PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
PLEONEXIA ETIS ESTIN EIDOLOLATRIA (Col 3,5) L’avarizia che è idolatria
di Gabriele Miola biblista docente all’Istituto Teologico di Fermo
<Nota che nel trascrivere si è usata la traduzione della Bibbia dell’anno 2007>
Il termine greco pleonexia è di chiara derivazione: pleon indica il ‘di più’ e il verbo echo = ‘avere, possedere’: la pleonexia è l’aver di più e la brama di aver di più di quanto uno abbia o possieda. Anche per il latino avaritia ha probabile derivazione da un aveo, che indica desiderio e bramosia smodati, ci porta al significato di cieco possesso e di gretto accaparramento delle cose per la voglia di avere.
Ai termini pleonexia-avaritia soggiace l’idea che nella vita dell’uomo c’è una giusta misura di possesso e un’idea di uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini; sorpassare questa giusta misura e creare disuguaglianze è frutto di violenza. È quello che connota il vocabolo ebraico besa la cui radice significa “tagliare”, tradotto con pleonexia-avaritia, cui soggiace l’idea di taglio violento, quindi di cupidigia e di lucro ingiusto. Ecco alcuni testi:
-Ger 22,17. II profeta contrappone la vita giusta e l’amministrazione di un potere a tutela dei poveri del re Giosia al lusso e alle ingiustizie del figlio Ioiakim e dice: “I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, (besa – pleonexia) a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie”.
-Ab 2,9. Il profeta sulla base della legge morale che condanna l’arricchimento illecito, fratto di ingiustizie, lancia la maledizione divina contro la tracotanza del re e del popolo caldeo che sopprimono popolazioni intere; ma così – dice il profeta – distruggeranno se stessi!
“Guai a chi è avido di guadagni illeciti (bosea ‘ basa – pleonekton pleonexian)
un male per la sua casa
per mettere il nido in luogo alto…
Hai decretato il disonore alla tua casa;
hai soppresso popoli numerosi,
hai fatto del male contro te stesso”.
-Ez 22,27 denuncia le cause della distruzione di Gerusalemme e le vede non solo nella mancanza di fede in Jhwh e nel sincretismo religioso, ma anche nella avarizia dei suoi amministratori:
“I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano
il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (besoa‘ basa‘ – pleonexia pleonektosin)
-Sal 119,36. Il saggio che vive la profondità della legge di Jhwh e conosce le bramosie terrene del cuore dell’uomo, prega:
“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti,
e non verso la sete di guadagno” {besa ‘-pleonexia)
Da notare che in Prov. 1,19 lo stesso termine ebraico besa ‘ mentre da Aquila, Simmaco e Teodozione concordemente viene tradotto con pleonexia, nei LXX invece viene tradotto con asébeia che significa empietà. Troviamo già qui una indicazione chiara che l’avarizia è un rifiutare Dio e la sua legge (asébeia) per prostrarsi dinanzi alle cose come idoli (nota1).
Il tema dell’avarizia, del perseguimento della ricchezza e dell’attaccamento alle cose è molto sviluppato in tutto l’Antico Testamento nei suoi diversi aspetti. Ne richiamiamo alcuni:
-a). L’avarizia, la venalità, l’attaccamento al denaro corrompono la giustizia e quindi distruggono la vita sociale. In Es 18,21 Mosè deve scegliere come giudici delle persone che odiano besa‘, cioè l’avarizia, la venalità (nota2).
