BELLUCCi mons. Alessandro di Fermo ingegnere e canonico amministratore dei beni del MONTANI, autore di teologia spirituale

MONS. ALESSANDRO BELLUCCI

Mons. Romano Alessandro Bellucci (1899-1973) benemerito sacerdote dell’arcidiocesi di Fermo, Prelato Domestico di Sua Santità, Arciprete della Basilica Metropolitana ha seguito la guida degli arcivescovi Carlo Castelli (1906- 1933), mons. Ercole Attuoni (1933- 1941), mons. Norberto Perini, (1941-1973) e mons. Cleto Bellucci.

Lo ricordano vivamente la sorella signora Giovanna Bellucci vedova Nazzaro, il nipote Romano con la moglie Annamaria Paci ed i figli Francesca e Decio Alessandro, la nipote Gabriella con il marito Franco Arnaboldi, il Capitolo Metropolitano, il Seminario Arcivescovile, la presidenza, il consiglio di amministrazione, il preside, i professori ed il personale dell’Istituto Industriale «Montani» e dell’annesso Convitto di Fermo, l’Associazione Nazionale ex Allievi del «Montani», la Sezione Marchigiana della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, il presidente, il consiglio di amministrazione e la direzione del Consorzio Bonifica Valle Tenna, il Comitato Comunale della D. C. fermana.

La sua operosa vita sacerdotale era dedicata alla educazione dei giovani, all’insegnamento ed alle attività sociali e formative con profonda cultura scientifica e teologica, con senso di responsabilità, semplicità, affabilità e grande bontà d’animo.

Mons. Alessandro Bellucci era nato a Fermo il 1 agosto 1899 da antica e nobile famiglia. Fin da ragazzo aveva dimostrato rare doti di intelligenza e di amore verso lo studio. Conseguita brillantemente la maturità classica nel 1917, si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria Civile e nel 1923 si laureò a pieni voti.

Nel periodo degli studi liceali ed universitari partecipò attivamente al Circolo « Silvio Pellico » della Gioventù di Azione Cattolica e per vari anni fu redattore di “Cultura Giovanile”, organo di tale circolo fermano, animato da don Federico Barbatelli. Fu iscritto alla FUCI romana, della quale fu vice presidente all’epoca in cui era assistente mons. Giovanni Battista Montini poi sommo Pontefice.

Appena laureato fu chiamato ad insegnare matematica all’Istituto Industriale «Montani» e successivamente fu docente di meccanica anche bibliotecario e si conquistò la stima e la simpatia degli alunni e dei colleghi. Insegnò matematica anche nel seminario dei chierici fermani.

Nel 1932, maturata la vocazione sacerdotale, lasciò l’insegnamento ed entrò all’Almo Collegio Capranica di Roma per gli studi teologici. Fu ordinato sacerdote il 25 luglio 1935 ed incardinato nella Diocesi di Roma fino al 1942, quando, nominato canonico della Metropolitana di Fermo, venne ad espletare il ministero sacerdotale nella sua città.

Tra le molteplici attività, collaborò per vari anni alla «Voce delle Marche» con articoli di fondo e di commento, che ancora oggi conservano viva attualità.

Nel dopoguerra tornò ad insegnare all’Industriale, prima matematica e quindi religione per molti anni, suscitando tale interesse dei giovani verso i problemi spirituali da dover corrispondere con lucidi chiarimenti alle pressanti richieste degli studenti. Questo materiale didattico gli servì per pubblicare, nel 1967, un libro, nelle edizioni Paoline, dal titolo «Legge morale e volontà di vivere». Fu professore anche del Seminario, dove fu titolare della cattedra di teologia spirituale.

Un rilevante incarico di mons. Alessandro Bellucci fu quello di componente d’amministrazione dell’Istituto Industriale «Montani», in seno al quale, per 23 anni, sino al gennaio 1971, svolse il ruolo di vice-presidente, prima a fianco del senatore Nicola Ciccolungo e poi del senatore Giorgio Tupini, che egli rappresentò per circa un ventennio alla guida dell’importante complesso scolastico riscuotendo larga stima anche dal Ministero della Pubblica Istruzione. Infatti fu incaricato, nel 1968, di tenere una relazione, alla Conferenza Nazionale dell’Istruzione Tecnica a Roma, sui nuovi metodi di assistenza nei convitti. Mons. Alessandro Bellucci è stato consulente morale del Gruppo marchigiano della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, partecipando ai suoi vari congressi e convegni con dotte relazioni e pubblicando, per conto della stessa UCID, numerosi opuscoli ed articoli. Fu assistente della Sezione fermana dei Laureati Cattolici e presidente dell’Amministrazione Diocesana Immobiliare. Fu componente anche del comitato per l’erigendo nuovo Seminario. Il 21 settembre 1973 serenamente si è spento a Fermo, all’età di 74 anni, con il conforto della Benedizione Apostolica

