per coprirti il capo in chiesa,
un paio di stivaletti di cuoio.
Mi sembra rivederti come allora!
Così carina! Così fanciulla!
Purtroppo il tempo passa, ci trasforma,
ma non ci toglie la bellezza interiore:
l’amore non invecchia mai col passare degli anni.
Si consolida anzi con i giorni
tristi e gioiosi della vita.
Così è stato per noi!
Quanti ricordi!
L’amore vero si riconosce nelle sofferenze,
nel dolore cui siamo tutti sottoposti
chi più, chi meno, noi poveri mortali.
Tutti felici i primi anni insieme:
pieni di salute, di vita, con tre figlioletti
che crescevano come tre fiorellini.
Ma come sempre accade, dopo la felicità
Viene anche il dolore. Avevi trent’anni
Quando improvvisamente ti assalì un brutto male.
Come furono lunghe quelle quattro ore
che eri in sala operatoria!
E quando il professore che ti aveva operata
Mi comunicò le difficoltà per la tua sopravvivenza,
me ne andai a sedere al penultimo scalino
davanti all’ospedale a piangere tutta la notte,
fino alle cinque del mattino
quando potei tornare nella tua cameretta.
Ricordo che con le lacrime bagnai quelle scale:
conobbi com’è il dolore
e l’amore per la persona che si ama.
E capii che solo nella sofferenza
Si riconosce l’amore vero, che non ha mai fine
e che perpetua oltre la morte fisica.
Da quel momento ho aperto il mio cuore
A tutte le persone perseguitate,
a quelle che soffrono, che lavorano e amano,
dimenticate o fisicamente ammalate.
Tutto si risolse bene,
risultò un male di origine benigna.
Tornasti dopo due mesi dall’ospedale
a riabbracciare i figlioletti
ed a seguitare insieme a me
il cammino interrotto.
Sono passati altri quarantadue anni
di piena salute.
Il ventinove febbraio del 1984,
un altro intervento,
anche questa volta assai grave.
Ma grazie a Dio, tutto è andato per il meglio,
malgrado un po’ di acciacchi!
Ed eccoci ora arrivati
al cinquantasettesimo anno di matrimonio!
Siamo felici di essere ancora in cammino
e che il nostro amore non si è logorato
perché è sostenuto da un grande ideale
che va al di sopra dei fugaci piaceri
e delle terrestrità di cui siamo imbevuti.
IL RITRATTO DI MAMMA CAMILLA
Da sopra il letto della cameretta,
senza girarmi o sollevarmi affatto,
aprendo gli occhi, vedo di prospetto
il bel ritratto di mamma Camilla!
Vedo la donna intelligente e bella,
la donna tanto brava e laboriosa,
dal vispo sempre allegro e sorridente,
di cuore buono, aperta e franca.
Io la guardo, la ricordo,
insieme a Carolina giovinetta,
mi par vedere ancora le sembianze sue …
Mi sembrava diversa dalle altre,
miravo le sue doti, i suoi modi.
Le volevo bene, sapeva comandare,
dar consigli: era pure per me la mamma.
Mi sembrava non ci dovesse mai mancare,
ma in un momento inaspettato ci ha lasciati,
si è spento quel faro che risplendeva
e tutto è nel buio nella vecchia casa.
Noi soffrimmo per quel vuoto incolmabile
per quell’amore che ci venne meno …
Ora tu non ci sei più, ma ci ami ancora,
ci guardi, ci illumini questa cameretta.
A t il pensier mio, prima di prender sonno,
a te la mia preghiera, a te lo sguardo
quando mi sveglio al mattino.
Ci vuoi bene. Ci fai amare tra noi,
come quando eravam giovanetti
che pacificavi i nostri capricci amorosi.
Fa che sempre viviamo insieme,
nella chiarezza della fede in Dio
e regni tra noi pace ed amore
per ricongiungerti a te, lassù nel cielo!
LORETA MONALDI
Morta all’età di quindici anni
Or quarant’anni
son già passati,
leggiadra fanciulla,
e ancor ti vedo
bella nella tua foto.
A me sembran lunghi,
al par d’un giorno:
il sole che nasce,
e si fa sera.
Al fiorir di primavera
di tua vita
Dio ti tolse dal giardin terreno:
eri innocente, semplice, graziosa,
era brava, gentile e tanto cara,
il viso roseo,
coi capelli biondi,
simile al fiorellin
sbocciato e spento,
ti vidi declinare a poco a poco:
il tuo visetto si faceva bianco,
in pochi giorni ci dicesti addio!
Partisti allegra,
senza un lamento …
Tutti piangean
e la mamma si disperava.
Tu rassegnata e pronta
a partire da questo mondo
nel momento in cui
davanti a te vedevi
delinearsi l’avvenire più bello,
come può veder
una giovinetta quindicenne,
non ti dolesti
della tua immatura fine:
guardavi sorridente il cielo!
Or che pur io verso il tramonto
stanco declino,
medito, penso
e dico: “Te beata!
Che innocente e pura
volasti al cielo,
perché il mondo
non dà ciò che promette
e spesso i figli suoi delude”.
Tu certo in seno a Dio
veloce andasti.
Pregalo pure per me
che senza duolo
passi dal mondo
alla celeste patria!
I Giovani Sposi
AD ANNA E DANIEL
Vorrei, con cuore aperto e animo gentile,
scriver due versi, e con tanto calore
augurarvi felicità e tempo migliore
per tutta l’esistenza: sempre aprile!
L’ardente fiamma vivace e giovanile
che vi ha uniti, prenda più vigore,
come nel giardino il più bel fiore
nella lieta stagion primaverile.
Oggi per voi facciamo questa festa
per dimostrar che vi vogliamo bene,
e impressa nel cuore sempre resta
questa sera che tutta a voi appartiene,
la luna, le stelle, il cielo lo manifesta
col ponentin che a rinfrescar ci viene!
PER IL MATRIMONIO DI ROSSELLA E PEPPE
Carissimi Sposi,
dopo la bella cerimonia in chiesa ed il discorso di don Franco che mi ha molto commosso, non avrei altre parola da aggiungere; ma è mia abitudine dire qualche parola in queste occasioni.
Tanto più lo è per un nipote che mi è stato sempre tanto caro fin da quando era fanciulletto svelto e vivace che tutto voleva sapere e voleva fare mentre ero a lavorare nei campi: poi diventato più grandicello mi guidava il trattore che trainava il vecchio aratro usato con i buoi.
Ed oggi in questa domenica di agosto ci fate gioire di questa bella festa per la celebrazione del vostro matrimonio che è il sacramento più nobile della vita perché unisce fisicamente e spiritualmente due persone che si vogliono veramente bene e che ai piedi dell’altare hanno giurato fedeltà ed amore.
Noi tutti parenti ed amici siamo qui per testimoniare che vi volete bene e per augurarvi tanto benessere felicità e gioia ma soprattutto tanto amore.
Amore vero, profondo da cui scaturiscono lealtà, compatibilità, tenerezza e reciprocità di affetto, e se è necessario anche sacrificio l’uno per l’altro.
Amore che con il passare del tempo diventi sempre più grande e più radicato nei vostri cuori!
Che mai, Giuseppe e Rossella, sia dimenticato da voi questo giorno ed il primo incontro, e ricordatelo soprattutto se qualche nube offuscherà l’orizzonte sereno della vostra vita; (io mi auguro non avvenga mai).
Rinvigorite allora quella fiamma d’amore accesa da giovanetti e fatela sempre risplendere nei vostri occhi per illuminare sempre più il sentiero della vostra vita!
Vi rinnovo i miei più sentiti auguri di tanto bene e di tanto amore, invocando Dio perché benedica questa nuova famiglia che oggi con tanto entusiasmo salutiamo!
AGLI SPOSI FORTUNATO E MARIA
A te, nipote mio, con tanto affetto
insieme alla tua giovinetta preferita
che hai scelto per compagna della vita
degna di ammirazione e di rispetto.
Benché a scriver versi più non mi diletto,
come facevo all’età mia fiorita,
pur di scrivere qualcosa il cuor m’invita
riportandomi ad un tempo giovanetto …
Per far gli auguri a voi di vero cuore
insieme ai parenti ed a chi vi onora
in questo giorno in cui vi unisce amore!
Gioia e felicità vi accresca ancora
e con spirito vital e con più fervore
risplenda il vostro amor come l’aurora!
AGLI SPOSI VITTORIA E BENEDETTO
Con questi rozzi versi poverelli,
col cuore aperto e con sincero affetto,
auguro a Vittoria e a Benedetto
tanta felicità e giorni più belli!
In questa festa per voi sposi novelli,
amici e parenti son qui con gran diletto
dopo che nell’altar vi han benedetto
acciocché il giurato amor non si cancelli.
La fiamma accesa in voi da giovanetti
rimanga sempre tal nei vostri cuori,
senza accusar stanchezza oppur difetti.
Senza cercar altri svaghi ed altri amori
vi auguro vivere ognor sani e perfetti:
questi son nella vita gran valori!
A CLAUDIO E LAURA
-Ottava-
In questo giorno a voi sposi novelli
tanti auguro do di vero cuore,
splenda sempre nei vostri visi belli
viva la fiamma del giurato amore.
Come due fiori, come due gemelli
lo stesso stelo irradi di splendore:
sempre bel tempo, senza mai bufera
sorrida sempre a voi la giovinezza.
E la giocondità di primavera!
Coi migliori auguri di felicità
E benessere per tutta la vita!
A CLAUDIO E LAURA
-Sonetto-
Ai vostri volti guardavo stamattina,
vi ho visto uniti nell’altar divino
in quella chiesa antica, San Ruffino
splendenti come un’alba mattutina.
Vedevo, Claudio, te e la sposina
che è un giardino dell’amore, un fiorellino
or or sbocciato, candido e genuino:
semplice, un po’ commossa assai carina.
Voglile bene ed usa ogni accortezza,
come un tesoro, come cosa rara …
con tanto amore e con tanta dolcezza.
Come il Petrarca per la donna rara
descrisse, amò e cantò la sua bellezza,
sì soave è l’amor alla tua Laura.
AGLI SPOSI MILENA E ROBERTO
Con tutto l’animo sincero ed aperto
ed ravvivato da tanto calore,
gli auguri vi fo di vero cuore
a te, Milena, con il tuo Roberto.
Che stimo bravo, intelligente, esperto
a fare il vostro avvenir ben migliore,
con gioia, felicità, pace e amore!
Lungo l’aspro sentier dubbioso e incerto.
Giammai l’amor giurato nell’altare
venga mai meno, e per nessun motivo
il rispetto tra voi deve mancare
e di offuscate nubi ognor sia privo!
Sempre come oggi vi dovete amare
d’amor prolungato e sempre vivo!
I Nipoti e i Bambini
RICORDO DEL NIPOTINO GIOVANNINO
Chi ti colse, tenero fiorellino
In così verde età? Quanto dolore,
quanto strazio hai lasciato in ogni cuore!
Eri svelto, vivace, eri carino.
Ti volevamo tutti bene, Giovannino;
i genitori nutrivan tanto amore!
Te, tra i figli, vedean il migliore:
Dove sei andato caro nipotino?
Nel giardino celeste trapiantato
su sarai grande, su sarai allietato,
da tutti gli angioletti circondato
Ognor con Gesù che in terra hai amato,
pregalo tanto, or che sei ascoltato
per venir noi con te al ciel beato.
DAVANTI ALLA TOMBA DEL NIPOTINO
Sono passati degli anni, mipotino
e piccolo ti vedo come allora.
