LBERATI SAC. GERMANO particola dello statuto di Fermo del primo Trecento 1308? per il commercio

anno? 1308 circa da ASF pergam. 796 Tesi pp. 307-308
Particola degli Statuti (Fermani) riguardo alla dativa dei fondi (rurali)
\ Nel nome di Dio. Amen. Copia o esempio di uno statuto nel libro o volume degli Statuti del Comune di Fermo. Eccone il contenuto. Rubrica dei beni apprezzati per la dativa che si deve pagare. Decretiamo ed ordiniamo che ogni cittadino o abitante del distretto comitatense della città di Fermo che ha o avrà alcune possessioni o beni nella città di Fermo o nel distretto, in dote o per dote, o in qualsiasi modo, (questi) siano apprezzati nel prezzo e nel catasto del comune di Fermo, e sia tenuto a pagare per ciò l’affitto, come gli altri cittadini di Fermo, e lo stesso affitto sono tenuti a pagarlo anche per il tempo passato, dall’inizio della guerra con San Ginesio. E al fine di dover pagare l’affitto, l’esecutore attuale ed i futuri nel tempo, possano e debbano far procedura sia contro i padroni e i possessori di questi beni, o contro i lavoratori e pensionari o conduttori di essi beni, come deciderà il detto esecutore, secondo come più facilmente si esplichi il pagamento di questo prezzo, costringendoli anche ‘realmente’ e personalmente, con rimedi adatti a pagare e soddisfare i prezzi dei detti beni. L’esecutore è tenuto a fare l’esecuzione sotto penalità di cinquanta libre ravennati, tolto il computo del salario dell’esecutore. Io Angelo di Bernardo (…) come ho trovato nel libro degli Statuti del comune di Fermo, così fedelmente e ordinatamente trascrissi, copiai ed esemplai. \
(Documento trascritto nella lingua originale latina da Liberati Germano per la sua tesi di Laurea all’Università di Urbino “Economia e governo a Fermo nel primo Trecento” 1970)

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LIBERATI SAC. GERMANO ECONOMIA E GOVERNI A FERMO SEC. XIV documenti tradotti 1260. 1288. 1309. 1305. 1306. 1307. 1308ca. 1341. 1349. 1351. 1352 commercio convenzioni fraternità

Desunto dalla tesi di Laurea: “Economia e Governi a Fermo nel primo trecento” di Liberati Germano, 1970
ALCUNI DOCUMENTI SULL’ECONOMIA DELLA CITTA’ DI FERMO NEL SECOLO XIV
Le linee della presente ricerca sono il risultato di un’analisi svolta per la tesi di laurea . Fermo era il più ampio ‘Stato’ della Marca di Ancona e tale si è conservato fino al 1860. La prima metà del secolo XIV è interessante perché densa di fenomeni economici, sociali e politici di rilievo: un periodo di trapasso tra il reggimento podestarile comunale e l’avviarsi di una signoria. Tuttavia non si creò mai un principato stabile perché nessuna famiglia poté mai imporsi sulle altre.
L’indagine è stata condotta sulla base dei documenti disponibili nell’archivio storico del Comune di Fermo. La ricerca storica locale, prevalentemente archivistica, ha dei limiti, ma porta un contributo alla storia generale. Va considerata la posizione geografica che colloca il Fermano al centro della penisola sul versante dell’Adriatico, con conseguenze economiche e politiche. Soprattutto il mare Adriatico, facilmente solcabile anche con piccoli legni, ha posto Fermo nel diretto contatto con le terre della Dalmazia e con Venezia, da cui risultano i legami commerciali ed umani.
FERMO e VENEZIA
I rapporti commerciali tra le Marche e Venezia erano antichissimi. La situazione commerciale Fermana in relazione a Venezia, quale si svolge nel secolo XIV, risulta già fissata nel secolo precedente, sia per i trattati specifici intercorsi tra le parti, sia per le vertenze economiche tra la Serenissima e Ancona, con la concorrenza commerciale, sfociata in azioni militari e di rappresaglia. Un contratto delle 1260 fu rinnovato perché erano venuti a cadere alcuni fattori già esistenti, dopo che tra i mercanti vi saranno stati danneggiamenti reciproci, atti di violenza e di rappresaglia.
Il vantaggio per Fermo era di avere mercati sicuri per i propri prodotti agricoli, specie per il vino. Tuttavia, improntati com’erano gli scambi sulla libera esportazione, i Fermani si riservavano il diritto di proibire l’estrazione del frumento, quando esso, nel territorio, superasse il prezzo – per quei tempi il favoloso – di 30 soldi lo staio.

Doc.1 – Anno 1260 marzo 30 da ASF perg.368 e copia 152 e 372. Tesi pp.273-280 dall’edizione di Luzzatto, G. I più antichi trattati tra Venezia e le città marchigiane (1141-1345, in “Nuovo Archivio Veneto” VI, 1906, XI pp.61-65
Trattato di pace e di amicizia tra Fermo e Venezia
“Nell’anno del Signore 1260, indizione terza, due giorni prima della fine di marzo<=30> presenti < i testimoni> sigg. Giovanni Belligno, Marco Quirini figlio di Giovanni Quirini, allora consiglieri del sig. doge, Iacobo Canterano da San Bartolomeo, Bartolomeo Michele ed altri; avvicinandosi alla presenza del magnifico sig. Rainerio Gen (=Zen) doge di Venezia per divina grazia e del suo Consiglio; il provvido uomo Iacobo di Giovanni Pievano e procuratore del podestà e del Comune di Fermo, come risulta da pubblico istrumento fatto dal notaio Paolo di Berardo, il cui contenuto è riportato in seguito, su cose che tra il Comune di Fermo e il Comune di Venezia sono in contrasto, giunge alla concordia con lo stesso sig. doge e con il suo Consiglio, in questo modo. Egli promise a nome del Comune e del Consiglio di Fermo al Doge che è accetta a nome del Comune e degli uomini di Venezia che Fermo farà la restituzione e la soddisfazione dei beni e delle cose tolte dai Fermani ai Veneziani fino al primo agosto prossimo venturo, escludendo ogni appiglio, e fece remissione e fine di fronte al doge e al Comune di Venezia di tutti i danni fatti e dei gravami causati dai Veneziani ai Fermani sino al giorno presente.
Riguardo poi all’interdetto precedente imposto da Fermo sopra le “biade” da non portare dalle terre fermane a Venezia si giunge alla concordia. L’incaricato sindaco fermano Jacobo promise al doge veneziano che in futuro Fermo non farà un ordinamento di interdetto, né bando alcuno su biade né su altri cibi o mercanzie, anzi terranno sempre aperto il porto (fermano) con promessa che da ogni luogo del distretto fermano siano portati, senza alcun impedimento, le biade, i cibi e altre mercanzie da persone di Venezia e del Veneto, con eccezione del vino che sia caricato soltanto quello della città di Fermo e non sia caricato da altri porti verso il porto fermano.
Inoltre il sindaco incaricato promise che Fermo tratterà gli uomini veneti salvi, sicuri nell’andare, nel tornare, nelle persone, nelle mercanzie e cose, nel distretto e nell’influenza di Fermo, senza alcun dazio e con tutti i beni secondo le antiche consuetudini conosciute, salvo il fatto che nei tempi in cui la città di Fermo e nei dintorni il frumento avrà valore più di 30 soldi a staio, Fermo ha licenza di fare come prima, per i cittadini fermani, a volontà, riguardo alle biade. Inoltre se per caso capitasse che gli uomini veneti affrontassero un naufragio nel distretto fermano, ai naufraghi sarà dato dai Fermani aiuto, consiglio, sostegno nel dover recuperare i loro beni, nel liberare al meglio le persone, come più utilmente questi potranno fare in buona fede. Inoltre promise che gli uomini di Venezia saranno liberi e prosciolti e nulla sarà loro tolto al porto di Fermo, né nel suo distretto o zona d’influenza, per l’ancoraggio, o per lo scalo.
Dall’altra parte il signor doge a nome di Venezia promise di dare soddisfazione per i beni che i Veneziani hanno tolto ai Fermani fino al prossimo primo agosto, facendo fine e remissione al sindaco fermano dei danni arrecati, delle offese inferte ai Veneziani dai Fermani fino al presente giorno. Il doge eliminò l’interdetto fatto da Venezia contro i Fermani proibiti di andare a Venezia con le loro mercanzie, e che altri portassero a Venezia le mercanzie e cose fermane. Decise e stabilì che gli uomini del distretto Fermano possano recarsi liberamente a Venezia, come di consuetudine, promettendo lo stesso doge per Venezia che i Fermani saranno tenuti salvi e sicuri nelle terre venete, nello stare o nel tornare, con le persone e le cose loro, secondo le antiche buone consuetudini conosciute, e per il resto il trattamento sarà di amicizia speciale in tutto. Il doge, per Venezia, condonò al sindaco per Fermo il “quarantesimo” che si solleva pagare a Venezia per ogni cosa che fosse originata da Fermo e nella Marca Anconetana, a volontà sua e di Venezia.
Inoltre esentò i Fermani e gli uomini del loro distretto dal dazio a Venezia per l’ancoraggio o per lo scalo, a che non lo pagassero. Inoltre il doge per Venezia promise a Jacobo sindaco fermano che gli uomini di Venezia non faranno porre un loro naviglio nella Ripa del castello dal fiume Glenchi (Chienti?) alla terra e non vi faranno alcun porto di carico e scarico.
Per tutte le singole queste cose si fece convenzione tra il sindaco per Fermo e il doge per Venezia, come scritto, che saranno adempiute, osservate, fatte rispettare dai Fermani sotto pena di 2000 libbre venete piccole.
Il doge, per Venezia, promise e fece convenzione al sindaco per Fermo, come scritto sopra, di adempiere ad osservare tutte le singole le cose già dette, e di farle rispettare dai veneziani. Redatto nel palazzo del Doge di Venezia.
Il contenuto del documento per il sindaco, cui si è fatto riferimento sopra è il seguente.
\ “Nel nome di Dio, amen. Anno 1260, indizione terza, giorno 15 marzo, al tempo del re di Sicilia Manfredi, anno secondo del suo regno, riunito, al modo consueto il Consiglio Generale nel palazzo del Comune di Fermo, al suono della campana e per voce dell’annunciatore, il signor Bernardo da Isola, podestà della città di Fermo, insieme a tutti i consiglieri, nessuno discorde, stabilì e ordinò Jacobo del signor Giovanni Pievano, benché assente, nella qualità di loro nunzio, sindaco, agente, procuratore o come meglio può dirsi al fine di trattare e definire e stabilire, a nome di Fermo, una concordia con il doge per Venezia, riguardo ad ogni lite e questione, querela, discordia, che si avesse e fosse insorta tra il doge veneto e Fermo; in modo da dover porre fine e fare remissione di ogni danno, ingiuria, da una parte e dall’altra parte, fino al presente giorno; inoltre a dover pacificare e stabilire patti e convenzioni tra Venezia e Fermo, da osservarsi nel seguito; e a dover fare provvedimenti e impegni con il doge per Venezia e di dover ricevere dai Veneziani l’impegno di osservanza; inoltre a dover fare ogni altra cosa che al riguardo di tutto ciò che sia da compiere, come può fare Fermo; con il promettere che Fermo mantiene valido e deciso con spese ed obblighi, e non contrastare alcunché di quanto il sindaco predetto deciderà di fare sopra le cose già dette.
Redatto nel palazzo con i testimoni presenti: il sig. Iacobo e il sig. Alberto giudici della città stessa; il sig. Canduo notaio; il sig. Giovanni Plebano, il sig. Iacobo di Matteo di Giovannuccio, il sig. Ufreduccio di Conurumo, i sigg. Filippo e Gabriele, il sig. Rogino. Io Paolo di Berardo, come notaio su incarico del Podestà e su richiesta del Consiglio, ho dato memoria e corroborato.” \

ZARA e FERMO
Dopo Venezia, l’altro termine di riferimento del commercio estero del Fermano era la Dalmazia. A questo riguardo, durante le nostre ricerche ci siamo imbattuti in accenni precisi per Sebenico nei Libri del banchiere comunale Paccaroni. Per le relazioni commerciali con Zara, un atto contiene un importantissimo trattato tra Fermo e la città Dalmata, l’unico atto che si conosca per una città delle Marche. La stesura del testo risale al 15 aprile 1309, ma è il rinnovamento di un atto preesistente, inserito, del 5 luglio 1288. L’analisi di queste due date è assai importante per capire l’esistenza dei rapporti commerciali tra Fermo e le città della Dalmazia.
Il rinnovamento del patto nel 1309 senza rimaneggiamenti, convince che esso fu dettato da nuove reali necessità commerciali che potevano essersi create a causa di un aumentato volume di scambi. Inoltre il rinnovare il patto così come era, significava affermare che le relazioni non erano sostanzialmente mutate. Il patto consisteva soprattutto nel creare, reciprocamente, zone di libero scambio, dove i Fermani potessero agire come gli Zaratini nel caricare e nello scaricare le proprie merci dove piacesse loro, senza alcun dazio o gabella, né esazione.
I Fermani potevano esercitare liberamente il loro commercio. Inoltre, con concessioni paritetiche e reciproche, i due contraenti si consideravano amici nel vendere e nel comprare, liberi e sicuri sia in città che nel suo distretto. Unico prodotto soggetto a gabella specifica era il sale, con le rispettive clausole. Altra importante clausola era quella riguardante il commercio del vino vietato dall’una e dall’altra parte: clausola spiegabile con il fatto che entrambe le città producevano vino e quindi si premunivano contro una concorrenza pregiudizievole.

Doc.2 – Anno 1288 luglio 5 inserito nel testo seguente
Doc. 3- Anno 1309 marzo 21 e aprile 5 da ASF, perg. 1236, Tesi pp. 268-273-
Trattati commerciali tra Fermo e Zara
“ Nel nome di Cristo, anno dell’incarnazione 1309, indizione settima, giorno 15 aprile, a Zara, al tempo del signor Pietro Gradenico, doge di Venezia e del reverendo padre frate Jacobo arcivescovo di Zara e del signor conte Matteo Manelusso di Gregorio, il saggio uomo Jacobino di Rainaldo sindaco e procuratore della città di Fermo, a nome per conto del nobile signor Pino de Vernacis, podestà di Fermo e anche del Consiglio e del Comune della città, come dal pubblico istrumento scritto da Giovanni di Rainaldo notaio della predetta città, e stabilito per le seguenti cose.
Inizia: nel nome di Dio. Amen. Nell’anno 1309, indizione nona, giorno 21 marzo ecc. da una parte il sapiente signor Gregorio di Diatico della città di Zara sindaco e procuratore di Gregorio del signor Matteo Manualesso, conte di Zara anche del Consiglio del Comune della stessa città, come risulta dal pubblico di strumento scritto da Giovanni di Quat(…) notaio della città di Zara, e stabilito in modo speciale per le cose seguenti.
Inizia: nel nome di Cristo. Amen. Nell’anno della sua incarnazione 1309 indizione settima giorno 1 aprile ecc. Dall’altra parte. Ratificarono, provarono e confermarono tutti singoli patti scritti e stabiliti tra il nobile uomo sig. Michele de Micuscio da Zara, un tempo sindaco del detto Comune di Zara da una parte, e il sig. Gentile di Marco, un tempo sindaco del comune di Fermo dall’altra parte, furono scritti e pubblicati per mezzo del notaio Iacobo di Atto da Fermo. Ecco il tenore ed i contenuti dei patti. Nel nome di Dio. Amen. Anno 1288, indizione prima, giorno 5 luglio. Nel Consiglio pubblico e Generale del Comune della città di Fermo, riunito come al solito, al suono della campana e a voce dell’annunciatore, il signor Antonio giudice e assessore e vicario del Comune della città di Fermo, per mezzo del nobile magnifico uomo Giovanino de Guidomini, podestà della città di Fermo, insieme con tutto lo stesso Consiglio, insieme con il signor Antoldo “esgravatore” della città di Fermo, a nome e nelle veci di questo comune, come legittimo sindaco, agente, procuratore o come meglio si può giuridicamente dire e pensare, allo scopo di approvare, confermare, ratificare e approvare e tenere stabili e validi di tutti singoli patti, le convenzioni e le promesse, il discreto uomo sig. Michele de Micuscio da Zara, sindaco, agente, procuratore di Gregorio uomo del sig. Iacobo Templi Doge di Venezia; del figlio del conte di Zara e dei nobili uomini Sebastiano di Nito e Tommaso di Secreto, consiglieri dello stesso; e dei giudici e del Consiglio della città di Zara, da una parte e dall’altra parte, il predetto sig. Gentile di Marco sindaco e procuratore del Comune di Fermo a nome e nelle veci di questo Comune, cioè degli uomini di Zara e del suo distretto caricando e scaricando le cose loro proprie, dove ad essi piacerà nel predetto distretto, senza alcun dazio, “thalomo”, gabella, “maltolto” o qualsiasi esitazione, eccetto il dazio del sale di Francesco di Lundente (?), sia gli uomini di Iadra che del suo distretto, paghino come saranno tenuti gli altri uomini. E questi uomini di Zara e del distretto della stessa città non possono recare vino o portarlo al porto o ai porti della città di Fermo e del suo distretto, al fine di vendere questo vino.
E dalla rispettiva parte, il provvido uomo Michele de Micuscio, sindaco, agente procuratore, come già detto, a nome e nelle veci del predetto sig. conte, dei consiglieri, dei giudici del consiglio della città di Zara e del suo distretto, salvi e sicuri nelle cose e nelle persone, i detti uomini di Zara terranno ed avranno come amici, acquistando e vendendo, liberi e sicuri sia nella città che nel suo distretto, caricando e scaricando le cose loro proprie, ove piacerà nel predetto distretto di Zara, senza alcun dazio, “thalomo”, gabella “maltolto”, o qualsiasi esazione, eccetto il dazio del sale da Pago. Gli uomini di Fermo e quelli del suo distretto pagano come saranno tenuti
altri uomini. E non possano recare o portare vino al porto o ai porti di Zara e del suo distretto, al fine di vendere questo vino.
Per approvare e rendere note le pene e le obbligazioni dei beni come promesso da una parte e dall’altra; e per ogni singola cosa contenuta in questi patti per entrambe le parti; e per promettere che ogni singola cosa detta sopra si ritiene valida e stabile sotto la stessa pena contenuta nei patti stessi; e per obbligare i beni dei comuni stessi al fine di dover osservare le cose dette prima; e in generale per dovere adempiere le cose dette, tutte le altre e singole predette che riguardo a ciò saranno da fare tanto da essi, quanto per mezzo di sostituto, comandato da essi, in tutte le cose sopra dette da dover adempiere direttamente o tramite sostituto comandato da essi sia fatto, compiuto e promesso riguardo alle cose predette a qualunque delle cose predette, tenere l’atto valido e stabile sotto obbligazione dei beni del Comune.
Redatto a Fermo nel palazzo di questo comune, presenti come testimoni il sig. Rainaldo di Odorisio, il sig. Matteo di Ugolino, il sig. Rugerio del sig. Nicolò, Pietro del sig. Iacobo, Rainaldo di Giustiniano, Matteo di Marco e Pace di Radulfo ed altri.
Io Iacobo di Atto, richiesto come notaio, ho scritto e pubblicato. Con stipula solenne promisero, intervenendo dall’una parte e dall’altra, i già detti sindaci, sig. Iacobo di Rainaldo e Gregorio di Diatico, nel ruolo sopra detto, uno e l’altro , scambievolmente, di tenere, avere e osservare e far osservare la detta ratifica, approvazione e conferma dei patti ed ogni predetto patto, per il tempo venturo e mai agire in contrario, né cambiare per nessuna ragione od appiglio, in via giuridica o di fatto, sotto obbligazione dei beni dei Comuni presenti ai patti, facendo rimanere e perdurare questi patti nel loro vigore e nella loro stabilità. Redatto e firmato di fronte ai testimoni chiamati al rogito, cioè Giovanni di Pasqua de Varincas; Iacobo di Damiano de Florado, e La(e)rte di Marino de Osessico, cittadini nobili di Zara; Filippo di Alessandro, Matteo di Giovanni Picini e Rodardo di Ofreduccio notaio, cittadini Fermani ed altri. Io Giovanni Qual(….) d’autorità imperiale e giurista di Zara, su richiesta, fui presente e ho ascoltato, ho scritto ed ho corroborato .

