MARIA GIOIA venerabile Serva di Dio ha scritto il suo Diario: qui dal giugno al settembre 1930

6 Giugno 1930

L’affare di zia, che vedevo ormai pienamente appianato, presenta ancora una difficoltà. Dio mio, fa che zio N. ceda un pochino, fa che torni la calma!

Meditavo stamane sulla familiare amicizia di Gesù. E’ vero, o mio sposo, tutto mi è dolce quando tu mi parli, quando ti sento in me presente … ma, o mio Gesù, se io non ti sentissi, non vincerebbe la mia miseria? Mio sposo, tu lo sai, io son tua e come tale non debbo e non posso rifiutare tutto ciò che mi apparecchierai; ma son certa che il tuo sguardo vigile ed amoroso non si ritrarrà mai da me, son certa che, avendoti ormai data la mia volontà, tu penserai a sostenermi. Mio Dio, tu sei iI mio sposo ed il mio tutto:

Io sono un tuo piccolo strumento … Mio dolce sposo, ti amo, vorrei passare tutta la mia vita prostrata davanti a te a lodarti, ad adorarti … Mio dolce sposo, sei pur troppo generoso con me, mi permetti stare a te dappresso lungamente, soli a soli, o mio Gesù, grazie, la mia vita è tua, tuo il mio cuore, tua la mia volontà. Mio sposo divino, non mi resta che la mia miseria, per curare la quale, ho te, mio dolce divino medico e sposo …

7 Giugno 1930

O mio Gesù, diletto dell’anima mia, sento la tua ferma e dolce carezza, sento le tue braccia divine che mi avvincono, che mi stringono al tuo cuore … Ed io, Signore, mio sposo, mi abbandono completamente in te e placidamente mi beo dell’amor tuo … Mio divino, con quanta dolcezza, con quanto amore mi parli per bocca del tuo ministro …

Ti domando misericordia per le mie colpe e tu mi richiami la figura della Maddalena piangente ai tuoi piedi, della Maddalena che profuma i tuoi capelli con olio di nardo, che non staccarsi da te, perché l’amor tuo l’avvince, la inebria … «Molto ti sarà perdonato, perché molto hai amato». O mio divino, ma per me ci vuole addirittura un eccesso di amore per perdonarmi completamente perché … perché non ho amato molto … Mio Dio, misericordia. Mio Signore, sento l’abisso delle tue misericordie, sento che mi ricolmi di te, dei tuoi doni e ti offendo … Gesù mio misericordia, Gesù mio misericordia. Mio sposo divino, ho qui dinnanzi a me la tua immagine, l’immagine di te crocifisso … Signore, ti miro col petto ansante, col respiro affannoso, inchiodato sul duro legno … Mi prostro a terra, o mio divino, abbraccio forte la tua croce … O mio Gesù, che ti ha così ridotto? Hai il capo tutto coperto di piaghe e di sangue rappreso … dalle piante dei piedi e delle mani sgorgano le ultime stille del tuo sangue; un sudor gelido-imperla la tua fronte, gocce di acqua sgorgano dal costato … Ormai sei tutto coperto di rosso e rosso di sangue, del tuo sangue, di tutto il tuo sangue …

Mio Dio, mio Dio, io qui prostrata ai tuoi piedi ti miro … e sono stata la carnefice … e ti ho piagato così e ti ho coperto di sangue: o mio Dio, misericordia.

Mio Dio, mio Dio, fa che il tuo sangue possa ancora scorrere un pochino sul tuo corpo, fa che cada sopra a me, sopra al mio cuore … affinché con più amore mi stringa a te, affinché con più slancio abbracci la tua croce, affinché sia anche il mio cuore squarciato come il tuo dall’amore, dal tuo amore …

Mio sposo, tu ben lo sai, son piena dì miserie, sono infedele, ingrata … eppure ardisco accostarmi al mio divino, ardisco stringermi ai tuoi piedi, ai piedi della tua croce e supplicarti … Signore, dammi da bere, Signore, tu gridi «SITIO» ed io, al par di te, ho sete di te, di te, di te. Non desidero altro che te, tu sei la mia vita, il mio tutto …

Mio Dio, mio sposo, mi sembra che ormai possa prepararmi alla consacrazione totale di me stessa, mi sembra che ormai possa dirti: tu solo sei il Re del mio cuore, a te solo penso, di te solo vivo … Mio sposo, che posso sperare di più sulla terra? Non avrò scelto la felicità più pura e più bella, quando sarò tutta e per sempre, in eterno, legata a te? O mio Divino, sei tu che mi domandi di accettare i tuoi doni, sei sempre il buon mendico d’amore. O mio Divino, ed io tutta, tutta la mia esistenza dò a te, purché te ne serva come vuoi, dove vuoi … a te tutto l’essere mio per tua gloria … Essere tua vittima d’amore, un tuo piccolo strumento, il giocattolo del mio diletto …

Mio Gesù, bello esser tutta tua, non preoccuparmi più di nulla … vedere solo te, pensare solo a te, volere solo te … Mio Dio, mio tutto, diletto e sposo dell’anima mia.

Pentecoste, 8 Giugno 1930

Mio Gesù, mio sposo -buono e generoso, mi hai permesso assistere alla tua messa … riceverti nel cuore . . . parlarti cuore a cuore, sentire la tua carezza, il tuo bacio divino …

0 mio Gesù, che altro posso chiedere alla vita? Che altro posso chiedere a Te fuor di un grande, immenso amore, che mi divori, che mi consumi e mi faccia ardere come una candela?

Mio Gesù, mio buon Gesù, io sono la tua sposa, e, come tale, hai tu il diritto di fare ciò che credi di me … io sono la tua sposa, e, come tale, mi abbandono completamente fra le tue braccia, non preoccupandomi che di una cosa sola e cioè indovinare ed eseguire i desideri del mio diletto, prevenirli … e perciò poggio il mio capo sul tuo cuore squarciato per sentirne i palpiti … per succhiare l’amore.

O mio diletto, fa che il divino Spirito scenda su me con una fiamma infuocata, che strugga il mio cuore d’amore, fa che mi ricolmi dei suoi sette doni, fa che faccia scomparire il mio io, tanto da poterti ripetere, o mio Signore: io non esisto più, sei Tu che vivi in me . . . si! fa dimora in me.

«Veni, sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium et tui amoris in eis ignem accende».

Sera 8 Giugno 1930

Mio Gesù, io sono felice, felice … tu riempi tutto il mio cuore, magnifichi l’anima mia … a te aspiro con tutte le mie forze … o mio divino.

Oggi mi sembra di aver vissuto più intimamente in te e di non aver coscientemente mancato … Potevo però amar di più … Mio sposo, confido in te, dammi la tua mano, affinché mi sorregga e mi stringa al tuo cuore . . . Possa l’amor mio diventar quasi pazzia, come generosamente pazzo è l’amor tuo per me …

9 Giugno 1930, mattino

Mia dolcezza, amor mio, ho il cuore che mi sanguina … credevo, o mio sposo, calmare un pochino gli animi, credevo rappacificarli: e vedo che la lotta si fa più aspra e crudele … Mio Dio, mio Dio … N. è oggi al parossismo dell’ira … A. ha nuovamente retrocesso … O mio Dio, mio Dio, tu puoi tutto, tu puoi far che tutto cessi in un istante … mio Dio, io ti supplico, io ti scongiuro, io ti offro me stessa quale piccola vittima, ma fa che la cosa finisca e finisca in pace! Io rimetto tutto nelle tue mani, perché non so se e come agire. La povera zia ormai è troppo incostante.

9 Giugno 1930, sera

Vincenzo mi scrive e l’affare sembra tutto appianato sul serio. Zia ha scritto a noi ed io ho mandato un biglietto a zio N.

Grazie, o Cuor divino, in te ho rimesso la cosa, come a te l’aveva affidata G. e vedo che la tua mano divina e paterna ci ha esaudito. Grazie, o mio Dio. Ora il mio cuore trabocca di gioia … Ecco l’alternativa delle vicende umane. Mi son trovata ad avere gran parte nella guerra e nella pace degli zii; il mio cuore ne ha subiti tutti i dispiaceri e tutte le emozioni. O Signore, io tutto ho offerto a te … tutto a te, io sono stata un tuo semplice, indegno strumento.

Signore, fa che mai ne provi compiacenza, come di azione mia. Lo sai, Gesù, il mio io deve venire scomparendo, tu solo devi vivere in me, tu solo devi ragionare in me, tu solo devi pensare in me … Tu sei il mio sposo, il mio Re, il mio tutto …

Dolce mio Signore, amorosamente mi stendi le braccia, mi stringi a te, mi eleggi tua sposa … ed io un po’ titubante per la gran distanza che corre fra me e te, tremante per il troppo onore, per il troppo tuo amore … mi getto fra le tue braccia … Mio Dio, poso il mio capo sul tuo cuore … sento il tuo alito divino che mi sfiora il viso … che suggella Il mio patto d’amore con te … Mio divino, stringimi forte a te, fa che nulla più veda, nulla più senta fuori di te … stringimi forte forte sul tuo cuore, ferito da acute spine, non fa nulla se le spine penetreranno nel mio capo o nel mio cuore … Gesù, mio Gesù, preparami ad essere la tua sposa per sempre, il mio patto d’amore sia eterno … Passino sì tutte le vicende della vita, tutti i dolori sul mio cuore, ma attraverso a tutto ciò io veda sempre te solo. Viva il mio cuore come in una campana di vetro, così legato al tuo … veda sì tutto il caos umano, ma non ne sarà tocco.