Qui, genuflesso, sulla tua dimora
Rivivo, insieme a te, come un bambino:
a scuola e in bicicletta, Giovannino
svelto e vivace, ti rivedo ancora,
ripensando a quel maggio, mi addolora:
che triste giorno, che fatal destino!
Più non sentimmo palpitare il cuore
non più una parola, un tuo sorriso.
Singhiozzanti e affranti di dolore
Demmo gli ultimi basi sul tuo viso:
sembravi un angioletto, e come un fiore
Dio t’avea colto per il Paradiso!
A MARISA
Non dolerti, Marisa, del tuo male,
offrilo a Gesù, ch’è nostro Signore
che solo comprender sa pene e dolore
e conforto sa dare a ogni mortale.
Sappi che a questo mondo poco vale
aver tanta ricchezza, gioia e onore
ma premio eterno avrà, che ha più valore,
colui che col pensier su in alto sale.
Fatti sempre guidare dalla fede
senza segni di noia e di stanchezza
che, dopo la burrasca, il sol si vede
e dopo il mal, del bene si ha certezza
e al mondo gode sol chi spera e crede
con animo sincero e con saggezza!
DISCORSO PRONUNCIATO A ROMA IN OCCASIONE
DELLA CELEBRAZIONE DELLA PRIMA MESSA DEL
NIPOTE FAUSTO
Fausto!
Questa mattina quando salivi l’altare ti ho guardato commosso. Indietreggiando il pensiero nel tempoti rivedevo fanciulletto vivace, un bambino come tanti altri. Volevi fare, volevi sapere: mi ricordo quando volevi guidare le vacche che trainavano un carro carico di fieno.
Ti ho visto più tardi sui banchi di scuola: volevi con impegno essere il primo, il migliore, e lo eri davvero!
Ad un certo momento diventato grandicello ti sei trovato davanti a tante strade: forse eri imbarazzato per la scelta in mezzo a tante ideologie politiche, a tante incertezze umane, a tanti piaceri effimeri, falsi e fugaci che ci offre la vita terrena?
Tu hai preso la via spirituale, la via a volte più irta e faticosa che però conduce alla gloria eterna! Hai appreso l’insegnamento di Gesù: prendi la tua croce e seguimi …
La via dell’amore!
Quante versioni ha questa parola: amore! Amore per le cose, per le persone, per il sesso, per le piante, per le bellezze naturali. Ma tu hai scelto l’amore spirituale, l’amore per i fratelli che soffrono, l’amore per tutta l’umanità, amici e nemici nella stessa misura.
Tu da oggi in poi sei un soldato di Gesù, un combattente, non con la spada ma con l’amore, con l’esempio. “Con lo spander del tuo parlar sì largo fiume”, vuoi portare a salvamento l’umanità vacillante nel mare tempestoso della vita!
Ora sei un ministro di Cristo, dell’eucarestia, e questa tua consacrazione ti mette al di sopra di tutti noi, a servizio degli altri, per il bene della Chiesa e del mondo.
Noi siamo tanto contenti di te, ti ringraziamo per questa festa, ci sentiamo vicini oggi, mentre ti festeggiamo insieme alla comunità religiosa di cui fai parte. Noi parenti vogliamo essere tutt’uno con la tua comunità.
Hai aperto il tuo cuore ai bisogni del mondo, non hai guardato al denaro, non hai cercato il tuo interesse personale, ma insieme con i fratelli hai sentito la forza dello Spirito Santo che ti ha chiamato e ti ha mandato tra i popoli.
Vogliamo esprimerti il nostro augurio: che tu sia sempre felice di vivere con gli altri e per gli altri, che la tua missione apostolica sia feconda di fiori e frutti, che la felicità di questo giorno si rinnovi ogni giorno della tua vita.
Anche tu ricordi nonna Giustina che sempre parlava di te e tanto pregava per te, perché prevedeva che avresti avuto una missione importante.
Anche noi ti seguiamo con tutto il cuore, e tu non ci dimenticare!
ALLA NIPOTINA ANNARELLA
Pure tu volenterosa,
o mia cara nipotina,
vai alla scuola, alla mattina,
con le bimbe baldanzosa.
Sempre forte e coraggiosa,
con la nebbia e con la brina
non fai mai la birichina
sempre brava e assai studiosa.
Quando poi sei grandicella,
tu ricordi con amore
la tua brava monachella
che per tante lunghe ore
insegna, cara Annarella,
come madre di gran cuore.
ALLA NIPOTINA MARIA GRAZIA
Sono fine le vacanze
liete e belle dell’estate.
Or la svegli ancor più presto
e con l’aria frizzantina
t’incammini per la scuola,
preoccupata e sbrigativa.
E così la vita cambia
ed il tempo passa e vola.
Tu il mare sogni ancora,
sulla spiaggia e tra la rena
ancor pensi di giocare.
L’aria fresca della sera
ed il sole risplendente
ti godevi con piacere,
sempre allegra e sorridente.
Io, Grazietta, ancor ti seguo,
da quassù col mio pensiero,
nella casa e nella scuola
sempre attenta e sempre brava,
ubbidiente e rispettosa.
Son le doti tanto care
Di una bimba come te!
ALLA NIPOTINA MARIA GRAZIA
Oggi scrivo in tutta fretta,
e con gran soddisfazione,
non curando occupazione
per risponderti, Grazietta!
La tua bella paginetta
scritta ben con attenzione
dà al cuor consolazione:
sei una brava scolaretta!
Ora è Pasqua, mia Grazietta,
primavera tutta in fiore
spira ovunque gioia e amore
nella festa benedetta.
Fra i bei prati profumati,
l’acqua chiara, cristallina
sgorga giù dalla collina
tra i fioretti dei fossati.
E le bimbe in vesti chiare
stanno allegre sotto il sole
profumate di viole
non si stancan di giocare!
Pure te vorrei vedere
come giochi in mezzo al prato,
ed io pure sarei beato
in sì liete e fresche sere.
Viver lieto e spensierato,
senza pesi, né malanni,
vecchio, stanco riposarmi
dai nipotini accarezzato.
In sì bella primavera,
con Gesù resuscitato
che perdoni ogni peccato
tutti pregan e tutti speran!
Pure tu Grazietta mia
volgi al ciel la tua preghiera
a Gesù, in sulla sera,
che salute ognor ti dia.
Prega tu che sei innocente
per la mamma e per il tuo papà
perché possano campare
lunga vita allegramente.
Prega ancor la Madonnina
Perché in chiesa, a casa e a scuola,
la tua mamma si consola
nel vederti assai bravina!
LA MATERNITA’ DI LAURA
Sbocciato nel tuo seno giovanile
come un fiore di candida bellezza
pieno di vita, pieno di dolcezza
quasi un nuovo miracolo d’aprile.
Proprio nella tua età primaverile
per te giovane mamma è una ricchezza:
un sorriso di bimbo, una carezza
specie nella tua età fresca e gentile.
Tu lo circondi di un amore profondo
lo stringi al petto tuo quest’angioletto.
Il novello Matteo venuto al mondo
porti tanta allegria sotto il tuo tetto.
Io gli auguro benessere fecondo
crescere al fianco tuo sano e perfetto.
A PAOLETTA IL GIORNO DELLA
PRIMA COMUNIONE
Questa festa è per te cara Paoletta!
Oggi Gesù è disceso nel tuo cuore,
con la Sua grazia e il Suo grande amore,
diventerai una brava fanciulletta.
Prendi il sentiero della vita diretta
Che col Vangelo ti addita il Signore,
sana, robusta e pura al par di un fiore
sempre graziosa, semplice e perfetta.
Prega, Paoletta, in questo santo giorno
per i tuoi nonni, per i genitori
per tutti quelli che ti stanno intorno.
Pregalo ancor perché nei nostri cuori
regni la vera gioia e perché un giorno
viva l’umanità senza rancori!
A CINZIA
Con tutto l’animo mio e con affetto,
giacché di tua amicizia mi fai onore,
scrivo questa poesia con amore,
non per mio capriccio o per diletto.
Sol perché ti stimo e per il rispetto
che hai avuto per me col tuo buon cuore
con tanta cordialità e uman calore
le parole che hai scritto ad un vecchietto.
E’ stato per me un regalo eccezionale:
per un’ottantenne stanco ed avvilito
è qualcosa che sa di celestiale!
E’ far rifiorire un albero ingiallito.
Un grazie con l’augurio mio cordiale
di felicità e successo infinito.
A MONIA
Per la prima comunione
Ti ho visto stamattina un po’ commossa,
con le manine umilmente piegate,
dolce, tenera, come un fior d’aprile,
come una rosa fresca e profumata
in una tiepida notte sbocciata:
alla prima alba di un lieto mattino.
Oggi è sceso Gesù nel tuo cuore,
con la Sua grazia e il Suo grande amore
a illuminar della vita il sentiero
con la luce che viene dalla fede,
con la viva fiamma dell’innocenza.
Con te festeggiamo il giorno più bello
da ricordare sempre vivamente:
sia portatore d’altri lieti eventi
di bellezza interiore e di purezza,
da farti splender tra tutte le stelle
con femminile incanto sulla terra.
Gli Amici
BRINDISI A DON ELIO
Bersaglierescamente e con ardore
hai rinnovato Piane Falerone
diffondendo in tutte le persone
un’atmosfera di pace e d’amore.
Con la tua bontà aperta ad ogni cuore
e con lieta e sincera convinzione
che ti fa degno di ammirazione
a tutti sai lenire ogni dolore.
Tu il bene l’hai fatto e predicato
in venticinqu’anni di ministero
oggi preghiamo Gesù, caro Curato,
che ad insegnare della fede il gran mistero
sii sempre in mezzo a noi gaio e onorato.
questo è l’augurio mio tanto sincero.
IN RICORDO DEL PARRO DI PIANE DI FALERONE
DON ELIO JACOPINI
Don Elio carissimo,
tu ci hai lasciato, hai lasciato i tuoi parrocchiani che ti volevano bene e che tu amavi come una propria famiglia: noi siamo tutti addoloratissimi per la tua scomparsa.
Sei stato per noi una guida, un maestro saggio, un consigliere spirituale.
Ti ho conosciuto tanti anni fa, cioè quando dalla vicina Montottone ti trasferisti qui a Piane di Falerone e per motivi economici, famigliari, civici e politici venivi a trovarmi quando io non avevo il tempo di venire a parlare insieme!
Dovevo a volte aspettare la pioggia per stare ore ed ore insieme. Tu mi consigliavi, mi insegnavi tante cose che io non capivo.
Nei momenti di dolore accorrevi a confortare, ogni famiglia, ad ogni capezzale ove era un infermo e con parole di luce, con la tua bontà, col tuo grazioso sorriso, così caro, sapevi così bene lenire ogni dolore.
Tu hai fatto del bene a tutti, specie ai giovani. Quando ne parlavamo cercavi sempre di esaltarne i pregi e nascondere i difetti.
Eri qui a Piane un faro che risplendeva ed illuminava tutti la via della salvezza.
Cari amici, Don Elio non fece mai discriminazioni di sorta, amò tutti nella stessa misura, non osservò le differenze tra opposte idee politiche: in poche parole, trattò tutti uguali nella grande famiglia umana, senza discostarsi dal campo spirituale.
Tutta la sua vita è stata intensa di attività. E’ stato molto altruista, disinteressato, ha pensato più per gli altri che per se stesso.
Mi disse una volta: “La mia famiglia è la parrocchia e nulla debbo togliere ai miei figli, piuttosto dare a loro”.
Sarebbe troppo lungo parlare delle sue attività: la chiesa, la casa, tanti impegni.