FERMO e gli EBREI agli inizi del ‘300
La presenza di una comunità ebraica a Fermo era economicamente assai importante e costituiva una presenza di tutto rispetto nella vita comunale. Le attività degli ebrei a Fermo, come prestatori di denaro, erano cospicua. Ad essi si rivolgevano sia il Comune che i privati. Il giro e la disponibilità di danaro liquido nei documenti risultano di somme alte. Nella pergamena n. 1338 si legge (trad.): “Secondo la forma dei patti fatti tra il comune di Fermo e i Giudei”, Pertanto esistevano precisi accordi scritti tra il comune della città di Fermo e la comunità ebraica cittadina che veniva tutelata dall’autorità comunale più che dai giudici, perché le vertenze venivano portaste in Comune. Ecco alcuni documenti.

Doc. 4 – Anno 1305 agosto 25 in ASF pergam. 829, Tesi pp. 280-283.
Contratto di mutuo con Ebrei
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1305, indizione terza, giorno 25 agosto, presenti come testimoni: Giovanni Macchi da Fermo; Alessandro di Giovanni di Albertone; Domenico un tempo da Montelupone; Rogerio di Angiolo e maestro Tomasso notaio delle Riformanze del comune di Fermo. Il sig. Giovanni de Guidoni da Modena, e Simeone di Migliore, e Tommaso di Flaviano, e Marco di Filippo Savini, e Smido di Matteo Berardi, e Giorgio di Matteo Enrici, e Francesco di Matteo Nicoletti, e Domenico di Giovanni Cazufurri, e Simonetto di Benvigniato, e Lorenzo di Matteo, e Bongiovanni di Scambio, e Giberto di Pietro, e Antonio di Palmerio, e Pietro di Rozerio, e Tomassino di Felice, e il sig. Tommaso di Iacobo, e Bond… di Rainaldo, e Giovanni di Matteo Magnate, e Iacobino da Monte san Pietro, e Iacobino di Iannetto, e Iacobo di Giovanni Mattei da Fermo, ciascuno principalmente e in unione solidale tra loro, quando uno paga, gli altri sono liberati, di loro animo sereno e di volontà propria nello stipulare, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro eredi e successori di dare e rendere, pagare con effetto di ben numerare, in ogni occasione, senza eccezioni ad Abra del sig. Mosè, a Vitale di Dactale e a Vitale di Gugliemo, Giudei riceventi, con stipula per sé e per gli altri loro soci Giudei o per i loro incaricati, ad ogni loro comando e volontà, 1800 libbre ravennati e anconetane, che ciascuno di loro e solidalmente ricevettero in ducati d’oro in deposito e a fine di deposito, di fronte a me notaio, ed ai i testimoni già detti, a ciascuno di essi per pericolo e sorte di furto, di violenza, di rapacità, di incendio e di naufragio e di qualsiasi altra cosa, ogni altro pericolo e caso sia celeste che umano, che mai a questo deposito possa capitare o avvenire, affermando e confessando ciascuno di loro solidalmente che i detti ducati sono di oro buono e puro, che essi stessi hanno preso con somma, numero e validità 1800 libbre. Ciascuno di loro rinuncia alle eccezioni di soldi non avuti, non ricevuti o che l’oro non fosse buono e puro o che ricevettero mai questi ducati in somma non calcolata o di non valida quantità e ad ogni argomento di leggi e decretali. E promette ciascuno di loro principalmente ed in forma solidale di richiedere copia del presente istrumento per sé e per i loro procuratori e di non opporre alcuna obiezione di diritto o di fatto a questo istrumento, ma di presentarsi personalmente e non per mezzo di un procuratore o alcun difensore, di fronte ai rettori e ai giudici del Comune di Fermo e dichiarare la detta quantità in giudizio, e ricevere su di sé il precetto a richiesta e volontà dei predetti Giudei. Se poi sarà pronunciata una sentenza interlocutoria o definitiva a favore dei detti Giudei, contro i predetti, promettono che essi e ciascuno di loro vollero che fosse atto valido e stabile con rinuncia a fare in seguito un appello. D’altra parte promisero e fecero convenzione, ciascuno e solidalmente, ai Giudei o ai loro commissari di dare e rendere la quantità depositata e soltanto in più per le pene, i danni, le spese, gli interessi che i Giudei abbiano affrontato in giudizio e fuori. Promisero ciascuno e in solidalo di risarcire i Giudei. E per dovere eseguire tutto quanto è da compiere e operare, misero sotto obbligazione tutti i beni mobili ed immobili di ciascuno, presenti e futuri, dei quali ciascuno e solidalmente danno licenza ai Giudei o ai commissari, e autorizzazione a prenderli, di propria autorità, senza alcun reclamo di curia, quando sarà loro utile o necessario. Dopo soddisfatta, o non soddisfatta, la pena, questo contratto rimane valido. Inoltre essi promisero, ciascuno e solidalmente, che essi personalmente e realmente sono impegnati a recarsi presso la curia del Comune di Fermo, a richiesta e volontà dei Giudei, secondo la forma dei patti stabiliti tra il Comune di Fermo e i Giudei, quando per essi o per qualcuno fosse utile o necessario. Redatto nel palazzo comunale di Fermo. Io Domenico di Servideo notaio rogato scrissi e pubblicai.

Doc. 5 – Anno 1306 maggio 19 in ASF pergam. 1193 Tesi pp. 284-287
Contratto di mutuo con Ebrei
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1306, indizione quarta, giorno 19 del mese di maggio, a tempo del papa Clemente V, presenti come testimoni chiamati: il maestro Tomasso notaio delle Riformanze , Tomassino della signora Alda; Petrucio Pervirigio(?) dello speziale Marcovaldo; Gualteruccio di Cacciagallo un tempo da Ripatransone, e Petruccio da Cesena banditore del comune di Fermo. Il nobile milite sig. Obtino de Salis podestà della città di Fermo, e il sapiente e discreto sig. Andrea de Mainardis da Parma, giudice e notaio del nobile uomo sig. Servodeo de Servodeis da Parma, capitano del popolo e del comune della detta città; anche gli infrascritti priori del popolo di questa città, cioè, dalla contrada Castello; Nicoletto di Angeluccio dalla contrada Pila; Giovanni del maestro Pensabene dalla contrada San Martino; Montanello di Egidio dalla contrada Fiorenza; Iorzio di Matteo Enrici dalla contrada San Bartolomeo; Bartolomeo di Matteo Guidi e Gentili di Nicola dalla contrada Campoleggio, e Angelo di Alberto Salvasie (?) dalla contrada Castello, e Iacobo del maestro Stefano, e Filippo di Omodeo, e Francesco di Tomassino dalla contrada Fiorenza, e Albertuccio di Alberti, e Pietro di Benedetto dalla contrada Pila, e Anselmo di Algarsio, e Marchitto de Cavedanis, e Iacobo di Scolaro dalla contrada San Bartolomeo, e Iacobo di Andrea, e Marchicono di Filippo Savini dalla contrada San Martino, e Tomasso di Gerardo, e Giovanni di Giberto, e Antonio di Paolo dalla contrada Campoleggio, e Bartolomeo di Iacobo, e Antonio di Felzone; i predetti sig. podestà e il sig. Andrea vicario, in qualità di rettori e officiali della città di Fermo, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro successori, che i detti priori e prenominati mercanti, dai sopradetti contratti della città di Fermo, promisero e convennero per sé principalmente e per i loro eredi e successori di dare, pagare e restituire con effetto, escludendo ogni eccezione ed occasione, a Vitale Ley dalla contrada di San Bartolomeo, a Vitale del sig. Beniamino, a Vitale di Dattalo e ad Angeluccio di Fosco, Giudei dimoranti a Fermo che ricevono per sé e per i loro soci ed eredi e successori loro, o ai commissari, da qui a un mese prossimo venturo e finito, 1600 libbre ravennati buone che essi, per mutuo, hanno ricevuto in fiorini d’oro e in anconetani grossi tanti che bene resero la detta quantità, di fronte a me notaio e ai detti testimoni. Ciascuno di loro rinuncia all’eccezione di moneta non avuta, non ricevuta, non numerata e all’eccezione dei fiorini non di buon oro o di peso (non) giusto o di anconetani non di argento buono e alla eccezione di simulazione, e ad ogni aiuto delle leggi di cui si possano servire in contrasto. D’altra parte promisero ciascuno di loro principalmente e in solido, di dare, pagare e restituire la detta quantità e il doppio in più a nome di pena per tuti i danni, le spese e l’interesse che per questo avranno sofferti e sostenuti, e promisero in solido, uno all’altro di loro, di risarcire nella curia e fuori. Fanno obbligazione ad essi Giudei dei loro beni reali e personali, presenti e futuri, in ogni luogo. E ciascuno diede autorizzazione di prenderli, quando fosse necessario, e di risarcire nella curia e fuori. E ciascuno di loro promise solidalmente di recarsi presso qualunque giudice o ufficiale a volontà dei Giudei, non ostante lo statuto fatto e da fare e le riformanze fatte o da fare, a cui sin da ora rinunciano. Per i sopradetti capitoli rinunciano anche al beneficio della nuova costituzione apostolica del sommo Adriano di più cose da avere, e ad ogni altro aiuto delle leggi e dei decreti fatti o da fare, di cui possano servirsi in contrasto. E dopo soddisfatta o non soddisfatta la pena, tutte le cose dette sopra persistono valide. Redatto nel palazzo di questa città nella loggia dipinta. Io Bonario di Iacobo da Fermo, notaio d’autorità imperiale, rogato, scrissi e pubblicai.

Doc. n. 6. Anno 1307 marzo 5 in ASF pergam. n. 792 Tesi pp. 287-289.
Contratto di mutuo con Ebrei.
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1307, indizione quinta, a tempo del papa Clemente V, giorno 5 marzo, presenti come testimoni chiamati: Iacobuccio di Rainaldo Justiniani; Jannino di Matteo …..; Bongiovanne di Barto(lomeo) Sacchieti notaio; Stefano di Lanciadoccio; Oddone del maestro …..notaio; Filippo di Nicoletto notaio; Filippo di Iacobo notaio; sig. Domenico del sig. Nicoletto; e Boncambio di Rogerio … del comune di Fermo. Il signor Gerardo da Spidiolaria, giudice dell’onorabile uomo sig. Guido del sig. Enrico da Bologna, capitano del comune di Fermo ed il sig. Grazia di Filippo Alessi, ed Egidio di Iacobo Gentili, e Rogerio di Uffreduccio dalla contrada di Castello, e Venuto di Bruno, e Bongiovanne di Morcello (?); e Anglerio di Barello dalla contrada Pila; e Giovannuccio di Filippo Pieconi; e Marco di Filippo Savini; e Filippo di Marco Bone; e Iacobo di Staccio; e Rainaldo di Paccadosso; e Francesco di Tebaldo Andree dalla contrada San Martino; e Filippo di Danno Iacobi; e Tomassio di Pastangronio; e Filippo de Pesao; e Rainaldo di Degnate dalla contrada Fiorenza; e Domenico di Amadoro; e Gioanni di Paolo, e Michele di Michiale; e Zambertono di Iacobo; e Gentiluccio di Matteo Andree; e Iacobo di Matteo Bongiovanni dalla contrada San Bartolomeo; e Gentile di Paolo; e Bongiovanne di Iacobo Advelace; e Petrucciolo di Bonallongo; e Palmerio di Jucalzo; e Antonio di Palmerio Leonardi dalla contrada Campoleggio; tutti e singoli chiamati e riuniti nel predetto luogo, essi e ciascuno solidalmente, principalmente, pagando uno, siano liberati gli altri, ciascuno di buona volontà e di animo sereno, senza violenza, né timore di costrizione, stipularono, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro eredi e successori, di dare, assegnare, calcolare, rendere e restituire integralmente, con effetto, escludendo ogni occasione ed eccezione, ad Abra figlio di Mosé, a Vitale di Dattalo del sig. Vitale; a Vitale di Ley (?Levi) e ad Angelo di Bengiano (?) giudei, con stipula ed accettazione per sé e per Dattalo del sig. Mosè e per Bengiano del sig. Mosè, e per Dattalo del sig. Vitale, e per Bonaventura e Mositto figli di Dattalo del sig. Vitale; e per Bengiano del sig. Manuele ed altri loro soci Giudei, o qualcuno di questi Giudei che riceve solidalmente ai loro figli e successori o commissari, a cenno di loro Giudei e a volontà, 4000 libre di buoni ravennati ed anconitani piccoli, quantità di denaro che tutti e singoli i sopra detti e ciascuno di essi ebbero e ricevettero solidalmente dai predetti Giudei come mutuo e per motivo di mutuo in fiorini d’oro, di fronte a me notaio e ai testimoni, stando seduti e rimanendo in un ‘Vascappo’, tanti che tutti essi e ciascuno di loro dichiararono essere la quantità detta. Rinunciarono essi e ciascuno di loro ecc. <=segue testo uguale come negli altri atti>.
Redatto a Fermo, nel palazzo del popolo del comune di Fermo, dove si riuniscono i priori per le riunioni segrete. Io Giovanni di Francesco Egidio notaio rogato ho scritto e pubblicato.

ASSISTENZA FRATERNALE
Nel primo Trecento le iniziative caritative e assistenziali ebbero a Fermo la manifestazione più alta con l’istituzione dell’ospedale di Santa Maria novella della Carità, da parte del vescovo diocesano fra’ Iacobo nel 1341. Oltre al sovvenire alle necessità materiali, questo ospizio aveva il compito di impartire un’assistenza religiosa. Il priore degli Agostiniani, Fra’ Tommaso, concesse a Santa Maria novella della Carità tutti i benefici spirituali che si godevano dagli Agostiniani. Lo stesso anno venne nominato il primo cappellano.

Doc. 7 – Anno 1341 maggio 10. ASF pergam. Brefotrofio. Tesi pp. 292-295.
Fondazione dell’ospizio di Santa Maria novella della Carità a Fermo
“Frate Jacobo, per grazia di Dio e della sede apostolica, vescovo e principe di Fermo, ai nostri diletti in Cristo, sindaco e persone della fraternità di santa Maria novella della Carità della città Fermana, salute nel Signore.
È stata presentata a noi, da parte vostra, l’umile richiesta di fondare un ospizio. Vi dite accesi dal fervore dello spirito della Carità, da cui scaturisce una fonte viva, a cui non comunica un estraneo, e per redimere i peccati vostri e dei parenti, anche per comodità dei debilitati, e dei poveri di Gesù Cristo, degenti in ogni parte, voi desiderate fondare un ospedale e costruirlo e dotarlo di quanto è congruo e necessario per il sostentamento e per la quiete di questi poveri, in una generale ospitalità, e desiderate costruire nell’ospedale e nell’oratorio due altari e più, in cui per mezzo di sacerdoti da voi mantenuti, possiate ascoltare gli uffici divini, affinché per mezzo di questi e di altre cose, vivendo con l’ispirazione divina, possiate giungere ad una fine lodevole. La vostra supplica chiede che ci degniamo di concedere e dare l’autorizzazione a costruire ed erigere l’ospedale nella città, in contrada San Bartolomeo, o altrove, e in questo ospedale od oratorio della fraternità stessa, di nostra autorità far costruire altari e celebrare i divini uffici per mezzo di uno o più sacerdoti sostentati da voi, e i lasciti che sono stati fatti e che si fanno e si faranno in futuro, possano essere richiesti e conservati e distribuiti per migliorare l’ospedale e per le necessità dei poveri e per le persone debilitate ecc. e di poter raccogliere il pane attraverso la città o fuori, con il sacco o la bisaccia, o senza, per la vita e per il sostentamento dei poveri e delle persone che stanno nell’ospedale, che a tutti coloro che lasceranno qualche cosa e saranno di aiuto per voi, sia da noi concessa un’indulgenza; inoltre che per l’ospedale che con l’ispirazione divina sarà costruito in futuro, con i beni già acquisiti, lasciati dai fedeli cristiani e acquistati a qualunque titolo, anche in caso di lasciti legati e di eredità per ultime volontà (=testamenti), di nostra autorità, ci degniamo di esimere, e siano esentati dalla porzione diocesana sui beni lasciati. Volete pagare a noi ed ai nostri successori, ogni anno, il censo, per compensazione della porzione canonica, nella festa di santa Maria di agosto, 12 libbre della moneta che sarà in corso nell’epoca. Per tutte le cose contenute nella vostra richiesta, noi di autorità ordinaria, per quanto possiamo e degnamente siamo tenuti, concediamo l’autorizzazione, trattenendo per noi e per i nostri successori quel che deve essere dato nella festa dell’assunzione della beata Vergine per compensazione della canonica porzione con le 12 libbre di moneta usuale; al quale pagamento voi e l’ospedale siete tenuti come censo e riconoscimento del nostro dominio sull’ospedale che esentiamo da ogni porzione diocesana sui beni acquisiti o che acquisirà in futuro, in qualunque modo. Inoltre per tutti coloro che veramente pentiti e confessati daranno, offriranno, faranno lasciti legati nelle loro ultime volontà, e presteranno aiuti in altri modi per il sostentamento dell’ospedale nelle loro ultime volontà, noi misericordiosamente concediamo l’indulgenza di 40 giorni, lucrabile ogni giorno, sulla penitenza a loro impartita, fidando nella misericordia dell’onnipotente Dio, della beata Vergine Maria alla quale deve esser intitolato questo ospedale e dei beati apostoli Pietro e Paolo e dei gloriosi martiri Claudio e Savino nostri patroni. Disponiamo … ecc. A nessuno sia lecito contrastare … ecc. Se qualcuno tuttavia oserà violare questa disposizione, sappia che incorrerà nell’indignazione dell’onnipotente Dio, della beata Maria sempre Vergine, dei beati apostoli Pietro e Paolo e dei gloriosi martiri Claudio e Savino, patroni della nostra Chiesa. A testimonianza di queste cose abbiamo fatto fare la presente lettera, munita con l’appendervi il nostro sigillo. Data e fatta a Fermo, nel palazzo vescovile, nell’anno del Signore 1341, indizione nona, a tempo del papa Benedetto XII, giorno 10 del mese di maggio. Per sigillo.

