Gli Statuti dei Fermani sono confermati da Sisto V nel 1786

SISTO V PAPA anno 1586

Ai diletti figli, alla Comunità e agli uomini della Città nostra Fermana.    Diletti figli, salute e Apostolica benedizione. La costanza della fedeltà e la sincerità della devozione con cui venerate noi e la Chiesa Romana ci inducono a dare il consenso volentieri alle vostre oneste petizioni. Inclinati pertanto alle vostre suppliche con l’autorità Apostolica a tenore del presente atto, con la nostra certa consapevolezza, approviamo e confermiamo e aggiungiamo la forza della validità perpetua e inviolabile a tutti i singoli vostri statuti, gli ordini e le delibere, nonché i privilegi, le concessioni, le immunità, le grazie e gli indulti che fino ad ora sono stati concessi nel tempo a voi e alla vostra Comunità, ad opera di qualsiasi dei Romani Pontefici nostri predecessori e dei loro legati in quanto queste cose esistono nell’uso e non attentano contro la libertà ecclesiastica né a pregiudizio per la Camera Apostolica, inoltre approviamo le tasse delle mercedi per i giudici e per i notai penali di questa nostra Città Fermana assegnati ad opera vostra e approvati altra volta ad opera del diletto figlio il nobiluomo Jacopo Boncompagni di questa Città, allora Governatore di questa Città, con anche un rescritto edito dallo stesso Governatore Jacopo riguardante le indagini da fare sopra alcune cause da esaminare rispettivamente ad opera della Curia del Capitano di questa Città e ad opera dei Vicari dei Castelli del suo contado e accordato dal suo luogotenente il giorno 2 aprile 1578 e il giorno 4 dello stesso mese, intimato al Cancelliere Penale e al Capitano, senza tuttavia un pregiudizio per le riscossioni e gli altri diritti Camerali e pertanto diamo ordine e comandiamo a tutti quelli a cui compete, che si faccia un’esatta osservanza, decidendo come non valido e nullo tutto quello che da qualsivoglia autorità o consapevolmente o ignorantemente capiterà che si tenti di fare in contrasto a queste cose; nonostante la costituzione del Papa Pio IV di felice memoria nostro predecessore sul dover registrare e insinuare le grazie della Camera Apostolica concernenti l’interesse della stessa Camera entro un certo tempo e nonostante qualsiasi altra Costituzione e gli ordini Apostolici e nonostante il giuramento della Città di Fermo e nonostante la conferma Apostolica o qualsiasi altra validità rafforzata con statuti e consuetudini e privilegi anche con indulti e lettere apostoliche in qualsiasi modo concessi, approvati e rinnovati. Consideriamo i contenuti di essi siano come espressi in questo atto, ad effetto delle cose dette sopra, deroghiamo, per lo meno in modo espresso e speciale, ogni altra cosa in contrasto. Data a Roma presso San Pietro con sigillo dell’anello del Pescatore il giorno 10 febbraio 1586 anno primo del nostro Pontificato.            Giovanni Battista Canobi.

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MEDIATRICE DIVINA LA BEATA MARIA CHE RECA LA PACE DI GESU’

MEDIATRICE DIVINA

Dichiara Alessandro Manzoni: “O Vergine, o Signora, o Tuttasanta, che bei nomi ti serba ogni loquela!” nella poesia “Il nome di Maria”. Innumerevoli i titoli che a lei si addicono e tra questi si addice a Lei il nome di Mediatrice in riferimento al Mediatore Gesù Cristo, mentre Lei nulla compie se non accompagnando i devoti al divin Salvatore, con serene esortazioni ammonitrici, senza minacce.

   E’ molto significativa Maria “Mediatrice” nel dipinto del santuario dell’Amore misericordioso a Collevalenza (PG). Maestosa si innalza dal globo terrestre fino alla gloria dello Spirito Santo raffigurato dalla colomba che dall’alto irradia la luce aurea del Paradiso dove lei vive con il suo corpo risorto immortale e distende le sue braccia allargate al modo del figlio Gesù Cristo crocifisso, tenendo aperte le mani con le palme rivolte umilmente verso l’alto al divino Spirito. Mosè, i salmisti (Es 17,11; Sal 63;121) e l’apostolo Paolo (1 Tim 2,8) erano oranti con le braccia allargate verso l’alto. Gli occhi della divina Mediatrice hanno lo sguardo sereno rivolto all’alto al modo come il Crocifisso nello stesso santuario dell’Amore misericordioso.

   La divina Madre reca sulla testa la corona di Regina del cielo e della terra. Il velo bianco, simbolo della purità dell’Immacolata, le copre i capelli. Il volto della Mediatrice comunica serenità e fiducia di persona orante. Il manto verde dalle sue spalle scende aperto sopra la veste rosea, fino a terra. Il verde è il colore più diffuso nella natura ed è usato nelle liturgie per la maggior parte delle celebrazioni. Esso indica la speranza di salvezza, l’emanazione dalla creazione, la giovinezza, il confine del bene.

   Al centro del dipinto spicca sul petto e sul cuore di lei il bianco splendente del giglio tra i cui petali è scritto IHS con la croce di Gesù dichiarato “Salvatore delle persone umane”. Il giglio nasce nel globo terrestre su cui poggiano i piedi nudi di lei che calpesta il serpente e la luna, simboli della malignità e della mortalità che lei sempre vince. Sono diffuse nuvole bianche attorno al pianeta terra nel cielo sereno dove splende l’arcobaleno a due colori, bianco e celeste, a simboleggiare la spiritualità, l’universalità, la trascendenza, la stabilità e la pace.

   La beata Madre Speranza ha ricevuto questa immagine della Mediatrice da Juan Gonzàlez Arintero domenicano (+1928) e le sue Ancelle dell’Amore misericordioso chiesero e ottennero l’approvazione di del titolo di Maria Mediatrice da San Giovanni XXXIII il 10 febbraio 1961.

   Nel nostro tempo si diffonde l’indifferenza che misconosce le dimensioni spirituali del vivere umano riducendo spesso la religione a sentimento finanche puerile. Questo nostro mondo oggi ha bisogno, più che in altri tempi, della preghiera, dell’umiltà, della purezza di cuore, della riconciliazione mediante la Vergine Maria che conduce le persone a Gesù Cristo Salvatore, dal cuore caritatevole e misericordioso.

   Nel 1921 Papa Benedetto XV ha confermato al Belgio la celebrazione della messa con il titolo mariano di “Mediatrice di tutte le grazie” nella funzione materna riaffermata dal Vaticano II (Lumen gentium 60). San Giovanni Paolo II ha pubblicato il Messale della B. Vergine Maria con la liturgia della “Mediatrice di grazia”. Lei è associata in modo singolare all’opera del divin Redentore con la potenza della sua preghiera e condivide, con pari amore, la sollecitudine di Cristo verso i fratelli e sta giovando a favore di tutti tramite l’intercessione, il perdono, la protezione, l’appello a fidarsi di Dio, la vittoria sul maligno, l’esemplarità delle virtù, la gioia del cuore, il coraggio nelle avversità. La salutiamo avvocata nostra, regina pia, clemente. San Giovanni Paolo II nel consacrare a lei il mondo il 25 marzo 1984 pregava che si i riveli l’infinita potenza salvifica della Redenzione: potenza dell’Amore misericordioso che arresti il male (…) Nel Cuore Immacolato si sveli per tutti la luce della Speranza.

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STATUTI DEI FERMANI traduzione dall’edizione 1589 Inizio. Indice e documenti di conferma

STATUTI DEL COMUNE

E DEI CASTELLI

 DI FERMO

Tradotti dall’edizione dell’anno 1589

da Vesprini Albino e Carlo Tomassini

                                                  www.luoghifermani.it 2023

IHS

STATUTA FIRMANORUM \

Firmi Apud Sertorium de Montibus impressa anno Domini 1589

 Statuti del Comune e dei Castelli di Fermo

Edizione di Sertorio de Monti

 Anno del Signore 1589.

Indice delle rubriche

Documenti degli anni 1446, 1555, 1586

Libro primo rubriche 10

Libro secondo rubriche 91

Libro terzo rubriche59

Libro quarto rubriche 94

Libro quinto rubriche 150

Libro sesto rubriche 93

Ordinamenti vari, Tasse, Capitoli (sec. XVI)

 <Le rubriche sono prese dal testo del volume>

*

                                                                                                                                                                                                                          I

                                   TABELLA DELLE RUBRICHE DI TUTTA L’OPERA

RUBRICHE DEL LIBRO PRIMO

1 Rub. 1 – La venerazione della festa di Santa Maria del mese di agosto.

1 Rub. 2 – I ceri, le altre luminarie e le lampade da offrire in tale festa della Beata Maria.

1 Rub. 3 – Gli Officiali da eleggersi per la custodia, per la conservazione delle Entrate, per le cose dell’Operaria di tale chiesa di Santa Maria.

1 Rub. 4 – Le spese da farsi per i sindaci delle comunanze e per alcuni altri forestieri che vengono a tale festa.

1 Rub. 5 – La venerazione alla Santa Spina.

1 Rub. 6 – La festa del beato Bartolomeo apostolo da onorarsi segnatamente.

1 Rub. 7 – I Sindaci e i procuratori da eleggersi in qualsiasi chiesa della Città.

1 Rub. 8 – I Palli da offrirsi alle singole chiese che sono stabilite nella Città di Fermo.

1 Rub. 9 – Lo Statuto della chiesa di San Salvatore.

1 Rub. 10 – I carcerati da offrire.

RUBRICHE DEL LIBRO SECONDO

2 Rub. 1 – La corsa del Palio.

2 Rub. 2 – Gli imbussolati, il modo e il sistema di aprire le cassette <urne> e di estrarli;la conservazione delle cassette e il mettere uno con <sostituto> un altro.

2 Rub. 3 – Il potere dei signori Priori e il loro officio.

2 Rub. 4 – Uno speciale divieto per i signori Priori, e per il Gonfaloniere di giustizia e per i Regolatori, anche per il Banchiere del Comune.

2 Rub. 5 – L’officio del Gonfaloniere del Comune di Fermo.

2 Rub. 6 – L’elezione del Podestà e del Capitano.

2 Rub. 7 – Il giuramento del Podestà e del Capitano, la loro autorità e l’officio.

2 Rub. 8 – Un divieto per gli officiali forensi.

2 Rub. 9 – L’officio del Cancelliere.

2 Rub. 10 – L’officio del Notaio dei signori Priori.

2 Rub. 11 – L’officio e l’ordine da tenersi dai Confalonieri per le contrade e dagli altri Cittadini di tali contrade.

2 Rub. 12 – Il modo di riunire i Consigli, di presentare le proposte, di arringare e di deliberare in essi.

2 Rub. 13 – Il Consiglio speciale del popolo.

2 Rub. 14 – L’autorità, la giurisdizione, e il potere del Consiglio speciale.

2 Rub. 15 – Il Consiglio generale.

2 Rub. 16 – L’arbitrato del Consiglio Generale.

2 Rub. 17 – Il modo di mandare la decisione con le fave nere e bianche.

2 Rub. 18 – Il modo di sospendere gli Statuti.

2 Rub. 19 – I Regolatori, il loro officio, le entrate ed uscite del Comune e i Revisori dei conti del Comune e il loro officio.

2 Rub. 20 – L’officio del Banchiere e del suo Notaio.

2 Rub. 21 – L’officio dei Consoli dei Mercanti.

2 Rub. 22 – L’officio del Massaro che deve provvedere e rivedere le masserizie e le fortificazioni del Comune.

2 Rub. 23 – L’elezione dei Notai dei banchi <tribunali> civili e degli appelli e il loro officio.

                                                                                                                                           II

2 Rub. 24 – L’officio dell’Avvocato e del Sindaco del Comune per le cause.

2 Rub. 25 – Gli officiali dei castelli del Comune di Fermo da imbussolare. I Castelli Maggiori.

2 Rub. 26 – Nomi dei Castelli medi.

2 Rub. 27 – Nomi dei castelli minori

2 Rub. 28 – Gli estratti dal bossolo debbono essere Cittadini Fermani.

2 Rub. 29 – Imbussolare i Castellani delle Rocche del contado.

2 Rub. 30 – Il sindacato dei signori Priori del popolo, e del Vessillifero di giustizia, e dei Regolatori e dei loro Notai.

2 Rub. 31 – Il sindacato degli officiali forensi. Breve del 1561 di Pio IV.

2 Rub. 32 – Il sindacato degli officiali dei Castelli del contado.

2 Rub. 33 – I Banditori del Comune e il loro officio.

2 Rub. 34 – L’officio dei Balivi del Comune di Fermo.

2 Rub. 35 – L’officio del custode delle carceri.

2 Rub. 36 – Le pitture da farsi nelle Porte.

2 Rub. 37 – Un divieto per gli officiali del contado.

2 Rub. 38 – Un divieto per gli officiali nella Città ed il cumulo degli offici.

2 Rub. 39 – Nessuno presuma di allontanare i cittadini o gli abitanti distrettuali fuori dal Foro della Città di Fermo.

2 Rub. 40 – Nessun Fermano o abitante distrettuale osi andare lontano per uno stipendio o né per una provvigione di qualcuno senza il permesso.

2 Rub. 41 – Non si costruiscano nuovi fortilizi, né siano ricostruiti quelli distrutti.

2 Rub. 42 – L’officio degli Ambasciatori del Comune di Fermo.

2 Rub. 43 – Il Podestà, e il Capitano e gli altri officiali del Comune di Fermo non vadano a fare ambasciate.

2 Rub. 44 – Coloro che ricevono l’onore della milizia.

2 Rub. 45 – Le vendite fatte dei beni degli esiliati.

2 Rub. 46 – L’officio del Notaio del Podestà che deve stare nel Porto.

2 Rub. 47 – Il Podestà o il Capitano o un loro officiale siano obbligati, ogni qualvolta sarà necessario, recarsi fuori Città a loro spese.

2 Rub. 48 – I Castellani non debbono essere ricevuti nel distretto di Fermo.

2 Rub. 49 – Tutti quelli dei castelli e delle Ville del Comune di Fermo siano considerati come Cittadini.

2 Rub. 50 – I Notai e i Balivi non debbono ricevere il salario dai sindaci dei Castelli e delle Ville.

2 Rub. 51 – La libertà concessa a coloro che vengono nella Città di Fermo per insegnare o per studiare.

2 Rub. 52 – I Cittadini, i quali non fanno subordinazione al Comune di Fermo, non siano difesi come Cittadini.

2 Rub. 53 – I Notai del Podestà, del Capitano, o del Giudice di giustizia, o di altro officiale, non possano rivelare al pubblico gli istrumenti.

2 Rub. 54 – Il Podestà sia obbligato a praticare la “franchigia” <esenzione da imposte> a coloro che vengono ad abitare nella Città di <Fermo>.

2 Rub. 55 – L’immunità da concedersi a coloro che vengono e vogliono abitare nelle terre e nei possedimenti che stanno nell’estimo per gli uomini della Città di Fermo.

2 Rub. 56 – I nobili del contado non paghino le collette <dazi>.

2 Rub. 57- Il Notaio degli estimi del Comune di Fermo.

                                                                                                                                                                                                                 III

2 Rub. 58 – Le pacificazioni da farsi ad opera del Podestà.

2 Rub. 59 – Il Podestà, o il Capitano o i loro officiali non dicano ingiuria ad alcuno.

2 Rub. 60 – La libertà e la franchigia per coloro che avranno abitato per 10 anni nella Città di Fermo, e per i vassalli che vengono e vogliono abitare in Città, e nessuno possa essere Procuratore per i forensi nel detto caso.

2 Rub. 61 – I Notai siano obbligati a redigere gli istrumenti.

2 Rub. 62 – Siano avuti il Sindaco e il Procuratore nella Curia Romana e nella Curia del signor Marchese.

2 Rub. 63 – Le lampade dei Mercanti della Città di Fermo.

2 Rub. 64 – Sia lecito di rinunciare a uno statuto.

2 Rub. 65 – Quando viene trattato un affare del Podestà o di una speciale persona in qualsiasi Consiglio o nella Cernita, l’interessato debba allontanarsene.

2 Rub. 66 – Se qualcuno abitasse o avesse l’abitazione ai confini delle contrade gli sia lecito farsi registrare nella contrada nella quale più gli piaccia.

2 Rub. 67 – Il Podestà, il Capitano e gli altri officiali del Comune siano obbligati e debbano fornire l’accoglienza di se stessi.

2 Rub. 68 – La custodia e l’immunità <dei Castelli> di San Benedetto, Monte Falcone e Smerillo.

2 Rub. 69 – Tutti i singoli abitanti di San Benedetto debbano accuratamente sorvegliare tale castello notte e giorno.

2 Rub. 70 – I mugnai devono eleggersi i loro Capitani.

2 Rub. 71 – Le vendite e le donazioni fatte da qualcuno che sarebbe diventato Cittadino.

2 Rub. 72 – L’osservanza degli statuti.

2 Rub. 73 – I poderi <rurali> siano soggetti ai tributi.

2 Rub. 74 – La parte delle vecchie condanne da dare agli officiali.

2 Rub. 75 – La giurisdizione del milite del Podestà.

2 Rub.76 – Le deleghe da dare a qualcuno sui denari e su altri beni del Comune.

2 Rub. 77 – I militi e gli officiali del Podestà e del Capitano non possano entrare nelle abitazioni per l’esecuzione dei reati civili e dei danni dati.

2 Rub. 78 – L’osservanza degli statuti delle Società e dei Castelli della Città di Fermo.

2 Rub. 79 – Tutti i pegni siano consegnati ad un Depositario.

2 Rub. 80 – Il compenso per le scritture e per le esecuzioni reali e personali e per gli altri beni da pagarsi agli officiali del contado.

2 Rub. 81 -L’elezione e l’officio del Bargello.

2 Rub. 82 – I Cittadini che sono nel governo nell’ufficio del Priorato.

2 Rub. 83 – Coloro che non vengono alla Cernita e al Consiglio e coloro che hanno impedimenti a venire.

2 Rub. 84 – Le chiavi delle carceri siano nelle mani al Podestà.

2 Rub. 85 – I debitori del Comune debbano essere iscritti nel registro Specchio.

2 Rub. 86 – Per coloro che fanno chiasso nelle Cernite o nei Consigli.

2 Rub. 87 – La riscossione delle condanne, tanto per reati quanto per i danni dati e per altri debitori fiscali.

2 Rub. 88 – Le insegne del Comune che non debbono essere donate ai Rettori.

2 Rub. 89 – Dare sostegno ai Cittadini Fermani e ai distrettuali per i vantaggi da conseguire.

2 Rub. 90 – Come si possa fare la supplica per i reati e per il pagamento dei capitoli dei soldi e per le grazie da ottenere.

                                                                                                                                                                                                                         IV

2 Rub. 91 – I custodi da eleggersi nei Castelli della riviera del mare.

                RUBRICHE DEL LIBRO TERZO

3 Rub. 1 – L’officio e la giurisdizione del Podestà e del Capitano e dei loro Vicari nelle cause civili.

3 Rub. 2 – Le citazioni nelle cause civili.

3 Rub. 3 – Il modo e l’ordine per fare la procedura nelle cause civili ordinarie o di livellari.

3 Rub. 4 – Gli interrogatori da fare in tribunale e le cose che tendono a fondare un futuro giudizio su questi.

3 Rub. 5 – Le ferie.

3 Rub. 6 – La disanima sommaria nelle cause dei “forensi” e per mezzo di rappresaglie risarcire il danno a chi ha sofferto il danno.

3 Rub. 7 – Le cause fra i cittadini e gli abitanti del contado da ultimare nella Città.

3 Rub. 8 – I testimoni e il loro esame.

3 Rub. 9 – Coloro che fanno la confessione in tribunale.

3 Rub. 10 – Le parti e il giuramento. 

3 Rub. 11 – Le cause e le liti di persone molto potenti.

3 Rub. 12 – L’esecuzione di un istrumento pubblico e di una scrittura privata.

3 Rub. 13 – L’esecuzione di un istrumento di garanzia.

3 Rub. 14 – L’esecuzione di una scrittura dal Notaio incaricato a scrivere i crediti dei mercanti.

3 Rub. 15 – Quali cose tra quelle possedute non possono essere prese in “tenuta”.

3 Rub. 16 – La cattura di un debitore sospetto e fuggitivo.

3 Rub. 17 – Il debitore che dimora nel contado.

3 Rub. 18 – La revoca di una “tenuta” presa sui beni di un altro piuttosto che del debitore.

3 Rub. 19 – L’alienazione di un pegno tanto concordata quanto pretoria <giudiziaria>.

3 Rub. 20 – Il modo di prestare un patrocinio e il compenso dei patrocinatori.

3 Rub. 21 – Nel tribunale non ammettere chi non abbia la matricola.

3 Rub. 22 – L’officio e la mercede dei Notai delle banche.

3 Rub. 23 – Che i Notai debbano essere iscritti nel Collegio o Matricola.

3 Rub. 24 – Le scritture e i protocolli dei Notai.

3 Rub. 25 – Gli istrumenti già pagati da restituire.

3 Rub. 26 – Regresso <rivalsa> del fideiussore contro il principale.

3 Rub. 27 – Gli arbitri e i conciliatori.

3 Rub. 28 – I compromessi da farsi fra congiunti.

3 Rub. 29 – La divisione di beni comuni.

3 Rub. 30 – I muri da farsi insieme.

3 Rub. 31 – Coloro che hanno alberi in terreno altrui e gli alberi che recano impedimento al vicino.

3 Rub. 32 – Le società, le colleganze e le cose comuni, e la richiesta di queste cose.

3 Rub. 33 – Le emancipazioni dei figli.

3 Rub. 34 – I tutori.

3 Rub. 35 – I pazzi, gli squilibrati, i dissipatori, i muti e simili e i loro curatori.

3 Rub. 36 – Le prescrizioni.

3 Rub. 37 – Gli acquirenti di un bene immobile.

3 Rub. 38 – Le cose acquistate pubblicamente oppure dai Pirati.

3 Rub. 39 – Che nessuno soccomba in una causa civile per una richiesta non valida.

3 Rub. 40 – I contratti falsi da reprimere.

3 Rub. 41 – L’alienazione dei beni dei minorenni.

                                                                                                                                                                                                                        V

3 Rub. 42 – L’alienazione dei beni delle doti.

3 Rub. 43 – Gli sponsali, il lucro dello sposo, sotto l’amministrazione di chi la sposa e i suoi beni siano governati.

3 Rub. 44 – La restituzione delle doti.

3 Rub. 45 – Le ultime volontà.

3 Rub. 46 – Le eredità, e i legati fatti all’ospedale di Santa Maria della Carità, e l’operaria di Santa Maria dell’Episcopato, e altri ospedali.

3 Rub. 47 – I legati fatti a favore dei luoghi religiosi o per scopi pii.

3 Rub. 48 – L’obbligo di fare l’inventario.

3 Rub. 49 – Le successioni a chi non ha fatto testamento.

3 Rub. 50 – L’esecuzione delle sentenze delle cause civili.

3 Rub. 51 – Secondo quali diritti le cause civili e gli affari debbano concludersi.

3 Rub. 52 – Le rappresaglie da concedersi.

3 Rub. 53 – I signori Priori del popolo e il Vessillifero di giustizia possano applicare tutte le rappresaglie.

3 Rub. 54 – Le disposizioni contro gli Ebrei.

3 Rub. 55 – Il giuramento degli Ebrei.

3 Rub. 56 – Le cause con tre giudici.

3 Rub. 57 – Le suppliche riguardanti le cause civili non siano accolte nel Consiglio di Cernita.

3 Rub. 58 – Il debitore contumace va messo al bando.

3 Rub. 59 – Quando le parti fanno un contratto si deve intendere in fiorini, non invece in ducati, né al contrario.

RUBRICHE DEL LIBRO QUARTO

4 Rub. 1 – Per quali reati o delitti si possa fare la procedura nell’indagine giudiziaria.

4 Rub. 2 – I Sindaci dei Castelli e delle Ville abbiano il potere e l’obbligo di denunciare i reati.

4 Rub. 3 – Il modo e la procedura da seguire nelle cause penali o miste.

4 Rub. 4 – Come si faccia la procedura contro chi si costituisce nelle cause criminali.

4 Rub. 5 – Come si debba fare la procedura contro un contumace nelle <cause> penali.

4 Rub. 6 – Nessuno, suo malgrado, sia costretto a fare un’accusa e non debba ammettersi un accusatore segreto.

4 Rub. 7 – Nelle cause penali i minorenni, i figli di famiglia abbiano una legittima persona <a tutela> e i benefici per questi stessi.

4 Rub. 8 – Come e quando nelle cause penali il procuratore, il tutore o il curatore o il padre vengano ammessi a favore del figlio.

4 Rub. 9 – L’abolizione da concedersi.

4 Rub. 10 – Le donne non siano costrette ad entrare nei Palazzi.

4 Rub.11 – I processi non iniziati da un Rettore sono da iniziarsi e ultimarsi da un altro.

4 Rub. 12 – Coloro che possono essere ammessi a testimoniare nel penale e l’esame dei testimoni.

4 Rub. 13 – Le torture.

4 Rub. 14 – Le sentenze penali da portare in Consiglio e tramite chi possono essere portate.

4 Rub. 15 -Nelle cose penali, quando e quali sentenze non possono essere pubblicate in Consiglio.

4 Rub. 16 – Il beneficio della confessione e della pace.

4 Rub. 17 – In quali casi la pace sia operativa, o no.

4 Rub. 18 – La pena da dimezzare per gli uomini dei Castelli, delle Ville del contado e del distretto di Fermo.

                                                                                                                                        VI

4 Rub. 19-Il raddoppio delle pene.

4 Rub. 20 – Le multe e le loro modalità.

4 Rub. 21 – I tempi per pagare le condanne.

4 Rub. 22 – A motivo della carenza di una formula giuridica una sentenza penale non sia invalidata.

4 Rub. 23 – I beni dei condannati.

4 Rub. 24 – Coloro che bestemmiano, maledicono Dio o i suoi santi e chi spergiura con malizia e in modi turpi, inopportunamente fanno qualunque cosa su di essi o contro le loro immagini o figure.

4 Rub. 25 – Le pene per chi disturba i divini uffici.

4 Rub. 26 – Le pene per i traditori e per i ribelli.

4 Rub. 27- Le pene per gli ambasciatori che eccedono sugli ambiti del mandato.

4 Rub. 28 – Le pene per coloro che fanno una conventicola, una congiura, una sommossa o cose simili.

4 Rub. 29 – Le pene di coloro che recano offesa ai signori Priori del popolo, al Vessillifero di giustizia, al loro Notaio o al Cancelliere del Comune.

4 Rub. 30 – Per stabilire il confino o la relegazione.

4 Rub. 31 – La pena per coloro che offendono i Rettori o gli officiali della Città e del contado e la loro famiglia.

4 Rub. 32 – Pe coloro che devastano le carceri.

4 Rub. 33 – La pena per coloro che si oppongono alle esecuzioni della Curia o che impediscono l’esecuzione stessa.

4 Rub. 34 – La pena di coloro che impediscono a qualcuno di far testamento, o fare contratti o disporre in altri modi dei propri beni.

4 Rub. 35 – Le carceri private.

4 Rub. 36 – Gli assassini e il loro pene, e i mandanti che fanno percuotere per mezzo di sicari.

4 Rub. 37 – Coloro che intercettano, asportano, sottraggono o invadono i beni mobili del Comune.

4 Rub. 38 – La pena di coloro che commettono peculato o frode nel loro officio.

4 Rub. 39 – La pena di coloro che commettono un furto, un furto di schiavi, o cose simili o inducono al male una domestica.

4 Rub. 40 – La pena di chi sottrae una bene mobile.

4 Rub. 41 – La pena di coloro che impongono una taglia o che fanno riscattare per mezzo di una taglia, o cose simili e <la pena> dei loro messaggeri.

4 Rub. 42 – L’omicidio.

4 Rub. 43 – I delitti, gli avvelenamenti, i negromanti e simili.

4 Rub. 44 – L’adulterio, lo stupro, l’incesto, il rapimento di vergini, il rapimento di consacrate a Dio, l’omosessualità, l’empietà, l’accoppiamento proibito e cose simili, i mezzani <lenoni>.

4 Rub. 45 – I furti e l’agricoltore o il bifolco con patto che commette un furto al patrono.

4 Rub. 46 – La pena di coloro che saccheggiano i beni di una eredità.

4 Rub. 47 – Le cose falsificate.

4 Rub. 48 – La pena di coloro che costringono al parto.

4 Rub. 49 – La pena di chi fabbrica o spaccia moneta falsa.

4 Rub. 50 – La pena di coloro che rivelano cose di fedeltà o segreti del Comune.

4 Rub. 51 – La pena di chi arreca offese insieme con un gruppo o senza.

4 Rub. 52 – La pena di chi minaccia con armi o senza.

4 Rub. 53 – La pena di chi colpisce con armi o senza.

4 Rub. 54 – La pena per coloro che percuotono un contrattista altrui.

                                                                                                                                                 VII

4 Rub. 55 – Il forestiero che offende un Cittadino.

4 Rub. 56 – Le parole offensive.

4 Rub. 57 – La pena per coloro che ripetono improperi.

4 Rub. 58 – <La pena> per coloro che offendono qualcuno a propria difesa e la pena di chi rifiuta la giurisdizione del Comune.

4 Rub. 59 – La pena per coloro che infrangono la pace.

4 Rub. 60 – Decreto del Consiglio sulle vendette trasversali, confermato dal Breve di Pio IV sotto la data a Roma 10 febbraio 1560.

4 Rub. 61 – Si devono dare i fideiussori sul non offendere.

4 Rub. 62 – La pena per colui che entra e esce dalla Città di Fermo o dai castelli in altro modo, non attraverso le porte.

4 Rub. 63 – La pena di chi guasta o occupa i muri della Città o dei castelli.

4 Rub. 64 – Gli incendiari e i distruttori dei mulini e delle abitazioni e di cose simili.

4 Rub. 65 – Gli Avvocati, i Procuratori, i Notai non siano accettati come fidejussori.

4 Rub. 66 – La pena di coloro che portano un’arma.

4 Rub. 67 – La pena di coloro che vanno in strada dopo il terzo suono della campana.

4 Rub. 68 – La pena per coloro che giocano ai dadi, o ad altro gioco proibito.

4 Rub. 69 – La pena di chi nega la parentela, il Notaio o cose simili.

4 Rub. 70 – La pena di chi richiede un debito già pagato, o più del dovuto.

4 Rub. 71 – La pena per coloro che invadono o occupano un bene immobile o infastidiscono qualcuno nella sua proprietà.

4 Rub. 72 – La pena per chi estrae o sposta i termini<a confine>.

4 Rub. 73 – La pena per coloro che occupano una tenuta assegnata ad opera della Curia.

4 Rub. 74 – Coloro che offendono gli esiliati.

4 Rub. 75 – Gli esiliati per le offese fatte contro i giurati del popolo.

4 Rub. 76 – La cattura dei forestieri che offendono i Cittadini.

4 Rub. 77 – Coloro che si siano sottratti o si siano rifiutati a motivo di qualche loro alta carica.

4 Rub. 78 – I malfattori che dopo un misfatto commesso si sono fatti religiosi.

4 Rub. 79 – I ricettatori degli esiliati.

4 Rub. 80 – La pena di coloro che prestano patrocinio, aiuto, consulenza o favore a qualcuno esiliato o condannato.

4 Rub. 81 – Il beneficio di un esiliato che presenta un altro esiliato.

4 Rub. 82 – Gli Avvocati e i Procuratori che si accordano per la quota della lite.

4 Rub. 83 – La pena per gli accusatori che non danno prove.

4 Rub. 84 – La pena di coloro che prestano aiuto, consiglio e favore per qualche reato o a chi compie qualche reato.

4 Rub. 85 – Gli istigatori a duello, senza la guerra.

4 Rub. 86 – L’esecuzione delle sentenze penali.

4 Rub. 87 – Si concepiscono in modo simile un genere con un altro <genere>, e un numero singolare con uno plurale, e viceversa.

4 Rub. 88 – I possedimenti dei Cittadini e i beni stabili non si debbono vendere e né trasferire a coloro che non sono sottoposti al Comune o non fare parentela con coloro non sottoposti.

4 Rub. 89 – Pena di chi uccide o bastona gli animali di qualcuno.

4 Rub. 90 – I reati non esaminati entro un mese nel contado.

4 Rub. 91 – La pena nella quale incorrono i disobbedienti ai signori Priori.

                                                                                                                                                                                                                       VIII

4 Rub. 92 – Gli albanesi che vengono nella Città di Fermo o nel contado per i delitti commessi fuori dal Distretto siano puniti come se avessero prevaricato in Città e nel contado.

4 Rub. 93 – La pena di coloro che commettono una frode sul proprio prezzo <estimo>.

4 Rub. 94 – Le pene non stabilite per mezzo di uno statuto.

RUBRICHE DEL LIBRO QUINTO SUGLI APPELLI

5 Rub. 1 – L’officio e la giurisdizione del signor Capitano.

5 Rub. 2 – Ancora sulla giurisdizione del signor Capitano.

5 Rub. 3 – Ancora sulla giurisdizione del signor Capitano contro le signore che portano ornamenti vietati.

5 Rub. 4 – Ancora sulla giurisdizione del signor Capitano.

5 Rub. 5 – Il signor Capitano sia obbligato a gestire l’officio delle gabelle <dazi>.

5 Rub. 6 – Il Capitano possa indagare tutti i misfatti.

5 Rub. 7 – Il Capitano sia obbligato a riscuotere le condanne.

5 Rub. 8 – Il Capitano indaghi contro chi offende il Podestà e i suoi officiali.

5 Rub. 9 – Il Capitano sia obbligato ad indagare su coloro che esportano le vettovaglie.

5 Rub. 10 – Condanne all’esilio da applicarsi per mezzo del signor Capitano.

5 Rub. 11 – I Balivi del signor Capitano.

5 Rub. 12 – In quali casi nella causa penale sia lecito fare appello, ed in quali no.

5 Rub. 13 – Gli appelli delle cause civili.

5 Rub. 14 – Nulla sia innovato durante la pendente fase di appello.

5 Rub. 15 – La condanna del giudice che non permette di fare appello.

5 Rub. 16 – Si intendano per i primi e per i secondi appelli tutti gi statuti che trattano le cause di appello.

5 Rub. 17 – Gli statuti che si riferiscono al Capitano abbiano vigore per il Giudice di giustizia e viceversa.

INCOMINCIANO I DANNI DATI

5 Rub. 18 – La giurisdizione e il potere del Giudice per i danni dati, le vie, i ponti e le fontane.

5 Rub. 19 – Per coloro che in prima citazione non si presentarono.

5 Rub. 20 – Il signor Capitano mandi i suoi Notai a rintracciare coloro che hanno arrecato un danno.

5 Rub. 21 – L’officiale non riceva alcunché da alcuna persona.

5 Rub. 22 – Il Capitano faccia e faccia fare un pubblico avviso che nessuno arrechi danno di persona o con animali.

5 Rub. 23 – Si deve concedere l’abolizione <della denuncia>.

5 Rub. 24 – I danni fatti alle casette.

5 Rub. 25 – Coloro che debbono essere ammessi ad accusare.

5 Rub. 26 – I danni fatti di persona.

5 Rub. 27 – La pena di chi coglie le olive di altri.

5 Rub. 28 – I danni procurati con animali.

5 Rub. 29 – La pena per chi recide un olivo e altri alberi

5 Rub. 30 – La pena per chi taglia le viti.

5 Rub. 31 – Come va emendato il danno fatto di giorno e di notte e ad opera di uno o molti>.

5 Rub. 32 – Coloro che dal Capitano, dai suoi officiali o dai suoi coadiutori sono stati sorpresi con frutti o con legna in Città, o in qualche via, e che non hanno un podere o un proprio “laborerio”.

5 Rub. 33 – la pena per colui che ha tracciato un sentiero.

5 Rub. 34 – La pena di chi ha tracciato un varco <passaggio sulla proprietà altrui>.

                                                                                                                                                                                                                 IX

5 Rub. 35 – Nessun Notaio possa sedersi nel banco del signor Capitano o di un Giudice.

5 Rub. 36 – Il Capitano o il Giudice di giustizia debbano redigere le sentenze.

5 Rub. 37 – I benefici della confessione e della pace.

5 Rub. 38 – La pena per gli incendiari.

5 Rub. 39 – La pena per chi arreca danno alle melarance.

5 Rub. 40 – La pena per coloro che si cambiano il nome.

5 Rub. 41 – A chiunque sia lecito di propria autorità catturare gli animali trovati a far danno nella sua proprietà, e abbia diritto alla quarta parte <della penalità>.

5 Rub. 42 – Un danno arrecato con i bovi e con altri animali, di cui non è reperibile il malfattore.

5 Rub. 43 – Il padrone non possa essere costretto a pagare una condanna fatta a un servo o su un bifolco.

5 Rub. 44 – La parte da dare all’accusatore o al denunciatore.

5 Rub. 45 – Il Capitano, il Giudice dei danni dati e i loro officiali siano obbligati a dare una copia al richiedente l’accusa, la denuncia o l’indagine.

5 Rub. 46 – Per i citati che non si presentano nel tempo stabilito.

5 Rub. 47 – Il bando da imporre dal signor Capitano e dei suoi giudici e degli officiali dei danni dati.

5 Rub. 48 – Dover catturare i condannati dalla Curia del signor Capitano o del giudice.

5 Rub. 49 – Coloro che di notte sono scovati a far danni dall’officiale o dai collaboratori del Giudice dei danni dati.

5 Rub. 50 – Nessuno porti legna, viti, canne, grosse o piccole con animali, o senza, ed i danni arrecati in recinzioni incustodite.

5 Rub. 51 – Il Capitano debba inviare uno dei suoi Notai nei villaggi, nei borghi, e nelle contrade di Fermo per indagare su coloro che arrecano danni.

5 Rub. 52 – Pene da raddoppiarsi per danni arrecati di notte.

5 Rub. 53 – Il signor Capitano o il Giudice per i danni arrecati non costringa alcuno prima che una condanna gli sia stata fatta.

5 Rub. 54 – La pena per i forestieri che arrecano danno nei possedimenti dei Cittadini o degli abitanti nel contado della Città di Fermo.

5 Rub.55 – Le pene non siano estinte fino a quando non è stato risarcito il padrone che ha subito il danno.

5 Rub. 56 – Entro quanto tempo è possibile fare la procedura sui danni dati.

5 Rub. 57 – Non si possa ricevere alcunché per la cancellazione di sentenze.

5 Rub. 58 – Il Capitano o il giudice di giustizia non possano sottoporre alcuno alla tortura a motivo dei danni arrecati.

5 Rub. 59 – La parte spettante all’officiale dei danni dati.

5 Rub. 60 – Per i danni arrecati non possa concedersi la grazia.

5 Rub. 61 – I custodi delle porte siano obbligati di andare insieme con l’officiale dei danni dati.

5 Rub. 62 – Le pene per chi piglia i piccioni nelle piccionaie.

5 Rub. 63 – La pena per chi prende o uccide i pesci nella fonte o nella pescheria.

5 Rub. 64 – La pena per chi cattura o devasta uno sciame di api.

5 Rub. 65 – Nei casi in cui sia ammesso l’accusatore, nei medesimi sia ammesso un denunciatore.

5 Rub. 66 – I sindaci dei Castelli e delle Ville della Città di Fermo, ai quali compete, devono prendere copia di tutti i detti statuti contenuti nel presente volume.

                                     INCOMINCIANO LE COSE STRAORDINARIE

                                                                                                                                                                                                                  X

5 Rub. 67 – I giorni festivi da celebrare nella Città e nel distretto di Fermo.

5 Rub. 68 – La libertà per coloro che vengono in piazza, senza che vi sia mercato.

5 Rub. 69 – La pena per coloro che esportano vettovaglie fuori dalla Città e dal distretto.

5 Rub. 70 – I pedaggi da NON riscuotere.

5 Rub. 71 – Nessuno da un Castello in riva al mare vada ad abitare altrove.

5 Rub. 72 – Il divieto di <importazione> del sale.

5 Rub. 73 – Le vesti e gli ornamenti delle donne.

5 Rub. 74 – I regali.

5 Rub. 75 – Il modo e il comportamento da praticare per il cordoglio dei morti.

5 Rub. 76 – I banchetti e le disposizioni da praticare nel lutto.

5 Rub. 77 – A nessuno sia lecito fare una nuova costruzione, né una fabbrica, né farla fare, o fabbricare presso una via pubblica o vicinale, senza avere avuto il permesso e la presenza e l’autorizzazione dell’officiale o del signor Capitano e dei vicini.

5 Rub. 78 – Nessuno possa vendere uve, o altri frutti non maturi.

5 Rub. 79 – Nessuno deve fare grange nello spazio entro la prima e la seconda ‘senaita’.

5 Rub. 80 – Nessuno abbia più di una grangia per ciascuna contrada o borgo.

5 Rub. 81 – Nessuno bifolco possa portare una qualunque arma.

5 Rub. 82 – Nessuno possa tenere se non quattro buoi da armento <stalla>.

5 Rub. 83 – Le vie e le strade nella Città sono da pulire e tener pulite.

5 Rub. 84 – La pena di chi fa sozzura nelle vie pubbliche.

5 Rub. 85 – Per chi getta una bestia morta presso le mura <della Città>.

5 Rub. 86 – Nessuno compri la frutta altrove se non in piazza.

5 Rub. 87 – Nessuno prenda qualche ‘gravaria’ <canaletto>.

5 Rub. 88 – Nessuno getti alcuna immondizia dall’alto.

5 Rub. 89 – Il Capitano o il Giudice debbono costringere <al trasporto> i carrettieri, i vetturali e i mulattieri.

5 Rub. 90 – Il Giudice abbia l’arbitrio di indagare e di fare la procedura contro tutti coloro che avessero asportato le pietre dalla via che sta presso la strada di San Francesco.

5 Rub. 91 – La giurisdizione del Giudice sui ponti, sulle fonti, sulle vie e la parte del giudice su quanto riscosso.

5 Rub. 92 – Nessuno getti letame o immondizie nella via del mare o entro le mura.

5 Rub. 93 – Nessuno debba caricare di spese qualche lavoratore.

5 Rub. 94 – Dover lastricare le vie e gli androni.

5 Rub. 95 – Le vie, i ponti e le fontane da riadattare e da riparare.

5 Rub. 96 – Per coloro che abbiano occupato, e tengono occupate qualche via comunale, o vicinale, o un ponte o una fonte o il terreno di queste.

5 Rub. 97 – La pena per chi fa immondizia nel piazzale di San Salvatore.

5 Rub. 98 – La “biblia” <letame> non deve fluire.

5 Rub. 99 – Non si scavi presso il confine di qualcuno, o di un fossato o di una via.

5 Rub. 100 – Nessuno possa zappare il terreno sulle strade del Comune.

5 Rub. 101 – Le questioni dei confini si debbono terminare rapidamente.

5 Rub. 102 – La condanna per coloro che hanno una fornace entro le mura della Città di Fermo.

5 Rub. 103 – Per le gronde <scoli>.

5 Rub. 104 – La penalità per coloro che pigiano <uva> acerba.

5 Rub. 105 – I maiali non possono essere tenuti nella Città.

                                                                                                                                                                                                                 XI

5 Rub. 106 – La pena per coloro che lavano presso le fontane.

5 Rub. 107 – Coloro che possono impunemente entrare in un Monastero <di monache>.

5 Rub. 108 – Le pecore che sono mandate nei pascoli della Città di Fermo.

5 Rub. 109 – Il compenso da esigersi per gli animali condotti nel ricovero.

5 Rub. 110 – Per i lebbrosi da mandarsi fuori dalla Città.

5 Rub. 111 – Le abitazioni da distruggere a causa di un incendio.

5 Rub. 112 – Le abitazioni da non distruggere.

5 Rub. 113 – Le terre da coltivare nella Città di Fermo e nel distretto di Fermo.

5 Rub. 114 – I servitori e i contrattisti che si allontanano dai padroni prima del tempo promesso.

5 Rub. 115 – Le cassette del Comune e altre misure.

5 Rub. 116 – Le stadere e gli altri strumenti di misura.

5 Rub. 117 – Gli strumenti di misura sono da farsi uguali nei Castelli e nelle Ville del Comune di Fermo e il modo di misurare i frutti.

5 Rub. 118 – Non abbandonare l’incastellamento di qualche castello del Comune di Fermo.

5 Rub. 119 – Sia lecito a coloro che hanno Mulini di prendere l’acqua alla sorgente di un terreno altrui, dove l’acqua viene raccolta per questo molino.

5 Rub. 120 – I molinari <mugnai>.

5 Rub. 121 – I beccai o i macellai.

5 Rub. 122 – I pesci da vendere.

5 Rub. 123 – I fornai.

5 Rub. 124 – I panificatori e i venditori di pane.

5 Rub. 125 – Non si debbono acquistare i beni commestibili entro le ‘senaite’ della Città.

5 Rub. 126 – Le modalità e formalità da dare a chi fa ospitalità.

5 Rub. 127 – Nessuna persona prenda come ‘tenuta’ un possedimento del Comune.

5 Rub. 128 – L’aiuto da farsi a coloro che vogliono fare una cisterna.

5 Rub. 129 – Il vino e il mosto da portarsi in Città, e la sicurezza per chi viene in questa Città per acquistare tale vino o mosto.