Il tema dell’amministrazione della giustizia, l’ingiunzione ai giudici di non farsi corrompere dai potenti o da donativi e regali, la denuncia di fatti di ingiustizia in tribunale sono ricorrenti nei diversi libri dell’A.T. (cfr Es 23,8; Dt 16,19; 27,25; Am 6,6ss; 5,12 ; Is 1,23 (nota3); Ez 34,1-10 ecc.),
-b. L’avarizia distrugge la vita umana nelle sue relazioni familiari e sociali. Nella sapienza dei diversi popoli e in tutte le letterature è stata descritta con ironia e disprezzo la figura dell’avaro per l’irrazionalità dei suoi atteggiamenti e la cecità dei suoi comportamenti. La letteratura sapienziale biblica più volte si sofferma su questa figura. In Pr. 15,27 ne viene sottolineata la perversione (nota4), ma soprattutto il Siracide descrive le contraddizioni dell’avaro e l’inaridimento della sua vita in 14,3-19. Citiamo solo dal Siracide 14,9:
“L’occhio dell’avaro non si accontenta della sua parte,
una malvagia ingiustizia gli inaridisce l’anima”.
Il Siracide in 31,1-11 arriva ad affermare che raramente le ricchezze sono esenti da ingiustizia e da avarizia:
“chi ama l’oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne (nota 5)sarà fuorviato (v.5)
e proclama veramente
“beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro l’oro (v.8).
-c). L’attaccamento alle cose e l’avarizia chiudono il cuore in un cieco orizzontalismo e rendono l’uomo incapace di vivere la vita coi suoi beni e valori. I beni della terra sono doni di Dio, l’attaccarsi ad essi fa dimenticare Dio come sorgente di ogni bene e perverte i valori della vita. Per questo la parenesi deuteronomista esorta a non dimenticare mai che quanto Israele ha avuto è dono di Dio:
“Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8,12-14).
Qohelet dedica ampio spazio alla riflessione sui beni terreni dell’uomo (cfr 5,9- 6,12). Per Qohelet
“chi ama il denaro, non è mai si sazio di denaro” (5,9).
La filosofia della vita di Qohelet è quella del giusto equilibrio: essere avaro, affaticarsi per le ricchezze e non godere delle cose è cosa vuota, vana e stolta. È la condanna di Dio che pesa sull’avaro; per l’uomo avaro sarebbe stato meglio non esser nato (cfr 6,1-6). Per Qohelet il metro di misura delle cose è la morte, che relativizza ogni possesso (cfr 5,14), e in un orizzonte di vita che non travalica nell’eterno (3,19-21), riconosce che le cose sono date da Dio come dono per goderne e non per accumulare.
-d). Besa-pleonexia-avaritia indicano non solo l’atto del possesso oltre la misura, ma anche la bramosia dell’avere che è senza limiti. La trasgressione della Torah, delle dieci parole, è sempre offesa al Dio dell’alleanza, ma l’attaccamento alle cose e la brama sconfinata del possedere portano l’uomo alla volontà di potenza e conseguentemente ad escludere Dio dalla propria vita e dalla storia in cui costruisce il proprio potere.
Il comandamento “non desidererai” (Es 20,17), nella sua valenza negativa (nota5) di possedere ciò che è di altri, esprime la radice di ogni male perché il desiderio senza misura è la molla di ogni agire perverso.
La terra e le cose sono date all’uomo (Gen 1.26.29;2,19) e l’uomo le possiede; la radice del male sta nell’avarizia, nell’avidità del possedere al di là del giusto limite così che si perverte il rapporto uomo-cose: queste prendono il sopravvento sull’uomo; allora non è più l’uomo a possedere le cose, ma le cose possiedono il desiderio dell’uomo e ne viene pervertito anche il rapporto tra persone.
Non a caso la tradizione deuteronomista conclude la Torah presso il Giordano con Israele che sta alle soglie della terra di Canaan, così che questa rimanga sempre come una terra promessa, come terra donata e mai posseduta in proprio, come eredità data da Dio al suo popolo (cfr.Es 15,17;Sal 47,5; 136,21s ecc.), quasi simbolo della vera eredità che è Dio stesso (cfr Sal 15,5). Non è a caso che la tradizione sacerdotale istituisca una legge, forse mai applicata, quella dell’anno giubilare (Lev. 25), in cui ogni cinquanta anni la proprietà della terra delle singole famiglie ritorni alle origini superando ogni accumulo o accorpamento che si possa essere giustamente o meno verificato negli anni, per ristabilire il senso vero del possesso come eredità data da Dio e non diritto dell’uomo.