Dopo l’autorizzazione vescovile arrivarono le donazioni: Matteo Bonconte nel 1348 redasse il suo testamento lasciando erede questo ospizio. Lo stesso fece il sacerdote Federico Palmieri nel 1361 . L’edificio sorgeva in contrada san Bartolomeo edificato su un suolo che era del Capitolo della Cattedrale, salvi i diritti dei canonici . Da lcune ricevute conservate, il censo per Roma, stabilito in 12 libre, risulta pagato . Dopo un decennio dalla fondazione anche il vescovo Bongiovanni incrementò i lasciti con sua bolla che ripeteva la facoltà per l’ospizio di recepire donazioni e di raccogliere offerte.
MERCATO A BELMONTE
Il commercio ed i traffici si svolgevano in prevalenza all’interno del territorio Fermano e con le città marittime dell’Adriatico. Il commercio interno era in prevalenza costituito dallo scambio dei prodotti agricoli e di quelli da essi derivati. Per il contado era Fermo il centro degli scambi più proficui, oltre che per comodità, anche perché gli Statuti Fermani prescrivevano norme piuttosto accentratrici in questo senso: “ le mercanzie non debbono essere mandate o estratte se non per mezzo dei porti della città” (Statuta: lib. VI, rubr. 28). Né questo deve far meraviglia, in quanto era necessario che fossero fatte le provvigioni, specie di generi primari, innanzitutto, per Fermo che, per la sua maggiore popolazione, e per l’afflusso di forestieri e di soldati, aveva le maggiori esigenze. In genere i prodotti locali erano tutti di libera estrazione, senza necessità di alcuna tassa speciale, se non la normale gabella prevista per la loro vendita, che restava invariata, sia che tale contratto fosse stipulato tra abitanti del Comune e dei castelli, sia con i forestieri. Questo fatto è facilmente riconducibile alla condizione sociale del comune, cioè al ceto di consumatori e alla prevalenza nel comune di una popolazione che traeva le fonti di vita dalla coltivazione dei campi. Soltanto in alcuni generi particolari vigeva un regime, per così dire, protezionistico, come nel caso del legname nuovo e vecchio lavorato, che non venisse estratto dalla città (Statuta, lib. VI, rubr. 19). Per altri generi esisteva un vero e proprio calmiere. Gli statuti ci informano che per alcuni generi di prima necessità (farina ,orzo, legumi) i priori avevano facoltà di porre settimanalmente un calmiere. Statuta, Lib. V, rubr. 145: I signori priori, che ci saranno nel tempo, abbiano autorità, insieme con i regolatori, di provvedere affinché i comitativi, almeno una volta nella settimana, mandino la farina, l’orzo e il vitto nella piazza e li vendano a calmiere (calmum).
Oltre al commercio incentrato sulla città, grande era la cura del comune per i mercati e fiere, dove venivano convogliati i prodotti dell’agricoltura. Due i centri maggiori di questi mercati: San Claudio al Chienti e Belmonte. Per la fiera di San Claudio al Chienti, abbiamo molti documenti nell’Archivio Comunale di Macerata.
Certamente Belmonte Piceno assurgeva al privilegio di un luogo di scambio per la sua posizione geografica. Il castello di Belmonte è collocato nella media valle del Tenna, a 25 km da Fermo, alla sommità di un criminale che fa da spartiacque dei bacini dei fiumi Tenna a nord, ed Ete a sud. Belmonte veniva dunque a collocarsi in posizione mediana tra la montagna e la marina, tra le due predette vallate, e quindi naturale punto di incontro di tutta l’economia agricola locale, inoltre vicino ad un castello che non era Fermano, ma era assai potente, quale era Monte Giorgio.
L’origine di questa fiera doveva essere assai antica, ma quel che è certo, essa era assai importante e fiorente nel secolo XIV. Gli statuti di Fermo ce ne permettono una esatta descrizione. Il mercato aveva luogo tutti i martedì, e si svolgeva in una località appositamente deputata, il forum (piazza), ma data la sua limitata capienza, si spandevano le merci anche nelle vie di accesso: “In qualche strada attraverso la quale si va al detto mercato” (Statuta, lib. VI, rubr. 73).
I mercanti arrivavano il giorno prima (die lune, lunedì) e ne ripartivano il giorno appresso (die mercurii, mercoledì). Alcuni di essi, i più affermati ed abituali protagonisti e frequentatori, avevano addirittura dei caseggiati (cassina vel capanna) per conservare le loro merci. Giungevano al mercato non solo mercanti con mercanzie locali, anche alcuni forestieri (forenses). Lo statuto contemplava un trattamento speciale circa i dazi per coloro che avevano già pagato la gabella nel Porto di Fermo e comperavano a motivo di vendere e di esportare (extrahendi) via mare. Costoro erano esenti dalla gabella sulle merci che vigeva al mercato di Belmonte, così pure quelli che l’avrebbero dovuta pagare nell’atto di imbarco delle merci acquistate e che intendevano esportare.
Una serie di provvedimenti speciali garantiva sia la sicurezza delle merci che quella dei mercanti: (Statuto, ivi) Sia lecito a chiunque nel giorno di lunedì che precede il giorno della piazza (forum) e nel giorno seguente, di mercoledì, da qualsiasi parte sia, venire con mercanzie e con qualsiasi genere di cose e bestie a questo mercato e starvi salvo e sicuro; e nessuno possa offendere nella persona o nelle cose, nell’andare, nello stare, nel ritornare: sia libero e sicuro e prosciolto, nonostante alcune rappresaglie (=punizioni) e condizioni.
Tuttavia il luogo non godeva di immunità perché si faceva presente che si dava autorizzazione a tutti, (Ivi) con eccezione per i banditi e i condannati del Comune di Fermo, i quali non sono compresi nelle cose dette.
Il luogo godeva anche di una certa franchigia: (Ivi) non possano venire in questa piazza (forum) o aver costrizioni a motivo di qualche debito contratto altrove, ma soltanto per debiti contratti nelle cause vertenti ed emergenti dallo stesso .
L’economia Fermana, secondo quanto si è detto sulle norme che regolavano l’estrazione delle merci e secondo alcune disposizioni doganali, si presentava come una economia aperta. Per facilitare gli scambi con le terre all’infuori del distretto erano contemplate alcune particolari agevolazioni doganali e di gabelle.
Al mercato di Belmonte concorrevano mercanzie di ogni sorta: in base a quelle nominate negli statuti possiamo dedurre che esse però fossero soprattutto costituite da prodotti tessili, grezzi e lavorati, bestiame vivo e macellato, prodotti cerealicoli: questi ultimi variavano in quantità e genere secondo i diversi momenti stagionali.
Un’ultima considerazione: mentre la fiera di San Claudio subì momenti floridi e momenti difficili, persino interruzioni di attività, il mercato di Belmonte invece fu di gran lunga più continuo e costante. Negli anni stessi della difficile situazione politico-militare, durante la Legazione del card. Egidio Albornoz, continuò ad effettuarsi ed in modo assai efficiente. i Paccaroni che erano mercanti e banchieri di Fermo, negli anni 1350-1352 riuscivano a collocare quantità notevoli di lana e i formaggi. Antonio Paccaroni fu un proprietario terriero e un mercante.
Da quel che ci risulta e dalla modalità della registrazione, egli fu attento e scrupoloso nell’esercizio del suo commercio. La sua attività si esplicava soprattutto nei generi di importazione, di cui Fermo faceva difetto, come il lino, il panno, e il sale; o quei generi di esportazione la cui produzione era cospicua nelle terre del Fermano: lana, formaggi, olio e vino.
I traffici erano piuttosto estesi e si stabilirono soprattutto con le terre della Dalmazia per quanto riguarda il vino, l’olio e sale, mentre i prodotti caseari e la lana erano oggetto di scambio nelle fiere di Belmonte Piceno.
Per gli scambi nei mercati locali, egli si serviva dei suoi subalterni; dei pecorari, dei cavallari o di uomini di fiducia; mentre per i traffici con la Dalmazia e con Venezia si costituivano vere e proprie “compagnie”, che oggi diremmo ‘società a responsabilità limitata’ in cui ciascuno dei soci era impegnato a rispondere pro rata nel caso di disavanzo e del pari percepivano pro rata i guadagni che se ne fossero ricavati.
Dal registro fermano 1005 desumiamo i dati. Un esempio di costituzione di una compagnia può essere il seguente: “Matheo de Barnabeo ave e recevecte da mene Antonio de Paccarone a die V de Januarii per una compagnia facta de sporte de olliva e de ollio trallo dicto Marchetto e Sonnecto (?) dasschelle e Marchecto de Pacarone e Thomassino de Morischo e io Anthonio de Pacarone, in la quale compagnia io si o dacto e paghato in denari contati al decto Matheo a prodo e a danno in la decta compagnia di fine che se ne vendeva loro e che se ne farage la raxone” (c. 1). M. di Barnabeo ricevette da Antonio P. per una compagnia di sporte di oliva e di olio tra il detto Marchetto e S. d’Ascoli e Marchetto P. denari contanti a pro e a danno per la detta compagnia fino a che si venderà e che si farà la ragione”.
Come si vede anche da questo suo testo, gli interessi commerciali del Paccaroni erano piuttosto vasti; nella compagnia risultano associati a lui oltre a Machetto dei Paccaroni, anche altri mercanti come Tommasino di Moresco e altri due di Ascoli, città che non era sotto la giurisdizione di Fermo. Matteo di Bernabeo era l’esecutore e l’impresario di tale compagnia.
Da un’altra annotazione, sappiamo che Matteo de Bernabeo andò a Venezia per l’olio in questione. L’impresa fu certamente notevole perché a conclusione si legge: “Tornange Matheo de Barnabeo da Venezia, redusse in danari dollio chello portone in tucto e detracto fora le spexe chello ge fece, ducati 287 e soldi 30” (c.4) 3 aprile 1349. Matteo di Barnabeo, a Venezia ridusse in denari l’olio portato, e tratte fuori le spese che egli vi fece, ci fu un guadagno.
Talora le commissioni vennero affidate dal Paccaroni ad alcuni Schiavoni che non sappiamo se domiciliati a Fermo od operanti nella loro terra: “Io Anthonio si deve a Marotino de Laurana che me dovesse comperare a Sybenicho tanto sale che manctasse denge in la caxa de lo salle pressete Thomasso dalmiano et Symone da Monte Actone he denne lo salle. Ricevì lo salle da lo decto Maectino. Ducati XLV”. (c.5) 14 marzo 1349. Martino di Laur(e)ana, gli doveva comperare a Sebenico tanto sale che entrasse nella cassa del sale presso Tomasso, dalmata, e Simone di Montottone che diede il sale. Ricevette il sale dal detto Martino.
L’esempio di compagnia di questo Paccaroni non è l’unico che possiamo detrarre dal suo libro di conti. Il 5 aprile 1349 si formò un’altra compagnia con Donato d’Ascoli e Marchetto Paccaroni in cui da parte sua Antonio improntò 136 ducati per “una compagnia de CC some de grano lo qualle devia comparare lo decto Donacto et io Anthonio alla mictade (metà) de lo guadagno e de la perdenda…. (c.6; 5 aprile).
Il 9 maggio dello stesso anno, Antonio Paccaroni strinse un’altra compagnia con Cesco de Francesco. Seguiamo l’esito di questa impresa di cui non è precisata la merce da acquistare, ma definita col termine “mercatandia”: Antonio impegnò complessivamente 135 ducati. L’incarico degli acquisti fu affidato al solito Donato d’Ascoli, agente della compagnia a Venezia. La mercanzia acquistata venne valutata per un valore di 720 libbre circa. Allo sciogliersi della compagnia, l’ultimo di giugno: “Item recevì io Anthonio de Paccarone da lo decto Cesscho de Francesscho cio che esse scritto in queste carthe denanze de lo decto quaterno; li quali dinari [……] al decto Cescho e gnussece de li altre denare con quisti chio scriverone in gnange in derecto per mia mano in lo decto quaterno, ducati quattrocento d’oro” (c.10v). Antonio Paccaroni dal detto Cesco di Francesco ricevette denaro e aggiunti altri denari (in tutto) ducati 400 d’oro”.
La sua attività mercantile doveva svolgersi per via mare nella maggior parte e gli scambi dovevano essere di notevole volume se anziché usare le navi mercantili di passaggio, egli noleggiava in proprio dei legni: “Item recevì io Anthonio per la decta dativa li quallo io se scontane in lo navollo de lo legno a Jorzo Ceressa che madusse un charto de salle. Ducati VIII” (c. 2v). “E ricevetti io Antonio per la detta dativa, con la quale io scontai per il nolo del legno a Giorgio Ceressa che m’addusse una quantità di sale, ducati 8”. Ed altrove di nuovo il Paccaroni annotava: “Item avè al decto Anthonio [Antonio de Domenechello] per parte de pagamento de lo navallo de la barca suca quando andone a Pago; ducati 5”. (c.11v). Antonio P. ebbe per rata di pagamento del nolo della barca, ducati 5”.
L’attività di mercato gli fruttava proventi utili al punto che la disponibilità di denaro gli permetteva di esercitare un’attività che potremmo definire bancaria.
Tra le registrazioni al “mastro” in esame-, troviamo numerose annotazioni di prestiti. Le persone a cui essi venivano effettuati erano le più disparate: a membri della sua famiglia, religiosi, ed ai dipendenti, a persone di ogni condizione e perfino ad ebrei.
“Die XV Junii Marchecto Pacarone me de’ dare ch’io li (gli) prestage (prestai), quando comparone (comprò) lo rontino Ducati IIII” (c. 11) “1349, die jugno. Culluzzo de Paccarone me de’ dare ch’io dene per lugne (lui) a Cesscho de magistro Ftrancesscho Caxano in caxa (casa) e promisseme de rèndemelli lo decto Culluzzo per fine a XV die Ducati XXX (ivi).
“Lo priollo (priore) di Sancta Maria a Mare mendave dare ch’io deve (detti) a Moscaione fante, ducati II. Ricevì dallo priollo in lo die XVIII de Jannari, ducati II” (c. 3v).
“Fiollo de Spicica pecoraro de Marchecto me deve dare ch’io li prestage per una quarta de salle soldi VIIII” (ivi).
“Consegno iodeo men dè dare ch’io li prestage sopra una conrona. Perrò ene che la conrona non valle tanto….. Ricevè lo decto consegno la decta conrona et io recevì ducati XX”(ivi).
È un caso chiaro di credito su pegno e ironia della sorte, in tutta la precisione del Paccaroni, un ebreo è riuscito ad imbrogliarlo nel pegno. Ogni prestito era accuratamente registrato nella data di emissione e in quella di ritorno. Talora per maggiore precisione il Paccaroni registrava il luogo e le circostanze in cui il prestito veniva fatto. Riportiamo due annotazioni particolarmente accurate:
“Culluzzo de Paccarone me dè dare ch’io li prestage in la longna [loggia], anconetani V. Recevì die XXI marcii un bolognino grosso da lo decto Culluzzo. Restane ad dare dallo decto Culluzzo soldi V” (c.5v)
“Colla de Clerecho de la contrada de Campollece [Campoleggio] si me dè dare ch’io li prestage in caxa [casa] de Marchecto de Paccarone a contage [contai] in mano sua propria. Ducati L. Die XXVIIII marcii. Ricevì da lo decto Colla ducati L”. (Ivi).
Oltre a queste attività commerciali e finanziarie che complessivamente abbracciavano un notevole volume di affari, Antonio Paccaroni era il “Bancherius Communis Firmi”. Questo incarico può essere oggi paragonato a quello di contabile, e di esattore tesoriere del comune, due funzioni insieme. In altri termini, a lui erano affidate le entrate del comune, e parimenti da lui venivano effettuati i pagamenti del comune.
Incarico delicatissimo come si vede ed estremamente importante che solo un ricco possidente e mercante, con notevole disponibilità di denaro, poteva assolvere. Infatti era necessario, per far fronte ai pagamenti, improntare spesso del proprio, in attesa di potersi rifare con le ulteriori entrate dei tributi e delle gabelle.
Entrate e uscite erano accuratamente registrate dal Paccaroni in libri ben distinti: Liber introitorum e Liber expensarum. Tali registri sono molto più ordinati dei libri di conti dell’attività privata; hanno una suddivisione distinta per voci che determinano le singole entrate o uscite.
Sono scritti nel caratteristico latino notarile ed hanno clausole introduttive e di revisione per mano del notaio comunale. Evidentemente in materia finanziaria pubblica il comune non poteva agire sulla base della fiducia per il suo banchiere, ma si serviva di un ispettore costituito da un notaio comunale. Esemplare a questo riguardo è l’incipit del codice 1004.