5 Rub. 130 – La calce, le pietre, la sabbia, i mattoni, i coppi e i fornaciai.

5 Rub. 131 – I commercianti mettano in mostra un panno fuori dalle abitazioni o dalle botteghe.

5 Rub. 132 – I fornai non riscaldino il forno con la nocchia di olive.

5 Rub. 133 – I tavernieri.

5 Rub. 134 – Il lino non si deve stigliare entro la Città.

5 Rub. 135 – I Giudei non entrino nei palazzi, non vendano cose vietate, e camminino con il loro segno.

5 Rub. 136 – La stipula di penalità sulla costruzione di muri della Città.

5 Rub. 137 – Per i Cittadini che rifiutano di pagare le tasse dei possedimenti che hanno nel contado.

5 Rub. 138 – non fare tratti <spazi> secchi nel fiume Tenna.

5 Rub. 139 – I Torrioni del Comune non siano dati in locazione.

5 Rub. 140 – Non sono da acquistare i frutti anzitempo.

5 Rub. 141 – I carri che non si debbono mandare in Città.

5 Rub. 142 – Le donne svergognate sono da cacciare dalla contrata e possono in un luogo fare l’arte delle meretrici.

5 Rub. 143 – La pena per coloro che vanno fuori dal distretto a paga.

5 Rub. 144 – La pena per coloro che vanno a macinare fuori dal distretto.

5 Rub. 145 – Gli alimentari siano venduti al colmo.

                                                                                                                                                                                                                  XII

5 Rub. 146 – Il cittadino e l’abitante nel contado, che fosse un lenone possa essere catturato come manigoldo.

5 Rub. 147 – La vendita di legumi e di altre erbe <commestibili>.

5 Rub. 148 – La sistemazione delle strade della Città.

5 Rub. 149 – I legnami non siano esportati per mare.

5 Rub. 150 – Il prezzo e la misura dei cerchi.

RUBRICHE DEL LIBRO SESTO

6 Rub. 1 – Dovere di pagare il dazio per libra.

6 Rub. 2 – Il dazio sull’oliva che si vende o che si compra

6 Rub. 3 – Il dazio dell’olio.

6 Rub. 4 – Il dazio dell’olio da importare da Terre non sottoposte <a Fermo>.

6 Rub. 5 – Il dazio del pistrino.

6 Rub. 6 – Il dazio sulle drapperie dei panni <stoffe ornamentali>

6 Rub. 7 – Su botticelli, legnami e cerchi.

6 Rub. 8 – Dazio sul peso delle mercanzie.

6 Rub. 9 – Dazio del lino, del peso e della misura e dei panni.

6 Rub. 10 – Sui forni.

6 Rub. 11 – La pellicceria.

6 Rub. 12 – I venditori ambulanti.

6 Rub. 13 – Dazio dei fornaciai e delle concerie di cuoio.

6 Rub. 14 – La misura dei cereali e delle altre mercanzie.

6 Rub. 15 – Il dazio sul pane.

6 Rub. 16 – Il dazio delle cose pagato una volta non è più da pagare.

6 Rub. 17 – Sugli stracci dei panni.

6 Rub. 18 – Il dazio di noci, fichi e seme di lino.

6 Rub. 19 – Il legname verde e stagionato elaborato non sia esportato fuori dalla Città.

6 Rub. 20 – Per coloro che mandano il lino ‘graminato’ e scapezzato nella città di Fermo.

6 Rub. 21 – Per coloro che forniscono cacio, melarance e nocciole.

6 Rub. 22 – Per la vendita di cera e spezie.

6 Rub. 23 – Sulla lana da vendersi in Città.

6 Rub. 24 – Sul carbone.

6 Rub. 25 – Sulle castagne.

6 Rub. 26 – Sul vetro elaborato.

6 Rub. 27 – Sulla mola o macina per i mulini.

6 Rub. 28 – Non importare le mercanzie se non attraverso le porte della Città.

6 Rub. 29 – Non mettere tributi del Comune.

6 Rub. 30 – Per i vetturali e i barcaioli.

6 Rub. 31 – Per i pesi (salme) di studenti, religiosi e officiali.

6 Rub. 32 – La dichiarazione dell’acquisto e della vendita di ogni cosa, su cui viene pagato il dazio.

6 Rub. 33 – L’arbitrio del giudice e degli altri officiali esattori dei dazi del Comune.

6 Rub. 34 – Gli esattori dei dazi.

6 Rub. 35 – L’aiuto e l’agevolazione da praticare con gli officiali dei dazi.

6 Rub. 36 – Le penalità da riscuotere.

6 Rub. 37 – Gli officiali posti a riscuotere i dazi.

6 Rub. 38 – Il divieto per l’avvocato e per il procuratore sul dazio.

                                                                                                                                                                                                                   XIII

6 Rub. 39 – Non fare una riscossione oltre il dazio dovuto, né aggravarlo in contrasto alla forma del presente statuto.

6 Rub. 40 – Per le cose non menzionate.

6 Rub. 41 – Le pene per coloro che agirono contro le disposizioni dei presenti statuti.

6 Rub. 42 – Sui tempi per pagare i dazi e a chi <pagare>.

6 Rub. 43 – Per coloro che hanno qualche immunità di dazio.

6 Rub. 44 – Il dazio sul vino venduto a salma o alla spina.

6 Rub. 45 -Il dazio dell’immagazzinaggio nel Porto di Fermo.

6 Rub. 46 – Nessun padrone di navi possa caricare e scaricare qualche sua mercanzia senza il permesso di un officiale.

6 Rub. 47 – Sulle navi e sulle barche.

6 Rub. 48 – Sul rame nuovo e vecchio.

6 Rub. 49 – Il dazio sulla macelleria e sulle parti, e per coloro che mandano le carni salate o fresche nella Città o nel Porto di Fermo.

6 Rub. 50 – Per coloro che forniscono agnelli, capretti o maialini.

6 Rub. 51 – Per coloro che acquistano agnelli, capretti e maialini con lo scopo di rivenderli.

6 Rub. 52 – Gli animali che possono essere comperati dai macellai.

6 Rub. 53 – La vendita di carni da parte dei macellai e la loro pesatura.

6 Rub. 54 – Il dazio delle bestie vendute dai macellai da pagarsi entro una scadenza.

6 Rub. 55 – I maialini da vendersi cotti.

6 Rub. 56 – Sulle carni da comperare per banchetti, per il <lutto> settimo giorno e per le nozze

6 Rub. 57 – Il dazio sui pesci.

6 Rub. 58 – Sui maiali che debbono essere macellati dai cittadini.

6 Rub. 59 – Sule carni salate da esportare per mare.

6 Rub. 60 – Sugli animali malati o morti che si possono vendere.

6 Rub. 61 – Sulle pelli da importare nella Città e nel Porto.

6 Rub. 62 – Gli animali acquistati per mezzo di macellai debbono essere macellati entro un certo tempo.

6 Rub. 63 – Sui cuoiami e sulle pelli da acquistare nella Città.

6 Rub. 64 – Il dazio dei cavalli, dei somari e di altre bestie.

6 Rub. 65 – Il dazio degli animali da allevamento o da tenere nei pascoli.

6 Rub. 66 – Il dazio sui cavalli da destinare al trasporto.

6 Rub. 67 – Il dazio su “bozza” e sulle parti e su cibarie che sono vendute.

6 Rub. 68 – Il dazio sulla farina.

6 Rub. 69 – La pesatura dei cereali.

6 Rub. 70 – Il dazio sulle cose date a cottimo.

6 Rub. 71 – Sul pane da portare in Città o al Porto.

6 Rub. 72 – Il dazio sugli animali dati in soccida <soci>.

6 Rub. 73 – Il dazio del mercato di Belmonte <di Fermo>.

6 Rub. 74 – Il dazio degli animali che transiteranno nel distretto di Fermo.

6 Rub. 75 – Il dazio sul transito.

6 Rub. 76 – Il forestiero possa esportare fuori dal contado ogni mercanzia, ad eccezione del lino e del canavaccio.

6 Rub. 77 – L’abitante del contado possa introdurre mercanzie nel territorio del contado senza dazio, perché paga l’assegna (tassa).

                                                                                                                                                                                                                 XIV

6 Rub. 78 – Chiunque esporti fuori dalla Città e dal contado il lino, la lana, i panni, i canovacci, le sementi, le noci o altra mercanzia, paghi il dazio.

6 Rub. 79 – Il forestiero che porta, soprattutto vende qualcosa nel mercato di Belmonte, paghi il dazio, e possa portare indietro l’invenduto.

6 Rub. 80 – Sia lecito all’abitante del contado di barattare e vendere fuori dal contado un bue malandato.

6 Rub. 81 – Sia lecito al forestiero portare indietro la mercanzia non venduta, dopo aver pagati 6 denari per libra delle cose vendute.

6 Rub. 82 – A nessuno sia lecito esportare cereali fuori dal distretto, raccolti nello stesso distretto e nel contado.

6 Rub. 83 – Sia lecito agli abitanti del contado, fra loro stessi, di vendere, di comperare, e di portare mercanzie, perché pagano l’assetto <assegna>.

6 Rub. 84 – Qualsiasi forestiero recante mercanzie sia obbligato a pagare il dazio al primo daziere incontrato nel contado.

6 Rub. 85 – Il dazio sul passo.

6 Rub. 86 – I caricatori e gli scaricatori.

6 Rub. 87 – Il dazio del sale, dei pascoli, del baratto e di “scarfina” < controllo> non va incluso nelle vendite dei dazi.

6 Rub. 88 – Per coloro che portano i panni alle tintorie in Città.

6 Rub. 89 – Gli abitanti del contado possano venire con 6 buoi senza un pagamento di dazio.

6 Rub. 90 – L’esenzione per coloro che fanno l’arte della lana.

6 Rub. 91 – I mercanti forestieri possano portare le loro mercanzie, e non vendendo dal 15 luglio, possano portare via le merci senza dazio o imposta.

6 Rub. 92 – L’esenzione per i chierici sopra i dazi.

                                         Sulla stessa cosa la dichiarazione e la risoluzione: 29 marzo 1583.

6 Rub. 93 – Sul pagamento del dazio non si possa concedere il condono né una fine.

                                                      FINE DELLA TAVOLA <INDICE>\\\\\\

<Uniti poi> –  I Capitoli del mercato e della fiera della Città di Fermo.

                 –  Gli Ordinamenti e le consuetudini del mare, editi dai Consoli della Città di Trani.

                 –  L’Ordinamento, la consuetudine e il diritto di “varea” secondo gli Anconetani.

 <1°testo poetico di> Giovanni Battista Evangelista di Fermo professore di lettere umane

                                                                       nel Ginnasio Fermano

 – Realtà Fermane perenni, con questa giuridica costituzione,

 l’onore, la fama, la gloria, la libertà, esistettero ed esisteranno.

   Solone descrisse i diritti per la dotta Atene del suo tempo,

finalmente con quella patria città educò la vita quotidiana.

   Licurgo per fama è noto che arrecò le leggi agli Spartani,

tuttavia la Città fu oppressa dal giogo della tirannia.

   Sono eterni soltanto i diritti dell’avito Quirino:

anche i soli diritti del territorio Fermano sono ratificati

   chiaramente soltanto perché l’equità, la legalità, e la pietà

stanno abbracciati a queste leggi e ai diritti e al bene.

   Fermo sarà elevata sopra le stelle praticando queste leggi.

Questa discendenza resiliente aspira al cielo

nella prudenza giuridica”.

*                                                                                                                                                                                                                      XV

<2° testo poetico> EPIGRAMMA di Aquilante Simonetti fermano professore di lettere umane

                                                         per la Magnifica Comunità di Fermo.

Ti mantieni duratura poiché sei fondata su ben fermo calcare,

   mantieni dignitosa la tua fama poiché sei ferma nella fede,

o Città di Pallade, decoro di Marte e della fertile Cerere,

   con gioia infatti questi diedero a te ciascuno i suoi doni.

Pallade ti affida il suo senno e le arti naturali.

   E Marte muove le armi con la mano che è vincitrice.

La nutrice Cerere chiama i frutti mentre per lei l’abbondanza

    effonde ogni lieta cosa dal suo munifico corno.

Insigne nel tempo per i padri cittadini romani e per i condottieri

   ora tu sei più gloriosa all’interno e all’estero.

Febo con la sua luce come stelle vince ogni cosa

   e così unica tu risplendi sopra le Città di Piceno

giacché con il diritto si praticano la rettitudine, la pietà, la legalità

   affinché con ciò il foro non strepiti per le liti e per i legulei.

Ciò che i Quiriti ebbero nelle Dodici Tavole, tu

   ora lo sveli con mandati a favore dei cittadini e degli alleati.

Pertanto viva tu felice, favorevole al benessere pubblico

   e il tuo nome colpisca l’eccelso cielo.

*

EUGENIO QUARTO anni 1445 e 1446

Eugenio vescovo servo dei servi di Dio a perpetua memoria. Consideriamo dignitoso e doveroso che aggiungiamo la stabilità della protezione Apostolica alle cose che sappiamo concesse e fatte di nostra volontà per mezzo delle nostre legittime persone per l’utilità e a comodo dei nostri sudditi e di questa Chiesa affinché rimangano stabili e inviolate. Chiaramente di recente alcuni patti, capitoli e convenzioni tra il Legato della Sede Apostolica, nostro Camerario, il Cardinale Presbitero del titolo di San Lorenzo in Damaso, diletto figlio Ludovico, a nome nostro e di questa Chiesa, con i diletti figli, la Comunità e gli uomini della Città nostra Fermana sono stati avviati, conclusi e concessi per loro comodo e utilità e per il buon governo, e abbiamo fatto inserire scritta nel presente atto la loro copia. Pertanto da parte degli stessi di questa Comunità e dei suoi uomini è stata rivolta una supplica umilmente affinché ci degniamo di aggiungere la protezione della conferma Apostolica per la sussistenza più stabile di questi stessi. Noi pertanto ben disposti verso tali suppliche, d’autorità Apostolica, confermiamo le convenzioni, i patti e i capitoli con la consapevolezza certa e con il patrocinio della presente scrittura li rafforziamo. In realtà il contenuto dei predetti capitoli e delle loro singole concessioni è questo. Da parte del Comune e degli uomini della nostra Città Fermana e del suo contado umilmente viene supplicato e richiesto che ci degniamo di concedere allo stesso Comune, con liberalità, per la divina volontà molto reverenda, le seguenti petizioni e i capitoli.     Anzitutto la comunità della detta Città goda e debba godere di tutti i singoli privilegi, gli statuti e le delibere, le consuetudini, i capitoli, le comodità e le giurisdizioni finora in vigore in questa Città, cose concesse a questa e approvate in qualsiasi modo e in qualsiasi forma da Sommi Pontefici, da Legati, da Rettori e da Vicari della Chiesa Romana. E si intenda che queste giurisdizioni, privilegi, statuti, delibere, consuetudini e capitoli siano e sono approvati e confermati e vengano approvati e confermati e siano praticati come confermati inviolabilmente da parte di chiunque. /\= PLACET, purché non siano contro la libertà Ecclesiastica.

                                                                                                                                                                                                                      XVI

   Inoltre che tutte le singole entrate e i proventi di questa Città e del suo contado e del distretto, tanto ordinari che straordinari in qualsiasi modo e in qualsiasi forma provengano, tanto le entrate delle gabelle <dazi> e dell’assegna del contado, come anche dei reati e degli altri proventi di questa Città e del contado siano e debbano essere del Comune di Fermo e dei suoi uomini e che questa comunità e il contado e i suoi uomini non hanno altri obblighi verso la Camera Romana e verso il santo signore nostro Papa presente e per i futuri, neppure verso altri Rettori né per ogni qualsivoglia officiale della Provincia della Marca, se non esclusivamente soltanto di pagare le taglie, i censi e gli affitti. /\ = PLACET

   Inoltre questa comunità Fermana, e gli officiali e i Rettori di questa Città abbiano e debbono avere il mero e misto impero e la libera potestà di investigare, e di punire su tutti e qualsiasi gli eccessi e i reati commessi e che si commetteranno in questa Città, nel contado, nei fortilizi, nel distretto, eccessi e delitti che avvengano di qualsiasi genere. /\ = PLACET

   Inoltre le cause di primo e di secondo grado, tanto quelle civili, quanto quelle penali siano investigate e debbano essere investigate per opera del Podestà, del Capitano e degli altri ufficiali di questa Città, secondo la forma degli statuti e secondo la consuetudine di questa Città. /\  = PLACET

   Inoltre questa Comunità della Città di Fermo abbia pieno e libero potere e autorità e arbitrio di eleggere chiunque a Podestà, a Capitano, a Cancelliere e per tutti quanti gli officiali, i Rettori, tanto in questa Città, quanto nel contado, per sua propria autorità, purché non siano persone sospettate dalla Santa Romana Chiesa e dal sommo pontefice. E l’elezione di questi officiali non avvenga per opera di altri se non del Comune e degli uomini di questa Città. /\ = PLACET.

   Inoltre né questa Città Fermana, né alcun Castello del contado e del suo distretto possano né debbano in alcun modo essere sottoposti né dati ad alcuna persona, ma stiano sempre sotto il dominio della Santa Romana Chiesa e i Castelli del contado stiano sotto il pieno dominio di questa Città. /\ = PLACET.

   Inoltre tutti i Castelli, i luoghi e le Terre, che finora sono stati sotto il dominio di questa Città, del contado e del distretto suo, siano e debbono stare in futuro sotto il pieno dominio di questa Città, e non possano né abbiano validità per nessun titolo, o motivo di essere sottoposti ad alcuna persona ecclesiastica o secolare, né ad alcuna Comunità, o Collegio, né essere liberati in qualsiasi modo dal dominio di questa Città e tutti i singoli privilegi, i patti e i capitoli, fatti o concessi dai Sommi Pontefici e da qualsiasi altro suo Legato o Rettore riguardo ad alcuni Castelli e luoghi o Terre, che finora sono stati tenuti e posseduti da questa Città e sotto il suo dominio, siano atti inutili, non validi, e annullati e siano considerati annullati, non validi ed inutili. E questi patti e capitoli siano qui considerati come espressi distintamente ogni singolo e siano revocate tutte le sottomissioni fatte in contrasto e questi luoghi e Castelli che al presente fossero posseduti o tenuti da altri, siano restituiti a questa Comunità, senza alcun pagamento che questa debba fare, come il Castello di

Acquaviva con le sue pertinenze e il Castello di Monteverde siano restituiti. /\ = PLACET, in ogni cosa eccetto per quelli per i quali i privilegi Apostolici hanno disposto in altro modo.

   Inoltre questa Città Fermana e i suoi uomini possano ed abbiano potere di fare affrancamento e fare e concedere a tutti i singoli uomini e alle persone di venire, da qualsiasi luogo ad abitare in questa Città, come vogliono, o portando le loro mercanzie e cose, come vogliono, in questa Città Fermana e nel suo contado, senza che possano essere contrastati da alcuno officiale né da un Rettore di chiesa. /\ = PLACET sulle cose spettanti a questa Città.

   Inoltre che tutti e singoli contratti fatti e celebrati e i processi agitati e le sentenze emanate a tempo del conte Francesco <Sforza> tanto nella Curia degli ufficiali della Città Fermana o del suo contado, quanto anche nella Curia generale della Marca siano considerati decisi e validi e stabili e

                                                                                                                                                                                                              XVII

non siano in alcun modo invalidati, né revocati, né annullati, nonostante ogni cosa che sia in contrasto. /\ = PLACET

   Inoltre se alcune sottomissioni o privilegi o concessioni siano state fatte o concesse ad alcune persone o Comunità riguardo ad alcuni beni mobili o immobili, a diritti, e ad azioni appartenenti e spettanti a questa Città Fermana o ad alcuni Cittadini e abitanti del contado o dimoranti ivi e siano cose, e contro i diritti di costoro, al tempo dell’occupazione del Conte Francesco Sforza sulla Provincia della Marca, siano cose nulle, inutili, e senza validità. E questa Città e i predetti uomini e persone, siano restituiti nei loro beni, e nei diritti di cui godevano prima della detta occupazione, in ogni qualsiasi luogo e Terra della Provincia della Marca questi beni e diritti persistano.

/\ = Giustizia sarà fatta.

    Queste suppliche furono date, firmate e sottoscritte con impresso il consueto sigillo ad opera di me Pietro Lunense, Segretario sottoscritto per mandato del reverendo in Cristo il signore e padre signor Ludovico d’Aquileia Cardinale Presbitero della Santa Chiesa Romana del titolo di San Lorenzo in Damaso, Camerario del signor Papa, Legato della Sede Apostolica, eccetera, nella Terra di Montecchio il giorno 11 dicembre dell’anno 1445, indizione ottava, nell’anno quindicesimo del Pontificato, per divina provvidenza, del santo padre in Cristo e signore nostro Eugenio quarto. Pietro Lunense. Non sia lecito ad alcun uomo pertanto infrangere questa pagina della nostra conferma e della convalida, né alcuno con audacia temeraria si ponga in contrasto. Se tuttavia qualcuno abbia presunto tentarlo, sappia che egli incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo. Dato a Roma presso San Pietro nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1446, giorno ottavo alle calende di aprile <25 marzo>, nell’anno sedicesimo del nostro Pontificato.   Poggio. Promulgata per mandato del Papa nostro signore.    A. de Corneto. Registrata in Camera Apostolica.  P.

*

PAOLO IV Papa   anno 1555

 Ai diletti figli i Priori e alla Comunità e agli uomini della Città nostra Fermana.    Diletti figli salute e Apostolica benedizione. Di recente avete mandato a Noi i vostri oratori che volentieri abbiamo considerato e ascoltato, i diletti figli Matteo Corrado e Andrea Francolini laici e cittadini Fermani con la vostra lettera per supplicare affinché ci degnassimo di confermare gli statuti, i privilegi, gli indulti, le delibere, le consuetudini, le giurisdizioni, le libertà, le facoltà, le immunità, le convenzioni, i patti e i capitoli di questa nostra Città di Fermo. Pertanto noi ben disposti a tali vostre suppliche, con questo ordine di autorità apostolica e con la nostra certa consapevolezza approviamo e confermiamo e convalidiamo con il patrocinio della presente scrittura, tutti i singoli statuti, i privilegi, gli indulti, le delibere, le consuetudini, le giurisdizioni, le libertà, le facoltà, le immunità, le convenzioni, i patti e i detti capitoli e le altre cose, a voi concesse, date, confermate, rinnovate tanto con una lettera in forma di Breve, quando con <sigillo> di piombo, specialmente dalle felici memorie Eugenio IV, Giulio II, Leone X, Adriano VI, Clemente VII, Paolo III, Giulio III e dagli altri Romani Pontefici nostri predecessori, considerando che i contenuti di essi siano come espressi in modo sufficiente con il presente atto, per tutto quello che queste cose sono in uso, e che non tendono a contrastare la libertà ecclesiastica. Ordiniamo, in virtù di santa obbedienza e sotto la pena della nostra indignazione, a tutti i singoli Legati, Vice Legati, Commissari della nostra Provincia della Marca anconitana e al Governatore della detta Città, ed agli ufficiali e agli esecutori tutti, quelli ci sono ora o che ci saranno nel tempo e ad altri a cui compete, in modo che essi adempiano e facciano adempiere completamente tutte le cose dette sopra senza ritardo e con precisione, sotto le dette e altre sentenze, censure ed anche multe da infliggere a loro arbitrio e da applicare con le pene

                                                                                                                                                                                                                     XVIII pene e vi assistano con i favori opportuni. E dichiariamo sin da ora che ogni cosa in contrasto a questo è senza validità e inutile qualora avverrà che ogni qualsivoglia autorità consapevolmente o ignorantemente tenti di farlo, e nonostante qualsiasi costituzione e nonostante gli ordini apostolici, o anche provinciali e gli atti editi da concili sinodi generali e nonostante ogni altra qualsiasi cosa in contrasto. Dato a Roma presso San Marco nel segno dell’anello del Pescatore, il giorno 8 giugno 1555 anno primo del nostro pontificato.      S. Giovanni da Larino

*

SISTO V PAPA anno 1586

Ai diletti figli, alla Comunità e gli uomini della Città nostra Fermana.    Diletti figli salute e Apostolica benedizione. La costanza della fedeltà e la sincerità della devozione con cui venerate noi e la Chiesa Romana ci inducono a dare il consenso volentieri alle vostre oneste petizioni. Inclinati pertanto alle vostre suppliche con l’autorità Apostolica a tenore del presente atto, con la nostra certa consapevolezza, approviamo e confermiamo e aggiungiamo la forza della validità perpetua e inviolabile per tutti e singoli i vostri statuti, gli ordini e le delibere, nonché i privilegi, le concessioni, le immunità, le grazie e gli indulti che fino ad ora sono stati concessi nel tempo a voi e alla vostra Comunità, ad opera di qualsiasi dei Romani Pontefici nostri predecessori, e dei loro legati in quanto queste cose esistono nell’uso e non attentano contro la libertà ecclesiastica né a pregiudizio per la Camera Apostolica, inoltre approviamo le tasse delle mercedi per i giudici e per i notai penali di questa nostra Città Fermana assegnati ad opera vostra e approvati altra volta ad opera del diletto figlio il nobiluomo Jacopo Boncompagni di questa Città, allora Governatore di questa Città, con anche un rescritto edito dallo stesso Governatore Jacopo riguardante le indagini da fare sopra alcune cause da esaminare rispettivamente ad opera della Curia del Capitano di questa Città e ad opera dei Vicari dei Castelli del suo contado e ammesso dal suo luogotenente il giorno 2 aprile 1578 e il giorno 4 dello stesso mese, intimato al Cancelliere Penale e al Capitano, al di là tuttavia del pregiudizio delle riscossioni e degli altri diritti Camerali e pertanto diamo ordine e comandiamo che si faccia un’esatta osservanza, a tutti quelli a cui compete, decidendo come non valido e nullo tutto quello che da qualsivoglia autorità o consapevolmente o ignorantemente capiterà che si tenti di fare in contrasto a queste cose; nonostante la costituzione del Papa Pio IV di felice memoria nostro predecessore sul dover registrare e insinuare le grazie della Camera Apostolica concernenti l’interesse della stessa Camera entro un certo tempo e nonostante qualsiasi altra Costituzione e gli ordini Apostolici e nonostante il giuramento della Città di Fermo e nonostante la conferma Apostolica o qualsiasi altra validità rafforzata con statuti e consuetudini e privilegi anche con indulti e lettere apostoliche in qualsiasi modo concessi, approvati e rinnovati. Consideriamo i contenuti di essi siano come espressi in questo atto, ad effetto delle cose dette sopra, deroghiamo, per lo meno in modo espresso e speciale, ogni altra cosa in contrasto. Data a Roma presso San Pietro con sigillo dell’anello del Pescatore il giorno 10 febbraio 1586 anno primo del nostro Pontificato.            Giovanni Battista Canobi.

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L’IMMACOLATA mediatrice reca la PACE. Il segno eucaristico di Gesù in croce, sacerdote, altare e vittima.

L’IMMACOLATA RECA SICURAMENTE LA PACE. Il 1° giugno 1958 al bivio tra Polonia, Slovacchia e Moravia, presso Turzovka, il veggente Mattia Laschut ha avviato la preghiera «REGINA di Turzovka stendi il tuo manto su di me». l’Immacolata di Lourdes (centenario 1858) gli appare con il messaggio di pregare soprattutto il Rosario (più per i Sacerdoti), e chiede per quanto possibile fare penitenza, accogliere i Sacramenti, ravvedersi perché il peccare è distruggere e morire spiritualmente, e bisogna rifiutare il maligno. Se le persone non si convertiranno verranno catastrofi da sterminio, crateri, esplosioni, una sostanza diffusa a distruggere tutto.  Mattia Laschut sotto regime comunista (65 anni fa) fu internato come malato mentale. Sul luogo dell’apparizione venne scoperta un fonte sorgiva e il 1 maggio 1965 nel cielo si è stagliato un enorme Sacro Cuore. Il santuario che i fedeli costruirono è senza pareti a forma di croce. Il veggente nel guadare l’Immacolata ha letto una scritta con sette novità o segni. Il settimo segno è il trionfo dell’Immacolata che porta ogni pace. Il quinto e il sesto segno riguardano il Papa. Per esprimere in breve il mio pensiero dico che il principale di tutti i segni “mariani” riguarda (anche a Medjugorie) il culto al Cuore Eucaristico di Gesù, cioè l’amore misericordioso del Crocifisso, che vive e si dona nella Santa Messa. Nel culto del mese del corrente giugno 2023 festeggiati: SS. Trinità (4), Corpus Domini (11), Sacro Cuore (16), San Pietro (29). Nel cuore di Cristo c’è il sacerdote unico mediatore, la vittima pasquale e l’altare della sua offerta dalla croce. Il Sacro Cuore di Gesù è unito a quello di Maria e si vede a Collevalenza l’immagine dell’Immacolata mediatrice con un giglio che sale da terra fino alla metà del suo petto e si vede scritto JHS (Gesù Salvatore degli uomini) tra i petali del giglio. Il papa, nel ministero di S. Pietro è la guida sicura.

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LA PATRONA DEI VIGILI DEL FUOCO – Dipinto del loro stemma posto presso il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

In una corona circolare è scritto su tinta aurea “ Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco”. Dominante il colore giallo per indicare la gioia, la gloria, la soddisfazione del successo raggiunto da questi valorosi e benemeriti operatori che, tra i rischi anche pericolosi e tra ignote minacce, soccorrono i cittadini. Il pittore Salvatore Tricarico da Calvello (PZ)ha creato l’opera d’arte in un quadrato di cm 50×50 a sfondo rosso rovente come le fiamme torride. Ai quattro angoli i simboli delle fiamme che escono da un dimensionato circolo con iscritto RI.

 L’anima del dipinto è la splendida figura dell’ausiliatrice Barbara, nei significativi simboli dell’aureola per la santità, della torre per la sua reclusione, della piuma in mano per il suo martirio, del velo bianco sul capo per la sua verginità, del libro evangelico per la sua dedizione al Cristo. La veste azzurra offre il significativo colore del cielo e del mare che dice spiritualità, universalità, trascendenza, stabilità, con esito calmante, rasserenante nell’affrontare le difficoltà. L’immagine ha l’utile e bel messaggio della pace.

 Questo dipinto racconta nell’insieme la vita della patrona onorata da minatori, muratori, architetti di torri, fabbri, contadini, campanari, moribondi, becchini, macellai, cuochi, detenuti, artiglieri, moribondi: il suo coraggio e la sua perseveranza sono le migliori esperienze di altruismo.

 La più antica immagine dell’ausiliatrice Barbara è a Roma, databile al 705, nella chiesa di Santa Maria Antiqua. Anche i protestanti evangelici l’hanno dipinta nel secolo XVIII a Holzkirch nei pressi di Ulm. Nei paesi di lingua tedesca usano dire: “Barbara con la torre” tra 14 sante e santi ausiliatori. A lei i minatori accendono i ceri contro gli incidenti.

 Intorno alla figura di Barbara si sono sviluppate varie usanze popolare, in particolare alla data della sua festa annuale, il 4 dicembre, si usava disporre rametti di piante da frutta nei vasi affinché fiorissero a Natale.

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EDICOLE ANTICHE ROMANE CHIESETTE POI CRISTIANE A SERVIGLIANO (FM)

A Servigliano varie chiese rurali tra cui quella dedicata alla Madonna del Carmine

Le chiesette che si vedono disseminate nelle contrade rurali con varie di dedicazioni hanno origini antiche dall’epoca romana. Le famiglie dei soldati veterani che già dal tempo di Cesare e di Pompeo erano stati collocati a riposo, come fece Augusto, avevano ottenuto per remunerazione del servizio militare e per loro sostentamento vari terreni nel Piceno dove vennero ad abitare. Le residenze di costoro erano chiamate Ville e vicino alla Villa esisteva l’edicola, un piccolo edificio in cui venivano posate le anfore contenenti le ceneri dei defunti chiamati Dei Lari. Con la decadenza di Roma e con l’invasione del territorio occupato dalle popolazioni chiamate barbari, tali edicole andarono in disuso. Nel frattempo si era diffusa la spiritualità cristiana che usava l’inumazione dei defunti con celebrazioni che si facevano nelle loro nelle chiese. Nell’anno 386 un editto dell’imperatore occidentale Teodosio decretò da Milano che le edicole abbandonati dai pagani fossero destinate all’uso cristiano. L’arcivescovo Ambrogio di Milano lo scomunicò perché la fede cristiana mai fosse imposta con un comando. Di fatto moltissime famiglie anche degli immigrati barbari si erano convertite al cristianesimo e così le edicole rimasero come chiesette cristiane. A Servigliano, come altrove, nei ripiani delle contrade rurali dove si trovavano le ville romane sono rimaste queste chiesette. Senza farne un elenco, mentre alcune sono scomparse, ricordiamo nel versante del fiume Ete “Santa Lucia”, altra “Commenda” e più in collina la chiesetta Vecchiotti. Sull’altro versante del fiume Tenna “San Vincenzo”, altre San Nicola e anche “San Gualtiero”. In contrada “Paese vecchio” la chiesina “San Giuseppe” e verso la valle “San Nicola” inoltre la chiesetta al Cimitero. Nel territorio di Curetta la chiesetta “San Pietro” è diruta e in contrada Pozzuolo è pericolante la chiesa dedicata alla Madonna del Carmine o del Carmelo. Questa dedicazione è importante quando si considera che da Roma venne ad abitare a Serivigliano, presso il fossato Marà (Marana, vocabolo laziale), il giovane Gualtiero (poi venerato santo) che aveva sull’omero il segno caratteristico di una stella con coda, come è raffigurata sull’omero della Madonna del Carmelo, nell’antica tradizione. Si può pensare che il santo serviglianese abbia praticato questo culto rimasto poi nella religiosità popolare. L’esistenza delle chiese rurali officiate è registrata nelle visite pastorali dei vescovi Fermani, di cui esistono i registri, è documentata. Sin dal secolo XVII, esisteva una chiesa rurale in questa zona. È ben noto che le antiche costruzioni facilmente fossero rovinate dalle intemperie, pertanto venivano ricostruite quando erano donati nuovi lasciti per cui vi si celebravano le sante Messe festive. Con il regno dei Savoia questi lasciti finirono proprietà del demanio statale e rimasero abbandonate. La muratura attuale della Chiesa della Madonna del Carmine è riferibile a una ricostruzione fatta nel secolo XIX. Simili permanenze possono considerarsi un patrimonio della tradizione culturale.

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Blasi Vittorio missionario

da Belmonte (1941)a Bujumbura, Burundi (2015)

VITTORIO BLASI DA BELMONTE PICENO

IN AFRICA PRESSO LE ETNIE DEL BURUNDI

2023 Memoria di amici per il

50°del suo arrivo in Burundi

.-. Il sogno: “PER LORO e CON LORO  verso la PASQUA PERENNE”

Blasi Vittorio sacerdote in Burundi dal 1973 inviava al Parroco dei Belmonte Piceno una foto con burundesi:

“Foto ricordo con i primi amici. Per loro vorremmo cominciare un cammino nuovo pieno di speranza, pieno di vita. Con loro vorremmo cercare il cammino arduo della liberazione, cammino della Pasqua perenne.”

-.-

TRA GLI ITALIANI BENEMERITI

Missionario tra la gioventù del Burundi

Dal 1973 ha realizzato efficaci opere

aiutato dal bene dei benefattori

e oggi intercede con la Madonna

presso il Padre celeste per tutti

i fratelli in Cristo con sguardo d’amore

-.-

Padre Vittorio Blasi di forte tempra morale ha svolto con grande cuore un’intensa attività missionaria. Nato a Belmonte Piceno il 13-4-1941, dopo l’istruzione primaria, con un bravo maestro, in seguito si è formato al ministero sacerdotale. Ha realizzato per quarant’anni l’attività missionaria quando è passato alla casa celeste del Padre il 24-12-2015, lasciando il duraturo ricordo di persona giusta che sempre vuole aiutare le persone, in particolare l’infanzia e la gioventù. Padre Vittorio si è coinvolto per quarant’anni in Burundi (Africa) con grande dedizione apostolica. Le sue spoglie mortali riposano nella tomba del clero nella città più popolosa, Bujumbura.

   Scrivo alcuni ricordi, dato che sono suo compaesano belmontese e lo ricordo pieno di passione nel formarsi al suo ministero, e soprattutto nel volere la formazione della gioventù con animo generoso e misericordioso, pieno di fiducia nell’azione dello Spirito di Dio. Ha frizzato la gioia, frutto dell’umiltà. Il padre Giusto e la mamma Elisa Malvatani erano una famiglia di agricoltori con i figli Vincenzo, Mario, Anastasia e il nostro Vittorio, tutti di schietta socialità con conoscenti, amici e sacerdoti.

   Ha fruito la prima formazione cristiana a Belmonte Piceno dove fu battezzato e orientato nella vita cristiana dal parroco don Ruffino Brunelli e dal giovane vicario don Mauro Natali che lo hanno accompagnato nella fede, nella speranza e nella carità cristiana con le devozioni particolari verso la santa Croce del Salvatore immolato e risorto e verso la Madonna delle grazie: devozioni queste che egli ha diffuso poi nel suo apostolato in Burundi. Tredicenne è entrato nel Seminario arcivescovile di Fermo ove suo fratello Mario frequentava già l’ultimo anno di ginnasio. Da ragazzo ha incontrato alcuni missionari saveriani che hanno aperto gli orizzonti universali, cattolici alla sua attenzione, arricchendo di esperienze la sua indole amichevole e intraprendente. Ventenne presso all’Istituto dei Saveriani a Parma, si è voluto preparare alla missione per evangelizzare.

   Con animo generoso e disinteressato ha risposto alla chiamata divina, convinto che i figli di Dio hanno la fratellanza che li rende liberi e felici, si è voluto donare, con il sorriso accogliente, con le braccia e mani aperte e con gli occhi desiderosi d’incontro, ad accompagnare i catecumeni alla rigenerazione nella vita divina e alleviare le sofferenze dei fratelli in Cristo con il conforto del mistero della Croce e con l’opera della Mamma delle grazie, Maria.

   Pregava e si lasciava plasmare da Gesù, illuminato dallo Spirito Santo. Nelle estati tornava tra i Belmontesi, e organizzava il campi-scuola in montagna. Raccontano con gioia i ragazzi di allora, oggi ultrasessantenni, quelle estati con P. Vittorio per la grande simpatia con cui coinvolgeva, ispirando tanta fiducia a tutti loro che lo seguivano volentieri nelle iniziative da condividere. Nell’esperienza dei campi scuola estivi in montagna tra i ragazzi Belmonte, il gioco era l’attività di formazione che dava il messaggio di rendere buoni i rapporti interpersonali.

   Consacrato sacerdote è stato mandato come formatore spagnolo dei Saveriani a Madrid fino al 1973. In obbedienza è andato poi in Burundi e vi è stato per un quarantennio, lasciando le sue spoglie mortali restate nel sepolcro del clero di Bujumbura.

Apprezzato per la sua personalità empatica coltivava relazioni fondate sulla fraternità spirituale serena, gioviale, dialogica. Nell’obbedienza ai superiori, per amore di Gesù, a favore delle anime, ha sempre vissuto con entusiasmo la missione della santa Chiesa. In Burundi si vivevano i tempi micidiali della guerra, delle stragi di adulti, dell’abbandono dei ragazzi. Le azioni militari, le ruberie, la chiusura del credito, hanno coinvolto padre Vittorio e i fedeli nel sentire il dovere di aiutare i più bisognosi contro lo sfruttamento e gli stupri.

   Ha esplicato il dono particolare di incoraggiare le persone all’incontro, grazie anche alla sua indole estroversa. Il Presidente della Repubblica del Burundi nel 1986 fece scacciare più di 490 missionari e volontari stranieri da questo Paese. P. Vittorio si pose sotto l’obbedienza del vescovo di Gitega, monsignor Joachim Ruhuna, tra il clero diocesano, ed eseguiva le scelte pastorali per cui ha ricostruito una Croce sopra la principale collina locale ed ha fatto costruire gli edifici della chiesa parrocchiale e del santuario mariano. Il Vescovo e il clero decisero anche di provvedere a dare un ospizio ai bambini ridotti senza famiglia a causa dei numerosissimi crimini militari. Il 9 settembre 1996 monsignor Ruhuna è stato martirizzato nella sua patria.

   Padre Vittorio si è recato a Bujumbura sotto la guida del Presidente della conferenza episcopale del Burundi. Qui ha seguitato a istruire, educare e formare alle professioni i ragazzi rimasti abbandonati. Ascoltava le confessioni nel sacramento della Riconciliazione in una stanza a lato della chiesa di San Michele e aiutava in particolare le donne, purtroppo violentate, ridotte in maternità che hanno voluto evitare gli aborti. Con una adeguata offerta di una famiglia di Matelica (MC) ha fatto costruire la “Casa della gioia Santa Rita di Cascia” dove la religiosa Sandra Caniana ha cominciato e seguita ad accogliere i neonati abbandonati per dar loro ogni sostentamento. Il missionario assiduamente ha sempre provveduto alle necessità materiali e spirituali per l’infanzia e per la gioventù, favorendo il loro miglior futuro, con il sostegno di un’Associazione appositamente creata, come poi si dirà. Il clero del Burundi, apprezzando questa sua opera, ha partecipato con più di cento preti al funerale di Padre Vittorio Blasi, presieduto dall’Arcivescovo, nella vigilia di Natale del 2015.

L’APOSTOLATO

   Padre Vittorio si è dedicato alle necessità emergenti. Non si affidava alle parole dei raffinati teologi, quando le ideologie andavano eclissandosi. Evitava i modi autoreferenziali per far attuare le forme comunitarie partecipate di incontro e di dialogo in sintonia con i segni di spiritualità laicale a cui egli dava a condividere, tra l’altro, l’opzione di dedicarsi alle persone più deboli. Ha incoraggiato a valorizzare le risorse umane burundesi, senza lasciarsi bloccale dalle difficoltà o dalle imperfezioni individuali che accettava e fronteggiava per favorire un sempre maggiore impulso al cammino fatto insieme per la realizzazione del regno di Dio.

   Nel donare se stesso senza risparmiarsi, condivideva gioie e dolori con particolari sensibilità per i piccoli che accoglieva con comprensione. Provvedeva al necessario con atti affettuosi. Pregava con loro e per loro assicurando che Gesù ama i piccoli e mai li abbandona, ma li fa accompagnare da sua madre Maria in ogni situazione pur difficile che sia. Rendeva con il suo sostegno i loro animi sereni e li alimentava di fede cristiana.

   La sua energia comunicativa evangelizzante era radicata nella schietta umiltà che non era rassegnazione, ma attenzione ai bisogni e ai problemi che egli condivideva per offrire una parola di conforto e di incoraggiamento secondo il Vangelo. Non rimarcava gli altrui difetti, usando comprensione per le inevitabili imperfezioni e, per rimedio, affidava tutti alla assidua preghiera idonea a purificare i cuori e a facilitare la pratica generosa delle opere buone. Dava un senso di bellezza interiore al vivere cristianamente.

   Mostrando il volto umanitario della Chiesa, accoglieva le vite disperse e talora spezzate. Nel voler salvare i minorenni abbandonati e le creature concepite da non far abortire, faceva affidamento sulla divina misericordia con ferma fiducia che questa procurasse i rimedi indispensabili. Il suo pregare: “O Gesù, pensaci tu, provvedi”. Per risonanza, chi è stato accanto a lui ha orientato la propria vita in senso altruistico. Nelle situazioni critiche non si scoraggiava coerentemente con il Vangelo, dando valore alla fiducia nel divino Spirito che rinnova la faccia della terra.

   Si riconosceva ‘servo inutile’, dopo aver fatto quanto poteva perché si considerava ministro di Dio non per procurare qualsivoglia vantaggio a se stesso, ma per gli altri e con gli altri sentiva in sé la bellezza di condividere insieme le gioie e i sacrifici nella comunità ecclesiale e civile. Lasciava ai laici gli spazi della loro propria azione ecclesiale, secondo lo spirito del Vaticano secondo, coinvolgendosi nei gruppi di ascolto, in particolare con le famiglie e con i collaboratori che egli chiamava per nome familiarmente e che si rendevano corresponsabili.

   Per le attività di cooperazione caritativa da realizzare in Burundi usava scrivere lettere ai conoscenti ed amici europei e comunicava a questi benefattori le esigenze di necessità per i ragazzi, e chiedeva di fare le adozioni ‘spirituali’ degli orfani.

   Quando tornava, seppure per un breve periodo di ferie, si recava ad incontrare i benefattori e portava il sorriso dei suoi assistiti con viva speranza per il loro futuro. Nel guardare la realtà con il cuore fiducioso e con lo sguardo limpido ha evitato l’inerzia debole o sfiduciata.

   La saggezza pedagogica ha fatto progredire l’attualità nell’agire secondo Dio nella ricerca della verità come fermento umile adatto a migliorare l’attuale società.

   Si è sempre considerato a servizio della Chiesa a tempo pieno con la volontà di attuare il ministero sacerdotale insieme con i confratelli. Ogni giorno ha celebrato la santa Messa e restava a disposizione per il sacramento della penitenza a chi si presentasse.

   Diffondeva la piena fiducia nella potenza della grazia del Redentore che sprigiona la luce e la grazia del regno di Dio ad opera del suo martirio sulla Croce e della sua resurrezione. Con tale certezza di fede superava le difficoltà. Ù

   Le sue celebrazioni festive favorivano un’atmosfera di gioiosa partecipazione per la fiducia nell’Amore misericordioso elargito senza limiti dal Figlio di Dio incarnatosi.

IL FUTURO CREATO INSIEME NELLA CHIESA

   Padre Vittorio considerava il Burundi come il giardino di Dio da coltivare e condivideva la missione educativa ecclesiale di guidare all’unione con Dio attraverso la preghiera. Le vicende di attualità facevano vibrare gli animi di trepidazione, di angoscia, di incertezze, di squilibrio, mentre le forti crisi devastavano le ideologie, le politiche, le tecniche, l’ecologia, le religioni e soltanto la preghiera poteva dare una prospettiva di salvezza.

   Le guerriglie continue imponevano traumi e ricordi dolorosi ed esigevano un orientamento formativo da svolgere verso la pace, la tolleranza, il perdono tra i cittadini.

   La povertà, le diseguaglianze, la cronica carenza dei necessari servizi scatenavano la facile rabbia delle persone e le violenze anche da parte dei militari. Padre Vittorio pregava e faceva pregare per la pace e la voleva praticare e sostenere assieme con gli animi disponibili.

   Nei disagi terribili delle uccisioni il suo dialogo sempre è stato manifestato come appello rivolto a tutti per la riconciliazione civica nell’ascolto reciproco e nel condividere le necessità del vivere insieme in modo che le energie interagissero e si integrassero nella prospettiva comune dello sviluppo.

   Le condivisioni comunitarie erano ispirate dalla misericordia con cui la gente poteva creare un sostegno reciproco. Con il sorriso ha trasmesso il Vangelo della gioiosa generosità con cui ciascuno echeggia la presenza di Dio provvidente. Prospettava il futuro con fiducia mentre si trepidava nello svolgersi di un mutamento epocale indotto dal liberismo selvaggio, e dal socialismo impositivo.

   Padre Vittorio non si è spaventato né ha giudicato la Chiesa mal ridotta a causa dei mali sociali o dall’egoismo finanziario, sicuro che Gesù è portatore della vera pace per tutti. Il missionario ha sempre donato fiducia alla vitalità dei sacramenti ecclesiali, nonostante il diffondersi delle diffidenze e delle indifferenze indotte dal relativismo e dal modernismo.