Mio Dio, anche il mio dolore di stamane non mi ha tolta la felicità, essa è così grande e preziosa … Ed io gelosamente la custodisco nel mio cuore.

Mio Dio, mio tutto.

Anche oggi il Signore mi ha permesso di vivere una vita più intimamente a lui unita. La mia coscienza è tranquilla e riposa in lui, benché senta sempre più la sua deficienza e la sua insufficienza nell’amore …

10 Giugno 1930

Mio sposo, avrei tanti, tanti sentimenti da fermare. Il malessere fisico, un forte mal di testa non me lo permettono. Offro a te il mio malessere, offro a te tutto il mio essere … sono la tua sposa e fra poco spero poter fare la mia consacrazione totale e per sempre.

Spirito Santo, illuminami; Cuor di Gesù accettami, Cuor di Gesù, ricoprimi e ricolmami del tuo amore. Amare, amare solo morir d’amore: solo questo desidero, mio Dio, mio tutto.

11 Giugno 1930

Mio Gesù, dolce mia vita, ti ho avuto ora nel mio cuore vivo e reale . . . godo ancora tutta la dolcezza del tuo bacio divino . . . Gesù, mio Gesù, mi hai parlato, mi hai supplicato di aprirti la porta del mio cuore, di darmi a te, di essere la tua sposa .. . per sempre in eterno … O sì, mio Divino, io ti apro, ti abbraccio mi getto ai tuoi piedi, la tua maestà mi abbaglia … la mia miseria mi fa inorridire; ma giacché tu lo vuoi, eccomi pronta … Signore, sono la tua sposa, per breve tempo ora, ma fra poco io voglio diventare per sempre, per sempre.

Mio Gesù, non mi preoccupo della mia miseria, perché eleggo te per mio sposo, perché tu sei il mio sposo; e tu sai Gesù, che i vincoli sono indissolubili, che non vi è potenza umana che li possa sciogliere e che la vita dei singoli membri scompare per fondersi in un solo essere. Ecco, mio Gesù, la mia esistenza, il mio io non deve più esistere, solo tu devi vivere in me. Non sono io che vivo, è Gesù che vive in me. Gesù, al par di Lazzaro, al par del figliuolo della vedova e di tutti i tuoi miracolati, io rispondo alla tua chiamata: «fanciulla, sorgi!»; «il Signore domanda di te …».

Signore, vengo, Signore, comanda … Signore sono tua, completamente tua …

11 Giugno 1930, sera

Mio diletto, sposo dell’anima mia, penso al grande divino atto che mi offri di compiere e una felicità assoluta, completa ricolma l’anima mia. Ormai non potrò più desiderare che una cosa sola: «morire d’amore», essere la piccola vittima d’amore.

Mio Dio, mio sposo … tu mi hai fatto conoscere la bellezza della virtù della verginità ed io volontariamente e coscientemente me ne fo legge, legge assoluta e per tutta la vita … me ne fo legge per incatenarmi indissolubilmente a te, per eleggerti mio Re, mio sposo, mio padrone, per acquistare il diritto di glorificarti in tutto il mio essere, in tutte le manifestazioni del mio essere. Il mio Direttore mi dice che devo essere unita con te e lo sarò! Si o mio sposo, ti ricorderò ogni momento il vincolo che a te mi lega e il dovere che hai di plasmare e modellare come vuol tutta la mia esistenza.

Mio Dio, tu sei il mio tutto!

12 Giugno 1930, mattino

Stamane, o mio Re, non ti ho potuto ricevere e forse per la mia lungaggine. Perdono, o mio sposo, e fa che la giornata di oggi sia di unione continua con te.

Sai, Gesù, come S. Alfonso, ti dico: «io sono la tua pecorella e non mi allontano da te, affinché tu mi porga i bocconi prelibati, affinché mi accarezzi, affinché mi stringa fra le tue braccia e mi faccia sentire i palpiti del tuo cuore …»

Mio Gesù, ho letto la meditazione sulla morte. Mio Gesù, se sarai tu, che vivrai in me, cosa potrò temere? … La nostra unione tanto intima, la nostra conoscenza profonda farà sì di non farmi tremare, allorché l’anima mia, disgiunta dal corpo, verrà a te per una unione la più perfetta. La mia lampada, sempre fornita di olio, mi illuminerà la via per venire a te. Signore, la mia vita sia un inno alla tua gloria … che possa poi passare nell’eternità in un’armonia dolcissima! Per tua gloria, tutto e solo per la tua gloria.

12 Giugno 1930, sera

Vedo, o mio sposo, che la conversazione su argomenti umani mi toglie quell’intimità continua che debbo avere con te. Non riesco a rapire qualche istante per fare un atto di profondo amore … Mio Gesù, lo sai, la mia volontà è di vivere solo, solo in te, aiutami a ben riuscire.

Mio Dio, mi sembra, in certi momenti, di azzardare troppo … che dico, di pretender troppo, sperando di potermi unire per sempre a te …

E’ un pensiero cattivo, o mio Gesù, perché ben poca cosa ti dò … è vero che non posso sperare nelle mie forze, ma ho te, mio bene … In te confido, ed a te mi affido …

Ricorda, mio Divino, che sarò avara …

14 Giugno 1930, sera

Gesù, Gesù, Gesù mio ti amo, ti amo con tutte le mie forze … Come sei buono, mio Gesù, come sei generoso … come amabile con me! Mio Gesù, tu mi hai dato un tesoro, lo hai affidato proprio a me, per custodirlo … Signore, mi hai dato un’anima, che tu hai riscattata col tuo sangue e mi hai detto: «figliuola, vigila, vigila, per poterla ricondurre a me».

O Signore, tu, tu l’hai sovrumanata questa mia anima, l’hai elevata ad uno stato soprannaturale, a prezzo di tutto te stesso!

O mio sposo, con tutto ciò io non ho potuto curare si bel tesoro … Ma oggi, o mio Signore, tu, per bocca del tuo ministro, mi parli e mi fai conoscere chiara, netta, la via da percorrere per venire a te … La tua volontà mi è chiara, o mio Gesù, ed io, eccomi, rispondo con tutto lo slancio della mia giovinezza : «Signore, vengo, vengo a te, a te consacro il mio corpo, che fo voto di mantenere vergine per tutta la vita … a te consacro la mia volontà, la mia intelligenza, tutto l’essere mio … Anche le mie miserie offro a te, o mio sposo, perché tu sei la mia forza, la mia vita, tu il mio tutto. Signore, mi getto così come sono, fra le tue braccia. T’amo, Signore, t’amo … ecco, stringimi a te, consumami nell’amore, voglio essere la tua piccola vittima …

Gesù, mio Gesù, ti amo; Gesù, mio Gesù, tu sei vittima delle mie miserie ed io voglio essere la vittima del tuo amore. Gesù, mio Gesù, tu ti sei immolato per tutti i peccatori ed io voglio essere la vittima del tuo amore per tutti quelli che non ti amano … Mio sposo, a te solo aspiro, di te solo ha sete l’anima mia!

Domani mattina sarò tua e per sempre, o mio dolce e buon Gesù! Mio Gesù, ti amo! L’anima mia è magnificata dalla tua presenza! Mio Gesù, ti amo!

15 Giugno 1930

Mio Gesù, i patti sono stretti e per sempre. Ecco, mio Gesù, sono la tua indegnissima sposa, sono tua, tutta tua! Mio Gesù, mio sposo, diletto dell’anima mia, quanto dolce è stato il tuo bacio stamane . . . sento il cuore sobbalzarmi ancora; mi sentivo tremare, o mio divino, per la troppa dolcezza, per la troppa felicità e sono stata qualche minuto dicendo solo: «Gesù, Gesù mio, sposo mio, mio diletto! T’amo, Gesù, ti stringo forte, forte, forte a me … Mio Gesù, t’amo …». Ho ascoltato, Gesù, la tua voce; mi chiamavi, con voce accorata … piena d’amore … ed io sono venuta ed io tremante per la commozione sto fra le tue braccia ripetendoti: «t’amo, Gesù, t’amo, sono tutta tua, Gesù, tutta …»

Mio sposo, nel giorno del Battesimo ti ho fatta incosciamente la mia professione di fede, le mie rinunce … ma oggi liberamente e nella piena coscienza di ciò che fo … io ti rinnovo il mio atto di fede, io rinuncio al mondo, ai suoi piaceri, alle sue pompe e mi dò completamente a te; a te consacro con voto il mio corpo. La mia veste di vergine non venga mai macchiata … Mio sposo, donami prima la morte che una infedeltà al voto … Consacro a te la mia anima, la mia intelligenza, la mia volontà … tutta me stessa .. . Mio Gesù, io non mi appartengo più, son tua, tutta tua …

Ma lo vedi, mio Gesù, ho in me tante miserie, tante tendenze cattive … mio Gesù, prendile, prendile, mio Gesù, io son tutta tua … Vergine Santa, te eleggo per mia madre, per mia guida, te madre supplico, affinché mi insegni ad amare il tuo Gesù come lo amasti tu!