Nella visione biblica infatti ultimo desiderio dell’uomo può essere solo il Dio dell’alleanza e della salvezza e la sua legge (cfr Sal 42,2; 63,2s; 84,3 ecc. Is 26,8 ecc.), ma quando l’uomo ha come termine del desiderio se stesso e le cose assolutizza la propria persona e si sostituisce a Dio. Lo jahwista vede la radice perversa di questo desiderio in Adam, che non si fida di Dio e prende il frutto desiderabile (nota6) per conoscere il bene e il male (Gen 3,5). L’avarizia o meglio l’avidità sconfinata delle cose o del potere acceca il cuore dell’uomo, allora l’idolatria invade il suo cuore facendogli dimenticare Dio, anzi ponendolo al di sopra di lui. Così avarizia e superbia coincidono: l’avarizia è il grembo o il supporto della superbia e la superbia è l’avidità senza limiti.
Quando Israele pone il suo desiderio nelle cose e pensa che siano i ba’alim, come forze divine della natura, a dargli, come dice Osea, grano, vino ed olio, argento e oro (Os 2,10-14; cfr anche Dt 8,11-18; Ez 16,37 ecc.), allora diventa idolatra. Un po’ come l’uomo di oggi che dimentico di Dio pensa di ricevere i suoi beni dalla scienza, dalla tecnologia, dalla economia, dalla politica ecc. e ne assolutizza il valore.
Quando la cupidigia, l’orizzonte del dominio terreno, l’orgia del potere diventa ‘ybris, volontà di potenza, che si pone come assoluto, allora la gloria di Dio mostra la nullità dei disegni degli uomini; quando i potenti della terra con tracotanza assoggettano popoli e si ergono ad arbitri della storia, accumulano ricchezze senza numero e per avidità schiacciano i poveri e gli umili, assolutizzano se stessi e pretendono onori divini, allora il Santo d’Israele, l’Unico, li abbatte dai troni e li travolge nella loro idolatria. È questa la teologia che esprime il libro dell’Esodo nei riguardi del Faraone, il Profeta Isaia contro Sennacherib di Assiria (Is 37,22-29), Ezechiele contro il re di Tiro (Ez 28,1-10), il libro di Daniele contro l’assolutismo di Antioco IV Epifane e dei regni ellenistici.
La loro stessa idolatria li perde, come un fuoco che consuma (cfr.Ez 28,18). Sono pagine e prospettive attuali contro ogni assolutismo di stato o pretesa di costruire una città senza Dio.
II
L’annuncio di Gesù incentrato sulla presenza del regno di Dio nell’oggi della storia e l’invito alla conversione costante per accoglierlo con animo aperto sono la via per leggere la vita dell’uomo e i suoi valori e per indirizzare il giusto “desiderio” dell’uomo.
Mt 6, 33 “Cercate, invece, prima di tutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
sono le parole con cui Gesù termina nel vangelo di Matteo il discorso sulla Provvidenza che iniziava con l’asserto:
“Nessuno può servire a due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e la ricchezza” (mammona) (6,24). (nota7)
Questa contrapposizione tra Dio e mammona è significativa. Mammona equivale sia a “denaro, patrimonio” sia a “guadagno, lucro ingiusto”. Questo termine nel N.T. ricorre solo tre volte, una in Matteo e due in Luca e sempre in bocca a Gesù . Alcuni filologi fanno derivare mammona dalla radice ’amari’ che indica ciò che è stabile, sicuro e solido e quindi ciò in cui si può avere fiducia: “mammona” sarebbe ciò in cui si pone fiducia, ciò in cui si pensa di trovare stabilità e nella lingua di Gesù, cioè nell’aramaico, mammona sostituisce il termine ebraico che abbiamo già più volte citato cioè besa‘ che è l’avarizia e l’illecito guadagno, come il greco pleonexia. (nota8)
Si può dire che Gesù vede in mammona il vero concorrente <avversario> di Dio: o si ha fede in Dio o si ha fede in mammona. Nel cuore dell’uomo cioè si decide la scelta per Dio o per mammona, per Dio o per le cose, si decide per la libertà del servizio a Dio o per la servitù al denaro; si decide per Dio o per gli idoli.