 

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IACAPINI don ELIO sacerdote notizie biografiche brevi 1915 – 1982

Don ELIO IACOPINI parroco

Il 29 dicembre 1982 è piamente deceduto nella sua casa di Piane di Falerone dopo oltre dieci anni di infermità che lo aveva quasi del tutto paralizzato. Era nato a Ponzano di Fermo il 14 aprile 1915; compiuti gli studi, fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Fermo Mons. Ercole Attuoni il 9 luglio 1939. Poi, per qualche anno, vicario cooperatore a Montottone, in Amandola, nella Parrocchia di S. Lucia a Fermo. La sua abituale generosità lo ha portato ad optare per il ministero pastorale tra i soldati durante la guerra; divenne Cappellano militare dei Bersaglieri; ed assistette coraggiosamente il suo reggimento nelle battaglie e nelle avanzate della guerra di liberazione, negli anni 1943 e 1944. Terminata la guerra l’arcivescovo Mons. Norberto Perini lo invitò a rientrare in Diocesi e lo nominò parroco a Piane di Falerone. In questa parrocchia creata di recente, c’era tutto da fare nuovo: edificare la Chiesa, la casa canonica, le attrezzature parrocchiali. Egli realizzò tutto con pazienza e perseveranza, perfino con allegro ottimismo. Per quasi trenta anni ha retto la parrocchia con ammirabile zelo; parroco stimato dai confratelli e dai superiori ecclesiastici, benvoluto dalla sua gente per la sua dedizione e per la sua serena allegria, che lo rendeva accetto anche ai lontani dalla pratica religiosa. Poi cadde ammalato, divenne quasi paralitico, coronando così la sua fervida attività pastorale con la sofferenza, che lo ha reso più vicino al Salvatore Crocifisso. La gente di Piane volle che rimanesse sul posto, in mezzo a loro, e non mancò di aiutarlo e confortarlo in tutte le maniere. In morte tutti lo piansero; ed il suo funerale fu onorato dalla partecipazione di gran folla di fedeli, da un gran numero di sacerdoti concelebranti, da un picchetto di Bersaglieri col cappello piumato, quel cappello di cui d. Elio si era dimostrato così fiero e orgoglioso, non meno che dell’abito sacerdotale.

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PERDONO DIVINO AL PECCATORE CRISTIANO PENTITO SIN DAI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA NEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA ANTICA. Contro l’errore di Cyrille Vogel

LA REMISSIONE DEI PECCATI – in contrario un errore di Vogel Cyrille (1919- 1982) che nel libro sul peccatore e la penitenza nella Chiesa antica non riconosce quello che con ortodossia insegnavano i papi tra cui san Callisto ( papa 218-223)

Da Cathopedia: “ Ippolito e Tertulliano sfidarono l’ortodossia di Callisto, sul campo di un editto con cui il papa garantiva la Comunione, dopo la giusta penitenza, a coloro che avevano commesso adulterio e fornicazione. Callisto si basò sul potere di rimettere e perdonare concesso a san Pietro, ai suoi successori ed a chi era in comunione con loro.

Si lamentava il montanista Tertulliano: «Come giungesti a questa decisione, io mi chiedo, da dove usurpi questo diritto della Chiesa? Se è perché Dio disse a Pietro: ‘Su questa pietra io costruirò la mia Chiesa, io darò a te le chiavi del regno dei cieli’, o sull’affermazione che ‘qualsiasi peccato rimetterai o non rimetterai sulla terra sarà rimesso o non rimesso in paradiso’? Forse tu presumi che questo potere di rimettere o non rimettere ti è stato trasmesso e con te ad ognuno in comunione con la Chiesa di Pietro» “