Angelo mio custode, vigila su me e illuminami la via.

Santa Teresina, Santa Agnese, Santa Rosa da Viterbo, siate le mie avvocate presso il trono del mio Sposo ed aiutatemi a diventare una vostra sorellina!

Mio Gesù, i patti sono stretti, io sono la tua sposa e siedo al banchetto nuziale ed ho adornato il mio corpo coll’anello nuziale! Mio Gesù, la fede è giurata, tu poggi sopra il mio cuore come suggello del mio patto … Ti amo, o mio Gesù, o mio Gesù crocifisso!!! Signore, mio sposo, eccomi alla reggia del Re, fra le braccia del Re .. . ti adoro, mio sposo, ti amo! Mio Re, ecco son tua … mio sposo ti domando una grazia, una sola cosa, desidero essere la tua vittima, essere il tuo strumento, una piccola ostia che s’immoli. Mio Gesù, mio crocifisso, io ti ho piagato, ti ho coronato di spine, ho perforato il tuo Cuore … Mio Gesù, fa scendere il tuo sangue fumante su me . . . mio Gesù, trasmetti a me le tue piaghe, feriscimi con la tua spada, perfora il mio cuore con la lancia di amore … Mio Gesù, t’amo, mio Gesù; sono tutta completamente congiunta a te … mio Gesù, ti adoro nella Santissima Eucaristia e benché il mio corpo sia lontano dal tabernacolo il mio cuore ti è vicino e ti ama e ti adora … mio Gesù, voglio essere una lampada che si consuma a poco a poco nell’amore, nell’ardore dell’amore … mio Gesù, voglio sostituire col mio cuore l’olio, la fiaccola sostituita con la lampada elettrica …

Mio Gesù, son tua, fa che pienamente comprenda te, comprenda il tuo amore! Mio Gesù, ti bacio, ti amo … mio Gesù, al tuo divin cuore presento il Papa, la tua Chiesa, i tuoi sacerdoti, tutte le associazioni religiose, i missionari, le anime belle, i fanciulli innocenti, affinché possano comprenderti sempre più e ti amino sempre più. A te presento gli infedeli, i peccatori, gli scismatici, la gioventù traviata, i bambini sperduti, la scuola, la mia Italia, il nostro Re, le famiglie, i genitori che non comprendono i loro doveri … tutti, tutti: affinché ti conoscano, affinché vivano in te. Signore, una particolare preghiera per tutti quelli a me congiunti, per il mio Direttore spirituale, per Maria Zega, Rosetta, Teresa, Viola … per Iolanda, Don Luigi … e tutte le persone che si raccomandano alle mie preghiere … per il mio Vincenzino, per i poveri miei parenti che vivono lontani da te … per le mie figliuole (o Cuor Divino, a te le affido) … per quelle persone, verso le quali sento qualche avversione. Mio Signore, possano amare tutti te. Adveniat regnum tuum.

Mio Sposo, sai, io non voglio più vivere, devi essere tu che vivi In me.

Mio Re, mio sposo, mio tutto, ti amo.

15 Giugno 1930, ore 9-1/2 mattino

Mio Gesù, son tua, tutta tua … le tue braccia divine mi serrano al tuo cuore ed io, Signore mio affogo nell’amore, inebriata delle tue carezze, poggio felice il mio capo sul tuo cuore …

Mio Gesù, mio Gesù, sento i battiti del tuo cuore … Mio Gesù, mio Gesù, il’ tuo cuore brucia, brucia, sembra ti arda in petto … O mio Gesù, mio povero Gesù … è l’amore che ti brucia così, l’amore per me, per le anime … 0 mio Gesù, sposo mio, fa che io mitighi un po’ questo ardore, mettendo quelle fiamme nel mio cuore … Mio Gesù … sono la tua sposa e devo partecipare a tutto ciò che passa in te … Mio Gesù, ti voglio aiutare ad amare … le anime … Mio sposo, mio tutto!

15 Giugno 1930, ore 12

Mio Dio, mio Dio, sono troppo felice … passa qualcosa in me di così ineffabile, che non so dire … Mio sposo, a te la mia gioia, la mia felicità!

Ore 3 pomeridiane

Mio Dio, sposo mio, oggi sono completamente sola, cioè siamo completamente soli … Aspettavo il mio Vincenzino e non è venuto … Grazie così, Gesù … grazie, la nostra festa è più intima, è fatta di cuori, di due cuori, piena, completa … magnifica … e nulla deve trapelare al mondo di ciò che oggi operi in me … è troppo dolce il segreto … è troppa la felicità … solo, mio sposo, anche in faccia al mondo ch’io mi mostri sempre, sempre secondo i tuoi voleri, sempre con volto sorridente, con carità grande.

Mio Gesù, ti amo, sei il mio sposo, io sono con te.

Ore 8 sera

Mio Gesù, morire d’amore! Mio sposo, consumami col troppo ardore … Mio sposo, son tua, tutta tua e sono pienamente felice.

Ore 10 sera

Mio Gesù, sposo mio, riposo fra le tue braccia e sono felice … Mio Gesù, consumami d’amore. Mio Gesù prendo riposo con te crocifisso sul cuore, affinché il mio pensiero non sia mai disgiunto da te. Gesù ti amo!

16 Giugno 1930, mattino

Mio Gesù, morire vittima del tuo amore!!!

Ti ho in me, intero vivo, reale … ed lo sono tutta, tutta tua … HI Ti amo, o mio sposo, diletto dell’anima mia …

16 Giugno 1930, sera

Mio Gesù, sono pur tanto, tanto misera e fortunatamente sei sempre lì, vigile a sorreggermi, altrimenti dove arriverei nemmeno lo so concepire … Mio Dio, mio sposo, ti amo, ti amo, consumami nell’amor tuo, perché vedo che tanto, tanto di più devo amarti … Mio Gesù … mio Gesù, voglio morire d’amore … Mio Gesù, ho sorriso vedendo un uomo esaltato dal vino che gesticolava, ho parlato con disprezzo di tutte le nudità che si vedono in giro … mi sono intromessa facilmente nella conversazione che si aggira su persone … è tutto un cumulo di miserie, o mio divino sposo, che fortunatamente mi fai conoscere e che io detesto, sì, Signore, detesto la mia poca carità nel giudicare … Signore, oltre al difetto, fa ch’io veda l’anima, tante anime che non ti seguono perché non ti conoscono   . che sono incoscienti dei loro mali. Mio Gesù, ch’io ti ami per loro ed invece di giudicare fammi aiutare tanto, tanto te e le anime per te, ch’io le aiuti invece di detestarle.

Mio Gesù, sposo mio, voglio morire d’amore; mio Gesù, sposo mio, mio divin crocifisso, ti stringo forte al mio cuore… lascia, o Gesù, che il sangue delle tue ferite ricopra il mio corpo; lascia, o Gesù, che le piaghe si trasfondano in me … Signore, sono rosse le tue vestimenta … Mio Gesù, rendi rosse anche le mie, rosse d’amore, fiammeggianti …

Il mio Dio è a me vicino, è al mio fianco, ed io stendo verso di lui il mio braccio, lo serro al mio cuore, perché egli è il mio Dio, il mio sposo, il mio amore … me lo stringo al cuore, affinché mi consumi così nell’amor suo. Mio Gesù ti amo, ti amo, son tua … la tua sposa e per sempre.

17 Giugno 1930

Mio Gesù, sposo mio, tu, tu solo sai avvincere i cuori tanto fortemente, che per te non curano né mondo, né affetti, né strappi dolorosi! …

Una giovane di qui, piena di bellezza e di tutto ciò che può piacere al mondo — agi, affetti, lussi — è partita stamani, lasciando tutto e tutti ed è venuta a te, o mio sposo, per essere suora.

Il mondo commenta e giudica … e non sa che, quando tu chiami, tutto è dolce, anche lo strappo degli affetti più santi …

Mio Gesù, sposo mio, sento parlare di quella signorina con ammirazione da pochi, con disprezzo da molti, ma io sento che è un cuore giovane e virile, che ti ama di un amore prepotente quasi, che ti ama molto più di me …

E’ tornata oggi, o mio Signore la nostalgia del monastero. Gesù, Gesù mio, si, son ben fortunata di potermi chiamare tua sposa anche in mezzo al mondo … Gesù mio Gesù, ti amo, ti amo … aiutami ad accrescere il mio amore, tanto che mi divori, che mi faccia impazzire d’amore … che non mi faccia più vedere né sentire il mondo … Vedere solo te e solo te sentire, mio sposo, solo te amare, o mio divino!

18 Giugno 1930

Mio Gesù, mi sono alterata un pochino con una donna … Come, o mio Gesù, si può scusare meglio una giovane che dà tutta se stessa pazzamente ed illegittimamente ad un uomo e non si può scusare chi scappa di casa per esser tua!!??

Mio sposo, quanta aberrazione in questa povera umanità … Misericordia, o mio sposo, io t’amo e ti supplico, fammi morire d’amore …

Mi ha scritto Maria Zega. Signore, come tu sai rendere felici!!! Signore, che io arrivi ad amarti come ti ama Maria, come ti ama Rosetta!

Domani, o mio sposo, sia il giorno bello del tuo trionfo (tu lo puoi, o mio sposo), io spero accompagnarti e cantare le tue lodi, gioire in te per la tua gloria, camminare al tuo fianco, per rendere ufficiale la mia manifestazione di amore.