Non sono io all’altezza di parlare del campo spirituale, spetta agli altri più bravi e più competenti.
Don Elio! Noi parrocchiani ti vogliamo qui nel camposanto di Falerone: ancora in mezzo a noi.
Sorridente col tuo sguardo benevolo ci parli ancora: e spiritualmente ti ascoltiamo.
Addio do Elio, addio, addio! Prega per noi perché dopo la parentesi terrena ci ritroviamo ancora insieme.
POSA DEL MONUMENTO A DON ELIO
Con questo busto eretto nel piazzale abbiamo ancora don Elio immortalato in mezzo a noi: qui vicino a queste piante che lui tanto amava.
Vicino a questi sedili, mi pare di vederlo ancora seduto a conversare con i suoi parrocchiani, specie nelle giornate estive quando il male gli vietava la solita vita attiva e movimentata com’era sua abitudine:in mezzo ai giovani che giocavano a pallone, oppure nei luoghi pubblici a conversare con le persone, o dopo lunghe passeggiate a piedi a trovare gli ammalati, gli amici.
La sua vasta conoscenza di tutte le cose spirituali e umane, il suo zelo sacerdotale, la sua intelligenza, il suo carattere espansivo, lo resero caro a tutti.
Era sempre presente in tutti i luoghi ove era necessario portare una buona parola di verità, di moralità e di pace.
A Fermo a fare i corsi di cristianità; a predicare nei paesi limitrofi dove era chiamato in occasione di ricorrenze e festività paesane. A loro Piceno, Belmonte, Servigliano, a Monteleone di Fermo alla ricorrenza della Madonna del Soldato, in piazza tra i bersaglieri egli era sempre presente ed ovunque aveva apprezzamento e stima.
Troppo approfittava della sua fibra robusta.
Aveva sempre uno slancio giovanile ed una grande volontà di fare, affrontando ogni difficoltà per l’altrui bene.
Sempre sereno, sempre col suo sguardo luminoso, sempre gioviale, sempre sorridente, sempre pronto ad incamminarsi sulla strada del colloquio con tutti: con tutti egli dialogava.
Quante preoccupazioni! Quanti sacrifici, quante difficoltà ha incontrato per costruire la chiesa e la casa; quelli erano tempi difficili per trovare il denaro che occorreva.
Altre difficoltà per unire la popolazione divisa da opposte ideologie politiche.
Fece il cinema all’aperto, organizzò la squadra di calcio, procurava le riumioni nella sala parrocchiale senza distinzioni di idee e di categorie di cittadini.
Egli, al di sopra delle ideologie, al di sopra dei difetti e dei pettegolezzi vedeva la persona, valorizzava la vita materiale e spirituale, gioiva nel vedersi attorniato da amici come un padre dai propri figli.
Quanti ricordi abbiamo di lui, dei suoi ragionamenti! La sua voce eloquente, le sue parole penetranti scendevano nei nostri cuori con tanta dolcezza.
Ora lui non c’è più, ma noi lo ricordiamo ed ancora chiediamo a lui di pregare per noi affinché in quelle belle Piane di Falerone regnino sempre la pace, la concordia, la giustizia e l’amore, la sopportazione ed il rispetto reciproco.
Più ancora chiediamo a don Elio di pregare per il parroco don Giuseppe suo successore perché tutti i cittadini di Piane siano uniti in un solo ovile alla guida di un solo pastore.
DISCORSO IN CHIESA PER LA POSA DI UNA
LAPIDE IN ONORE DI DON ELIO
Dieci mesi orsono in questa stessa chiesa gremita, demmo l’ultimo addio al nostro caro don Elio, dico nostro perché don Elio era di tutti noi, il capo della famiglia parrocchiale a cui tutti volevamo bene.
Egli fu in mezzo a noi per trentasei anni, come maestro, come guida spirituale, educatore, dotato di una grande intelligenza, di un cuore buono e di un perfetto ottimismo.
Noi lo ricordiamo oggi con la posa di una lapide in questa chiesa che lui eresse con tanti sacrifici e nella quale parlò, educò, insegnò a tutti noi.
Da questo pulpito noi apprendevamo la sua parola esplicita, facile e penetrante, lui oltretutto sapeva parlarci col cuore!
Questa lapide serve per ricordare don Elio non solo a tutti noi che l’abbiamo conosciuto. Il ricordo caro di lui l’abbiamo impresso nei nostri cuori, lo ricordiamo in chiesa quando andiamo a messa, quando ci mettiamo seduti all’ombra, i n quelle panchine, quei sedili e giriamo intorno lo sguardo per gustare le bellezze che lui ci creò, lo ricordiamo volgendo lo sguardo al loggiato dove molte volte conversava insieme: lo ricordiamo entrando nel salone dove lui faceva le riunioni, e dove celebrava la messa durante la sua lunga malattia.
Ma soprattutto lo ricordano i giovani che gli furono vicini e con lo spirito giovanile di parroco bersagliere, sapeva interpretare i loro sentimenti, le loro ansie e le loro attese, noi a mezzo di questa lapide lo ricordiamo ancora alle nuove popolazioni future che verranno dopo di noi.
Egli ci ha guidato con la sua parola, con il suo esempio,col suo coraggio nel mare burrascoso della vita!
Con la sua personalità, col suo sorriso così grazioso sapeva ricondurre all’ovile pe pecorelle sperdute.
Era molto altruista e disinteressato, amò tutti nella stessa misura senza discriminazioni, giovani e meno giovani, poveri e ricchi, fu caro a tutti!
Preoccupato per favorire lo sviluppo qui a Piane di Falerone di cui fu l’artefice primario.
Per lui la ricchezza, la proprietà doveva sempre, in ogni circostanza, avere una funzione sociale …
Lo ricordiamo ancora nella sua grave malattia, quando la sofferenza del male, a poco a poco, lo declinava consumando la sua fibra di bersagliere forte e robusto.
Mi pare di vederlo ancora lungo la strada con la bicicletta a tre ruote, spesso si fermava all’ombra a parlare con gli amici per ore e alla domanda: “Come stai don Elio?” rispondeva sempre: “Bene!”.
Accettò con molta rassegnazione tutte le sofferenze del male incurabile che lo consumava, anche negli ultimi giorni di vita a chi lo andava a trovare rispondeva col solito sorriso a fior di labbra: “Sto benissimo”!”.
Si consolava guardando magari dalla finestra tutte le bellezze del creato che lui tanto amava.
Guardava le piante fiorite, i campi verdi, il sorgere del sole, i silenziosi tramonti e tutte queste cose lo rallegravano, sottoponendosi umilmente alla volontà di Dio.
Soffriva con molta rassegnazione e negli ultimi momenti, quasi agonizzante, apriva gli occhi per guardare i parrocchiani che lo andavano a trovare come per dal loro l’addio per sempre.
No! Non ci siamo separati con don Elio, egli vive ancora spiritualmente dentro di noi, vediamo ancora aleggiare la sua figura immortale in questi luoghi, pregherà ancora per noi che serbiamo il di lui ricordo finché non lo raggiungeremo per sempre nella vita ultraterrena per godere anche noi delle beatitudini eterne!
ALLE LAVORATRICI ED AI LAVORATORI
DEL TOMAIFICIO
Ero timido e commosso quel giorno del nove giugno,
quando mi onoraste di un prezioso regalo.
Leggevo in voi tante bellezze interiori,
tanta femminilità, bontà e nobiltà d’animo
che si sprigionavano dai vostri cuori.
All’osservare voi o giovani mamme, anziane, fanciulle
Tanta poesia vibrava nel mio cuore stanco,
entro il vecchio stabile illuminato dai vostri volti.
Cominciavate a lavorare mentre tante parole mi
venivano in mente, che non potei pronunciare,
emozionato dalle attenzioni da cui ero circondato,
tanto da suscitare in me un sentimento di affetto vivo,
un amore non profanato da erotismo,
ma limpido e puro come acqua sorgiva.
E’ verità quel detto poetico:
“spesso nascosti son tra vaghi fiori
aspidi crudi e velenosi serpi
e altre volte ancor li gran tesori
stan sotto i sassi e sotto rudi sterpi”.
Vi esprimo la mia stima con i meritati riconoscimenti
a tutti, operaie e operai del tomaificio
per il pensiero così nobile e gentile nei miei riguardi.
Sperando di scrivere ancora per rinnovare
un grazie di cuore per il regalo che ho tanto gradito,
lo tengo e lo terrò sulla scrivania come ricordo,
tanto caro tra i ricordi.
Cordialmente.
A TUTTE LE DONNE CHE LAVORANO
NEL TOMAIFICIO
E’ Natale! Colgo l’occasione per farvi gli auguri e per rinnovare il mio grazie!
Come posso io rinfrancare, se non con il mio affetto, con l’apprezzamento e la comprensione per il lavoro che fate?
Vi vedo sempre puntuali in questi gelidi mattini.
Viene dimenticato spesso, purtroppo,che le donne sono gli angeli delle famiglie, le fonti vive della vita umana: lo dimostra anche la costernazione di una famiglia cui mancasse il sorriso della mamma che consola ed addolcisce.
Sono le perle che splendono nelle maternità, nelle case, negli ospedali, nelle fabbriche ed in tutte le attività che danno ricchezza all’intera società.
Formulo i migliori auguri per il Santo Natale e per l’anno nuovo: che porti a voi tutte tanta serenità, prosperità e pace con il riconoscimento per il ruolo importante che vi aspetta come operaie pur semplici per un mondo più giusto e più umano!
Con tanta cordialità.
CHI E’ MARCELLA?
Chi è Marcella? Perché alla mia età di 81 anni ho dedicato a lei alcune poesie?
Marcella è una ragazza che abita a Penna San Giovanni, in contrada Caselunghe. Da circa dieci anni la incontro più volte al giorno alla guida di un pulmino che trasporta le operaie che lavorano in un tomaificio qui vicino ed io ho voluto sceglierla come simbolo quale capofabbrica, soprattutto per la sua semplicità,la sua attenzione alla guida, la capacità nel lavoro che svolge, sempre a puntino, attiva, scrupolosa e cosciente nell’adempimento del dovere.
Poi perché la mia maggiore stima, la mia simpatia, il mio modesto semplice scrivere vanno a coloro, donne o uomini che lavorano dalla mattina alla sera con coscienza, come queste umili e semplici operaie che hanno il senso dell’economia e del dovere, beni indispensabili alla società, come personaggi utili, al pari di scienziati, professori, dottori, infermieri, educatori dimenticati e inosservati dalla stampa, in poche parole a tutte le persone di cui nessun giornalista scrive, nessun ne parla dando loro valore umano come veramente meritano, mentre si parla, si scrive, si onorano persone che amministrano male il denaro, che fanno giocarelli alla TV, che sfruttano, sprecano ed amministrano male il denaro sudato dlla povera gente!
Quante immeritate ricompense, quante buonuscite, quanti onori, quante ingiustizie umane si commettono?
POESIA A MARCELLA (I)
Bella giovanetta che incontro spesso
lungo la strada che passi ogni giorno
ti vedo nell’andar e nel ritorno
alla guida del pulmin nel luogo stesso.
Con l’animo mio aperto ti confesso
che a stile giovanil più non m’aggiorno
giacché so n vecchio, stanco e disadorno
pur ti auguro di cuor gioia e successo.
Sei negli anni miglior di tua givinezza
che ti basta uno sguardo ed un sorriso
per sentirti nel cuor tanta dolcezza!
Un fulgente stella in te ravviso
quando mi specchio nella tua bellezza
e con i tuoi capelli penzolanti al viso!