   Non si è lasciato catturare dalle facili innovazioni pubblicizzate. Avvertiva le difficili sfide e non ha pensato mai che si potesse tornare indietro, piuttosto si confidasse nella presenza divina che mai fa mancare la sua grazia nella Chiesa per rinnovare il mondo con il Vangelo del risorto.

   La Croce del redentore sempre resta donatrice della salvezza ed egli giudicava importante portare a tutti Gesù immolato e risorto, e tutti si avvicinassero a lui, pur tra le povertà e le mortalità inevitabili. Il riscatto era possibile, come frutto della santa Croce. Sarebbe un triste errore pensare che il futuro debba dipendere esclusivamente dalle superpotenze del mondo occidentale e orientale. La Croce emana sempre nuova luce.

   Praticava e chiamava a praticare la fraternità per rompere i muri delle separatezze e per creare e far creare i ‘ponti’ di accoglienza tra la gioventù in modo da aprire il cuore e la mente di interlocutori che promuovano la buona formazione umana, civica e cristiana nella semplicità e nella schiettezza. Egli prospettava la ricerca dell’unione tra le persone con serenità mediante l’ascolto dei desideri, delle aspirazioni altrui, in modo da trasfondere nei cuori la speranza fiduciosa che sempre viene garantita dall’amicizia con Dio.

   Nessuno pensasse di far tutto da solo, piuttosto guardasse ai più derelitti, alle persone bisognose per assicurare un comune futuro con fiducia negli altri. Padre Vittorio formava collaboratori che vincessero le differenze e si immedesimassero con i piccoli con la tenerezza e con la misericordia di Gesù. Il Vangelo restasse per tutti il rimedio nell’opera della Chiesa che è madre, maestra, salvatrice e che guida tutti nel camminare insieme, dando lo spirito di fraternità al mondo. In sinergia con il clero del Burundi e con i benefattori Padre Vittorio ha usato attenzione a non lasciare abbandonato nessun sofferente incontrato, adoperandosi dovunque si potesse prestare sostegno e si è andato prodigando in modo instancabile e sorridente con lo stile amichevole ispirato sempre dalla pienezza di grazia effusa da Dio in ogni cuore umano.

Per il vero bene, il primo nutrimento necessario e indispensabile, quello spirituale, a contatto diretto con la fede vissuta della gente, orientata al culto dell’Eucaristia, alla devozione alla Madonna, alla venerazione della santa Croce, e raccomandava assiduamente di dover santificare sempre la domenica. La gente ascoltava e lo seguiva.

LA PACE VALORIZZATA AL MASSIMO

   In Africa tanti anni persi senza risolvere i conflitti armati, tante ostilità rinascenti, tanto sangue versato senza rimedio, tante speranze seppellite, tanti morti. Vittorio ha predicato sempre che la pace è donata dal Padre celeste che dona ancora il Figlio suo per la vita del mondo e su questo dono particolare insisteva in modo speciale nella festività del Natale annunciata dagli angeli con le parole di pace e di gioia per tutte le persone umane amate da Dio.

   Che potesse avere pieno valore la pace voluta da Dio e ogni persona si sentisse artigiano della pace con i fratelli vicini praticando il perdono delle offese, in riconciliazione pur nei casi di mancato rispetto agli altri. Occorreva disarmare anzitutto le menti, i cuori, la lingua, le mani per condividere un impegno dialogico. In pratica i comportamenti sbagliati da parte di altri concittadini erano inevitabili. Padre Vittorio, senza la pretesa che ci fossero persone prive di imperfezioni, incoraggiava i comportamenti ragionevoli che dovevano sostenersi con la grazia di Dio nell’incontro, accogliendo con gioia, a tale scopo, la sollecitudine a praticare il sacramento della riconciliazione nella confessione.

   Il missionario si lasciava avvicinare con facilità dagli altri con uno stile di rapporto gioviale, aperto, cordiale. L’amore ispirato da Cristo nel suo cuore sensibilizzava le persone nel condividere la riflessione sul bene e sul male. Insieme con l’arcivescovo monsignor Joaquim Ruhuna, con gli altri vescovi e con il clero si dedicava instancabilmente a pacificare gli animi, a fraternizzare il dialogo tra le genti delle diverse stirpi Hutu, Tutsi e Twa. Si faceva carico delle difficoltà delle persone per facilitare gli svantaggiati in modo che potessero rendere autonoma la loro sopravvivenza. Non voleva avere nulla per sé nelle pratiche di assistenza e di elemosine: praticava l’amore fraterno nell’amore divino, con puro altruismo.

   Spontaneamente le persone si recavano a parlargli presso la chiesa di San Michele ascoltandolo come uomo di Dio che comprendeva le loro esigenze di dignità umana. Chiaramente bramava diffondere lo spirito di pace, mosso dallo zelo apostolico di evangelizzazione e si metteva negli stati d’animo dei disagiati come guida spirituale, in modo da incoraggiare la gente ad evitare ogni opera che turbasse l’equilibrio e il bene del convivere sociale.

   Si coinvolgeva con le pubbliche istituzioni, come nell’eccidio dei teologi avvenuto nottetempo a Bujumbura ad opera di saccheggiatori armati. Si sentì coinvolto con grande intensità di emozioni di fronte a così grave eccidio e prontamente si è fatto aiutare dalle autorità competenti per far trasportare in Italia cinque seminaristi sopravvissuti che fece accogliere dal suo amico arcivescovo di Camerino, monsignor Angelo Fagiani, docente di teologia morale nell’istituto teologico di Fermo dove furono preparati per l’ordinazione sacerdotale, e furono incardinati nella diocesi di Fermo.

   Con cuore generoso in ogni iniziativa di pacificazione si è fatto prossimo a tutti, senza diffidenza, con coraggio nello smascherare le inimicizie e nel sensibilizzare il popolo a superare le amare sfide dell’odio. Nessuna persona fosse lontana da lui perché serenamente, senza pretese di persuadere, né tanto meno di forzare a fare quello che lui suggeriva, senza interesse suo privato, ma per il bene comune, incoraggiava ad apprezzare la diversità delle abitudini etniche, senza scontri.

  Padre Vittorio si è manifestato una di quelle persone dotate di particolare schiettezza di carattere, simpatia, condivisione, generosità nel non risparmiarsi con metodo misericordioso per il futuro di un popolo disastrato dalle guerre. Amava l’Africa e diffondeva la fiducia che le comunità cristiane fossero provvidenti nell’unire la fede cristiana alla vita africana con disponibilità collaborativa reciproca di fronte alle necessità comuni.

   Si intratteneva nelle carceri a Bujumbura per stabilire accordi di tolleranza, senza vendette tra Tutsi e Hutu, prima ancora che uscissero dal carcere. Non dimenticava i reati che erano stati commessi, ma apriva il futuro al ravvedimento e al proposito di non ricadere nel male. Riconciliati con Gesù Cristo i condannati chiedevano il perdono divino e fraterno e celebravano la Pasqua della risurrezione morale, nei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia condivisa. Padre Vittorio formulava gli accordi scritti e venivano firmati dai singoli carcerati impegnati.

CON L’INFANZIA E CON LA GIOVENTU’

   Padre Vittorio vedeva i bambini, gli orfani, gli adolescenti colpiti da gravi disagi, privazioni, povertà, calamità come cittadini del Burundi, non come individui privi di capacità. Voleva aiutare, curare, istruire i minorenni nella propria cultura di patria Burundese. Per i neonati salvati dall’aborto e consegnati dalle mamme violentate da militari e da saccheggiatori, egli ha creato la “Casa della gioia” affidata a Sandra Caniana e intitolata a Santa Rita da Cascia che è stata mamma premurosa per i suoi due figli e religiosa caritatevole. Per i ragazzi ha creato varie comunità, ognuna gestita da persone del Burundi, in accordo con le autorità locali, a Gitega e a Bujumbura.

   La loro formazione aveva come fino primario che diventassero persone di pace, e da adulti fossero in grado di far maturare la giustizia e la convivenza serena tra le diverse stirpi ed etnie. Considerava necessario che gli orfani e i bambini sostentati dai benefattori si formassero secondo la coscienza umana e cristiana come lievito per portare a realizzare una pienezza di pace in Burundi. Non un’ideologia ma lo spirito del Vangelo creava la vicinanza del missionario e dei burundesi con i ragazzi abbandonati o scartati.

   La casa dei piccoli non era sul modello europeo di orfanotrofio burocratico, era orientato allo spirito comunitario anche nella scolarizzazione e nella preparazione per la vita professionale futura con gli aggiornamenti e le prospettive di inserimento nel mondo dell’occupazione; in particolare manifestava lo spirito di pace tra le etnie twa, tutsi e hutu e dava una nuova dignità a ciascuna di queste componenti. Questo spirito di pace è stata la realtà concepita come un contrafforte di novità contro le pratiche antecedenti di scontri, di violazioni disumane, di brutalità, dell’odio che la guerra seguitava a seminare. La gioventù era novità di salvezza morale per la patria Burundi nella solidarietà risvegliata dallo spirito del Vangelo ad opera di persone misericordiose, disinteressate e amichevoli.

   Per assicurare la sussistenza nelle famiglie con i prodotti alimentari indispensabili, padre Vittorio sollecitava a tenere le sementi delle piante utili ogni anno per le nuove coltivazioni. Avveniva che talora le famiglie chiedessero al missionario di procurare loro le sementi perché le avevano consumate tutte in cucina, e lui cercava ogni modo per provvedere quanto necessario alla seminagione per la nuova coltivazione. La passione per condividere la vita della gente rendeva urgente la pratica economica che facilitasse la produzione agricola necessaria.

   Nella capitale del Burundi, a Gitega esiste dal 2003 la fondazione “Ruhuna Buon Pastore per l’infanzia abbandonata e l’educazione alla pace” promossa assieme con Padre Vittorio Blasi che sempre ha voluto assicurare la sopravvivenza dignitosa ai piccoli. Si dedicava ad ogni possibile iniziativa per procurare loro il sostentamento. Tutto ciò scaturiva dall’attenzione alle emergenze che esigevano di adoperarsi per aiutare i bisognosi. Nel contempo la formazione era idonea a rinnovare la società liberandola dalle violente cause che scatenavano le uccisioni e le stragi nelle famiglie.

   Procurava l’aiuto per la gioventù grazie alle generose offerte dei benefattori e in tal modo gli obiettivi di scolarizzazione e di preparazione professionale dei poveri si potevano realizzare. Si può pensare che siano avvenuti, addirittura, anche miracoli per riuscire a risollevare, come è avvenuto, la sorte di varie migliaia di bambine e bambini. La sorella Anastasia Letizia Blasi in collaborazione con i conoscenti ha promosso un’associazione per orfani del Burundi con padre Vittorio Blasi, con un atto notarile, creando anche un legame tra i benefattori per le possibili adozioni che consolidavano i sentimenti di bontà famigliare.

   Il primo asilo burundese dei neonati è stato quello di Sandra Caniana. Inoltre il missionario, in accordo con le autorità civili, creava in Burundi gli istituti scolastici. E da ciò è derivato un processo di crescita sociale e un nuovo orientamento per le iniziative utili ad incoraggiare le attività della gente. Si facilitavano incontri, consigli, progetti di miglioramento del Burundi. Ha orientato le collaborazioni con spirito fraterno e sono state sostenute e condivise con confidenza. Senza i benefattori le opere a favore dei piccoli non avrebbero e non potrebbero continuare.

   Nell’opera missionaria ha sparso con gioia i germi delle novità tra i ragazzi abbandonati che hanno avuto la prospettiva di un nuovo futuro e l’orientamento a poter superare i conflitti armati, che sono la causa delle disgrazie della nazione. Padre Vittorio ha promosso la bontà tra i piccoli con una formazione aperta alla convivenza serena e allo sviluppo. Egli quando condivideva il suo tempo tra i bambini era più elettrico nel cuore per l’affetto che espandeva. Non si fermava a far comprendere i valori della pace e i danni delle violenze e delle offese, infondeva soprattutto la fiducia che la potenza divina di Amore stava rinnovando per tutti la faccia della terra.

   E’ stato il missionario dotato di un particolare intuito nei tentativi che creano legami tra le vecchie e le nuove generazioni con spirito di misericordia. Così l’opera fraterna umanitaria promuoveva un futuro di dignità per tutti. Ha dato accoglienza abitativa ai bambini dispersi, affidandoli ad adulti e a giovani che vivevano insieme dove erano ospitati. La compagnia, l’aiuto e la sorveglianza di un uomo e di una donna del luogo erano provvidenziali per assicurare la serenità, il buon comportamento, la fraternità tra le etnie, con la fiducia in Dio, e con la salute protetta.

   Vedeva le tante cose necessarie ai piccoli per il nutrimento, per il vestiario, per il materiale scolastico, per i servizi di luce e di acqua e chiedeva l’apporto dei benefattori. Ha trovato ascolto. Un giorno a chi gli chiedeva come potesse rimediare senza mezzi, nelle urgenti necessità, padre Vittorio, rispose: “Dico a Gesù: Pensaci tu”, gettandosi nelle braccia divine. Viveva nella profonda fiducia alla Provvidenza. Tutto apparteneva alla generosità, destinato, senza dispersione, a vantaggio della gioventù e al futuro della società. I minorenni erano provveduti di istruzione, di protezione, di formazione spirituale.

   Questo missionario, con il metodo di san Giovanni Bosco, dal cuore generoso, ha potuto guidare la gioventù a costruire la propria vita con criteri morali. La Provvidenza gli ha procurato i cooperatori e i sostenitori per quanto necessario. Era il formatore e l’educatore capace di orientare i ragazzi e le ragazze ad esplorare le ragioni per vivere, per impegnarsi in una professione, per formare una famiglia, per affrontare i problemi della pace tra le inimicizie tra gruppi e per gestirsi nelle situazioni del mondo.

   Percorreva varie metodologie per procurare i mezzi necessari; anzitutto sostava davanti al Santissimo Sacramento dell’altare con viva fiducia nella misericordia divina invocata con la certezza che lo Spirito Santo si serve delle persone umane per fermentare lo spirito fraterno della comunità. Con le parole e con le lettere dirette al cuore dei benefattori manteneva relazioni forti. Con i piccoli condivideva la fede in Gesù che considerava come scudo impenetrabile a difesa dalle cattiverie. Era sicuro che gli assistiti crescevano per diventare persone adatte ad amministrare il futuro del loro paese nella pace e nella giustizia che lui insieme con la Chiesa sempre difendeva.

LA CARITA’ FIORE DELLE VIRTU’

   Con la sua attenzione per scorgere e incontrare chi avesse necessità, si è reso utile, senza darlo a vedere, con gratuità. In ogni caso era chiaro che le vie del Signore sono infinite. Egli pur con il sacrificio, trasmetteva la sua benedizione e lo spirito di generosità ad altri e incoraggiava a vivere le persone bisognose, ma prive dei beni per sopravvivere, sussidiava chi era impotente a provvedersi da solo, come i bambini.

   Possiamo accogliere le sue opere e il suo spirito ringraziando Dio per averci fatto incontrare questa persona. Per mezzo suo Dio comunica la sua amorevole misericordia. Molte persone sono state incoraggiate collaboratrici con offerte per l’associazione degli amici degli orfani del Burundi e di padre Vittorio Blasi.

   Padre Vittorio aiutava i bisognosi con l’ascolto, con l’accompagnamento, con il provvedere alle necessità sollecitando la collaborazione sussidiaria di altre persone. Una donna nubile che entrò in maternità, in seguito ad atti violenti altrui, mentre non era ben accolta in società, il missionario procurò l’aiuto indispensabile e la creatura salvata, neonata visse assistita da Sandra Caniana.

       Caro Padre Vittorio Blasi, nostro amico, grazie per i tuoi consigli, per la bontà e per la passione con cui ci hai illuminati nella pratica dell’Eucaristia, della Riconciliazione, della Carità, superando ogni scoraggiamento tra i difetti umani. Accompagnaci dal Cielo per giungere con te alla dimora eterna del Padre misericordioso.

Assoc.ne Amici degli orfani del Burundi e di P. Vittorio Blasi. \   Codice fiscale 90021610440

 Via Castellarso Tenna, n. 38 – 63838 BELMONTE PICENO FM  – Cell. 335 6371124 –

Conto corrente postale 13551635

VITTORIO BLASI DA BELMONTE PICENO

IN AFRICA PRESSO LE ETNIE DEL BURUNDI

2023 Memoria di amici per il

50°del suo arrivo in Burundi

.-. Il sogno: “PER LORO e CON LORO  verso la PASQUA PERENNE”

Blasi Vittorio sacerdote in Burundi dal 1973 inviava al Parroco dei Belmonte Piceno una foto con burundesi:

“Foto ricordo con i primi amici. Per loro vorremmo cominciare un cammino nuovo pieno di speranza, pieno di vita. Con loro vorremmo cercare il cammino arduo della liberazione, cammino della Pasqua perenne.”

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TRA GLI ITALIANI BENEMERITI

Missionario tra la gioventù del Burundi

Dal 1973 ha realizzato efficaci opere

aiutato dal bene dei benefattori

e oggi intercede con la Madonna

presso il Padre celeste per tutti

i fratelli in Cristo con sguardo d’amore

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Padre Vittorio Blasi di forte tempra morale ha svolto con grande cuore un’intensa attività missionaria. Nato a Belmonte Piceno il 13-4-1941, dopo l’istruzione primaria, con un bravo maestro, in seguito si è formato al ministero sacerdotale. Ha realizzato per quarant’anni l’attività missionaria quando è passato alla casa celeste del Padre il 24-12-2015, lasciando il duraturo ricordo di persona giusta che sempre vuole aiutare le persone, in particolare l’infanzia e la gioventù. Padre Vittorio si è coinvolto per quarant’anni in Burundi (Africa) con grande dedizione apostolica. Le sue spoglie mortali riposano nella tomba del clero nella città più popolosa, Bujumbura.

   Scrivo alcuni ricordi, dato che sono suo compaesano belmontese e lo ricordo pieno di passione nel formarsi al suo ministero, e soprattutto nel volere la formazione della gioventù con animo generoso e misericordioso, pieno di fiducia nell’azione dello Spirito di Dio. Ha frizzato la gioia, frutto dell’umiltà. Il padre Giusto e la mamma Elisa Malvatani erano una famiglia di agricoltori con i figli Vincenzo, Mario, Anastasia e il nostro Vittorio, tutti di schietta socialità con conoscenti, amici e sacerdoti.

   Ha fruito la prima formazione cristiana a Belmonte Piceno dove fu battezzato e orientato nella vita cristiana dal parroco don Ruffino Brunelli e dal giovane vicario don Mauro Natali che lo hanno accompagnato nella fede, nella speranza e nella carità cristiana con le devozioni particolari verso la santa Croce del Salvatore immolato e risorto e verso la Madonna delle grazie: devozioni queste che egli ha diffuso poi nel suo apostolato in Burundi. Tredicenne è entrato nel Seminario arcivescovile di Fermo ove suo fratello Mario frequentava già l’ultimo anno di ginnasio. Da ragazzo ha incontrato alcuni missionari saveriani che hanno aperto gli orizzonti universali, cattolici alla sua attenzione, arricchendo di esperienze la sua indole amichevole e intraprendente. Ventenne presso all’Istituto dei Saveriani a Parma, si è voluto preparare alla missione per evangelizzare.

   Con animo generoso e disinteressato ha risposto alla chiamata divina, convinto che i figli di Dio hanno la fratellanza che li rende liberi e felici, si è voluto donare, con il sorriso accogliente, con le braccia e mani aperte e con gli occhi desiderosi d’incontro, ad accompagnare i catecumeni alla rigenerazione nella vita divina e alleviare le sofferenze dei fratelli in Cristo con il conforto del mistero della Croce e con l’opera della Mamma delle grazie, Maria.

   Pregava e si lasciava plasmare da Gesù, illuminato dallo Spirito Santo. Nelle estati tornava tra i Belmontesi, e organizzava il campi-scuola in montagna. Raccontano con gioia i ragazzi di allora, oggi ultrasessantenni, quelle estati con P. Vittorio per la grande simpatia con cui coinvolgeva, ispirando tanta fiducia a tutti loro che lo seguivano volentieri nelle iniziative da condividere. Nell’esperienza dei campi scuola estivi in montagna tra i ragazzi Belmonte, il gioco era l’attività di formazione che dava il messaggio di rendere buoni i rapporti interpersonali.

   Consacrato sacerdote è stato mandato come formatore spagnolo dei Saveriani a Madrid fino al 1973. In obbedienza è andato poi in Burundi e vi è stato per un quarantennio, lasciando le sue spoglie mortali restate nel sepolcro del clero di Bujumbura.

Apprezzato per la sua personalità empatica coltivava relazioni fondate sulla fraternità spirituale serena, gioviale, dialogica. Nell’obbedienza ai superiori, per amore di Gesù, a favore delle anime, ha sempre vissuto con entusiasmo la missione della santa Chiesa. In Burundi si vivevano i tempi micidiali della guerra, delle stragi di adulti, dell’abbandono dei ragazzi. Le azioni militari, le ruberie, la chiusura del credito, hanno coinvolto padre Vittorio e i fedeli nel sentire il dovere di aiutare i più bisognosi contro lo sfruttamento e gli stupri.

   Ha esplicato il dono particolare di incoraggiare le persone all’incontro, grazie anche alla sua indole estroversa. Il Presidente della Repubblica del Burundi nel 1986 fece scacciare più di 490 missionari e volontari stranieri da questo Paese. P. Vittorio si pose sotto l’obbedienza del vescovo di Gitega, monsignor Joachim Ruhuna, tra il clero diocesano, ed eseguiva le scelte pastorali per cui ha ricostruito una Croce sopra la principale collina locale ed ha fatto costruire gli edifici della chiesa parrocchiale e del santuario mariano. Il Vescovo e il clero decisero anche di provvedere a dare un ospizio ai bambini ridotti senza famiglia a causa dei numerosissimi crimini militari. Il 9 settembre 1996 monsignor Ruhuna è stato martirizzato nella sua patria.

   Padre Vittorio si è recato a Bujumbura sotto la guida del Presidente della conferenza episcopale del Burundi. Qui ha seguitato a istruire, educare e formare alle professioni i ragazzi rimasti abbandonati. Ascoltava le confessioni nel sacramento della Riconciliazione in una stanza a lato della chiesa di San Michele e aiutava in particolare le donne, purtroppo violentate, ridotte in maternità che hanno voluto evitare gli aborti. Con una adeguata offerta di una famiglia di Matelica (MC) ha fatto costruire la “Casa della gioia Santa Rita di Cascia” dove la religiosa Sandra Caniana ha cominciato e seguita ad accogliere i neonati abbandonati per dar loro ogni sostentamento. Il missionario assiduamente ha sempre provveduto alle necessità materiali e spirituali per l’infanzia e per la gioventù, favorendo il loro miglior futuro, con il sostegno di un’Associazione appositamente creata, come poi si dirà. Il clero del Burundi, apprezzando questa sua opera, ha partecipato con più di cento preti al funerale di Padre Vittorio Blasi, presieduto dall’Arcivescovo, nella vigilia di Natale del 2015.

L’APOSTOLATO

   Padre Vittorio si è dedicato alle necessità emergenti. Non si affidava alle parole dei raffinati teologi, quando le ideologie andavano eclissandosi. Evitava i modi autoreferenziali per far attuare le forme comunitarie partecipate di incontro e di dialogo in sintonia con i segni di spiritualità laicale a cui egli dava a condividere, tra l’altro, l’opzione di dedicarsi alle persone più deboli. Ha incoraggiato a valorizzare le risorse umane burundesi, senza lasciarsi bloccale dalle difficoltà o dalle imperfezioni individuali che accettava e fronteggiava per favorire un sempre maggiore impulso al cammino fatto insieme per la realizzazione del regno di Dio.

   Nel donare se stesso senza risparmiarsi, condivideva gioie e dolori con particolari sensibilità per i piccoli che accoglieva con comprensione. Provvedeva al necessario con atti affettuosi. Pregava con loro e per loro assicurando che Gesù ama i piccoli e mai li abbandona, ma li fa accompagnare da sua madre Maria in ogni situazione pur difficile che sia. Rendeva con il suo sostegno i loro animi sereni e li alimentava di fede cristiana.

   La sua energia comunicativa evangelizzante era radicata nella schietta umiltà che non era rassegnazione, ma attenzione ai bisogni e ai problemi che egli condivideva per offrire una parola di conforto e di incoraggiamento secondo il Vangelo. Non rimarcava gli altrui difetti, usando comprensione per le inevitabili imperfezioni e, per rimedio, affidava tutti alla assidua preghiera idonea a purificare i cuori e a facilitare la pratica generosa delle opere buone. Dava un senso di bellezza interiore al vivere cristianamente.

   Mostrando il volto umanitario della Chiesa, accoglieva le vite disperse e talora spezzate. Nel voler salvare i minorenni abbandonati e le creature concepite da non far abortire, faceva affidamento sulla divina misericordia con ferma fiducia che questa procurasse i rimedi indispensabili. Il suo pregare: “O Gesù, pensaci tu, provvedi”. Per risonanza, chi è stato accanto a lui ha orientato la propria vita in senso altruistico. Nelle situazioni critiche non si scoraggiava coerentemente con il Vangelo, dando valore alla fiducia nel divino Spirito che rinnova la faccia della terra.

   Si riconosceva ‘servo inutile’, dopo aver fatto quanto poteva perché si considerava ministro di Dio non per procurare qualsivoglia vantaggio a se stesso, ma per gli altri e con gli altri sentiva in sé la bellezza di condividere insieme le gioie e i sacrifici nella comunità ecclesiale e civile. Lasciava ai laici gli spazi della loro propria azione ecclesiale, secondo lo spirito del Vaticano secondo, coinvolgendosi nei gruppi di ascolto, in particolare con le famiglie e con i collaboratori che egli chiamava per nome familiarmente e che si rendevano corresponsabili.

   Per le attività di cooperazione caritativa da realizzare in Burundi usava scrivere lettere ai conoscenti ed amici europei e comunicava a questi benefattori le esigenze di necessità per i ragazzi, e chiedeva di fare le adozioni ‘spirituali’ degli orfani.

   Quando tornava, seppure per un breve periodo di ferie, si recava ad incontrare i benefattori e portava il sorriso dei suoi assistiti con viva speranza per il loro futuro. Nel guardare la realtà con il cuore fiducioso e con lo sguardo limpido ha evitato l’inerzia debole o sfiduciata.

   La saggezza pedagogica ha fatto progredire l’attualità nell’agire secondo Dio nella ricerca della verità come fermento umile adatto a migliorare l’attuale società.

   Si è sempre considerato a servizio della Chiesa a tempo pieno con la volontà di attuare il ministero sacerdotale insieme con i confratelli. Ogni giorno ha celebrato la santa Messa e restava a disposizione per il sacramento della penitenza a chi si presentasse.

   Diffondeva la piena fiducia nella potenza della grazia del Redentore che sprigiona la luce e la grazia del regno di Dio ad opera del suo martirio sulla Croce e della sua resurrezione. Con tale certezza di fede superava le difficoltà. Ù

   Le sue celebrazioni festive favorivano un’atmosfera di gioiosa partecipazione per la fiducia nell’Amore misericordioso elargito senza limiti dal Figlio di Dio incarnatosi.

IL FUTURO CREATO INSIEME NELLA CHIESA

   Padre Vittorio considerava il Burundi come il giardino di Dio da coltivare e condivideva la missione educativa ecclesiale di guidare all’unione con Dio attraverso la preghiera. Le vicende di attualità facevano vibrare gli animi di trepidazione, di angoscia, di incertezze, di squilibrio, mentre le forti crisi devastavano le ideologie, le politiche, le tecniche, l’ecologia, le religioni e soltanto la preghiera poteva dare una prospettiva di salvezza.

   Le guerriglie continue imponevano traumi e ricordi dolorosi ed esigevano un orientamento formativo da svolgere verso la pace, la tolleranza, il perdono tra i cittadini.

   La povertà, le diseguaglianze, la cronica carenza dei necessari servizi scatenavano la facile rabbia delle persone e le violenze anche da parte dei militari. Padre Vittorio pregava e faceva pregare per la pace e la voleva praticare e sostenere assieme con gli animi disponibili.

   Nei disagi terribili delle uccisioni il suo dialogo sempre è stato manifestato come appello rivolto a tutti per la riconciliazione civica nell’ascolto reciproco e nel condividere le necessità del vivere insieme in modo che le energie interagissero e si integrassero nella prospettiva comune dello sviluppo.

   Le condivisioni comunitarie erano ispirate dalla misericordia con cui la gente poteva creare un sostegno reciproco. Con il sorriso ha trasmesso il Vangelo della gioiosa generosità con cui ciascuno echeggia la presenza di Dio provvidente. Prospettava il futuro con fiducia mentre si trepidava nello svolgersi di un mutamento epocale indotto dal liberismo selvaggio, e dal socialismo impositivo.

   Padre Vittorio non si è spaventato né ha giudicato la Chiesa mal ridotta a causa dei mali sociali o dall’egoismo finanziario, sicuro che Gesù è portatore della vera pace per tutti. Il missionario ha sempre donato fiducia alla vitalità dei sacramenti ecclesiali, nonostante il diffondersi delle diffidenze e delle indifferenze indotte dal relativismo e dal modernismo.

   Non si è lasciato catturare dalle facili innovazioni pubblicizzate. Avvertiva le difficili sfide e non ha pensato mai che si potesse tornare indietro, piuttosto si confidasse nella presenza divina che mai fa mancare la sua grazia nella Chiesa per rinnovare il mondo con il Vangelo del risorto.

   La Croce del redentore sempre resta donatrice della salvezza ed egli giudicava importante portare a tutti Gesù immolato e risorto, e tutti si avvicinassero a lui, pur tra le povertà e le mortalità inevitabili. Il riscatto era possibile, come frutto della santa Croce. Sarebbe un triste errore pensare che il futuro debba dipendere esclusivamente dalle superpotenze del mondo occidentale e orientale. La Croce emana sempre nuova luce.

   Praticava e chiamava a praticare la fraternità per rompere i muri delle separatezze e per creare e far creare i ‘ponti’ di accoglienza tra la gioventù in modo da aprire il cuore e la mente di interlocutori che promuovano la buona formazione umana, civica e cristiana nella semplicità e nella schiettezza. Egli prospettava la ricerca dell’unione tra le persone con serenità mediante l’ascolto dei desideri, delle aspirazioni altrui, in modo da trasfondere nei cuori la speranza fiduciosa che sempre viene garantita dall’amicizia con Dio.

   Nessuno pensasse di far tutto da solo, piuttosto guardasse ai più derelitti, alle persone bisognose per assicurare un comune futuro con fiducia negli altri. Padre Vittorio formava collaboratori che vincessero le differenze e si immedesimassero con i piccoli con la tenerezza e con la misericordia di Gesù. Il Vangelo restasse per tutti il rimedio nell’opera della Chiesa che è madre, maestra, salvatrice e che guida tutti nel camminare insieme, dando lo spirito di fraternità al mondo. In sinergia con il clero del Burundi e con i benefattori Padre Vittorio ha usato attenzione a non lasciare abbandonato nessun sofferente incontrato, adoperandosi dovunque si potesse prestare sostegno e si è andato prodigando in modo instancabile e sorridente con lo stile amichevole ispirato sempre dalla pienezza di grazia effusa da Dio in ogni cuore umano.

Per il vero bene, il primo nutrimento necessario e indispensabile, quello spirituale, a contatto diretto con la fede vissuta della gente, orientata al culto dell’Eucaristia, alla devozione alla Madonna, alla venerazione della santa Croce, e raccomandava assiduamente di dover santificare sempre la domenica. La gente ascoltava e lo seguiva.

LA PACE VALORIZZATA AL MASSIMO

   In Africa tanti anni persi senza risolvere i conflitti armati, tante ostilità rinascenti, tanto sangue versato senza rimedio, tante speranze seppellite, tanti morti. Vittorio ha predicato sempre che la pace è donata dal Padre celeste che dona ancora il Figlio suo per la vita del mondo e su questo dono particolare insisteva in modo speciale nella festività del Natale annunciata dagli angeli con le parole di pace e di gioia per tutte le persone umane amate da Dio.

   Che potesse avere pieno valore la pace voluta da Dio e ogni persona si sentisse artigiano della pace con i fratelli vicini praticando il perdono delle offese, in riconciliazione pur nei casi di mancato rispetto agli altri. Occorreva disarmare anzitutto le menti, i cuori, la lingua, le mani per condividere un impegno dialogico. In pratica i comportamenti sbagliati da parte di altri concittadini erano inevitabili. Padre Vittorio, senza la pretesa che ci fossero persone prive di imperfezioni, incoraggiava i comportamenti ragionevoli che dovevano sostenersi con la grazia di Dio nell’incontro, accogliendo con gioia, a tale scopo, la sollecitudine a praticare il sacramento della riconciliazione nella confessione.

   Il missionario si lasciava avvicinare con facilità dagli altri con uno stile di rapporto gioviale, aperto, cordiale. L’amore ispirato da Cristo nel suo cuore sensibilizzava le persone nel condividere la riflessione sul bene e sul male. Insieme con l’arcivescovo monsignor Joaquim Ruhuna, con gli altri vescovi e con il clero si dedicava instancabilmente a pacificare gli animi, a fraternizzare il dialogo tra le genti delle diverse stirpi Hutu, Tutsi e Twa. Si faceva carico delle difficoltà delle persone per facilitare gli svantaggiati in modo che potessero rendere autonoma la loro sopravvivenza. Non voleva avere nulla per sé nelle pratiche di assistenza e di elemosine: praticava l’amore fraterno nell’amore divino, con puro altruismo.

   Spontaneamente le persone si recavano a parlargli presso la chiesa di San Michele ascoltandolo come uomo di Dio che comprendeva le loro esigenze di dignità umana. Chiaramente bramava diffondere lo spirito di pace, mosso dallo zelo apostolico di evangelizzazione e si metteva negli stati d’animo dei disagiati come guida spirituale, in modo da incoraggiare la gente ad evitare ogni opera che turbasse l’equilibrio e il bene del convivere sociale.

   Si coinvolgeva con le pubbliche istituzioni, come nell’eccidio dei teologi avvenuto nottetempo a Bujumbura ad opera di saccheggiatori armati. Si sentì coinvolto con grande intensità di emozioni di fronte a così grave eccidio e prontamente si è fatto aiutare dalle autorità competenti per far trasportare in Italia cinque seminaristi sopravvissuti che fece accogliere dal suo amico arcivescovo di Camerino, monsignor Angelo Fagiani, docente di teologia morale nell’istituto teologico di Fermo dove furono preparati per l’ordinazione sacerdotale, e furono incardinati nella diocesi di Fermo.

   Con cuore generoso in ogni iniziativa di pacificazione si è fatto prossimo a tutti, senza diffidenza, con coraggio nello smascherare le inimicizie e nel sensibilizzare il popolo a superare le amare sfide dell’odio. Nessuna persona fosse lontana da lui perché serenamente, senza pretese di persuadere, né tanto meno di forzare a fare quello che lui suggeriva, senza interesse suo privato, ma per il bene comune, incoraggiava ad apprezzare la diversità delle abitudini etniche, senza scontri.

  Padre Vittorio si è manifestato una di quelle persone dotate di particolare schiettezza di carattere, simpatia, condivisione, generosità nel non risparmiarsi con metodo misericordioso per il futuro di un popolo disastrato dalle guerre. Amava l’Africa e diffondeva la fiducia che le comunità cristiane fossero provvidenti nell’unire la fede cristiana alla vita africana con disponibilità collaborativa reciproca di fronte alle necessità comuni.

   Si intratteneva nelle carceri a Bujumbura per stabilire accordi di tolleranza, senza vendette tra Tutsi e Hutu, prima ancora che uscissero dal carcere. Non dimenticava i reati che erano stati commessi, ma apriva il futuro al ravvedimento e al proposito di non ricadere nel male. Riconciliati con Gesù Cristo i condannati chiedevano il perdono divino e fraterno e celebravano la Pasqua della risurrezione morale, nei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia condivisa. Padre Vittorio formulava gli accordi scritti e venivano firmati dai singoli carcerati impegnati.

CON L’INFANZIA E CON LA GIOVENTU’

   Padre Vittorio vedeva i bambini, gli orfani, gli adolescenti colpiti da gravi disagi, privazioni, povertà, calamità come cittadini del Burundi, non come individui privi di capacità. Voleva aiutare, curare, istruire i minorenni nella propria cultura di patria Burundese. Per i neonati salvati dall’aborto e consegnati dalle mamme violentate da militari e da saccheggiatori, egli ha creato la “Casa della gioia” affidata a Sandra Caniana e intitolata a Santa Rita da Cascia che è stata mamma premurosa per i suoi due figli e religiosa caritatevole. Per i ragazzi ha creato varie comunità, ognuna gestita da persone del Burundi, in accordo con le autorità locali, a Gitega e a Bujumbura.

   La loro formazione aveva come fino primario che diventassero persone di pace, e da adulti fossero in grado di far maturare la giustizia e la convivenza serena tra le diverse stirpi ed etnie. Considerava necessario che gli orfani e i bambini sostentati dai benefattori si formassero secondo la coscienza umana e cristiana come lievito per portare a realizzare una pienezza di pace in Burundi. Non un’ideologia ma lo spirito del Vangelo creava la vicinanza del missionario e dei burundesi con i ragazzi abbandonati o scartati.

   La casa dei piccoli non era sul modello europeo di orfanotrofio burocratico, era orientato allo spirito comunitario anche nella scolarizzazione e nella preparazione per la vita professionale futura con gli aggiornamenti e le prospettive di inserimento nel mondo dell’occupazione; in particolare manifestava lo spirito di pace tra le etnie twa, tutsi e hutu e dava una nuova dignità a ciascuna di queste componenti. Questo spirito di pace è stata la realtà concepita come un contrafforte di novità contro le pratiche antecedenti di scontri, di violazioni disumane, di brutalità, dell’odio che la guerra seguitava a seminare. La gioventù era novità di salvezza morale per la patria Burundi nella solidarietà risvegliata dallo spirito del Vangelo ad opera di persone misericordiose, disinteressate e amichevoli.

   Per assicurare la sussistenza nelle famiglie con i prodotti alimentari indispensabili, padre Vittorio sollecitava a tenere le sementi delle piante utili ogni anno per le nuove coltivazioni. Avveniva che talora le famiglie chiedessero al missionario di procurare loro le sementi perché le avevano consumate tutte in cucina, e lui cercava ogni modo per provvedere quanto necessario alla seminagione per la nuova coltivazione. La passione per condividere la vita della gente rendeva urgente la pratica economica che facilitasse la produzione agricola necessaria.

   Nella capitale del Burundi, a Gitega esiste dal 2003 la fondazione “Ruhuna Buon Pastore per l’infanzia abbandonata e l’educazione alla pace” promossa assieme con Padre Vittorio Blasi che sempre ha voluto assicurare la sopravvivenza dignitosa ai piccoli. Si dedicava ad ogni possibile iniziativa per procurare loro il sostentamento. Tutto ciò scaturiva dall’attenzione alle emergenze che esigevano di adoperarsi per aiutare i bisognosi. Nel contempo la formazione era idonea a rinnovare la società liberandola dalle violente cause che scatenavano le uccisioni e le stragi nelle famiglie.

   Procurava l’aiuto per la gioventù grazie alle generose offerte dei benefattori e in tal modo gli obiettivi di scolarizzazione e di preparazione professionale dei poveri si potevano realizzare. Si può pensare che siano avvenuti, addirittura, anche miracoli per riuscire a risollevare, come è avvenuto, la sorte di varie migliaia di bambine e bambini. La sorella Anastasia Letizia Blasi in collaborazione con i conoscenti ha promosso un’associazione per orfani del Burundi con padre Vittorio Blasi, con un atto notarile, creando anche un legame tra i benefattori per le possibili adozioni che consolidavano i sentimenti di bontà famigliare.

   Il primo asilo burundese dei neonati è stato quello di Sandra Caniana. Inoltre il missionario, in accordo con le autorità civili, creava in Burundi gli istituti scolastici. E da ciò è derivato un processo di crescita sociale e un nuovo orientamento per le iniziative utili ad incoraggiare le attività della gente. Si facilitavano incontri, consigli, progetti di miglioramento del Burundi. Ha orientato le collaborazioni con spirito fraterno e sono state sostenute e condivise con confidenza. Senza i benefattori le opere a favore dei piccoli non avrebbero e non potrebbero continuare.

   Nell’opera missionaria ha sparso con gioia i germi delle novità tra i ragazzi abbandonati che hanno avuto la prospettiva di un nuovo futuro e l’orientamento a poter superare i conflitti armati, che sono la causa delle disgrazie della nazione. Padre Vittorio ha promosso la bontà tra i piccoli con una formazione aperta alla convivenza serena e allo sviluppo. Egli quando condivideva il suo tempo tra i bambini era più elettrico nel cuore per l’affetto che espandeva. Non si fermava a far comprendere i valori della pace e i danni delle violenze e delle offese, infondeva soprattutto la fiducia che la potenza divina di Amore stava rinnovando per tutti la faccia della terra.

   E’ stato il missionario dotato di un particolare intuito nei tentativi che creano legami tra le vecchie e le nuove generazioni con spirito di misericordia. Così l’opera fraterna umanitaria promuoveva un futuro di dignità per tutti. Ha dato accoglienza abitativa ai bambini dispersi, affidandoli ad adulti e a giovani che vivevano insieme dove erano ospitati. La compagnia, l’aiuto e la sorveglianza di un uomo e di una donna del luogo erano provvidenziali per assicurare la serenità, il buon comportamento, la fraternità tra le etnie, con la fiducia in Dio, e con la salute protetta.

   Vedeva le tante cose necessarie ai piccoli per il nutrimento, per il vestiario, per il materiale scolastico, per i servizi di luce e di acqua e chiedeva l’apporto dei benefattori. Ha trovato ascolto. Un giorno a chi gli chiedeva come potesse rimediare senza mezzi, nelle urgenti necessità, padre Vittorio, rispose: “Dico a Gesù: Pensaci tu”, gettandosi nelle braccia divine. Viveva nella profonda fiducia alla Provvidenza. Tutto apparteneva alla generosità, destinato, senza dispersione, a vantaggio della gioventù e al futuro della società. I minorenni erano provveduti di istruzione, di protezione, di formazione spirituale.

   Questo missionario, con il metodo di san Giovanni Bosco, dal cuore generoso, ha potuto guidare la gioventù a costruire la propria vita con criteri morali. La Provvidenza gli ha procurato i cooperatori e i sostenitori per quanto necessario. Era il formatore e l’educatore capace di orientare i ragazzi e le ragazze ad esplorare le ragioni per vivere, per impegnarsi in una professione, per formare una famiglia, per affrontare i problemi della pace tra le inimicizie tra gruppi e per gestirsi nelle situazioni del mondo.

   Percorreva varie metodologie per procurare i mezzi necessari; anzitutto sostava davanti al Santissimo Sacramento dell’altare con viva fiducia nella misericordia divina invocata con la certezza che lo Spirito Santo si serve delle persone umane per fermentare lo spirito fraterno della comunità. Con le parole e con le lettere dirette al cuore dei benefattori manteneva relazioni forti. Con i piccoli condivideva la fede in Gesù che considerava come scudo impenetrabile a difesa dalle cattiverie. Era sicuro che gli assistiti crescevano per diventare persone adatte ad amministrare il futuro del loro paese nella pace e nella giustizia che lui insieme con la Chiesa sempre difendeva.

LA CARITA’ FIORE DELLE VIRTU’

   Con la sua attenzione per scorgere e incontrare chi avesse necessità, si è reso utile, senza darlo a vedere, con gratuità. In ogni caso era chiaro che le vie del Signore sono infinite. Egli pur con il sacrificio, trasmetteva la sua benedizione e lo spirito di generosità ad altri e incoraggiava a vivere le persone bisognose, ma prive dei beni per sopravvivere, sussidiava chi era impotente a provvedersi da solo, come i bambini.

   Possiamo accogliere le sue opere e il suo spirito ringraziando Dio per averci fatto incontrare questa persona. Per mezzo suo Dio comunica la sua amorevole misericordia. Molte persone sono state incoraggiate collaboratrici con offerte per l’associazione degli amici degli orfani del Burundi e di padre Vittorio Blasi.

   Padre Vittorio aiutava i bisognosi con l’ascolto, con l’accompagnamento, con il provvedere alle necessità sollecitando la collaborazione sussidiaria di altre persone. Una donna nubile che entrò in maternità, in seguito ad atti violenti altrui, mentre non era ben accolta in società, il missionario procurò l’aiuto indispensabile e la creatura salvata, neonata visse assistita da Sandra Caniana.

       Caro Padre Vittorio Blasi, nostro amico, grazie per i tuoi consigli, per la bontà e per la passione con cui ci hai illuminati nella pratica dell’Eucaristia, della Riconciliazione, della Carità, superando ogni scoraggiamento tra i difetti umani. Accompagnaci dal Cielo per giungere con te alla dimora eterna del Padre misericordioso.

Assoc.ne Amici degli orfani del Burundi e di P. Vittorio Blasi. \   Codice fiscale 90021610440

 Via Castellarso Tenna, n. 38 – 63838 BELMONTE PICENO FM  – Cell. 335 6371124 –

Conto corrente postale 13551635

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Statuti dei Fermani libro quarto rubriche 1-94. Digitazione Albino Vesprini belmontese.

Traduzione in lingua Italiana

<Libro quarto: dalle Rubriche 1-94>

 Invocato il nome della santa ed individuale Trinità felicemente inizia il libro quarto degli Statuti.

Libro 4 Rub.1

Per quali reati o delitti si possa far procedura nell’indagine giudiziaria.