Mio Dio, mio sposo, mio tutto!

20 Giugno 1930

Mio Gesù, sono felice, il mio cuore trabocca di gioia.

Sono stata a Casette ieri e ti ho accompagnato, mio Re, ti sono stata al fianco, o mio sposo, ho gioito e trionfato nella tua gloria, nei tuoi trionfi, ho cantato con passione, ho pregato che mi faccia essere la tua piccola vittima d’amore…!

Grazie, o mio Gesù, di tutte le gioie che mi hai preparate. Mio Gesù, mio Gesù, ti amo e voglio farti amare.

Hai veduto, mio Gesù, il candido gruppo delle mie figlioline? Le hai vedute, Gesù, con le sottanine lunghe, col velo e vestito bianco, con la fascia azzurra della Gioventù Femminile Cattolica Italiana? Hai sentito i loro canti armoniosi? Mio Gesù, mio Gesù, possano tutte quelle animucce, nelle quali io ho posto tanto affetto per te … possano mantenersi sempre candide, come le loro vesti di Ieri, come le anime che di te si erano nutrite … Mio Gesù, io ti ho offerte le mie figlioline: sii il Re dei loro cuori …

Ho parlato un pochino con Iolanda e sempre più mi avvedo della crescente bellezza di quell’anima. Gesù, è sana, nevvero, la nostra amicizia? Non parliamo che di te, per te e per venire a te!!!

lo, mio Re, mi sento piena, piena dell’eccesso delle tue infinite misericordie, e, nello stesso tempo, vedo sempre più grande la mia miseria e la mia ingratitudine …

Gesù mio, ti amo.

21 Giugno 1930

Il mio Direttore spirituale mi ha detto: ricorda, figliola, questa frase di S. Paolo: «chi non ama nostro Signore, sia scomunicato» ed ha aggiunto: «Guai a te, se non ami nostro Signore». Ed io ti ripeto: Gesù, guai a me se non ti amassi … Tu lo sai, o Gesù mio, ch’io ti amo, ch’io non desidero che te … A te solo aspira l’anima ed il mio Dio mi è vicino, il mio Dio è il padrone del mio corpo e regna su me …

0 mio Gesù, lasciamelo ripetere: ti amo tanto … Eppure, Gesù, sento quanto meschino sia il mio amore a confronto del tuo … Mio Gesù, son pure molto ingrata, molto misconoscere … Perdonami, o mio Gesù, poiché la mia volontà non approva le mie freddezze e le mie miserie … e la mia volontà è tutta congiunta a te, non desidera che essere la tua piccola vittima, esser sì una particella d’ostia per unirsi a te sacramentato perfettamente nell’amore e nell’Immolazione …

Mio Gesù ti serro al mio petto … mio Gesù, ti amo, mio Gesù, crocifiggimi con te ..  Il mio Direttore mi guida sul come regolarmi, manifestandogli tutti i moti buoni o cattivi che siano … ed io non riesco pienamente come vorrei.

Gesù, Gesù mio, aiutami tu, affinché il tuo ministro aiuti a sorreggere la tua debole creaturina, la tua sposa. Mio Gesù, domani passerai nuovamente per le vie, spargendo le tue grazie; se è possibile, Gesù, permettimi che ti accompagni, ho il diritto di starti a fianco, come ho il sacrosanto dovere di pensare solo, solo a te … esserti fedele in tutto e per tutto.

Mio Gesù, ho avuto oggi una leggera indisposizione e disperavo potermi confessare. Ma tu, mio sposo buono, mi hai aiutato e mi hai reso facile tutto, o dolce sposo mio! O dolcezza ineffabile di esser tua … Mi lo offro a te tutto, o Gesù; fa che quando mi chiamerai io possa gioire, morire nella gioia e nell’amore. Mio Gesù, spero che mi coglierai, mi chiamerai fra non molto … II! Caro, caro il mio Gesù, fai tu di me come vuoi, io sono tua …

22 Giugno 1930

O mio divino, sento bene che mi sei sostegno, che mi aiuti in tutto . . . in tutto quel che desidero. Disperavo poter assistere alla santa Messa e poter accompagnarti trionfante per il paese: tu invece mi hai sostenuto e mi hai permesso non solo ciò, ma di assistere anche ai Vespri ed alla SS. Benedizione. Mio buono, mio divino sposo, t’amo … e come accondiscendi a tanti miei piccoli desideri, accontentandomi nel più forte di tutti: consumami nell’amore, fammi la tua piccola vittima. Mio sposo ti serravo al cuore stamane … ed ascoltavo la tua voce . . .Gesù, Gesù mio, la vedo questa gioventù che non ti ama, che non ti conosce, che inconsideratamente va incontro all’Infelicità e a sofferenze infernali … Mio Gesù, e partecipo alla tua pena … Mio Gesù, che io mi consumi per essa … fa soffrire me, fammi tua piccola vittima, ma salvala. Miserere, Domine. Anch’io, Signore, potrei essere come loro, peggiore di loro, se tu non mi nutrì, se tu non fossi la fonte di misericordia! Mio Gesù, dà anche a loro lume e forza di vincere e venire a te …

Mio Gesù, io sono felice, pienamente felice, perché sono la tua sposa … Son fredda, è vero, Gesù … amo poco, ma spero in te per riscaldarmi e ingigantire nell’amore … Mio Gesù, sei il mio sposo ed ho il diritto di lasciar lavorare te su me … sei tu che solo devi vivere in me … Dio mio, ti amo!

23 Giugno 1930

Mio Gesù, ti vedo si soffrire per questa povera e misera gioventù incosciente, che preferisce uno «chiffon» a te …

O mio Gesù, se tu non mi avessi ricolmato dei tuoi doni, forse anch’io sarei dalla loro parte … La tua bontà, la tua misericordia, il tuo amore mi hanno attirato con una dolcezza ineffabile … mi hanno resa felice, mi hanno fatto entrare alla mensa regale, facendomi sedere alla tua destra in qualità di sposa … Mio Gesù, ti amo e partecipo a tutti i torti che ti vengon fatti e vorrei che tutti ti amassero e tutti ti conoscessero … Mio Gesù, tu ti sei fatto vittima per me ed io mi ti offro vittima per tutta questa misera gioventù derelitta … Mio Gesù, ho il diritto di prender parte ai tuoi dolori e di sacrificarmi, un po’ ghiotta dell’erba fresca e prelibata … della tua carezza, pur son contenta se tu, con le tue mani, m’immolerai per la salvezza delle altre pecorelle sbandate …

Mio Gesù, son tua, più non mi appartengo. Mio Gesù, sono stata tante volte anch’io crudele con te … ma tu sei pastore buono … ed ora nella ferma volontà di vivere e consumarmi solo in te … mi ti offro. Cor lesu, in te speravi, non confundar in aeternum …

23 Giugno 1930, sera

lo vedo, Gesù quanto è incorreggibile la mia natura!… Suonava la benedizione ed io mi trovavo a lavorare nel prato con quattro altre, delle quali poco posso trarre di profitto spirituale … Il mio Direttore spirituale mi ha veduto lì ed io desidero avere il suo giudizio sul come comportarmi e se debbo trattenermi con loro. Ho abbandonato il gruppo per andare alla benedizione ed ho desiderato che il mio Direttore mi vedesse … Superbia, superbia, quando potrò cantare vittoria su te? Tu sei la mia più tremenda nemica … ti insinui inavvertitamente, dolcemente per avvelenare l’anima. Ma la mia lotta sarà aspra, perché avrò dalla mia parte l’aiuto del mio sposo.

24 Giugno 1930

A te, o mio Gesù, offro la mia sofferenza fisica di stamane. Signore, a tua gloria ed in riparazione di tanti mali. Mio Gesù, voglio essere la tua vittima … ma la mia misera parte umana non sa resistere … Da te attendo la forza, o mio Dio …

Mio Divino, a te solo aspiro, di te solo ha sete l’anima mia … Dio mio, essere la tua vittima in riparazione delle offese che ti reco io e che ti recano tutti gli uomini.

25 Giugno 1930

Vedo che la superbia cerca insinuarsi più frequentemente, più dolcemente nell’anima mia … Mio Gesù, fa che io conosca il mio nemico, affinché gli tenga testa.

26 Giugno 1930

Gesù, Gesù, Gesù! Gesù ti amo, Gesù ti amo, Gesù ti amo! Voglio morir d’amore, Gesù, voglio morir d’amore, Gesù, voglio morir d’amore, Gesù! Questo, o mio sposo, il gemito continuo dell’anima mia, che, simile a tortora, dolcemente ti supplica e geme, geme per non sentire l’ardore che vorrebbe … per superare la fiacchezza fisica che cerca influire nel morale!

O mio Gesù, voglio morire d’amore e son di ghiaccio; mio Gesù, voglio amarti, pazzamente amarti: e l’aridità non mi permette nemmeno esprimertelo come vorrei! Mio Gesù, sono felice poterti offrire le mie piccole sofferenze, il distacco dai miei, il mio male, le difficoltà della vita … Se ciò non avessi, non potrei offrirti che le mie miserie!