L’errore di Cyrille Vogel si trova pubblicato anche nell’Enciclopedia Cattolica della Citta del Vaticano alla voce ‘Penitenza’

Questa prassi del perdono dei peccati con il sacramento è ricordata anche nella vita del papa Marcello (anni 308-309) del quale si ha una testimonianza nell’epigrafe composta da Papa Damaso I per la sua tomba: “Pastore vero, perché manifestò ai lapsi <cristiani che sottoposti alla persecuzione avevano rinnegato la fede> l’obbligo che avevano di espiare il loro delitto con le lacrime della penitenza … “

Parimenti il perdono dei peccati dopo il pentimento della colpa con il sacramento della penitenza è testimoniata da sant’Agostino vescovo di Tagaste (+430) nella sua lettera numerata 153:” In realtà, chi si pente sul serio, non ha altra intenzione che di non lasciare impunito il male da lui commesso: in tal modo chi punisce se stesso è perdonato da Colui, all’insondabile e giusto giudizio del quale non può sfuggire nessuno che lo disprezzi. Se poi Dio, perdonando i malvagi e gli scellerati e dando loro vita e salute, mostra pazienza anche verso parecchi di loro ch’egli sa che non faranno penitenza, quanto più dobbiamo usar misericordia noi, verso quanti promettono di emendarsi, anche se non siamo certi che manterranno la promessa, affinché mitighiamo il vostro rigore intercedendo per coloro per i quali preghiamo anche Dio, al quale nulla è nascosto della loro condotta anche futura e tuttavia non temiamo di pregare Dio per loro poiché è lui stesso a comandarcelo? “

 

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Notizie topografico-statistiche edite nel volume di Giuseppe Fracassetti ” Notizie storiche della città di Fermo ridotte in compendio. Fermo 1841

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L’archidiocesi di Fermo (FM) ha un antico santuario della Madonna dell’Ambro arricchita in sei secoli di dipinti a scopo di culto. I dipinti chiesti al pittore Salvatore Tricarico da Calvello (PZ))

Il santuario della Madonna dell’Ambro a Montefortino (FM) tutta dipinta simmetricamente

 

Santuario Madonna dell'Ambro

I dipinti del pittore Salvatore Tricarico nei pilastri laterali del Santuario Madonna dell’Ambro

 

Santuario Madonna dell'Ambro

I dipinti del pittore Salvatore Tricarico nei pilastri laterali del Santuario Madonna dell’Ambro

Salvatore Tricarico

Il pittore Salvatore Tricarico con il Vicario dell’archidicesi di Fermo che ha benedetto l’ultimo dipinto nel pilastro a sinistra entrando nel santuario della Madonna dell’Ambro a Montefortino (FM)

Salvatore Tricarico

Salvatore Tricarico

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Reliquie delle ossa e del sangue di san Serviliano martire estratte dalla catacombe di Priscilla donate alla parrocchia di Servigliano di Fermo

Pergamena in latino e traduzione della pergamena della parrocchia di San Marco in Servigliano per la CONSEGNA DELLE RELIQUIE DI SAN SERVILIANO ESTRATTEDALLE CATACOMBE DI PRISCILLA nel 1661

\traduzione\\   Nel nome del Signore. Amen. Con il presente istrumento pubblico si rende chiaramente noto a tutti e in ogni luogo che nell’anno della sua nascita 1661 indizione XIV, il giorno 17 luglio, anno settimo del pontificato del padre in Cristo per divina provvidenza papa Alessandro VII, alla presenza dei testimoni appositamente convocati qui scritti e di me notaio pubblico, si presentò l’ill.mo e rev.mo arcivescovo di Patrasso da me ben conosciuto Vice reggente del Ginetti cardinale di santa Romana Chiesa, Vicario generale dell’alma Roma e di sua santità il nostro signor Papa, e in ogni miglior modo fece generosamente dono per la maggior gloria e per l’onore di Dio onnipotente e dei suoi santi e per accrescere la devozione dei fedeli cristiani  dando all’illustre signor Giovanni Francesco Pe…. da Servigliano, diocesi di Fermo, presente ed accettante umilmente, le ossa del corpo di San Gualtiero con mezza fiala del suo sangue e con una lapide di marmo recante l’iscrizione con il nome di questo santo martire “In Cristo Serviliano nella pace per Cristo “ <ossa> estratte dal cimitero di Priscilla da sua signoria per mandato di sua santità il Papa nostro signore e collocate riposte in una cassetta di legno, riempita di (?gossipio), lunga di due palmi e due dita circa e larga un palmo circa, avvolta con una fettuccia di seta rossa a forma di croce e munita con impressione due sigilli di cera rossa dal detto em.mo e rev.mo cardinale.