Doc. 8 – Anno 1351 da ASF Liber 1004, tesi pp. 123-124
Registro di contabilità comunale
“In dei nomine. Amen. Hic est liber sive quaternus omnium et syngularum expensarum et solotiomum bullarum factarum per Antonium Johannuctii bancherium generalem comunis Firmi ad dictum offitium bancheirati spetialiter deputatus per magnificum et potentem dominum Gentilem de Moliano gubernatorem civitatis et populi Firmi factus editus et compositus tempore regiminis nobilis et potentis viri Vangioli Adductii de Foligno honorabilis potestatis dicte civitatis et scriptum per me Puctium Nicoluctii notarium dicti bancherii, ad dictum offitium notarii, per dictum dominum gubernatorem spetialiter deputatum, sub anno domini millesimo trecentesimo quinquagesimo primo, indictione quarta, diebus et mensibus infrascripris. Signum mej Puctii Nicoluctii [……] Nel nome di Dio. Amen. Questo è il libro o quaderno di tutte e singole le spese e dei pagamenti delle bolle fatte per mezzo di Antonio di Giovannuccio banchiere generale del comune di Fermo, deputato specifico a questo ufficio di banca per mezzo del magnifico e potente sig. Gentile da Mogliano, governatore della città e del popolo di Fermo; redatto e composto al tempo del regime del nobile e potente uomo Vangiolo di Adduccio da Foligno, onorevole podestà di questa città; e scritto da me Puccio di Nicoluccio notaio di questo banchiere, deputato a questo specifico ufficio di notaio per mezzo del detto governatore, nell’anno del Signore 1351, indizione quarta, nei giorni e mesi scritto sotto.
ANTONIO DI GIOVANNUCCIO PACCARONI.
Questo paragrafo vuole presentare in concreto l’attività mercantile nella Fermo del secolo XIV. A questo scopo abbiamo scelto di delineare, nei tratti essenziali, la figura di un mercante Fermano, Antonio di Giovannuccio Paccaroni, i cui registri (libri) di conti e registri vari, sebbene mutili e incompleti, sono conservati nell’archivio Fermano. Sulla loro base cercheremo di delinearne l’attività, con quelle ovvie lacune che le deficienze di ulteriori documenti lasciano incolmate.
Sarebbe infatti necessario allargare le ricerche ad altri archivi, come quello Vaticano e quelli veneziani e dalmati, per rendersi conto del reale volume degli affari di Antonio Paccaroni e per chiarire le attività e le funzioni di altre persone che erano al suo servizio. La ricerca pertanto è sinora incompleta. La famiglia Paccaroni ebbe una tradizione mercantile e bancaria a Fermo, che risaliva a tempi molto antichi, probabilmente all’origine del Comune. Questa attività si è tramandata nei vari discendenti della famiglia fino al secolo XIX. Di questo periodo troviamo una lettera del Podestà di Fermo, Filippo Moscatelli, inviata alla rev. Camera Apostolica acciocché, si continui, dopo la morte di Ignazio Paccaroni, l’incarico di Depositario.
Si legge tra l’altro: “Ha la Famiglia Paccaroni, Nobile nella città di Fermo, da lungo tempo, fino a’ dì d’oggi goduto l’onore di servire la rev. Camera Apostolica nella Depositeria, ad amministrazione delle rendite, tributi e censi di quella Città, con prima raccorle, e poi dispensarle alli Salariati, Governatori, ed altri Ministri subalterni, Maestri, Lettori …”
Non fa quindi meraviglia se questa tradizione di famiglia la troviamo affermata pienamente già fino dal secolo XV con Antonio di Giovannuccio che troviamo operare in città dal 1348 al 1373.
Due attività economiche ben distinte che si possono apprezzare in Antonio sono quella del banchiere, e quella dell’esattore del Comune. Prima di esaminarle partitamente, vogliamo fare una breve ma necessaria descrizione del materiale d’archivio cui faremo costante riferimento. Si tratta di un gruppo di codici cartacei in 4° in cui è contenuta l’intera amministrazione di Antonio Paccaroni. Essi sono tutti mutili e talora ridotti a solo qualche carta restaurata e rilegata in volume restaurato nel 1969. Complessivamente i volumi sono otto e la loro numerazione risale al secolo XVII quando tutti i principali documenti dell’archivio Fermano furono inventariati da Michelr Hubart da Liegi nel 1624. Diamo sommariamente le caratteristiche di ciascuno registro (Liber).
1 – Liber 1005 Libro grosso in cui era contenuta tutta l’amministrazione privata di Antonio, mercante e banchiere. Decorre dall’inizio dell’anno 1349 al 13 agosto 1350; comprende 15 carte, rilegate, scritte ante e retro. E’ il più importante di tutti, è scritto in volgare. Gli si potrebbe attribuire un titolo più ampio secondo le parole dell’inizio:
“Quisto è ne lo livrero ello quanto da Anthonio de Paccarone, in lo quale se contene et scripto tiene la raxone ch’ello a a fare all’altre et dall’altre con lugne” cioè: Questo è il libro tutto quanto di Antonio Paccaroni, nel quale si contiene e ritiene scritto il resoconto che egli deve fare con gli altri e gli altri con lui . Il codice termina così: “ Ricevì da lo detto Vango Monzapane dei XXV septembre, ducati XXII”.
2 – Liber 1020. Liber diversorum computorum. Come nel codice già indicato n.1005 anche qui è registrata l’amministrazione privata di Antonio Paccaroni che decorre dal 1353 al 1373: il volume è estremamente mutilo e pochissime sono le carte integre. Le carte sono scritte solo su un verso (bianco il tergo) e riportano un’antica numerazione che giunge al numero 24, ma con numerosissime sopraggiunte lacune intermedie.
3 – Liber 1019. Liber computorum pecorariorum domini Johannctii Paccharoni. E’ un registro in cui il mercante teneva computati la produzione e il mercato degli ovini e dei prodotti da essi derivati. Senza data, ma con molta probabilità deve essere collocato intorno all’anno 1350. L’originale doveva essere molto voluminoso; ora ne restano solo alcune carte: dalla carta 37 alla 45 e 46: questa ultima erosa in gran parte, e sbiadita a tal punto da essere pressoché illeggibile.
4 – Liber 1011. Liber introitus buccharum, bestiarum et caballiorum. Registrazione dei proventi della vendita del bestiame grosso proveniente dalla possessione dei Paccaroni: mucche, bestie e cavalli. Ben conservato e ben leggibile; carte 38, di cui molte scritte solo nella facciata anteriore, poi dalla 22 alla 23 anche retro.
5 – Liber 1022. Liber ex(i)tus sive expensarum factarum per dominum Antonium Johann. Paccaroni, Bancherium Communis Firmi, super solutione stipendiorum dicti Communis da anno Domini 1351. Volume rilegato e restaurato negli anni 1962-1963. Composto di 14 carte, fortemente scolorito, di cui alcune carte sono illeggibili. La numerazione nuova è fatta a matita, mentre la vecchia si legge solo in alcune carte. Il restauro non fu bene eseguito perché il codice non è un’opera uniforme. Dopo la carta seconda, seguono altre carte che non sono certamente del questo medesimo registro (liber) in quanto si tratta di “Entrate” del 1366 il cui compilatore è Riczio Nicolicti, notaio dei Paccaroni, e sono carte di tutt’altro interesse. Evidentemente durante l’opera di restauro non si è andati troppo per il sottile, rilegando insieme carte diprovenienza diversa.
6 – Liber 1014. Liber exitus seu expensarum factarum per dominum Antonium Johann. Paccharoni, Bancherium generalem Communis Firmi, de anno Domini 1355. Si tratta delle spese del Comune di cui la maggior parte riguarda il risarcimento per le ambascerie di inviati ad altri Comuni, su incarico del Comune di Fermo. Volume in buono stato, composto da due quinterni per complessive 16 carte di cui sono scritte soltanto le prime 14. Manca del tutto la numerazione di queste.
7 – Liber expensarum Communis Firmi sub anno Domini 1351. Contiene i pagamenti fatti dal Paccaroni per ordine del Comune di Fermo ai salariati dello stesso Comune. Volume mutilo, di cui restano soltanto le prime cinque carte, scritte ante e retro.
8 – Liber 1013. Liber introitus diversarum pecuniarum receptarum per dominum Antonium Johann. Paccaroni, Bancherium Communis Firmi, super solutione stipendiorum de anno Domini 1351. Questa intitolazione data dall’Hubart a un Liber che lui ha numerato 1013 di fatto non trova riscontro in queste attuali carte che contengono la registrazione dei proventi delle gabelle. Il volume consta di 16 carte, di cui solo sette scritte. Al codice restaurato nel 1962-1963 è aggiunta una ‘cartula’ con il mandato del Comune all’ufficio di ‘Bancherius’ ad Antonio Paccaroni. Questa però è dell’anno 1361 e quindi non va unita in questo testo.
Su questa base, cerchiamo di delineare la figura di Antonio dei Paccaroni, secondo le diverse angolazioni suaccennate. Egli fu innanzitutto un possidente terriero. Non ci è possibile fornire i dati dei suoi possessi perché siamo sforniti di ogni dato catastale dell’epoca, ma da quanto si può desumere dai codici predetti 1019 e 1011 egli aveva vasti allevamenti di cavalli e di ovini. Ora non è concepibile l’attività di allevatore, distinguendola, per quei tempi, dall’essere possessi terrieri. Certamente dovette appartenere ad una famiglia nobile che possedeva fondi un po’ qua e un po’ là, per tutto il territorio del Fermano.
È interessante notare come l’esercizio della mercatura non sia stata l’attività primaria dei Paccaroni. A Fermo erano tipici proprietari terrieri che del reddito della proprietà fondiaria facevano strumento e mezzo di investimenti mercantili. In ultima analisi, ancora una volta, l’origine rurale del Comune è il punto di partenza e il riferimento d’obbligo per rendersi conto di ogni successiva manifestazione economica e sociale di Fermo. Del resto questa separazione inesistente tra proprietà fondiaria e attività commerciale, che è quanto dire tra nobiltà e ceto mercantile, era assurda nelle condizioni generali.
Lo nota assai bene il Sapori che scrive: “Così venne a mancare in Italia la netta separazione che altrove permetteva e determinava le equivalenze campagna-nobiltà e città-borghesia ed a mano a mano perdettero valore anche le altre, nobiltà-proprietà terriera e capitale fondiario e borghesia-lavoro; e traffico e capitale mobiliare: in quanto avvenne che i terrieri inurbati si dessero altre attività mercantesche, e gli artigiani e i mercanti cittadini destinassero parte degli utili delle loro fatiche all’acquisto dei fondi rustici”.

Doc. 9 – Anno 1349 da ASF Liber 1005. Tesi pp. 296-307 Tradotte dal volgare
‘Libro Grosso’ registro del mercante e banchiere Antonio Paccaroni.

Nel nome di Dio. Amen. Anno 1349, indizione sesta.
“Questo è il libro quanto di Antonio Paccarone, nel quale si contiene e ritiene scritto il resoconto che lui ha da fare con gli altri e gli altri con lui.” \\
*Matteo di Barnabeo ebbe e ricevé da me Antonio de Paccarone il giorno 5 gennaio per una compagnia fatta di sporte di oliva e di olio, tra il detto Marchetto e Sonnetto (?) di Ascoli e Marchetto de Paccarone, nella quale compagnia io ho dato e pagato in danari contanti al detto Matteo a frode e danno nella detta compagni, al fine che si venderà loro e che si farà la ragione: Ducati 76 e soldi 40
*E ricevé il detto Matteo il 28 gennaio per la detta ragione che ho scritto sopra, io Antonio de Pacarone per la detta ragione che io ho scritta sopra.
*Io Antonio de Pacarone ricevei da Finacto da Moregnano per la dativa imposta per il comune di Fermo, quattro libre f. (per fumante) e quattro per C. (cento?) delegata a me Antonio il castello di Moregnano per 400 libre Ducati 30
*E ricevei dal detto Finolli che mi diede Marchetto de Pacarone per la detta dativa
Ducati 3
*E ricevei dal detto Finello per la detta dativa Ducati 4
*E ricevei Culluzzo de Pacarone dal detto Finello per la stessa dativa Ducati 19
*E ricevei io Antonio dal detto Finello per la detta dativa Ducati 5
*E ricevei dal detto Finello per la detta dativa Ducati 9
*E ricevei io Antonio dal detto per la detta dativa imposta per il comune Ducati 6
*E ricevei che mi diede il figlio di Marchetto de Ranalduzzo per la detta dativa dei quali denari ne ha Colluzzo de Pacarone 15 ducati \ Ducati 23
Giorno 28 marzo
*E ricevei per la detta dativa da uno da Moregnano che ricevette una carta ducati 3 E ricevetti detto giorno da uno da Moregnano per la detta dativa, la quale aveva una cintura in pegno per ducati 3. Ricevei di ambedue come io ho scritto: Ducati 6
Giorno 28 ottobre
*E ricevei per la detta dativa che ho detto sopra, dalla madre di Collo di Marchetto di Ranalduzo Ducati 11 Soldi 40
*Da tutti questi dai quali io ho ricevuto per la detta dativa libre 400
*Io Antonio de Pacarone ricevei da Mallatesta da Torre di Palma per la detta dativa imposta per il comune di Fermo 40 libre per F. (fumante) e 40 per C. (?cento) delegata a me Antonio per detto castello di Torre di Palma per 1442 libre e 16 soldi:
Ducati 100
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma per la detta dativa
Ducati 30
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma per la detta dativa il giorno 26 gennaio Ducati 100
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma, per la detta dativa Ducati 29
Giorno 23 d’agosto
*E ricevei io Antonio, per la detta dativa Ducati 14
*E ricevei io Antonio, per la detta dativa i quali, io, giù si scontano in nolo del legno a Giorzo Ceressa (?) che mi portò un carico di sale Ducati 7
Giorno 27 gennaio
*Io Antonio de Pacarone si deve in nolo la casa di piazza per fine a san Migelle (Michele?) per 13 ff (focolari) e 10 piedi, dei quali non ricevei
Ducati 35 Soldi 11 Denari 6
*Marchetto de Pacarone mi deve dare che io gli prestai Ducati 3
*E mi deve dare, che io diedi a Matteo di Barnabeo Ducati 2
*Ricevei dal detto Marchetto Ducati 5
Giorno 29 gennaio
*Il Priore di Santa Maria a Mare mandava a dire che io d(essi) a Mosca (suo) fante
Ducati 2
*Ricevei dal detto priore il giorno 18 gennaio Ducati 2
Giorno 1° del mese di febbraio
*Colla di Clerenco dalla contrada di Campolege mandò a dare che io gli prestai in casa di Marchetto Pacarone Ducati 90
*Ricevei che mi (deve?) Marchetto Pacarone Ducati 50
*E ricevei dal detto Colla Ducati 40
*Matteo di Barnabeo mi dare che io gli detti per sete (?) Giovannino da Moresco Ducati 5
*Ricevei dal detto Matteo Ducati 4
*Ricevei dal detto Matteo Ducato 1
Giorno 20 mese febbraio
*Consegno Giudeo mi dare che gli prestai una corona, però è che la corona non vale tanto e dalla detta corona Ducati 20
*Riceve lo stesso Consegno la detta corona e io ricevei Ducati 20
Giorno 5 marzo
*Cesco di Francesco mi deve dare che io gli prestai in piazza Ducato 1
*Ricevei dal detto Cesco il giorno 15 marzo Ducato 1
*(Il) figlio di Spicica pecoraio di Marchetto mi deve dare che io prestai per una quarta di sale Scudi 8
*Io Antonio di Pacarone si da a Matteo di Barnabeo per la compagnia delle sporte come io ho scritto nella prima carta di questo libro per pagare la gabella di 4 moggi di olio Ducati 2
*E per le spese di dette sporte e per le “bestenge” che stanno nelle sporte, per fare le spese e per la parte mia tanto Soldi 2
Giorno 21 marzo
*E detti a Metteo di Barnabeo per le spese le quali fece ai fanti delle sporte e da null’altre e per la gabella e per altre spese Libre 20 soldi 9
Giorno 12 aprile
*Tornò Donato d’Ascoli da Venezia e portò 12 . . . “mendre” de legno (?) il quale vendei a Ser Andrea di Beltramino a lire 77 il “minagaro” (?) alle libre di Venezia ridotte in denari in tutto con Ducati IIILXXXX (390) Soldi 11
*Tornò Matteo di Barnabeo da Venezia, ridotte in denari di olio che egli portò in tutto e detratto fuori le spese che lui fece: ducati C\ IILXXXVII (=287) soldi 30
Giorno 6 marzo
*Collo de Clereco dalla contrada di Campolege mi deve dare che io gli prestai in casa di Marchetto Pacarone per fante Ranaldo di Simone dalla contrada di Pila:
Ducati 50
*Ricevei dal detto Colla giorno 22 marzo Ducati 50
*Ranaldo di Simone dalla contrada di Pila mi deve dare che io gli prestai: Ducato 1
*Ricevei Ducato 1
Giorno 8 marzo
*Honeino sartore mi deve dare che io gli prestai che die’ a lo fante che stette con lui a San Benedetto Soldi 20
*Ricevei Soldi 20
*Cesco de “lo cazeffare” mi deve dare che io gli prestai per . . . . . .
*Io Antonio devo a Marotino da Laurana (Laureana?) che mi dovesse comprare a Sebenico tanto sale che montasse e die’ nella cassa del sale prese Tomasso Dalmiano (?Dalmata) con Simone da Montottone che die’ il sale Ducati 45
*Ricevei il sale dal detto Marotino
Colla da S. Marche mi deve dare che io gli prestai sopra il “Rontino” sono Ducati 3
*Ricevei dal detto Colla Ducati 3
*Roncero da Mogliano mi deve dare che io gli accompagnai per “lugne” tre some di vino e tre libre di candele alla ventura degli . . . che sommano in tutto Libre 9
*Ricevei dal detto Roncero Ducati 3
Giorno 21 marzo
*Colluzo de Pacarone mi deve dare che io gli prestai nella loggia: Anconetani 5
*Ricevei un bolognino grosso dal detto Culluzo; mi restano a dare al d. Culluzo:
soldi 5
Giorno 29 marzo
*Colla di Clereco dalla contrada di Campolege mi deve dare che io gli prestai in casa di Marchetto de Pacarone e contai nelle sue proprie mani Ducati 50
*Ricevei dal detto Colla Ducati 50
Giorno 3 aprile
*Ricevei io Antonio, d(a)lla compagnia delle sporte fatte per Matteo di Barnabeo come io ho già prima scritto denari che rese Donato d’Ascoli e per la parte mia:
Ducati (?)15
Giorno 16 maggio
*E ricevei, io Antonio, per la detta compagnia delle sporte di olio che portò Matteo di Barnabeo, rese tanti denari che me ne conto come parte Ducati 37 Soldi 20
Giorno 5 aprile
*Io Antonio de Pacarone devo (?) Donato d’Ascoli per una compagnia di 200 some e io Antonio alla metà del guadagno e della perdita che devo “degnarde” di che per “arrare” per le dette 200 some del grano al detto Donato e “gene” a Montegranaro Ducati 25
*E ricevei dal detto Donato per il detto grano da me Antonio, in più volte che die’ (?) a Marchetto de Pacarone Ducati 109
*E ricev(é) il detto Donato da me per la detta ragione del grano Ducati 2
Giorno 2 agosto
*Ricevei io Antonio, da Donato d’Ascoli di 2 stari di grano venduti per la mia parte, come lui dice Ducati 55 Soldi 42 Denari 3
*E ricevei il giorno 4 agosto Ducati 46 di oro

TASSATI I SERVIZI
Nella ricerca sono studiate le finanze del Comune di Fermo e è riferita una norma statutaria per la dativa sui terreni nella città e nel suo distretto ”comitantense”. Il dubbio sull’anno 1340? (p.307) e 1349 (p.131), resta da chiarire da parte degli studiosi; il doc. dice trattarsi dopo la battaglia contro San Ginesio, avvenuta nel 1377.