POESIA A MARCELLA (II)
Cara Marcella, non prenderla a male
se un vecchierello che tanto ti stima
ti scrive poche righe messe in rima
in occasion del Santo Natale.
Tu sei schivetta, limpida e leale
nella scala dei valori sei alla cima
perché da tutte le altre ti sublima
la dote natural che tanto vale.
Ti mando tanti auguri con fervore
per Natal, Capodanno e per Pasquella:
goder nel bel giardino dell’amore!
Or che trascorri l’età tua più bella
col giovanetto che hai dentro il tuo cuore
questo è l’augurio mio, cara Marcella!
POESIA A MARCELLA (III)
Come al limpido ciel fulgida stella
e lo sbocciar d’un fiore in mezzo al prato
dietro al bianco pulmino per l’asfalto,
a guida del volante appar Marcella.
Sempre svelta, vivace, agile e snella
ha gli occhi belli, il viso delicato,
atteggiamento nobile e pacato
dalle idee chiare e facile favella.
Attiva, intelligente e giudiziosa
per lavoro e dover donna esemplare
espressiva, espansiva e generosa.
Brava per ubbidir e comandare
beato il giovanetto che la sposa
perché miglior mai potrà trovare.
POESIA A MARCELLA (IV)
Tanto ancor Marcella, per te scriverei,
pur dovendo la mente affaticare,
ma cosa fuori posto a me già appare
perché più non si addice agli anni miei!
Pur tuttavia pago già sarei
tu possa il verso mio u n po’ dilettare
benché mi avvedo che non so poetare,
scrivere qualcosa ancor io vorrei.
Il sentimento spontaneo e naturale
mi spinge, dico il ver, con tutto il cuore
a mandarti gli auguri per Natale.
Il nuovo anno sia per te migliore
portandoti ogni dono che più vale:
tanta fortuna, gioia, pace e amore.
AGLI SPOSI (MARCELLA E MARTINO)
Avete scelto un giorno a primavera,
in cui si ridesta tutta la natura,
l’aria si è fatta tiepida e più pura,
s’ode un canto che tanto ci allegra!
E’ un festeggiar gli sposi! Una preghiera,
un porgervi gli auguri a dismisura
di gioia e felicità duratura,
e un buon auspicio di pace vera!
Ve lo auguro pure io con tanto ardore:
nei vostri cuori ognor si rinnovelli
lo spirito vital con più vigore,
per apprezzarvi voi come gioielli.
La fiamma accesa del giurato amore
Risplenda sempre in voi, negli occhi belli!
AL MAESTRO GENTILI
Maestro assai sapiente e gentile
che ai tuoi alunni insegni con amore,
nell’aula chiuso stai per lunghe ore
della tua vita in sì grazioso aprile.
Io elogio e ammiro il tuo benigno stile,
dei fanciulletti sei il benefattore,
del campo del saper il coltivatore
non ti dimostri mai noioso e vile.
Nutriente il succo della tua parola
irrobustisce lor la mente e il cuore
e ricordando ognor la prima scuola,
quei ragazzetti ti faranno onore:
la fama ti rimane il tempo vola!
Io apprezzo la saggezza e il tuo valore!
DISCORSO PRONUNCIATO IN CHIESA
PER LA IMMATURA MORTE
DELLA PROFESSORESSA SANDRA
Prima di tutto ringrazio il parroco Don Giuseppe che mi ha permesso di parlare in chiesa per dare l’ultimo saluto, l’ultimo doloroso addio ad una giovane mamma, giovane sposa che oggi ci ha lasciato.
Ha lasciato i suoi diletti figli che amava tanto, il suo Davide e la sua cara mamma. Tutti sappiamo delle conversazioni umili e fraterne, dell’insegnamento, del modo con cui trasfondeva nei giovani la luce del sapere.
La vedevamo pregare in chiesa, apprezzavamo la cordialità con cui riceveva in casa ogni persona: senza inorgoglirsi della sua personalità e del suo titolo di studio.
Sapeva vivere in una semplicità meravigliosa, aveva delle doti non comuni perfezionate con la saggezza e con la grazia di Dio. L’ho rivista questa mattina nella camera ardente dello spedale di Montegiorgio con un volto così angelico che mi ha dato l’impressione di una statua.
Sandra resta indimenticabile per i giovani che hanno tratto profitto dal suo insegnamento e per noi tutti suoi compaesani che ricorderemo sempre quel suo modo benevolo e accogliente che ci lascia l’esempio della sua bontà.
Noi preghiamo per te o Sandra e tu puoi fare ancora qualcosa per noi. Raccomanda al Signore la nostra gioventù e il nostro paese.
Addio!
PER LA CHIUSURA VDELLA FORNACE
Ho rivisto la fornace: fa pena!
Vederla squallida, e già abbandonata,
lì nello spiazzo, intorno assai insozzata
da fradice foglie, erbacce e rena.
Più non si sente il suon della sirena.
Or la cornacchia sol nota stonata
o randagio animal ulula e agguata
nel rumor dell’acqua del Salino in piena.
Quegli automezzi carichi che vedevo,
quel via vai, quel rumor, quel movimento,
la grande utilità che intravedevo
il perfetto funzionar d’ogni strumento
sono le ragioni per cui credevo
a un serio autorevole intervento!
(L’autore ha lamentato la mancata volontà politica di tenere attiva la fornace rinnovata)
AD ANNA GUALTIERI
Or son molti anni che si fa notare
al mattino, al meriggio, ed alla sera,
d’estate, d’autunno, inverno e primavera
mentre va con premura a lavorare.
Sempre a puntino nel venire e andare
in centoventisei la ragioniera,
tanto gentile amabile ed austera
sempre ligia al dover, donna esemplare.
La si conosce pur solo a guardarla
d’animo aperto, brava e intelligente,
io spesso mi onoro di incontrarla.
Per le sue qualità sinceramente
Merita a mio parere di premiarla
Con una stella al merito …. Nascente.
Cari Paesi
RITORNANDO A VEDERE
Vecchia casetta
nera, affumicata,
dopo tant’anni
ti rivedo ancora.
Rivedo lo scalino
là, d’un lato
dove noi bimbi
sedevamo insieme;
il camino
e la pietra consumata,
la cappa col chiodetto
per il lume
ed un altro ov’era appesa la corona
per recitare il rosario
nella sera.
Il soffitto,
la scala di legno
rosa dai tarli
annerita dagli anni,
la cameretta
tutta screpolata
dove dormivo
insieme a mio fratello,
i due scalini
che vanno alla loggetta.
Il forno,
il fornacchiolo frantumato,
la stalla, la cantina,
la capanna.
Il pero, il melo, il ciliegio,
le noccioline
lì la concimaia.
Le grosse querce
vicino alla capanna;
sotto le chiome
si stendea un bel prato
ove noi bimbi
giocavamo insieme
e per gli adulti
affaticati e stanchi,
lieti riposi
nei giorni festivi;
o quando il sole
bruciava la campagna,
nelle ore del giorno
più infuocate.
Il suon del martello
che battea le faldi
il canto confonde
delle cicale.
Le corse per i campi,
la scuola,
il portar buoi e vacche
alla fontana.
Spighetta! La bella cavallina!
Il cenone,
le feste in famiglia,
e Sora Rosa
quando ci portava la befana.
Le veglie d’inverno
al tepor della stalla riscaldati.
Mi per di vedere nonna che filava
mentre mamma tesseva la tela
alla fioca luce d’un lumino
appeso là, d’un lato,
in un localetto tra stalla e cantina.
Rivedo quelle crepe,
il finestrino,
la porticina con i due scalini
che lì scendea
ov’era il telaio:
qualche sera
a mamma tenevo compagnia,
lieto di girare il filarello
con l’arcolaio
che girava insieme;
cari ricordo
dell’età infantile!
Giorni belli!
Tutta semplicità
pace e allegria!
Quando tra ingiustizie
e pensier gravi,
pace non trovo
o non son tranquillo,
ripenso sempre a te,
vecchia casetta!
A BELMONTE PICENO
Sei bello, pittoresco
ed a me caro.
Da su, dall’alto
domini la valle!
Io da lontano
ognor t’ammiro.
Mi ridèsti i ricordi del passato.
Proprio là il boschetto
di alte piante
Ove si nota natural bellezza;
e lo sguardo spingi
fino alla marina.
Nascosta tra le querce
Una casetta,
lì nacqui e poi emigrò
la fanciullezza
ma in te tornò
nell’età migliore,
quando tutto si vede più bello
quando il cuore palpita d’amore.
Tra la gente buona e laboriosa
la vita mi passò più spensierata.
Il lieto canto delle fanciullette
par riecheggiar ancor le tue colline,
dove la messe ondeggia come mare
il contadinel pago si allegra.
Ma più vivi in mente
ancor mi restano
quel colle solatio,
quei pendii solchi coi lenti buoi,
le fresche aurore
ed i tramonti d’oro!
Parmi ancor di sentire
quel cinguettio d’uccelli
ed il fruscio d’ali
sulle querce annose
che con musica gentil
mi venia a salutar festosamente.
In te non v’è cosa:
alberi, strade, vie
e vecchie casette
che non mi ridesti ricordi.
Io son legato a te,
con tutto il cuore
t’amo, paesello mio,
con tanto amore.
Oh amici d’un tempo, vi rivedo tutti;
rivedo ancor la nonna e il genitore
posti lassù, col nipotino
all’ombra dei cipressi.
Vorrei venir pur io stanco
e smarrito nel peregrinare
tra l’ingiustizie umane,
per ritrovar la pace
quassù nell’alto colle
a poter dire:”Mio paesello,
tu mi desti la vita,
tra le festose piante.
Quando il Signore vorrà
te la rendo all’arido colle
per riposare il sonno della pace!”
LE DUE QUERCE
O grosse querce antiche,
mi fate ripensar gli ozi infantili,
i giochi al prato che ancora ombreggiate,
le canzoncine che da giovanotto,
sentivo riecheggiar da ogni luogo,
nell’aia lo sfogliar del granoturco,
lo sceglier la paglia dai covoni;
gli stanchi buoi ruminanti al fresco,
il canto degli uccelli e le cicale,
i quieti riposi sotto ombrose chiome.
O dell’età novella rimembranze!
Sono passati gli anni e sono già vecchio.
Voi invece sempre più belle, superbe e grandi,
par che dall’alto dominate tutto.
Né venti né tempeste v’han logorato,
nessun male giammai v’ha disturbato
e le vostre ghiande ancora belle e dorate.
Riparate gli uccellini nei nidi a primavera!
Voi siete sempre lì e godete le feconde rugiade,
il sol che nasce e i suoi tramonti,
mentre io in qua e in là sbalzato dall’imperversar
d’altre tempeste, vecchio e stanco,
sono tornato a vedervi ancora.
Or siete sole! Non più canti e rumori.
Non giochi di bimbi e svolazzar di polli.
Non più i canti degli agricoltori
e i muggiti dei buoi.
Vi rivedo e ricordo, le gioie e le persone care.
Or tutto tace! Ed io contemplo
la vita fugace e le bellezze eterne
che mai non bambian col passar degli anni!
BELMONTE
Fertili colli,
sempre dal vento accarezzati,
io vi ripenso ognor e mi sovviene
quando ancor giovinetto, ci abitavo;
i lieti canti di allor dei mietitori,
le ridenti stagion di verdi prati,
di maggio le stellate sere,
quella chiesetta antica, San Simone,
dove alla sera si andava a pregare,
quella vita sì semplice e lieta:
ripenso e rimpiango.
Ti rivedo, o mio paesello,
le tue mura più abbrunite,
i figli tuoi che son partiti,
le scuole, il busto di quel grande
che ti onorò di sua fama immortale!