Giovan Francesco le accolse e ringraziò moltissimo l’ill.mo e rev.mo Vice Reggente del Vicario il quale per lo scopo che chi stava ricevendo le ossa del santo martire Serviliano potesse consegnarle ad altre persone fuori dall’Urbe, gli concesse benevolmente la facoltà e la licenza di collocarle ed esporle in qualsiasi chiesa sacello, oratorio, luogo pio per accrescerne la pubblica venerazione da parte dei fedeli che vi affluissero, non soltanto nei modi  e nelle formalità già detti, ma anche in qualsiasi altra migliore modalità.

Io notaio pubblico sottoscritto sono stato richiesto per tutte singole le cose qui scritte di redigere uno o più atti pubblici da consegnarsi su richiesta, ove servissero.

Redatto a Roma nel palazzo dell’ill.mo e rev.mo predetto Vice reggente sito nella Regione del Ponte <a Roma> alla presenza, con l’ascolto e con il comprendonio di tutto ciò da parte dei seguenti testimoni chiamati e intervenuti per il rogito: Giovanni Antonio Mancini napoletano; l’ill.mo e rev.mo Pietro Cellio uditore (giudice) e famiglio del predetto arcivescovo di Patrasso, Vice reggente del cardinale Vicario generale dell’alma Urbe <Roma> e del sant.mo nostro sig. papa.   Fui presente, scrissi e pubblicai io Nicola Fiorello notaio.

Noi Mario <Martio> Ginetti cardinale di santa Romana Chiesa per divina clemenza vescovo di Albano, vicario generale di sua santità il papa, giudice ordinario della curia romana e del suo distretto facciamo fede e attestiamo a tutte e singole le persone che il detto Nicola Fiorello fu richiesto per il rogito come pubblico e legale notaio degno di fede della nostra curia e che sempre gli si dia fiducia in giudizio per quanto ha scritto. In fede di ciò. Data a Roma dalla nostra sede il giorno 12 agosto 1661

Per il signor Lanno Pino notaio – Lutio Mancini in fede.

Nota che il vicario del papa a Roma dal 1629 al 1771 era il card. Ginetti Martio (*1586+1671)

Vice Reggente del Vicariato dal 1660 al 1666 era Carafa Ottaviano (nato 1604)

latino    \    IN NOMINE DOMINI AMEN. Praesenti publico instrumento cunctis ubique pateat evidenter et sit notum quod anno ab eiusdem Domini nostri Jesu Christi nativitate millesimo sexcentesimo sexagesimo primo indictione decimaquarta die vero decima septima mensis iulii pontificatus sanct.mi in eodem Christo patris et domini Alexandri divina providentia papae VII anno VII in mei notarii publici testiumque infrascriptorum ad haec omnia et singula specialiter vocatorum habitorum atque rogatorum praesentia praesens et personaliter existens ill.mus et rev.mus Dom. Archiepiscopus patracensis em.mi et rev.mi domini cardinalis Ginnetti almae Romae sanctitatis domini nostri Papae vicarii generalis Vicegerens mihi notario optime cognitus sponte ac omni meliori modo etc ad maiorem omnipotentis Dei sanctorumque suorum gloriam et honorem Christique fidelium devotionis augmentum dono dedit benigneque elargitus fuit perii.mo domini Iohanni Francisco Pe………. de Serviliano firmanae dioecesis praesenti ac devote et humiliter recipienti ossa corporis sancti SERVILIANI cum media phiala sanguinis eiusdern ac lapide marmoreo in quo adest descriptum nomen eiusdem sancti martyris his verbis “PRO CHRISTO SERVILIANUS PRO X.0 IN PACE” alias per D.S. Ill.ma ex Priscillae coemeterio extracta de mandato S.D.N. Papae illaque reposita et collocata in quadam capsula lignea gossipio intus repleta longitudinis duorum palmorum et digitorum duorum circiter et latitudinis unius palmi circiter ligula serica rubra circumcirca ad instar crucis devicta et duobus in locis sigillo praenominati eminentissimi et rev.mi d. Cardinalis Vicarii cera rubea hispanica munita praefatus dominus Iohannes Franciscus ad se humiliter recepit et gratias quamplurimas egit praefato ill.mo et rev.mo domino Vicegerenti qui ut praedictus dominus Franciscus praedicta ossa corporis S. Serviliani martyris penes se retinere aliis personis donare extra Urbem transmittere et in quacumque ecclesia sacello oratorio vel loco pio in devotionis Christifidelium inibi confluentium augmentum publicae venerationi exponere et collocare possit valeat licentiam et facultatem in Domino concessit benigneque impartitus fuit non solum modo et forma praemissis verum etiam et omni alio meliori modo etc. Super quibus omnibus et singulis praemissis petitum fuit a me eodem notario publico infrascripto ut unum vel plura publicum seu publica conficerem atque traderem instrumentum et in strumenta prout opus fuerit et requisitus ero. Actum Romae il Palatio dicti ill.mo et rev.mi domini Vicegerentis posito in Regione Pontis praesentibus ibidem audientibus et intelligentibus dom. Johanne Antonio Mancino Neapolitano et perill.mo ac excellenti domino Petro Cellio auditore et famulo respective ill.mi et rev.mi dom. Vicesgerentis testibus ad praemissa omnia et singula vocatis habitis specialiter atque rogatis. –  Archiepiscop(us) Patracens(is) Vicesgerens.