Vediamo che cosa comporta l’attaccamento a mammona-pleonexia:
-a). l’avarizia fa perdere il senso della vita e dei suoi valori. Gesù ammonisce:
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia” {pleonexia) Lc 12,15. Gesù fa questa ammonizione nel contesto della controversia per l’eredità tra due fratelli: uno di questi aveva chiesto l’intervento giudiziale di Gesù e Gesù rifiuta dicendogli:
“O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” e prende occasione per ammonire i presenti di guardarsi dalla pleonexia che è la vera causa di ogni lite, e rafforza il suo richiamo con la parabola del ricco che accumula beni in quantità, al quale però Dio dice:
“Stolto. Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20)
Nella vita c’è un primato ed è il primato di Dio e del suo regno ed in questo contesto Matteo pone il discorso di Gesù sulla Provvidenza (Mt 6,24-34); Luca
invece, più attento al concreto contrasto nella vita tra povertà e ricchezza, riporta lo stesso discorso nel contesto della vigilanza per la venuta del regno e nell’ammonimento sulla vera ricchezza che l’uomo deve portare davanti a Dio (Lc 12,13-40). Nella vita umana c’è un dilemma: o Dio o le cose; o s’imposta la vita di lavoro e di relazione sulla fiducia in Dio o si imposta sulla fiducia nelle cose. La prima scelta costruisce la vita, la seconda la distrugge
-b). Nel contesto del discorso su mammona come riportato da Lc (cap.16), Gesù narra la parabola del ricco e di Lazzaro povero (vv. 19-31) per evidenziare qual è il vero uso che si deve fare delle ricchezze. Gesù chiama la ricchezza “disonesta” (v.9.11) perché vede già nella differente posizione sociale del ricco e di Lazzaro una ingiustizia di base a cui bisogna rimediare con il retto, intelligente uso di mammona. Il ricco della parabola non è stato scaltro come l’amministratore infedele, non ha saputo farsi amico Lazzaro per avere la vera ricchezza che conta davanti a Dio.
I farisei reagiscono all’insegnamento di Gesù, non con argomenti, ma beffandosi di lui perché, dice Luca, essi sono philoarghyroi (=avari, nota9). La risposta di Gesù è di quelle che penetra nelle profondità dei cuori ed esprime il giudizio incontrovertibile di Dio: il vostro è un cuore idolatra perché
“voi siete quelli che si ritengono giusti dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini (cioè il denaro), davanti a Dio è abominevole”( Lc 16,14-15).
Non possiamo qui non richiamare un altro testo significativo di Luca. Al fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo e che si era meravigliato che Gesù si fosse messo a tavola senza aver fatto prima le abluzioni secondo la “purità” farisaica, Gesù, colta la meraviglia sul volto di lui, gli mostra qual è la vera purità, dicendogli:
“date piuttosto in elemosina quel che c’è dentro (nel piatto), ed ecco, tutto per voi tutto sarà mondo” (Lc 11,37-41). La condivisione, che rifiuta ogni avarizia verso i fratelli, è la vera purità dinanzi a Dio. Per Gesù il problema è sempre quello del cuore: quando il cuore è impuro, da lì vengono le perversioni, le pleonexiai, ogni forma di avarizia (Cfr Mc 7,22).
-c). La comunità dei discepoli di Gesù ha recepito l’insegnamento del Maestro e Luca ci presenta l’ideale della comunità cristiana descrivendo quella delle origini come una comunità che si è tenuta lontana da ogni pleonexia, che ha coltivato la comunione e la condivisione (cfr At 2,42-45; 4,32-37). Paolo per richiamare ai Corinzi la generosità verso i fratelli poveri di Gerualemme indica loro Gesù, che
“da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9).