Ripenso alla casa affumicata
alle gioie, al dolor,
al genitor, al nipotino, alla famiglia,
qua e là sbalzata … Lì era unita.
Io pur son vecchio,
come i tuoi fabbricati, i tuoi alberi,
i tuoi abitanti che son con me qui nati.
Ritornerò da te come tuo figlio,
quando stanco del mio peregrinare
inerte riposerò per sempre
nel tuo silenzioso colle.
RIPASSANDO PER LA STRADA DI BELMONTE
Vi rivedo bei colli belmontesi
ove per trent’anni ho lavorato!
Or qui passando in bicicletta ancora,
mi riporto a quei tempi miei lontani,
vedo messi e rilucenti prati
piante di acacie ed alberi fronzuti,
l’annose querce su cui mi arrampicavo.
Oh! Garruli trilli e cinguettii d’amore!
E lieti canti delle fanciulle
belle sudanti, innamorate e schive.
Ripenso … a quei buoi placidi e buoni
che un muggito facean per salutarmi
se un momento da lor mi allontanavo,
… quegli incontri!
… al passeggiar nelle stellate sere!
… alle liete attese nei giorni festivi!
… alla casa crollata i cui mattoni
mi parlano ancor delle passate cose.
Al ripensar, quanti ricordi sono in voi racchiusi,
o ameni colli della mia Belmonte
del tanto caro a me natio paesello.
LA STAZIONE DI BELMONTE PICENO
Che solitudine!
Depressa e disabitata
la stazionetta!
Ricordo il movimento di una volta!
Quanta gente qui ho visto
arrivare, partire, sostare e parlare
in sala d’astetto …
Giovani, che partirono piangendo
per la guerra,
che io fin qui ho accompagnato.
Quante corse per prendere
il treno che mi portava a Fermo,
quel trenino che per tanti anni
ho visto correre su e giù
per la Val Tenna.
Quanto eri carina stazionetta!
Intorno circondata da fiori,
in aiuole del bel giardinetto …
Ricordo Giacinto, Maria
che oltre a capo stazione
accudiva alle cure esterne
e interne per far sempre più bella
e più accogliente la stazionetta.
Or ti rivedo circondata da rovi ed erbacce:
io solo e triste seduto
ov’erano i binari
della strada ferrata,
penso alle cose che cambiano,
invecchiano e finiscono.
Anch’io son solo,
non più circondato
da giovani amici
e giovanette di un tempo;
solo e pensoso aspetto!
Non il trenino che passa,
non il parlar di gente
che arriva e parte,
non aspetto coloro
che non ci sono più,
nella mia memoria;
ma il mio treno
veloce corre
per il viaggio
senza ritorno!
DAVANTI AL MONUMENTO DEL PROFESSORE
SILVESTRO BAGLIONI IN BELMONTE PICENO
Tu sei stato la gloria belmontese,
Iddio ti diede il portentoso dono
di tanta intelligenza, onesto e buono,
la fama tua nel mondo ognor si estese.
Con tutti sempre affabile e cortese
io qui avanti, riverente e prono
ricordo lo scienziato, il grande, il buono
orgoglio e vanto del nostro paese.
Chi non ricorda il tuo grande cuore?
O nel dolce tuo parlar con tutti eguale,
pel tuo paesello avevi un grande amore!
E questo monumento tanto vale
perché la scienza abbia più valore
e per l’umanità resti immortale.
IL PROFESSORE SILVESTRO BAGLIONI
Il professore Silvestro Baglioni nacque a Belmonte Piceno il 30 dicembre 1876, in contrada Colle Ete. Il padre Nicola faceva l’agricoltore. Fin da fanciullo dimostrò una spiccata simpatia ed una ferrea volontà per lo studio,tanto che mio padre che era amico di famiglia mi raccontava che il padre Nicola era entusiasta dell’intelligenza del figlio che studiava nel liceo di Fermo.
Quando ero giovinetto, abitavamo a Falerone e ogni tanto veniva a casa qualcuno di Belmonte e parlava di questo famoso personaggio.
Nelle elezioni politiche, mi pare nel 1919, mio padre si impegnò a far votare per lui. Per la prima volta,a dir la verità, non furono molti quelli che lo votarono a Falerone.
Conobbi personalmente il professor Baglioni nel 1923 quando da Falerone ci trasferimmo a Belmonte Piceno mio paese natio.
So che poi fu eletto deputato con un gran numero di voti. Al parlamento furono numerosi i suoi interventi specie nel campo scientifico e della medicina.
Si distinse sempre per le sue pubblicazioni e spesso leggevo i suoi articoli nei giornali del tempo. Fu accademico d’Italia in Svezia. Ricordo si aver letto che aveva studiato una medicina estratta dal granturco.
Si distinse sempre quale professore di medicina insegnando all’università di Roma. Parlare dei suoi meriti, dei testi universitari da lui scritti, delle sue numerose pubblicazioni scientifiche, è competenza degli studiosi, ho voluto solo accennare a qualcosa di mia conoscenza.
Potrò invece raccontare di lui, del comportamento con i paesani, della sua bontà, dell’altruismo di questo grande umanista.
Il professor Silvestro Baglioni fu esempio di onestà, altruista disinteressato. Non ho mai saputo che abbia fatto pagare le sue visite mediche agli abitanti di Belmonte e dei paesi vicini.
Continuamente la gente si recava da lui per cure mediche e consigli.
Mi sembra di vederlo ancora passeggiare, col bastoncino in mano, lungo la strada che dal paese segue per Servigliano, insieme con gli amici.
Egli non faceva differenza se erano operai, contadini, oppure medici, o personaggi di grande cultura.
Lo vedevo sempre attorniato da persone, quando ritornava a Belmonte per le vacanze estive.
Aveva amore per il paese nativo, tanto che quando abitava a Roma non trasferì mai la sua residenza.
Lo vedevo spesso giocare a carte con gli amici, specialmente muratori, operai che nelle serate estive tornavano dal lavoro quando c’era ancora il sole, e lui era ad attenderli passeggiando sullo spiazzale delle scuole per fare insieme una partita a carte attorno ad un tavolinetto all’ombra degli alberi davanti alla scuola.
Spesso veniva nella mia abitazione, entrava nella stalla a vedere le bestie, s’intratteneva a parlare dei lavori agricoli, molte volte entrava nella cucina che era alzata dal piano terreno solo di tre scalini, si intratteneva con le donne a parlare di cucina, di cibi più o meno salutari, poi andava a vedere la chiesetta di S. Simone quale antichità architettonica, aveva molta passione per le opere d’arte.
Quando nel 1943 passarono le truppe tedesche in ritirata, era a Belmonte e fu proprio lui a salvare questo paesino occupato da tedeschi e ciò perché parlava benissimo la loro lingua, e vi erano persino ufficiali ai quali lui aveva fatto scuola e così ci salvò dalle rappresaglie che ci avrebbero fatto.
Credo che la sua scomparsa abbia lasciato un gran vuoto nel campo medico. Egli rimarrà nella storia e nel ricordo di tutti noi che l’abbiamo conosciuto e di quanti l’ebbero come maestro nel campo della medicina, e dei giovani.
In ricordo di questo grande personaggio, professore, scrittore, umanista, scienziato, il comune di Belmonte ha posto un busto davanti alla scuola.
Ricordo bene quel giorno quando Belmonte festeggiò la posa del busto, io ci andai insieme all’onorevole Francesco Concetti di Falerone, allora deputato, che rimase stupito perché non sapeva che Baglioni avesse tanto merito. Vi erano molti personaggi oltre ai direttori dei principali ospedali italiani e stranieri.
Erano presenti anche uomini di grande cultura e di governo, compreso il ministro della sanità Vincenzo Monaldi, suo allievo, che ne illustrò i meriti e ricordò le tappe più salienti della sua onorata carriera.
LA CASA A BASCIONE
Dove abitavo fanciullo
Colle in cui abitavo un tempo,
nostalgico il mio cuor di rivederti,
ripenso, guardo e osservo in ogni luogo,
ma ohimé, che pena, che dolor io sento!
Veder la casa abbandonata e sola,
le soglie erbose, il vecchio selciato
coperte di rovi;
le ortiche hanno preso il posto delle rose.
Or tutto è desolato, tutto incolto!
Odo il lamento della madre terra
che accorata rimprovera i suoi
figli di oggi; rimpiange gli avi.
Il grano bello biondeggiante al sole
il granoturco nell’aia, i buoi,
le pecore, lo svolazzar dei polli nel cortile
sono i ricordi della fanciullezza.
Amata terra, attendi sperando
qualcun che ti riporti a nuova vita.
Se i miei settantadue anni fosser venti
in questo colle ritornerei a rivoltar le zolle
a ridarti l’antica giovinezza,
per rigodermi ancor quel venticello
e, da sopra il monte,
i bei tramonti estivi!
LA CHIESA DI PIANE DI FALERONE
Nobile, maestosa
sopra l’altre case,
con la facciata
che dà sulla strada:
ben attira
l’occhio del passante,
la bellezza angelica, divina
della chiesa parrocchiale
ove si possono osservare
vetrate artistiche moderne.
Riscaldamento, altoparlante.
La casa del Signore,
quanto è bella!
Qui si ravviva la fede
del credente,
del peccator pentito
e penitente
perché il Signor
cancelli ogni peccato.
Dentro al cuore,
quando si prega
si sente una gioia
che esprimer non si può:
il pensier s’innalza
verso il cielo
e la luce riflette dall’alto.
Un altro luogo
più splendido ancora
di riflesso vedi
con gli occhi della fede.
Benedici Signor
il nostro curato
che tanto zelo ha
per la Tua casa:
è ricco di sapere e di bontà.
Fa che seguiam la via
che lui ci addita.
Premialo ancor
di bene e lunga vita
perché dall’opera sua,
così feconda,
nessuna pecorella
sia smarrita!
Qui si conforta
chi soffre nel dolore,
chi l’ingiustizia umana,
or rattrista.
Chi dal retto sentiero
si è smarrito
ritrova la via
che al ciel conduce.
In questa chiesa
mi piace pregare,
mi par più accetta a Dio
la preghiera.
E quando l’anima dal corpo
si dischiude,
per l’ultima volta,
qui mi porteranno
col bagaglio di colpe e di peccati:
allor, Signore,
infinitamente buono,
sii indulgente con me con il perdono
e fammi degno
di salire in cielo!
PIANE DI FALERONE
La festa per i duemila anni dalla nascita
Sono duemila anni
che nascesti, o Piane;
Falerio Picenus fu
tuo antico nome.
Nascesti al centro
tra mare e montagne,
tra pittoreschi monti
e il fiume Tenna:
tra il bello artificiale
e naturale.
T’amo e t’ammiro,
mia piccola patria,
e sento per te
piacevole attrattiva.
Quando all’ombra seduto
spingo lo sguardo intorno,
gusto una panoramica bellezza,
un non so che di dolcezza
e di poesia che mi rallegra,
ma non so spiegare.
Sei bella Piane,
bella in ogni tempo!
O che annunci il giorno
l’aurora mattutina
col venticello che vien giù
dai monti;
o nelle notti estive
al ciel sereno
col canto degli uccelli;
o che il sol si nasconda
dietro i monti lassù
e gli ultimi raggi a noi
danno l’addio:
allor splendono le luci
lungo i bei viali,
ornati da giardinetti
e da palazzi,
da aiuole fiorite e cipresseti.