Ego Nicolaus Florellus curie causarum em.mi et rev.mi domini Almae Urbis Cardinalis ss. domini nostri Pape Vicariis Generalis notarius de praemissis …praesens actum subscripsi et publicavi.

Nos Marius miseratione divina episcopus Albanensis Sancte Romane Ecclesie Card. Ginnectus ss.domini nostri Pape Vicarii generalis romaneque Curie eiusque districtus iudex Ordinarius universis et singulis fidem facimus et attestamur supradictum dom. Nicolaum Florellum de praemissis rogatum fuisse et esse publicum legalem authenticum fide dignum Curieque nostre notarium scripturisque suis tam publicis quam similibus in iudicio et extra semper adhiberi fidem .In quorum fidem datum  Romae ex aedibus nostris hac die decimasecunda mensis augusti 1661.

Pro D. Lanno Pino notar.   \    Lutius Mancinus in fidem.

 

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BLASI MARIO PARROCO EVANGELIZZA Domenica XXXII anno C – Luca 20, 27s

XXXII DOMENICA ORDINARIA (Lc 20,27-38)

“Si avvicinarono alcuni Sadducei i quali negano che vi sia la Risurrezione”.

Alcuni Sadducei, che appartengono alla classe dirigente in Israele e detengono il potere economico, si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova. Essi negano che ci sia la risurrezione.

Gesù, che non teme alcuno, risponde ai Sadducei trattandoli da ignoranti della Sacra Scrittura e della potenza di Dio. Gesù dice ai Sadducei che non basta leggere la Sacra Scrittura per comprenderla, ma è necessario anche un cuore disposto ad aiutare i fratelli nelle loro necessità.

Chi orienta la propria vita ad aiutare il prossimo comprende il significato della Parola di Dio.

“Chi fa della propria vita un pane per gli altri, cioè chi mette la propria vita al servizio degli altri, conosce la Parola di Dio e ha già da ora una vita di una qualità tale che è indistruttibile. L’unica cosa che vale nell’esistenza della persona è il bene che si fa agli altri, tutto il resto è fatica inutile“.

Chi vive facendosi pane per gli altri, dimora già in Gesù, cioè è entrato nella sfera divina. Chi vive per gli altri si muove nell’ambito della realtà divina.

Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per Lui “.

Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è vicino all’uomo, lo protegge e gli comunica vita: è il Dio dei viventi. Nel momento della morte fisica ha la potenza di ricreare l’uomo per donargli la Sua stessa vita.

Dopo la morte fisica la persona tutta intera continua la sua esistenza terrena nella sfera divina.

La vita eterna è un dono gratuito di Dio per chi ama i fratelli.

Per Gesù la vita eterna non risiede nel futuro, ma è una condizione nel presente. “Chi crede in me ha la vita eterna“.