Mio Gesù, non voglio preoccuparmi del mio male; sarà lungo e lento il mio calvario, ma esso sarà la scala d’oro che mi condurrà fra le tue braccia, o mio sposo. Mio Gesù, ti amo!!! Tu sei il mio tutto ed io son tua, sono la tua piccola sposa!

27 Giugno 1930

Quando, o mio Gesù, quando potrò dire di avere lavorato con tutte le mie forze per te? … Mio Gesù, sono scontenta di me stessa …

28 Giugno 1930

Mio Gesù, ti chiamavo il tormentatore dei cuori … O sì, mio Gesù, tormentalo il mio misero cuore, fallo spasimare d’amore, fallo venire a morire, morire d’amore . . . Mio dolce e buon Dominatore, mio sposo e mio Re, altro non desidero che essere la tua piccola vittima. Mio Gesù, son ghiaccio, non amo e voglio ardere, consumarmi in te … e perciò mi ti accosto, ti stringo al mio cuore, ti serro sul mio petto, o mio divino, mio crocifisso, ti ricevo e ti voglio ricevere ogni mattina. Tu sei fornace ardente, tu fuoco divoratore … e dovrai necessariamente trasmettermi un po’ del tuo calore, del tuo ardore … Mio divino, diletto dell’anima mia, consumami … Mio Gesù, sono la tua sposa … sono vicina, vicina a te, ti abbraccio e mi getto ai tuoi piedi per supplicarti: «voglio morire d’amore per te» …

Mio Gesù, stasera avevo un bisogno forte di piangere, piangevo per la troppa gioia, per la troppa felicità, sentivo serrarmi il cuore per la piena d’affetti . . . Mio Dio, così, così dolcemente cominci a tormentare l’anima mia? Sì, sì, o mio Gesù, fammi piangere, spasimare per il troppo amore. O poterti ripetere con S. Caterina: «Basta, o Signore, che io non reggo più»! Mio Dio, ti amo, di te ho nostalgia, come ho nostalgia del monastero per te … Mio Dio, che felicità poter vivere tra tante tue spose, essere sorretta, guidata a te. Mio Dio, son tua, e come tale, tutta a te mi affido … Mio Dio, tormentami col tuo amore!.

29 Giugno 1930

Mio Dio, te solo cerco, te solo, sii il tormentatore instancabile dell’anima mia.

Mio Gesù, come meditavo or ora, non ti pospongo a cose vili, a cose umane, misera? «Vizio nel cuore è idolo sull’altare». Ma io voglio te solo adorare, in te solo vivere, in te consumarmi … E perciò, o mio sposo, io domando il tuo aiuto .. . Tu mi devi dar lume, Tu amore ardentissimo, tanto che nemmeno un istante possa dimenticarti … dimenticare il mio Dio, il mio sposo, anche per un solo istante … è orribile ingratitudine … T’amo, o mio Gesù ed in te solo debbo fissare lo sguardo dell’anima mia … t’amo, Gesù, eppure sento che la mia misera parte umana spadroneggia ancora un bel po’. Ma la mia volontà la conosci, o mio Gesù, non brama e non vuole che te … Di te ho nostalgia e da pochi momenti ti ho avuto nel mio cuore, vivo, reale … eppure tutta, tutta la mia vita vorrei passare stringendoti realmente … spiritualmente, però a te mi serro e ti ricordo, o mio sposo, che io sono un pezzo di marmo grezzo, informe, che si mette nelle tue mani, affinché tu, divino artefice, lo lavori … Mio Gesù, sono un pezzo di ghiaccio e mi getto nella fornace ardente del tuo cuore, affinché mi liquefaccia, affinché mi faccia scomparire in te come vapore … mi consumi in te … essere la tua piccola vittima … Mio Gesù, ti amo!

29 Giugno 1930, sera

Mio Gesù, ti offro la mia leggera sofferenza, i miei piccoli, sforzi per ascoltare la S. Messa, per aiutare a zia …

Mio Gesù, la tua sposa è tanto meschina e non sa offrirti che miserrime cose . . . Mio Gesù, sento sempre maggiormente l’insufficienza del mio amore e la nera mia ingratitudine col divagare così … Mio Gesù, sono veramente di ghiaccio, vorrei avere l’ardore di un serafino e non so dirti nemmeno che ti amo …

Mi fa tanto bene e mi eccita la conversazione di anime belle … il parlare di te … ed è perciò, o mio Gesù, che qualche volta desidero una compagnia, desidero Iolanda! … Per te solo mi è cara la sua compagnia. Ma tu puoi ben dirmi, mio Gesù, «cerchi le persone e non ti accontento io, che son sempre a te dappresso? Che ti aspetto nel tabernacolo, che ti amo tanto?». Perdono, o mio Gesù, è sempre la parte umana che vuol essere soddisfatta.

Altre mancanze mi sembra oggi di non avere. Mio Gesù, siimi lume e forza per amar te … Mio Gesù, bussa continuamente alla porta del mio cuore .. . importunalo e tormentalo … Gesù, ti amo.

29 Giugno 1930

Mio Gesù, dolcemente sussurri: «Vieni, mia sposa, vieni a me ed io soddisferò i bisogni del tuo cuore!».

Mio Gesù, tu sei il mio sposo, il dolce e caro sposo mio, a che cercare consolazioni ed elevazioni negli uomini? Non deve il mio cuore tutto, tutto ardere di te? Non devono i miei pensieri solo a te essere rivolti? Mio Gesù, non ho nessuno fuori di te ed il mio confessore, qui, che possa comprendermi … Ma tu sei l’amico sincero e disinteressato, tu il mio sposo, tu il mio tutto, tu solo e pienamente sai comprendermi . . . Ed io a te vengo, in te riposo e mi affido … Mio Gesù, ti amo!

30 Giugno 1930, sera

Mio Gesù, mi hanno domandato che cosa significava il mio distintivo … hanno poi borbottato qualcosa che non ho potuto afferrare … lo ho taciuto, Signore, forse sono stata un pochino vile! Perdonami, Sposo mio.

Anna mi ha fatto uno scherzo un po’ strano, mi ha macchiato il lavoro … Non ho scattato apparentemente, però ho detta qualche parola offensiva e nel mio intimo vi è stata un po’ di lotta . . . Non so sopportare proprio niente, o mio Gesù? Mio sposo, aiutami ad essere un po’ più forte e amare di più!

1 Luglio 1930

Mio Gesù, perché prendermi pensiero di tante cose materiali? Si vede bene che non sono che miseria, che amo poco. Mio Gesù, tormenta, tormenta l’anima mia … sii un po’ prepotente, tiranno nel volere che io pensi solo a te. Mio sposo, diletto mio!

2 Luglio 1930

Mio Gesù, diletto mio, ti amo, mi getto fra le tue braccia, affinché tu mi sostenga … affinché senta la tua carezza, i palpiti del tuo cuore. Diletto, diletto mio, ti amo. Mio Gesù, sono tua e tu hai il diritto di disporre di me come vuoi … Mio Signore, puoi pormi anche fra una eletta schiera di tue spose!!! Mio Gesù, io non desidero che avvicinarmi sempre più a te; ed è perciò, o mio diletto, che ho nostalgia del monastero!

Mio Gesù, ti prego oggi per la santificazione delle famiglie … Sento, o mio Gesù, il tuo angoscioso dolore … Cercano scacciarti, o mio diletto, perché non ti conoscono! Misericordia di loro, o Gesù … manda su loro la tua grazia i tuoi lumi. Mio Gesù, sii il re dei cuori!

Medito, o mio Gesù, sull’amarezza che ti reca l’uomo col peccato mortale! Mio Gesù, prima morire che peccare! Mio Gesù, che io abbia orrore anche del peccato veniale! Che abbia orrore di questa mia freddezza, di questa mia trascuratezza! Ti amo, Gesù!

2 Luglio 1930

Mio Gesù devo averti più presente per amarti di più e più avvicinarmi a te. Fa, o mio Gesù, che in qualsiasi occupazione, io sappia sempre ritrovarti ed operare solo in te.

2 Luglio 1930, sera

Ti offro, o mio Gesù, tutto il lavoro, i miei piccoli sforzi, le preghiere e le gioie di questa giornata e ti domando perdono per il mio poco amore verso di te! Quando, o mio diletto, potrò dirti: «più di questo non posso amarti?». Mio Gesù, essere la tua vittima …

Questa sera è incominciato il triduo di predicazione alla Vergine Santissima del Carmine e concetto della predica era il «dolore».

Dolore, parola terribile per chi non ha te nel cuore, parola dolce, sublime per chi vive perennemente in te …

O mio Gesù, a me la dolce predilezione di venire a te per mezzo di una croce soave e leggera per ora …! Mi fai conoscere che mi chiami per la via regia, che mi mandi un tesoro preziosissimo, affinché me ne valga per acquistarmi il paradiso! … Mio Gesù, voglio e debbo amare la mia croce e la stringo al mio seno, così come stringo te crocifisso … Ti sento, o mio divino, poggi sul mio cuore e mi ricordi che per me hai amato ed abbracciato la croce . . . Mio Gesù, ti seguo per la salita del Calvario … per essere con te crocifissa, vittima dell’amor tuo e delle anime in te.

Mio Gesù, alzo il velo del mistero del dolore e trovo che esso è gioia, che esso a te mi conduce!!! e trovo che esso è il mio paracadute …

Gesù, ti amo e tutto accetto dalla tua mano divina.