Amo i tuoi declivi
e i tuoi vigneti
ed i pregiati ulivi,
i tuoi abitanti ricchi
di iniziative,
i tuoi giovani
che amore nutrono
allo studio e al lavoro
e chi si adopera
perché tu sempre più grande sia,
come lo fu un tempo
Falerio Picenus.
PIANE DI FALERONE
Quabro sei bella, Piane a primavera
quando il sole riscalda le giornate,
senti il profumo delle piante in fiore
e sui terrazzi sboccian fiorellini …
Ancor più bella sembri quando è sera,
quando il sole ci dà l’ultimo addio,
gli ultimi raggi specchia alle vetrate,
l’aria più dolce appare e più leggera,
il traffico più intenso, in un via vai
ti dà l’aspetto di città moderna!
Tornano gli operari dai cantieri
e i giovanetti giocano a pallone;
il parroco gentile e bersagliere,
sembra un tenente in mezzo ai soldati,
assiste sorridendo la partita
finché il rintocco della campanella
richiama tutti e invita alla preghiera!
Ovunque lo sguardo giri tutto è bello!
Case e palazzi di novello stile,
vi son le case antiche medioevali,
ruderi ancor dell’antica Faleria,
fan da cornice i pittoreschi monti
ricchi di olivi, di frutti e di vigneti,
ma più che spicca, di colore rosso,
l’alta chiesa che domina
i fabbricati che stanno d’inorno
perché i fedeli volgono lo sguardo
lassù in alto al di sopra delle natural bellezze.
Bello vivere qui in lussuosa valle!
Una visione che rallegra e piace,
allo sguardo, all’udito e al pensier!
SERVIGLIANO ANTICO
Attento guardo questo monticello
dove fu un tempo Servigliano antico!
E’ proprio pittoresco e tanto bello,
circondato di verde e di arboscelli.
Il primo raggio del sol qui si rispecchia
E l’ultimo al tramontar dà il suo saluto!
E’ bello qui guardar da tutti i lati …
È posto panoramico davvero!
Qui l’amico Rinaldi le sue ottave
con la sua bella voce fa echeggiare,
qui di poeti è una canora schiera
che più belli ancor fan questi luoghi
e li descrive con tanta maestria
che io ne rimango sì meravigliato …
Perché la natura non mi ha fornito
di tanta intelligenza e bravura
per cantar le bellezze de ‘sto sito
e descriver la bontà, la storia vera
di un antico e rustico paesello?
L’Agricoltura
BELLO FAR L’AGRICOLTORE
Nei campi è davvero la vita!
Al profumo dei fiori del prato,
lavoro, e lavoro accorato
col cuore gioioso e sereno
Sia che zappo, che aro o che mieto
Sotto i raggi del sole cocente
in ogni momento si senton
le speranze intessute nel cuor.
Questa è l’arte nobile, antica
cantata da illustri scrittori,
è la prima che in patria e fuori
muove tutto il commercio dell’uom.
La bellezza ai campi si ammira,
dai bei colli all’ampia pianura
coltivata e retta con cura
dalla mano dell’agricoltor.
Ovunque lo sguardo si gira
pago è l’occhio, e un amore sentito
par dica: “A restare ti invito
nei campi al proficuo lavor”.
La terra vuol bene ai suoi figli
la terra dà il pane che è oro
dà prodotti come un tesoro:
diamole dunque il suo valor!
LA MIA ARTE
Io son così, contadinello,
miseramente vivo e il mondo godo
lavoro tutto il giorno e son tranquillo
in mezzo ai campi dove tutto è bello,
dove si gode una pace infinita
e l’aria si respira pura e sana,
in compagnia dell’acqua cristallina:
questa è la vita da me preferita …
L’AGRICOLTORE
Che bella cosa far l’agricoltore,
godersi una bellezza indefinita;
davvero si può dir: “Questa è la vita!”
In cui pur regna vera pace e amore,
nel lavorare con lena e con ardore.
Questa è l’arte per me la più gradita
da cui sorge una speme direi infinita
per l’indefesso e buon coltivatore.
La terra giammai si mostra avara,
dà per poco l’indorato pane,
lasciare mai non potrei, tanto m’è cara.
Non si disvii verso le mete vane!
La terra è il cuor che tutto a noi prepara,
la terra è fonte di ricchezze umane!
L’ARATRO
Non è la vanga ancor
dei nostri padri
ora è l’aratro con la punta d’oro.
Traina il trattore gli aratri lucenti,
rivoltano le zolle ad una ad una.
Le livella tutte l’un sull’altra:
tutto il terreno arato è assai più bello!
Ripenso ai tempi miei lontani
quand’andavo coi buoi.
Quant’era duro levarsi nella notte
e sempre curvo sull’aratro nel polverone
che la zampe dei buoi faceano alzare.
In quel colle solitario belmontese
mi rallegravan l’albe mattutine,
il canto degli uccelli,
le voci dei contadini intorno,
camminando su e giù in ripida china,
per giorni e giorni … non finivo mai.
Aravo, tutta la stagione estiva!
Or lavorar la terra è un’altra cosa;
non è un lavoro duro, come allora
e non mi stanco più anche se vecchio!
Vorrei diventar giovane ancora
Per dedicare, terra, tanto amore,
a te, gran madre nostra,
tanto cara! Tutto ci dai:
ci insegni ad essere buoni,
fai brillar negli occhi la speranza
e dall’alto, con Dio, ci benedici!
Ho ritrovato queste tre poesie nel giornale “L’amico dell’agricoltore” che le pubblicò in tempi diversi per l’agricoltura: più miserella, più lavoro, più poesia e tanta serenità.
PROPAGANDA PER L’ABBONAMENTO A
“L’AMICO DELL’AGRICOLTORE”
La grande utilità e il certo valore
la gioia che procura ed il diletto
è tutto qui o lettor nel giornaletto
che è questo “Amico dell’Agricoltore”
Se in pratica si mette con amore
l’insegnamento suo così perfetto
ogni agricoltor è senza difetto
grazie all’insigne e bravo direttore.
E’ la luce che illumina il da fare
che dà progresso alle campagne: dico
risveglia, insegna e sprona a migliorare
dell’arte dei campi informatore antico
che sempre più ci ha fatto guadagnare
tutti leggiam l’agricoltore amico.
LA MIETITURA
Quando si mieteva a mano con la falce, nei tempi in cui l’agricoltura aveva più valore, a capo dell’Ispettorato era il professore Nicola Tozzi Condivi ed io ero legato a lui da un’amicizia sincera.
Vivere in mezzo ai campi è una bellezza
si ammira il grano d’oro che è un’incanto
nei campi solatii incomincia intanto
la mietitura con tanta accortezza.
Ormai di un buon raccolto si ha certezza,
e i mietitor si pongono d’accanto
le curve falci che al dorato manto
crea di solerti lampi argentea brezza.
Che dolce festa è la mietitura!
Canti, entusiasmi crea ai suoi cultori
che tutto l’anno attendon con premura …
Ambito premio avran gloria e onori
che si consacra per l’agricoltura
arte sublime di tanti valori.
PRIMAVERA
Con l’aria che si sente riscaldata
e il cinguettìo di augelli più festosi,
giorni più belli, splendidi e gioiosi,
sento che la primavera è ritornata.
La campagna che si vede ornata
di seminati verdi e rigogliosi
rende gli agricoltori più orgogliosi
delle fatiche e dell’arte lor pregiata.
Veder gli ameni campi a primavera
suscita ardor nell’animo e nel cuore
che in tutti i tempi ne gioisce e spera;
nei campi si lavora con amore
col cuore contento e l’anima sincera
che infonde più salute e più vigore.
VERSO IL TRAMONTO
Ormai mi avvio verso il tramonto
come foglia ingiallita esposta al vento
nel denudato autunno,
appesa ancora nel ramo della vita
ed il primo venticel la spinge a terra.
Indietreggiando il pensier nel mio passato
mi rivedo allo specchio.
Or non sono quel giovanetto di un tempo
vestito di tessuto al telaio.
Con quello mi vestivo nel dì di festa.
Giorni sereni erano quelli!
Pieni di vita spensierata e gaia
Veglie serali ed amorosi incontri,
ma il mondo è bello ancor come allora.
Pure ora torna a rifiorire la primavera,
e torna maggio con l’odor dei fieni,
col festeggiar degli uccelletti in coro,
nei boschi profumati e campi verdi,
lungo le strade, nelle città e paesi
passeggiano ancora le coppie innamorate.
Il sole riscalda nei meriggi estivi,
l’alba e i tramonti sono come allora,
nell’ordine natural nulla è cambiato.
Ma per me mai più tornerà la primavera,
sono già vecchio, brutto, affievolito
e stanco,mia mano più non scrive
ed il mio cervel delira.
A che ha giovato affaticarmi tanto?
A che tanto sgomento?
Cosa val la mia vita?
Cosa sono io al paragon di Dio,
al creato, all’infinito?
Un briciolin di sabbia in riva al mare
un moscerin invisibile.
Io sono creatura e nell’eterno
alfin sarà mia sorte.
Non per mio vanto né per doti
natural che non ho avuto
onde lenir le sofferenze altrui.
Sempre al silenzio dei campi ho lavorato,
come albero senza frutti
strerile e dimenticato nel più semplice lavoro!
Gli uccelli mi cantavan
le canzoni … bei versi recitava
l’usignolo e serenate mi facean le rane.
Così mia vita in un balen vissuta
or che il mio partir più si avvicina
ripenso, ricordo e chiedo venia
delle mie mancanze e che mi accolga
Dio lassù nel cielo!
BREVE RACCONTO DELLA VITA
NELLE CAMPAGNE DALL’UNITA’ D’ITALIA
AI NOSTRI TEMPI
L’unità d’Italia fu una grande conquista per quell’Italia allora divisa in sette stati.Si fecero tante cose belle che sono passate alla storia con i grandi personaggi dell’era risorgimentale.
Furono invece trascurati gli interessamenti per i lavoratori dei campi che erano oppressi e schiavi dal grande capitalismo terriero.
Ai quei tempi in campagna esisteva molta povertà, sia per la mancanza dei mezzi che la scienza non aveva ancora messo a disposizione dei lavoratori dei campi, sia perché si era schiavi dei grandi proprietari terrieri, latifondisti di grande e media borghesia, principi, conti, marchesi, eccetera.
Io sono nato nel gennaio 1906 a Belmonte Piceno, in un terreno dell’allora proprietà del conte Luigi Morrone Mozzo di Fermo; un luogo delizioso per la caccia, ricco di querce e di altre lussuose piante, con fabbricato annesso, usato dal padrone per le riunioni di personaggi illustri di quel tempo. Venivano lì a pranzare, a giuocare e bisbocciare specie in autunno all’apertura della caccia.
Il conte Morrone aveva migliaia di ettari di terreno tutti coltivati da mezzadri. Vi erano molti amministratori anche perché la sua proprietà era un po’ frazionata con dieci grandi fondi tra Belmonte e Montottone (Forche di Tenna), molti altri a Fermo, Morrovalle, Monterubbiano ….
Questi conti avevano molta servitù, fattori, contabili, magazzinieri, addetti ai cavalli, personale di servizio interno, camerieri e servi, in poche parole un piccolo “parlamento”; quando al mezzadro occorreva qualche cosa si doveva rivolgere al fattore che a sua volta lo faceva presente al ministro oppure al contabile se era di sua competenza.
Ricordo inoltre il conte Marcello Gallo di Amandola, il conte Bernetti di Fermo, il conte Ganucci di Montegiorgio che oltre ad una grande proprietà terriera in Toscana aveva terre fertili ed irrigue a Piane di Montegiorgio e potrei elencarne molti altri, come i conti Piccolomini e Corsi di Belmonte Piceno, i Vinci di Fermo …
I prodotti venivano divisi in tre parti: due per il proprietario ed una per il mezzadro, ma l’oliva veniva divisa alla quinta parte: quattro per il proprietario ed una per il mezzadro.