   Vogliamo principalmente e decretiamo che da tutti i singoli Rettori e gli officiali presenti e futuri della Città di Fermo e del suo contado e distretto sia eseguito questo, cioè che non osino o presumano investigare o far procedura o intromettersi, insieme o separatamente, né in altro qualsiasi modo, su qualunque tutti e qualsiasi reati o delitti e che siano di qualsiasi specie o genere commessi in qualunque modo e forma, prima dell’anno del Signore 1379 e del giorno 24 del mese di agosto dello stesso anno, né per mezzo di una via o per un modo di accusa, né di denuncia e di investigazione, essi insieme o separatamente; piuttosto riguardo alle dette cose commesse prima dell’anzidetto anno e del detto giorno dell’anno, la facoltà di investigare, far procedura e punire sia a loro preclusa e interdetta completamente. Qualunque cosa, tuttavia, che sia stata fatta in modo diverso o in contrasto non abbia validità per la legge stessa per la disposizione di questo statuto e nondimeno chi trasgredisce o fa trasgredire in qualunque modo incorra nella pena di 1000 fiorini d’oro per il fatto stesso. Riguardo poi alle cose commesse dal detto anno e giorno, in seguito, e sulle cose che si commetteranno nel futuro decretiamo e ordiniamo che il Potestà e il suo Giudice dei reati, insieme o separatamente, abbiano l’ordinaria giurisdizione e il potere e la tutela di far procedura per mezzo di una via e un modo di investigazione sulla base del loro mero officio, anche senza che ci sia una precedente denuncia fatta per opera del Sindaco, riguardo e sopra tutti i singoli reati, i crimini e i delitti commessi nella Città di Fermo o nel suo contado e distretto, o anche fuori, tra i cittadini o tra gli abitanti del distretto di Fermo, <reati>commessi tra di loro al tempo del loro officio oppure entro un anno prossimo, riguardo e sopra i furti e le ruberie sempre e in ogni tempo, nonostante alcun statuto che dica il contrario, a meno che si siano stati fatte la procedura e l’investigazione in modo diverso o sia stata fatta la sentenza su tali cose. Si fa eccezione per i reati di parole di ingiurie ed inoltre di improperio e peri reati di percosse o di minacce a mano vuota, soltanto con il piede o con qualunque membro umano, senza intervento di alcun strumento né di oggetto purché tali percosse non siano state fatte nel collo o al di sopra del collo oppure da lì uscisse sangue, o fratture di un osso, di un nervo e di un membro, o della debilitazione duratura della funzionalità di un membro, e purché non segua la morte. Sono eccettuati anche i delitti tra i genitori e i loro figli o le figlie, la moglie, tra i consanguinei congiunti tra di loro come fratelli da uno o da entrambi i genitori, o congiunti vicendevolmente, come sorelle tra loro o fratelli tra loro, e congiunti fratelli con sorelle (come detto prima) o fra altri congiunti vicendevolmente che sono consanguinei o affini fino al terzo grado di consanguineità o affinità da calcolare secondo il diritto Canonico; o <reati> ad opera di un signore o una signora, o commessi da un patrono o da una patrona contro un servo, o una serva, un domestico o una domestica; <inoltra> a meno che il detto reato sia strato tale che ne consegue la frattura di un nervo, o di un membro, o la loro debilitazione permanente, o la cicatrice enorme sulla faccia e purché non seguisse la morte né avvenisse, o purché non sia stato un reato tale che da esso o per esso venisse imposta o potesse essere imposta una pena corporale o principalmente afflittiva del corpo, tuttavia non nel modo condizionale, per la forma di uno statuto di questo volume, o a meno che i reati non avvenissero o si commettessero contro qualche officiale del Comune di Fermo e del suo contado o distretto. Peraltro in tutti questi singoli casi è valido fare la procedura per mezzo di una investigazione ed è valido investigare sul delitto, nonostante ci siano congiunti o servi o famigli, a meno che ciò non sia provveduto espressamente in qualche statuto in questi casi o in qualcuno di essi. Si fa eccezione anche per tutti i singoli altri casi e per i reati sui quali per la forma di qualche statuto di questo volume risultasse negato il potere di fare indagine o di fare la procedura per mezzo di una ispezione o di un esame. I detti Rettori e i loro Giudici, insieme o separatamente, sempre e in qualsiasi tempo, abbiano validità e possano ispezionar attraverso la modalità dell’accusa o della denuncia <da parte> dell’ingiuriato o di chi ha subito principalmente l’ingiuria, su tutti i singoli reati, i crimini e i delitti indistintamente, commessi nel tempo del loro officio o entro l’anno che precede immediatamente, in realtà sui furti e sulle ruberie. Coloro che delinquono debbano in realtà essere condannati ed essere puniti, secondo la forma e la modalità o come permesso dagli statuti di questa Città. E queste stesse sentenze in realtà siano pronunciate per mezzo del Rettore principale, non per mezzo di un suo Giudice né di qualche officiale, a meno che ciò non si riscontri in quanto è stato permesso in modo eccezionale da qualche statuto di questo volume.

4 Rub.2

I Sindaci dei Castelli e delle Ville possano e debbano denunciare i reati.

     Ci rendiamo conto che sono stati presi i provvedimenti in bene e decretiamo che qualsivoglia Sindaco della Comunità di un Castello e di qualunque Villa della Città e del distretto di Fermo, ed anche il Sindaco del Castello di Porto S. Giorgio siano obbligati, possano e debbano riferire e denunciare agli infrascritti signori Podestà o Capitano, o alla loro Curia, e al Giudice dei reati, che cose successe, che siano state commesse nel Castello o nella Villa, o nel territorio del Castello o della Villa, o della comunità da cui egli è stato stabilito, entro 10 giorni da calcolarsi dal giorno in cui il reato o il delitto è stato commesso, sotto la pena di 10 libre di denaro per qualsiasi trasgressore e per qualsiasi volta da riscuotersi sul fatto. E la detta denuncia o reclamo sui delinquenti contenga e debba contenere quanti siano, e i reati, e contro chi sono stati commessi, con <la data del> tempo e con le altre formalità utili e consuete. Per l’esecuzione di ciò, qualsiasi Comunità di un Castello o di una Villa del contado e del distretto di Fermo, entro otto giorni dall’inizio dell’officio del Capitano o del Podestà sia obbligata a stabilire e ordinare e mandare alla Curia del Podestà e del Capitano, il suo Sindaco, pera eseguire le dette cose, con un sufficiente mandato e insieme con lui due Massari competenti, i quali siano di detta Comunità, e garantiscano pienamente e solennemente per l’anzidetto Sindaco, sotto pena 25 libre di denaro da riscuotersi sul fatto da qualsiasi Comunità negligente.

4 Rub.3

Il modo e la procedura da seguire nelle cause penali o miste.

   Il modo e la procedura che sia praticata circa le cause penali o miste è questo, cioè che dopo che è stata presentata la denuncia da un semplice denunciatore, o l’accusa da un accusatore in un tribunale di fronte al Rettore o al suo Giudice dei reati, chi fa la denuncia faccia giuramento, così pure chi fa tale accusa, che egli nel denunciare oppure nell’accusare non procede per movente di calunnia; e inoltre che egli fa la denuncia in base alle cose a lui riferite e ascoltate, se si tratta di un semplice denunciatore; se è l’accusatore faccia giuramento anche che egli può dar prove dell’accusa e che fa l’accusa soltanto secondo verità e che l’accusa sarà portata avanti fino alla fine, secondo la forma dello statuto; e inoltre presenti i fideiussori o un fideiussore idoneo e approvato di fronte al Giudice sul proseguire e presentare le prove per l’accusa prodotta tramite lui, secondo la forma degli statuti e sul pagare la penalità contenuta nei presenti statuti qualora faccia il contrario. Dopo fatto questo, come già detto, il Rettore o Giudice dei reati nello stesso giorno mandi una copia di tale accusa oppure della denuncia chiusa e con il sigillo del Rettore o del Giudice al Cancelliere del Comune. Poi il detto Rettore o il Giudice dei reati faccia fare la citazione al tale accusato o denunciato, in modo personale, o nella casa della sua solita abitazione con la presenza di alcuni del suo vicinato o di familiari o di due altri testimoni per mezzo del pubblico Balivo del Comune di Fermo; un cittadino o un abitante della Città, entro la scadenza di due giorni; un abitante nel contado o nel distretto, di quattro giorni, si presenti di fronte a lui per scagionarsi dall’accusa o dalla denuncia prodotta contro di lui. E questa citazione sia emanata e avvenga con <atti> scritti con espressa la nota del reato contenuto in tale accusa e denuncia, all’accusato o al denunciato in modo personale o nella casa di sua abitazione alla presenza dei vicini, come <detto> sopra, per mezzo del detto Balivo sia rilasciata a lui stesso la cedola e la citazione nei reati non si possa fare in altro modo. E ciò quando si procede contro un Cittadino o un abitante della Città o del contado, o del distretto. Quanto, in realtà, si procede contro un forestiero che abita fuori dal distretto di Fermo, tuttavia nella Diocesi Fermana, in una causa penale, il Giudice o Rettore faccia la citazione con questa procedura cioè per mezzo di una sua lettera che contiene la nota del reato o del delitto, faccia la citazione a colui contro il quale si fa il processo, che entro cinque giorni o più, secondo come il Rettore o il Giudice deciderà, in considerazione della distanza del luogo, che si presenti di fronte a lui per giustificarsi e scagionarsi dalla denuncia o dall’accusa prodotta contro di lui. E questa lettera sia mandata per mezzo del pubblico Balivo del Comune di Fermo alla Terra, o al luogo della diocesi Fermana dove colui contro il quale si fa il processo abita o risiede, oppure da dove è oriundo. E sia presentata per mezzo dello stesso Balivo al Rettore, al Giudice o all’officiale di quel luogo o Terra, di cui è stato detto, affinché la citazione sia valida a pervenire per notifica a colui contro il quale si fa il processo. Qualora il Balivo riferirà al Giudice che egli non ha potuto presentare questa lettera a causa del pericolo del viaggio o per altro caso che gli impediva l’accesso, questa citazione valga fatta per mezzo di un editto alle porte del palazzo del Rettore o dell’officiale, con la nota del reato, come sopra. E in tutte le singole cose scritte sopra, ad opera del Rettore e del Giudice si dia fede alla relazione del detto Balivo riguardo alle cose a lui affidate. Qualora però si fa il processo, in una causa penale, contro un forestiero di fuori dalla diocesi Fermana, si faccia la citazione a colui contro il quale si fa il processo, per mezzo del Balivo del Comune di Fermo con atti scritti tramite una lettera che contiene la nota di uno reato su cui si fa il processo. La lettera va affissa alla porta del palazzo di residenza del Rettore o del Giudice che processa con la scadenza di cinque giorni o di più, secondo come sembrerà opportuno al Rettore o al Giudice. Entro tale termine, colui contro il quale si fa il processo, possa e valga presentarsi a giustificarsi e a scagionarsi. E lo stesso modo sia praticato, in tutto e per tutto, nel mandare la copia e nel citare quando si fa il processo soltanto per investigazione, meramente sulla base dell’ufficio. E qualora la citazione sia stato fatta in altro modo, la sentenza che ne provenisse non abbia validità. Sempre sia fatto salvo quello che è previsto nello statuto sotto la rubrica: “Non si renda invalida la sentenza per una mancanza delle formalità penale”. a cui, con questo <statuto>, non si deroghi affatto.

4 Rub. 4

Come si fa il processo contro chi si costituisce nelle cause penali.

   Colui che è stato denunciato, accusato e inquisito quando si costituisce di fronte al Rettore o al Giudice dopo la citazione fatta su d lui, sia obbligato a rispondere all’accusa, alla denuncia o all’investigazione, in modo preciso e limpido, senza un contenuto di alcuna obiezione, dopo aver interposto il suo giuramento, confessando o negando il fatto sul quale si fa la procedura in tutto o in parte, come a lui sembrerà giusto, tuttavia in modo chiaro e aperto. E si intenda che tutte le obiezioni che competono a lui siano capite e per lui siano in una procedura di una causa riservata, senza il ministero di alcun Giudice. Dopo fatta la risposta in tal modo, qualora il reato sul quale si fa la procedura sia tale che da questa sia da imporre o provenga una penalità semplicemente pecuniaria in modo esclusivo e chiaro, il tale denunciato, accusato, o inquisito sia rilasciato, piuttosto debba essere dato alle carceri, dopo che ha presentato un fideiussore o più fideiussori approvati dall’approvatore sul dover pagare la condanna che da ciò capitasse che si faccia.  Qualora, in realtà, il reato, sul quale si fa la procedura, sia tale che, a motivo di esso, si possa o si debba imporre una pena corporale o principalmente afflittiva del corpo, in nessun modo debba essere rilasciato, ma al contrario debba essere assicurato alle carceri, affinché, in caso di condanna, subisca su ciò il suo supplizio, a seguito dell’assoluzione, su cui non sia stato fatto l’appello. Quando, in realtà, la pena da imporre avvenisse afflittiva del corpo non in modo principale, ma in mancanza della penalità pecuniaria o sotto condizionale, allora, se il tale denunciato, accusato o inquisito avrà voluto fare un pagamento e abbia pagato al Banchiere del Comune di Fermo la somma di denaro di tassa in occasione del reato o del delitto, o da imporre per la forma degli statuti, sotto condizione di recuperarla nel caso in cui avvenga che egli sia poi assolto, e di tale pagamento abbia informato il Rettore o il Giudice per mezzo di un atto scritto di mano del Notaio del Banchiere e sottoscritto da questo stesso Banchiere, debba essere rilasciato subito dal Rettor o dal Giudice. E in contrasto contro questa forma o modalità nessun Rettore o Officiale possa o osi detenere nelle carceri o nel palazzo qualche accusato, denunciato o inquisito ad opera sua o di un altro, sotto la pena di 200 libre di denaro, per ciascuno e per qualsiasi volta. E dopo che la risposta è stata fatta dal denunciato, dall’accusato o dall’inquisito, come detto sopra, il Rettore o il Giudice dei reati assegni al reo <accusato> una scadenza di dieci giorni successivi per fare ricorso e opposizione con qualsiasi cosa che vuole opporre e può, per fare ogni sua difesa, e produrre tutti i diritti e dare le prove e avere dato prove per mezzo di testimoni di istrumenti scritti e di ogni altro genere di prova, quello che egli vuole e può. E la medesima scadenza sia assegnata e debba essere assegnata all’accusatore o al denunciatore, quando il denunciatore o l’accusatore sia presente nel giorno della detta risposta, o nel seguente, a lui di persona oppure nella casa di sua abitazione o nel luogo che abbia scelto per le citazioni che su di lui si dovranno fare. Dopo trascorsi questi dieci giorni, in realtà, il Rettore o il Giudice renda pubblico e apra tutta la procedura e stabilisca al reo e all’accusatore o al denunciatore, quando stia presente, la scadenza di cinque giorni successivi per prendere la copia di tutto il processo e per fare dichiarazioni contrarie e opporsi e controbattere qualunque cosa vuole e può, oppure una scadenza maggiore ad arbitrio dello stesso Giudice; ed entro questo termine, e non oltre, l’una e l’altra parte possano, con azione  valida, fare le opposizioni, dare le prove contro le persone dei testi e contro le cose che dicono e contro i documenti scritti prodotti e fare opposizione alla procedura che segue e abbia validità per opera di entrambe le parti, o per una delle due parti, e non in seguito. E il Rettore o il Giudice e il Notaio dei reati, dopo aver fatto tale cosa pubblica, faccia per le parti una copia di tutte le cose già dette, sotto penalità di 200 libre di denaro per ciascuna volta. E, in realtà, dopo trascorsi questi cinque giorni o più stabiliti sulle dette cose dal Giudice, il Rettore o il Giudice dei reati faccia pubblicamente eseguire un bando che chiunque ha da fare nella Curia dei reati, entro il terzo giorno successivo, venga a fare allegato dei suoi diritti, se ne ha alcuni. Dopo che così sono passate queste scadenze, il Rettore o il Giudice e il suo Vicario, quando il Rettore sia stato impedito da una malattia o da altra probabile causa, o non potesse essere presente nel Consiglio per profferire la sentenza, debba pronunciare e portare a termine la causa e la procedura, secondo la forma o il permesso dagli statuti, per mezzo di una sentenza penale. Tuttavia prima che questa sentenza sia pubblicata, il Rettore o il Giudice nel giorno precedente faccia fare un bando pubblicamente che chiunque ha da fare qualcosa nella Curia in occasione di qualche reato si presenti <costituisca> nel giorno seguente a quello del bando presso il Consiglio e ascolterà la sentenza. E questo bando abbia validità per l’autorità del presente statuto, per quanto la citazione perentoria fatta legittimamente sulle parti, per ascoltare la sentenza. Così, tuttavia, si proceda e in modo tale che sempre entro 40 giorni da calcolare per coloro che si costituiscono, dal giorno della <loro> giustificazione, invece per i contumaci da calcolare dal giorno della prima citazione, tutti i processi iniziati ad opera di questo Rettore o Giudice siano portati a termine completamente per mezzo della sentenza. In realtà egli debba portare completamente a termine i processi del suo predecessore entro due mesi dal giorno in cui ha iniziato il suo officio. E dopo scaduti gli anzidetti termini, qualora il Rettore o il suo Giudice, non abbia portato a termine questi processi, non abbia ulteriormente la giurisdizione di indagare su di essi, né di portarli a termine in qualche modo; ma al contrario questi processi non finiti siano portati a termine dal successore suo, entro un mese da computare dal giorno dell’ingresso al suo officio. In realtà, il Rettore e il Giudice dei reati che sia stato negligente in queste cose, assolutamente debbano essere condannati dal Giudice degli appelli o dai suoi Sindaci alle pene che potevano risultare da tali processi che hanno trascurato di ultimare; e nondimeno debbano del tutto essere condannati a 50 libre di denaro in più. Inoltre affinché nessuno sia trovato che è stato gravato in qualche modo dal tedio delle carceri, decretiamo che quando, precedenza, un’accusa, un denuncia o un’indagine legittima non è stata fatta, oppure è stata tramessa oltre il tempo, in contrasto a<quanto> permesso, come assegnato sopra, e giungesse oltre i 10 giorni da calcolare dal giorno in cui sia pervenuto alla forza <detentiva> o al potere del tale Rettore o del Giudice, entro tali giorni il Rettore o il Giudice possa fare la procedura per mezzo di una inquisizione, di un’accusa o di una denuncia, in occasione di qualche reato o delitto nessuno possa essere detenuto nella persona, nelle carceri o nel palazzo, su mandato di qualche Rettore o di un Officiale del Comune di Fermo o ad opera di questi stessi. E quando, entro il detto tempo, non è stata formulata né un’indagine, né un’accusa, neppure è stata prodotta una denuncia contro un tale che è sotto la sua forza, <il Rettore> non ardisca in nessun modo di tenere questo stesso in detenzione, sotto la penalità di 500 libre di denaro per chiunque fa il contrario, e per ciascuna volta, da prelevare nel tempo del suo sindacato; ma il tale detenuto debba compiutamente essere rilasciato alla propria libertà, sotto la detta penalità, dopo che ha dato i fideiussori, uno o più, idonei o approvati, o anche offerti a tale Rettore o al Giudice, e non ricevuti da parte di costui, riguardo al presentare il tale detenuto agli ordini del Rettore o del Giudice, sotto una certa penalità che non eccede libre 300 di denaro e che sia da pagare non più che una sola volta, dopo scaduto questo termine di 10 giorni. E facciamo uno statuto per rimediare alle calunnie e alle cautele degli officiali che qualora sia risultato e da parte dei testimoni o dagli instrumenti o da altra prove che colui che è stato rilasciato così in un solo giorno e poi nello stesso<giorno> o nel seguente sia stato trovato nella forza <detentiva> del detto Rettore o del Giudice o di uno di essi, non si intenda che fu rilasciato o restituito alla sua libertà costui che, mentre già precedentemente era detenuto, poi si trovasse rilasciato, nondimeno ridotto per la seconda volta, così, detenuto. Ma questo Rettore o il Giudice che agisce in contrario e non eviti in nessun mondo la detta pena e nondimeno il tale detenuto sia rilasciato del tutto, come sopra.

4 Rub.5

Come si debba fare la procedura contro un contumace nelle penali.

   Per il fatto che l’accusato, il denunciato e l’inquisito sia stato citato nel modo e nella forma trasmessi sopra, se non si sia costituito nella scadenza assegnata o prestabilita su un ordine del Rettore o del Giudice o per la citazione su di lui così fatta, da allora scaduto detto termine il Rettore o il Giudice faccia esiliare quel tale così citato e lo faccia mettere pubblicamente al bando da tutta la Città di Fermo e dal suo contado e dal distretto tramite il pubblico Banditore del Comune, con quella somma o penalità alla quale il accusato, il denunciato e l’inquisito dovesse essere condannato, oppure potesse esserlo; e a costui assegni nello stesso bando la scadenza di tre giorni successivi, o una <scadenza> maggiore a suo arbitrio, e il giorno del bando dato non sia conteggiato affatto entro questa scadenza. Dopo dato e fatto questo bando il Giudice o il Rettore faccia notificare questo bando, per iscritto, alla persona, tramite un Balivo del Comune al Cittadino, o a colui che abita nella Città, o ad un abitante nel distretto, nel contado, in modalità personale, o nella casa della sua solita abitazione; in realtà per le cose restanti presso la porta del palazzo del Rettore o del Giudice. Questa notifica così fatta sia pienamente sufficiente, e dal giorno di tale notifica inizi la scadenza del detto bando, senza che il giorno della notifica sia conteggiato affatto. Qualora entro questa scadenza il tale posto al bando o esiliato si sia costituito in giudizio, al cospetto del Rettore o del Giudice, con lui si faccia la procedura nel modo e nella forma assegnati nel titolo precedente. Se in realtà non si sia costituito e abbia trascurato di costituirsi nella scadenza del detto bando, da allora trascorso la detta scadenza, in nessun modo venga ascoltato dal Rettore o da Giudice, se non per un reato riguardo al quale si fa la procedura per confessare totalmente, a meno che al Giudice sia sembrato opportuno non ammettere costui stesso per negare. E colui che in nessun modo si sia costituito dinanzi al Rettore o al Giudice nella scadenza del bando, né in seguito, prima della sentenza, per l’autorità del presente statuto sia e venga considerato contumace, e sia ritenuto che abbia confessato, e sia convinto del reato sul quale si fa la procedura contro di lui, e dopo trascorso il detto termine del bando sia valido che sia condannato, senza aspettare ulteriormente. E in tutti i singoli casi del presente statuto da parte del Rettore e del Giudice ci si attenga al ragguaglio del Banditore e del Balivo circa le cose che a questi stessi sono state comandate.

4 Rub.6

Affinché nessuno, suo malgrado, sia costretto a fare un’accusa e non si debba ammettere un denunciatore segreto.

   Desideriamo di porre rimedio alle frodi dei privati e dei Giudici, e decretiamo che nessuno sia costretto fare un’accusa, suo malgrado. Inoltre chi fa un’accusa o una denuncia segretamente o privatamente non sia ammesso, ma senza dubbio palesemente e pubblicamente il suo nome debba apparire negli atti scritti, a meno in quanto sia riscontrato che sia previsto, in modo speciale, da qualche statuto di questo volume, sotto la pena di 100 libre di denaro che incombe sull’officiale trasgressore, per qualsiasi volta. E per la legge stessa, tuttavia, non abbiano valore quanto fatto contro ciò e qualsiasi cosa ne sia stato conseguita.

4 Rub.7

Nelle cause penali, i minorenni, i figli di famiglia abbiano una legittima persona, e il beneficio su questi stessi.

   In modo generale decretiamo che il minorenne di venticinque anni e i figli di famiglia, maggiori tuttavia di quattordici anni, anche senza il consenso del curatore o del padre possano stare in una procedura penale, ed abbiano una legittima persona nelle formalità parte attiva e passiva, quando venga discussa una causa penale, o per mezzo di un’accusa, o di una denuncia o di un’indagine. Aggiungiamo alle cose già dette che i delinquenti minori di quattordici anni, tuttavia maggiori di 10 <anni>, siano puniti e condannati a metà della pena, con la quale vengono puniti gli altri maggiori di quattordici anni. In realtà i delinquenti minori di 10 anni siano puniti ad arbitrio del Rettore, tuttavia purché non superi la metà della pena, considerata la condizione del reato e la persona del delinquente e la persona sulla quale è commesso il reato.

4 Rub.8

In quale modo e quando nelle cause penali il procuratore, il tutore o il curatore o il padre vengono ammessi a favore di un figlio.

   Con la presente legge decretiamo che nei reati o nelle cause penali nessun procuratore sia ammesso nelle formalità attiva e passiva, a posto di un altro quando per il reato, sul quale si fa la procedura, una pena corporale o afflittiva del corpo dovesse o potesse essere imposta, in via principale o sotto condizione o in mancanza;

 se non dopo che, per mezzo del principale, contro il quale si fa la procedura, la giustificazione o la risposta siano state fatte; e allora il procuratore con validità sia ammesso per gli atti restanti, fino alla sentenza inclusa. Nella funzione di procuratore o nella funzione difensore di un altro, invece, in tutti i singoli casi, quando in via principale è stata stabilita una penalità pecuniaria, benché sotto condizione, o in mancanza <la pena> sia corporale o afflittiva del corpo, sia lecito a chi vuole di comparire per confessare il reato e insieme con ciò per pagare la pena pecuniaria a nome di colui, a favore del quale così si costituisse. In realtà il padre per un solo figlio, o per più figli di qualsiasi sesso; il marito per la moglie; il tutore o il curatore per minorenni non adulti, per uno o per più, di qualsiasi sesso, possano essere ammessi soltanto per accusare e non per giustificare; e debbano, anche nei detti casi, ma dopo fatta la giustificazione ad opera del principale, possano essere ammessi per le restanti cose, come è stato detto sul procuratore. In realtà per un esiliato, o per uno sottoposto al bando, di qualsiasi condizione o sesso sia, nessuno sia ammesso, sotto qualunque nome, se non per presentare un instrumento di pace, nel caso in cui dalla pace il reo venga sollevato, secondo la forma dei presenti statuti, purché tuttavia colui che presenta tale instrumento a favore del detto esiliato, prima di tutto abbia pagato dodici denari per ogni libra di quella quantità o somma, la quale è da dimezzare o da diminuire, in vigore della pace sulla condanna. Nelle pene in realtà da imporsi, meramente, semplicemente pecuniarie, attivamente o passivamente, il procuratore o gli altri detti sopra, nella funzione di cui sopra, siano ammessi ad ogni singola cosa nelle cause penali, tranne che per l’esiliato, come è stato detto; invece per negare in nessun modo vengano ammessi, per la funzione di cui sopra.

4 Rub.9

L’abolizione da concedersi. 

   Inoltre con questa legge decretiamo che nessun Rettore, officiale o Giudice conceda ad alcuno l’annullamento di una qualsiasi accusa o di una denuncia di qualsiasi specie, neppure abbia validità che chieda ciò qualche accusatore, da se stesso o per mezzo di un altro, in nessun modo, sotto la pena di 100 libre di denaro per il Rettore o per il Giudice che la concede, e sotto la pena di 25 libre di denaro per colui che chiede <ciò> a nome di un altro. Invece non abbia validità quanto è stato fatto in modo diverso, per la legge stessa. Eccetto e salvo < il fatto> che l’abolizione possa essere chiesta con validità sull’accusa di disprezzo di un mandato, di disordine o di invasione di un possedimento o di una tenuta, e <ciò> esclusivamente fino alla sentenza, o a un solo giorno prima della lettura della sentenza, avendo pagati precedentemente 5 soldi al Comune da chi la chiede per qualsiasi accusato, e avendo fatta la garanzia del pagamento per mezzo di una bolla del Banchiere del Comune o del suo Notaio; e il Notaio dei reati debba registrare agli atti questa bolla, sotto la pena di 10 libre di denaro. E dopo fatto ciò, il Giudice pronunci che non si debba fare la procedura ulteriormente. E in tal modo tale processo sia concluso e si intenda che è stato concluso e il Rettore o il Giudice non possano ulteriormente fare la procedura su detto processo, altrimenti, per la legge stessa, quanto fatto in modo diverso non abbia validità. Aggiungendo correggiamo che, per la volontà del creditore e perché è stato soddisfatto, anche dopo notificata la sentenza o notificata la condanna, l’abolizione, non prima della sentenza, in qualsiasi momento, possa e valga che sia chiesta nelle cose consentite, come <detto> sopra, dopo che colui che richiede questa abolizione precedentemente ha pagato i 5 soldi al Banchiere del Comune per ogni condannato. Eccetto, tuttavia, che detta condanna non sia stata pagata precedentemente a questo Banchiere.

4 Rub.10

Le donne non siano costrette ad entrare nei Palazzi.

   Con la presente legge decretiamo che nessuna donna, di buona reputazione, venga costretta a entrare nel palazzo, da qualche Rettore o officiale, in qualche modo o per un gruppo richiesto, sotto la pena di 25 libre di denaro per il Rettore, per ognuno trasgressore. Sia fatto salvo e riservato che in tutte le cause penali, nelle quali potesse o dovesse essere imposta alla donna una pena corporale o afflittiva al corpo, in occasione di un’accusa, di un’inquisizione o di una denuncia precedente contro di lei, possa essere costretta, come un maschio, ed anche essere messa in carcere. Eccetto anche se sia stato condannata su qualche delitto; anche in questo caso, come un maschio, c’è validità che sia costretta e detenuta. In realtà negli altri casi, o atti, tanto civili quanto penali, sia sufficiente che la donna si costituisca dinanzi ad un Giudice o ad un officiale, in qualche Chiesa, per obbedire agli ordini di costui stesso.

4 Rub.11

I processi non iniziati da un Rettore <sono> da iniziarsi e ultimarsi da un altro.

   Noi desideriamo che i reati e i delitti siano puniti, e decretiamo che il Capitano e il Podestà e la loro Curia siano obbligati e debbano, entro 5 giorni dalla notifica fatta a loro, iniziare un processo riguardo e sopra un reato denunciato a loro. E se colui, a cui sia stato notificato prima, entro la predetta scadenza non abbia agito, un altro officiale, o la sua Curia, entro altri 5 giorni dopo la denuncia o la notifica fatta a lui, debba iniziare il processo su ciò e poi portarlo al termine, secondo come sarà stato per legge; purché, tuttavia, il reato sia tale che riguardo ad esso il tale Rettore, o il suo Giudice, abbia il potere di investigare propriamente per il suo officio. Dato che, in verità, talora succede che nasca una controversia fra i Rettori tra di loro e fra le parti in occasione di una prevenzione nel fare la procedura o nell’investigare sui delitti, decretiamo che si intenda e si debba intendere che colui che per primo abbia inviato la copia dell’accusa, della denuncia o dell’inquisizione sullo stesso reato al Cancelliere del Comune abbia la precedenza nel fare la procedura e nell’indagare sul reato. Su questa cosa ci si debba attenere alla semplice parola del detto Cancelliere, e la dichiarazione di costui ci si attenga e nient’altro sia richiesto ulteriormente.

4 Rub.12

Coloro che possano essere ammessi a testimoniare in penale e l’esame dei testimoni.

   Affinché la facoltà delle prove non sia angustiata, in alcun modo,  decretiamo che in tutte le singole cause penali, di qualsiasi modalità o genere siano, tanto le donne quanto gli uomini siano ammessi a esprimere la testimonianza, e siano ritenuti idonei purché, tuttavia, il testimone, uomo o donna, sia maggiore di quindici anni, e superiore ad ogni opposizione prima che esprima la testimonianza; e qualsivoglia testimone, di qualsiasi sesso, nella causa penale, giuri alla presenza della parte ammonita o citata legittimamente, e contro tale parte è stato portato o prodotto. E la dichiarazione e la testimonianza di qualsiasi testimonio in una causa penale per mezzo del Notaio dei reati siano scritte, per esteso, come viene testimoniato, non invece scrivendo in una modalità tale o simile, cioè “disse che erano cose vere” quelle contenute nell’accusa, nella denuncia, nell’indagine o nell’articolo; neanche scrivendo, “disse come un altro testimone”, o in modalità simile, sotto pena per il Notaio che scriva così, in contrasto alla proibizione di questo statuto, di 10 libre di denaro, per qualsiasi volta; e nondimeno, non sia prestata fede, in nessun modo a tali scritture fatte in tale modo. Circa la fedeltà e l’idoneità dei testimoni sia lasciato alla disposizione e alla considerazione o all’arbitrio del Giudice.

4 Rub.13

Le torture.

   Facciamo divieto a tutti i Rettori, ai Giudici e agli officiali di sottoporre o di far sottoporre qualcuno a qualche tortura, a meno che i legittimi indizi sul delitto precedono contro il torturando, secondo una disposizione del diritto Comune, sotto la pena di 500 libre di denaro per qualsiasi trasgressore e per qualsiasi volta.

4 Rub.14

Le sentenze penali da presentare in Consiglio e tramite chi possono essere presentate.

   Decretiamo che le sentenze condannatorie o assolutorie nelle cause penali nelle quali sia espresso il crimine o il delitto sul quale qualcuno sia condannato o assolto, possano e debbano essere pronunciate e promulgate, nelle solite modalità, anche nei giorni festivi in onore di Dio, nel Consiglio generale nel palazzo del Comune, e del popolo. E un bando sulle dette sentenze si debba far precedere, nel giorno che precede queste sentenze. E pertanto queste sentenze con validità debbano essere lette per mezzo di un Notaio dei reati, e abbiano il vigore e l’efficacia, come se siano stati lette dal Rettore principale o dal Giudice, purché dopo lette queste stesse, il Rettore principale, non il suo Vicario, con oracolo di viva voce, proclami che come è stato letto, così si sentenzia, così si ratifica o si conferma. Si fa salvo che quando il Rettore per infermità, o per un altro motivo, non potesse essere presente nel Consiglio per pronunciare le sentenze, siano pronunciate tramite il suo Vicario, come è stato detto sul Rettore.

4 Rub.15

In penale, quando e quali sentenze non possono essere pronunciate in Consiglio.

   I Rettori della Città di Fermo, in qualsiasi tempo del loro officio, possano portare qualsiasi sentenze penali; fatta eccezione, negli ultimi 10 giorni del proprio officio, minimamente pronuncino da se stessi le sentenze assolutorie sui crimini <penali> o sui delitti, e neanche le facciano pronunciare attraverso un altro, sotto penalità di 100 libre di denaro da prelevare a ogni trasgressore, per ciascuna volta. E tuttavia una sentenza assolutoria pubblicata così non abbia validità per la legge stessa e il negozio debba essere ultimato dagli stessi atti, nuovamente, per mezzo di una sentenza.

4 Rub.16

Il beneficio della confessione della pace.

   Consapevoli di convenire con la ragione, ordiniamo che, se qualcuno, contro il quale si fa la procedura su un crimine, nella sua prima risposta o discolpa, che ha fatto dinanzi al Giudice sul reato o sul delitto sul quale si fa la procedura contro di lui, spontaneamente, o candidamente o semplicemente abbia confessato il crimine o il delitto, per cui si fa la procedura contro di lui, la quarta parte nella pena originale pecuniaria stabilita per il reato, sia diminuita dalla condanna da farsi su lui stesso. In realtà, qualora abbia avuto anche la pace da colui, contro il quale è stato commesso il delitto, solo un giorno prima che la sentenza sia pubblicata, abbia porto una scrittura di tale pace dinanzi al Giudice, in forma pubblica, similmente un’altra quarta parte della detta pena originale sia diminuita. E qualora abbia avuto soltanto la pace, come è detto sopra, e abbia porto questa, nel modo anzidetto, una quarta parte soltanto di detta pena stabilita sia diminuita. E ciò in tutte le pene pecuniarie limitate o tassate. In realtà, nelle pene pecuniarie arbitrarie in tutto o in parte, i detti benefici o uno di questi due, avuto dal reo, e di cui abbia documentato, come detto sopra, soltanto dopo pubblicata la sentenza i benefici possano o debbano essere conservati, e per l’autorità di questo statuto si comprenda che sono conservati, e i detti benefici siano diminuiti dalla somma contenuta nella sentenza. E i detti benefici o qualcuno di essi non abbiano vigore nei casi nei quali ci si attenga alla relazione sul delitto di un officiale o di un servo del Rettore; in realtà mentre gli statuti di questo nostro volume che inibiscono i detti benefici, o qualcuno di essi, permarranno nel loro vigore, a questi in nessun modo si faccia deroga, né si desti un pregiudizio con questo statuto. Ed inoltre decretiamo che se la pena pecuniaria abbia annessa una pena corporale, o afflittiva del corpo, come condizione, la stessa condizione e la pena, siano aggiunte e abbiano luogo anche per quelli esposti precedentemente, o per quelle aventi gli anzidetti benefici della confessione e della pace.

4 Rub.17

In quali casi la pace sia operativa, oppure no.

   Decretiamo ed ordiniamo che in tutte le cause penali, nelle quali la pena del delitto, secondo la forma dello statuto del presente volume è semplicemente pecuniaria, e ha anche una condizione al modo di condizione annessa ad una pena corporale o afflittiva al corpo, il beneficio della pace giovi al reo <accusato> purché tuttavia, se ne abbia la constatazione di esso e sia prodotta, come sopra è dato nel titolo precedente, a meno che in qualche caso, non sia stato espressa altra cosa o il contrario con qualche statuto di questo volume. Per le pene puramente personali o afflittive del corpo, né la confessione né la pace siano utili, in nessun modo.

4 Rub.18

La pena da dimezzare per gli uomini dei Castelli, delle Ville del contado, e del d0istretto di Fermo.

   Vogliamo ed ordiniamo che le pene puramente e semplicemente pecuniaria e limitate anche determinate per mezzo degli statuti di questo volume, sia che siano pecuniarie, o, in carenza, condizionali e afflittive del corpo, pene che non sono arbitrarie, né in tutto né in parte, in una stessa sentenza o condanna e siano dimezzate dal Rettor per gli uomini del contado e del distretto di Fermo, se offendessero altro <cittadino> dello stesso contado o distretto nello stesso contado. In realtà le pene pecuniarie arbitrarie, in tutto o in parte, sia che, come condizione, abbiano sia che non abbiano annessa una pena corporale o afflittiva del corpo, per gli anzidetti uomini così colpevoli, o oltraggiosi, come è detto prima, siano dimezzate e si intendano dimezzate dopo la stessa sentenza o la condanna e non prima. Nelle pene, invece, stabilite per mezzo degli statuti di questa Città a motivo di danni dati, di parole ingiuriose, o diffamatorie, di bestemmie, o della maledizioni di Dio e dei santi, o di un vergognoso o inopportuno giuramento fatto e giurato per mezzo del nome di Dio, o dei Santi suoi, o in altro modo a disonore di Dio e dei Santi, o fatto o detto a disprezzo, qualsivoglia siano le pene stabilite, per detti uomini, il dimezzamento contenuto in questo statuto non abbia valore sulle pene stabilite per i delitti per i quali ci si attiene al resoconto dell’officiale, o di un servo del Rettore. Inoltre gli uomini di Porto San Giorgio siano trattati e siano puniti al modo come i Cittadini sui reati commessi da loro, in ogni cosa e per mezzo di ogni cosa, riguardo ai crimini. E questo statuto abbia valore nelle le cose passate, nelle presenti e nelle future. E questa pena così dimezzata sia capita e sia la pena originale per i delinquenti detti sopra e sia capita e valutata completamente come una pena originale.

4 Rub.19

Il raddoppio delle pene.

   Con questa legge decretiamo che le pene pecuniarie dei presenti statuti, o che siano puramente e semplicemente pecuniarie limitate e determinate, o siano pecuniarie arbitrarie, in tutto o in parte, o che siano pecuniarie principalmente e corporali in modo secondario, o che hanno annessa una pena corporale o afflittiva del corpo, siano raddoppiate e debbano essere raddoppiate, malgrado che non sia espresso dai Rettori, quando i reati o i delitti siano stati commessi nottetempo, cioè dopo il tramonto del sole e prima del sorgere del sole, o se sono stati commessi in presenza dei signori Priori del popolo e del Vessillifero di giustizia della Città di Fermo o di qualcuno di questi stessi durante il loro officio. Vogliamo anche che oltre al detto raddoppio colui che percuote qualcuno in presenza dei signori Priori del popolo nel palazzo della loro residenza, sia obbligato e debba sul fatto pagare 50 ducati d’oro al Comune di Fermo e sia posto nelle carceri e in nessun modo sia liberato dalle dette carceri fino a ché effettivamente abbia pagato, e sia anche ad esempio per gli altri, se questo delinquente sia stato dell’amministrazione e dell’officio del Priorato, da subito per l’autorità della presente legge, sia privato per sempre di tutti gli offici e benefici del Comune di Fermo. E qualora tale delinquente entro la scadenza di un mese dal giorno quando è stato commesso tale reato, non avrà pagato la detta pena di 50 ducati d’oro, gli sia amputata la mano destra e le dette cose per mezzo del Podestà o del Capitano di questa Città e della Curia di questi stessi siano eseguite, e siano mandate in esecuzione sul fatto e sommariamente, tralasciando ogni solennità della legge, essendo constatato il reato commesso, come sopra. E nella stessa pena incorrono i signori Priori, se fra questi stessi uno dei due Priori anzidetti, nel modo detto sopra, percuotesse l’altro dei detti Priori, acciocché la dignità di un Magistrato non venga deturpata; quandanche in presenza di qualche Rettore o di un suo officiale della Città, che sia del tribunale; o se siano state cose commesse in qualche Chiesa o alla porta di qualche Chiesa, o nella Città o nel contado, purché tuttavia entro il corpo della chiesa o alla porta, come già detto; o se siano state commesse in qualcuno di questi giorni, cioè nel giorno primo delle calende di gennaio, nel primo dell’Epifania del Signore, di Sant’Antonio del mese di gennaio, Purificazione della Beata Maria del mese di febbraio, primo del giorno della Quaresima o in qualunque giorno di venerdì del mese di marzo; nel giorno dell’Annunciazione della Beata Maria Vergine, della domenica degli ulivi <o delle palme>, o in qualunque giorno della settimana santa, nel giorno della Pasqua di Resurrezione del Signore, o in qualche giorno dei tre seguenti dopo lo stesso giorno, nel giorno della Pentecoste, o in qualcuno dei due giorni seguenti dopo detto giorno, nel giorno dell’Ascensione del Signore, nel giorno primo delle calende di Maggio, nel giorno della Natività del beato Giovanni Battista, nel giorno di qualsiasi fiera, nel giorno dell’Assunzione della Beata Maria Vergine del mese di agosto o nella sua vigilia; nel giorno del beato Bartolomeo apostolo, nel giorno della Natività della Beata Maria del mese di settembre, nel giorno della festa di Tutti i Santi, nel giorno della beata Caterina, nel giorno della beata Lucia, nel giorno della Natività del Signore o nella sua vigilia; nel giorno del beato Stefano, nel giorno del beato Giovanni Evangelista. E quando <i reati> siano state commessi nell’ultimo mese del governo del Podestà o del Capitano o se siano stati commessi contro qualcuno presso la casa o nella casa della sua solita abitazione, o presso il magazzino o il negozio proprio, o affittato dell’ingiuriato, o in questo, o presso un terreno di suo possesso, o nel terreno di possesso proprio, o affittato, oppure vicino alla detta casa, al magazzino, o al possedimento per 5 piedi vicino ai piedi del Comune, eccettuando nei furti, e nella loro asportazione, dato che a motivo del luogo non siano raddoppiati; o quando <i reati> siano stati commessi nel Palazzo della residenza dei signori Priori o del Vessillifero di giustizia o nel Palazzo della residenza del signor Podestà o del signor Capitano, o del Giudice di giustizia, oppure qualora siano stati commessi in presenza di qualche officiale di qualsiasi Castello del Comune di Fermo, tuttavia nell’abitazione, o nel luogo della sua residenza per il suo officio, oppure qualora siano stati commessi nel Girofalco <o Girfalco>, o nella Piazza di San Martino in qualunque parte dell’estensione fin dove le catene delle strade terminano, o dove dall’angolo dell’abitazione del Giudice di giustizia in linea retta verso il Girone sino alle mura dello stesso Girone, e dove dalla casa di Jacopone di Vanne, o dall’angolo di questa stessa verso il Girone fino alle mura del Girone; anche sotto il portico della chiesa di San Martino, e in generale fin dove c’è questa stessa ampiezza, inclusivamente fino agli angoli delle vie, attraverso le quali si entra nell’ampiezza della detta piazza, e fino ai muri, o alle pareti che stanno tutto intorno, in qualunque via pubblica attraverso la quale si va al Girifalco, verso la piazza di San Martino in linea retta, o in qualunque via o strada maestra del Comune di Fermo, cioè dalla piazza di San Martino verso la porta di San Giuliano, o di San Marco, o di Santa Lucia in linea retta; o in qualcuna di queste porte, nella piazza di mezzo, dove sono le spezierie o dalla stessa piazza, in linea retta, fino alla porta di San Francesco, o nella stessa porta, o dalla porta di San Francesco fino a Porto di San Giorgio in linea retta attraverso la via del mare, o nella piazza di questo Porto, o in qualche porta di questo Porto, o nella strada di questo Porto, che inizia dalla chiesa di San Giorgio in questo Porto in linea retta, fino alla porta attraverso la quale si va presso il Castello di Torre di Palme o in riva al mare, fin dove si prolungano le mura di questo Porto verso il mare dentro al bastione <della baia> o nella via pubblica attraverso la quale si va dalla piazza di San Martino fino la chiesa di San Domenico in linea retta verso la casa degli eredi di Vanne di Guglielmo di Anselmo; o da questa casa nella via pubblica verso la porta di Santa Caterina in linea retta, o nella porta di Santa Caterina; o nel mercato di Belmonte. E nessuna pena possa essere raddoppiata, se non una sola volta, benché insieme concorrano due o più (condanne) dette prima. E affinché i Rettori, o gli officiali abbiano dubbi circa il raddoppio o siano vaganti nell’incertezza, il raddoppio sia fatto in questo modo, cioè che se una pena sia stato semplicemente pecuniaria, limitata, determinata, e anche certa, essi accumulino nella sentenza la pena semplice con l’aggiunta, o la duplicazione insieme. Se in realtà sia stato penalità pecuniaria arbitraria in tutto o in parte, allora prima indichino nella sentenza la pena semplice del reato, poi aggiungano anche altrettanto, indicando anche la somma di ragione di aggiunta o di raddoppio. E se la pena pecuniaria abbia annessa come condizione una <pena> corporale, o afflittiva del corpo, allora la stessa condizione sia e sia aggiunta nella pena raddoppiata, che sia stato o che venisse aggiunta, o che si dovesse assegnare nella pena semplice. Qualora invece per la forma di qualche statuto, su qualche reato commesso in qualcuno tra i detti luoghi, sia stato trovata come stabilita una pena certa e determinata, allora a ragione di tale luogo il detto raddoppio non sia fatto in alcun modo. In realtà le pene di ogni qualsiasi Cittadino, del contado o forestiero, che delinque negli stessi Castelli del contado, cioè nei palazzi di residenza degli officiali degli stessi Castelli, e dinanzi ai detti officiali, e nelle piazze, e nelle porte dei detti Castelli siano raddoppiate e debbano essere raddoppiate per mezzo di qualunque officiale o esaminatore dei detti reati.