Doc. 10 – Anno ? 1308 circa da ASF pergam. 796 Tesi pp. 307-308
Particola degli Statuti (Fermani) riguardo alla dativa dei fondi (rurali)
Nel nome di Dio. Amen. Copia o esempio di uno statuto nel libro o volume degli Statuti del Comune di Fermo. Eccone il contenuto. Rubrica dei beni apprezzati per la dativa che si deve pagare. Decretiamo ed ordiniamo che ogni cittadino o abitante del distretto comitatense della città di Fermo che ha o avrà alcune possessioni o beni nella città di Fermo o nel distretto, in dote o per dote, o in qualsiasi modo, (questi) siano apprezzati nel prezzo e nel catasto del comune di Fermo, e sia tenuto a pagare per ciò l’affitto, come gli altri cittadini di Fermo, e lo stesso affitto sono tenuti a pagarlo anche per il tempo passato, dall’inizio della guerra con San Ginesio. E al fine di dover pagare l’affitto, l’esecutore attuale ed i futuri nel tempo, possano e debbano far procedura sia contro i padroni e i possessori di questi beni, o contro i lavoratori e pensionari o conduttori di essi beni, come deciderà il detto esecutore, secondo come più facilmente si esplichi il pagamento di questo prezzo, costringendoli anche ‘realmente’ e personalmente, con rimedi adatti a pagare e soddisfare i prezzi dei detti beni. L’esecutore è tenuto a fare l’esecuzione sotto penalità di cinquanta libre ravennati, tolto il computo del salario dell’esecutore. Io Angelo di Bernardo ( …) come ho trovato nel libro degli Statuti del comune di Fermo, così fedelmente e ordinatamente trascrissi, copiai ed esemplai.

A Fermo economia e società debbono essere considerate il punto di partenza per comprendere a pieno i fenomeni politici e amministrativi .
(Liberati Germano trascrisse i documenti qui tradotti per la sua tesi di laurea all’Università di Urbino a. 1970 sul “Economia e governi a fermo nel primo Trecento)

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SERVIGLIANO COSTRUZIONE RINNOVATA NEL 1414 SANTA MARIA DEL PIANO VESCOVO COMUNE CATALUZIA

Servigliano 1414 S. MARIA del Piano
Documento edito in latino qui tradotto. SERVIGLIANO documenti della chiesa S: MARIA DEL PIANO anno 1414 giugno 11 e 22 Dominio e giurisdizione del Vescovo di Fermo, in un terreno della parrocchia San Marco.
= “Giovanni de Firmonibus per grazia di Dio e della Sede Apostolica vescovo e principe di Fermo, scrive ai prudenti nobili uomini Massari di Credenza, ai governanti amministratori ed al Comune del castello di Servigliano, salute nel Signore. Da parte vostra è stata presentata a noi una richiesta per mezzo del vostro oratore Domenico di Angelo da Servigliano (Serbeliano) e conteneva che molti mesi son passati da quando una certa Cataluccia di Petruccio di Giovanni Venanzi da Servigliano, donna spirituale abbastanza devota a Dio e alla beata Vergine Maria, asserì e disse, dice e asserisce che a lei venne una divina rivelazione che rivelava che nel territorio di Servigliano in un terreno posseduto dalla pieve di San Marco di Servigliano, sito nella contrada che è chiamata il Piano di San Marco, presso i beni degli eredi di Cola di Anselmo, i beni di Antonio di Paolo Bocci, i beni di Giovanni di Nicoluccio Cimini e i beni della chiesa di Santa Maria del Castello Fermano e altri confini, si debba edificare una chiesa sotto il vocabolo di santa Maria del Piano, a riverenza della gloriosa Vergine Maria Madre del Signore nostro Gesù Cristo, affinché per intercessione e per le preghiere della stessa beata Vergine Maria presso nostro Signore Gesù Cristo, ogni diabolica e iniqua facoltà e le tempeste, le grandini, le guerre ed altre avversità del mondo, siano tolte e allontanate da questo castello di Servigliano, dal suo territorio e dai cristiani che qui abitano o che avranno modo di abitarvi in futuro, allontanata ogni cosa che a questi nel detto luogo e territorio potesse nuocere; ogni giorno questa donna spirituale Cataluccia insiste affinché si faccia questa chiesa e spinge gli uomini di questo castello affinché facciano questa chiesa; pertanto gli uomini Massari di questo castello, nel timore che per il ritardo della edificazione di questa chiesa non vogliano incorrere nell’indignazione di Dio onnipotente e della beata Vergine Maria, e nella speranza, rivolta a Dio onnipotente e alla beata gloriosa Vergine Maria, affinché dall’edificazione di questa chiesa provengano molti e prosperi beni per gli uomini di questo castello, volendo e intendendo essi far edificare questa chiesa sotto il vocabolo detto Santa Maria del Piano, nel luogo detto, con altare e campanile e farvi celebrare la Messa e gli altri divini uffici, a riverenza dell’onnipotente Dio e della beata Vergine Maria; fare ampliare questa chiesa per quanto possono, noi ci degnassimo di concedere, per grazia speciale, la licenza e la piena autorità di farlo; noi dunque benignamente vogliamo venire incontro alle vostre buone richieste e darvi il consenso con grazia, e vi avvertiamo che vi vogliamo esortare alla devozione buona e pia che avete verso la gloriosa Vergine Maria, piuttosto che dissuadervi, e diamo licenza e piena autorizzazione e concediamo, per mezzo della presente lettera, di edificarla e farla edificare nel luogo come sopra confinato, sotto il vocabolo di Santa Maria del Piano con altare e campanile, affinché vi si possano celebrare la Messa e altri divini uffici e li facciate celebrare e inoltre istituiamo e intitoliamo questa chiesa, che deve essere da voi edificata, sin da ora, come chiesa di Santa Maria del Piano e diamo commissione con la presente lettera a don Agostino di Stefano di Servigliano che ponga la prima pietra nella fondazione di questa chiesa, a riverenza dell’onnipotente Dio e della gloriosa Vergine Maria sua madre. Vogliamo che questa chiesa da costruire qui, e i governatori di essa che ci saranno nel tempo, in tutto, in segno di ricognizione del dominio e della giurisdizione dell’episcopato di Ferno, ogni anno nella festa di Santa Maria del mese di agosto, come censo e a titolo di censo, paghino e siano obbligati a pagare alla camera dell’episcopato di Fermo una libbra di cera, senza alcuna richiesta, in perpetuo sempre facendo salvi e riservati i diritti della pieve di San Marco di Servigliano. A testimonianza di ciò, abbiamo fatto scrivere la presente lettera e l’abbiamo fatta munire con apporvi il sigillo nostro pontificale di cui abbiamo fatto uso quando eravamo nella chiesa di Savona e ve l’abbiamo fatto appendere. Data a Fermo nelle case episcopali di nostra residenza, site presso la piazza, la chiesa di San Martino, la via e altri confini, il giorno 11 mese di giugno, indizione settima, dell’anno del Signore 1414 al tempo del papa Giovanni XXIII.

Documento del 22 giugno 1414 Indulgenza per le offerte alla chiesa di Santa Maria del Piano.
“Giovanni de Firmonibus, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, vescovo e principe di Fermo, salute sempiterna nel Signore a tutti e singoli i fedeli cristiani. Mentre meditiamo le sublimità insigni dei meriti con cui la Regina dei cieli, la vergine Madre di Dio, gloriosamente risplende esaltata sopra le sedi celesti, come Stella mattutina; e mentre ripensiamo anche nell’intimo nostro animo che lei come Madre della Misericordia, della Grazia, della Pietà, Amica del genere umano e come consolatrice per la salvezza dei fedeli che sono aggravati dal peso degli errori, da premurosa esortatrice, sempre molto vigile, intercede presso il Re che lei ha partorito; consideriamo cosa degna e piuttosto un dovere di proseguire negli impegni di generose concessioni e onoriamo, con doni di indulgenze, le chiese che sono dedicate in onore del suo nome. Desideriamo dunque che la chiesa di Santa Maria del Piano in territorio del castello di Servigliano, della nostra diocesi, recentemente fondata e costruita, sia frequentata dai fedeli cristiani con onori adeguati, sia adornata efficacemente di ogni sua cosa, e sia migliorata in modo che vi confluiscano i fedeli a motivo della devozione ancor più liberamente, e porgano mani generose d’aiuti a questo suo ornamento e miglioramento, tanto che per questo vi si riconoscano rifocillati più abbondantemente del dono celeste della Grazia, Noi, confidando nell’autorità derivante dalla misericordia di Dio onnipotente e dai suoi beati apostoli Pietro e Paolo, con questa lettera da valere in perpetuo, concediamo nel Signore, misericordiosamente 40 giorni di indulgenze dalle penitenze impartite, per coloro che, veramente pentiti e confessati, devotamente visiteranno questa chiesa e porgeranno mani generose d’aiuti per il miglioramento o per la fabbrica di essa, nelle feste del Natale, della Circoncisione, dell’Epifania, della Resurrezione, dell’Ascensione, e del Corpo di nostro Signor Gesù Cristo, nella Pentecoste, e nelle feste Mariane della Natività, dell’Annunciazione, della Purificazione e dell’Assunzione; inoltre nelle feste della Nascita di san Giovanni Battista e di tutti gli Apostoli ed Evangelisti, infine in ogni prima domenica di ciascun mese di ogni anno. Dato a Fermo nel nostro palazzo vescovile, nell’anno del Signore 1414, indizione settima, giorno 22 del mese di giugno, nell’anno quinto del pontificato del nostro santo padre in Cristo, Giovanni XXIII papa per divina provvidenza.

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I FIGLI DI GENTILE DA MOGLIANO A PETRIOLO VENDONO POSSESSI NEL 1311

An. 1311 ottobre 4 Petriolo in una pergamena di Fermo n. 2185 PETRIOLO E GENTILE DA MOGLIANO
Nel nome di Dio. Anno 1311, indizione nona, al tempo del Papa Clemente V, giorno 4 del mese di ottobre. I nobiluomini signori Domenico e Gentile, figli del signor Gentile da Mogliano, per sé stessi e per i propri eredi e successori e nelle veci e a nome del signor Francesco, fratello loro, il proprio diritto e in perpetuo, ecc. vendettero ecc., al nobiluomo Mido di Giberto da Petriolo per sé e per i suoi ecc., e come tutore di Bertuccio e di Gentiluccio, pupilli figli del defunto Carbone fratello di Mido stesso ecc. le terre e i possedimenti campestri, VIGNA, BOSCO, CANNETI e le terre molli (moglie) con la grancia o castelletta dei predetti signori Tommaso e Gentile e Francesco che essi ecc. hanno nel territorio e distretto di questo Castello di Petriolo nella contrada Santa Marina a confine con gli eredi di Nerio di Berardo, con in mezzo la strada e con i figli del signor Trasmondo da Petriolo e con Rainalduccio di Carbone di questo luogo, con le pubbliche strade ecc. e con accessi ecc. al fine che li abbiano ecc. e ciò per il prezzo di 1500 libre ravennati e anconetane prezzo tutto ecc. che dichiararono essere presso di loro ecc. di averlo avuto e ricevuto ecc. e di rinunciare ecc. ecc. ecc. Redatto nel Castello di Petriolo nella trasanna davanti alla curia dei figli di Taddeo alla presenza dei testimoni chiamati e richiesti: il signor Gilberto di Taddeo da Petriolo, pievano della pievania di Servigliano; Nuzio, suo fratello; don Giovanni, preposto della Chiesa di San Michele del poggio di Santa Lucia; Saffelino di Saltanbene da Mogliano e Fermano di Giordano da Macerata. Io notaio d’autorità imperiale Riccardo di Plebanello da Petriolo.
digitazione Albino Vesprini

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La Marca di Ancona riconciliata da Giovanni XXII nel 1328 con atto di condono

1328 maggio 9 – Il Papa Giovanni XXII riconcilia la Marca di Ancona con un suo condono.
. Giovanni vescovo servo dei servi di Dio al venerabile Francesco, vescovo fiorentino e al diletto figlio Fulcone da Pavia, tesoriere della Chiesa Andegavense, vice rettore della Marca Anconetana, salute ed apostolica benedizione. Il dovere dell’ufficio pastorale con cui è data a noi la cura del gregge del Signore in generale, ci sospinge con incalzante sollecitudine affinché noi ci affatichiamo, per quanto possiamo, a ricondurre all’ovile del Signore coloro che per errore deviano. Ora alcuni sia chierici che laici, anche comunità e intere popolazioni della Marca Anconetana e di altre terre usate governarsi tramite il rettore di questa Marca, per un’audacia rivoltosa da condannare, commettendo vari orrendi reati, hanno offeso gravemente noi, la Chiesa Romana e il rettore ed gli altri nostri ufficiali di questa Marca; ora però alcuni di essi, usando più saggi consigli, sono tornati alla vera devozione, alla fedeltà e all’obbedienza verso noi e verso questa Chiesa. Altri ancora, come veniamo informati, sono disposti a tornare, con la dovuta riparazione. Noi desideriamo che essi si sollevino e risorgano dai loro peccati ed errori e benignamente porgiamo la mano ad alzarli e ci serviamo del vostro impegno di circospezione per farvi agire plenariamente di nostra autorità e nel Signore a favore di loro tutti e singoli chierici e laici della Marca e delle dette terre, di qualsiasi condizione e stato, anche comunità e popolazioni intere, nel loro ritorno alla devozione, all’obbedienza e alla fedeltà predette, veracemente, senza finzione, dopo che avranno adempiuto a quanto voi deciderete di comandare, tenendo, osservando e mandando ad effettiva esecuzione le vostre decisioni su ciò, e dopo che avranno eseguito le cose prestabilite da voi con cui vorrete provvedere in questa parte, con le soddisfacenti cautele, li assolverete secondo le modalità della Chiesa da tutte singole le sentenze di scomunica, di interdetto ed altro, dalle pene spirituali in cui sono incorsi tramite i nostri processi generali e speciali o quindi del detto rettore o di altri qualsiasi officiali e commissari nostri o inquisitori per eretica deformità o per la giuridica occasione della ribellione e dei predetti eccessi contro gli officiali, fino ad oggi. Condonateli anche per gli interdetti cui le terre, le città e i luoghi loro forse soggiacciono, fate sospensione, riabilitateli, se sono stati resi indegni e incapaci da parte nostra, restituite integralmente loro la fama, lo stato, la dignità e gli onori ecclesiastici e mondani, abolite ogni macchia di infamia o note derivate dalle cose predette; dispensateli dalle irregolarità di cui si macchiarono quei chierici, le persone ecclesiastiche quando erano legati dalle dette sentenze ed hanno celebrato i divini misteri compresi coloro che si unirono a questi. Avete il potere di avvalervi della nostra autorità con il consiglio, con la deliberazione dei fedeli di quelle zone, come deciderete di provvedere, nonostante il fatto che, su queste cose, diciamo di aver fatto diversamente con altro incarico, dato a te fratello vescovo e ad alcuni tuoi colleghi. Per vigore della presente, vi concediamo libera facoltà. Abbiate attenzione tuttavia in modo speciale ed espressamente che quelli che con una sentenza fossero stati condannati per eresia o per fama di eretici diano idonee cauzioni di abiurare di fronte a voi l’eresia. Su questo sarà vostra opportuna considerazione che essi per il resto non agiranno a favore degli eretici e dei ribelli e che non presteranno consiglio o favore di costoro da sé, o mediante altri. Essi siano tenuti a prestare giuramento corporale su ciò; che se tentassero di fare il contrario o loro stessi o altri, dopo che già avrete provveduto per loro con la grazia del proscioglimento, della sospensione, del rilascio, della restituzione, della riabilitazione e dell’abolizione; se avvenisse che in seguito vogliano ribellarsi, cosa che non avvenga, contro noi e la Chiesa, quelli che in tale modo si ribellano persistendo con pertinacia, per questo fatto stesso, tornano alle predette pene e sentenze. Data ad Avignone giorno settimo alle idi di maggio, nell’anno dodicesimo del nostro pontificato. <9 maggio 1328>.
Redatto davanti alla casa di Carciola del beato Antonio, presso il campo un tempo di Tarabotto presso Recanati nella pubblica via tra la casa e il campo predetto, alla presenza di una grande moltitudine di testimoni, e ai venerabili padri, frate don Pietro vescovo di Macerata, il vescovo di Senigallia don Federico, il frate Servideo dell’ordine dei Minori inquisitore delle malvagità eretiche in detta Marca, don Arnaldo di Guglielmo rettore della chiesa di Rasaliaco della diocesi Eduense, tesoriere di questa Marca, frate don Matteo abate del monastero di San Lorenzo, don Aldovranno abate del monastero di San Mariano da San Severino, don Bernardo da Barbarano maresciallo di questa provincia, don Boccio da Montelupone arcidiacono camerinese, don Leopardo da Foligno arciprete beneventano, don Andrea da Fermo milite, don Nuzio da Matelica giurisperito, Puzio del signor Gualterio da Mogliano, Fredo di Mulucci da Macerata e Matteo di Compagnitto da Cingoli, domicello del predetto vescovo fiorentino.
Ed io Guglielmo notaio pubblico imperiale, figlio del defunto Guglielmo da Offida ecc. con i maestri: Giovanni da Lodi notaio del sopradetto vescovo e Giovanni Girelli da Tolosa vice rettore ecc.
. Io Jacopo Meuli di Simio da Recanati notaio imperiale, ecc. ho trascritto, ecc. per licenza ecc. concessa tramite il sapiente uomo don Giulio da Trevi giudice del Comune di Recanati, tramite il nobiluomo Massitto del signor Giovanni da Trevi onorabile potestà di questo Comune, sedendo davanti al tribunale nelle scale davanti alle “campane” del palazzo di questo Comune posto a Recanati nella contrada Sant’Angelo presso i beni di questo Comune, da ogni parte, anzitutto dicendo che questo luogo sarà ed è giuridico per questo atto e per questa pubblica forma, ho scritto nell’anno del signore 1367 indizione quinta, al tempo del Papa Urbano V giorno 13 del mese di aprile. Atto a Recanati nelle scale predette alla presenza di ser Oddo di Simone da Gonessa notaio del detto signor podestà, Vannino di Andrea da Recanati e Nicola di Claudio da Recanati notaio ecc.
. Alla presenza di ser Francesco di ser Bosono, ser Paolo di ser Ghiberto e il notaio Coluccio di Vanne da Recanati.