Già in questa terra si può avere una vita di una qualità tale da dirsi eterna. “In questa esistenza terrena si può avere una vita indistruttibile e capace di superare la morte”.

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Blasi Mario parroco evangelizza domenica XXXI anno C Luca 19

Blasi don Mario parroco evangelizza

XXXI TEMPO ORDINARIO (Lc.19,1-10)

“Zaccheo cercava di vedere quale fosse Gesù”

Gesù solo, nella nostra storia, dona la salvezza con il Suo Amore. Ogni uomo è chiamato ad aprirsi all’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù.

Zaccheo capo dei pubblicani vuol vedere Gesù. E’ “considerato una sanguisuga e un traditore dai suoi connazionali, la religione lo ritiene un intoccabile, che rende immondo tutto quello che tocca, compresa la casa che abita”.

Se uno vede  Zaccheo con l’occhio della religione degli ebrei, è un caso disperato. Zaccheo ha un nome che significa “puro”, ma il suo mestiere lo rende impuro per eccellenza. Egli, non solo è capo dei pubblicani, ma è anche moto ricco.

Gesù, “da ricco che era, si è fatto povero. Zaccheo si è arricchito, invece, impoverendo la gente”. Gesù, nel Suo messaggio, dice che per i ricchi non c’è alcuna speranza per entrare nel Regno di Dio:

“E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Regno di Dio”.

“Zaccheo cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”. Zaccheo è un uomo basso moralmente. “I ricchi non sono all’altezza di Gesù, e la ricchezza accumulata da Zaccheo è l’ostacolo che gli impedisce di vedere Gesù”.

Zaccheo sale su un sicomoro per vedere e non essere visto. Gesù, camminando, giunge sotto la pianta del sicomoro, alza lo sguardo e vede Zaccheo, un uomo peccatore  da salvare, lo chiama per nome dicendo:

“Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua “.

Quel “devo” indica la volontà di Dio che desidera la salvezza di ogni uomo. Dio interviene sempre per salvare la Sua creatura, ma esige l’accoglienza. Sta sempre alla porta  del cuore e bussa e se qualcuno apre, cioè toglie l’ostacolo, entra e cena con il Suo figlio.

Zaccheo scende subito e con gioia accoglie Gesù nella sua casa. “Ma la gioia di Gesù e di Zaccheo non è condivisa dai presenti”. Tutti mormorano perché Gesù è entrato nella casa di un peccatore. La presenza di Gesù nella casa rende Zaccheo un uomo nuovo. Chi dà adesione gioiosa a Gesù, cambia vita.

Zaccheo, l’uomo redento dall’Amore di Gesù, decide di dare la metà dei suoi beni ai poveri e di restituire ciò che ha defraudato, quattro volte tanto.

Gesù gli dice:   “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”.

Zaccheo sperimenta nel proprio cuore che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Dona i suoi beni a chi vive nella necessità. Ogni cristiano, che ascolta la Parola di Gesù, deve sperimentare nel cuore l’ ”oggi” della salvezza, per comunicarla ad ogni uomo.

“Zaccheo cercava di vedere quale fosse Gesù”

Gesù solo, nella nostra storia, dona la salvezza con il Suo Amore. Ogni uomo è chiamato ad aprirsi all’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù.

Zaccheo capo dei pubblicani vuol vedere Gesù. E’ “considerato una sanguisuga e un traditore dai suoi connazionali, la religione lo ritiene un intoccabile, che rende immondo tutto quello che tocca, compresa la casa che abita”.

Se uno vede  Zaccheo con l’occhio della religione degli ebrei, è un caso disperato. Zaccheo ha un nome che significa “puro”, ma il suo mestiere lo rende impuro per eccellenza. Egli, non solo è capo dei pubblicani, ma è anche moto ricco.

Gesù, “da ricco che era, si è fatto povero. Zaccheo si è arricchito, invece, impoverendo la gente”. Gesù, nel Suo messaggio, dice che per i ricchi non c’è alcuna speranza per entrare nel Regno di Dio:

“E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Regno di Dio”.

“Zaccheo cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”. Zaccheo è un uomo basso moralmente. “I ricchi non sono all’altezza di Gesù, e la ricchezza accumulata da Zaccheo è l’ostacolo che gli impedisce di vedere Gesù”.