Per questo l’apostolo mette in guardia i credenti a tenersi lontani da ogni avarizia e ammonisce che gli avari non erediteranno il regno di Dio (Cfr 1 Cor 6,10; Ef 5,5). Paolo, che ha donato tutto se stesso per il vangelo, si offre come modello di vita, schivo da ogni avarizia e interesse privato (Cfr 1 Cor 9,12; Fil 4,17; At 20,33s ecc.), ma premuroso verso gli altri come una madre per i figli (1 Ts 2,5s). E le lettere paoline, presentando l’ideale del vescovo e del diacono, esigono che chi è chiamato a servire la Chiesa deve essere libero, distaccato dal denaro e non cupido di guadagni (1 Tm 3,3.8; Tt 1,7).
d). Nella lettera ai Romani, quando Paolo fa il triste elenco delle colpe dei pagani, che, pur potendo conoscere Dio, non gli hanno dato gloria, li dice
“colmi di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità”
pleonexia, di avarizia, di cupidigia (Rom 1,21.29).
Paolo sa bene che nel mondo pagano ci sono tanti uomini giusti, distaccati dal denaro, perché sanno che la “auri sacra fames” (Virg. En. 3,56 sacra fame dell’oro) è all’origine di ogni perversione e sperimentano che, secondo il proverbio e la saggezza popolare, la philoarghyria o pleonexia è la radice di ogni male (cfr 1 Tm 6,10); ma Paolo sa pure che là dove non c’è Dio, l’uomo perde la mente (Rom 1,28) e, chiuso in un cieco orizzontalismo smarrisce il senso della vita, fa il male e approva chi lo compie (v.32).
La cupidigia allora diventa un cieco potere di dominio senza limite sulle cose e sulle persone. Quando nell’Apocalisse si descrive la caduta di Roma, Babilonia la grande, si dice che è finito il potere dell’oro e dei mercanti, che hanno fatto grande la città senza Dio, il cui potere e le cui ricchezze erano il loro dio (Ap 18-19).
L’opposizione posta da Gesù tra Dio e mammona è radicale.
È la stessa opposizione che c’è tra Dio e satana; mammona è lo stesso potere di satana, i regni e le cose del mondo sono in suo dominio. Dinanzi agli occhi di Gesù satana fa balenare in un istante la potenza dei regni e lo splendore delle cose chiedendogli di prostrarsi davanti a lui per poter avere la gloria del modo, ma Gesù lo respinge con la parola della fede:
“Il Signore, tuo Dio, adorerai, a lui solo renderai culto” (Lc 4, 5-8; Mt 4, 8-10).(nota10)
L’orizzonte delle cose è piatto e chiude quello aperto verso l’Altissimo, fa smarrire il senso della vita, fa delle cose un idolo, è fonte di ogni malanno e perversione: l’avarizia è veramente una idolatria (Col 3,5) e l’avaro nel suo attaccamento al denaro e alle cose è un idolatra (Ef 5,5).(nita11)
Si stabilisce così un circolo chiuso: la pleonexia porta all’asébeia, all’ empietà e l’asebeia trova la sua piena espressione nella pleonexia, nella cupidigia delle cose e del potere.
NOTE
(1) La concordanza dei LXX di Hatch-Redpath alla voce pleonexia nota che il vocabolo ebraico besa’ viene più regolarmente tradotto con pleonexia da Aquila, Simmaco e Teodozione, che non dai LXX, che usano tradurre non letteralmente, ma a senso (cfr Is 56,11; 57,17 ecc.). Cfr lo studio di G. Delling su pleonexia in GLNT, Paideia, Brescia, 1975 voi. X, coi. 394-398.
(2) Aq. traduce besa ‘ con pleonexia, mentre i LXX traducono yperephania che significa “alterigia tracotanza”; la Bibbia CEI con “venalità”.