4 Luglio 1930

Mio Gesù, ho nostalgia di te … vivere per te fra tante tue spose, o Gesù.

7 Luglio 1930

Gesù mio, son tre giorni che non scrivo più i miei sentimenti perché il caldo e la stanchezza mi hanno sopraffatto. Ma tu, mio sposo diletto, di quanta gioia hai ricolmato il mio cuore. Ho potuto riceverti sempre, mi hai permesso di ascoltare parte del triduo alla SS. Vergine del Carmine, ascoltar ieri la santa Messa, cosa che io, fidando nelle mie forze, non speravo e questa sera mi hai permesso di confessarmi.

Dio mio, sposo dell’anima mia, io sono felice perché sono la tua sposa; sono felice perché tu mi permetti sedere al tuo fianco, perché … perché mi nutrisci di te, perché ti amo. Gesù mio, so che ti offendo tante volte, benché non mi lasci trascinare dalle mie miserie, immensamente ti amo … Gesù, ti amo, Gesù, voglio sol vivere in te, per te, con te. Gesù, vivere immersa nell’amor tuo, come l’uccello nell’aria, come il pesce nell’acqua! Gesù, muoio per il troppo amore! T’amo, Gesù, ed a te solo aspiro con tutte le mie forze.

Mio Gesù, mio tutto, Deus meus et omnia.

8 Luglio 1930

Mio Gesù, debbo amarti molto e molto di più. Tormentami e fammi vittima del tuo amore.

9 Luglio 1930

Mio Gesù, anche stasera devo accusarmi di avere amato troppo poco. Mio Gesù, perdono, io ti serro con tutte le mie forze al mio petto! Gesù, fammi morire d’amore.

O mio Gesù, a che altro devo ormai aspirare? Se desidero poter vivere in un monastero, è per poter riuscire ad amarti di più, ma se la tua volontà dispone altrimenti, io a te sacrifico il mio desiderio con gioia … per te rinuncio a tutto ciò che mi porterebbe soddisfazione.

Mio Gesù, ti amo e tutto accetto dalla tua mano divina! Ormai la mia volontà non agisce più che in te. Mio Gesù, voglio tutto, tutto dare a te, per la tua gloria. Mio Gesù, aiutami a tutto sacrificarti. Potrò, Gesù, riuscire a votarmi a te ancora più intimamente con i voti di povertà ed ubbidienza?

Ormai, o mio Gesù, sei tu il mio aiuto ed io, con tutto il mio volere, voglio solo lavorare per te … Pur sento che le mie miserie non mi lasciano. Mio Gesù, ma io son tua, sono fra le tue braccia … ed ho confidenza in te, tu sei il mio tutto, tu vivi in me, non sono più io la padrona del mio essere, è il mio dolce, diletto, caro, divino Gesù. Gesù ti amo!   .

Mio Gesù, anche il mio Direttore, con un senso quasi di rammarico, mi ha chiesto della mia solitudine … No, mio Gesù, non mi è dura, perché ho te, perché sono di meno peso e di meno pericolo ai miei … perché a te sacrifico tutto …

Mio Gesù, tu ben lo sai che forse mi era più duro il martirio di Casette …

Mio Gesù, tutto a tua gloria.

10 Luglio 1930

Mio Gesù, oggi non ti ho potuto stringere realmente al mio petto!

Mio Gesù, troppo poco so sacrificare per te qualche mio bisogno ed è giusto quasi che tu mi punisca così qualche volta . . . che tu mi lasci digiuna. Mio Gesù, no, non mi provare spesso così, perché io non so reggermi ed è necessario che tu sempre nutrisca la mia anima … Mio Gesù, ti amo! ti desidero tanto in me, ti stringo crocifisso sul mio petto! Gesù, ti amo! Mio Gesù, ti amo, ma quanto più intenso deve essere il mio amore … devo consumarmi nell’amor tuo … Vittima!!!

Gesù, d’altro non so accusarmi che della mia ingratitudine … del mio poco amore … Mio Gesù, permetti che l’anima di una figliuola si apra a me e non abbia segreto per me … fa, o mio Gesù, che io rettamente la possa guidare, non per me, ma per la tua gloria.

12 Luglio 1930

Gesù, ti ho amato poco anche oggi … ma tu lo sai che io con tutta la mia volontà te solo cerco. La mia miseria umana è che mi annebbia un po’ la strada. Perdono, mio buon Gesù …

Gesù, mio sposo, Iolanda desidera, aspetta da me una parola incitatoria … dammi tu luce e ardore, affinché possa aiutare anche lei, sol per tua gloria, non per mia soddisfazione.

Mio buon Gesù, oggi ti ho avuto sacramentato nel mio cuore. Mio Gesù, sono felice, t’amo, mio Gesù!

13 Luglio 1930

Mio Gesù, avevo sperato avere un incitamento dal mio Direttore ed un consiglio e non l’ho potuto avere … Mio Gesù, siimi tu lume domani. Andrò alle Casette; zio vuol parlare di me e se devo restare o no a Montegranaro. Mio Gesù, fa ch’io parli ed operi sempre secondo il tuo santo volere … Mio Gesù, ch’io rimetta tutto nelle tue mani. T’amo, Gesù, e voglio solo operare per far piacere a te.

Spero stare un pochino con le mie figliuole e forse potrò partecipare all’adunanza. Signore, aspettano da me una parola: che posso loro dire, fuorché di amar te!

Mio Dio, come posso essere pur io così fredda!!! Mio Gesù, vorrei bruciare e son di marmo.

T’amo, Gesù, e voglio amarti sempre più … Mio Gesù, che ho mai fatto! Ho lasciato Annetta con una sua amica a passeggiare e la madre, era andata a letto … Non me ne andava di star più fuori … non ho saputo sacrificarmi per un’anima. Vedi, Gesù, t’amo ben poco, non so amare le anime per te, in te e come vorrei. Gesù mio, veglia su lei.

DILECTUS MEUS MIHI ET EGO ILLI <diario>

<A me il mio diletto ed io a Lui>                                    14 Luglio 1930

Mio Gesù domani fa un mese che io mi sono legata a te per tutta la mia vita … Mio Gesù, quanto sono felice di esser tua! Domani ti rinnoverò il mio voto in modo un po’ più solenne di quello che fo ogni mattina, quando ti serro al mio petto … ripenserò a te ed ai tuoi doni con più amore, con maggiore senso di gratitudine …

Mio Gesù, mio Divino, sono felice, perché mi hai dato, mi dai tutto te stesso, mi permetti esserti sposa, esser tua … Gli uomini forse mi recuserebbero (se io a loro aspirassi), ma tu, mio Divino, con un’accoratezza di amore mi hai chiamata, mi hai fatta tua … Ormai (benché qualche volta mi distragga) tu sei il centro, il punto luminoso, il faro della mia vita …

Mio Gesù, altro non desidero che crescere nell’amore, fino ad essere completamente consumata … mio Gesù, mio diletto, ch’io senta per te le carezze della tua Madre divina, ch’io abbia l’abbandono dell’apostolo del tuo amore, di Maria di Magdala …

Mio Gesù, (…), Mio Gesù, tu crocifisso poggi sul mio petto: vedi, io sono il tuo Calvario … la tua croce poggia su me e tu pendi da essa … ebbene, Gesù, come lasciasti che il tuo sangue bagnasse la terra del monte, permetti che esso bagni e riempia il mio cuore … e lo faccia ardere e spasimare per te, per te …

Mio Gesù, mi offro tua piccola ostia, una piccola ostia che s’immola . . . t’amo . . . Gesù, mio Gesù, a te solo aspiro con tutto il mio essere …

Ieri mi hai permesso, o buono sposo mio, di andare a Casette. Sono stata un bel pezzetto con Iolanda. O la sublime bellezza di quell’anima … Abbiamo parlato delle figlioline … e con dolore abbiamo preso in speciale considerazione due che si vengono ingolfando in tante leggerezze . . . e che vengono perdendo la loro purezza. Mio Gesù, mi sono permessa incitare un pochino e far capire … ma chissà se questo argomento è riuscito di molta persuasione per ottenere frutti reali e sodi … Il Rev. Assistente vede le pericolanti e soffre, lo, mio Gesù, so lavorare molto poco … Mi sembrerebbe necessario il far conoscere un po’ più profondamente la bellezza di una vita spirituale, parlare dì pietà, carità, moralità, purezza, ma vedo che l’Associazione, prima addirittura angelica, cerca sfuggire certi argomenti … teme di parlarne … e le adunanze riescono un po’ fredde … lasciano come hanno trovato …

Lo scopo della mia gita di ieri fu per parlare un po’ della mia situazione con zio … poi per il mal tempo egli non è venuto a Casette e così non ho chiarito niente …

Mi sono dovuta accorgere però che in genere, tolto Vincenzo, i miei bramerebbero essere liberati del peso che io procuro loro … e sarebbero contenti ch’io potessi entrare in monastero sol per questo …

Mio Gesù, tu sai che tanto desidero anch’io che ciò avvenga, ma liberami e fammi discacciare qualsiasi secondo fine che vi possa essere … Con te, in te, e per te, solo e sempre …

Gesù mio, ho sofferto un pochino ieri, ho desiderata mia madre … Ma te ho sempre, o mio divino ed io a te mi stringo tu sei la vita mia! … Tu sei il possessore del mio essere. Gesù, perdonami se non ho saputo sopportare tutto con gioia per te, a te offro il mio piccolo dolore. Gesù, ti amo!