Zaccheo sale su un sicomoro per vedere e non essere visto. Gesù, camminando, giunge sotto la pianta del sicomoro, alza lo sguardo e vede Zaccheo, un uomo peccatore  da salvare, lo chiama per nome dicendo:

“Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua “.

Quel “devo” indica la volontà di Dio che desidera la salvezza di ogni uomo. Dio interviene sempre per salvare la Sua creatura, ma esige l’accoglienza. Sta sempre alla porta  del cuore e bussa e se qualcuno apre, cioè toglie l’ostacolo, entra e cena con il Suo figlio.

Zaccheo scende subito e con gioia accoglie Gesù nella sua casa. “Ma la gioia di Gesù e di Zaccheo non è condivisa dai presenti”. Tutti mormorano perché Gesù è entrato nella casa di un peccatore. La presenza di Gesù nella casa rende Zaccheo un uomo nuovo. Chi dà adesione gioiosa a Gesù, cambia vita.

Zaccheo, l’uomo redento dall’Amore di Gesù, decide di dare la metà dei suoi beni ai poveri e di restituire ciò che ha defraudato, quattro volte tanto.

Gesù gli dice:

“Oggi la salvezza è entrata in questa casa”.

Zaccheo sperimenta nel proprio cuore che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Dona i suoi beni a chi vive nella necessità. Ogni cristiano, che ascolta la Parola di Gesù, deve sperimentare nel cuore l’ ”oggi” della salvezza, per comunicarla ad ogni uomo.

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Blasi don Mario parroco nel mese di ottobre evangelizza il Rosario

Il parroco Blasi don Mario evangelizza la preghiera Mariana

 I cristiani adottarono l’usanza in onore di Maria, offrendole la triplice “corona di rose”, in segno di sudditanza, che ricorda i misteri di Cristo.

Inizialmente questa festa fu chiamata “Santa Maria della Vittoria” per celebrare la liberazione dei cristiani dagli attacchi dei Turchi, nella vittoria navale del 7 ottobre 1571 a Lepanto (Grecia). Poiché in quel giorno, a Roma, le Confraternite del Rosario celebravano una solenne processione, San Pio V attribuì la vittoria a “Maria aiuto dei Cristiani” ed in quel giorno ne fece celebrare la festa nel 1572. Dopo le altre vittorie di Vienna nel 1683 e Peterwaradino nel 1716, papa Clemente XI istituì la festa del Rosario nella prima domenica di ottobre.  “Recitate il Rosario tutti i giorni…

Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori…

Sono la Madonna del Rosario.  Solo Io vi potrò soccorrere.

…Alla fine il Mio Cuore Immacolato trionferà “. (La Madonna a Fatima)

San Bernardo di Clairvaux, nel suo celebre “Ricordare” scrive:  ” Ricordati, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al Tuo aiuto, chiesto la Tua protezione e sia stato da Te abbandonato!”

RIFLESSIONE SU MARIA

“Eccomi, sono la serva del Signore”.

La nascita di Gesù, con l’accettazione di Giuseppe del suo concepimento per opera dello Spirito Santo, non ha segnato la fine delle turbolenze nella vita di Maria e di Giuseppe.

Maria e Giuseppe sono consapevoli che il loro Figlio proviene da Dio, quale frutto di una nuova creazione ad opera del Signore. Sanno anche che la missione di Gesù sarà quella di salvare il Suo popolo dai suoi peccati.

L’annuncio della nascita di Gesù è stato dato ai giudei da alcuni Maghi, stranieri e pagani. Matteo scrive che, udito questo, il re Erode si spaventò e con lui tutta Gerusalemme. Che si spaventi Erode all’annuncio della nascita del Re dei Giudei è comprensibile. Erode era un re illegittimo; ma, che insieme ad Erode anche tutta Gerusalemme viene presa dal panico, è la prima di tante strane situazioni che porteranno Maria e Giuseppe ad una sofferta riflessione su chi sia questo loro figliolo.

Se il Bambino ha il compito di salvare il Suo popolo dai suoi peccati, come mai Gerusalemme, la città santa di tutta la terra, si allarma anziché rallegrarsi? Gesù, il Dio con noi, è forse un pericolo per il Santuario?

Gli interrogativi, per Maria e Giuseppe, si trasformeranno in sospetti e angosce; ma, tra poco, la realtà degli avvenimenti sarà peggiore dei loro timori.