Nel 1915 scoppiò la grande guerra e tutte le forze giovanili partirono per la guerra: rimasero nelle case solo donne, vecchi e bambini.
Alcuni proprietari, per non avere terreni incolti, premiavano gli sforzi di costoro dividendo i prodotti a metà, ma per la verità erano in pochi.
Terminata la guerra, i contadini stanchi della trincea e delle ingiustizie umane formarono le leghe bianche e le leghe rosse: fin dal 1917 cominciarono le lotte nelle campagne, ancora non terminata la guerra, poi nel novembre del 1918 erano in piena funzione.
Mi ricordo nelle aie, le trebbiatrici ferme, circondate dai contadini armati solo di bastoni e furcine, che non facevano trebbiare finché il proprietario non decideva di dividere il prodotto a metà.
Fra i personaggi che capeggiavano le leghe bianche del partito popolare di allora ricordo Sobrini di S. Elpidio Morico, rimastomi impresso come parlatore, trascinatore di folle. Lo ricordo bene: quando parlava le sue prime parole erano rivolte alla forza pubblica per giustificare l’insurrezione delle masse. Le leghe bianche e le leghe rosse facevano una lotta comune con lo slogan “Evviva le bollette* – Abbasso le scarpette” (* delle scarpe) finché ci fu la scissione nel 921 del partito socialista e nacque il Partito Comunista Italiano.
Ricordo bene la settimana rossa capeggiata da Pietro Nenni ad Ancona che dette sì esiti positivi per un breve momento, ma poi finì male perché il suo compagno Benito Mussolini, allora direttore del giornale “L’Avanti”, per porre fine al disordine che regnava, alle lotte e agli scioperi a catena si staccò completamente da Nenni, dando vita ad un altro movimento: il Partito Fascista.
Ci fu allora un immediato benessere nelle campagne; nel 1922 si stipularono nuovi contratti di mezzadria e tutti i prodotti agricoli per legge dovevano essere divisi a metà. Finirono tutte le lotte: ogni comune nominava due rappresentanti: uno in difesa dei proprietari, l’altro in difesa dei mezzadri. Ogni piccola questione veniva discussa ed appianata insieme: quando non si raggiungeva l’accordo si faceva il verbale e si mandava in tribunale ove veniva giudicato con sollecitudine.
Ritornò così la pace nelle campagne. Cominciarono subito le bonifiche dell’Agro Pontino dove le terre erano tutte incolte e dove regnava la malaria (febbre terzana) e sorsero lì molte città: Latina, Pomezia, Sabaudia, Cisterna ed altre. Si fecero fondi con nuove e moderne case, con superfici di circa dieci ettari, e forniti di irrigazioni. Fu quella la vera riforma agraria perché essi furono gratuitamente assegnati ai contadini, soprattutto veneti, con famiglie numerose.
Vi era un certo ordine, riprese di molto il valore della moneta italiana, nel 1931 fu al culmine che durò fino all’entrata in guerra. Poi incominciò lo scontento pure di quelli che avevano inneggiato al Duce.
Non fu per gli italiani una guerra voluta. Finita la guerra avvenne quel che avvenne! L’esercito sbandato. Si istituirono in ogni comune i comitati di liberazione.
Si incominciò a discutere della gente dei campi. Mi ricordo che io disapprovavo il metodo violento con cui altri intendevano arrivare alle più alte conquiste sociali nella campagne. Preferivo raggiungere il benessere dei contadini attraverso la dialettica, le leggi più umane e più giuste senza ricorrere alle lotte selvagge, alla banalità ed all’odio.
Era allora un tema preoccupante quello della gente dei campi, in quanto viveva in campagna un numero esorbitante di persone per cui non era possibile una vita decorosa con i pochi redditi della terra, redditi da destinare a troppe persone.
Si bloccarono le disdette, si riaccesero le polemiche, le lotte, poi avvenne il lodo De Gasperi che consisteva in una percentuale sui prodotti divisi anche per gli anni precedenti, finché non si stipularono per legge contratti con la divisione dei prodotti al cinquantatre per cento a favore del mezzadro, percentuale che poi fu alzata al cinquantotto per cento.
Si dette così avvio alle discussioni della riforma agraria cominciata dall’allora ministro Segni, sollecitata dalle organizzazioni sindacali e dai maggiori partiti politici. Contemporaneamente cominciava l’esodo dalle campagne soprattutto i giovani fuggivano in massa per andare nelle industrie, nelle città in cerca di un lavoro più decoroso e di maggior reddito.
Si è discusso per anni ed anni il passaggio per legge dalle mezzadria all’affitto. Sono stati fatti molti disegni di legge per la proprietà contadina. Una delle migliori ha fatto sì che la maggior parte dei contadini, specie nei paesi collinari, diventassero proprietari dei terreni che coltivavano. Sono intervenute le macchine ad aiutare l’uomo nel lavoro dei campi, sono state create nuove industrie, nuovi posti di lavoro. Qualche industriale acquista terreni per mettere al sicuro i propri risparmi e fa grosse aziende. Il mezzadro ha reddito minimo.
Si sono fatte leggi per aiutare gli agricoltori con prestiti a tasso agevolato per attrezzi, macchine agricole, stalle, trattori, irrigatori ….
Di recente è stata varata una legge per il passaggio dalla mezzadria all’affitto; ma la mezzadria è già finita per morte naturale, perché il mezzadro oggi non potrebbe vivere con i prezzi così poco remunerativi dei prodotti in rapporto al costo di produzione.
Con l’entrata dell’Italia nel Mercato Comune, l’agricoltura italiana non è stata agevolata in quanto non siamo competitivi per ragioni di clima, di frazionamento dei terreni, dalla loro natura pedologica, oltre che per l’aumento indiscriminato dei costi di produzione.
Vedo, a mio parere, uno squilibrio di massa creato dalla partitocrazia e dai sindacalisti: alti stipendi in certi settori e bassi in altri; lavoratori occupati con pensione ed altro reddito, mentre ci sono molti disoccupati. Anche l’uso indiscriminato del denaro pubblico crea scontenti.
Ma ritornando al tema: la campagna, oggi, se non arricchisce come l’industria ed il commercio e se richiede molti sacrifici, pur tuttavia ciò viene compensato dal vivere all’aperto ed a contatto con la natura in un lavoro libero e responsabile che prima o poi riprenderà il ruolo importante che le spetta, quale arte primaria fin dai tempi più remoti della storia dell’uomo a cui sono legate le industrie, i commerci, i trasporti ecc. …
Beato colui che vive
nei lieti campi suoi
proprio cultore.
Meditando
O DIO, TI RINGRAZIO
O Dio, Ti ringrazio delle bellezze del creato
che davanti ai miei occhi si spalancano:
i pittoreschi monti, il mar, le valli,
tutto dipinto d vari colori.
Boschi rallegrati dagli uccelli,
bianche casette e luccicanti fiumi,
il profumo dei fieni,
le ondulate messi,
al piano e al monte olivi e frutta
e fiorenti vigneti,
o Dio grazie della tua Provvidenza!
La pioggia che rinfresca
e che disseta l’amica terra
l’uom fornisce per umani bisogni.
La luna che risplende, le stelle,
il ciel turchino:
tutto un insieme di cose belle.
Grazie della fede, di quel fascino sublime
che in alto mi trasporta
e della divina tua bontà
che mi fa godere queste bellezze terrene.
Illumina Signore, il mio cammino
nel buio della notte che mi circonda.
O DIO, TI VEDO
O Dio, Ti vedo nei limpidi mattini d’estate,
ogni volta che sorge l’auora,
e quando il sole splende nel cielo.
Ti vedo quando i miei occhi guardano lontano
tra i campi verdi ,
o al di sopra dei monti, al di sopra delle nubi.
Ti vedo quando gli alberi fioriti,
col venticello primaverile,
gettano via i petali profumati
e gli uccelletti festeggiano
tra le novelle foglie.
Ti vedo nelle brezze mattutine d’autunno,
quando le foglie ingiallite
si staccano dal verde ramo
e danzano a terra col vento,
nelle immense pianure
di messi ondulate dal vento,
nell’umile fiorellino
sperduto nei boschi,
nell’acqua che scorre li,pida
lungo i fossati profumati di viole;
nella pioggia che cade;
nel bianco lenzuolo di nevi;
nelle brine notturne che spazzano via
le lordure del nostro pianeta.
Ti vedo e Ti prego
per tutta l’umanità sofferente,
per gli scienziati e per gli uomini
che detengono le sorti del mondo:
i talenti che ad essi hai donato
siano spesi per il bene comune
e siano promotori di pace
e di benessere per tutti i popoli.
Inoltre Ti prego
per tutti quelli che lavorano:
gli operai delle industrie,
le giovani donne dei calzaturifici,
gli agricoltori e gli artigiani,
gli insegnanti, gli educatori
ed i religiosi;
per tutti ed in tutti i luoghi
penetri il raggio della tua luce
vivificatrice
e i loro occhi, nel proprio cammino,
vedano solo
bellezza.
O DIO, TI PREGO!
Quando vedo i bei prati
di verde tappezzati,
la violetta nata nei fossati
e ogni albero che emana
grato odore,
odo il fischiettar del merlo
lungo le siepi
tra le novelle foglie,
o il gorgheggiar dell’uccellin
sul far del giorno
mentre l’oriente s’irradia
di splendore,
col mio pensiero vado
a Dio Vicino!
Quando, stanco e sudato dal lavoro,
un attimo mi siedo,
volgo lo sguardo al cielo,
o Dio, Ti vedo!
Quando sboccia un fiorellino,
si dischiude poi
e nasce il frutticino,
cresce e matura
sotto gli occhi dell’agricoltore,
o Dio, Ti penso!
Quando un delizioso venticello
dall’albero i petali trasporta
come fiocchi di neve
nel pioppeto,
o Dio, Ti prego!
E quando guardo
alle stellate sere,
il mio pensier
su in alto sale:
o Dio, sei grande!
Quando nel mio campo arato
tra fresche zolle
mi par vedere
l’ondeggiar di messi,
verso il cielo
innalzo la preghiera!
Viene la pioggia
mitiga l’arsura,
crescon le piante
e i seminati:
Iddio provvede!
Quante cose ci insegni
o madre terra!
Maestra di bontà!
Chi in te rimane
e in te spera
gode delle bellezze naturali,
Dio lo premierà
con la sua grazia
perché al silenzio dei campi ancor
lavora e prega!
IL LAVORO MATTUTINO
Zappo con lena a braccia riposate
lungo i filari pria che sorga il sole
tra il festoso risveglio degli uccelli
e il profumo delle piante in fiore.
La brezza mattutina mi accarezza
mentre l’oriente di luci si colora
che annunciano il giorno
e spengono le stelle.
Gioisco in cor
e piano di speranze
verso il limpido ciel volgo lo sguardo,
vagando col pensier tra cielo e terra:
contemplo la bellezza dell’infinito:
Dio splende e regala il creato
benedicendo la fatica umana!
AL SOLE
Sei bello, sei vita, rischiari,
riscaldi, risvegli, dai forza,
bruci e sconvolgi le zolle,
asciughi e fecondi:
sei il migliore degli astri lucenti.
Dio ti ha dato potere
per tutti gli esseri
dagli uomini a tutti gli animali
che volano o strisciano in terra,
dagli alberi giganti all’umil fiorellino
sperduto tra le desolate montagne.