4 Rub.20

Le multe e le loro modalità.

   Inoltre acciocché per la paura della pena sia data fiducia ai Rettori e agli officiali e questi stessi e chiunque di essi possano pienamente esercitare i loro offici, decretiamo che il Podestà e il Capitano e chiunque di essi abbia il potere di multare e di punire al di fuori di un ordine e sul fatto per una somma fino a 50 libre di denaro inclusivamente, infliggendo cioè la multa per il primo precetto fino a 10 libre di denaro, per il secondo fino a 25, per il terzo fino al 50. E se colui al quale i tre precetti siano stati fatti, con imposizioni delle multe, per la sua disobbedienza o per la contumacia, soffrisse che il parlamento e il Consiglio si riuniscano, neanche prima, tuttavia, sarà stato obbediente al detto Rettore, sul fatto possa essere punito ad arbitrio del Rettore da 50 fino a 100 libre di denaro. Tuttavia i Giudici, i detti Rettori e i loro militi abbiano la facoltà di multare per la metà di dette somme, cioè per il primo, secondo e terzo (precetto), praticando la forma detta sopra per la rata di queste somme. E per mezzo dei Rettori, dei Giudici e dei detti militi, possano emanare altri precetti con una multa e con l’intimazione della penalità, come sopra, contro chiunque, fino alle dette somme e insieme e una sola volta in una sola voce. In realtà i Notai di questi Rettori abbiano la facoltà di multare fino a 25 soldi di denaro, purché tuttavia soltanto contro una sola persona non possano intimare una multa, se non una sola volta in un solo giorno, ma certamente ci debba essere sempre un intervallo di un giorno fra un precetto e l’altro. Tuttavia gli altri officiali della Città, secondo il modo loro assegnato dagli statuti che trattano del loro servizio, abbiano il potere di multare. Sempre d’altra parte il motivo, negli scritti, sia aggiunto da tali Rettori, dai Giudici e dagli officiali quando impongono le multe o le pene; e non ci sia validità ad oltrepassare tale modo. Anzi qualora facessero in modo diverso si intenda ricondotto al modo già detto. E quello che sia stato fatto in contrasto con il detto modo non abbia validità per la legge stessa, ma il Rettore o l’officiale trasgressore incorra per la cosa stressa nella penalità di cento libre di denaro e sia tenuto all’interesse per la parte. In realtà nell’esercito o nella cavalcata, questi Rettori abbiano la facoltà di imporre e di infliggere sul fatto qualsiasi multa e pena a loro arbitrio, non soltanto con parole a viva voce, ma anche mediante una lettera, o mediante la persona del Balivo o di un nunzio, con imposizione di multe o di pene, tanto nelle cause civili quanto anche in quelle penali, i precetti e i detti comandi possano esser fatti da costoro secondo il modo e la forma detta sopra, purché colui, contro il quale questi precetti vengono fatti o sono emanati, non altrimenti venga astretto per le stesse cose se non sia stato trovato di persona o non sia stato afferrato. E sulle cose già dette ci si attenga al resoconto del detto nunzio o Balivo o dell’Araldo che fa l’annuncio; e colui che disprezza tali precetti valga che sia accusato da chiunque, nonostante alcuno statuto.

4 Rub.21

Il tempo per pagare le condanne.

   Indulgiamo per tutti i condannati principalmente a pene pecuniarie principalmente, o, in carenza, sotto condizione, e con la presente legge decretiamo che chiunque da condannato abbia pagato al Banchiere del Comune di Fermo la condanna fatta a lui, entro 10 giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, o prima della pubblicazione della sentenza, a costui stesso che ha pagato sia diminuita la quarta parte di tutta la pena originale sulla condanna fatta su di lui, e per l’autorità stessa  di questo statuto, senza il ministero di un Giudice, si comprenda che è assolto e libero. Aggiungiamo inoltre che i condannati a una pena pecuniaria, che hanno il perdono dall’offeso, e l’abbiano presentato nella scadenza e abbiano confessato il delitto, volendo pagare la pena entro il tempo, abbiano il pieno condono del raddoppio della pena, se per caso la pena sia stata doppia. Se qualcuno, in realtà, non abbia pagato effettivamente la condanna pecuniaria fatta su di lui entro i detti 10 giorni al detto Banchiere, oltre a tale condanna, sia obbligato pagare interamente anche una quarta parte della somma espressa nella condanna, sia che sia stato detto nella sentenza, sia che lo non sia, e nondimeno, non essendo stata pagata questa stessa, e per lui non abbia validità che la condanna sia cancellata. L’aggiunta o l’aumento di tale quarta parte non rivendichi di per sé un vigore, qualora alla condanna pecuniaria una pena corporale o afflittiva del corpo sia stato annessa. Tuttavia questo statuto non rivendichi per sé un vigore, se, per mezzo degli statuti di questo volume, sia stato trovato stabilito un maggiore o minore tempo per pagare le condanne o le pene.

4 Rub.22

Una sentenza penale non sia invalidata a motivo della carenza di una formula giuridica.

   Vogliamo ed ordiniamo che qualora su un crimine o su un delitto, per mezzo della confessione della parte, o per una legittima prova dei testimoni, o legittimamente altrimenti si faccia la constatazione sul crimine o sul delitto, quantunque una qualunque formula giuridica, nel processo, sia stata omessa, o sia stata trascurata, o l’ordine della legge o degli statuti del Comune di Fermo sia stato stravolto o non sia stato praticato, tuttavia non pertanto la sentenza sia nulla né da annullare, ma egualmente abbia validità e regga, come se l’ordine e la formula giuridica di ogni statuto e della legge siano stati praticati in pieno. Per qualche occasione, per le dette cose, quando si ha così la costatazione sul crimine, nessun Rettore, Sindaco o Giudice degli appelli possa dichiarare nulla, non valida, inefficace la sentenza pubblicata su tale crimine, né annullare, invalidare, rendere inefficace <questa>, né in qualche modo intraprendere qualche cosa contro questa stessa, sotto la penalità di 200 libre di denaro per il trasgressore; e nondimeno ciò che sia stato fatto contro ciò abbia validità per la legge stessa e neppure regga in alcun modo.

4 Rub.23

I beni dei condannati.

   Affinché nessuno sia oppresso per un reato di un altro né patisca danno alcuno, decretiamo ed ordiniamo che quando qualcuno sia stato condannato a morte, che per costui stesso sia stata fatta l’esecuzione, o no, i suoi beni in nessun modo si possano né si debbano confiscare, ma anzi, quelli provenienti da uno che non ha fatto un testamento, o per un diritto debbano essere conservati e siano riserbati per i successori debbano; fatta eccezione per i beni di chiunque sia stato condannato per tradimento o per ribellione, commessi contro la Città Fermana, o contro il suo Comune; e fatta eccezione per i condannati per eresia, per assassinio, per rapine stradali o per il vizio di sodomia; in tutti questi singoli casi i beni dei delinquenti debbano essere resi beni pubblici e confiscati <devoluti> al Comune di Fermo; e si capisca che sono stati confiscati anche se non sia stato espresso nella condanna; ma avendo riservato ai figli sempre la legittima, se non nel caso di detto tradimento o della ribellione. E dovunque si fa menzione dei beni di qualcuno resi pubblici, a meno che ivi apertamente si derogasse a questo statuto, per qualche motivo, si intenda e si faccia la stessa cosa. E va fatta eccezione per gli altri casi in modo speciale espressi negli statuti e in questo volume, circa il rendere i beni dei delinquenti, beni pubblici. Tali Statuti devono rimanere stabili nella loro validità.

4 Rub.24

Per coloro che bestemmiano e che maledicono Dio e i suoi santi e che giurano con malizia e in modi turpi, inopportunamente su di loro o mediante loro o contro le immagini o le figure loro fanno qualunque cosa.

   Allo scopo di reprimere i reati di coloro che presi da una istigazione diabolica presumono di profferire o fare bestemmie, parole o fatti a motivo dei quali abbiamo conosciuto che ne nascono pestilenze, terremoti, o fame nei territori, decretiamo con leggi più umane, che divine, e sanzioniamo con questa legge, che sarà per la validità perpetua, che se qualcuno abbia bestemmiato o abbia maledetto Dio, suo Figlio il Cristo o lo Spirito Santo, o la Beata Vergine Maria, o nominando uno o più dei loro i membri o delle parti di oscene, di uno o di un altro di loro stessi, o parlando con parole simili, in modo disonorante, sia punito con scudi 25 per qualsiasi volta. Inoltre se qualcuno abbia detto qualcosa per disprezzare Dio o qualcuno di questi santi o abbia profferito qualche simile parola turpe su di loro, o contro qualcuno di loro, similmente sia punito con la detta pena. Se, in realtà, una persona abbia bestemmiato o maledetto o imprecato qualche altro Santo o Santa di Dio con qualcuno dei detti modi o con simili, sia punita a 10 scudi. E in tutti i singoli i casi già scritti dal principio fino a qui, una persona che delinque, di qualsiasi sesso sia stata, qualora non abbia pagato la condanna fattagli o la pena impostagli secondo i detti modi, entro 10 giorni dopo pubblicata la condanna, o dopo la pena impostagli, sia posta alla catena o alla berlina per la prima volta, in realtà per altra volta sia tagliata effettivamente la lingua del tutto dalla sua bocca. Qualora, in realtà, qualcuno abbia fatto un giuramento per mezzo della testa, dei capelli, degli occhi, del naso, degli orecchi, delle mani, del petto, dei piedi, della corona, delle clavicole, delle ferite, del latte, del cuore, del fegato, del polmone, delle viscere, della milza e di cose simili a queste di Dio, o di Cristo, o della beata Maria Vergine, o dei Santi, o delle Sante di Dio, coloro che giurano fino alle membra dei Santi, siano puniti a scudi 5; ma quelli che giurano per mezzo delle membra di Dio, di Cristo o della Beata Vergine, siano puniti con scudi 10, per qualsiasi volta. E in tutti i singoli casi di tutto il presente statuto sia lasciato all’arbitrio del Rettore o del giudicante quel che possa e debba essere considerato simile a ciò. Se, in realtà, qualche persona abbia colpito, abbia inciso, abbia vituperato, o raschiato, o guastato, in tutto o in parte, una pittura, una figura o una immagine di Dio, del Cristo, della Beata Vergine, o di qualche Santo o Santa di Dio con un coltello, o con qualche genere di armi o con qualunque altro strumento di qualsiasi genere, oppure, in modo premeditato e con animo ostinato, abbia scagliato o messo pietre, legni, fango o alcune immondizie, contro di loro, o contro qualcuna di loro, oppure abbia percosso queste immagini, pitture o figure, o qualcuna di loro, o soltanto abbia colpito con le anzidette cose, o con qualcuna di esse, le immagini, le pitture, le figure anzidette o qualcuna di loro, anche soltanto con la mano o con un calcio nel volto di qualcuna delle pitture, delle immagini o delle figure dette prima, gli sia completamente amputata la mano destra oppure l’altra, soltanto una mano, fino a separarla da corpo, non entrambe, quella con cui le dette cose o qualcuna di esse siano state fatte. Il Podestà, il Capitano e il Giudice di giustizia e uno qualsiasi di questi, abbiano libero potere e autorità di fare indagini, di investigare e di punire sulle dette cose o su ciascuna di queste, tutti i singoli delinquenti di cui si fa menzione in questo statuto, con le pene descritte sopra, per ciascuna volta quando abbiano sono stati delinquenti, sul fatto, e senza alcun processo, subito appena sia stata fatta la constatazione di ciò. E riguardo alle dette cose tutte e singole e per ciascuna di queste anzidette, chiunque sia accolto e sia considerato come legittimo accusatore e denunciatore e sia tenuto segreto e abbia la metà della penalità pecuniaria e una metà del residuo di questa penalità sia del Comune e l’altro di chi fa l’esecuzione. Nei casi predetti meramente personali non abbia luogo alcun beneficio né di pace né di confessione. E nessuna persona che faccia un appello o una opposizione per nullità o un reclamo in qualunque maniera, sia ascoltata, in alcuno di questi casi, anzi, in qualsiasi occasione, il potere di fare appello, di reclamare, o di parlare di nullità sia completamente interdetta e negata per chiunque sia stato condannato, secondo la modalità e la disposizione del presente statuto, non fare appello, reclamare, o parlare di nullità, né da sé, né tramite altri a loro nome, né a nome di questo condannato.

4 Rub.25

Le pene per chi disturba i divini offici.

   Desideriamo che il divino officio sia celebrato con ogni pace e riverenza, e decretiamo che se qualcuno, in qualunque modo, abbia disturbato un divino officio, mentre è celebrato, o abbia procurato un ostacolo a coloro che celebrano in modo che non lo celebrino, e l’abbia fatto con consapevolezza, sia condannato e punito a 100 libre di denaro. E la stessa pena e lo stesso statuto siano capiti e siano a contrasto di coloro che disturbano le preghiere litaniche o coloro che le celebrano, o procurando un impedimento a loro o a qualcuno di loro, mentre sono celebrati; e la differenza di sesso non venga ammessa in nessun modo, nelle dette cose.

4 Rub.26

La pena per coloro che commettono un tradimento o una ribellione.

   Ognuno di qualunque sesso, che da qualche Castello, dai fortilizi, da una rocca, da una comunità o da una Villa del Comune di Fermo, abbia commesso o abbia fatto o abbia ordinato per fare o per commettere qualche defezione, ribellione o tradimento, o contro la Città Fermana, o contro il suo popolo, o contro il Comune, in qualunque modo abbia commesso, fatto, ordinato, o abbia trattato altra ribellione, defezione o rivelazione, venga trascinato alla coda di un asino attraverso la Città, poi sia appeso con una corda alle forche, in modo che muoia del tutto e anche sia punito, ad arbitrio del Rettore, con una pena più atroce, e tutti i suoi beni siano applicati al Comune. Se in realtà un Castello, una Villa abbia commesso, ordinato o fatto un tradimento, una ribellione o rivelazione contro questo Comune, gli svescioni, i ribelli o i traditori principali siano puniti con la pena detta sopra e il Castello o la Villa venga devastata e nello stesso posto, in futuro, non si possa costruire. E per queste cose e per qualsiasi di esse si possa essere accusati, indagati, e giudicati fino a quindici anni dopo che è stato commesso un tale reato, nonostante uno statuto che lo proibisca che non si possa, giudicare o punire sulle cose commesse prima di un certo tempo, e nonostante qualunque altro statuto o legge. Salvo sempre riservato che per le cose commesse prima dell’anno del Signore 1379 e il giorno 25 del mese di agosto del detto anno, anche se siano cose come quelle contenute in questo statuto, in nessun modo si possa far procedura né giudicare. E il presente statuto soltanto circa i reati commessi dopo detto anno e giorno e circa quelle verranno in futuro ad essere commesse per lo meno rivendichi per sé vigore. E se qualche persona per qualche occasione delle anzidette sia stata condannata o esiliata, mai abbia validità che ritorni o si riduca alla Città di Fermo.

4 Rub.27

Le pene per gli ambasciatori che eccedono gli ambiti del mandato.

   Diamo precetto che la forma e il modo del mandato e dell’ambasciata devono essere praticati da chiunque. Se ci sia stato qualcuno invece di tanto grande temerità che abbia ecceduto in un qualche modo, oltre gli ambiti dell’ambasciata o del mandato a lui imposti o affidati per mezzo dei signori Priori del popolo e del Vessillifero di giustizia o del Concilio o del Comune della Città di Fermo, e quando sarà stato inviato ambasciatore fuori Città per mezzo di questi o in altra maniera a nome del Comune, venga sul fatto punito, in modo reale e personale, ad arbitrio del Rettore, anche senza processo e senza alcuna formula giuridica, dopo aver considerato la condizione della persona e la qualità del fatto, e per il resto, per il fatto stesso ,in perpetuo, sia privato degli uffici, privilegi ed onori del Comune di Fermo.

4 Rub.28

Le pena di chi fa una conventicola, una cospirazione, una sommossa o cose simili.

   Con questa legge, che sarà valida in perpetuo, affinché tutti, in qualunque condizione o stato stiano, in perpetuo, si astengano da cose tali che, in qualsivoglia modo, potessero danneggiare, turbare o essere di pregiudizio al presente Stato popolare, libero, pacifico, e tranquillo, facciamo precetto che nessun terrigeno o forestiero o  <abitante> del distretto o del contado che sia ragguardevole o sia nobile, in qualunque stato o condizione stia, osi o presuma, pubblicamente o di nascosto, dire, ordinare o fare, trattare, o fare che sia fatto fare o sia trattato, o consentire o partecipare a qualche conventicola, o a una cospirazione, o a una combriccola popolare, o a una congiura, o ad un  tumulto, o ad uno schiamazzo nella Città di Fermo, o tra il suo popolo di questa Città, o nel Comune o nel suo contado o nel distretto, né incitare o aizzare nella Città di Fermo o nel suo contado o nel distretto, allo schiamazzo, alla congiura, alla sommossa, o allo scuotimento dello Stato presente, pacifico, libero, popolare e tranquillo della Città o del detto contado di Fermo, né fare o porre barricate o sbarre in qualche parte della detta Città, di persona o tramite altri a proprio nome, o con comando direttamente o indirettamente, nel tempo dello schiamazzo, della contestazione o in altro tempo, in modo che i Priori del popolo o il Vessillifero della giustizia generale, o gli altri Confalonieri delle Contrade e i Capitani delle società di questa Città, in qualsivoglia modo, non possano e non siano in potere di andare e di tornare liberamente e senza ostacolo né impedimento attraverso la detta Città per l’aiuto, per la difesa e per la protezione dello Stato pacifico, popolare tranquillo e libero del Comune e del popolo della detta Città e dei detti signori Priori e del Vessillifero di giustizia. Inoltre che nessuno dal contado o dal distretto di Fermo o un abitante di questo stesso contado o del distretto, in qualsiasi stato o condizione stia, o anche da altro luogo, in tempo di schiamazzo o di rivolta, osi né presuma venire verso la Città o dentro la Città di Fermo con armi o senza, destinare, portare o mandare, direttamente o indirettamente ad una parte, o a persone particolari, o ad una persona particolare di questa Città, genti, armi o cavalli, o altre cose qualunque, che influiscono o che fanno brigare, o consentire tacitamente o espressamente per un servizio di qualcuno, per un giovamento o in altra maniera qualsiasi, o per qualcuno, o per chiunque, o per gli anzidetti, o per qualcuno di essi, in qualunque maniera, o motivo, o richiesto schieramento, se non con uno speciale permesso e per un mandato esplicito dei signori Priori del popolo e del Vessillifero di giustizia di questa Città e del signor Podestà o del Capitano. Inoltre che nessuna persona, di qualunque stato o condizione sia, osi né presuma, pubblicamente o di nascosto, dire, ordinare, fare, consentire, trattare o procurare, in qualsiasi maniera o comunque, qualcosa per cui si possa derogare o arrecare in qualcosa un danno allo stato pacifico, libero, popolare, Comune e tranquillo di questa Città, né alla giurisdizione e ai suoi privilegi, o del contado e del distretto, né nelle cose già dette o in qualcuna di esse, dare o prestare aiuto, consiglio o sostegno o comunque di essere d’accordo a favore di uno di qualunque stato dignità o superiorità sia, neppure dargli consenso. Ma piuttosto se abbia saputo, abbia ascoltato, sentito o abbia capito qualcosa delle dette cose, immediatamente, celermente senza indugio, sia obbligato e debba dire, rivelare, divulgare, o manifestare quella cosa o quelle cose ai signori Priori del popolo e al Vessillifero di giustizia di questa Città e anche al Podestà e al Capitano, quelli che saranno incaricati nel tempo, e dire loro ed accusare coloro sulle cose dette o su qualcosa di queste dicono, ordinano, trattano, procurano o consentono; uno o più, chiunque siano stati, e nondimeno poter resistere e contraddire con tutte le possibilità, agli stessi che così dicono, ordinano, trattano, procurano o consento, come già detto, affinché qualcosa delle predette non venga eseguita né portata a termine. Se qualcuno invece di qualunque Stato o condizione si sia, abbia trasgredito o sia stato venuto o non abbia rispettato e non abbia adempiuto le dette cose o qualcuna di esse che sono contenute sopra nel presente statuto, sia punito, a libero volere del Podestà e del Capitano in maniera reale e personale, dopo aver valutato la condizione e la qualità del trasgressore e del fatto. In tutte queste e singole cose i detti Podestà e Capitano e ciascuno di questi abbia la pienissima giurisdizione, il potere e libero arbitrio di investigare a motivo del loro officio, di fare indagine e anche di far procedura in forza di una accusa o di una denuncia di chiunque; e di punire chi è trovato colpevole sulle cose dette o su qualcuna di esse, poi punirlo, a libero arbitrio, in maniera reale e personale, sul fatto, e senza formalità né obbligo di legge e di uno statuto, e omettendo ogni solennità. E con lo stesso libero arbitrio e la stessa maniera, si possa fare la procedura, e punire e condannare coloro che abbiano parlato male o in derisione o in altra maniera sconveniente del popolo, o della società del popolo, o dello stato popolare. E contro questi tutti i singoli, nel fare la procedura, nel condannare si capisca che tutte le singole dette cose siano ripetute e stabilite e abbiano luogo. E nelle dette cose o in qualcuna di queste non abbia affatto luogo nessun beneficio di pace, o di confessione né qualunque altro <beneficio> rivendichi per sé valore. Se qualcuno invece a causa delle cose dette o di qualcuna di esse, delle quali nel presente statuto si fa menzione, sia stato condannato alla privazione o alla perdita della persona o della vita non abbia vigore, in futuro, che egli ritorni in un modo qualunque alla Città di Fermo o nel suo contado o in essi, in nessun momento. Inoltre se qualcuno che abbia destato sospetti ai signori Priori o al Vessillifero di giustizia, o al Podestà, o al Capitano, che facesse qualcuna delle già dette cose, che attentasse, commettesse, o maneggiasse, palesemente o di nascosto, o in altra maniera, sullo stato popolare, libero e tranquillo di questa Città, sia stato ritenuto sospetto dai detti signori Priori e dal Vessillifero di giustizia o dal signor Capitano o dal Podestà o che facesse qualcosa o attentasse o commettesse o maneggiasse qualcosa a pregiudizio, a danno, o a disastro di questo stesso Stato o contro lo stesso Stato, in qualsivoglia e qualsiasi caso dei già detti, sul fatto e senza processo né scrittura, con libero arbitrio, il signor Podestà e Capitano e ciascuno di essi possa segregare, espellere dalla terra, e condannare al confino nella Marca, e fuori, per lo statuto che parla dello stabilire il confino o gli esili, o nonostante l’ostacolo di un altro statuto né, in alcun modo per una legge. E affinché gli officiali, non possano dichiarare, per un qualsiasi minimo reato, neppure usare quelle parole nel processo «Motivo per cui lo stato della Città si sarebbe potuto turbare, eccetera» decretiamo che quelle parole non possano essere usate in alcun processo, se non sia stato deliberato dal Podestà unitamente con il Capitano del popolo della Città di Fermo; e qualora il Capitano non sia stato <presente> in Città, allora, insieme con il Giudice di giustizia. E di questa cosa ci sia evidenza e debba essere evidente per mano del Notaio dei reati del già detto Podestà e per mano del Notaio del Capitano o del Giudice di giustizia. E se si facesse in maniera diversa, per la legge stessa, la sentenza da pubblicare su questo processo non abbia alcuna validità. E il Podestà e il Giudice che abbiano agito in contrasto alle dette cose incorrano nella penalità di 500 libre di denaro per ciascuno. E ad opera dei Sindaci si debba fare il sindacato, espressamente, sulle dette cose, nel tempo del suo sindacato.

4 Rub.29

Le pene per coloro che offendono i signori Priori del popolo, il Vessillifero della giustizia, il loro Notaio o il Cancelliere del Comune.

   Se qualche persona abbia offeso qualcuno tra i signori Priori del popolo o il Vessillifero della giustizia della Città di Fermo, si faccia la procedura in questo modo per le infrascritte offese, cioè qualora abbia proferito o abbia detto parole ingiuriose o minatorie, una o molte, per ciascuna volta venga punito con 50 libre. Se contro qualcuno di essi abbia fatto minacce con mano vuota, venga punito con 100 libre di denaro. Se con armi 200 libre. Se in realtà abbia percosso qualcuno tra i detti Signori con un bastone o con un altro strumento, senza sangue o anche a mano vuota con sangue o senza, la mano con la quale avrà percosso se sia stata una sola o entrambe le mani, se con ambedue abbia percosso, a costui stesso sia amputata o amputate totalmente, in modo tale che siano separate dal corpo. Se abbia percosso qualcuno degli anzidetti con armi di ferro, e da lì sia stato uscito sangue, venga punito alla morte, in modo che l’anima venga separata dal corpo. Se qualcuno invece abbia ucciso qualcuno fra gli anzidetti Priori o il Gonfaloniere durante il loro officio, venga punito con la <pena> capitale, in modo tale che esattamente muoia, e l’anima di lui venga separata dal corpo, e tutti i suoi beni siano resi pubblici, confiscati e annessi alla Camera del Comune di Fermo, affinché si passi come esempio, sia che la esecuzione sia fatta nella persona, sia che no. Se in realtà con alcuni dei detti modi offendesse il Notaio di questi signori Priori o il Cancelliere del Comune, sia punito con la pena doppia di quella con la quale verrebbe punito, se avesse offeso un altro Cittadino. Se qualcuno invece abbia ucciso il Cancelliere o il Notaio dei signori Priori durante il loro officio, sia punito con la <pena> capitale, in modo tale che esattamente muoia, e tutti i suoi beni siano resi pubblici, siano confiscati e siano annessi alla Camera del Comune di Fermo, sia che si faccia la esecuzione nella persona, sia che no. Inoltre se qualcuno abbia offeso qualcuno che sia stato Priore o Vessillifero di giustizia, entro i due mesi successivi dopo ultimato il suo officio, venga punito al doppio di quanto verrebbe punito se abbia oltraggiato un altro Cittadino. Inoltre chiunque abbia offeso qualcuno che sia stato Priore o Vessillifero di giustizia, entro un anno dopo deposto il loro officio di priorato o l’officio di vessillifero di giustizia, nell’occasione del detto loro officio, egualmente venga condannato e punito al doppio. Su queste cose il Podestà e il Capitano e ciascuno di loro abbiano il libero arbitrio di investigare e di punire sul fatto con le pene già dette, e senza altra formalità né processo o scrittura, tanto nel fare la procedura, quanto anche nel condannare.

4 Rub.30

Per stabilire il confino o la relegazione <come condanne>.

   Affinché non si faccia la procedura con leggerezza e sconsideratamente per le liti, decretiamo che il Capitano, il Podestà e ciascuno di questi abbiano il libero arbitrio di esiliare o di porre al confino o di mandare i litiganti davanti a qualcuno di questi stessi, o davanti a qualche loro officiale nel palazzo della residenza di qualcuno di loro, se tali litiganti a parole o a fatti abbiano avuto con sé alcune armi, purché tuttavia la relegazione sia soltanto entro la Provincia della Marca e non oltre, per quanto sia duraturo l’officio di colui che fa la relegazione o pone al confino o vi manda. In realtà per i reati commessi non in presenza ma in assenza degli anzidetti, ciascuno dei detti Rettori abbia valido potere di esiliare i delinquenti o di porli al confino o mandarli al confino o di inviarli soltanto nel contado di Fermo, e per un tempo non maggiore di venti giorni, fuorché per parole ingiuriose dette in assenza degli anzidetti, e per queste cose non è lecito esiliare o porre o mandare a confino, se non in quanto fosse garantito da qualche statuto espressamente. E gli anzidetti Rettori a loro arbitrio possano fare e stabilire le dette relegazioni o porre o mandare a confino, oltre le altre pene contenute negli statuti. La persona in realtà relegata nel detto modo e in generale qualunque altra persona sia mandata o posta a confino, per la forma o della permissione di qualche statuto di questo volume, sia obbligata totalmente ad accondiscendere e obbedire e di non trasgredire, in nulla al Rettore che fa la relazione o che manda a confino, né possa assentarsi dalla Città di Fermo, durante il tempo della sua relegazione, in alcuna maniera, senza una speciale ed esplicita licenza di colui che relega; altrimenti, qualora abbia fatto in modo difforme, sia considerato totalmente come un ribelle della Città di Fermo, e possa e debba essere condannato come ribelle.

4 Rub.31

La Pena di coloro che offendono i Rettori o gli officiali della Città e del contado e della loro famiglia.

   Gli eccessi e i reati di ingiurie o degli offensori contro il Podestà o il Capitano, o qualcuno tra i loro officiali, o verso qualche altro Rettore o officiale del foro del Comune di Fermo, o verso un suo officiale, durante l’officio di quel Rettore o del già detto officiale del foro, il quale ha ricevuto l’oltraggio o l’offesa, o nel sindacato di lui, o nel venire al suo officio alla Città di Fermo, sia durante il viaggio nell’allontanarsi da questa, venga punito, sul fatto e in modo reale e personale, a libero arbitrio del Rettore, dopo considerate la qualità del fatto e la condizione delle persone; in realtà le cose commesse contro il Podestà, o contro il suo officiale siano punite dal Capitano o dalla sua Curia; in realtà le cose commesse contro un altro officiale del foro del Comune, o contro un suo officiale, o famiglio, siano punite dal Podestà o dal Capitano con l’anzidetto arbitrio. Se qualcuno in realtà abbia offeso qualche Cittadino Fermano, o un Rettore del contado, o del distretto, o un officiale di qualche Castello del contado o del distretto di Fermo, o un suo Notaio, nel luogo ove esercitasse il suo officio, durante il suo officiò, o durante il suo viaggio andando verso detto Castello per il suo officio, o ritornando da lì dopo averlo finito, oppure durante il suo officio; inoltre se qualcuno abbia oltraggiato un domestico, o un servo del Podestà o del Capitano o di un altro Rettore, o un officiale del foro, in qualsivoglia dei detti casi di questo paragrafo venga punito col doppio di quanto sarebbe punito un Cittadino che offende un Cittadino, e in tale doppio sia compresa la <pena> semplice; decretiamo e dichiariamo che contro tali offensori debba essere ed intendersi doppio come pena semplice e non raddoppiata.

4 Rub.32

Per i guastatori delle carceri.

   Chi, mentre sta in carcere, devasta il carcere pubblico della Città di Fermo, sia punito con la pena capitale; inoltre chi dopo l’effrazione dello stesso carcere, fuoriesce, sul fatto stesso, sia punito con la stessa pena; e sia tagliata la testa dalle spalle a chi intraprende la fuga dalle pubbliche carceri della Città, in modo tale che muoia del tutto. Inoltre qualora qualcuno stando fuori dal carcere, o non carcerato, consapevolmente, abbia rotto con inganno il pubblico carcere della Città, o abbia dato in prestito, o abbia affittato, o prestato, o dato o portato uno o più ferri o altri strumenti, uno o molti, a chi devasta o per devastare le dette carceri, sia punito con la detta pena del taglio della testa, così che muoia, sia che ci sia un fuoruscito, o fuggiasco, sia che no. Se in verità qualche persona sia fuggita non dalle dette pubbliche carceri, ma dal palazzo di qualche Rettore della Città o del contado, ad arbitrio del Podestà o del Capitano venga punito con 10 fino a 50 libre di denaro.

4 Rub.33

La pena di coloro che si oppongono alle esecuzioni della Curia o che impediscono la stessa esecuzione.

   Se qualche persona di fatto si sia opposta ai servitori del Podestà o del Capitano o di un altro officiale della Città di Fermo o a qualche Balivo del Comune per una commissione di qualcuno di loro, o per un mandato trasmesso; o chi abbia procurato un impedimento, soltanto di fatto, a qualche Balivo, o ad un famiglio dei detti officiali affinché chi così è stato inviato non esegua la commissione o il mandato ingiunto o fatto, e anche chi abbia permesso che il tale così inviato prenda da sé o con un altro il pegno o i pegni e si peggiori in altro modo, venga punito sul fatto e senza alcun processo a 5 libre di denaro e su queste cose sia prestata fede e ci si attenga al resoconto di codesto inviato con un teste oculare. Ed in ciò il beneficio della confessione abbia validità e non <quello> della pace. Aggiungiamo alle dette cose che se qualcuno abbia fatto fuggire o evadere o abbia procurato un impedimento, per cui qualcuno fugga o evada dalle mani di qualche officiale o di un famiglio di qualche officiale della Città di Fermo, e per l’occasione di questo impedimento il detto prigioniero, o chi sta nelle mani o nella forza del detto officiale o di un famiglio sia fuggito o sia evaso, o che sia stato catturato nell’occasione di un reato, o a richiesta di qualche creditore di questo catturato, o per qualunque altra ragione, il detto esecutore dell’impedimento o chi fa fuggire, come sopra, sia punito come quella pena, e sia obbligato a quella somma di denaro alla quale il detto fuggitivo o evadente era obbligato, e ad un quarto in più della penalità pecuniaria o del debito, da assegnare al Comune di Fermo. Se in realtà nella occasione di un reato, sul quale si dovesse imporre una pena corporale o principalmente afflittiva del corpo, o sia stata imposta, colui che procura il detto impedimento o chi fa fuggire sia punito, come sopra, e per ciascuna volta, ad una pena di 1000 libre di denaro, sul fatto, e senza alcun processo.

4 Rub.34

La pena per chi impedisce a qualcuno di fare testamento, o fare contratti o disporre altrimenti delle proprie cose.

   Coloro che, contro i comportamenti buoni, impediscono direttamente o di traverso ad una qualche persona di fare liberamente testamento, o in altra maniera disporre nell’ultima volontà dei suoi beni, o costringendo o in altra maniera non determinando a fare liberamente il testamento o di disporre, come già detto, sia punito e condannato a 200 libre di denaro. Per il fatto stesso perda ogni cosa o comodo di lei, che abbia, o potesse avere o gli spettasse sui beni o riguardo ai beni della tale persona ostacolata e in perpetuo ne sia privato di fatto, e in perpetuo. E con la stessa penalità sia punito chi abbia sedotto o abbia spinto un altro a fare ciò.

4 Rub.35

Le carceri private.

   Desideriamo che il nefandissimo crimine di incarcerare in privato sia punito con l’ultimo supplizio e decretiamo che se ci sia stata qualche persona di tanto grande temerità che per una sua presunta autorità, contro i buoni costumi, abbia carcerato privatamente una qualche persona e l’abbia deprivata della propria libertà, incarcerata o coatta nell’abitazione, o altrove e l’abbia tenuta priva della libertà per lo spazio di 24 ore, o abbia fatto fare o commettere alcunché di questi atti, o abbia agito una persona da sola o sia stata associata chi abbia fatto o commesso o abbia fatto fare o commettere tale cosa, a lei stessa sia amputato il capo dalle spalle, tanto che muoia, e i suoi beni siano resi pubblici e incametati e si intendano incorporati al Comune di Fermo, quand’anche nella sentenza non sia stato chiaramente espresso che deve essere fatta la confisca dei beni. Se qualcuno invece abbia imprigionato qualcun altro, come è stato detto sopra, e l’abbia tenuto nelle dette carceri e l’abbia privato della libertà per lo spazio di 23 ore, oppure meno, il tale che incarcera o che priva qualcuno della libertà venga punito e condannato per ciascuna ora con 25 libre di denaro.

4 Rub.36

Gli assassini e le loro pene e i mandanti che fanno percuotere per mezzo di sicari.

   Qualora una persona, nella Città di Fermo o nel suo contado o distretto, abbia fatto offendere una persona per mezzo di qualche assassino o con un modo di assassinio, con qualche genere di armi con effusione del sangue o senza, e dalla offesa non siano state inferte, fatte, né siano a seguire né la morte, né una cicatrice che rimanga in perpetuo sulla faccia, neanche una mutilazione, o una rescissione, o una debilitazione che sia duratura in perpetuo su qualche membro, o su un nervo, o su una funzione di un membro, né ci sarà, chi fa offendere così sia punito e condannato a libre 500. E qualora entro dieci giorni, da calcolare dalla emanazione della sentenza, non abbia pagato la condanna fattagli, sul fatto, gli siano rescisse interamente la lingua e insieme una mano tanto da separarle dal corpo. L’assassino che offende così sia condannato a 1000 libre di denaro e qualora non abbia pagato effettivamente questa somma entro cinque giorni da calcolare dalla emanazione della sentenza sia sospeso alla gola sulla forca, in modo tale che muoia del tutto. Se in realtà qualche assassino abbia percosso qualche persona o abbia offeso tanto che dalla percossa o dall’offesa sia seguita la morte o una cicatrice che rimarrà in perpetuo sulla faccia, o una rescissione, una mutilazione, o una debilitazione tale da restare duratura in qualche nervo o di un membro o nella funzione di un membro, siano state fatte o siano a seguire, in perpetuo, da ciò, questo stesso assassino che così percuote, o offende sia sospeso per la gola alla forca in modo che muoia del tutto e tutti i suoi beni siano resi pubblici. E in realtà chi abbia fatto o comandato di percuotere così o di offendere per mezzo del tale assassino, sia punito con la pena capitale in modo che muoia del tutto e tutti i suoi beni siano resi pubblici. Ma se qualcuno, su mandato e su committenza di qualche suo consanguineo fino al terzo grado incluso, da calcolare secondo il diritto Canonico, per la vendetta di una ingiuria inferta in qualsivoglia modo a tale mandante o al committente, abbia percosso o abbia offeso quel tale che precedentemente ha inferto ingiuria al tale mandante o al committente in vendetta d’ingiuria, non vogliamo che sia legato, né si punisca con questa pena di questo statuto, a meno che per mezzo di una corruzione di denaro o di altra cosa, abbia percosso o anche offeso per questa vendetta, ma tanto chi lo fa, quanto anche chi così offende siano puniti con pari pena, secondo le altre pene degli statuti. E non sia considerato assassino chi su mandato del tale consanguineo di cui si parla sopra, abbia offeso, come già detto, a meno che non abbia percosso o offeso per essere stato corrotto con denaro o con altra cosa oppure anche che abbia pattuito. E per il terrore e per sterminare gli assassini decretiamo che se qualcuno in qualche terra o luogo sia stato condannato come assassino ossia per assassinio, fuori dalla Città e dal distretto di Fermo, e su tale condanna esiste la costatazione per mezzo di un pubblico istrumento, se lui sia venuto nella Città o nel distretto di Fermo, e se qui viene scoperto,  debba essere condannato e punito nella persona e con <multa di> danaro con pari pena per l’assassinio commesso altrove, del quale si è avuta la constatazione, come già detto, dopo rinnovato il processo per mezzo del Rettore di Fermo o senza farlo, a libero arbitrio del Rettore. E per l’autorità del presente statuto, qualsivoglia forestiero <forense> fa o commette un assassinio o che in passato l’abbia commesso sia considerato e valutato come un vagabondo. Vogliamo anche che se un famoso assassino sia stato scoperto nella Città di Fermo, o anche nel contado e nel distretto o al Rettore consta che lui è un assassino o lo è stato, per mezzo di tre testimoni che testimoniano o depongono sulla pubblica voce e sulla fama riguardo a ciò, benché questo tale sia riscontrato come forestiero e benché nella Città di Fermo e nel suo distretto non abbia sbagliato al modo di un assassinio e neppure abbia commesso qui un assassinio, tuttavia sia punito nella persona e con <multa di> denaro ad arbitrio libero del Rettore. E qualora il Rettore abbia deciso di condannarlo a una pena inferiore alla morte,  del tutto lo scacci dalla Città di Fermo e dal distretto e lo condanni e sottoponga al bando perpetuo di denaro e di persona. Per assassino si intenda e si consideri, per l’autorità del presente statuto, chi, essendo stato corrotto o colluso con denaro o con altra cosa, o avendo pattuito, abbia offeso qualche persona, oppure l’abbia percossa per mandato altrui o di un altro committente a far fare, che interviene con la corruzione, o con patto di denaro, o altra qualsiasi cosa, o quando lui stesso, per un motivo e per la speranza di denaro o di altra cosa, lo abbia fatto da sé, di sua spontanea volontà; inoltre sia considerato e sia valutato e sia punito come l’assassino anzidetto, consapevolmente in tutto e per tutto, quando qualcuno sia stato un intermediario tra l’assassino e il mandante che fa commettere o fa fare l’assassinio, o sia intervenuto da depositario del denaro o di altra cosa, o chi sia intervenuto o ci sia stato messo in opera per di queste cose. Su tutte le cose contenute nel presente statuto si possa fare la procedura, fare indagine e punire su qualsiasi cosa che così sia stata commessa, come è contenuto nel presente statuto, al tempo dell’officio del Rettore che indaga o <al tempo> del predecessore, o antecedentemente entro 5 anni; e ciò sia praticato nelle cose future.

4 Rub.37

Coloro che intercettano, asportano, nascondono, sottraggono o invadono i beni mobili del Comune.

   Se qualcuno abbia asportato, afferrato, rapinato, sottratto, invaso, in qualsiasi modo, a danno del Comune, per autorità o per temerità propria, in passato, anche in futuro, i denari o altre cose pertinenti e spettanti o cose pervenute, o almeno che debbano pervenire a questo stesso Comune, o beni mobili pertinenti e spettanti o pervenuti o almeno che debbano pervenirgli, di qualsiasi genere, e in qualsiasi modo, oppure almeno abbia fatto, procurato o consigliato dolosamente, a danno del Comune, asportate, afferrare, rapinare, sottrarre, o invadere, sia obbligato alla restituzione effettiva di quanto così asportato, afferrato, rapinato, sottratto o invaso, oppure sia obbligato all’estimo di quello e sia punito al triplo in più, ad arbitrio libero del Rettore, anche sul fatto, senza alcun processo, né scrittura. E contro tutti e singoli coloro che in passato o in futuro abbiano sbagliato nelle dette cose o in qualcuna di esse, qualsivoglia Rettore della Città abbia arbitrio libero di investigare, di indagare e di fare la procedura e punire e condannare i colpevoli, come già detto, e abbia la quarta parte della penalità pecuniaria che avrà fatto pervenire effettivamente al Comune in occasione delle dette cose, o di qualcuna di esse. E questa quarta parte poi sia sottratta dai beni del tale condannato o punito e debba essere riscossa a favore del Comune. E il Rettore nell’occasione della condanna o della pena che avrà fatto o avrà stabilito contro qualcuno in occasione di qualcuna delle dette cose, non possa né debba essere sindacato né stare al sindacato, né esservi tenuto, se non solamente per furto e per baratteria (peculato). E nelle dette cose non abbia udienza alcuno che faccia appello, oppure faccia opposizione di nullità o che voglia opporsi. E qualsivoglia Rettore faccia fare il bando di questo statuto, una volta al mese, sotto penalità di 25 libre di denaro.

4 Rub.38

La pena per chi commette peculato o frode nel suo officio.

   Allo scopo che ognuno nel suo officio e nel suo servizio abbia le mani pulite con la presente legge decretiamo che se qualcuno che ha in qualche luogo dal Comune o per conto del Comune un officio pubblico o anche un’amministrazione pubblica nel suo officio, o nell’amministrazione o per riparo, o per considerazione del medesimo officio, o anche dell’amministrazione, abbia commesso, abbia fatto, o abbia esercitato o abbia fatto commettere, abbia fatto fare o abbia fatto esercitare qualche baratterie <peculato>, furto, estorsione, frode o un illecito guadagno o l’abbia comandato o vi abbia partecipato, oppure abbia ritenuto ciò fatto, accolto, o approvato, sul fatto venga punito con 200 libre di denaro, senza alcun processo né scrittura, e nondimeno <punito> anche alla restituzione di ciò che gliene sia stato pervenuto, o all’estimo di ciò e venga condannato e punito in più al decuplo per il Comune. E nondimeno qualsiasi cosa sia stata compiuta, fatta o avvenuta per riparo, con l’occasione o la considerazione, o con l’intervento di qualcuna delle dette cose, per la legge stessa, non abbia alcuna validità. Su tutte queste singole cose qualsivoglia Rettore della Città abbia libero arbitrio di investigare, di inquisire e di far procedura contro coloro che così delinquono, e di punire e di condannare con le pene già dette con lo stesso arbitrio. E per le sentenze così pubblicate o per le pene imposte per tale motivo non possa essere fatto appello, né fare opposizione di nullità contro le stesse. E il Rettore che così condanna o punisce per queste cose che abbia fatto o abbia stabilito, per la detta occasione, non possa essere sindacato, se non avesse fatto o anche avesse stabilito in tal modo ciò per mezzo di un furto o con baratteria <peculato>. E colui che così abbia condannato e punito abbia la quarta parte di quanto da ciò abbia fatto pervenire al Comune. E affinché non sorga il dubbio o si si discuta, o si faccia sulle dette cose che si debba intendere, come anzidetto, «in un officio pubblico» o anche «nell’amministrazione pubblica» o «dell’officio dello stesso», o anche «acquisizione; occasione considerazione» dell’officio o dell’amministrazione, in vigore dell’autorità perpetua di questo statuto, ciò che sia stato così affidato, o fatto, o comandato, partecipato, o accolto, ricevuto gradito, sia affidato all’arbitrio del Rettore.

Statuta 4.da 39.a.54.

4 Rub.39

La pena di coloro che commettono una ruberia, un furto di schiavi, o cose simili e portano al male una fantesca.