Gesù, permettimi che io domani possa riceverti … Mio Gesù, come mi dice il confessore, ti dico che io sono il tuo piccolo tabernacolo … Devo ben custodirti, o mio Gesù … devo ben badare che la lampada del mio cuore non si spenga, mai!!! Devo ben studiarmi di conformarmi ai tuoi voleri, di affiatare il mio cuore al tuo.

Devo gareggiare con te, Gesù, per poterti arrivare, se fosse possibile, nell’intensità dell’amore. Mio Divino, mio tutto, ti amo …

Sai, Gesù, ch’io lo spero, anzi ch’io sono sicura che tu mi consumerai d’amore. Ormai mi hai sì colmato dei tuoi doni, che son certa che mi concederai anche questo, che so poi essere il desiderio del tuo cuore … Mio Gesù, ti amo, son tua, sono il tuo piccolo giocattolo .. . Giuoca, Gesù, divertiti finché vuoi, come vuoi. Mio Gesù, sei tu il mio padrone e il mio sposo, usa dei tuoi diritti!!! tormentami … Voglio essere la tua vittima!

15 Luglio 1930

Mio Dio, mio sposo, mio tutto, ti amo e sol desidero accrescere il mio amore . . . Mio Gesù, sono felice, felice, felice … DILECTUS MEUS MIHI ET EGO ILEI … Sì, sì, sono con te, mio diletto, perché tu sei nel mio cuore …

Gesù, ti ho rinnovato il mio patto d’amore, Gesù, fa che i nostri vincoli siano sempre più stretti, tanto che nessuna procella possa allontanarci … Mio Gesù, non son degna di averti in me, di essere la tua sposa. Ma ti amo. Gesù, sono piena di miseria, ma ti amo. Gesù, son fredda, ma desidero ardere! Ti amo, ti amo, diletto mio: Gesù, mio Gesù, non parlo, ma parla il mio povero cuore! … Gesù soffro, è vero, per le mie miserie, per l’abbandono di tanta gioventù, per l’innocenza, per la purezza … Gesù, mio Gesù, fammi entrare a parte della tua sofferenza . . . Mio Gesù, tu ti immoli continuamente per la mia e per tutte le anime . . . ebbene lascia che questo granellino di polvere possa anch’esso immolarsi per dar gloria a te … per l’amore delle anime a te … Gesù, mio Gesù, ti amo … Gesù, mio Gesù, fa ch’io ricerchi continuamente le tue piaghe, ch’io mi nasconda in esse … ch’io le senta nel mio cuore. Gesù, poggi tu crocifisso sul mio cuore … ma questo misero cuore potrebbe qualche momento non sentirti! Allora tu fa ch’io senta tutto II peso della tua croce, tutte le trafitture delle tue piaghe … affinché a te solo pensi … affinché mi venga consumando nel tuo amore.

Mio Divino, ti amo! Gesù, benché tutto ti prometta, benché tutta mi ti doni, vengo scoprendo che la mia misera parte umana non vuol tacere …

Gesù, tutto voglio accettare dalle tue mani, poi vedo che soffro per una sciocchezza, come mi avvenne Domenica! Perdonami, o mio Gesù, siimi tu forza e lume. E proprio a questo proposito mi è capitata la meditazione di stamani nell’«Imitazione».

15 Luglio 1930, sera

Gesù, mio diletto Gesù, ho scritto alla Priora di Empoli, le ho manifestata la mia condizione di molto migliorata e le ho fatto capire che le mie aspirazioni sono sempre le stesse.

Gesù, mio buon Gesù, per tuo mezzo fa ch’io possa conoscere i tuoi disegni su di me, affinché io li assecondi. T’amo, Gesù, ed altro non voglio che conformarmi in tutto e per tutto alla tua santissima volontà. T’amo, Gesù, e voglio essere la tua piccola vittima … T’amo, Gesù, sposo mio e voglio morire d’amore.

Mio Gesù, diletto mio.

16 Luglio 1930

Gesù mio, eccomi a ripensare questa giornata decorsa.

Mio Gesù, stamane con tutto il cuore ti ho promesso di far del tutto per amarti tanto, tanto … Poi un po’ di prostrazione e un po’ di inedia (?) mi hanno fatto essere un po’ fredda. Sono stata a lavorare oggi ed a passare un quarticello da zia … Ma vedo, Gesù, la conversazione di quelle donne che là trovo, non giova molto all’anima mia. Gesù, voglio esser più cauta.

17 Luglio 1930

Perché, Gesù, anche in mezzo alle conversazioni, non so tenere il mio pensiero volto sempre a te? Dio mio, aumenta il mio amore, toglimi questa freddezza, prodotta dalla mia miseria.

18 Luglio 1930

Mio Gesù, potevo viver tua fra tante tue spose, lontana dal mondo e dai suoi frastuoni! Vedo, mio Divino, che ancora mi distrae questo mondo che mi circonda!

19 Luglio 1930

Mio Gesù, mio buon Gesù, stamani ho sentito dei bambini che ti maltrattavano, che ti bestemmiavano orribilmente

 

e parlavano di cose immorali … Mio Gesù, soffrivo e non potevo parlare per non incitarli a far peggio. Mio Gesù, fa ch’io soffra di più, molto di più, non vedendoti amato . . . debbo essere vittima per te, in te, con te … Vedo pur oggi, o mio Dio, che il mondo con i suoi discorsi mi distrae. Gesù, dammi amore.

20 Luglio 1930

Ti supplicavo, o mio Gesù, non potevo più resistere in chiesa e l’unico sacerdote che vi stava doveva confessare tante donne … Ti desideravo ardentemente, o mio divino, e mi hai ascoltato e ti ho stretto in me … e sono felice … Ti dicevo: mio Gesù, fa ch’io ti riceva; poi fa di me ciò che vuoi … non mi sentivo la forza di poter fare il sacrificio di non averti nel mio cuore! O mio diletto, chi mi avrebbe sostenuta oggi, se tu ti tenevi lontano da me?! T’amo diletto mio, t’amo e sono felice, perché ho te.

Dilectus meus mihi et ego illi.

20 Luglio 1930, sera

DILETTO MIO, ho avuto oggi con me il mio Vincenzino e sono felice di poter ritrovare in lui un’anima candida e pura!

Ti avevo tanto desiderato stamane, avevo poi tanto goduto teco: eppure sono stata fredda . . . distratta. Soffro un pochino, Gesù, vedendo che per me, per i bisogni fisici miei devo regolarmi solo da me … avrei caro un consiglio di mia madre, di zio … Il mio Vincenzino che può dirmi? Dal lato suo, si piega anche a cedermi moneta che è in comune fra di noi due, pur ch’io mi procuri tutto ciò che mi è necessario. Zia mi ha mandato un aiuto … Ma la freddezza di mia madre mi pesa un pochino … e quale nostalgia sento per una carezza, per una parola, un bacio della mamma mia diletta! Mio Gesù, ho te però ed è in te ch’io mi afferro … è a te che offro con me stessa tutte le mie piccole sofferenze. T’amo, Gesù!

21 Luglio 1930

Gesù mio, ti amo tanto, ma accresci tanto l’amor mio, tanto da gareggiare con iI tuo.

O mio divino, t’amo! Ed oggi potevo pur amarti di più, molto di più.

Sono stata un po’ allegra, anche spiritosa; ed ho pensato che le compagne potevano giudicarmi una buona compagnona.

22 Luglio 1930

Gesù, mio adorato, Gesù, son tua, ti amo, voglio morire d’amore … Mio Gesù, come la Maddalena, della quale oggi si celebra la festa, io mi getto ai tuoi piedi, domandandoti perdono e amore, amore … Gesù, fammi arrivare all’amore tuo folle … Gesù, concedimi di essere la tua vittima, come tu tale ti fai per me! Gesù, mio Gesù, come tu non ti parti dalla porta del mio cuore, così io non mi parto da te e busso, fino a che non otterrò. Gesù, mio Gesù, tutta, tutta, completamente ed assolutamente e pienamente congiungimi a te. Signore, ch’io non mi senta più della terra, del mondo, che questa mia misera parte umana l’assoggetti compieta- mente per te, in te … Gesù, Gesù, imprimi la tua immagine nel mio cuore.

Gesù, che mai demeriti l’insegna ch’io porto meco. Mio Crocifisso, ti amo … Mio Crocifisso, prima la morte che l’essere divisa da te. Ti amo!

23 Luglio 1930

Gesù, eccomi ai tuoi piedi per chiedere ancora perdono.

Mio Gesù, ho nostalgia di ancora più amore … Gesù mio, accresci la mia unione, fa ch’io ti abbia sempre, sempre presente, fa che il mio cuore, come una candela, si consumi, ma arda sempre accanto a te sacramentato … T’amo, Gesù.

Non mi sembra di aver notato mancanze … le solite … se non che il mio amore sia sempre deficiente. Ma vedo che debbo essere molto, molto più cauta.

Gesù, ti raccomando il nonno di Iolanda, io, mi ti offro in riparazione delle offese mie e sue, ma fa che la luce scenda su quel cuore, prima che abbia a lasciare la terra.