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Servigliano (FM) TOPONIMI LETTI NEI CATASTI elenco alfabetico

SERVIGLIANO o CASTEL CLEMENTINO Toponimi locali nei catasti secoli XVIII e XIX (qui in alfabetico)
*********************
Appiano
Ascarano, Scarano o San Lorenzo
Belluchetto
Bellugo
Bertola –
Bore
Bore di Chiarmonte
Calcinaro o Maggiorito
Campo di Ascione
Caraduccio
Carbone o Prataccio
Castellano –
Castello
Chiaramonti
Ciccarello –
Ciranno
Cirolo
Cirone (Girone)
Cittadella
Codarco
Colle Marchetto
Colle Massaro
Colle Pelù o Cittadella,o Ascarano
Colle Sant’angelo
Colle Terello
Commenda
Curetta
Ete o Lete –
Fonte Casciano o Cozzo
Fonte dei Cavalli
Fonte di Bora
Fonte Ginestra
Fonte Giovinetta
Fonte Maggio
Fonte Rosetta
Lantrè o Valentella –
Li piani de la Parapina
Lisciano
Magiurito o Maggiorito –
Marano o San Filippo
Molino –
Monte
Monte Grande o Ponte –
Monturato
Paese Vecchio –
Pantanetto (Pantanitro; Pantana)
Parapina –
Peschiera –
Piaggia –
Pian delle Bertole
Pianadillo
Piane
Piane di Maruccio
Piani San Gualtiero –
Piano di Maria
Pittura
Ponte –
Pozzone, Pozzolo o Puzzolo –
Rocca –
San Filippo
San Giovanni o Belluco
San Gualtiero –
San Lorenzo
San Michele Sant’Angelo
San Nicola
San Panfilio –
San Pietro –
Santa Croce
Santa Lucia –
Santa Maria del Piano
Santa Maria in Castello
Sant’Agostino –
Sant’Antonio
Sbalzi –
Sbarra o Narra
Scolli di Sant’Angelo
Solagne di santa Caterina
Strada Fermana
Strada Matenana
Tacchiare
Tasciano –
Tenna o Parapina-
Terra Bianca
Trabacone
Trocchio
Valentella –
Valle di Santa Croce
Valle Marana –
Valle o Moglie Gentile
Valli
Nota: molti toponimi indicano dati naturali ambientali (bore, pantana, colle, campo, solagna, monte, valle, strada, piani, piaggia, fonte, marana) o dati amministrativi di chiese e benefici intitolati a santi e culti o gestionii (commenda, castellano, massaro, curetta); indicano costruzioni (girone, cittadella, castello, belluco, rocca) Vedi carte edite dalla Barucci. Santa Maria di castello riguarda il Castello Fermano oggi villa Brancadoro \Cippitelli. Acuni Toponimi sono di origine Farfense per le proprietà monastiche indicate nelle carte di Farfa (Chronicon e Regesto) .

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BLASI MARIO PARROCO EVANGELIZZA DOMENICA XXII T. O. ANNO B Mc 7, 1 ss

Don Mario Blasi parroco nella XXII DOMENICA ORDINARIA (Mc7,1-8.14-15.21-23)

“Gli scribi e i farisei lo interrogarono: perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi? “.

Nel mondo ebraico i farisei sono quelli che osservano scrupolosamente le tradizioni dei padri. Gli scribi, invece, sono quelli che interpretano la legge e la tradizioni; sono riconosciuti da tutti maestri e comandano nelle sinagoghe.

Gli scribi e i farisei pensano che, toccando gli oggetti della vita quotidiana, l’uomo si allontani da Dio e si contamini in modo particolare toccando gli oggetti che usano i pagani.

Per gli scribi e i farisei solo il lavacro elimina l’impurità che si è contratta. L’ebreo che non si lava le mani fino al gomito, ritornando dal mercato, non apprezza l’appartenenza al popolo santo.

I discepoli di Gesù, mangiando il pane con mani profane, fanno capire di non credere che il contatto con le persone o gli oggetti della vita quotidiana dei pagani sia motivo di impurità.

Gli scribi e i farisei di ogni tempo osservano la legge in maniera vuota. La loro pietà non nasce dal di dentro. E’ un’abitudine rittuale. Non hanno un cuore sincero. Non sono vicini a Dio grazie all’amore verso tutti.

Gesù insegna che Dio è Amore. Dio dona pienezza di vita a tutti. L’amore di Dio deve essere accolto e ridonato, senza distinzione di popoli e razze.

“Ascoltatemi tutti e intendete bene “.

Gesù enuncia un principio valido per tutti gli uomini e stabilisce ciò che allontana l’uomo da Dio e ciò che lo avvicina. Nulla è profano di ciò che Dio ha creato. Dio si interessa di tutto quello che ha creato e, in modo particolare, si interessa dell’uomo, del suo mondo, di tutto ciò che contribuisce al suo bene, alla sua crescita e al raggiungimento del suo pieno sviluppo.

E’ puro o impuro ciò che esce dall’interno dell’uomo. Le cose non sono pure o impure, gradite a Dio o no. Sono le persone con la loro disposizione interna che rende puro o impuro ciò che fa l’uomo.

L’uomo non viene contaminato da nulla a lui esterno, ma viene contaminato dall’interno del suo cuore.

Il creato, ciò che esiste, non è profano né sporco, ma l’uomo, all’interno di sé, può creare il profano, lo sporco e la macchia.

(da J.Mateos/F.Camacho)

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BLASI MARIO PARROCO EVANGELIZZA NELLA DOMENICA XXI T. O. B Gv 6, 60 ss

Don Mario Blasi nella XXI domenica del Tempo Ordinario anno B evangelizza con Giovanni 6, 60 ss
XXI DOMENICA ORDINARIA (Gv 6,60-69) “Le parole che io vi ho detto sono Spirito e vita”

La salvezza di Gesù è dono della vita nuova che Egli comunica con il Suo Spirito di Amore. Il credente ha il dovere di seguire Gesù, di assimilare il Suo insegnamento con Amore e aiutare i fratelli con cuore sincero.

Il vero discepolo è colui che ama l’uomo come ama Gesù, senza riserve: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Questo è il distintivo del Suo credente. Gesù è Messia che ama e serve ogni uomo.

I Suoi ascoltatori vogliono un Messia vittorioso, conquistatore, un vincitore, un re che governi con la forza. Gesù, invece, è Messia che non cerca la gloria umana, ma è il Messia che dona la vita.

La Sua morte sarà la Sua gloria, espressione massima del Suo Amore. Con la Sua morte e Risurrezione darà agli uomini una vita nuova. Dall’uomo redento verrà una società nuova, costruita dall’uomo rinnovato che collabora con Cristo.

Tutti coloro che, lungo il corso dei secoli, accettano l’insegnamento di Gesù e hanno la gioia di imitarlo, costruiscono veramente un mondo nuovo.

La forza per costruire questo mondo nuovo si ha nell’Eucaristia: forza dello Spirito di Amore di Cristo.

Ricevere l’Eucaristia senza l’impegno per aiutare l’uomo bisognoso è un fallimento, significa non capire Gesù Messia che mette il bene dell’uomo al di sopra di ogni cosa.

“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”

“In nessun altro c’è salvezza, non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo esser salvati” (At.4,12).

Gesù è la salvezza e la speranza di ogni uomo. Senza Gesù l’uomo si avvia al fallimento. Egli solo possiede la vita definitiva, vita che deve essere assimilata.

Gesù è norma di vita per tutti. Tutti coloro che gli danno adesione e accettano il Suo messaggio, formano il Regno di Dio in questo mondo.

(da J.Mateos/J.Barreto)

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Blasi don Mario parroco evangelizza nella XX domenica T. O. anno B Gv 20, 51 ss

Ila Parroco don Mario Blasi evangelizza nella XX DOMENICA ORDINARIA B (Gv 6,51-58)

“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo “.

Gesù, dopo aver parlato del Pane disceso dal Cielo, passa al dono della Carne. Egli è l’Agnello che si dona come cibo. L’uomo si realizza attraverso la carne umana di Gesù che ha in sé lo Spirito del Suo Amore.

Il dono dell’Amore di Dio si rende concreto, storico, attraverso l’umanità di Gesù. Da Gesù l’Amore di Dio passa nel cuore di ogni uomo che lo accoglie.

Gesù non è solo luogo dove Dio Padre si rende presente, ma è anche dono dell’Amore del Padre per tutti gli uomini. Con Gesù e per mezzo di Lui il Padre instaura con l’uomo un rapporto di comunione vitale.

Dio Padre vuol vivere con l’uomo per dargli la Sua condizione divina. Dio non è nell’aldilà, ma è presente nell’uomo per mezzo di Gesù. Il Padre entra nel campo dell’esperienza umana e vi entra con la vita di Gesù.

Gesù dona la Sua carne perché il mondo viva. “Dio manifestò il Suo Amore per il mondo in modo tale da giungere a dare il Suo Figlio unico, affinché tutti coloro che gli danno la loro adesione abbiano la vita definitiva e nessuno perisca” (Gv.3,16).

“Come può costui darci da mangiare la sua carne? “.

Gli ascoltatori di Gesù non comprendono il Suo linguaggio: come è possibile mangiare la Sua carne?

Gesù non è solo Pane che dona la sapienza e la dottrina per vivere con onestà, ma è realtà umana che possiede pienezza di Spirito. Gli ascoltatori non comprendono che cosa significhi mangiare la Sua carne e cercano una spiegazione e non la trovano. “Gesù donerà la Sua carne morendo. La separazione della carne e del sangue esprime la Sua morte.

Quando la Sua carne e il Suo sangue saranno separati dalla violenza dell’odio, si vedrà la vita che è in Lui: Amore”.

(da J.Mateos/J.Barreto)

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SANTA VITTORIA IN MATENANO pergamene edite da Colucci Antichità Picene XXIX con indice delle sintesi fatto da Albino Vesprini