   Per mezzo di questa saluberrima legge decretiamo che se qualcuno nella Città o nei Castelli o fuori dalla Città e dai Castelli del Comune di Fermo, in qualche abitazione o percorso, o fuori dall’abitazione o fuori dal percorso nel distretto di Fermo, o anche in mare, o nella riva del mare abbia derubato qualche persona di 20 soldi o più di ciò o di una cosa o di cose di altrettanto valore per mezzo della violenza inferta a tale persona, o abbia preso o abbia catturato qualche persona con lo scopo di far riscattare costei o anche di rubare; sia sospeso alle forche con un laccio cosicché muoia, sia quando tale persona presa o catturata sia stata riscattata da sé stessa o per mezzo di un altro, sia anche che sia stata fatta una riscossione o no; e tutti i suoi beni siano resi pubblici <confiscati> al Comune. Con la medesima pena sia punito se qualcuno abbia fatto fare o comandato di fare o di commettere le dette cose o qualcuna di esse, o consapevolmente e dolosamente abbia partecipato a tali cose fatte o commesse; o abbia dato o prestato aiuto, consiglio e sostegno a chi commette o fa le dette cose o qualcuna delle dette cose; o per commettere o fare qualcuna delle dette cose. Inoltre se qualche ladro pubblico e famoso, o un rapinatore nella Città di Fermo o nel suo distretto, abbia fatto o commesso una ruberia, una rapina, un ladrocinio o un furto di una somma da estimo come scritti sopra, o maggiore, o di una cosa o di cose di tanto valore o di più, sia punito con la pena scritta sopra. E in qualsivoglia caso degli anzidetti, sia condannato alla restituzione della cosa o del denaro così sottraeti e al risarcimento del danno, se qualcosa sia provenuto da ciò. Nondimeno per la legge stessa sia privato di un diritto se gli competa qualcosa in tale cosa sottraeta. Inoltre se qualche persona fuori dal distretto di Fermo, abbia sedotto il figlio di un altro, o una figlia, sia che l’abbia posto o posta, sia che non l’abbia posto o posta nella potestà di un altro, commettendo un furto di schiavo, o no; purché tuttavia, in un modo o con un motivo disonesto e contro i buoni costumi abbia fatto e commesso così, e successivamente abbia condotto o abbia fatto condurre nella Città di Fermo o nel suo distretto il sedotto o la sedotta; o al contrario, se qualche persona così abbia sedotto così qualcuno o qualcuna nella Città di Fermo o nel suo distretto, come già detto, e successivamente abbia condotto o abbia fatta condurre il sedotto o la sedotta così fuori dalla Città o dal distretto di Fermo, in qualsivoglia dei detti casi sia punito con 500 libre di denaro. E se non abbia pagato la condanna a lui fatta o la pena a lui imposta entro dieci giorni da calcolare dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia amputata la testa, in modo che muoia. In realtà che sia da intendere e debba essere inteso nei detti modi o in uno di essi, per «sedurre», «avere sedotto», o «avere condotto», o «avere fatto condurre» sia affidato e sia posto e resti posto nel libero arbitrio del Rettore. Inoltre nei casi di questo statuto, o in qualcuno di questi stessi il beneficio della pace non trovi luogo, né il beneficio della confessione sia praticato. E qualsiasi Rettore della Città abbia valido potere di fare la procedura, di informarsi e di punire sulle cose anzidette, sul furto di schiavi, sulla seduzione, sul trasporto degli anzidetti e su cose simili a queste, come già detto, fatte o commesse al tempo del suo officio o antecedentemente, tre anni prima. E ciò abbia validità per le cose future. Se qualcuno in realtà abbia sottratto o in altra maniera abbia trattenuto, senza il permesso del patrono qualche serva o fantesca di qualche Cittadino e di un abitante di questa Città e del suo contado, per la legge stessa, incorra nella pena di 10 ducati d’oro e di tre tratti di corda da compiere sul fatto, senza alcun processo. E il Podestà, che ci sarà stato nel corso del tempo, sia obbligato a riscuotere la detta pena; se non l’abbia riscossa e non l’abbia fatta riscuotere, allora, sia collocata e conteggiata nel salario di questo Podestà.

4 Rub.40

La pena di chi sottrae un bene mobile.

   Ognuno, di qualunque sesso, che porta via con la violenza a qualche persona qualche bene mobile di valore di 100 soldi di denaro o meno di ciò, una o più cose, o denaro fino a 100 soldi di denaro inclusivamente o meno, purché tuttavia non abbia fatto o abbia commesso ciò con l’animo né con il proposito di rubare, sia punito con 25 libre di denaro. Se in realtà abbia portato via, come già detto, denaro, o una cosa, o cose di un valore sino a 100 soldi, o superiore, fino a 10 libre inclusivamente, sia punito con 50 libre di denaro. Se in realtà abbia portato via, come già detto, denaro, o una cosa, o cose di un valore superiore alle 10 libre, di qualunque somma o estimo sia punito con 100 libre di denaro. In qualsiasi dei casi anzidetti sia condannato alla restituzione della cosa o del denaro così portato via, e all’estimo del danno, quando qualcosa così ne sia derivato; e nondimeno, per legge, qualora qualcosa in tale bene portato via apparteneva a lui stesso, ne sia privato sul fatto stesso. In realtà quando <ciò> sia avvenuto senza scopo, né proposito di derubare o di trafugare, la pena del ladrocinio o del furto non trovi applicazione nei casi di questo statuto. In realtà le dette pene o una qualsiasi di esse non abbiano applicazione contro colui che abbia portato via da qualche cosa rinvenuta o trovata che arrecava danno nel suo possedimento o bene.

4 Rub.41

La pena di coloro che impongono una taglia o fanno riscattare per mezzo di una taglia, o cose simili e <pena> dei loro messaggeri.

   Desideriamo rendere sicuri tutti i singoli contro l’arroganza e la superbia di alcuni che procurano o anche osano vergognosamente di applicare ai propri usi e di rapire la ricchezza altrui, e con questa legge decretiamo che se qualcuno sotto minacce o con la pressione della paura, abbia preteso da qualche persona denari o qualche cosa, da sé stesso, o per mezzo di un altro, a mezzo di una lettera di costui, o abbia imposto in tal modo una taglia a qualche persona; o abbia fatto in qualche modo sì che qualche persona sia sottoposta a riscatto per una cosa o con denaro in maniera reale o personale; sia punito ad arbitrio del Rettore. E con la stessa pena sia punito colui che nelle dette cose, o in qualcuna di esse, sia stato un messaggero o un ambasciatore, o abbia portato la lettera su ciò, qualora con consapevolezza abbia fatto un qualcosa come ciò, o abbia offerto aiuto o favore nelle dette cose o in qualcuna di esse.

4 Rub.42

L’omicidio.

   La ragione non tollera che si usi umanità verso coloro che sono disumani. Pertanto decretiamo che se qualche persona deliberatamente e di proposito, o abbia ucciso un uomo, o l’abbia abbattuto, fatto morire o l’abbia eliminato con la spada, con il veleno, o con qualunque altro mezzo, o in qualunque altro modo, o abbia fatto sì o abbia comandato che così fosse ucciso, distrutto o fatto morire o l’abbia fatto eliminare, e l’eliminazione sia stata completata, seppure egli, al tempo della condanna, fosse presente nel potere militare di un Rettore, sia punito con la pena capitale, in modo che muoia; e in questo caso i suoi beni in realtà non siano resi pubblici. Qualora, in realtà, al tempo della condanna, egli non sia stato presente nel potere militare di un Rettore, allora, sia condannato con la pena capitale, in modo che muoia, se in un qualche tempo sarà pervenuto nel potere militare del Rettore o del Comune. E in questo caso tutti i suoi beni siano resi pubblici <confiscati> e nella stessa sentenza siano conosciuti come pubblici. Qualsivoglia donna che deliberatamente e di proposito abbia fatto o abbia partorito un aborto sia punita con un modo e una pena simili. E anche qualsivoglia persona che abbia fatto accadere o nascere un aborto, oppure l’abbia comandato, sia assolutamente punita allo stesso modo e con la stessa pena, come sopra. In realtà, qualsiasi persona abbia prestato aiuto, consiglio o sostegno per le dette cose, o per qualcuna di quelle che sono contenute sopra, sia condannata a 1000 libre di denaro. Se entro dieci giorni, da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, non abbia pagato questa condanna, sia punito con la pena capitale, in modo che muoia. Se qualcuno invece abbia ucciso un uomo <persona> o l’abbia distrutto, fatto morire, o l’abbia eliminato, non di proposito e senza deliberazione, ma per caso, tuttavia coinvolgendosi in una qualche colpa, sia punito con 500 libre di denaro. E per le cose contenute nel presente statuto qualsivoglia Rettore possa investigare ed anche fare la procedura, indagare e punire, se qualcuna di queste stesse cose sarà stata commessa al tempo dell’officio di costui, o entro i successivi cinque anni, e questo statuto abbia validità nelle cose future.

4 Rub.43

I delitti, gli avvelenamenti, i negromanti e le cose simili.

   Se qualche persona abbia esercitato l’arte della stregoneria, dell’avvelenamento o della negromanzia, oppure se abbia fatto o abbia esercitato qualcosa in qualche modo pertinente alle dette cose o l’abbia fatta fare o esercitare, o accadere, di qualunque sesso sia, poi sia bruciata da viva con le fiamme ed i suoi beni siano resi pubblici <confiscati>.

4 Rub.44

L’adulterio, lo stupro, l’incesto, il rapimento di vergini, o di consacrate a Dio, l’omosessualità, l’empietà, l’accoppiamento proibito e cose simili; i lenoni <mezzani>.

   Vogliamo allontanare tutti dai crimini per mezzo del terrore della pena, decretiamo che se qualcuno abbia rapito, o abbia portato fuori da un monastero una suora o una monaca, contro la sua volontà, oppure volente, con la decisione della unione carnale con lei stessa o abbia fatto l’unione carnale alla fine, oppure non l’abbia fatta, sia punito con la pena capitale, e ad arbitrio libero del Rettore con peggiore pena, fino a che sia completamente morto. Inoltre sia punito con la pena scritta sopra, quando qualcuno abbia fatto unione carnale con una suora o una monaca dentro al monastero. Qualora poi questa abbia tentato di commettere o fare qualcuna delle dette cose o qualcuna di queste e sia pervenuto a qualche atto effettivo, anche se non ha portato a termine l’atto criminoso, sia punito con 1000 libre di denaro e qualora non abbia pagato questa penalità o condanna entro dieci giorni da calcolare dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia tagliata spalle la testa, cosicché muoia. Se poi qualcuno con il motivo di violentare nella carne una reclusa e carcerata e chi vive da eremita, condiscendente o contro la sua volontà, o l’abbia rapita, o portata fuori dalla sua dimora, sia punito alla pena capitale, cosicché muoia. Sia affidato all’arbitrio del Rettore il significato di cosa si intenda quando una è chiamata «reclusa e carcerata e «vivente da eremita». Nei casi già detti e in qualsivoglia di essi, quando qualcuno sia condannato principalmente alla morte, anche i suoi beni sono resi beni pubblici <confiscati>, qualora, al tempo della condanna, egli non sia pervenuto e fosse nel potere militare del Comune, e se l’esecuzione avvenisse sulla persona, allora e in tale caso, i suoi beni non sono resi pubblici. Inoltre se qualcuno abbia violentato nella carne una sua consanguinea che sta nel primo, secondo, terzo, o quarto grado, sia condannato alla pena capitale cosicché muoia. Qualora abbia fatto soltanto un tentativo con il motivo di unirsela nella carne sia condannato a 500 libre di denaro. E in tutti i singoli detti casi la donna consanguinea di colui che unisce nella carne, e lei abbia sopportato di essere così unita, sia punita alla medesima pena come colui che la unisce nella carne. Se in realtà, qualcuno abbia violentato nella carne, contro la di lei volontà, una parente ‘affine’ legata con il grado primo, secondo, terzo, o quarto, o una vergine, sia punito con la pena capitale, cosicché muoia. Se in realtà <si unisce> con lei volente, allora il maschio e la femmina siano puniti, a 500 libre di denaro per ciascuno. E qualora non abbia pagato questa pena entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, ad arbitrio del Potestà, gli sia tagliata dal braccio la mano destra oppure la sinistra, così che a chi non paga sia separata dal corpo. Se in realtà, abbia fatto il tentativo soltanto con l’intento di violentarla nella carne, sia punito a 200 libre di denaro. Qualora, in realtà, qualcuno abbia fatto l’unione carnale con una sua parente ‘affine’ non vergine, che sta legata nel primo, secondo, terzo, o quarto grado, se contro la volontà di lei, sia punito con la pena capitale; se invece con lei volente, ciascuno di questi, tanto il maschio quanto la femmina, siano puniti a 200 libre di denaro; e se non abbia pagato questa pena entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia fustigato con flagelli nudo attraverso la Città di Fermo, si intende chi non paga; e qualora uno non abbia fatto l’unione carnale, ma qualora abbia tentato soltanto, con l’intento di violentarla, senza che sia avvenuta l’unione carnale, sia punito a 100 libre di denaro. E in tutti i singoli casi di questo statuto, il detto grado della consanguineità e dell’affinità debba essere calcolato e numerato soltanto secondo il diritto Canonico. Inoltre se una persona abbia fatto il coito carnale turpemente con qualche animale bruto, allora siano bruciati al fuoco, da vivo tanto colui che fa il coito, quanto l’animale vivo bruto. Inoltre se qualcuno abbia commesso il vizio di sodomia, in verità, colui che ha l’età maggiore di 18 anni, sia bruciato vivo al fuoco, cosicché muoia. Colui che subisce la sodomia con età maggiore di 14 anni sia punito a libre 200 di denaro. Inoltre se qualche Cristiano abbia fatto l’unione carnale con qualche Giudea o al contrario uno Giudeo l’abbia fatta con qualcuna Cristiana, egli sia bruciato vivo al fuoco, cosicché muoia: E quando lei sia stata passiva spontaneamente nell’essersi così unita nella carne, sia punita con la stessa pena con cui il maschio. Inoltre se qualcuno abbia fatto l’unione carnale con una vergine contro il diritto, e contro i buoni costumi, sia condannato a 1000 libre di denaro e se entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza non abbia pagato questa penalità, gli sia tagliata la testa cosicché muoia. Qualora, in realtà, qualcuno abbia fatto il rapimento di qualche vergine o di qualche donna sposata di buona vita e di fama, con l’intento di farci l’unione carnale, sia punito alla pena capitale, cosicché muoia, sia che abbia fatto con lei l’unione carnale, sia che no. Se qualcuno poi abbia fatto soltanto il tentativo violento con l’intento di unirsi nella carne con qualcuna vergine, sia punito a libre 200 di denaro. Inoltre se qualcuno si sia unito nella carne con una moglie altrui di buona vita e di fama con lei volente, sia condannato a libre 200 di denaro e se non abbia pagato questa condanna entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia fustigato nudo con flagelli attraverso la Città di Fermo e nondimeno sia rimesso nel carcere e fino a quando non abbia pagato non sia affatto rilasciato. Qualora, in realtà, uno fa la violenza carnale fatta contro la volontà di lei, sia punito alla pena capitale. Il “fare un tentativo” poi va inteso come quando uno sia andato nell’abitazione di lei o sia entrato o sia voluto entrare nella possessione di lei o altrui, o l’abbia presa <addosso> sulla persona. E queste cose abbiano applicazione in qualsiasi caso di tentativo contenuto nel presente statuto; qualora, invece, non sia avvenuta l’unione carnale con lei, ma abbia fatto soltanto il tentativo con violenza, sia punito a 200 libre di denaro. Se qualcuno invece abbia fatto l’unione carnale, o l’abbia tentata, con la moglie altrui di vita e di fama non buone, né di buona fama, o abbia agito con colei volente, sia il maschio, sia la femmina siano puniti a libre 10 di denaro; in realtà, se contro la volontà di colei, questo <uomo> adultero sia punito a libre 25 di denaro. E al fine di aver prova che la tale donna sia o sia stata una donna di fama e di vita non buone e non oneste, sia sufficiente la prova della deposizione di quattro testimoni che riferiscono su ciò dalla pubblica voce e dalla fama. Inoltre se qualcuno abbia fatto l’unione carnale con una vedova di vita e di fama buone e oneste, con lei volente sia punito a 200 libre; se al contrario, abbia agito contro la volontà di lei sia punito a libre 1000, e qualora non abbia pagato questa penalità di 1000 libre, entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia punito con la pena capitale. Se peraltro abbia fatto con la vedova soltanto un tentativo nell’intento dell’unione carnale con violenza sia punito a 200 libre di denaro. Se poi uno abbia rapito tale vedova con violenza, sia che abbia fatto l’unione carnale sia che no, sia punito alla pena capitale, cosicché muoia. Se qualcuno abbia fatto l’unione carnale con una domestica sua o altrui con un patto o senza un patto, non coniugata, neanche vergine, tuttavia di vita onesta, sia punito con 25 libre di denaro a favore del Comune; e sia condannato a dare a questa donna, con cui si è accoppiato così, 500 libre di denaro in modo che per mezzo di ciò sia in grado di farsi una dote. Se, in realtà, questa domestica sia vergine o coniugata sia punito a 50 libre a favore del Comune; e sia condannato a dare 100 libre a colei vergine per la sua dote. Inoltre se qualcuno abbia fatto il tentativo con l’intento di unirsi nella carne, in modo violento, con una sua o altrui domestica coniugata, oppure non coniugata, anche vergine, sia punito a libre 10 di denaro. Qualora lui abbuia fatto soltanto un tentativo di unirsi, sia punito a 5 libre di denaro. Inoltre al fine di frenare la libidine delle sposate e delle vedove, decretiamo che una donna sposata che spontaneamente in modo passivo si sia unita nella carne, sia condannata a 500 libre di denaro, e qualora non abbia pagato questa condanna entro venti giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia condannato alla pena capitale, cosicché muoia; e per il fatto stesso lei sia privata della sua dote e (questa) sia assegnata al marito. Invece una vedova che spontaneamente commette uno stupro sia punita a 200 libre di denaro. Tuttavia nel presente statuto generalmente decretiamo e facciamo statuto, cioè che nessun Rettore o Giudice della Città, che sarà stato in carica nel tempo, possa fare la procedura né l’investigazione sulle cose dette sopra nel presente statuto, se non soltanto per mezzo dell’accusa da parte di chi per tale cosa ha patito l’ingiuria, del marito, o anche del padre, del fratello carnale per entrambi o di un altro dei genitori o del patrono o del signore o zio della moglie così accoppiata nella carne. E se si facesse la procedura in altro modo che non sia per mezzo dell’accusa di qualcuno degli anzidetti, qualunque cosa succedesse non abbia validità per la legge stessa. Si fa eccezione per il vizio di sodomia e per l’accoppiamento carnale, o tentato con una monaca o con una religiosa carcerata o con una che vive da eremita; inoltre <eccezione> per il coito carnale di un Cristiano con una Giudea e di un Giudeo con una Cristiana. Si fa anche eccezione per il crimine dell’incesto fino al grado che è stato segnalato sopra. In questi casi il Potestà abbia l’arbitrio di fare l’inquisizione e di punire; tuttavia allorché una fama pubblica già precede; per avere la prova di questa fama sia sufficiente il numero di cinque testimoni degni di fede; e in questi casi eccettuati sia valido fare la procedura e indagare per mezzo dell’inquisizione. E in tutti i singoli casi del presente statuto, quando viene imposta una penalità pecuniaria, sia quando alla penalità pecuniaria sia stata annessa, in modo secondario una pena corporale, oppure in mancanza non sia stata annessa, il beneficio della confessione e della pace, queste insieme e separatamente siano praticati e tornino a vantaggio. <Non si pratichino>, tuttavia in altri casi. Chi commette però qualche lenocinio a una donna che non sia una pubblica prostituta, inoltre chi porta a seduzione qualche ragazza o ragazzo o donna con l’intento della libidine o del coito carnale, con modalità di lenocinio o anche di chi tenta di commettere un lenocinio sulla donna detta sopra, sulla ragazza o sul ragazzo, sia condannato e punito nella persona e nelle cose, ad arbitrio libero del Rettore. E riguardo a queste cose, il Rettore e il suo Giudice dei reati della Città di Fermo abbia arbitrio libero di fare indagine, di far la procedura per mezzo dell’inquisizione. E se qualcuno turpemente abbia sedotto qualche donna vergine o un’altra che non è pubblicamente prostituta né contro i buoni costumi con l’intento della propria o altrui libidine carnale e l’abbia condotta nella Città di Fermo o nel suo distretto, da qualche luogo fuori dal contado di Fermo, sia condannato alla stessa pena, sia che la tale sedotta sia stata prostituita, sia che no. E contro chi delinque si faccia inquisizione e sia fatta la procedura, come sopra, con lo stesso arbitrio libero. Aggiungiamo che allo scopo di dover reprimere gli atti turpi degli uomini, se qualcuno abbia baciato con violenza una vergine o altra donna di buona fama, qualora sia sotto il militare dominio del Comune di Fermo, sia punito alla pena capitale, cosicché muoia completamente; se tuttavia chi ha baciato sia fuggito, suo padre per lui sia obbligato a pagare al Comune la parte legittima e in questo caso si possa fare la procedura anche per mezzo dell’inquisizione, dell’accusa e della denuncia.

4 Rub. 45

I furti e l’agricoltore o il bifolco con patto che commette furto al patrono.

   Desideriamo che l’abominevole vizio del furto sia punito totalmente e decretiamo con la presente legge che se qualche persona di qualunque sesso abbia commesso qualche furto nella Città di Fermo o nel suo distretto su una somma o un valore di 20 soldi di denaro o di meno, sia punita in ciascuna volta a libre 25; in realtà, al di sopra di ciò, se la somma o il valore della cosa rubata sia inclusiva di 100 soldi di denaro o di meno, sia punita, in ciascuna volta, a libre 50. E in qualsivoglia dei detti casi qualora non abbia fatto il pagamento della condanna fattagli entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia fustigato nudo attraverso la Città. Se, in realtà, la somma o il valore del furto o della cosa rubata sia stato oltre 100 soldi di denaro e non superi libre 20 di denaro, il ladro sia punito a libre 100 di denaro. E qualora non paghi la condanna fattagli entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia fustigato nudo attraverso la Città e gli sia tagliato l’orecchio destro sicché sia staccato dal corpo. In realtà chi commette un furto di somma o di estimo o di valore sopra 20 libre, qualunque sia la somma, sia fustigato nudo con flagelli e gli sia tagliato l’orecchio in modo che da separarlo totalmente dal corpo. E queste cose siano capite e abbiano luogo per il primo furto. Per il secondo furto, in realtà, fatto nell’intervallo di almeno un giorno dopo il primo, su qualunque somma, estimo o su una cosa, al ladro sia estratto un occhio dalla testa sicché sia separato dalla testa. Se qualcuno, in realtà, oltre i due furti, abbia commesso un terzo furto o molti, anche fuori dal territorio di Fermo, sia sospeso alla gola sulla forca, cosicché muoia; quando tuttavia abbia commesso o abbia fatto il terzo furto, o il quarto o più, nella Città di Fermo o nel suo distretto o abbia contrattato il fatto altrove nella Città di Fermo o nel suo distretto, purché tuttavia tutti i suoi furti, che egli stesso ha commesso, superino la somma di 20 libre di denaro e, qualora non le eccedano, sia punito ad arbitrio del Rettore, nonostante che abbia commesso molti furti. Tale arbitrio però non si estenda e non sia esteso fino alla morte del ladro, ma al di sotto. E inoltre il delinquente sia condannato, in qualsiasi caso del presente statuto, a restituire la cosa rubata o l’estimo di questa e in più il doppio dell’estimo di essa. Un minorenne tuttavia al di sotto 14 di anni e maggiore di 10 anni, capace di inganno, quando commette qualche furto possa essere condannato, per ciascuna volta, fino a 20 libre inclusivamente e alla restituzione della cosa rubata e non di più né in altro modo nella persona o nelle cose, considerando anche la qualità del reato e altresì la condizione della persona. E in tutti questi singoli casi in cui è stata stabilita principalmente una pena pecuniaria non ci sia a vantaggio il beneficio della pace, ma quello della confessione ci sia. Tuttavia nei furti personali in maniera principale non è valido assegnare né la pace né la confessione. I ladri però che programmano i furti fatti altrove, nella Città di Fermo, o nel suo distretto o con questi stessi vengono in questa Città o distretto, per il primo e secondo furto siano puniti alle pene dette sopra, con le condizioni già scritte: per il terzo furto siano puniti a morte come detto sopra; e nondimeno siano costretti a riconsegnare le cose rubate con il doppio del loro estimo. I ladri notturni poi o i ladri diurni pubblici e famosi o i rapinatori che commettono o hanno commesso nella Città di Fermo o nel suo distretto un furto o una rapina, cose commesse o anche programmate altrove che commettono in questa Città e nel distretto, siano puniti ad arbitrio libero del Capitano e del Podestà nella loro persona, fino anche ad includere la morte. Vogliamo tuttavia e facciamo statuto riguardo a questi che siano da considerare e valutare soltanto come ladri pubblici famosi o come rapinatori, come sopra, e debbano e possano essere condannati, soltanto coloro che per tre volte abbiano fatto furti, o anche tre rapine, cose che nel processo e nella sentenza debbono essere espresse completamente, essi debbano e possano essere condannati; e in altro modo non possano essere puniti o condannati come ladri pubblici e famosi e come rapinatori. Inoltre coloro che sono stati trovati con le cose rubate o rapinate o fuggono con cose rubate o rapinate possano essere catturati da chiunque e bastonati e qualora si difendessero con le armi o con pugnale possono essere uccisi impunemente. Se però qualcuno abbia trovato nella sua casa di abitazione una persona sospetta che verosimilmente in quella casa ci stia per un furto o sia entrato a motivo di altri atti illeciti o non onesti, sia legittimo a chi lo trova e alla sua famiglia catturare quello così trovato e portarlo alla Curia e anche percuoterlo, senza pena,  finanche fino ad includere la morte, purché tuttavia poi si abbia la fede che questo tale ucciso sia entrato per un motivo illecito, altrimenti chi lo percuote o lo uccide sia punito alle pene degli statuti del presente volume. Aggiungiamo al presente statuto anche questo, che se qualche persona abbia rubato molte cose tutte insieme e in una sola volta, senza intervallo di tempo, debba essere condannata solamente per un solo furto. Gli statuti sui danni dati restino validi nel loro vigore e ad essi non fa affatto deroga il presente statuto. Inoltre se qualche padrone abbia accusato il suo agricoltore o lavoratore che egli ha con patto, riguardo ad un furto la cui la somma o l’estimo non superano 40 soldi, si debba stare al giuramento di questo padrone, né sopra tale accusa siano richieste altre prove; e in questo caso con validità il tale che è stato accusato viene condannato per tale cosa o somma che viene dichiarata sottratta con furto e <in più> ad altrettanto. Inoltre se qualche agricoltore senza apposita autorizzazione del suo padrone abbia venduto qualche lavoro con i buoi, sia condannato per ciascuna volta a 100 denari e la metà di questa condanna sia per il padrone che fa l’accusa di ciò. E si intenda che lo stesso statuto vale e si pratica nella stessa maniera nel caso in cui uno ha fatto patto di non lavorare se non il terreno o la possessione del padrone o del signore che fa il patto. Aggiungiamo anche che i lavoratori o i coloni che, ad opera propria o per mezzo di altri, senza l’autorizzazione del padrone della possessione, portano fuori o estraggono il grano, l’orzo, la spelta, le fave e ogni altro genere di frumento <cereale> da questa possessione in cui sono raccolti, incorrono nella pena del furto per il quale non si possa fare la procedura se non riguardo all’accusa di questo padrone o del signore della possessione.

4 Rub.46

La pena di coloro che saccheggiano i beni di una eredità.

   Se qualche persona abbia saccheggiato una eredità giacente <con curatore> o abbia depredato alcune cose, ossia di questa stessa eredità, o abbia prestato aiuto al saccheggiatore per saccheggiare, o abbia consapevolmente fatto incetta delle cose saccheggiate, sia punito con 200 libre di denaro, e sia obbligato alla restituzione delle cose e dei beni saccheggiati oppure sia obbligato <a dare> il loro estimo. E oltre a ciò sia condannato al doppio di tale estimo a favore di chi è interessato. Né la pena, né la condanna del saccheggiatore giovino, in alcun modo, a vantaggio dell’incettatore, o del coadiutore dell’azione, ma senza dubbio, qualsivoglia di essi, che così abbia errato, come detto, sia punito e condannato.

4 Rub.47

Le cose falsificate.

   Affinché le falsitànon siano commesse impunemente né facilmente, con la presente legge decretiamo che se qualche persona abbia composto o abbia fatto comporre un falso documento o abbia commesso qualche falsità in qualche documento, o abbia fatto che si commettesse; sia che ciò sia stato fatto cancellando, o cambiando, o diminuendo, o aggiungendo, o in altra maniera a pregiudizio della verità e della parte; gli sia amputata una mano, in modo che gli sia separata dal corpo, e per sempre sia un infame. Se, in realtà, qualcuno con consapevolezza abbia fatto uso di un istrumento falso, sia condannato a 100 libre di denaro; e qualora entro dieci giorni dal giorno di pubblicazione della sentenza, non abbia pagato questa condanna, gli sia amputata una mano, in modo che sia separata dal corpo. Inoltre se qualcuno abbia falsificato gli atti di qualche officiale della Curia, o abbia commesso una falsità in essi, sia anche che abbia falsificato la sentenza di qualche Giudice o di un officiale della Città, o abbia commesso in essa una falsità, in qualsivoglia dei detti casi sia condannato a libre 200 di denaro; e qualora, entro dieci giorni dal giorno di pubblicazione della sentenza, non abbia pagato questa condanna, gli sia completamente recisa una mano sicché sia separata dal corpo. Se qualcuno in realtà abbia falsificato, in occasione della morte, un testamento, o i codicilli, o una donazione, o abbia commesso o fatto, o fatto sì che fosse fatta, o abbia fatto commettere, una falsità in essi o in qualcuno di essi, in qualunque maniera o con qualsiasi qualità ciò sia stato fatto o commesso, o diminuendo, o aumentando o cancellando, o cambiando, a pregiudizio altrui e contro la verità, gli sia amputata una mano sicché sia staccata dal corpo, e per il fatto stesso, in perpetuo sia un infame. Qualora poi qualcuno abbia prodotto con consapevolezza qualche istrumento falso, un testamento, i codicilli, una donazione nella circostanza della morte, o una qualsiasi altra ultima volontà, o atti giudiziari, o altra scrittura privata, o altra sentenza, o cose simili, e, in realtà, non abbia fatto uso delle cose anzidette né di alcuno delle dette, a motivo della sola produzione di qualcuno di questi stessi, senza uso, sia condannato a 100 libre di denaro e, qualora entro dieci giorni dal giorno della pubblicazione della sentenza non abbia pagato ciò, gli sia amputata una mano, sicché sia staccata dal corpo. Inoltre se qualcuno abbia dettato consapevolmente o fraudolentemente, un qualche istrumento, un contratto, un testamento o altra ultima volontà, o un atto giudiziario, o una sentenza, o qualcosa di simile falso, sia condannato a 100 libre di denaro e se non le abbia pagato ciò entro dieci giorni dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia completamente tagliata la lingua dalla sua bocca, e per il futuro, sia privato della sua arte <notarile>, per la legge stessa e sia infame in perpetuo, per lo stesso fatto. E in tutti i singoli casi sopra scritti nel presente statuto, colui che abbia fatto qualcuna delle già dette cose o le abbia fatte avvenire o commettere, come già detto, sia obbligato all’intero interesse per la persona che in qualche modo sia stata danneggiata da ciò e nondimeno costui debba essere mitriato <condannato> con la mitria <mitra> di disprezzo o di biasimo. Inoltre se qualche persona abbia portato o abbia presentato consapevolmente un falso testimonio in qualche causa civile, in un tribunale, o al di fuori, dinanzi a qualche Giudice ordinario, o delegato, ad un arbitro, o a un compositore, o dinanzi a qualche sostituto, o dinanzi a qualcuno di questi stessi, sia condannato a 100 libre di denaro e in perpetuo sia infame, e sia ‘mitriato’ come sopra, e nondimeno sia condannato all’intero interesse per la parte lesa. Se in realtà in una causa penale, dove avvenisse di doversi imporre o possa essere imposta una pena semplicemente pecuniaria, se il reato fosse vero, e qualche persona abbia portato o abbia presentato un falso testimonio, sia condannata a 100 libre di denaro e all’interesse per la parte lesa, e alla imposizione della mitra, come sopra, e nondimeno per il fatto stesso, in perpetuo, sia infame. Se in realtà qualche persona abbia portato o presentato un testimonio falso in una causa penale, in cui la pena, tutta sulla persona o in parte, in modo principale o condizionale, o in mancanza <di un modo>, arrivasse a dover essere imposta a colui contro il quale o a favore del quale il falso testimonio è o sia stato presentato, qualora il tale che presenta un falso testimonio per e sopra il reato già detto, sia condannato e sia punito con quella pena personale, con la quale sarebbe stato punito o condannato o dovrebbe essere punito e condannato colui, contro il quale il falso testimone è stato recato o presentato, qualora il reato o i reati siano veri; se, in realtà, qualcuno abbia presentato consapevolmente falsi testimoni soltanto e non ce ne sia stato l’uso nel processo, per ogni testimonio sia condannato esattamente a 50 libre di denaro; qualora, in realtà li abbia presentati in un processo e si sia fatto consapevolmente uso di essi, sia condannato a 100 libre di denaro per qualsivoglia testimonio, e nondimeno, per questa cosa sia obbligato del tutto a dare l’interesse alla parte lesa, e sia mitriato <condannato> come sopra. Inoltre se qualcuno abbia sedotto qualche testimonio o l’abbia ammaestrato per dire, fare o presentare un falso testimonio in una causa civile o penale, per ogni testimonio che così abbia sedotto o ammaestrato sia condannato esattamente a 25 libre di denaro. Inoltre se qualcuno a danno di un altro, o del fisco o di un privato, in modo diverso rispetto ai danni dati, per sé abbia modificato il nome, sia condannato a dieci libre di denaro e all’interesse per la parte lesa da ciò. Inoltre se qualcuno, con inganno e con consapevolezza, abbia diffamato qualche persona su qualche reato o su alcuni reati o delitti, con una scrittura, o senza, soltanto contro la verità, dovunque o dinanzi a chiunque lo abbia fatto, o abbia procurato che sia fatto, sia punito, senza remissione, alla pena del taglione, cioè a quella con cui dovrebbe essere punito il diffamato, se sia stato vero il crimine già detto. Inoltre se qualcuno abbia falsificato il sigillo del Comune, o il bollettino con la croce, in qualunque modo e in qualunque qualità, sia punito col fuoco e sia bruciato totalmente, cosicché muoia completamente, se sarà venuto in potere del Comune; e se non sarà venuto in potere del Comune, allora tutti i suoi beni siano ridotti pubblici del Comune di Fermo e siano confiscati e nondimeno sia condannato al fuoco, come sopra. Inoltre se qualcuno abbia falsificato o abbia commesso una falsità nel o con il detto sigillo o in qualsiasi modo con il sigillo o con il bollettino, o in qualunque altra maniera, sia punito con 500 libre di denaro; e qualora non abbia pagato questa condanna entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia amputata la mano destra, cosicché sia separata dal corpo. Se qualcuno invece abbia falsificato o alterato il bollettino del Comune dell’officio del Regolatori di questo Comune, o in qualunque modo abbia commesso una frode o una falsità nel sigillo sia condannato a 200 libre di denaro. Inoltre se qualcuno abbia falsificato, alterato o in qualunque modo abbia commesso una falsità nel sigillo del signor Podestà, o del Giudice di giustizia o del Capitano del popolo di questa Città, sia condannato e punito a 100 libre di denaro. Inoltre se qualcuno in realtà abbia falsificato, alterato, o in qualunque modo abbia commesso una falsità in qualche sigillo o nel bollettino della Gabella, e degli officiali deputati all’officio della riscossione delle Gabelle, o di chiunque altro della Città di Fermo, sia condannato a 100 libre di denaro. E in tutti i singoli casi già detti, il colpevole sia condannato al doppio a favore di chi ha sofferto il danno. Inoltre se qualche persona abbia commesso, o abbia fatto commettere qualche falsità diversa da quelle già dette, anche tacendo, o in qualunque altro modo, o nella sua arte o nel suo servizio di qualunque qualità, sia punito a 50 libre di denaro, e nondimeno sia condannato al tornaconto a favore della parte <passiva>. E in tutti i singoli casi di questa rubrica o statuto, il beneficio della pace in nessun modo rivendichi per sé alcun valore. E qualsivoglia Rettore possa fare la procedura, investigare, indagare e punire sulle cose le cose qualmente sono contenute sopra nel presente statuto, se siano state commesse al tempo del suo officio o antecedentemente entro i cinque anni prossimi.

4 Rub.48

La pena di coloro che costringono al parto.

   Aneliamo a impedire la tanto grande malvagità e allontanare le perfidie di coloro, i quali o le quali non aborriscono di subornare un parto e decretiamo che chi suborna un parto o fa subornare qualche parto, con inganno, consapevolmente e con falsità, sia condannato a 1000 libre di denaro, e, per la legge stessa, sia totalmente privato o privata di ogni utile dell’eredità o dei beni di colei il cui parto sia stato preteso con falsità, senza aspettare nessun altro fatto.

4 Rub.49

La pena dei fabbricanti o spacciatori di moneta falsa.

   A tutti vietiamo di battere e fabbricare una moneta falsa o di farla battere e fabbricare. Se ci sia stato qualcuno dispregiatore temerario di questo statuto, sia bruciato con le fiamme cosicché completamente muoia; e la casa nella quale, con la consapevolezza del padrone, la falsa moneta sia stata coniata o fabbricata, per ciò stesso, si intenda confiscata a favore del Comune stesso. Se in verità qualche persona con consapevolezza abbia speso o fatto spendere, qualora sia stato speso sopra 20 soldi, sia condannata a 200 libre di denaro. Se in realtà abbia speso o abbia fatto spendere soldi 20 di denari e al di sotto di ciò con consapevolezza, sia punita con 50 libre di denaro. E si intenda che è chi ha speso con consapevolezza o ha fatto spendere tale moneta, colui che in precedenza si è adoperato per cercare o procurare di avere tale moneta, e successivamente abbia speso o abbia fatto spendere la stessa, come è stato detto sopra.

4 Rub.50

La pena di coloro che rivelano le cose di fedeltà o i segreti del Comune.

   Per mezzo di ogni cosa, aneliamo che la fedeltà e il silenzio per il nostro Comune siano praticati da tutti i singoli, decretiamo ed ordiniamo che se ci sia stato qualcuno di tanto grande temerità che abbia rivelato, manifestato o reso note a chiunque le cose di fedeltà, sotto silenzio o segrete del nostro Comune, imposte o affidate a lui, per mezzo del Consiglio, dei Priori del popolo, o del Vessillifero di giustizia, o di un altro, o di altri a nome del Comune, congiuntamente <con altri> o separatamente, in maniera reale e personale, a libero arbitrio del Rettore, anche sul fatto <stesso> e senza alcuna solennità, tuttavia, dopo considerata la qualità del fatto, sia punito con la pena della privazione dell’officio e del beneficio del Comune di Fermo, almeno per un decennio.

4 Rub.51

La pena di chi reca un insulto insieme con un gruppo o senza.

   Ordiniamo che siano puniti in tale maniera i reati e i crimini di coloro che fanno un oltraggio insieme con un gruppo di persone, cioè che se qualcuno insieme con quattro o più persone impiegate, abbia fatto un oltraggio contro qualcuno presso la dimora o dentro la dimora di sua abitazione, o presso un magazzino o una bottega propria o in gestione dell’oltraggiato, o ivi, o presso un suo possedimento o in un possedimento, o in una piazza del Comune; se con armi, il principale o l’associato siano puniti con 200 libre di denaro. In realtà chiunque si è associato, o chi in tal modo, stia con questo tale sia punito con 100 libre di denaro. Qualora in realtà senza armi, il detto principale sia punito con 100 libre. In realtà chiunque così si associa sia punito con 50 libre. Se in realtà tale oltraggio sia stato fatto contro qualcuno, altrove, anziché in qualcuno dei detti luoghi, se con armi, il principale sia punito con 100 libre e chiunque si associa in tal modo sia punito con 50 libre di denaro. Se in realtà senza armi, il principale sia punito con 25 libre di denaro; in realtà chiunque si associa sia punito con libre dodici. Se qualcuno invece, così oltraggiato sia stato colpito in questo oltraggio, con armi, o con arnesi di ferro, o non di ferro, con spargimento di sangue, nell’abitazione, o presso l’abitazione, o presso il possedimento o nel possedimento, presso il magazzino o presso il negozio proprio o in affitto, o ivi, o in una piazza del Comune, il principale sia punito con libre 500 di denari, e qualora non le abbia pagate entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, a lui sia completamente amputata la mano destra sicché sia separata dal corpo. In realtà chiunque che così si associa sia punito con libre 200 di denaro, e qualora non le abbia pagate entro 10 giorni dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia completamente amputata la mano destra, cosicché sia separata dal corpo. Se in realtà in tale oltraggio, fatto in qualcuno dei detti luoghi, l’oltraggiato sia stato colpito e a causa della percossa una cicatrice perpetua nella faccia, o nel collo, o una menomazione duratura per sempre, o un taglio con una menomazione duratura in perpetuo di un membro, di un nervo o della funzione di un membro, siano state fatte, siano state conseguite, siano state tali da permanere, il principale sia punito con 800 libre di denaro. Chiunque in realtà così si associa sia punito con 400 libre di denari; e qualora non abbiano pagato la propria condanna entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia al principale, come anche a colui che così si associa, sia amputata la mano destra, in modo che sia separata dal corpo. Quando in realtà sia morto colui così oltraggiato, si pratichi lo statuto sull’omicidio. Qualora invece il tale oltraggiato sia stato colpito senza sangue in alcuno dei detti luoghi, o presso qualcuno di questi, e senza cicatrice, e senza taglio o senza una menomazione, come detti prima, il principale certamente sia punito con 200 libre, e chiunque in realtà così si associa sia punito a 100 libre di denari. Se invece il tale sia stato oltraggiato insieme con l’anzidetto raggruppamento, altrove, anziché in qualcuno dei luoghi detti, e sia stato colpito con armi, o con strumenti di ferro, o non di ferro, e con sangue, e soltanto con la fuoruscita di sangue, e nessuna cicatrice nella faccia, né taglio nel collo tali che siano per rimanere in perpetuo, né una menomazione perpetua, anche senza sangue, né un taglio con menomazione perpetua di qualche membro, o di un nervo o della funzione di un membro siano state fatte, o siano seguite o sarebbero da seguire <in futuro> da tale percossa, il principale sia punito con 500 libre di denaro e in realtà chiunque così si associa sia condannato a 200 libre di denaro. E a chiunque degli anzidetti che non abbia pagato la propria condanna entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, sia completamente amputata la mano destra in modo tale che sia separata dal corpo. Qualora in realtà dalla detta percossa sia uscito soltanto sangue, senza nessuna cicatrice, né taglio, né la detta menomazione siano state fatte, né seguite né sarebbero a seguire <in futuro> il principale sia punito con 200 libre di denaro e chiunque così si associa sia punito con 100 libre. Se in realtà la percossa, nel detto oltraggio sia stata senza sangue, il principale sia punito con 100 libre di denaro e chiunque così si associa sia punito con 50 libre. E in qualsivoglia dei detti casi di questo statuto quando l’oltraggio e la percossa siano intervenuti, solamente le soprascritte pene rivendichino per sé valore, e su tali percosse non si esiga in maniera diversa. Se qualcuno invece in qualcuno dei luoghi dichiarati sopra o in altro luogo, abbia fatto un oltraggio, come detto, insieme con un raggruppamento e nell’oltraggio sia intervenuta una minaccia con armi o senza, senza una percossa, il principale oltre alla pena dell’oltraggio, sia punito a 50 libre di denaro e chiunque, in realtà, che così si associa sia condannato a 25 libre di denaro; e in questo caso la pena dell’oltraggio non sia confusa con la pena della minaccia. E affinché non si faccia revoca per il dubbio su chi sia stato il principale nel raggruppamento, che si comprende nel presente statuto, e <dubbio> su chi si associa, sia capito come principale colui che viene dichiarato dall’oltraggiato; ma se da costui non venisse dichiarato, sia affidato all’arbitrio del Rettore. E tutte le singole le dette cose abbiano vigore, quando quattro o in più di essi siano stati insieme con un principale inclusivamente per commettere queste cose o qualcuna di queste. Se invece l’oltraggio sia stato fatto senza un gruppo, contro qualcuno, nella casa o presso la casa dell’abituale sua abitazione, o presso il magazzino, o presso il negozio suo proprio o in affitto, o ivi, o presso un possedimento, o nel proprio possedimento, o in affitto dello stesso oltraggiato; se con armi, colui che fa l’oltraggio sia punito a 20 libre di denaro, se senza armi, a 10 libre di denaro. Se in realtà l’oltraggio sia stato fatto in altro luogo, non in alcuno o alcuna tra i detti luoghi, se con armi, chi oltraggia sia punito a 10 libre di denaro; se senza armi sia punito con 5 libre di denaro. E la pena di tale oltraggio sia confusa con la percossa, qualora una percossa sia stata fatta; invece non sia confusa insieme con la sola pena della minaccia, qualora sia intervenuta la sola minaccia senza alcun intervento di qualche percossa. E a questo presente statuto aggiungiamo che quando l’oltraggio si debba interpretare come fatto in casa o presso la casa dell’abitazione, o presso il magazzino, o presso un negozio detto prima, o ivi, o presso un possedimento, o nell’anzidetto possedimento dell’oltraggiato, o altrove, in tutti i singoli casi di questo statuto sia affidato all’arbitrio del Rettore, e sopra ciò incarichiamo la sua coscienza.

4 Rub.52

La pena di coloro che minacciano con armi o senza.

   Decretiamo di punire le minacce in questa maniera: se qualcuno abbia fatto minacce contro qualcuno con armi di ferro, o con parti ferrate, oppure con altre armi, cioè con un rametto o con un bastone o con un altro arnese non leggero, per ciascuna volta sia punito a 25 libre di denaro. Se qualcuno invece abbia sguainato o alzato qualcuna tra le dette armi e non abbia minacciato, sia punito per ciascuna volta con 100 soldi. Quando abbia fatto minacce contro qualcuno con una canna, o con una cinghia di cuoio o con un altro strumento leggero, sia punito, per ciascuna volta, a 10 libre. Tuttavia che cosa si debba intendere per strumento leggero, o non leggero, sia affidato all’arbitrio del Rettore. Se in realtà, abbia minacciato con una mano vuota, in direzione del collo o al di sopra a questo, contro qualcuno o contro la persona di qualcuno, sia punito con 5 libre di denaro e se da lì al di sotto, sia punito con 40 soldi. E la pena per l’oltraggio in nessun modo sia confusa insieme con la pena del minacciare o dello sguainare <un’arma>, neppure al contrario, ma qualsivoglia pena rivendichi vigore di per sé stessa.