Maria e Giuseppe si trovano a Betlemme, dove Gesù è nato. I sommi sacerdoti e gli scribi della vicina Gerusalemme hanno già informato Erode che ha espresso il desiderio di adorare il Re dei Giudei nel luogo dove questi è nato. Ma da Gerusalemme nessuno si è dato la pena di verificare se nella piccola Betlemme si fosse realizzata la profezia. L’atteso Messia è lì a due passi e nessuno si muove.

Veramente una visita c’è, ma non è quella attesa. Gli unici che si recano alla casa di Betlemme sono alcuni Maghi giunti da oriente.

Con la presenza dei Maghi l’Evangelista intende affermare che i primi a rendere omaggio al Re dei Giudei sono stati dei pagani. L’estensione del Regno di Dio pure ai pagani e ai peccatori viene raffigurata dall’Evangelista nei doni che i Maghi offrono a Gesù.

L’oroomaggio regale. I pagani riconoscono Gesù come loro sovrano. Il Regno di Dio non è solo per Israele, ma per tutti i popoli.

L’offerta dell’incenso a Gesù significa che il privilegio di essere popolo sacerdotale non è riservato ad Israele, ma viene esteso a tutti i popoli.

La mirra è simbolo dell’amore della sposa per lo sposo. Il dono di questo profumo è segno che l’onore di essere il popolo sposo del Signore non è più solo d’Israele, ma viene esteso a tutte le nazioni pagane.

(da A. Maggi)

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Blasi don Mario evangelizza domenica XXIX tempo ordinario anno C Luca 18

Blasi Mario parroco  evangelizza

XXIX TEMPO ORDINARIO (Lc.18,1-8)

“Fammi giustizia del mio avversario “.

Un giudice di una piccola città rende giustizia a modo suo. Non rende giustizia ai poveri. Si comporta in modo contrario alla legge di Dio. Non ama né Dio né i fratelli. E’ iniquo ed empio.

Una vedova gli chiede che le sia fatta giustizia, ma egli non l’ascolta. La vedova ha una costanza straordinaria, anche se appartiene alla categoria di persone deboli e misere. Il giudice rifiuta sempre di darle ragione. Per il giudice è una cosa molto grave e si rende complice di coloro che approfittano della condizione della vedova. Favorisce quelli che compiono ingiustizie. La vedova, però, con la sua costanza, lo annoia.

Il giudice, alla fine, prende una decisione di convenienza. E’ un egoista. Rende giustizia alla vedova perché non venga più tra i suoi piedi. Ha anche paura che sia compromesso il suo onore nella piccola città per la mancata giustizia.

In questa parabola è messa in evidenza, non il giudice, ma la sua azione. Chi oserebbe pensare che Dio non renda giustizia ai Suoi che gridano giorno e notte per avere giustizia?

Dio non mancherà mai di aiutare i Suoi eletti, provati dalle difficoltà nel mondo.

Il Signore non tira le cose in lungo. La Sua giustizia sarà resa prontamente a quanti la chiedono, ma gli eletti saranno fedeli fino in fondo?

Nel mondo, per i cristiani, la fedeltà alla Parola di Dio può essere minacciata gravemente. Per questo è necessario pregare sempre, con la rettitudine nel cuore.

Agire con amore per il bene del fratello è pregare! Dio agisce sempre con amore disinteressato, così deve agire l’eletto di Dio che è il cristiano.

Il giudice iniquo agisce per motivi egoistici, per amore della sua posizione sociale. Il cristiano non deve mai agire con la forza dell’egoismo nel cuore.

I cristiani di tutti i tempi riflettano sulla costanza della vedova povera e indifesa, ma di un coraggio grande; preghino ed operino con serenità per diffondere la bontà nel mondo, non confidino nelle strutture del potere, ma solo in Dio. Egli protegge gli umili, quelli che non hanno nessun sostegno economico, politico e sociale. Egli sa suscitare persone buone che aiutano i deboli in modo gioioso e disinteressato.

I cristiani non perdano mai la fiducia in Dio, anche quando sembra che ritardi il suo intervento a favore dei poveri.

La storia della salvezza è sempre nelle Sue mani.

LA LEGGE DEL SIGNORE E’ LA NOSTRA GIOIA

LA FEDE: UN’UMILISSIMA FIDUCIA IN DIO

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