INDICE COLUCCI XXIX CODICE DIPLOMATICO DI S.VITTORIA
n.d.r. le pergamene riguardano anche Farfa. ANTICHITA’ PICENE Volume XXIX pagina
1032 circa ottobre \ edito in Colucci XXXIX,32 Siezio figlio di Solfoerio riceve da Uberto Vescovo Fermano, in enfiteusi un terreno nella contrada Pontarolo, territorio di S. Vittoria.\\
1053 luglio \ edito in Colucci XXIX, 34 Sifredo figlio di Siezione riceve da Ermanno Vescovo di Fermo la conferma dell’enfiteusi di terreni nelle contrade Pontariolo Faito e Lafredario nel territorio di S. Vittoria.\\
1059 giugno \ edito in Colucci XXIX,36 Berardo abate di Farfa riceve da Olderico Vescovo di Fermo la contrada Pontariolo nel territorio di S. Vittoria, e cede in cambio alla chiesa fermana altre possidenze in altri luoghi.\\
1071 aprile \ edito in Colucci XXIX, 39 Odone di Oddone fa una permuta di terreni con Berardo abate di Farfa.\\
1096 settembre \ edito in Colucci XXIX, 40 Berardo abate di Farfa concede un’enfiteusi a Guandalino e Berardo fratelli, figli di Gualdino per un certo annuo canone da pagarsi al monastero di S. Vittoria.\\
1115 febbraio \ edito in Colucci XXIX, 41 Istrumento di permuta di alcuni terreni del monastero di Farfa nel territorio di Fermo.\\
1118 settembre \ edito in Colucci XXIX, 43 Obbligazione a favore del monastero di Farfa di un castello detto Poggio, i cui padroni promettono di non alienarlo, e di cederlo dopo la loro morte al detto monastero.\\
1129 agosto \ edito in Colucci XXIX, 44 Obbligazione di Giberto di Fantolino a favore del monastero di Farfa per i castelli di Poggio, Bucclano e Pastena.\\
1141gennaio \ edito in Colucci XXIX, 45 Testamento di Morico di Longino, con cui lascia al monastero di Farfa il castello detto Colle de Palere, e la quarta parte del castello de Raffiu.\\
1153 settembre \ edito in Colucci XXIX, 47 Vendita di terreni in contrada Colle d’Elce, vocabolo Valle Cupa.\\
1170 agosto \ edito in Colucci XXIX, 48 Donazione fatta all’Ospedale di Fermo di una casa in contrada Catraputio, forse del territorio di S. Vittoria, dove si trova questa carta.\\
1184 luglio 11 \ edito in Colucci XXIX, 55 Pandulfo Abate di Farfa concede alcuni terreni in enfiteusi ad Odiato, e Guerrone figli di Mabilia. Vedi 1211\\
1192 circa \ edito in Colucci XXIX, 49 Nota dei censuari del monastero di S. Vittoria.\\
1193 febbraio \ edito in Colucci XXIX, 51 L’abate di Farfa concede in enfiteusi il distrutto castellare di Pontarolo.\\
1199 \ edito in Colucci XXIX, 52 Elenco che contiene i nomi dei censuari di Monte Falcone al Monastero di S. Vittoria.\\
1199 \ edito in Colucci XXIX, 53 Elenco dei censuari di Montelpare.\\
1201 novembre \ edito in Colucci XXIX, 54 Polizza di colonia a favore di Matteo Rollanni con Cencio di Giovanni Guatta.\\
1211 agosto 25 e vedi 1184 \ edito in Colucci XXIX, 55 Pandulfo Abate di Farfa concede alcuni terreni in enfiteusi ad Odiato, e Guerrone figli di Mabilia con certi patti.\\
1213 agosto 30 \ edito in Colucci XXIX, 56 Istrumento di concordia fra l’abate di Farfa Gentile, e il pubblico di S. Vittoria, ed i figli del sig. Milone in rapporto ai vassalli che questi signori avevano nel castello di S. Vittoria.\\
1215 luglio 10 \ edito in Colucci XXIX, 57 Monaldo di Monte Rodaldo e altri signori e nobili del castello di Monterodaldo si sottomettono alla giurisdizione della città di Fermo.\\
1219 giugno 8 \ edito in Colucci XXIX, 59 Compromesso fatto in persona di Bartolomeo priore di S. Paolo, e di Gualterio priore di S. Vittoria per terminare la lite, che era tra i capitoli di S. Pietro Vecchio di Fermo, e di S. Vittoria per la proprietà della chiesa di S. Maria Piccinina di Belmonte.\\
1220 marzo 13 \ edito in Colucci XXIX, 61 Esame dei testimoni sopra le differenze per le quali si era fatto il compromesso per Santa Maria in Belmonte.\\
1220 \ edito in Colucci XXIX, 64 Il compatrono della chiesa di S. Maria di Monte Urso permette al Rettore della chiesa di S. Martino di poter demolire la chiesa di S. Martino e unirla alla detta chiesa di Monte Urso.\\
1232 \ edito in Colucci XXIX, 65 Frammento di documento riguardante la chiesa di Monte Urso.\\
1221 febbraio 19 e marzo \ edito in Colucci XXIX, 65 Sentenza data dai giudici compromissari sulle differenze che vertevano fra il monastero si S. Vittoria e la canonica di S. Pietro di Fermo.\\
1223 maggio 21 \ edito in Colucci XXIX, 68 Promessa del sig. Gualtero figlio di Galerano a Valente di Malaparte sindaco della comunità di S. Vittoria di essere abitante della stessa terra di S. Vittoria, egli ed i suoi sudditi del poggio di Pietra ora distrutto.\\
1225 novembre 18 \ edito in Colucci XXIX, 69 Sentenza del priore di S. Ilario di Ascoli contro Ubertino di Teramo ed altri occupatori della chiesa di S. Biagio di Teramo spettante al monastero di S. Vittoria.\\
1225 dicembre 18 \ edito in Colucci XXIX, 71 Sentenza del priore di S. Ilario di Ascoli contro Gentile di Munaldo occupatore della chiesa di S. Nicola de Perticara, e degli annessi poderi appartenenti al monastero di S. Vittoria.\\
1229 maggio 2 \ edito in Colucci XXIX, 72 I signori di Monte Rodaldo, e del Poggio di Pietra promettono di farsi abitatori di S. Vittoria e di cedere a favore di quella comunità i loro vassalli con certe condizioni.\\
1230 maggio 12 \ edito in Colucci XXIX, 75 I Monaci di S. Vittoria danno in enfiteusi nel territorio di essa terra in contrada Colle Carsello in vico di S. Trinità.\\
1232 gennaio 20 \ edito in Colucci XXIX, 77 Sentenza del giudice generale dello stato di Fermo, di Ascoli e della badia di Farfa per la restituzione della chiesa di S. Biagio presso l’Aso al monastero di S. Vittoria.\\
1232 gennaio 18 \ edito in Colucci XXIX, 78 Ricevuta del giudice dell’onorario a lui pagato per detta causa ella chiesa di S. Biagio all’Aso.\\
1232 gennaio 26 \ edito in Colucci XXIX, 79 Il pievano di S. Marco ordina come giudice delegato la restituzione della chiesa di S. Biagio ai monaci di S. Vittoria.\\
1235 agosto 8 \ edito in Colucci XXIX, 80 Donazione di Cincio figlio di Benedetto a favore di sua madre di tutte le possidenze.\\
1237 circa o tra 1230 \ 1240 \ edito in Colucci XXIX, 81 Appello del priore dell’ospedale del castello dal Vescovo di Ancona al Romano Pontefice.\\
1238 circa o tra1230 \ 1280 \ edito in Colucci XXIX, 82 Canoni dovuti dalle chiese della terra di S. Vittoria al monastero di questa terra.\\
1236 ottobre 5 \ edito in Colucci XXIX, 83 Oderisio abate di Farfa assegna certi beni e certe rendite al monastero di S. Vittoria per mantenimento dei monaci, che vivevano in quel monastero.\\
1239 gennaio 23 \ edito in Colucci XXIX, 85 Lionardo, e Giovanni figli di Milone promettono di farsi cittadini, e abitanti di S. Vittoria con certi patti.\\
1239 settembre 15 \ edito in Colucci XXIX, 87 Rubbata moglie di Benedetto di Alberto si fa conversa del monastero di S. Vittoria, ove consacra se stessa, e suoi beni.\\
1244 gennaio 23 \ edito in Colucci XXIX, 88 Dichiarazione del priore, e dei monaci di S. Vittoria circa la elezione del proposto della chiesa di S. Angelo in Barvulano.\\
1245 marzo 10 \ edito in Colucci XXIX, 89 Il priore del monastero di S. Vittoria prende possesso di una tenuta in contrada Torre di Casule per il detto monastero.\\
1248 gennaio 12 \ edito in Colucci XXIX, 90 Il Cardinale Legato del Papa concede alla comunità di S. Vittoria di poter ritenere tutte le famiglie che si sono ivi trasferite ad abitare da venti anni addietro.\\
1250 gennaio 31 \ edito in Colucci XXIX, 91 Il priore del monastero di S. Vittoria approva l’elezione del preposto della chiesa di S. Angelo in Barvulano.\\
1250 agosto 14 \ edito in Colucci XXIX, 92 Altro privilegio del cardinal legato alla terra di S. Vittoria di poter ricevere abitanti da qualsivoglia parte vi concorressero.\\
1250 luglio 14 \ edito in Colucci XXIX, 93 Il cardinal legato della Marca scioglie il pubblico di S. Vittoria dall’obbligo che aveva di pagare certi canoni annui al monastero di essa Santa.\\
1250 agosto 14 \ edito in Colucci XXIX, 94 Lo stesso cardinal legato conferma alla terra di S. Vittoria la libera stazione di tutte le famiglie che fossero concorse ad abitare in essa terra e di poter assegnare alle medesime i tutori, e curatori.\\
1251 ottobre 12 \ edito in Colucci XXIX, 94 Il procuratore del cardinal legato riceve dal priore di S. Vittoria la procura dovuta ad esso cardinale dal suo monastero per varie chiese.\\
1257 marzo 26 \ edito in Colucci XXIX, 95 I compadroni della chiesa di S. Maria di Monte Urso, e di S. Martino nominano il rettore di queste chiese.\\
1257 luglio 4 \ edito in Colucci XXIX, 96 Il rettore generale della Marca dichiara che la terra di S. Vittoria non era per antica consuetudine obbligata a pagare alcun censo e per la fedeltà costante verso la S. Sede dichiara che in ciò non sia molestata.\\
1258 settembre 18 \ edito in Colucci XXIX, 97 Il popolo di S. Vittoria viene sciolto da qualunque patto, o lega fatta colla città di Fermo per essersi quella ribellata alla S. Sede.\\
1260 aprile 23 \ edito in Colucci XXIX, 99 Il vicario Farfense nella Marca annulla alcune concessioni fatte al clero, alla comunità di Montelparo, come pregiudizievoli li diritti del monastero di S. Vittoria.\\
1260 ottobre 8 \ edito in Colucci, XXIX, 100 L’abate di Farfa intima alla comunità di Montelparo la nullità di certe concessioni, ed esenzioni concedutele dal vicario farfense.\\
1260 settembre 25 \ edito in Colucci XXIX, 101 Il priore di S. Vittoria presenta al clero di Montelparo l’intimazione dell’abate di Farfa con cui annullava ogni privilegio, ed esenzione accordatasi dal suo vicario, e dichiara scomunicato quel clero.\\
1261 aprile 21 \ edito in Colucci XXIX, 102 il Sindaco della città di Fermo promette al Sindico della comunità di S. Vittoria l’indenizzo della podestaria di Falerone da Falerone, e di tutti i danni che potessero ricevere dal re Manfredo, e dai suoi ufficiali.\\
1261 luglio 12 \ edito in Colucci XXIX, 105 La comunità di S. Vittoria si protesta per l’osservanza delle promesse fattele dalla città di Fermo, e di essere rilevata dai danni, e molestie, che riceve da Falerone di Falerone, e dalla curia generale della Marca.\\
1265 novembre 9 \ edito in Colucci XXIX, 106 Cessione del juspatronato delle chiese di S. Maria della Valle, di S. Valentino, e di S. Pietro di Monte Rodaldo a favore del monastero di S. Vittoria.\\
1266 gennaio 4 \ edito in Colucci XXIX, 108 Convenzioni stipulate per la traslazione della chiesa di S. Valentino dal luogo ove prima esisteva in altro luogo dentro la terra.\\
1266 gennaio 4 \ edito in Colucci XXIX, 111 Donazione di una casa nella terra di S. Vittoria a favore del monastero.\\
1272 giugno 15 \ edito in Colucci XXIX, 112 Dal Consiglio di S. Vittoria si elegge lo Sindaco per fare alcune promesse a Girardo Vescovo di Fermo per i danni recati alla pieve di S. Marco di Servigliano, ed altre chiese di essa pieve, e altrove nella diocesi fermana, e fra le altre promesse vi è quella di sottomettersi al tribunale della comunità di Monte dell’Olmo\\
1275 luglio 13 \ edito in Colucci XXIX, 115 Ratifica della donazione e cessione di Fara, e di altre possidenze nel territorio di Monte San Martino a favore di Morico abate di Farfa colla rispettiva ratifica di esso abate a nome del suo monastero dei patti stabiliti per detta cessione.\\
1275 agosto 5 \ edito in Colucci XXIX, 117 Il priore del monastero di S. Vittoria prende possesso di vari beni già donati allo medesimo monastero nel territorio di Monte San Martino.\\
1276 luglio 26 \ edito in Colucci XXIX, 118 Disposizione testamentaria del sig. Anselmo figlio di Alberto signore di Smerillo con cui lascia un legato a favore del monastero di S. Vittoria, ed eredi i suoi nipoti.\\
1278 \ edito in Colucci XXIX, 120 L’abate di Farfa conferisce la prebenda di S. Cecilia di Monte Falcone a Giacomo di Giovanni di M. Falcone per potersi sostentare attendendo agli studi.\\
1279 maggio 14 \ edito in Colucci XXIX, 121 I frati minori di S. Vittoria fanno una concordia coi monaci di S. Vittoria in reintegrazione dei danni loro recati da essi monaci.\\
1279 luglio 3 \ edito in Colucci XXIX, 123 Conferma, e ratifica dell’abate di Farfa della cessione di due parti delle decime dovute alla chiesa di S. Cecilia a favore di Monte di Rinaldo da M. Falcone.\\
1279 luglio 19 \ edito in Colucci XXIX, 124 Quietanza a favore di D. Compagnone monaco di S. Vittoria come procuratore di D. Monaldo di Marco già priore di esso monastero.\\
1280 circa marzo 18 \ edito in Colucci XXIX, 125 Morico abate di Farfa incarica il priore di Offida di costringere il monaco Blandideo a cedere i parrocchiani di S. Antimo al priore degli agostiniani di M. Elparo.\\
1285 giugno 5 \ edito in Colucci XXIX, 126 Si procede con le censure ecclesiastiche contro il cappellano di S. Emidio di S. Elpidio per obbligarlo al pagamento che doveva fare di certa somma a lui tassata a favore del monastero di S. Vittoria.\\
1286 novembre 12 \ edito in Colucci XXIX, 127 Il Papa Onorio IV deputa per giudice Angelo priore della chiesa di Foligno per una appello contro l’arcidiacono della chiesa ascolana interposta avanti di se.\\
1289 marzo 9 \ edito in Colucci XXIX, 128 Il priore coi monaci di S. Vittoria assegna i parrocchiani alla chiesa della SS. Trinità.\\
1289 agosto 5 \ edito in Colucci XXIX, 130 Il Papa Onorio IV incarica il rettore della Marca il disbrigo di una vertenza fra la comunità di S. Vittoria e Leonardo Archionibus con ordine di non innovare alcuna cosa contro essa comunità pendendo la lite.\\
1290 gennaio 21 \ edito in Colucci XXIX, 131 Il rettore in spiritualibus della Marca ordina al comune di Fermo di non molestare i monaci di S. Vittoria nell’esercizio dei diritti che hanno sopra la chiesa di S. Maria di Monte Falcone.\\
1290 ottobre 4 \ edito in Colucci XXIX, 133 Il Papa Niccolò IV ordina al rettore della Marca la pronta liberazione del Sindaco e dei fideiussori mandati dalla comunità di S. Vittoria nella sua curia, e dai di lui officiali fatti indebitamente arrestare.\\
1291 gennaio 23 \ edito in Colucci XXIX, 134 Privilegio di Niccolò IV a favore della comunità di S. Vittoria per eleggersi il Podestà ed altri ufficiali.\\
1291 maggio 4 \ edito in Colucci XXIX, 136 Ricevuto del tesoriere della camera per il canone pagato dalla comunità di S. Vittoria, cui era obbligata in seguito di certi privilegi ed esenzioni ottenute dal Papa Niccolò IV.\\
1298 luglio 9 \ edito in Colucci XXIX, 137 Il rettore della Marca assolve il pubblico di S. Vittoria per un processo fatto contro la medesima dal giudice generale, e ne fa perpetua quietanza per lo sborso di 30 fiorini.\\
1299 maggio3 \ edito in Colucci XXIX, 139 Inventario dei beni mobili e stabili che appartenevano alla chiesa di S. Pietro de Surripa del castello di M. Falcone.\\
1299 maggio 18 \ edito in Colucci XXIX, 141 Il Giudice ed assessore della comunità di Fermo decide sul giusto titolo di certe rappresaglie fatte contro la comunità di S. Vittoria.\\
1302 aprile 30 \ edito in Colucci XXIX. 143 Ricevuto del tesoriere della Marca alla comunità di S. Vittoria pel pagamento di una corrisposta di affitto.\\
1307 luglio 15 \ edito in Colucci XXIX, 143 Protesta del monastero di S. Vittoria contro il cappellano di S. Giacomo di Pontarolo per l’usurpazione di un diritto di sepoltura.\\
1308 agosto 25 \ edito in Colucci XXIX, 144 Il Cardinale abate commendatario del monastero di Farfa ordina certe riforme pel buon regolamento dell’economia del monastero di S. Vittoria.\\
1308 novembre 5 \ edito in Colucci XXIX, 147 Lo stesso vicario generale del Cardinale abate commendatario di Farfa raccomanda alla comunità di S. Vittoria di assistere colla sua autorità ai nuovi ufficiali da lui eletti per l’amministrazione del monastero di S. Vittoria.\\
1309 settembre 19 \ edito in Colucci XXIX, 148 Il Vescovo di Ascoli unisce insieme due parrocchie soggette al monastero di S. Vittoria nel territorio di Monte Falcone e ne forma una sola col titolo di S. Maria, sopprimendo l’altra di S. Lucia.\\
1310 agosto 25 \ edito in Colucci XXIX, 150 Concordia della comunità di S. Vittoria col monastero di essa santa per certe vertenze che pendevano fra di loro.\\
1311 marzo 20 \ edito in Colucci XXIX, 153 Il Sommo Pontefice riduce alla comunità di S. Vittoria la pena a cui era stata condannata dal rettore della Marca, e le accorda dilazione pel pagamento, facendo insieme restar sospese le censure Ecclesiastiche.\\
1311 giugno 5 \ edito in Colucci XXIX, 156 Ricevuta di un pagamento a conto dell’imposta multa.\\
1314 maggio 14 \ edito in Colucci XXIX, 157 Il rettore della Marca assolve la comunità di S. Vittoria della multa di 1000 marche d’argento, a cui era stata condannata.\\
1315 maggio 2 \ edito in Colucci XXIX, 158 Composizione, ed assoluzione del rettore della Marca di una pena imposta alla comunità di S. Vittoria.\\
1316 agosto 31 \ edito in Colucci XXIX, 159 Il priore di S. Vittoria conferma la nomina del cappellano della chiesa di S. Elpidio Maggiore, riservando un certo canone di olio a favore della chiesa di S. Vittoria.\\
1319 gennaio 18 \ edito in Colucci XXIX, 160 L’amministrazione del monastero di Farfa approva l’erezione dell’ospedale de’ poveri infermi nella terra di S. Vittoria che voleva erigere quella comunità, lasciando la facoltà di eleggere il rettore da approvarsi con certe leggi dal monastero di essa Santa.\\
1319 luglio 16 \ edito in Colucci XXIX, 165 Lo stesso Vescovo amministratore ordina che nel monastero di S. Vittoria si eleggano due monaci per l’economia del monastero.\\
1320 settembre 22 \ edito in Colucci XXIX,167 Il Sommo Pontefice commenda altamente la fedeltà dimostratagli dal popolo di S. Vittoria, e glie ne promette ricompensa.\\