(3) Su questo tema e per il commento ad Is.1,23 cfr articolo precedente di R. Virgili su questa rivista pag. 11-28.
(4) Anche in questo passo il classico bosea‘ basa‘ del testo ebraico viene tradotto con pleonexia pleonekton da Simmaco e con doronlemptes cioè’ “avido di guadagni disonesti” dai LXX.
(5) Il verbo hamad, tradotto con epithimeo in greco, esprime per lo più valore negativo; per esprimere desiderio, amore verso Dio e i valori più alti per la vita si usano altri termini, ad esempio qawad, ‘ahab.
(6) Da notare che in Genesi 3, 6 si usa lo stesso verbo nehemed (desiderabile)come nel comandamento “non desiderare” (lo’ tahmod)
(7) Nel testo citato Mt 6,24; in Lc si trova due volte nel contesto degli ammonimenti sull’uso della ricchezza (mammona), dopo la parabola dell’amministratore infedele, Lc 16, 9.11. In questi vv. al termine “mammona” viene aggiunto l’aggettivo Ingiusto, disonesto”, quasi ad indicare che nella ricchezza c’è sempre unita una qualche ingiustizia.
(8) Sul significato di “mammona” cfr la voce “mamonas” di F.HAUCK in GLNT, Paideia, Brescia 1970, vol. VI coll.1047-1054.
(9) “philoarghyroi” significa “amanti del denaro, avari”, e corrisponde alla espressione ebraica: bosea’ basa’ – pleonexia pleonectein che abbiamo esaminato, cfr F. HACK, a. c.
(10) Cfr commento in H. SCHURMANN, Il Vangelo di Luca. Brescia, Paideia, 1983 e in J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo. Brescia, Paideia 1990
(11) Cfr commento ai passi in H. SCHLIER, La lettera agli Efesini, Brescia, Paideia, 1982; E. LOHSE, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, Brscia, Paideia, 1987.
Paola Renata Carboni nella sua spiritualità dagli scritto editi nel 1929. Note
Carboni Paola Renata (1908-1927). “Piccolo fiore” libro edito nell’anno1929 pp. 3-5
Profumo di fiori? Si: umili come la viola, candidi come il giglio, preziosi e soavi come la santità.
Ella stessa – una modesta giovane assurta improvvisamente e miracolosamente a discepola di S. Teresa del Bambin Gesù – ama definirsi: “ piccolo fiore prediletto da Gesù „.
Lasciate, dunque, che spandano il loro profumo i vivissimi petali che le caddero dal cuore, lungo il cammino, e che noi raccogliamo e insertiamo per volere della sorella prediletta – più per noi che per lei e offriamo in dono alle madri come monito, alle giovani come incitamento ed esempio.
Sfogliandoli, si vedrà che la formazione non è, poi, la risultante unica e sola dell’educazione: famigliare e dell’ambiente, ma che Dio sa raccogliere, quando vuole e come vuole, fiori e frutti abbondanti e vaghi da aridi solchi e tronchi scheletriti. Bella, ad ogni modo, la figura di questa giovane che, illuminata da Dio, ricostruisce la sua fede e s’infervora nel divino amore e spande in ogni dove, fascino di luci eteree e, nel martirio di pene diuturne, nello sprezzo di sé e degl’incanti delta aita, prega e confida, istruisce e consiglia, trascina, converte, s’offre e s’immola per i restii che non riesce a stenebrare. Vincerà? Ella lo afferma indubbiamente e ripetutamente, oltre i sospiri e le tacite lacrime, nell’espansione del cuore fremente, nelle divinazioni della fede robusta, negli ardori della carità, nei liberi voli della pietà, nell’ estasi sublime della prece pia. In ogni pagina – a cominciare dai cenni autobiografici, che stese per volere del suo padre spirituale – e, giù giù, nell’ epistolario abbondante ove sfoga l’animo e svela le luci della mente e i palpiti del cuore verginale alla sorella prediletta ed alle amiche; nell’invocazione a Santa Teresa, nel diario intimo delle pene e dette speranze e dell’ indomato amore – ordisce bellamente e riflette con sincerità l’intero e interno dramma della vita, che le fu spasimo e gloria, campo di lavoro e vittoria. L’amore eroico verso i genitori, la serena tranquillità che emerge da ogni prova, la sicurezza nel risolvere i problemi più ardui dell’ altrui vita, l’oblazione di sé, i muti colloqui con Dio acquistano continuo e crescente risalto, destano ammirazione, avvincendo II lettore, sforzandolo, più che al pianto, all’ imitazione. Così, ella – a distanza d’un anno dalla morte – vive più che mai, e l’opera indefessa di bene che compì, nella famiglia e nella scuola, a vantaggio di compagne ed umiche – a Grottazzolina, fra le pareti della casa paterna; a Fermo, ove trovò la luce dell’anima – non s’arresta, grazie a Dio, ma prosegue, si completa, trionfa ancora.