4 Rub.53

La pena di chi colpisce con armi o senza.

   Aneliamo che sia punita con il provvedimento di questo statuto la temerità di coloro che percuotono, e decretiamo che se qualcuno abbia colpito qualche persona sul collo, o sopra il collo, con armi, o con uno o più strumenti, con mezzi ferrati o di ferro con un ferro di tali armi, con versamento di sangue, sia punito a 200 libre di denari per ogni percossa. E se da tale percossa la frattura o la rottura di un osso o del cranio siano state effettuate, o siano seguite, o abbiano a seguire, sia punito con libre 400. E se da tale percossa un segno enorme o una cicatrice sulla faccia o evidente sulla gola siano stati effettuati o siano seguiti, o abbiano a seguire, tali da rimanere in perpetuo, sia punito con libre 400; e qualora non le abbia pagate, entro un mese dal giorno della pubblicazione della sentenza, la mano destra gli sia completamente amputata, cosicché sia separata dal corpo. Qualora in realtà abbia tagliato il naso, o una parte di esso, un orecchio, o una sua parte, un labbro, o una sua parte, in modo che li abbia separati dalla faccia, oppure abbia accecato un occhio, o l’abbia cavato fuori, sia punito a libre 500; e se non abbia pagato questa pena o condanna entro dieci giorni da calcolarsi dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia tagliato il naso, un orecchio o il suo labbro, come l’ebbe tagliato all’altro, e l’ebbe così separato; e così ebbe accecato o cavato l’occhio, similmente estratto, nella misura, più o meno, ad arbitrio del Rettore. Se in verità abbia colpito qualcuno al di sotto del collo con le dette armi, o con qualcuna di esse, con versamento di sangue, o senza, e se, a causa della percossa, una totale recisione o una debilitazione perpetua di un nervo, o di un osso o di un membro, o la funzione di un membro, siano stati effettuati o siano seguiti, o abbiano poi a seguire, sia punito con 400 libre; e se non abbia pagato questa pena entro un mese dal giorno della pubblicazione della sentenza, gli sia amputato o tagliato un membro simile, o un osso, o la funzione di un membro, come l’ha tagliato o ha debilitato l’altro o l’ebbe debilitato, o altra cosa, ad arbitrio del Rettore. Se in realtà dalla percossa fatta con qualcuna delle dette armi al di sotto del collo sia uscito solamente il sangue e nessuna delle dette cose sia stata effettata, né avrà a seguire, sia condannato a 100 libre. Se in realtà da tale percossa, con qualcuna delle dette armi, non sia uscito sangue, e la percossa sul collo o sopra al collo sia stata fatta con lividura, sia condannato a 100 libre per ogni percossa; se senza lividura sia condannato a libre 50. Se, tuttavia, abbia colpito dal collo in giù con qualcuna delle dette armi, se senza sangue, se con lividura, sia condannato a 50 libre; se senza lividure, a libre 25 per ciascuna percossa. Inoltre se con un solo colpo o con unico colpo siano state fatte più percosse con qualcuna delle dette armi, quando sia dal collo in su, chi percuote sia punito per il totale delle percosse per quante qualcuno è trovato colpito. Se in realtà siano state percosse fatte dal collo in giù o seguite con sangue, a libre 100, e se fosse stata una sola percossa soltanto, sia punito e condannato la sola. Se in realtà abbia colpito o ferito qualcuno con sangue, con qualche strumento bipartito, tripartito o con più parti, come le forbici, il bidente, il pettine, il rastrello, o simili, quantunque abbia fatto molte ferite con un solo colpo con tale strumento, sia punito a libre 200. Se in realtà dalla percossa fatta con qualcuna delle dette armi o con i detti strumenti, uno o più denti siano stati caduti o siano stati rotti, colui che ha percorso sia punito con 50 libre di denaro per qualsivoglia dente. Se in verità qualcuno abbia reciso totalmente o in parte la lingua a qualcuno, sia punito con 200 libre. Se in realtà qualcuno abbia reso in qualche modo un uomo eunuco o castrato, in qualunque modo, tanto che sia reso completamente menomato a procreare, sia condannato con libre 1000 di denaro; e se entro dieci giorni dalla pubblicazione della sentenza non le abbia pagate, gli sia tagliata la testa, cosicché muoia completamente. Se in realtà ad alcuno abbia inciso soltanto uno dei due testicoli o l’abbia tagliato, o l’abbia separato dal corpo, sia punito a 200 libre; e se non le abbia pagato entro dieci giorni dalla pubblicazione della sentenza, gli sia tagliata una mano, cosicché sia separata dal corpo. Se qualcuno invece con qualche vaso di terra, o con un altro strumento, o con un’asta, un bastone, un legno, una pietra, un legno, una roncola, una mazza piombata, e con cose simili a queste, o con qualcuna fra le armi aventi un ferro, anche non ferrate che sia stato tra una delle cose già dette, se abbia colpito sul collo o sopra il collo e dalla percossa sia uscito sangue, per ciascuna percossa sia punito a 100 libre. Se in realtà dalla percossa una cicatrice o un segno evidente sul collo o sulla faccia, o una menomazione perpetua di qualche nervo o di un membro o della funzione dei un membro, o la frattura di un osso o del cranio, o una rottura, con uno dei detti strumenti siano stati fatti, siano seguiti o avranno a seguire, sia punito con 200 libre. Se in verità abbia accecato un occhio o l’abbia cavato con la percossa fatta con qualcuno dei detti strumenti, sia condannato a 500 libre per ciascun occhio accecato o cavato; e se non abbia pagato questa condanna di 500 libre entro dieci giorni dalla pubblicazione della sentenza, gli sia cavato un suo occhio, o uno solo o ambedue, similmente come li ebbe cavati o accecati all’altro. Se in realtà per la percossa fatta con detto strumento sia caduto un dente dalla bocca di chi è stato percosso o sia stato rotto, sia punito e condannato a 50 libre per qualsiasi tale dente. Se in realtà abbia colpito soltanto dal collo in giù soltanto con sangue, con uno dei detti strumenti, o con simili, sia punito e condannato con 50 libre. Se invece abbia colpito con lividura, senza sangue, sul collo o sopra il collo, con uno dei detti strumenti, sia condannato a 100 libre; se senza lividura sia punito con 50 libre. Se in realtà abbia colpito dal collo in giù con lividura, oppure senza, con uno dei detti strumenti, sia punito con 25 libre di denaro. Se in realtà abbia colpito con una canna, una cinghia o con un altro strumento leggero simile a questi, dal collo in su, con sangue o con lividura soltanto, per ciascuna percossa sia punito con 40 libre; se senza sangue e senza lividura sia punito a 20 libre. E se in realtà da tale percossa con sangue, una cicatrice o uno segno evidente sul collo o sulla faccia o una menomazione perpetua di qualche nervo o di un membro, o la rottura di un osso o del cranio, o una frattura o abbia accecato un occhio o l’abbia cavato per la detta percossa, sia stata effettuata o sia seguita o sarà per poi seguire, sia punito in tutte le cose e per tutte le cose come se abbia colpito con un vaso di terra, come sopra. Se da tale percossa sia caduto un dente dalla bocca di chi è stato percosso, o sia stato rotto, sia punito con 20 libre di denaro per qualsiasi tale dente. Se in realtà abbia colpito dal collo in giù, con sangue, con tale leggero strumento più prossimo, o simile ad esso, sia punito con 20 libre di denaro. Se in realtà abbia colpito con lividura o in modo diverso senza sangue, sia punito con 10 libre di denaro. Se qualcuno in realtà abbia scagliato contro qualcuno una pietra o qualcuno dei detti strumenti, e non abbia colpito, sia punito per ognuno e per ciascuna volta a 5 libre di denaro. Se qualcuno in verità con un solo colpo con qualcuno dei detti strumenti abbia effettuato molte percosse, sia condannato secondo la distinzione fatta sopra per la stessa cosa su coloro che percuotono con armi di ferro sotto o sopra il collo. Se qualcuno invece con i denti abbia morso qualcuno con lividura o con sangue o con ambedue, sia punito con 50 libre di denaro, se senza lividura e senza sangue, sia punito con 25 libre. Se in realtà abbia morso con denti il labbro, il naso, o un dito, o un orecchio o una guancia o la gola, e abbia strappato o abbia fatto cadere la carne, sia condannato e punito con 100 libre. Inoltre se con tale morso abbia menomato un nervo, un membro o la funzione di un membro o l’abbia troncato in tutto o in parte, o abbia strappato la carne da qualche parte del corpo, che è descritta sopra, o l’abbia fatta cadere in terra, sia punito a 100 libre. E se talora si abbia avuto un dubbio, o sia introdotto un dubbio in qualche caso dei presenti o di altri statuti, di questo volume, su” forse che”, o su “quando” il segno o la cicatrice sia evidente, o sia enorme o sulla menomazione perpetua di un nervo, o di un membro, o della funzione di un membro o la frattura di un osso o di un dente, sia stata fatta la frattura, o sia seguita o avrà a seguire, sia affidato e ci si attenga al giudizio del Rettore, secondo il giudizio di due medici con giuramento. Se qualcuno invece con la mano vuota, con il braccio, con il gomito, con un calcio o con la testa, o con qualunque membro umano, o parte di un membro abbia colpito qualcuno al di sopra del collo, se da ciò sia uscito sangue, sia punito a 50 libre; se in realtà da ciò non sia uscito sangue, sia punito con 25 libre. Se in realtà abbia colpito al di sotto del collo così, se con sangue sia punito a 10 libre di denaro, se senza sangue a 100 soldi. Se in realtà da tale percossa sia stato accecato o cavato un occhio, o un osso sia stato debilitato in perpetuo, o sia stato spezzato, o un dente sia stato rotto, o sia stato sradicato, o sia stata fatta, sia seguita o avrà a seguire una menomazione perpetua di un nervo, di un membro, o la funzione di un membro, quel tale che così ha colpito sia condannato a 100 libre di denaro. E nel caso già detto, quando qualcuno con tale percossa abbia accecato un occhio o l’abbia cavato, se entro dieci giorni dal giorno della pubblicazione della sentenza non abbia pagato la detta condanna, gli sia completamente amputata una mano, cosicché sia separata dal corpo. Se qualcuno invece ad un altro abbia carpito o tirato la barba, o una parte di questa, o l’abbia tirata, o abbia tirato i capelli dalla testa, o un orecchio, o gli orecchi ad un altro, se da ciò non sia uscito sangue, sia punito con 25 libre; in realtà se da ciò il sangue sia uscito sia punito con 50 libre. Se in realtà con ciò abbia troncato un orecchio dalla testa o l’abbia separato tutto o una sua parte, sia punito con 100 libre; e se non abbia pagato questa condanna entro dieci giorni dalla pubblicazione della sentenza, gli sia amputata una mano sicché sia separata dal corpo. Se in realtà abbia spinto qualcuno senza farlo cadere a terra sia punito con 5 libre; se in realtà abbia fatto cadere chi è stato spinto, se da ciò non sia uscito sangue, sia punito con libre 10; se in realtà per detta spinta, o in occasione di essa il sangue sia uscito, colui che ha dato la spinta sia punito con 25 libre. Se in realtà qualcuno abbia spinto qualcun altro o l’abbia fatto cadere, e da ciò, o in occasione di ciò, un occhio sia stato cavato, o accecato, o se sia stata fatta, sia seguita o avrà a seguire la frattura di un osso, o la menomazione perpetua di un nervo, o di un membro, o della funzione di un membro, colui che ha dato la spinta così, sia punito con 200 libre di denaro. Inoltre se qualcuno abbia trascinato qualcun altro per terra o l’abbia tirato, se da ciò non sia uscito sangue, sia punito con 25 libre di denaro; e se in realtà da ciò il sangue sia uscito, sia punito con 50 libre. Se in realtà da ciò sia stato fratturato un osso, o una menomazione perpetua di un nervo, di un membro o della funzione di un membro, sia stata fatta o sia seguita o avrà a seguire, sia punito con 200 libre. Inoltre se qualcuno abbia tolto ad un altro dal capo un cappuccio o altro copricapo di un uomo o di una donna, o l’abbia fatto cadere, o abbia stracciato qualche indumento sul dorso di un altro, sia punito con 10 libre, anche al risarcimento col doppio del danno. In realtà, i reati dei minori di sedici anni commessi in qualcuno tra i questi casi, o in simili, siano puniti con una pena minore ad arbitrio del buon Rettore, dopo aver considerato la qualità del reato e la condizione delle persone, secondo la differenziazione fatta nella rubrica “Che i minorenni e i figli della famiglia abbiano una legittima personalità”.

4. Rub.54

La pena di coloro che percuotono un contrattista altrui.

   Desideriamo che si abbia un criterio e un modo più mite verso coloro che percuotono un contrattista altrui, o un servo, e decretiamo che se qualcuno con la mano, con un calcio o con armi, o con un qualunque altro strumento ferrato o non ferrato abbia colpito qualche contrattista altrui o un servo o una serva, oppure contro di essi abbia fatto un oltraggio, o abbia fatto minacce, o abbia sguainato qualche altra arma, sia punito nei modi principale o condizionale con metà della pena pecuniaria con cui verrebbe punito se abbia offeso un altro non contrattista o servo altrui; questa pena detta dimezzata si intenda e sia una pena semplice e originaria per i delinquenti già detti. Se qualcuno in realtà abbia colpito qualche altrui contrattista o servo o serva, con armi o con qualche altro strumento o con qualunque cosa in qualunque modo nella faccia, o nella gola, e da questa percossa, una cicatrice, o un segno stragrande potranno rimanere in perpetuo, sia punito e condannato a 100 libre di denaro. E per intendere chi sia l’altrui contrattista o servo, sia sufficiente la testimonianza di quattro che danno prova sulla pubblica voce e sulla fama riguardo a ciò. In verità il padrone o il patrono che percuote o flagella un suo servo o un contrattista di qualunque sesso, in nessun modo sia obbligato a qualche pena, a meno che nel flagellare o nel percuotere egli si sia comportato spietatamente e severamente. Tuttavia debba essere inteso come cosa fatta spietatamente e severamente soltanto allorquando una cicatrice nella faccia, o nel collo, il totale taglio o la menomazione duratura in perpetuo di un nervo, di un membro o la funzione di un membro o di un osso siano stati fatti, o avranno a seguire in perpetuo o un occhio sia stato accecato o sia stato cavato, o la carne sia stata separata dal corpo. Chiaramente quando avviene per questa atrocità e questa severità, al di qua della morte, tale padrone o patrono sia punito a 25 libre di denaro.

Libro 4° fine rubrica 94

4 Rub.55

Il forestiero che offende un Cittadino.

   Desideriamo ostacolare i forestieri con la paura della pena, e decretiamo che se qualche forestiero, o chi non sia soggetto alla giurisdizione del Comune di Fermo, in qualsivoglia dignità, condizione o stato stia, il quale, nella Città o nel suo distretto, abbia offeso un Cittadino o un abitante del distretto, o sia stato promotore e autore di una rissa o di un oltraggio, ovvero <in un luogo> al di fuori del distretto di Fermo, abbia offeso o derubato nella persona uno stesso Cittadino o abitante del distretto, sia punito con il doppio di quella pena con la quale sarebbe punito un Cittadino che offenda un Cittadino. E ciò quando la pena è soltanto semplicemente pecuniaria e stabilita dalla forma di uno statuto di questo volume. In realtà se la pena del reato per un Cittadino contro un Cittadino sia anche puramente arbitraria, o corporale o afflittiva del corpo in modo principale o condizionale, allora tale forestiero, in modo reale e personale, insieme <con altri> o separatamente, sia punito ad arbitrio del Rettore, dopo valutate le condizioni delle persone e del fatto; mai, tuttavia, condanni ad una pena minore, tale forestiero, o uno non sottoposto <a Fermo>, come già detto, in confronto a chi fosse un Cittadino o uno sottoposto.

4 Rub.56

Le parole ingiuriose.

   Coloro che dicono o profferiscono una parola ingiuriosa contro qualcuno, anche se in un solo impeto, ne abbiano detto molte insieme, siano puniti con 40 soldi, per ciascuna volta. Se <le> abbiano dette dinanzi al Podestà o al Capitano o a qualcuno dei loro officiali nel Palazzo del Comune, o del popolo, siano puniti con 100 soldi. E nelle anzidette cose, senza dubbio, abbia per sé valore il beneficio della pace; e qualsivoglia Rettore, per tutte le singole dette cose, abbia potere di condannare e di punire, sul fatto, senza alcun processo né atto scritto.

4 Rub.57

La pena per coloro che ripetono gli improperi.

   Decretiamo che quando vengono pronunciate contro qualcuno parole ripetute di improperio per qualche atto o su una cosa del passato, o riguardanti colui contro il quale sono profferite, o chi abbia detto o profferito in qualche modo una cosa infamante o contro il decoro del padre, della madre, del fratello carnale, della moglie o di un altro consanguineo<dell’altro> fino al terzo grado incluso, da computarsi secondo il diritto Canonico, ci sia la punizione a 25 libre di denaro. Se qualcuno invece abbia esibito, con gli scritti o con la parola, una sua difesa ossia per conservare un suo diritto, scrivendo o facendo scrivere, o facendo un’opposizione, o in altra maniera, non sia obbligato affatto alla detta pena. In realtà, se qualcuno abbia detto che qualcuno è mentitore, per mezzo di queste parole, “tu dici menzogne”, o cose equipollenti, o abbia ripetuto a costui stesso improperi come, ad esempio: ‘cieco’, ‘zoppo’, ‘monco’, o cose simili o qualche difetto che gli sia soprastante, per concessione divina, o per opera di un altro, sia punito con 5 libre di denaro. E nei casi di questo statuto il beneficio della pace abbia vigore e giovi.

4 Rub.58

Coloro che, a propria difesa, offendono qualcuno, e la pena di chi rifiuta la giurisdizione del Comune.

   Decretiamo che è legittimo, senza pena, a ciascuno il difendersi, con moderazione per la sua tutela <di dignità> incolpata. Tuttavia, se qualcuno, a causa di qualche dignità, o di un privilegio, o di qualche ragione o motivo, si sia sottratto, o abbia voluto sottrarsi dalla giurisdizione del Podestà o del Capitano del Comune di Fermo, al fine di non essere punito per una offesa che egli abbia fatto contro qualcuno, o per un reato, ovvero affinché faccia accordi in modi civili , ossia non sia punito in maniera penale, secondo la forma e il modo o secondo le pene di questa Città, sia punito alla pena di 50 scuti e alla privazione degli offici o di qualunque dignità nella Città di Fermo e nel contado. E chiunque si sia associato, in qualche modo, a qualcuno che così si sia sottratto, o abbia voluto sottrarsi, per commettere un reato, ossia abbia prestato aiuto, consiglio o sostegno a lui per commettere ciò, sia obbligato come se egli stesso avesse commesso il reato. E questo statuto, in realtà, rivendichi valore per sé, se il convenuto principale in materia civile o penale a nome suo proprio abbia rifiutato la detta giurisdizione, e anche se l’abbia rifiutata a nome di altri, come procuratore, tutore, parte attiva, curatore o sindacatore, e in questo caso, quando abbia rifiutato a nome di un altro, lui stesso tutore, curatore, attore, procuratore o sindaco sia astretto al presente statuto. E nondimeno il tale signore a nome del quale le dette cose siano state fatte o dette, o sia stato rifiutato, possa essere leso nei beni e nelle cose, come sopra è stato detto.

4 Rub.59

La pena di coloro che infrangono la pace.

   Contro coloro che infrangono la pace decretiamo in maniera tale che se qualcuno abbia infranto o rotto la pace, o abbia percosso o abbia fatto percuotere, in qualche modo, anche senza percuotere né far percuotere, o in qualsivoglia altra maniera colui con il quale abbia fatto la pace, a motivo di tale percossa o dell’offesa fatta in qualunque modo, oltre alla pena sull’osservare la pace promessa, a causa della pace infranta sia punito con la pena contenuta nelle Costituzioni della Marca. E lo stesso statuto ci sia e sia riconosciuto qualora qualcuno abbia così offeso o abbia fatto offendere, percuotendo o facendo percuotere un qualche consanguineo di colui con il quale abbia fatto la pace, fino al terzo grado incluso, da computarsi secondo il diritto Canonico; solo quando abbia offeso o abbia fatto offendere nella detta maniera, soltanto infrangendo l’anzidetta pace, ma non per un nuovo motivo o per una offesa fatta a lui ad opera di quel tale.

4 Rub.60

Decreto del Consiglio sulle vendette trasversali, confermato dal Breve di Pio IV in data Roma 10 febbraio 1560.

   Allo scopo di reprimere e di ostacolare le intenzioni e gli animi dei perversi e degli empi, i quali mentre desiderano vendicarsi delle ingiurie, eccedono i limiti propri della vendetta dell’offensore con l’offesa a realtà trasversali, pertanto con questa saluberrima legge decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno, in futuro abbia fatto una qualche vendetta trasversale, cioè quando l’offesa sia stata soltanto verbale, il tale che così fa l’offesa incorra nella pena dell’esilio per un quinquennio; se invece l’oltraggio e l’offesa siano stati fatti sulla persona, seppure senza sangue, né frattura di un osso, sia esiliato per un settennio. Quando in realtà l’offesa sia stata con sangue o con la frattura di un osso, o con il troncamento di un membro, o con debilitazione o con un segno che rimane perpetuo, la pena per il tale che offende così sia l’esilio per un decennio, con la confisca di mezza parte di tutti i suoi beni e soltanto nel caso di troncamento di un membro e della debilitazione, la mano destra sia troncata e amputata in modo che sia separata dal corpo. E si intendano i detti esuli come fuori dalla Città e dalla giurisdizione Fermana. Se invece da qualcuna delle dette offese fatte di traverso sia seguita la morte di colui che così sia stato offeso, colui che offende, come ribelle e traditore del pacifico stato di questa Città, sia dipinto nella parete del palazzo Vecchio della Curia pubblicamente e palesemente, all’usanza per i traditori, e sia sottoposto al perpetuo esilio, con la confisca di tutti i suoi beni e la demolizione delle abitazioni. Abbiamo decretato che la grazia, il perdono o la clemenza non possano essere concessi da parte di chi ha il potere; e non rimanga, né abbia validità su tutte le singole pene dei detti casi quando fatta o conseguita, né giovi la pace <beneficio> in alcuno dei detti casi. Aggiungiamo e proclamiamo che le dette pene ed ognuna di esse si intendano imposte oltre a tutte le altre pene legali o statutarie, e queste pene anzidette abbiano vigore tanto per colui che faccia ciò, quanto per chi comanda che sia fatta una vendetta trasversale. Inoltre un’offesa proclamiamo fatta in modo trasversale, ogni qualvolta l’offeso o un altro congiunto per consanguineità o per affinità abbiano offeso non lo stesso offensore, ma un altro congiunto per consanguineità o per affinità. E a quel tale che offende in tal modo non giovi allegare un nuovo motivo, a meno che non abbia dato prove con chiarissime e legittime conferme che il motivo è effettivamente vero e non esiste per un sospetto. Inoltre la pena della demolizione delle abitazioni recuperi di per sé vigore anche contr coloro che commettano una vendetta trasversale sui figli della famiglia, come sopra, per la quantità che concorre alla <quota> legittima da assegnarsi nell’abitazione paterna, al fine di dover fare la demolizione. E similmente la comunione <di beni> non giovi.

4 Rub.61

Sul non offendere debbono essere dati i fideiussori.

   Al fine di rendere tutti protetti e sicuri decretiamo che se qualcuno dinanzi a qualche Rettore della Città abbia esposto di avere qualche sospettato che voglia offenderlo per precedenti minacce, per indizi o segni, per i quali verosimilmente qualcuno debba avere dubbi, tale Rettore, a richiesta o per sollecitazione di quel tale che ha sospetti, sia obbligato e debba costringere effettivamente, come sembrerà opportuno a lui, senza alcun processo, colui sul quale si ha timore o si ha il sospetto, e ad offrire allo stesso sospettoso o intimorito, idonei fideiussori o un idoneo fideiussore; e certamente anche per essere in guardia per quel tale che così è ritenuto sospetto e per promettere a nome suo proprio e dei suoi congiunti per consanguineità o per affinità fino al terzo grado da computarsi secondo il diritto Canonico, di non offendere il tale sospettoso, neppure i suoi congiunti per consanguineità o affinità fino al terzo grado da computarsi secondo il diritto Canonico, sotto una pena che il detto Rettore avrà stabilito a suo arbitrio da 100 libre fino a 1000. E questa pena sia pretesa effettivamente qualora ci sia stata una trasgressione da parte di chi dà garanzia o dai suoi fideiussori, senza processo alcuno, concorrendo anche i fideiussori quando il principale è trascurato. Tuttavia questi fideiussori abbiano il regresso verso la persona del tale principale e il tale principale sia costretto a salvaguardarli indenni nei loro beni per la loro indennità, sul fatto e senza alcun processo né scrittura, in modo reale e personale; e a domanda o a richiesta di costoro cioè di detti fideiussori. E qualsivoglia Rettore abbia il libero arbitrio di multare e di punire, anche di costringere nella persona, e di carcerare, e parimenti di inviare al confino ed esiliare colui che intimidisce o fosse sospettato fino a quando abbia dato garanzia o abbia dato sicurezza, come già detto, senza l’intervento di alcun processo né scrittura. Possa anche questo Rettore, se a lui sembrerà opportuno, costringere nel modo e nella forma già detti quel tale sospettoso o timoroso, al fine che stia in guardia e garantisca di non arrecare offese a colui che egli così per sé considera sospetto. D’altra parte disponiamo nel presente statuto che nessuno possa pretendere o chiedere tali fideiussori o un fideiussore, dei quali sopra si fa menzione, neppure possa deputarli, contro qualcuno che egli in precedenza abbia offeso, neanche dai consanguinei dell’offeso, né da alcuno degli affini, né possa considerare così sospettabili costoro già detti né alcuno di loro. Aggiungendo decretiamo anche ed ordiniamo che i signori Priori e i signori Regolatori abbiano la piena autorità, il potere e l’arbitrio di provvedere, comandare, come sopra, nel dare le dette fideiussioni e le cauzioni per non fare le offese fra le parti, fra le quali le risse e le inimicizie girano <tra consanguinei>, fino al terzo grado da computarsi  dal diritto Canonico, sotto le pene da imporsi ad opera dei detti signori Priori e Regolatori, anche di fare altre cose e costringere, relegare, esiliare, come sopra. Ed ancora i detti signori Priori e Regolatori debbano operare e interporsi per pacificare le dette parti, tuttavia non contro la volontà delle stesse parti, né prima del pagamento della penalità. E per l’osservanza della forma del presente statuto sulle multe da imporre, i precetti che saranno fatti dal Podestà o dal Capitano o dai detti signori Priori e Regolatori alle parti affinché si presentino, possano essere fatti anche con atti scritti, ed essere affissi nelle abitazioni di uno di qualche parte, non rintracciato, e siano di tanta validità quanta quando esibiti di persona, e coloro che non obbediscono siano condannati alla pena contenuta nel precetto. Ogni giorno debba essere fatto un precetto di tale modo, fino a che sia obbedito. Se qualcuno in realtà, tramite due testimoni idonei, con giuramento, sia confermato che permane fuori distretto, sia scusato.

4 Rub.62

La pena per chi dalla Città di Fermo o dai Castelli entra o esce non dalle porte, ma in altro modo.

   Se qualche persona sia entrata o uscita dalla Città di Fermo o da qualche suo Castello, anziché attraverso una pubblica porta del Comune, attraverso un altro luogo o con altra maniera, sia punito con 25 libre di denaro, per ciascuna volta.

4 Rub.63

La pena di che guasta o occupa le mura della Città o dei Castelli.

   Con questo statuto decretiamo che se qualche persona abbia rovinato o guastato o in qualche modo abbia rotto qualche muro della Città di Fermo o di qualche Castello, o abbia occupato qualche muro tale, con una presunta autorizzazione, o abbia costruito un altro muro nella vicinanze di esso e anche abbia collegato o abbia fabbricato, o abbia violato questo stesso in qualche maniera, rompendo o distruggendo o facendo cose simili, sia punito, per ciascuna volta, a 25 libre di denaro; e sia costretto a ricostruirlo tali allo stato antecedente a sue spese. Inoltre nessuna persona osi né presuma di fare un passaggio con animali o senza, attraverso le ripe della Città o di qualche Castello, o di scavare, tenere o anche occupare le dette ripe o qualcosa di esse, con una presunta autorizzazione, sotto la pena di 25 libre di denaro da riscuotere su qualsivoglia trasgressore e per ciascuna volta, sul fatto; e nondimeno sia costretto a ristabilire lo stato antecedente. E chiunque stia come legittimo accusatore e denunciatore delle dette cose e abbia la metà della detta pena pecuniaria.

4 Rub.64

Gli Incendiari e i distruttori dei molini e delle abitazioni e di opere simili.

   Affinché nessuno abbia vigore a vantarsi della propria malizia, decretiamo che se qualcuno abbia immesso il fuoco dolosamente, o lo abbia messo per motivo di bruciare qualche abitazione sita nella Città o nel distretto di Fermo, o abbia incendiato tale abitazione dolosamente; sia che tale abitazione sia sita dentro la Città, in un Castello, sia che in una Villa o altrove, purché qualcuno abbia abitato o sia stato solito abitare in essa, se tale colpevole sarà pervenuto al presidio del Comune, sia bruciato vivo con le fiamme, tanto che muoia; e il danno sia riparato con il doppio a favore di chi l’ha sofferto. Se invece non sarà pervenuto nel presidio del Comune, sia condannato alla medesima pena e alla riparazione del danno con il doppio, e in perpetuo sia in esilio nella detta condanna. E la stessa pena si intenda che è stata stabilita e ci sia contro colui che abbia immesso il fuoco dolosamente in qualche casolare con il motivo di incendiare o abbia incendiato, purché, tuttavia, qualcuno con la sua famiglia abbia abitato di continuo nel detto casolare o vi sia stato. Inoltre se qualcuno con il motivo di incendiare abbia immesso fuoco con inganno, ossia dato fuoco in qualche meta di grano o di altro cereale o in qualche abitazione, o casolare posti fuori dalla Città o da qualche Castello che non fossero luoghi abitati, né siano stati soliti abitarsi da qualcuno con la sua famiglia, oppure abbia devastato o rotto qualche mulino o qualche sua mola o macina, sia punito e sia condannato a 100 libre di denaro e alla riparazione con il doppio del danno a favore di chi l’ha sofferto. E se questa condanna non sia stata pagata entro 10 giorni dal giorno della pubblicazione della condanna, gli sia amputata la mano destra in modo che sia divisa dal corpo. Inoltre se qualcuno abbia devastato un’altrui abitazione o un casolare posti fuori dalla Città di Fermo, e non abitati da alcuna persona in alcun modo, sia condannato e punito con 25 libre di denaro, per ciascuna volta e riparare al doppio del danno, a favore di chi ha sofferto. E infine, in ogni caso di incendio qui non espresso, l’incendiario sempre sia obbligato a riparare con il doppio del danno a favore di chi l’ha sofferto, e ancora in più, questa pena, se quell’incendio sia stato fatto con astuzia e con malizia, sia stabilita dai Rettori della Città di Fermo, fino a 20 libre di denaro.

4 Rub.65

Gli Avvocati, i Procuratori, i Notai non siano accettati come fideiussori.

   Tutti i singoli officiali e i Rettori della Città di Fermo evitino totalmente di ammettere o di accettare per fideiussori o al posto dei fideiussori, coloro quelli che appartengono al collegio e sono registrati, gli Avvocati, e i Procuratori, i Notai delle banche <tesorerie> civili di Fermo. Se qualcuno invece fra i detti Avvocati, Procuratori o Notai di banche, contro la disposizione di tale modo, si trovi, almeno di fatto, accettato o ammesso tra i fideiussori in una causa civile o penale, o in un’altra occasione qualunque, per l’autorità di questo statuto, in nessun modo sia costretto né obbligato, e colui che l’accoglie in tal modo o chi lo accetta sia punito a libre 25 di denaro per ciascuno e per ciascuna volta. E tale fideiussione o promessa non possa essere avallata con un giuramento, al contrario questa stessa e qualsiasi cosa che consegua da ciò non abbia vigore per la legge stessa; e a questo statuto non si possa rinunciare espressamente, tacitamente, direttamente o indirettamente.

4 Rub.66

La pena di coloro che portano un’arma.

   Se qualcuno nella Città di Fermo, o nei suoi borghi, o nel Porto di San Giorgio abbia portato un’arma in contrasto al permesso dello statuto di questa Città, se ad opera di qualche officiale o dei loro cooperatori sarà stato rintracciato, sia punito in questo modo, cioè per un coltello che ferisce, o per una daga <spada corta> o per simili, con tre libre di denaro; per una spada, uno spontone <tipo asta>, uno stocco <tipo spada>, un falcione bergamasco <coltellaccio>, una lancia, un roncone o simili, per ognuno, e per ciascuna volta, con libre 5 di denaro; per una mazza ferrata, una roncola, o un bordone di legno ferrato o non ferrato, o per un bastone nocivo, con 40 soldi, per ciascuna cosa e per ciascuna volta. E sia affidata all’arbitrio del Rettore o del suo Vicario qualunque cosa debba essere considerata simile alle dette o ritenersi come simile, o considerarsi malefica. In verità per un altro coltello maggiore di un palmo, calcolato il manico, sia punito, per ciascuna volta, con 20 soldi. Se qualcuno invece sia stato rintracciato che porta le dette armi o qualcuna delle dette, di notte, dopo il tramonto del Sole e prima del sorgere del Sole, sia punito al doppio. Se invece sia stato rintracciato che porta una “gorzeria”, un “corinto”, una “bracciarola”, o altra arma da difesa sia punito con 20 soldi di denaro per qualsivoglia arma e per ciascuna volta. Se qualcuno invece, in qualche Castello del Comune di Fermo, sia stato rintracciato mentre porta qualcuna fra le armi di difesa ovvero di offesa descritte sopra, senza espressa licenza del Podestà o del Capitano della Città, sia punito con la metà di dette pene, attribuendo le singole pene alle singole persone. Inoltre nessun forestiero presuma di poter portare le armi offensive o difensive dentro la Città di Fermo o dentro il Porto di San Giorgio, e chi abbia trasgredito, per qualsivoglia delle dette armi offensive sia punito con 5 denari, e per ognuna delle armi difensive sia punito con soldi 20 di denaro e perda le armi e siano assegnate al Comune, e immediatamente dopo il ritrovamento siano consegnate ivi al Tesoriere; a meno che tale forestiero abbia dimostrato una giustificazione o una difesa legittima sulle dette cose; e lo stimare legittima o l’ammettere o il respingere sia affidato all’arbitrio del Rettore. E chiunque dà ospitalità ai forestieri, inoltre ogni custode delle porte della Città di Fermo e di Porto San Giorgio e degli altri Castelli siano obbligati a preavvertire ciascun forestiero allorquando sarà arrivato nel suo ospizio o presso le dette porte, che non porti un’arma attraverso la Città, il Porto o un altro Castello dove è tale ospizio, o dove egli fa la custodia; e qualora non abbia fatto ciò, sia costretto, sul fatto, a risarcirgli e a restituire con i propri beni, il danno nel quale tale forestiero sia incorso a motivo del portare tali armi. E il Podestà e il Capitano della Città con vincolo del giuramento, almeno una volta in qualsivoglia giorno, sia obbligato a inviare i suoi cooperatori per investigare, per fare controlli contro coloro che portano le armi già dette o qualcuna delle dette attraverso la Città. E dalla sola relazione dei cooperatori, sul fatto e senza processo alcuno, punisca e possa e abbia autorità di punire quelli trovati che le portano così, senza altra indagine né discussione. Se qualcuno invece (fatta eccezione per i Priori, o per il Vessillifero di giustizia di questa Città) di giorno o di notte abbia trasportato o portato qualcuna delle armi anzidette nel Consiglio, nel Parlamento o nella Congregazione o nel Palazzo del Comune, o del popolo, o della residenza degli stessi signori Priori o del signor Podestà o del Capitano, sia di giorno, sia di notte, sia punito sul fatto a libre 10 per ciascuna volta e perda le armi. E ciascuno sia ritenuto legittimo accusatore sulle dette cose e ci si attenga anche alla relazione dei cooperatori o dell’officiale. E in tutti i singoli casi di questo presente statuto, sia cosa propria dell’officiale nella sua elezione il rilasciare a suo arbitrio e il condurre qualcuno, così rintracciato, presso la Curia o di rilasciarlo ai fideiussori. E quello che i cooperatori di qualche officiale della Città, del Porto, o del contado va investigando o controllando attraverso la Città, il Porto o i Castelli contro coloro che portano così <le armi>, se qualcuno sia fuggito dal cospetto di tali cooperatori o non abbia permesso di essere controllato, egli abbia autorità di punire sul fatto al modo stesso come se gli fosse stato trovato un coltello atto a ferire, e si abbia fiducia e ci si attenga alla relazione su ciò, con giuramento, di due cooperatori di tale Rettore o dell’officiale. Inoltre se qualcuno abbia portato armi con sé davanti o dietro o a lato o vicino qualche bambino o ragazzo che porta un’arma, su richiesta di questo stesso, costui, a richiesta del quale le armi così erano portate sia punito, sul fatto, come se le portasse lui stesso. Inoltre nessuna persona, col pretesto di qualche dignità o di una familiarità o di un privilegio presuma di portare qualche arma, se non per il privilegio del Priorato o del Vessilliferato di giustizia. Se qualcuno invece abbia voluto scagionarsi dalla pena soltanto con qualche anzidetto pretesto, sia punito, sul fatto, con 25 denari: e in questo caso il padre per il figlio, il fratello per il fratello, siano obbligati e tale somma possa e valga riscuoterla da questi, se vivano in Comune o senza una divisione. Tuttavia ad ognuno nell’andare così fuori dalla Città, dal Porto, o da un castello, oppure nel tornare da uno di questi o nel venire alla Città, o al Porto o ad un Castello, e nel tornare da lì, sia lecito portare impunemente le armi muovendosi da qui per un percorso diretto, da una abitazione o da un ospizio verso una abitazione o un ospizio. E se qualcuno che sta andando, o venendo così o ritornando per un percorso diretto, sia stato rintracciato che porta palesemente un “galerio”, senza malignità, oppure che conduce un somaro, o che porta legna, erbe, paglia, fieno, olio, o cose simili, o porta una bevanda per i lavoratori, gli è lecito che abbia avuto armi con sé; tuttavia, se uno abbia fatto ciò senza malizia, non sia soggetto ad alcuna pena, e su ciò diamo incarico alla coscienza del Rettore. Inoltre ciascuno con esplicito permesso del Podestà o del Capitano, che risulti da una scrittura o da una ricevuta di questo Rettore, possa portare armi di difesa, dopo aver presentato un idoneo fideiussore, uno o più, sul non offendere con esse. Se invece con esse o con qualcuna di esse abbia colpito sulla faccia, o sulla testa con sangue, sia punito, per ciascuna volta, con 50 libre di denaro, oltre alle altre pene degli statuti. E i fideiussori siano obbligati a pagare questa somma, in modo reale e personale, anche se il principale non sia stato esaminato. Tuttavia il Podestà o il Capitano non concedano né abbiano potere di concedere a nessuno il permesso di portare armi di difesa insieme con i fideiussori o senza <questi>, eccettuati solamente i propri officiali o coadiutori. E nei casi di questo statuto, né il beneficio della pace, né quello della confessione rivendichi per sé vigore. Inoltre se qualcuno abbia portato qualsivoglia genere di armi di possibile offesa nel Girone di Fermo, sia punito, per ogni specie di armi, a 25 libre di denaro e per ciascuna volta. E chiunque possa accusare e denunciare coloro che portano le armi anzidette, in uno dei detti luoghi, ed abbia la metà della pena.

4 Rub.67

La pena di coloro che vanno in strada dopo il terzo suono della campana.

   A tutti vietiamo di camminare attraverso la Città, il Porto o qualche Castello della Città, senza una luce sufficiente, o con una torcia accessa o con un tizzone, dopo il terzo suono della campana, che si suona di sera per la custodia della Città, e prima del suono della campana che si suona al mattino per il giorno. Se qualcuno invece abbia agito in contrasto con questo o sia stato rintracciato da un officiale o dai coadiutori del Podestà, ad eccezione per quelli che siano stati trovati nel raggio di tre abitazioni vicino alla propria abitazione, sia punito, sul fatto con 10 soldi 10 di denari, per ciascuna volta. Tuttavia, gli studenti che vanno alle scuole, o i mugnai che vanno al mulino con somaro o quelli che tornano da lì, o i fornai o le fornaie, o i cursori, o quelli che vanno a portare olive a macinare per esercitare il proprio mestiere, non sono affatto obbligati dal siffatto statuto. Inoltre al presente statuto aggiungiamo che, per evitare la penalità, un solo lume sia sufficiente a più persone che vanno attraverso la Città, il Porto o un Castello. E per questo statuto né la pace né una confessione servano ad alcunché.

4 Rub.68

La pena di coloro che giocano ai dadi, o ad altro gioco proibito.

   Inoltre decretiamo che se qualcuno, nella Città o nel distretto di Fermo, abbia giocato segretamente, o di notte, a qualche gioco dei dadi o ai tasselli o a bastoncini, o con le carte da gioco, sia condannato a 10 libre di denaro. Se in realtà abbia giocato pubblicamente e di giorno sia punito con libre 5 di denaro, per ciascuna volta; se si gioca silenziosamente o palesemente a danaro sia condannato e punito a 50 libre di denaro, lo sia anche chi abita l’edificio, nel quale così sia stato fatto il gioco; e tuttavia “pubblicamente” sia riconosciuto se il luogo, nel quale così si gioca, in quei momenti non stia chiuso; inoltre colui che tiene le candele, o la luce per i giocatori, o chi presta denaro agli stessi, o chi concede gratis in altra maniera i dadi, o il taccuino , sia punito con la medesima pena, come il giocatore. Inoltre colui che così abbia prestato denaro al giocatore, perda il prestito, e i pegni, quando ne abbia presi alcuni per tal motivo sia obbligato a restituirli sul fatto. Gli istrumenti scritti o le obbligazioni e le garanzie in tale occasione, fatte o intraprese, per l’autorità di questo statuto non abbiano alcuna validità e i colpevoli di tal modo, sul fatto, possano e valga che siano puniti, senza processo alcuno, con le pene designate sopra. E sulle dette cose si presti fede, sul fatto, alla relazione di qualsivoglia coadiutore del Rettore, e il Rettore i cui coadiutori hanno scoperto tali delinquenti, abbia la quarta parte delle dette pene. E ognuno possa denunciare tali giocatori, e tale denunciatore abbia e debba avere la quarta parte di quello che sia pervenuto in Comune in occasione di tale denuncia e sia tenuto segreto colui al quale si presti fede, con un solo testimonio. Il Banchiere del Comune sia obbligato a dare la detta quarta parte a tale denunciatore senza altra attestazione di mano dei signori Priori o dei Regolatori, ma sia prestata fede soltanto alla semplice parola e alla dichiarazione del Podestà che dichiara allo stesso Tesoriere che tale denunciatore ha denunciato il detto giocatore o i detti i giocatori. Sia lecito invece a chiunque nell’esercito di giocare palesemente ai dadi, o nella cavalcata ai dadi e ai tasselli, o giocare ad azzardo, senza pena in qualunque modo e forma. Inoltre sia lecito ad ognuno nelle osterie e negli ospizi di giocare impunemente lo scotto, purché gli osti e gli albergatori già detti non tengano la abitazione, l’osteria o l’ospizio chiuso con una spranga o con catenacci o in qualsiasi altro modo. A nessuno in realtà sia lecito giocare a palla o un altro qualunque gioco presso o vicino alle Chiese, affinché i riti divini non siano impediti dai giochi, sotto pena di 10 soldi per ciascun trasgressore e per ciascuna volta.

4 Rub.69

La pena di chi nega la parentela, il notaio o cose simili.

   Desideriamo che tutti adducano la verità senza raggiro, e decretiamo che se qualcuno, in una causa civile o penale, abbia negato con qualunque parola che comporti la negazione, che qualcuno sia, o sia stato segretario, o defunto, o padre, o figlio, marito, o moglie, zio paterno, o zio materno o altro congiunto per affinità o per consanguineità, fino al terzo grado da computarsi secondo il diritto Canonico; se non abbia rinnegato tale negazione, nello stesso giorno o nel giorno seguente a quello in cui così abbia negato,  non l’abbia revocata né abbia confessato la negazione, quando poi tale cosa negata sia stata provata con quattro testimoni che su ciò offrono una testimonianza sulla voce pubblica e sulla fama, decretiamo anche che questa prova sulle dette cose è valida, quel tale che così nega o che così abbia negato, sia punito, sul fatto, senza alcun processo, a 10 libre.

4 Rub.70

La pena di chi richiede il pagamento di un debito già pagato, o più del debito.

   Vogliamo contrastare le frodi di coloro che in un processo abbiano chiesto un debito già pagato o in altro modo soddisfatto, anche senza una contestazione della lite, e decretiamo che se qualcuno abbia richiesto in tale modo un debito, come già detto, sia punito con 25 libre di denaro, sul fatto e senza alcun processo; e di questa pena la metà sia per il Comune e l’altra per colui al quale così viene chiesto, sia che costui abbia presentato una querela o un’accusa riguardo a ciò, sia che no. E con la stessa pena similmente sia chi richiede più del debito, e nondimeno decada da tutto. E al debitore siano raddoppiate le proroghe contro chi richiede prima della scadenza. Le emissioni tuttavia per coloro che richiedono su eredi o successori, universali o particolari, un debito già pagato, per l’anzidetta legge non abbiano luogo, a meno abbiano chiesto le emissioni, con consapevolezza, così, o dopo la protesta o dopo l’accertamento su tale pagamento, o sul pagamento emesso, come è detto sopra.

4 Rub.71

La pena di coloro che invadono o occupano un <bene> immobile o infastidiscono qualcuno nella sua proprietà.