Senza di te la vita sarebbe morta.
E’ merito dei tuoi raggi
questo miscuglio di soavi odori
di fiori, di foglio, di piante,
che si spande nell’aria
che noi respiriamo.
Rispecchi i tuoi raggi
nell’acqua cristallina
che scorre lungo i fossati
nei fiumi che solcano
queste fertili colline marchigiane,
incanto di naturali bellezze
che io vedo, sento, assaporo,
grazie a Dio
che mi fa essere
in questi luoghi belli
in cui lavoro, prego e spero!
IL TRAMONTO D’ESTATE
Com’è bello il tramontar del sole
quando i suoi raggi tremuli, dorati
si proiettano sui campi dal ciel sereno.
L’aria allor si fa più dolce, s’allieta,
rinfresca, piace, conforta
dopo l’afoso ed infuocato giorno.
Oh lieti tramonti estivi!
Oh bei tempi della giovinezza,
quando nei colli verdi scampagnati,
m’era caro lavorar tra profumati fieni
o nei lieti canti della mietitura,
oppur tra zolle rivoltate al sole
che nell’indurito suol rompea l’aratro
allor trainato da pacati buoi.
Ora l’ombra avvolge la pianura
mentre tra i monti color di fuoco
si spegne il sol e si fa sera.
Non è così il tramonto della vita
in cui l’ombra tenebrosa e scura
ci avvolge tutti:
pianto e duolo intorno, tutto è buio.
Ti prego, Signore,
perché in quel triste momento
uno spiraglio di luce
mi circondi e conforti
ed aiutato dalla tua grazia
meno gravoso sia per me
il tramonto!
FIORE DI PRATO
O fiorellin del prato
che sbocci a primavera
in candida veste
riscaldato dal sole,
il tuo profumo spandi
e zefir etto lo porta lontano.
Tu ti distingui
tra l’erbe novelle
che a mille a mille
nascon a primavera!
Ti ammiro, sei bello!
E mi piace vederti soffrire,
se l’ape a punzecchiarti viene
oppur la farfallina in te riposa.
Oh. se tu fossi nato in u giardino!
Forse più accarezzato, èiù ammirato,
il giardiniere
ti avrebbe annaffiato
e non saresti, no, appassito al sole!
Non dolerti fiorellino mio
se vai al campo
a profumare il fieno!
Invece che dal giardino
al letamio!
RICORDI DELL’AGRICOLTORE
Scorrono i giorni, passano gli anni!
Sono i pensieri del dormiveglia
di queste lunghe notti d’inverno.
Settantatre anni!
Così fugaci, così brevi,
come un piacevole sogno;
mi pare ancora riveder quei luoghi
belli e popolati d’un tempo.
Or li rivedo silenziosi, desolati e incolti.
Piante spontanee e naturali nascono
ove un tempo si mieteva il grano,
profumo di fiori selvaggi, di ginestre
e cinguettio d’uccelli.
Le belle primavere della mia giovinezza,
i gelidi e nevosi inverni d’una volta.
Colli bruciati dal sole di luglio:
rivoltano le zolle
con l’aratro trainato dai buoi,
la lunga fila di uomini contenti, con la falce,
l’erba dei prati distendeva al suolo.
Le falci lucenti scintillanti al sole
e i campi di messi tremule alla brezza
cui i mietitor con slancio giovanil
rasente al suolo tagliavano steli.
Quanto m’è caro ricordar quei tempi,
or che son vecchio e vivo di ricordi;
con la memoria stanca e affievolita,
dico grazie al Signor che tutto bello,
in tutti i momenti, mi ha fatto vedere.
Lo prego ancor perché più bella sia
delle giornate terrene la fine!
Postfazione
INDOVINELLO: CHI E’?
Semplice e buono, privo di malizia,
altruista, simpatico e garbato,
lavoratore quasi esagerato
ignora il tornaconto e la furbizia.
Di cuore aperto e di animo elevato,
sa esprimersi con senno e con perizia
ritiene più che sacra ogni amicizia
ed è perciò stimato e rispettato.
Sicuramente lo protegge Igea
che vivendo la quarta giovinezza
ha un’energia da non averne idea ….
Con la bici raggiunge il colle e il piano
senza accusar fatica o spossatezza
insomma è gran fenomeno: è Gaetano!
Dante Agostini poeta*
La poesia serve a presentare la personalità di Gaetano, cugino di Dante da parte di Giustina Agostini sposata Sbaffoni.
AL MIO CARO CUGINO GAETANO
I
Diciannove gennaio: freddo ingrato,
neve che cade, soffice e silente;
ma da una casa rustica si sente
il vagito di un bimbo appena nato ….
Festa in famiglia, giorno fortunato
Per l’arrivo di un tenero innocente:
la gioia scalda ormai tutto l’ambiente
e il freddo intenso è presto superato!
Ma quel bimbo paffuto poi divenne,
col tempo, un uomo in gamba, forte e sano,
che con pregi e virtù ben si mantenne …
Da quel gelido giorno, ormai lontano,
quel bimbo, oggi è un simpatico ottantenne
che risponde al bel nome di Gaetano!
II
Ed io che lo conobbi giovinetto,
sempre attivo, assennato e giudizioso,
gli dedico, con slancio generoso,
tutta la piena del mio grande affetto.
Ottant’anni, non sono uno scherzetto!
Ma poi portati in modo delizioso,
come un trentenne energico e focoso
giovanile di spirito e di aspetto.
Auguri affettuosissimi e sinceri:
che tu possa toccare altri traguardi,
sempre in salute, ancor più lusinghieri …
Questo è l’augurio mio, caro Gaetano,
che parte dal mio cuor, senza ritardi
perché raggiunga il tuo felice e sano!
Dante 19 gennaio 1986
AL MIO CARO CUGINO GAETANO
I
Mi è giunto ieri il tuo gradito plico
con dentro una sorpresa straordinaria:
molta tua produzione letteraria,
che mi ha fatto un piacer che non ti dico.
Tu non solo sei stato esperto in Arte agraria,
perché sei della terra un vero amico,
e ti piace spaziar nel verde aprico,
gustando quel salubre odor dell’aria.
Ma è l’aria aperta, il verde, la quiete,
ch’aiutan a far sbocciar pensieri belli
che tu poi esprimi in prosa o in rime liete.
Ed è perciò che tu, caro Gaetano,
ti distingui dal novero di quelli
che fanno onore al gran consorzio umano.
II
Tu lavori la terra per diletto,
ma ti impegni nel campo letterario:
la tua mente si esprime in modo vario
perché attingi nei campi ogni concetto.
Il possente vigore necessario
alla esistenza, lo prelevi netto
dalla natura viva al cui cospetto
stacchi i fogli a quel tuo gran calendario.
La tua semplicità limpida e pura
la sai trasmetter a chi ti di avvicina
che in fondo è una virtù che rassicura.
Qualcosa hai dentro della zia Giustina,
perché pur non avendo una cultura
svolgi temi di altissima dottrina!
Indice
Ricordando mio cugino Dante Agostini
LA POESIA MARCHIGIANA
Per la morte di Vitturini Secondo
La mia terra
Che cosa è per me la poesia? (19-01-1986)
Tutto è poesia (06-01-1989)
L’ANNO NUOVO
Il nuovo anno
La neve
La neve
LA PRIMAVERA
Marzo
Pasqua
E’ Pasqua
Il giorno dopo Pasqua
Pioggerella d’aprile
Aprile
Aurora primaverile
Mattino di primavera
Notte di maggio
In bicicletta
Una sera di primavera (1986)
A un merlo che canta al mattino sulle alte piante
Mattino di maggio (maggio-1089)
Maggio
L’ESTATE
Grandinata a Belmonte
Di mattino al vigneto (07-06-1993)
Mattino d’estate
Lavoro ricchezza per tutti
Pioggia d’agosto
L’AUTUNNO E L’INVERNO
Il ciliegio vicino alla strada
Settembre (16-09-1982)
La vendemmia
Le rondini
Novembre
Rivedendo il mio aratro (15-09-1982)
L’estate di san Martino
La semina del grano
Autunno
Domenica
Racconto di un pomeriggio domenicale
Inverno
La prima nevicata di dicembre
LA MAMMA GIUSTINA
A Mmia madre il giorno dopo la morte
A mamma
Ricordo
Domenica 20 luglio davanti alla tomba della mamma
A mamma
A mia madre
Natale senza mamma (1973)
Al Camposanto di Belmonte
LA SPOSA CAROLINA
Presso l’albero ombroso insieme a Carolina
Cinquantesimo anno del mio matrimonio (estate-1981)
Sessant’anni insieme (17-09-1991)
A mia moglie Carolina (06-01-1988)
A mia moglie Monaldi Carolina
Il ritratto di mamma Camilla
Loreta Monaldi
I GIOVANI SPOSI
Ad Anna a e Daniel (23-06-1986)
Per il matrimonio di Rossella e Peppe (27-08-1089)
Agli sposi Fortunato e Maria (19-07-1987)
Agli sposi Vittoria e Benedetto (24-09-1988)
A Claudio e Laura (ottava) (10-04-1983)
A Claudio e Laura (sonetto) (10-04-1983)
Agli Sposi Milena e Roberto (27-06-1987)
I NIPOTI E I BAMBINI
Ricordo nel nipote Giovannino
Davanti alla tomba del nipotino
A Marisa
Discorso pronunciato a Roma in occasione della celebrazione della prima messa del nipote Fausto
Alla nipotina Annarella
Alla nipotina Maria Grazia
Alla nipotina Maria Grazia (lettera)
La maternità di Laura (Pasqua 1984)
A Paoletta nel giorno della prima comunione (25-5-1975)
A Cinzia
A Monia per la prima comunione (27-5-1990)
GLI AMICI
Brindisi a don Elio
In ricordo del parroco di Piane di Falerone don Elio Jacopini
Posa del monumento a don Elio
Discorso in chiesa per la posa di una lapide in onore di don Elio
Alle lavoratrici ed ai lavoratori del tomaificio (10-06-1989)
A tutte le donne che lavorano nel tomaificio (natale-89)
Chi è Marcella?
Poesia a Marcella I
Poesia a Marcella II
Poesia a Marcella III (27-07-1986)
Poesia a Marcella IV (festività 1986-1987)
Agli sposi Marcella e Martino (25-04-1987)
Al maestro Gentili
Discorso pronunciato in chiesa per la immatura scomparsa della professoressa Sandra
Per la chiusura della fornace
Ad Anna Gualtieri
CARI PAESI
Ritornando a vedere
A Belmonte Piceno
Le due querce
Belmonte
Ripassando per la strada di Belmonte (giugno-1987)
La stazione di Belmonte
Davanti al monumento del professore Silvestro Baglioni in Belmonte Piceno
Il professore Silvestro Baglioni
La casa a Bascione (dove abitavo da fanciullo)
La chiesa di Piane di Falerone
Piane di Falerone (la festa per i duemila anni dalla nascita)
Pine di Falerone
Servigliano antico
L’AGRICOLTURA
Bello far l’agricoltore
La mia arte
L’agricoltore
L’aratro
Propaganda per l’abbonamento a “L’amico dell’agricoltore (1953)
La mietitura
Primavera
Verso il tramonto
Breve racconto della vita nelle campagne dall’unità d’Italia ai giorni nostri
MEDITANDO
O Dio, Ri ringrazio!
O Dio, Ti vedo! (16-11-1986)
O Dio, Ti prego!
Il lavoro mattutino
Al sole
Il tramonto d’estate
Fiore del prato
Ricordi del passato
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di Albino Vesprini
di Albino Vesprini