La sorella prediletta svela l’influenza innovatrice e salutarissima che Renata esercitò nella famiglia, un’amica ricorda le visioni e le rivelazioni ch’ ebbe ripetutamente da parte di S. Teresa del Bambin Gesù; la superiora dell’ Istituto Femminile S. Chiara di Fermo – ove insegnò per un anno intero – confessa: ” io mi sentii spinta ad invocarla, fin dalla morte, come mia piccola avvocata presso Colui che aveva tanto amato, ed oggi è per sua intercessione che domando delle grazie, sicura di ottenerle „.
E’ dunque la santità? Non sappiamo. Ma mentre parla, (il piccolo fiore spande il suo profumo) noi deponiamo non senza lacrime la penna, inchinandoci e pregando.
Non appena il raggio divino, penetrando nettamente, gettò sprazzi di vivida luce, Renata anelò subito di ascendere e fu un balzo deciso verso il Cielo. L’anima si inebriò di luce, di azzurro, sentì la nostalgia dei puri sconfinati orizzonti, dove avrebbe respirato l’atmosfera degli angeli di Dio.
“ Come mi è dolce, la sera – ella scrive – trattenermi qualche minuto alla finestra delta mia cameretta e godere il cielo stellato! Mi sento trasportala lassù, mi sento circondata dagli Angeli che cantano con me le lodi al Signore e mi sembra di appartenere già al Cielo „.
Ma si accorse subito, che presumere di poter fare senza guida, per arrivare alla perfezione, era lo stesso che affidarsi a un pessimo maestro, e suo studio principale fu di trovarsi una guida sicura, un consigliere illuminato a cui potersi affidare con filiale abbandono.
E non tardò molto a scoprirlo il Sacerdote per l’anima sua. Renata si lasciò plasmare con tutta docilità ed Egli riuscì a gettare in quel cuore le basi di una pietà così bella e disinvolta che era luce e profumo, e, sebbene dissimulata da una schietta giocondità, traspariva attraverso le sue angeliche sembianze, come raggio di sole, attraverso tersissimo cristallo.
Il Confessore era il suo confidente, il suo maestro, il suo Padre; a Lui con ingenuità infantile esponeva i dubbi, le aspirazioni, le intime lotte e dalla sua parola traeva incitamento per ascendere ancora, per sopportare ilare, serena i dolori del suo interno martirio. “ Come vorrei ancora dirle dell’ anima mia, confidarle tante piccole cose che sempre mi sfuggono e non lasciarle nulla all’ oscuro „.
Aveva per Lui una carità e venerazione profondissima e, man mano che apprezzava ed usufruiva del beneficio del suo ministero, gli pagava con ardenti preghiere un tributo spirituale di riconoscenza.