   Sta nelle nostre intenzioni di reprimere con tutti i modi l’altrui protervia, per cui decretiamo che se qualcuno di propria autorità, con il contributo o con la comitiva di due, o di più abbia occupato o invaso la proprietà di un altro o un bene immobile con violenza, da se stesso o tramite un altro o tramite altri a suo nome, o abbia fatto fare qualcosa come questa nel nome anzidetto, o qualcosa tale sia stata fatta scacciando da tale bene o non permettendo che il possessore di tale bene o un altro a suo nome, di rioccupi o recuperi tale bene o la detta proprietà; il principale che fa ciò, o che lo fa fare, sia punito a 200 libre, per qualsiasi volta, e chiunque si associa a chi lo fa sia punito a 100 libre di denaro per ciascuna volta. Quando invece tale cosa sia stata fatta o commessa senza comitiva, chi lo commette o colui che lo fa commettere sia punito a libre 100 di denaro, e in qualsivoglia dei detti casi, egli perda, per il fatto stesso, e sia privato di ogni diritto che abbia su tale possesso o bene, o verso questo stesso, senza che sia aspettata una sentenza di tribunale. Se qualcuno invece abbia turbato o molestato, per la proprietà di cui si parla sopra, qualcuno in qualche altro modo rispetto ai già detti, con una comitiva, da sé o tramite un altro a suo nome, il principale sia punito con libre 100 di denaro e invece chiunque si associa alle dette cose sia punito con 50 libre di denaro. Se in realtà la comitiva non sia intervenuta, il principale che fa in questo modo o che lo fa fare sia punito con 50 libre. Gli operai invece e i salariati, che siano entrati senza alcuna intenzione di turbare o di danneggiare la proprietà di un altro, non siano obbligati affatto ad alcuna pena. Inoltre qualsivoglia Rettore della Città sia obbligato e debba con tutto il suo potere mantenere, e conservare anche difendere nei loro possedimenti gli abitanti distrettuali e i Cittadini della Città e coloro che ivi abitano e prestare ad essi aiuto e sostegno riguardo a ciò, e intraprendere contro chiunque coloro che, in qualunque dignità, privilegio o giurisdizione esistano, turbano o danneggiano questi stessi o i loro possedimenti o occupano o invadono i beni, come già detto, o vogliono fare qualcuna delle dette cose, e contro la violenza di chiunque. E nondimeno tale Rettore, dopo acquisita la fiducia, in modo sommario, semplice, tranquillo, senza chiasso, né parvenza processuale, sul fatto, reintegri chi è stato così depredato sul bene che possedeva al tempo della deprivazione e lo salvaguardi nel possedere il medesimo bene. E se qualcuno, con presunzione di autorità, abbia occupato in qualche modo, boschi, prati, pascoli o qualsiasi altre proprietà e beni del Comune, sia punito con 10 libre di denaro, e quello che ha occupato al Comune, lo reintegri nello stato precedente, insieme con il danno e con l’interesse. E qualora in qualcuno dei casi già detti sia intervenuto un accusatore, chi e stato vinto sia condannato alle spese legittime a favore del vincitore. Aggiungiamo ai casi anzidetti, ed anche dichiariamo che siano considerati invadere, perturbare e occupare tutti coloro che siano entrati in una proprietà altrui, nonostante che siano entrati con l’autorizzazione di qualche Giudice, e abbiano coltivato in qualche modo tale podere, o da esso abbiano raccolto o abbiano percepito qualche frutto, senza che abbiano fatto una citazione.

4 Rub.72

La pena di chi estrae o sposta i termini <a confine>.

   Decretiamo con il presente statuto che se qualcuno di propria autorità abbia cavato fuori o spostato uno o più termini <di confine> vicinale, all’insaputa o contro il volere del vicino o del padrone, sia condannato 25 denari, per ciascuna volta e per ciascun termine così estratto o spostato. Se tuttavia una lite sia stata originata fra alcuni su un termine o sui confini o per tale motivo, tale lite in modo sommario, sereno, senza chiasso, né parvenza processuale, entro 10 giorni dopo la querela fatta su ciò, debba essere conclusa dal Podestà, o dal suo Giudice o dal Giudice dei danni dati, come meglio a loro sarà sembrato essere opportuno, nonostante, in alcun modo, le festività solenni o introdotte in onore di Dio ovvero altre.

4 Rub.73

La pena di coloro che occupano una tenuta assegnata ad opera della Curia.

   Allo scopo che i decreti dei Rettori o dei Giudici non stiano in ludibrio, decretiamo che se qualcuno sia entrato nella tenuta di un suo bene o a lui spettante, che fu assegnato ad un altro ad opera di un Rettore o da qualche officiale del Comune di Fermo avente il potere sopra a ciò, sia punito sul fatto a soldi 40 per la sola entrata, se ne è stato consapevole, o gli sia stato notificato che tale tenuta era stata assegnata. Tuttavia colui che del quale tale bene sia stato <proprietà>, possa andare presso la Curia, entro otto giorni dopo tale assegnazione della tenuta, e chiedere e fare sì che tramite il Giudice questa stessa sia contrastata alla giusta quantità con un terzo in più. E qualora non abbia fatto ciò e così vi sia entrato, sia punito con la detta pena a meno che durante il tempo della sua difesa <giustificazione> dall’accusa fatta su ciò non abbia restituito effettivamente tale tenuta, cioè di fatto, non a parole. E in questo caso il Giudice, perché lasci tale tenuta ovvero la sgombri e non ne faccia uso, da se stesso, neppure tramite un altro, comandi la pena di 10 libre. Invece, tale tenuta possa essere trattenuta sino alla consegna del <pagamento> insoluto. L’accusa presentata sopra ciò, tuttavia, sempre possa essere revocata, secondo il modo e la forma tramandata sopra ciò nello statuto relativo sulla revoca da concedersi.

4 Rub.74

Coloro che offendono gli esiliati.

   Decretiamo in odio e in pena degli esiliati che se qualcuno abbia offeso, e se abbia anche ucciso, uno che è stato esiliato condannato a morte, in modo principale o sotto qualche condizione, non sia obbligato affatto ad alcuna pena. In realtà colui che offende un esiliato e un condannato nella persona, in modo principale o condizionale, tuttavia al di fuori dalla morte, tuttavia non sia impedito in altro modo dall’offesa, se la morte del tale esiliato non sia avvenuta. Qualora questa morte avvenga, chi colpisce tale esiliato sia punito con 500 libre di denaro. Tuttavia chi colpisce un esiliato e condannato non sia obbligato alla pena soltanto pecuniaria puramente e semplicemente, cioè fino a 50 libre di denaro o sopra a ciò, a meno che dall’offesa non siano effettuate, seguite o verranno a seguire una cicatrice che rimarrà per sempre sulla faccia, o un taglio totale o una frattura di qualche osso, o una menomazione perpetua di qualche nervo, o di un membro, o la funzione di un membro. Quando sono intervenuti questi casi o è intervenuto qualcuno di essi, il tale che offende sia punito a 100 libre di denaro. Qualora invece sia intervenuta la morte del tale esiliato, il tale che offende sia punito a 1000 libre e tuttavia, e se non le abbia pagate entro un mese dalla pubblicazione della sentenza, gli sia tagliata la testa dalle spalle in modo che muoia del tutto. Invece chi offende un esiliato e condannato <sia punito> a al di sotto e non oltre 50 libre, se però senza <causare> sangue, a 10 libre; qualora in realtà dall’offesa del tale esiliato e condannato il sangue sia uscito, sia punito a 25 libre di denaro. Qualora invece, la morte, o una amputazione o una frattura totale di qualche osso, o una menomazione perpetua di qualche nervo, o di un membro, o della funzione di un membro, o una cicatrice che rimarrà per sempre sulla faccia siano state effettuate, o seguite o che avessero a venire dall’offesa, sulla persona di tale esiliato e condannato, allora il tale che offende sia similmente punito e condannato, come se il tale offeso non fosse stato o non sarebbe stato da essere esiliato e neanche condannato.

4 Rub.75

Gli esiliati per le offese fatte contro i giurati del popolo.

   Vogliamo e decretiamo che quando qualcuno sia rimasto condannato e sia stato contumace in occasione di qualche offesa o di una percossa fatta contro qualcuno del collegio <dei giurati> del popolo, o contro qualcuno che per una ragione o un motivo sia stato nell’officio del collegio, o contro qualcuno facente o non facente parte del collegio, in occasione di una arringa fatta per mezzo di lui nel Consiglio generale del popolo, oppure in quello speciale, o in Credenza, o in qualche Cernita di uomini convocata per ordine del signori Priori e del Vessillifero, o contro qualche statutario del Comune, costui, per l’avvenire, non abbia potere di ritornare nella Città di Fermo o nel suo distretto, quand’anche abbia catturato qualche esiliato o condannato del Comune di Fermo, o anche benché sia stato presente in una forza <presidio> del Comune o di qualche Rettore; ma al contrario, sia esiliato dalla detta Città e dal suo distretto in perpetuo.

4 Rub.76

I forestieri che offendono i Cittadini debbono essere catturati.

   Affinché i forestieri non presumano di offendere i Cittadini né i Fermani del distretto, decretiamo che se qualche forestiero abbia offeso, con armi, qualche Cittadino o Fermano del distretto di Fermo, che sono presenti nel luogo di tale offesa o da dove il tale forestiero sia fuggito, se siano stati negligenti nel gridare o nell’inseguire tale forestiero, siano puniti con 25 libre di denaro, e il tale offensore forestiero immediatamente possa essere offeso dai Cittadino e da chiunque altro. Se invece tale forestiero abbia commesso un omicidio contro qualcuno degli anzidetti, quando che sia, anche con un intervallo <di tempo>, valga che sia impunemente offeso e ucciso. Se invece qualche Fermano, o abitante della Città o del distretto abbia ricettato qualcuno forestiero tale <esiliato>, o abbia prestato aiuto, consiglio o sostegno a questo stesso offensore, sia punito similmente a quella pena con cui il forestiero. E tale forestiero per sempre sia esiliato dalla Città di Fermo, né in modo alcuno valga che egli venga nella stessa Città o nel suo distretto, per l’occasione della sua cattura o anche della presentazione di un altro esiliato.

4 Rub.77

Coloro che si siano sottratti o si siano rifiutati a ragione di qualche privilegio.

   Decretiamo ed ordiniamo che se qualcuno a causa di un privilegio clericale, o di una qualche dignità, o per altra ragione, abbia schivato la giurisdizione di Podestà, della sua Curia o di Capitano; o abbia rifiutata <il potere> da se stesso o per mezzo di un altro, o in qualche modo egli vi sia stato sottratto, qualora successivamente, in qualsiasi momento abbia dismesso l’abito clericale, o l’abbia ripudiato, o abbia preso moglie, sia punito da qualche Rettore sulle dette cose, e almeno per il reato da lui commesso, sia punito e condannato per mezzo di un’accusa, una denuncia o una inquisizione sul reato già commesso, secondo la forma degli statuti di Fermo, nonostante uno statuto che dispone che il Podestà o il Capitano non abbia potere di indagare e di punire per le cose commesse prima di un certo tempo. E il Podestà o il Capitano debba praticare questo statuto sotto la pena di 100 libre di denaro. E il detto Podestà, il Capitano o il Giudice di giustizia o un officiale di chiunque di questi stessi non possano proclamarsi non competente come Giudice sopra qualche processo civile o penale, a meno che le opposizioni (eccezioni) schivanti e provate non siano state opposte con atti scritti, sotto pena di 50 libre di denaro per ciascuna volta, quando abbia trasgredito, da riscuotergli nel tempo del suo sindacato e da assegnare al Comune di Fermo.

4 Rub.78

I malfattori che sono entrati nello stato religioso dopo un reato commesso.

   Non vogliamo che un’azione temeraria altrui rimanga impunita e decretiamo che se qualcuno abbia commesso qualche reato e poi sia entrato nell’esistenza religiosa e alla fine abbia apostatato; se non è stato ordinato con gli ordini sacri, possa e debba essere punito e condannato, per mezzo di un’accusa, una denuncia o un’indagine su tale reato, nonostante che già gli sia stata fatta l’assoluzione per quel reato, perché era entrato in religione, e anche nonostante uno statuto che proibisce di informarsi sulle cose commesse prima di un certo tempo.

4 Rub.79

I ricettatori di esiliati.

   Tutti coloro, di qualunque sesso, che hanno dato ricetto con consapevolezza a qualche esiliato e condannato del Comune di Fermo, anche se questo tale che è stato ricettato sia stato un congiunto in qualunque grado di consanguineità o di affinità con quelli che lo hanno ricettato, essi siano puniti nel modo infrascritto, cioè, se qualcuno abbia dato ricettacolo a qualche esiliato e condannato a motivo di un tradimento, o di una ribellione commessa contro il Comune di Fermo, o per il crimine di lesa maestà di questo Comune e del presente stato popolare, a costui sia tagliata la testa dalle spalle, in modo che muoia, e tutti i suoi beni siano resi pubblici <confiscati> e sia considerato ribelle perpetuo del Comune di Fermo. Se qualcuno in realtà abbia dato ricettacolo, con consapevolezza, ad un esiliato e condannato a morte in modo principale, o condizionale, per altro motivo, sia punito con 500 libre di denaro. Se qualcuno in realtà abbia dato ricettacolo ad un esiliato e condannato di persona o nella persona in modo principale, o condizionale, tuttavia al di fuori della morte, sia punito con 100 libre di denaro. Chiunque in realtà, con consapevolezza, abbia dato ricettacolo ad un esiliato e condannato in denaro soltanto, chi lo ricetta debba essere condannato al doppio di quanto a cui il ricettato era stato condannato, purché la detta pena da farsi su chi dà ricettacolo, non ecceda 100 libre di denaro. Un nobile di Fermo, abitante del contado, in realtà, che accoglie, con consapevolezza, un esiliato e anche condannato a morte, in modo principale, o condizionale, sia punito con la pena capitale, cosicché muoia. Se in realtà un tale nobile del comitato abbia dato ricettacolo, con consapevolezza, a qualche esiliato e condannato nella persona, in modo principale o condizionale, al di fuori della morte, o soltanto in denaro, sia punito a 1000 libre di denaro. E in qualsivoglia dei detti casi il tale nobile del contado che così ricetta <un esiliato condannato> per il fatto stesso sia privato in perpetuo di tutti i singoli diritti, e privilegi, immunità e di qualsiasi esenzione che ottenesse dal Comune di Fermo. Tuttavia qualsivoglia Comunità o Associazione generale del distretto di Fermo, che abbia dato permesso di stare o dimorare nel loro Castello, o dato ricettacolo, con consapevolezza, a qualche esiliato e condannato in occasione di una ribellione, o di un tradimento o per il crimine di lesa maestà del Comune di Fermo o del presente Stato popolare, sia punito con 1000 libre di denaro. Se in realtà la Comunità o l‘Associazione abbia ricettato, con consapevolezza, un esiliato e anche un condannato a morte in modo principale, o condizionale, per un altro motivo che non l’anzidetta, o, con consapevolezza, abbia permesso che questo stesso abitasse o dimorasse nel loro Castello, o nella Villa, sia condannata a 200 libre. Se in realtà, <la comunità> abbia dato ricettacolo o permesso di abitare, stare o dimorare, come è scritto sopra, tuttavia con consapevolezza, ad un esiliato e condannato, nella modalità personale, in forma principale o condizionale, o anche in modo pecuniario, al di fuori della morte, sia condannata a 50 libre di denaro. Inoltre qualsivoglia Comunità o Associazione del distretto di Fermo sia obbligata e debba adoperarsi per catturare e per far catturare, con ogni potere, tutti i singoli esiliati e condannati del Comune di Fermo che dimorano o vengono nei loro territori, e anche tutti i singoli delinquenti nei loro territori. Se, tuttavia, nelle dette cose esse siano state negligenti, siano punite con 50 libre, per ciascuna volta. Decretiamo ciò, tuttavia, in modo generale e con il presente statuto aggiungiamo che un esiliato e condannato, come viene notato sopra, si intenda che è stato ricettato con consapevolezza, da una singola persona o da una Comunità o da una Associazione, scritta sopra, e si intenda che è stata data consapevolmente con tolleranza la permanenza e la dimora al tale esiliato, dopo che il nome dell’esiliato e condannato sia stato notificato con lettera del Rettore della Citta a qualche Comunità o Associazione del Castello o della Villa, o quando il nome del detto esiliato o condannato sia stato scritto e posto pubblicamente e palesemente nella tabella pendente nella loggia di San Martino o in altro luogo a ciò deputato, o se il nome dell’esiliato e condannato sia stato letto pubblicamente nel Consiglio del Comune di Fermo. E intervenendo qualcuna di queste cose, l’ignoranza sulle dette cose non abbia validità da addurre, ma la conoscenza vera sulle dette cose sia presunta e considerata. Si intenda ricettare (dar ricettacolo) quando nel territorio della Città, del contado, o del distretto di Fermo, chi sia stato esiliato e condannato in tale modo sia stato ricevuto nell’abitazione o altrove, o associandosi a lui, siano stati dati cibo o bevanda o si abbia avuta con lui qualche correlazione.

4 Rub.80

La pena per coloro che prestano patrocinio, aiuto, consiglio e favore a qualcuno esiliato o condannato.

   Se qualcuno abbia prestato chiaramente nella forma principale un patrocinio a qualche esiliato e condannato del Comune di Fermo in occasione di qualche ribellione o di un tradimento o di un crimine di lesa maestà dello stesso Comune o del <suo> presente stato popolare, consapevolmente, con atti di procuratore o di avvocato, sia punito con la pena di 100 libre di denaro, per ciascuna volta, e da subito, per l’autorità del presente statuto, per tale esiliato e condannato, non sia reso in alcun modo un diritto in una causa civile o penale nell’azione attiva, neanche nella difesa in forma principale, o di conseguenze, ad opera di alcun Rettore né da un officiale del Comune di Fermo, sotto la penalità imminente di 100 fiorini d’oro per qualsivoglia trasgressore, Rettore o officiale , per ciascuna volta. In realtà non sia reso in alcun modo un diritto in una causa civile o penale ai condannati ed esiliati per reati diversi da quelli detti sopra, chiaramente nell’azione attiva, sotto pena di 25 libre di denaro per il trasgressore, Rettore o officiale, da imporsi per ciascuna volta. Se qualcuno invece abbia dato aiuto, consiglio o sostegno a qualche esiliato e condannato in occasione di una ribellione, di un tradimento, di <crimine di> lesa maestà del Comune o dello stato <suo> già detto, o facendogli comitiva, o prestando denari, o beni ad usura, o fornendo o offrendo a lui stesso cose commestibili o altre cose necessarie per il vitto, o in altra maniera senza dare ricettacolo, facendo in qualunque modo, sia punito con 300 libre di denaro. In realtà, chi presta aiuto, consiglio o sostegno ad esiliati e condannati per altri reati, non per quelli detti sopra, sia punito a 25 libre di denaro. Su queste cose, tuttavia, che sono contenute nel presente statuto, qualsivoglia Rettore abbia potere di fare una indagine e di punire con le dette pene con libero arbitrio. Invece per il provvedimento di questo presente statuto, non siano generati nessun pregiudizio e nessuna deroga allo statuto precedente, che dispone norme per i ricettatori degli esiliati, ma quello stesso <statuto> rimanga immutato e stabile nel suo vigore.

4 Rub.81

Beneficio dell’esiliato che presenta un altro esiliato.

   Con questa legge generale decretiamo che se qualcuno abbia catturato un esiliato e puramente e semplicemente condannato, per una qualche somma di denaro, che sta in contumacia fuor> dal Comune e dal distretto di Fermo, e l’abbia presentato effettivamente da se stesso o tramite un altro, alla forza <presidio> del Comune di Fermo o di qualche Rettore della Città, anche qualora il tale che ha catturato e ha presentato da sé, o tramite un altro, non sia uno condannato dal Comune di Fermo, ha il potere di ricevere, chiedere ed avere dalla pecunia e dai beni del Comune, 5 soldi per ogni libra della condanna di quel tale catturato e presentato. Tuttavia se l’esiliato e condannato, nel modo principale o condizionale, nella persona, o a morte, da un altro non esiliato e non condannato, sia stato catturato e presentato, come già detto, costui <catturatore> può percepire 100 libre di denaro dai beni di quel tale che è stato presentato, se si trovano, altrimenti ha il potere di percepirle, chiederle ed averle dai beni del Comune. Se qualcuno invece abbia catturato e abbia presentato, come già detto, qualche esiliato e condannato in occasione di una ribellione, di un tradimento o <di un crimine> di lesa maestà, o del presente stato popolare di questo Comune, quand’anche egli stesso sia stato esiliato e condannato in qualsiasi occasione, costui stesso sia considerato e sia assolto da questo esilio e dalla condanna, sia esente e libero e, per l’autorità di questo statuto, sia ristabilito nello stato precedente, e l’esilio e la condanna suoi siano considerati e siano cancellati, annullati e di nessuna efficacia. Se invece qualcuno abbia catturato e presentato, come detto sopra, un esiliato e condannato per altri reati anziché per gli anzidetti, e colui che lo cattura e così lo presenta fosse un esiliato e condannato ad una pena pari o minore di quel tale che è stato presentato, costui stesso che lo presenta sia liberamente esentato e assolto e sia ristabilito nello stato precedente, come sopra; e sia considerato e stia come se non sia stato esiliato e condannato. Ma quale pena si debba capire e considerare e avere come pari o minore fra le anzidette, sia affidato all’arbitrio del Rettore. E qualsivoglia Rettore e Giudice della Città, a domanda e richiesta di chi ha catturato e presentato, come sopra, sia obbligato e debba cancellare, annullare e invalidare la condanna e pronunciare, decidere e dichiarare che la condanna e l’esilio di tale presentatore secondo il modo scritto sopra sono annullati e invalidati; e debba far fare sopra a ciò un atto pubblico o una lettera opportuna. Aggiungiamo tuttavia, in generale, al presente statuto che in qualsiasi caso di esso chi ha catturato e presentato in forma principale sia soltanto un solo che goda e fruisca del frutto e del beneficio di questo statuto. E chi debba essere riconosciuto come principale nelle dette cose sia affidato all’arbitrio del Rettore. Tuttavia, per effetto di questa rubrica o statuto, non vogliamo in nessun modo pregiudicare né derogare ad un altro statuto che, in modo specifico, dà una disposizione in contrasto.

4 Rub.82

Gli Avvocati e i Procuratori che si accordano su una somma.

   Tutti i singoli Avvocati e Procuratori che fanno accordi su una somma della lite della causa o del bene che è discusso nel processo, siano puniti, sul fatto, a 25 libre di denaro, per ciascuna volta; e in tale lite o causa, in futuro, non siano ascoltati ulteriormente, e per il resto e siano infami per il fatto stesso, e per il resto, in futuro, non debbano esercitare l’officio della procura <procuratori> o dell’avvocatura e dal Giudice sia interdetto ad essi di esercitare e qualora esercitassero, per la legge stessa, ciò che abbiano fatto non abbia validità.

4 Rub.83

La pena degli accusatori che non hanno prove.

   E’ conveniente alla ragione che chi non abbia dato le prove sulla <sua> accusa subisca una pena. Decretiamo pertanto che se qualcuno abbia accusato chiunque di aver elaborato o costruito un istrumento falso e non abbia dato le prove, sia punito a 100 libre di denaro. Se in realtà abbia accusato su una elaborazione, o sull’uso di un documento falso, o su una testimonianza o una presentazione di una testimonianza falsa, e non abbia dato le prove, per ciascuna volta, sia punito a 50 libre di denaro. Se invece qualcuno abbia accusato chiunque di un omicidio, e non abbia dato le prove, sia punito a 200 libre. Se, in realtà, qualcuno abbia accusato chiunque di rapina o di un crimine di un carcere <sequestro> privato, o di un altro reato, per il quale, secondo la forma dei nostri statuti, potesse essere imposta o dovesse venire imposta una pena in tutto o in parte corporale, o principalmente afflittiva del corpo chiaramente in modo principale, non invece condizionale, e non abbia dato le prove, sia punito, per ciascuna volta, a 100 libre di denaro. Se, in realtà, abbia accusato chiunque di un reato, e la pena di questo fosse semplicemente pecuniaria o avesse annessa anche una pena corporale o afflittiva del corpo nella modalità condizionale, e non abbia dato le prove, sia punito a dodici denari per ciascuna libra di quella pecunia che il Rettore potesse o avrebbe potuto imporre all’accusato, quando il reato fosse stato vero e provato; purché tale pena di chi non dà prove non superi in alcun modo 100 libre di denaro. E gli anzidetti statuti e qualsivoglia di essi siano contemplati sull’accusatore che non sia stato un evidente calunniatore. Se invece sia stato un evidente calunniatore, sia obbligato in ogni modo alla pena del taglione. E non si intenda come evidente calunniatore solamente per il fatto che non abbia dato le prove. Tuttavia all’accusatore sia sufficiente per la sua giustificazione e per l’esenzione dalle dette pene, che abbia provato la sua accusa in modo semipieno. E in tutti i singoli casi sopra descritti, l’accusatore che non dà le prove, come già detto, possa essere punito e condannato alle dette pene, dall’officio del Rettore o del Giudice, o anche a richiesta della parte accusata, nella stessa istanza della detta accusa o anche subito dopo, anche con un intervallo. E sempre l’accusatore che così non dà le prove, sia condannato alle legittime spese a favore dell’accusato. Invece le dette pene non rivendichino di per sé un vigore, né alcuna di altre <pene>per le accuse di danni dati o per le invasioni, per le turbative o per le occupazioni delle tenute. In realtà i Sindaci dei Castelli o delle Ville del distretto di Fermo che denunciano reati secondo il loro officio, quandanche non abbiano prodotto prove, non siano obbligati ad alcuna pena, a meno che non siano stati in una evidente calunnia; e in questo caso, siano puniti secondo lo statuto, sopra, contro l’accusatore che fa una calunnia.

4 Rub.84

La pena di coloro che prestano aiuto, consiglio e favore per qualche reato o a chi commissiona qualche reato.

   Per il motivo di dover reprimere i delinquenti, decretiamo che nessuno osi né presuma, a parole o con opera o in qualsivoglia modo, prestare o offrire un aiuto, un consiglio o un favore per qualche reato o a chi commissiona qualche reato. Se qualcuno invece abbia fatto diversamente o in contrasto o si sia avvicinato, seppure la pena secondo la forma dei nostri statuti sia stata stabilita meramente e semplicemente pecuniaria, il tale che così trasgredisce o vi si avvicina debba essere condannato e punito a metà della pena con la quale il principale <delinquente> viene condannato o punito. Se in realtà il reato fu tale, la cui pena in modo principale o condizionale sia stata stabilita sulla persona, in tutto o in parte, o afflittiva del corpo in forma principale, o condizionale contro il delinquente principale, allora colui che abbia prestato aiuto, consiglio o favore al reato o a chi lo commissiona, ad arbitrio del Rettore, sia punito in modo reale o anche personale, tuttavia, non fino alla morte, e non peggio rispetto a colui a cui abbia prestato qualche tale aiuto, consiglio o sostegno. Mentre resteranno nella loro validità gli statuti di questo volume, i quali impongono una speciale pena per tale aiuto, consiglio o sostegno, in nessuna maniera, sia derogato ad essi tramite questo <statuto>.

4 Rub.85

Gli istigatori al duello, o alla guerra.

   Noi diamo ordine, proteggendo, che il bene e la pace si abbiano fra le singole persone e siano praticati; e se qualcuno nella Città o nel distretto di Fermo abbia provocato chiunque alla guerra, o da se stesso o tramite altri abbia invitato un altro al duello, sia punito con 50 scuti. E il Rettore abbia libero arbitrio di costringere a fare la pace e l’accordo, in modo reale e personale il tale che provoca, che invita o fa richiesta, e anche chi è stato provocato, chi è stato invitato e chi è stato richiesto. E se abbiano rifiutato, con libero arbitrio, possa ed abbia potere di multare o bandire o destinare al confine chi rifiuta.

4 Rub.86

L’esecuzione delle sentenze penali. 

   Noi valutiamo che la legge e la giustizia sarebbero poca cosa se non avvenga l’esecuzione di queste stesse; perciò decretiamo ed ordiniamo che qualsivoglia Rettore o officiale del Comune di Fermo sia obbligato ad eseguire e mettere in esecuzione tutte le singole sentenze e le condanne penali pubblicate da loro stessi, che siano state ripresentate o abbiano avuto dei fideiussori nel processo contro i principali <colpevoli> o contro i fideiussori o contro il principale o anche simultaneamente per entrambi, ad arbitrio della loro propria volontà, entro un mese dal giorno della pubblicazione della sentenza, sotto la pena di 200 libre di denaro per qualsiasi sentenza che non sia stata messa in esecuzione. E nondimeno la somma contenuta in essa sia computata nel suo salario. In realtà, metta in esecuzione le sentenze pubblicate contro i contumaci con le cose e i beni di costoro, con diligenza, per quanto gli sarà stato possibile, in questo modo, cioè che questi officiali o i Rettori che pubblicano tali sentenze facciano e facciano fare un’indagine o un’investigazione su tutti i singoli beni mobili e immobili e sui nomi dei debitori e sui crediti di tali esiliati o condannati in contumacia e su ciò ci sia risultanza negli atti della Curia. E qualora abbiano trovato alcuni beni o cose, o i crediti, o i nomi dei debitori, li faccino registrare per iscritto e li facciano assegnare al Sindaco del Comune di Fermo deputato agli affari, ed anche al Notaio del Registro del Comune, in modo che l’impossessamento e l’incorporazione di questi si possano fare a vantaggio del Comune, e nel frattempo si faccia il sequestro di tali beni registrati e siano affidati a persone idonee. E questo Sindaco sia obbligato a impossessarsi di tali beni e poi a prendere e tenere o vendere tali beni a vantaggio del Comune. E qualora sia stata commessa una negligenza sulle dette cose, il Rettore ed il milite associato che abbiano trascurato che tali condanne siano eseguite siano obbligati a computarle nel proprio salario. Tuttavia il Sindaco negligente in tali cose, ad arbitrio del Rettore, valga che sia multato e sia punito fino a 10 libre di denaro e non oltre. Tuttavia sulle sentenze che siano state ristabilite o no, pubblicate nell’ultimo mese del governo di un Rettore, le dette pene non siano in vigore su un milite o su un Rettore, ma il successore e il suo milite associato, qualora non abbiano dato l’esecuzione a queste stesse entro un mese da quando hanno iniziato il loro officio, come già detto, incorrano nelle dette pene e nelle somme contenute nelle dette sentenze ristabilite non date in esecuzione, siano computate nel loro salario e debbano effettivamente esservi computate.

4 Rub.87

Un genere con un altro genere, un numero singolare con uno plurale, e viceversa, si concepiscano in modo simile.

   Con l’intento di dover eliminare i dubbi e le liti, con la presente legge decretiamo che il genere maschile, prenda insieme e si colleghi con il femminile e il neutro e al contrario, ed inoltre il numero singolare prenda insieme e si colleghi con il plurale e al contrario e sia stabilito in un genere o un  numero, e sia riconosciuto e sia stabilito per l’altro nel medesimo modo. E ciò abbia vigore se la cosa, il caso, la disposizione, la materia o la cautela siano indifferenti, o così convenga o valga convenire nei detti generi e nei numeri all’uno come all’altro, o abbia vigore in tali cose. E ciò sia stato disposto e provveduto tanto nelle cause penali quando anche nelle cause civili o miste; salvi sempre gli statuti con i quali si trova che è stato provveduto l’opposto o il contrario.

4 Rub.88-

I possedimenti dei Cittadini e i beni stabili non si debbono alienare, né trasferire a coloro che non sottoposti <a Fermo> e non fare parentela con coloro che non sono sottoposti.

   Decretiamo ed ordiniamo che nessuna persona, in qualunque stato e condizione stia, senza un esplicito permesso e volontà dei signori Priori del popolo e del Vessillifero di giustizia di questa Città e del Consiglio speciale di questa Città, possa o debba in qualunque modo alienare o in qualunque modo trasferire alcuni beni immobili, i possedimenti, le abitazioni o i fortilizi, che sono siti nella Città di Fermo, o nel suo contado e nel distretto o al di fuori vicino ai confini del distretto di Fermo o del suo contado, o fuori, tuttavia vicino ai confini del distretto di Fermo e del suo contado, a qualche persona ecclesiastica o secolare non soggetti alla giurisdizione temporale o al dominio della detta Città o a qualcuno che non sostenga gli oneri della detta Città o del contado e che non sia un abitatore costante della detta Città o del contado. E se sia stato fatto in modo diverso l’alienazione o il contratto, per la legge stessa, siano nulli e di nessuna validità; e il detto bene così alienato o trasferito, per l’autorità della presente legge, senza alcun’altra sentenza, , per la legge stessa, sia riconosciuto e sia confiscato e assegnato al Comune di Fermo. E tal modo sia riconosciuto, se viene fatto con una ultima volontà, un testamento, i codicilli, una donazione a motivo della morte, o per qualsiasi altro motivo, o per un titolo di ultima volontà. Tuttavia, se chi aliena così o trasferisce nell’ultima volontà a coloro non sottoposti <a Fermo>, come è stato detto sopra, avesse consanguinei a lui congiunti fino al terzo grado incluso di consanguineità, da calcolarsi secondo il diritto canonico, e i detti congiunti fossero abitanti della Città o del contado di Fermo e sostenessero gli oneri del Comune di Fermo, allora e in tal caso, i detti consanguinei abbiano e debbano avere la successione di quei beni, così trasferiti con detto titolo, salva sempre la prerogativa del grado <terzo incluso>. Se in realtà i detti consanguinei non esistessero, allora i detti beni pervengano e debbano pervenire al detto Comune, e siano assegnati al detto Comune e siano confiscati. E per l’autorità della presente legge si abbiano e siano riconosciuti come beni pubblici e confiscati. Aggiungiamo inoltre che la stessa cosa sia riconosciuta e abbia vigore in mancanza di testamento per i beni mobili e stabili, così che coloro non sottoposti e anche questi stessi o gli autori degli stessi, se in nessun modo sostengono gli oneri del Comune di Fermo, siano stati oriundi dalla Città o dal contado di Fermo, in nessun modo né via possano né debbano avere la successione sui detti beni stabili o mobili che rimangono e esistono nella Città o nel contado di Fermo, né nel loro estimo, tanto senza testamento che con testamento o con qualsiasi altra ultima volontà. Inoltre decretiamo ed ordiniamo che nessuna persona in qualsiasi stato, grado, o dignità stia, osi o presuma, contrarre o far contrarre alcun matrimonio, gli sponsali sul presente o sul futuro, con qualche nobile o plebeo, o con qualsivoglia altra persona non sottoposta alla giurisdizione della detta Città, come è stato detto sopra, senza un esplicito permesso dei signori Priori del popolo e del Vessillifero di giustizia e del Consiglio della detta Città. E qualora avvenga in modo diverso, per l’autorità della presente legge, sia riconosciuto che tutti i beni dotali o non dotali di tale persona che sposa o che si fidanza, per il fatto stesso, sono stati assegnati e confiscati a favore del Comune della detta Città; e colui con il quale avvenisse il contratto, incorra nella pena di 500 fiorini d’oro da assegnarsi al detto Comune. E con una pena simile di 500 fiorini, siano puniti i mediatori o gli altri consanguinei e amici, i quali in tali cose prestassero loro l’aiuto, il consiglio e il sostegno; sia punito con simile pena anche il Notaio che per le dette cose o per qualcuna delle anzidette abbia accolto il rogito o il contratto o se abbia redatto l’atto per le dette cose. Su tutte queste singole cose i Sindaci del Comune siano obbligati a dare la denuncia al signor Podestà e alla sua Curia, al modo come sono obbligati a denunciare gli altri reati. E il Podestà, che ci sarà nel tempo, per suo officio, e su denuncia di chiunque, sia obbligato a fare la procedura sulle dette cose, e a punire quelli scoperti colpevoli, omettendo ogni solennità della legge, dopo aver trovato la sola verità del fatto. Inoltre nessuna persona osi o presuma di contrarre a parole il fidanzamento, al presente o al futuro, con qualche donna, senza il permesso e il consenso del padre della donna, se ci sia il padre; se in realtà non c’è il padre, senza il consenso della madre di tale donna, e di due consanguinei prossimi della tale donna che si sposa, o almeno di due fra essi, sotto la pena per tale donna che tollera di essere condotta alle nozze o per chi contrae il fidanzamento, e per chiunque tratta e chi contrae con lei il matrimonio, o il detto fidanzamento, di 500 libre di denaro, sul fatto e senza alcun processo, che debbono essere riscosse dal Podestà della Città di Fermo sulla sua dote, e da assegnare, sul fatto, al Comune di Fermo.

4 Rub.89

La pena di chi uccide o bastona gli animali di qualcuno.

   Se qualcuno abbia ucciso un cavallo, un bue, un asino o un mulo di un altro, sia punito a 25 denari. Se in realtà non l’abbia ucciso, ma l’abbia in altro modo percosso, se con menomazione di qualche membro, sia punito a 10 libre di denaro; se l’abbia percosso senza menomazione, in qualunque modo, con perdita di sangue, sia punito a 40 soldi di denari, per ciascuna volta. Se in realtà qualcuno abbia ucciso un maiale, una capra, una pecora o altro simile animale piccolo, sia condannato alla terza parte delle dette pene; e nei singoli detti casi, sia obbligato al risarcimento del danno, con il doppio, al padrone di detto animale. Sia tuttavia lecito ad ogni padrone del podere e ai suoi familiari, ed anche ai lavoratori dei poderi e agli altri che hanno diritto ai frutti, di percuotere e uccidere impunemente gli animali, le oche e i polli di un altro, quando li abbiano trovati a recare un danno nelle vigne, negli orti, e nei canneti coltivati e lavorati, o anche tra i cereali. E nelle dette cose sia sufficiente la prova di un solo testimonio che testimonia che abbia visto quel tale uccisore mentre ha ucciso, e abbia riconosciuto l’arrecare danno nei detti luoghi o in qualcuno dei detti luoghi. E il beneficio della pace avuta da parte del padrone degli animali percossi o uccisi, in detti casi, rivendichi per sé vigore.

4 Rub.90

I reati non esaminati entro un mese nel contado.

   Allo scopo che reati non siano coperti e non rimangano impuniti, decretiamo ed ordiniamo che i reati non esaminati, entro un mese dal giorno in cui il reato è stato compiuto, ad opera degli officiali dei Castelli e degli altri luoghi del contado e del distretto di Fermo, che hanno la giurisdizione di investigare su di essi, possano e debbano essere esaminati e puniti ad opera del Podestà della Città di Fermo. Dopo trascorso detto mese, questi officiali dei Castelli e degli altri luoghi del contado e del distretto di Fermo, in nessun modo, in seguito, si intromettano su questi reati e in nessun modo per essi sia valido di investigare su questi stessi e di punire, sotto pena di 25 ducati d’oro per qualsivoglia degli stessi officiali trasgressori e per ciascuna volta, da prelevare sul fatto. E qualsiasi cosa sia stata tentata e esaminata dagli stessi officiali, dopo la scadenza di detto mese, non abbia validità e sia nulla per la legge stessa. E i Sindaci dei detti Castelli siano obbligati a riferire su questi reati al Giudice dei reati del Podestà di Fermo, al modo come sugli altri reati; nonostante qualsiasi cosa che si ponga in contrasto.

4 Rub.91

La pena in cui i disobbedienti ai signori Priori incorrono.

   Dato che i regni vengono meno, né alcuno Stato potrebbe permanere dopo che l’obbedienza è stata distolta, con questa legge per reprimere la contumacia e la malignità dei disobbedienti, sia garantito che quando dai magnifici signori Priori verbalmente o per iscritto, si ordina qualcosa, o tramite i commissari, i legati, e gli officiali loro o tramite gli officiali dei Castelli, a nome o da parte degli stessi signori Priori, coloro, ai quali sia stato dato un ordine, siano obbligati ad obbedire, subito, senza contraddire. E coloro che, in realtà, abbiano trasgredito, debbano pagare sul fatto 25 ducati d’oro al Comune di Fermo, e siano torturati per 10 volte posti sul cavalletto. E al fine che si possa riconoscere chi sia disobbediente, l’officiale che così dà l’ordine, sotto la pena di 10 ducati d’oro da prelevare a lui sul fatto, sia obbligato a mandare ai signori Priori, in una lista il numero e i nomi di quelli che in tal modo disobbediscono.

4 Rub.92

Gli albanesi che vengono alla Città di Fermo e al suo contado siano puniti per i reati commessi fuori dal distretto, come se abbiano prevaricato in Città e nel contado.

   Con la finalità che i reati siano impediti, poiché gli Albanesi sembrano più propensi a fare i reati, con questa giustissima legge sia garantito che, per l’avvenire, gli stessi Albanesi che compiono alcuni reati e siano venuti condannati fuori dal distretto di Fermo e che dimorano nella Città o nel contado, non siano tranquilli avendo prevaricato, ma siano catturati, e siano puniti secondo le loro condanne e per qualsiasi reati, non diversamente come se abbiano prevaricato nella Città o nel contado.

4 Rub.93

La pena di coloro che commettono frode sul proprio prezzo <estimo>.

   Se qualcuno con frode al Comune abbia fatto togliere dal proprio estimo i possedimenti siti nel distretto della Città di Fermo, e stimati nel registro degli estimi della Città di Fermo, e l’abbia fatto mettere falsamente nell’estimo di qualcuno, in realtà nonostante il dominio o il quasi dominio, o il possesso della cosa posta nel detto estimo di qualcuno, non passi a colui che lo pone <per sé>; ma l’abbia fatto allo scopo che chi lo pone abbia una somma maggiore di estimo affinché possa essere un consigliere o affinché sua moglie possa portare un vestito scarlatto <pregiato>, o per altro motivo; quando quel tale che abbia tolto il suo estimo sia scoperto che egli possiede il detto bene, e che ne raccoglie i frutti; quand’anche esso sia stato cancellato dal suo estimo, colui che lo pone con frode sia punito con 25 libre di denaro e possa essere accusato da chiunque.

4 Rub.94

Le pene non stabilite per mezzo di uno Statuto.

   Una pena per quei reati che non è stata stabilita per mezzo degli statuti di questa Città, debba essere decisa e determinata a somiglianza delle altre pene degli statuti di questa Città; e per farla o dichiararla debbano accordarsi il Giudice di giustizia insieme con il Rettore o con il Giudice di costui. E sia riconosciuta come pena simile e come deciso e determinato correttamente quella a cui abbiano dato il consenso unanime, e quella sia la pena per tale reato. Se invece per mezzo di questi stessi fosse sembrato di non potere, in modo unanime, fare la procedura di cose simili per cose simili, allora, al delinquente per il reato, sia stabilita una pena reale, o personale, che concordemente avranno dichiarato o tassato a loro giudizio e volontà.

FINE DEL LIBRO QUARTO

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Servigliano ha lo stemma municipale del Leone alato di San Marco come Venezia.

SERVIGLIANO Stemma esposto presso la porta del Palazzo municipale sotto le logge=== In campo azzurro leone alato regge il Vangelo iscritto «Pax tibi marce evangelista meus» “Pace a Te, o Marco, mio evangelista”. Arma con corona ducale e attorno epigrafe per il popolo e il governo di Servigliano, popolus et regimen Servigliani. San Marco, simbioleggiato dal leone è titolare della parrocchia dello stesso luogo. Le relazioni di commercio con i mercanti veneti per le fiere serviglianesi può aver facilitato l’adozione di tale stemma tipicamente veneziano.

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Santa Vittoria in Matenano monastero nel 1236 Concessione dell’abate farfense Oderisio per vestiario.

Pergamena dell’archivio della parrocchia di Santa vittoria in Matenano. Documento notarile dell’abate di Farfa, Oderisio

Nel nome di Dio. Amen. Anno del Signore 1236, indizione nona, giorno 5 ottobre, nel territorio di Santa vittoria, alla presenza del signor Filippo da Coservano; Costantino notaio del signor Oderisio abate; Nicola da Florentano; Todino da San Germano e Guerriero camerario del signor abate, ai tempi del Papa Gregorio papa nono e di Federico imperatore. Sembra opportuno che a tutti i religiosi è lecito vivere del bene comune e che non manchino loro le risorse, soprattutto ai monaci secondo la regola del Santissimo padre nostro Benedetto, si divida per i singoli come di necessità.  Noi pertanto, Oderisio, per divina misericordia, abate Farfense, con il consiglio dei fratelli nostri di Santa Vittoria, concediamo, confermiamo, corroboriamo al convento dello stesso monastero, cioè al signor Rainaldo priore; al confratello Attone da Orano; al confratello Deuguardo da Capistrello; al confratello Leonardo da Perticaria e al confratello Giovanni da Monte San Martino, per noi e per i nostri successori, a voi presenti e ai nostri successori in perpetuo la terra del defunto Udiato, sotto la via e sopra la via posta nel vico di Sant’Ippolito; la terra che fu un tempo di Morico di Cencio e di Carbone di Copparo, tutta la terra del Castellare e di Cauda Pennulla, tutta la terra come questo monastero ha davanti alla porta di Santa vittoria; tutta la terra che il detto monastero ha in Gaianello; tutta la terra che esso ha in Fiurano; le decime del frumento da Monte Falcone; le decime del frumento e dell’orzo da Santa Trinità; tutti gli affitti che lo stesso monastero deve ricevere; il dazio di tutti gli uomini da Moriana e il dazio di tutti gli uomini di Monte Falcone, cose spettanti a questo monastero; il fruttato di due molini posti nel fiume Aso e le decime del mosto e del vino che lo stresso monastero deve avere dal castello di Monte Falcone per vostri panni, in modo che il fruttato dalle dette cose non sia diviso se non inquanto vien dato soltanto per gli indumenti dei monaci del detto monastero di Santa Vittoria; e chiunque abbia voluto infrangere questa nostra costituzione da sé o per mezzo di altri, o chi abbia la presunzione di contrastarla, incrra nella perpetua pena della scomunica. Ed io Bartolomeo fui presente a tutte le dette cose come si legge sopra per ordine dell’abate Farfa signor Oderisio e ho pubblicato.

NOTA BENE. Esistevano quattro copie che altri notai hanno fatto di questo documento. Alcune sono state asportate e sono mancanti. In due di esse nonostante che i notai dichiarino di averle fatte in modo preciso, si leggono delle varianti nel modo di scrivere i nomi propri dei luoghi o toponimi. Inoltre nota che questa pergamena è edita da Colucci Giuseppe,  Antichità Picene volume XXIX, pagina 83, numero 39.

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