1323 dicembre 18 \ edito in Colucci XXIX, 169 Testamento di Jatto Grassi di S. Vittoria.\\
1324 gennaio 11 \ edito in Colucci XXIX, 172 Per non pregiudicare ai diritti di seppoltura che competevano alla chiesa di S. Angelo di Montelparo riesumate dall’oratorio di S. Pietro di Cateliano le ossa di alcuni fanciulli ivi sepolti si seppelliscono nella detta chiesa di S. Angelo.\\
1325 dicembre 31 \ edito in Colucci XXIX, 173 Il Cappellano della chiesa di S. Giovanni di S. Vittoria assegna al vicario della badia di Farfa l’inventario dei mobili di essa chiesa.\\
1326 novembre 2 \ edito in Colucci XXIX, 174 Il Cardinale Giovanni legato conferma all’amministratore della badia di Farfa tutti i privilegi, e giurisdizioni che esercitavano in quella parte della Marca, che si denomina badia di Farfa.
1327 novembre 10 \ edito in Colucci XXIX, 176 Il medesimo Cardinal legato approva il numero dei monaci che doveva esistere nel monastero di S. Vittoria.
1327 aprile 2 \ edito in Colucci XXIX, 178 Frà Giovanni abate di Farfa coll’approvazione del priore, e dei minaci assegna al monastero di S. Vittoria, certe possidenze, chiese, diritti etc, che il monastero farfense aveva nella Marca.\\
1334 aprile 13 \ edito in Colucci XXIX, 185 Il Sommo Pontefice encomia la fedeltà ed attaccamento dei santavittoriesi.\\
1344 marzo 10 \ edito in Colucci XXIX, 186 I monaci di S. Vittoria accordano a Massiolo di Matteo di Pietro da Montefalcone la fondazione della chiesa di S. Catarina, e di un ospedale a comodo dei poveri presso alla medesima.\\
1346 aprile 6 \ edito in Colucci XXIX, 188 Fra’ Giacomo Garissio da Montefalcone dell’Ordine de’ Minori colla licenza del custode della provincia vende a Marco, e Nicola di Gualtierio di Gioannetto di S. Vittoria una bibbia scritta in pergamena, e adorna di miniatura.\\
1348 gennaio 22 \ edito in Colucci, XXIX, 190 Il vicario generale della badia di Farfa costituisce insieme col capitolo del monastero di S. Vittoria un procuratore per ottenere dal cardinale legato della Marca l’erezione di un monastero e collegiata di monaci nella chiesa di S. Angelo di Castello della terra di Montelparo con varie condizioni.\\
1371 agosto 27 \ edito in Colucci XXIX, 193 Sentenza dei sindaci di S. Vittoria sulla podestaria di Giacomo de Cantarellis; e dei suoi officiali che uscivano dall’impiego.\\
1361 gennaio 24 \ edito in Colucci XXIX, 196 Il rettore della Marca assolve i vittoriesi dalle multe alle quali erano stati condannati come disubbidienti, e ribelli alla S. Sede, in vista delle circostanze de’ tempi, in cui per le forze dei tiranni furono costretti ad esserlo.\\
1374 maggio 25 \ edito in Colucci XXIX,200 Cola di Palone di Massa libera dal vassallaggio Benedetto di Gualtieruccio del castello di Mortula.\\
1377 febbraio 1 \ edito in Colucci XXIX, 202 Gregorio XI esorta i cittadini di S. Vittoria alla fedeltà verso la santa chiesa.\\
1377 luglio 19 \ edito in Colucci XXIX, 203 Lo stesso Pontefice esorta, e comanda ai vittoriesi di somministrare vettovaglie, ed aiuti al Vescovo di Fermo nella recupera che cercava di fare delle terre della chiesa fermana usurpategli, e di esser fedeli.\\
1378 maggio 9.a \ edito in Colucci XXIX, 204 Urbano VI annulla tutti i processi, e le pene contro i vittoriesi.\\
1378 maggio 9.b \ edito in Colucci XXIX, 206 Urbano VI proibisce ai vittoriesi l’appello al rettore della Marca dagli ordini del loro podestà in cose di poco momento.\\
1378 maggio 9.c \ edito in Colucci XXIX, 207 Lo stesso sommo Pontefice accorda ai vittoriesi, che il podestà della terra sia giudice ordinario in prima istanza tanto per le cause civili quanto per le criminali.\\
1378 maggio 9.d \ edito in Colucci XXIX, 209 Lo stesso Pontefice condona al pubblico di S. Vittoria le contribuzioni per le quali era stato tassato.\\
1378 maggio 9.e \ edito in Colucci XXIX, 211 Urbano VI al popolo di S. Vittoria in ricompensa dei danni recati dagl’inimici della chiesa con uccisioni, prigionie, rovine di alberi, incendi di case etc, e perché meglio si fortifichi il castello, l’esime da ogni contribuzione fuorché dalle cavalcate ed eserciti, e dal pagamento del censo.\\
1378 maggio 9.f \ edito in Colucci XXIX, 213 Urbano VI conferma il privilegio concesso alla comunità di S. Vittoria da Niccolò IV, di poter eleggere il podestà ed altro officiali.\\
1381 novembre 25 \ edito in Colucci XXIX, 215 Il vicario generale del Papa nella Marca accorda ai vittoriesi di valersi di certa somma impiegata nella guerra contro il ribelle Bosso da Massa sopra l’annuo censo.\\
1385 dicembre 4 \ edito in Colucci XXIX, 216 Lo stesso Cardinale della Marca diminuisce ai vittoriesi l’annuo censo che era di 450 fiorini, e lo riduce a 350.\\
1389 maggio 4 \ edito in Colucci XXIX, 217 La terra di S. Vittoria si obbliga di non ricever gente d’armi e di non procurare viveri ai nemici della città di Fermo.\\
1390 luglio 20 \ edito in Colucci XXIX, 218 Bonifazio IX sentita la morte del cardinale Andrea legato della Marca promette ai vittoriesi di spedirne presto un altro accetto ed utile.\\
1393 ottobre 23 \ edito in Colucci XXIX, 219 Bonifazio nono ringrazia i sanvittoriesi per la fedeltà loro verso la S. Sede, e verso Andrea Tomacelli suo fratello allora fatto prigioniero, annunziando loro l’arrivo prossimo dell’altro fratello Giovannello con un buon soccorso di truppe.\\
1393 dicembre 24 \ edito in Colucci XXIX, 220 Bonifacio IX loda la fedeltà dei vittoriesi, e li esorta a continuarla.\\
1408 dicembre 5 \ edito in Colucci XXIX, 221 Biblioteca del Dottore di medicina Ugolino di Nuzio di S. Vittoria secondo l’Inventario che ne fu fatto dopo la sua morte nel 1408, ai 5 dicembre da Urbana sua vedova, figlia di ser Massio di Jacobutio da Ascoli come in Protocollo di Paolo Thomassutii Not.\\
1411 agosto 9 \ edito in Colucci XXIX 223 Collazione della chiesa di san Tomasso di Monte di Nove fatta ad Azaro di ser Vico di Sabotto, rimossone il priore possessore a causa dello scisma per ordine di Gregorio XII.\\
1412 aprile 13 \ edito in Colucci XXIX. 226 Gregorio XII, conferma ai vittoriesi il breve di Urbano VI, con cui promette loro di non alienare, né infeudare ad alcuno la loro terra.\\
1416 gennaio 25 \ edito in Colucci XXIX, 228 I commissari spediti dal concilio di Costanza nella provincia della Marca, presidato farfense etc, confermano i privilegi, ed esenzioni al pubblico di S. Vittoria, e l’assolvono da tutti i delitti, pene, multe etc.\\
1417 settembre 3 \ edito in Colucci XXIX, 235 Il cardinale Ursini commendatario della badia di Farfa restringe il numero dei monaci del monastero di S. Vittoria a otto compreso il priore.\\
1445 ottobre 4.a \ edito in Colucci XXIX, 236 Capitoli stabiliti fra la comunità di S. Vittoria, e il cardinale d’Aquileja camerlengo e legato della S. Sede apostolica.\\
1445 ottobre 4.b \ edito in Colucci XXIX, 241 Lo stesso cardinal legato, e camerlengo riduce l’annuo censo ai vittoriesi per i danni sofferti.\\
1449 aprile 23 \ edito in Colucci XXIX, 243 Capitoli stabiliti fra la comunità di S. Vittoria, e l’altra di Monte Falcone sulla punizione dei danni dati nei loro rispettivi territori.\\
1458 giugno 20 \ edito in Colucci XXIX, 245 Il vicario generale del Vescovo di fermo, e Vescovo insieme suffraganeo dichiara che nel conferire in S. Vittoria la crisma non intende di farlo per esercizio di giurisdizione, ma come chiamato dai monaci del monastero.\\
1549 gennaio 3 \ edito in Colucci XXIX, 246 Capitoli che propone per l’approvazione la confraternita di S. Giovanni di Monte Falcone ai monaci di S. Vittoria.\\
1464 novembre 2 \ edito in Colucci XXIX, 248 Paolo II, approva li statuti, i privilegi, le consuetudini, gl’indulti, che godeva la comunità di S. Vittoria.\\
1471 setembre 2 \ edito in Colucci XXIX, 249 Sisto IV approva gli statuti di S. Vittoria.\\
1481 marzo 27 e aprile 30 \ edito in Colucci XXIX, 250 Due lettere del cardinal legato della Marca alla communità di S. Vittoria perché si conferisse quella podestaria a Giacomo de Giannini di Montegranaro.\\
1481 giugno 1 \ edito in Colucci XXIX, 252 Avendo deliberato il cardinale comendatario farfense, che in priore del monastero di S. Vittoria non si elegga alcun paesano risponde alle lettere ed ambasciate della comunità, e persiste nel medesimo sentimento.\\
1482 maggio 5 \ edito in Colucci XXIX, 253 Lettera del luogotenente della Marca alla comunità di S. Vittoria, in cui si protesta di non voler pregiudicare ai privilegj, che essa godeva di eleggere i suoi podestà senza aver bisogno di fargli confermare dal governo.\\
1490 marzo 10 \ edito in Colucci XXIX, 254 Innocenzo VII esorta i vittoriesi ad eleggere podestà Domenico Agostini da Montefortino.\\
1496 maggio 4.a \ edito in Colucci XXIX, 255 Lettera del Comune di S. Vittoria con cui partecipa l’elezione del podestà al soggetto, che era stato eletto.\\
1496 maggio 4.b \ edito in Colucci XXIX, 256 Capitolo ai quali erano tenuti i podestà di S. Vittoria nell’accettare, ed esercitare la carica.\\
1519 febbraio 28 \ edito in Colucci XXIX, 260 Leone X, conferma alla comunità suddetta il privilegio di decidersi nella terra le causa tanto in prima quanto in seconda istanza.\\
1538 novembre 13 \ edito in Colucci XXIX, 261 Paolo III, provvede alla renitenza dei curiali di S. Vittoria, che non volevano soccombere ai pesi reali e personali, ed ordina al vice legato della marca di costringerli con ogni rimedio legale.\\
1613 gennaio 2 \ edito in Colucci XXIX, 262 Il cardinale Alessandro Peretti abate commendatario di Farfa deputa un suo vicario generale per i monasteri della Marca, il quale costituisce anche visitatore e riformatore di essi monasteri.\\
1628 settembre 13 \ edito in Colucci XXIX, 265 Il cardinale Barberini abate commendatario farfense partecipa alla soppressione dei monasterj farfensi della Marca colla secolarizzazione dei monaci al priore di S. Vittoria, e gli dà i suoi ordini circa l’amministrazione delle rendite di quel monastero.\\
1598 circa(n.d.r.) \ edito in Colucci XXIX, 266 Antico elenco in pergamena delle reliquie che si venerano in S. Vittoria.
INDICE: NOMI, TOPONIMI, CONTENUTI NELL’INDICE COLUCCI XXIX
Agostini Domenico, Anno 1490, XXIX, 254
Alberto padre di Benedetto , Anno 1239, XXIX, 87
Ancona , Anno 1238, XXXIX,81
Andrea, cardinale. 1390, XXIX,218
Angelo da Foligno, priore, Anno 1286, XXIX,127
Anselmo di Alberto, Anno 1276, XXIX,118
Aquileja, Anno, 1445, XXIX, 236
Ascoli, XXIX, 148,221
Azaro di ser Vico Sabotto, Anno 1211, XXIX,223
Barberino, cardinale, Anno 1628, XXIX, 265
Bartolomeo, priore di S. Paolo, Anno 1219, XXIX, 59
Belmonte, Anno 1219, XXIX, 59
Benedetto di Alberto, Anno1239, XXIX, 87
Benedetto di Gualtieruccio, Anno 1374, XXIX, 200
Berardo figlio di Gualdino, Anno 1096, XXIX, 40
Berardo, abate, Anno 1059, XXIX, 36
Berardo, abate, Anno 1071, XXIX, 39
Berardo, abate, Anno 1096, XXIX, 40
Blandideo, monaco, Anno1280, XXIX, 125
Bonifacio IX, Anno 1390, XXIX, 218
Bonifacio IX, Anno 1393, XXIX, 219,220
Bosso da Massa, Anno 1381, XXIX, 215
Bucclano, Anno1129, XXIX, 44
Carsello, Anno1230, XXIX, 75
Cateliano, Anno 1324, XXIX,172
Catraputio, XXIX, 48
Cencio di Benedetto, Anno 1232XXIX, 80
Cencio di Giovanni Guatta, Anno 1201, XXIX, 54
Cola di Palone di Massa, Anno 1374, XXIX, 200
Colle de Palere, Anno 1141, XXIX, 45
Colle dell’Elce, Anno 1153, XXIX, 47
Compagnone, monaco, Anno 1279, XXIX, 124
Concilio di Costanza, Anno 1416, XXIX,228
Confraternita di S. Giovanni, Anno 1459, XXIX, 246
Costanza, Anno1416, XXIX, 228
Ermanno, vescovo, Anno 1053, XXIX, 34
Faito, Anno 1053, XXIX, 34
Falerone, città, Anno 1261, XXIX, 102,105
Falerone, podestà, Anno 1261, XXIX, 102,105
Fantolino, Anno 1129, XXIX, 44
Fara, Anno 1275, XXIX, 115
Farfa, XXIX 51,55,56,83,100,101,120,123,144,147,160,174,178
Fermo, XXIX,34,42,48,57,59,97,102,105,112,131,141,203,217,245
Foligno, Anno 1286, XXIX,127
Frà Giovanni, abate di Farfa,XXIX, 178
Frati Minori, Anno 1279, XXIX,121
Galerano, Anno 1223 XXIX, 68
Gentile di Munaldo, Anno 1225, XXIX, 71
Gentile, abate, Anno 1213, XXIX, 56
Giacomo de Cantarellis, Anno 1371, XXIX, 193
Giacomo de Giannini, Anno, 1480, XXIX, 250
Giacomo di Giovanni, Anno 1480, XXIX, 120
Giacomo Garissio, Anno 1376, XXIX, 188
Giannini Giacomo, Anno 1481, XXIX, 250
Giberto, Anno 1129, XXIX, 44
Giovannello, Anno 1393, XXIX, 219
Giovanni di Milone, Anno 1236, XXIX, 85
Giovanni, abate di Farfa, Anno 1334, XXIX, 178
Giovanni, cardinale, Anno 1326, XXIX, 174
Girardo, vescovo, Anno 1272, XXIX, 112
Grassi Jatto, Anno 1232, XXIX, 169
Gregorio XI, Anno1377, XXIX, 202
Gregorio XII, Anno 1411,XXIX, 223
Gregorio XII, Anno 1422, XXIX, 226
Gualdino, Anno 1096, XXIX, 40
Gualtero di Galerano, Anno 1223, XXIX, 68
Gualtiero di Gioannetto, Anno 1346, XXIX, 188
Gualterio, priore, Anno 1219, XXIX, 59
Gualtieruccio padre di Benedetto, Anno 1374, XXIX, 200
Guandalino, Anno 1096, XXIX, 40
Guatta Giovanni, Anno 1201, XXIX, 54
Guerrone, Anno 1211, XXIX, 55
Innocenza VIII, Anno 1628, XXIX, 255
Jatto Grassi, Anno 1232, XXIX, 169
Lafredario, Anno 1053, XXIX, 34
Leonardo de Archionibus, Anno 1289, XXIX, 130
Leone X, Anno 1519, XXIX, 260
Lionardo di Milone, Anno 1236, XXIX, 85
Longino, Anno 1141, XXIX, 45
Mabilia, Anno 1211, XXIX, 55
Malaparte, Anno 1223, XXIX, 68
Manfredo, re, Anno 1261, XXIX, 102
Marca, XXIX, 218,228,250,253,262,265
Marca, XXIX, 96,99,105,130,131,133,137,143,153,157,158,174,196,206,215,216
Marco di Gualtiero di Gioannetto, Anno 1346, XXIX, 188
Massa, Anno 1381, XXIX, 215
Massio di Jacomutio, Anno 1408, XXIX, 221
Massiolo di Matteo di Pietro, Anno 1344, XXIX, 186
Matteo di Pietro, Anno 1344, XXIX, 186
Milone, Anno 1213, XXIX, 56
Monaldo di Marco, priore, Anno 1271, XXIX, 124
Monaldo, Anno 1215, XXIX, 57
Monsammartino, XXIX, 112,117
Monte dell’Olmo, Anno 1272, XXIX, 112
Monte di Rinaldo da Montefalcone, Anno 1279, XXIX, 123
Montedinove, Anno 1411, XXIX, 223
Montefalcone,XXIX, 120,123,131,139,148,186,188,243,246
Montefortino, Anno 1490, XXIX, 254
Montegranaro, Anno 1481,XXIX, 250
Montelparo, XXIX, 53,100,101,126,172,190
Monterodaldo, XXIX, 57,72
Morico di Longino, Anno 1141, XXIX, 45
Morico, abate, Anno 1275, XXIX, 115
Morico, abate, Anno 1280, XXIX,125
Mortula, Anno 1374, XXIX, 200
Munaldo, Anno 1225, XXIX, 71
Niccolò IV, Anno 1290, XXIX, 133
Niccolò IV, Anno 1291, XXIX, 134,136
Niccolò IV, Anno 1378, XXIX, 213
Nicola di Gualtiero di Gioannetto, Anno 1376, XXIX, 188
Oddone di Oddone, Anno 1071, XXIX, 39
Oderisio, abate, Anno 1236, XXIX, 83
Odiato, Anno 1211, XXIX, 55
Offida, Anno 1280, XXIX, 125
Olderico, vescovo, Anno 1059, XXIX, 36
Onorio IV, Anno 1286, XXIX, 127
Onorio IV, Anno 1289, XXIX, 130
Ospedale de Poveri, Anno 1319, XXIX, 160
Ospedale del Castello, Anno 1235, XXIX, 81
Pandulfo, Anno 1211, XXIX, 55
Paolo III, Anno 1538, XXIX, 261
Pastena, XXIX, 44
Perretti Alessandro, cardinale, Anno 1613, XXIX, 262
Poggio di Pietra, XXIX, 68,72
Poggio, XXIX, 43,44,72
Pontariolo, Anno 1053, XXIX, 34
Pontarolo, XXIX, 32,51,143
Rassiu, Anno 1141, XXIX, 45
Rollani Matteo, Anno 1201, XXIX, 54
Rubbata moglie di Benedetto, Anno 1239, XXIX, 87
S. Angelo di Castello di Montelparo, Anno 1348, XXIX, 190
S. Angelo di Montelparo, XXIX, 172
S. Angelo in Barvulano, XXIX, 88,91
S. Antino di Offida, Anno 1285, XXIX, 126
S. Biagio dell’Aso, Anno 1237, XXIX, 77
S. Biagio di Teramo, Anno 1225, XXIX, 69
S. Catarina di Montefalcone, Anno 1344, XXIX, 186
S. Cecilia di Montefalcone, XXIX, 120,123
S. Elpidio, Anno 1316, XXIX, 159
S. Emidio, Anno 1285, XXIX, 126
S. Giacomo di Pontarolo, Anno 1307, XXIX, 143
S. Giovanni di S.Vittoria, Anno 1325,XXIX, 173
S. Giovanni, confraternita, Anno 1459,XXIX, 246
S. Ilario di Ascoli, XXIX, 69,71
S. Lucia di Montefalcone, Anno 1309, XXIX, 148
S. Marco di Servigliano, Anno 1272, XXIX, 112
S. Marco, Anno 1232, XXIX, 79
S. Maria della Valle, Anno 1265, XXIX, 106
S. Maria di M. Urso, XXIX, 64,95
S. Maria di Montefalcone, XXIX, 131, 148
S. Maria Piccinina di Belmonte, Anno 1219, XXIX, 59
S. Martino, XXIX, 64,95
S. Nicola de Perticara, Anno 1225, XXIX, 71
S. Paolo, Anno 1219, XXIX, 59
S. Pietro di Catelliano di Montelparo, Anno 1324, XXIX, 172
S. Pietro di M. Rodaldo, Anno 1265, XXIX, 106
S. Pietro di Surripa, Anno 1299, XXIX, 139
S. Pietro Vecchio di Fermo, XXIX, 59,65
S. Sede, XXIX, 96,97,196,219,236
S. Tomasso di Montedinove, Anno 1411,XXIX, 223
S. Trinità, Anno 12899, XXIX, 128
S. Valentino, XXIX, 106,108
S. Vittoria, XXIX, 124,126,128,130,131,133,136,137,141,143,144,147,148,150,152
S. Vittoria, XXIX, 160,165,167,173,176,178,186,188,190,193,202,209,211,217,221
S. Vittoria, XXIX, 228,235,236,243,245,248,250,252,253,255,256,261,265,266
S. Vittoria, XXIX, 32,34,39,40,48,49,51,56,59,65,68,69,71,72,75,77,79,82,83,85
S. Vittoria,XXIX, 87,88,89,90,91,92,93,94,96,97,99,101,102,105,111,112,117,118
Santelpidio, Anno 1285,XXIX, 126
Siezio, Anno 1032, XXIX, 32
Sifredo, Anno 1053, XXIX, 34
Sisto IV, Anno 1471, XXIX, 249
Smerillo, Anno 1276, XXIX, 118
Solfoerio, Anno 1032, XXIX, 32
Teramo, Anno 1225, XXIX, 69
Tomacelli Andrea, Anno 1393, XXIX, 219
Turris Casulis contrada, Anno 1245, XXIX, 89
Ubertino di Teramo, Anno 1225, XXIX, 69
Uberto, vescovo, Anno 1032, XXIX, 32
Ugolino di Nuzio, Anno 1408, XXIX, 221
Urbana, vedova di Ugolino di Nuzio, Anno 1408, XXIX, 221
Urbano VI, Anno 1378, XXIX, 204,207,20,211,213
Urbano VI, Anno 1412, XXIX, 226
Ursini, cardinale, Anno 1417, XXIX, 235
Valente di Malaparte, sindaco, Anno 1223, XXIX, 68
Valle Cupa, Anno 1153, XXIX, 47
Vico di Sabotto, Anno 1411, XXIX, 223
Vico S. Trinitatis, Anno 1230, XXIX, 75
Digitato da Albino Vesprini che fece l’indice

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