“ L’amicizia – scrive Sitato Pellico – è una fratellanza, e, nel suo più alto senso, è il bello ideale della fratellanza; è un accordo supremo di due o tre anime, non mai di molte, le quali son divenute necessarie l’una all’altra; le quali hanno trovato l’una nell’ altra la massima disposizione a capirsi, a giovarsi, a nobilmente interpetrarsi a spronarsi al bene.“
Ed era proprio così che Renata concepiva l’amicizia. Essa ne aveva poche di amiche, ma cercava con ogni mezzo che i loro cuori battessero all’unisono, specialmente in quello che era il suo più vivo tormento, nell’amor di Dio.
“ L’amore per Gesù, vedere amato Gesù, ecco la mia sete …. solo l’amore di Gesù mi ricolma di contentezza. E tu che sei la mia amica, tu devi diminuire la mia sete, con l’amarlo sinceramente, fortemente … Sii unita con me net Signore ed accetta ed offri, sopportando tutto con serenità e gioia.”
Renata voleva liete, santamente liete, le sue amiche e si spaventava quando di alcuna riceveva lettere di umor triste o le sapeva in preda alle malinconie. Oh! allora erano esortazioni, ammonizioni; appassionati, dolci richiami; erano magari tiratine di orecchi date con bel garbo, ma la sua parola, giunta a tempo opportuno, confortava, rinfrancava, liberava da una pericolosa situazione.
“ Qual’è la cagione delle tue sofferenze tanto grandi? Se non ne hai ragione, non devi far così; se ci fosse anche una ragione, si confida in Dio e si sta allegri …. Devi ricacciare indietro quelle gocce di pianto e sorridere, sorridere sempre. Se sapessi come è bello il sorriso! Rallegra Gesù ‘e dà la pace. L’amicizia fedele, dice la S. Scrittura, è una valida protezione, è balsamo di vita e di immortalità „.
Tale fu sempre l’amicizia di Renata. Una sua amica così scrive di Lei: “ lo posso accertare che l’amicizia di Renata è “ stata per me l’ancora di salvezza, perché mi ha sempre distolto da qualunque risoluzione presa senza pensare al danno grave che poteva accadermi e, se non sono caduta talvolta in profondi precipizi, lo debbo a Lei che mi dava sempre saggi consigli ed esempi sublimi. Non nego che da principio fio dovuto lottare aspramente, ma, insieme alla mia cara Renata, tutto mi era dolce e caro, anche il soffrire e, quando mi trovavo insieme a Lei, non pensavo più a nulla che non fosse retto e santo „.
Un’ altra amica così si esprime : “ Renata fu per me la prima e più cara amica, “ perché al suo contatto il mio spirito si elevava senza sforzo verso ideali superiori .Ebbi sempre modo di ammirare la sua modestia, il contegno sempre riservato, che rivelava un intimo contatto con Dio … Raramente rivelava la sua profonda formazione spirituale, ma quando vi si induceva faceva sentire tutta la santità della vita e si comprendeva quant’ era ardente in Lei il desiderio di giovare alle anime … La sua morte fu un gran dolore per me che mi sentii privata di uno dei più grandi aiuti spirituali.”
Come ben si vede, la sua non era un’amicizia fatta di simpatie e di sentimentalismo, ma di bontà, di generosità, di fermezza di animo; un’amicizia soda che aiuta alta pratica della virtù, al compimento del dovere. Renata avrebbe preferito perdere qualche amica che veder deviare l’amicizia, della quale aveva un concetto così nobile ed elevato. Ecco infatti ciò che, un giorno, scriveva ad una delle sue amiche più intime:
“ Vedi, io ti amo unicamente per il Signore e nel Signore e se, per il bene dell’ anima tua, dovessi sempre somministrarti delle medicine amare e fossi sicura che facendo così ti allontaneresti da me, preferirei vederti allontanare che far diversamente. Non è il mio bene che io cerco, ma il tuo, unicamente per te stessa; e se tu credi che questo non sia il nero bene, puoi benissimo rinunziarci; io non so amarti meglio …… “
Con l’amicizia così nobilmente intesa, Renata avvinceva le anime e man mano le abituava a quegli orizzonti tersi e luminosi, dei quali il suo spirito quotidianamente si beava, in un’atmosfera tutta celeste.