Misericordia, mio buon Gesù, fa di me ciò che vuoi, ma salva lui. T’amo, Gesù e desidero la tua gloria.

24 Luglio 1930

Gesù, vita mia, ti amo. Dilectus meus mihi et ego illi. Qual felicità sublime!

25 Luglio 1930

Altro non desidero che crescere nell’amore, o mio Gesù! ed è per questo che mi sento scontenta, avendoti amato troppo poco. Mi sembra in realtà, o mio Gesù, di essere un pochino cresciuta … ma misurando la gran differenza tra l’amor tuo ed il mio, sento anche crescere la mia deficienza …

Dio mio, ti amo, tanto ti amo … son tua e voglio consumarmi in te … Tu sei la vita mia, tu sei il mio tutto! O felicità grande il serrarti realmente al mio petto ogni mattina, parlarci così soli a soli, o mio divino … Ti amo, o mio Gesù, voglio morire d’amore.

27 Luglio 1930

Gesù mio adorato, Gesù, ho avuto oggi una lettera della Priora di Empoli, che mi rinnova la proposta di fare una prova.

Signore, Signore, cosa mi dici tu? Fa ch’io conosca chiaramente il tuo volere. O Signore, se mi permetti di appagare le mie aspirazioni!!! O mio Gesù, son tua e voglio diventare più intimamente tua nell’amore, nella perfezione. T’amo, o mio divino.

29 Luglio 1930

Sì o mio diletto, la sento la tua carezza divina che mi tranquillizza, che mi fa gustare una felicità di paradiso . . . ed io, cosi ebbra di felicità, mi getto fra le tue braccia e riposo … Chi può ardire di turbarmi fra le braccia del Re, fra le braccia dello sposo?!

Gesù, torna luminosa la speme di essere tua in un chiostro … ed io sono pronta a tutto sacrificare per te … pronta a lasciare il mio Vincenzino … pronta a far sanguinare questo mio misero cuore, pur di essere più unita a te …

Mio Gesù, se tu però vuoi togliermi anche la felicità di vivere nel chiostro, io ti ripeto: sono tua, il tuo giocattolo … fa’ di me ciò che vuoi, sol che ti ami e mi consumi per amore e sia la tua vittima!

Gesù, con la mia verginità io ti ho fatta l’offerta di tutta me stessa ed ora ti offro tutti i sacrifici che mi chiederai, tutti … confidando nel tuo Cuor Divino per avere la forza di sopportarli come ne ho la volontà.

Mio Gesù, come mi diceva il mio confessore, io ho piena fiducia in te … tu che hai tante cure di tutti gli esseri creati, anche di quelli irragionevoli, quanta più cura non avrai di me, che son tua, tutta tua? Ed allora perché preoccuparmi, perché? Dilectus meus mihi … Dio, Dio mio, amarti, ardere d’amore; crescere, crescere sempre in intensità d’amore: questo deve solo essere il tormento di ogni istante della mia vita …

Ricorda — mi diceva il confessore — che non devi sentir dal Signore quel dolce rimprovero che fa a Marta; tu devi essere la Maria, tu devi scegliere la parte migliore ed incamminarti sempre più in quella senza sostare, perché, nell’amore, chi sosta va indietro. La vita spirituale non deve mai sostare, come non sosta quella fisica . . . Però bada a non cercare nell’amore di Dio quelle sensibilità che soddisfano, è vero, l’animo, ma che sono morbosità. Dobbiamo amare sempre, nel fervore e nell’aridità, nella gioia e nel dolore, sempre.

Dio mio, mio Gesù, si sempre voglio amare, sol per la tua gloria, sol per far piacere a te …

Mio Gesù, mi getto ai piedi di te crocifisso, stringo la tua croce fra le mie braccia … mio Gesù, ecco mi ti offro tua piccola vittima, in riparazione delle offese che ti ho recate, in riparazione di. tutti i mali di questa misera umanità, di questa disgraziata gioventù . . . di quel povero vecchio.

Gesù, Gesù, fammi partecipe dei tuoi dolori e ti ripeto col mio confessore, non penso desiderare le rose, ma voglio provare le tue spine; non voglio desiderare le comodità e gli agi per il mio corpo, ma soffrire le tue piaghe, ma soffrire la tua passione, salire con te il Calvario ed essere crocifissa con te …

Dio, Dio mio, ti amo … Voglio morire d’amore per glorificare te, mio divino!

30 Luglio 1930

Mio adorato, ti serro al mio petto, ti ringrazio dei tuoi benefici, che ti sei degnato farmi in questa giornata e ti chiedo perdono per la mia poca corrispondenza all’amor tuo.

Passano, o mio Gesù, sul mio cuore dei pensieri di superbia, ma non li approvo, né mi sembra tocchino o scuotano in certo modo il cuore.

Son ben misera, Gesù … mi sembra essere un po’ migliore delle altre, mi sembra che le altre debbano riconoscere in me qualcosa di altro … Perdono, Gesù.

Dammi lume, Gesù … T’amo, Gesù. Sono felice di poterti offrire i miei piccoli mali … son pur cari, perché mi ti fanno sentire un po’ vicino … permettono farmi partecipe di un micron della tua sofferenza … T’amo, o mio divino.

31 Luglio 1930

Mio Gesù, prostrata a terra ti offro le ferite del mio povero cuore .. . accettale, Gesù, in riparazione del male commesso da quella povera figliuola …

Mio buono, adorato Gesù, ti domando perdono, perdono, Gesù, noi le tue privilegiate, noi le tue beniamine ci serviamo delle tue grazie per affliggerti con più raffinata malignità . . . La seconda delle mie figliuole caduta nel disonore!…

O quell’angelo della sorella sarà straziato e sopporterà solo perché ti ama. Gesù … perché con generosità si carica della croce e ti segue!!! Ho pianto, Gesù … perché è troppo nera la nostra ingratitudine ed è tanta la nausea ch’io provo…

Vedo, Gesù, che il dolor tuo è infinitamente più profondo del mio, ma godo che, benché poco, mi lasci partecipare al tuo strazio. Si, Gesù, devo aver parte ai tuoi dolori . . .

Gesù, mio Gesù, ti rinnovo l’offerta di tutta me stessa … voglio essere la tua piccola vittima, anche per la salvezza di quella figliuola. Dà pace ai genitori, alla sorella, al Rev. Don Luigi, a tutte quelle anime che soffrono per lei … ed a lei dà il ravvedimento.

Tutto a maggior gloria tua, o mio Dio.

Il mio Direttore mi ha restituiti i fogli, ove avevo copiate tutte le intenzioni speciali per le quali mi offro al Signore. Mi ha fatto notare alcune lacune ed io di proposito voglio tutte colmare.

Ho fatto leggere al mio Direttore la lettera della Priora e ciò che un pochino aveva lasciato male a me, ha fatto la stessa impressione a lui. In altre parole, nella lettera, la Priora mi dice che non sono generosa nell’offrirmi al Signore e mi fa la proposta della prova, senza alcun impegno da ambe le parti.

Mio Gesù, è una condizione un po’ penosa, lo vedi, non per me, ma per i miei, dai quali devo pur dipendere. Mio Gesù, tu sai ch’io già mi sono offerta a te, ch’io sono già tua: e perché dovrei titubare nel venire a te nel chiostro? Non sarebbe in ciò la mia dedizione completa? E non è ciò ch’io ti chiedo continuamente? Disporre però della volontà dei miei non posso, o mio diletto. Mi riaccetterebbero tornando poi io a casa in cattive condizioni, ma con quale animo!!! Dio mio, illuminami. Con tutto il cuore io sacrifico tutto per te, pronta a tutto. «Tutto a maggior gloria di Dio».

1 Agosto 1930

Signore, mi sento pienamente felice perché son tua, perché godo la tua carezza, e perché ti sento in me! Dilectus meus mihi et ego illi.

Signore, ho partecipato oggi al tesoro d’indulgenze che la chiesa mi offre e sento la tua grazia crescere in me . . . sento d’essermi alleggerita di un enorme peso … Gesù mio, ti amo!

Domani, o mio diletto, sarò a Casette, soffrirò, o mio Gesù, lo prevedo già … Ma che importa? Tutto a tua maggior gloria, Dio mio, dammi lume, dammi parole di conforto per la povera N. e per tutti quelli che soffrono per la povera figliuola! … Fa ch’io operi solo a tua maggior gloria.

Ti ringrazio, o mio Gesù, della grazia che oggi mi hai data e ti domando perdono per aver parlato assai di tutto ciò che è avvenuto … Gesù mio, misericordia! T’amo, o mio diletto, son tua!

5 Agosto 1930

Sono stata a Casette e sono tornata ieri . . . Che inferno … e che rovina . . . povera disgraziata figlia!!!

Ho mancato al mio proposito esternando il mio dolore; ho mancato un po’ alla carità, giudicando anche e raccontando ad Anna, senza necessità, tutto ciò che è avvenuto. E’ vero che oggi lo veniva a sapere ugualmente, ma io potevo evitare di parlare, dovevo pur pensare che la sposa del Re dei re deve cercare di fermarsi quanto meno sia possibile in certe immagini fisiche e nauseanti …

Avevo desiderio di confessarmi stasera, ho allungato un po’ ad andare in chiesa e poi non ho potuto avere il mio confessore.

Signore, quanto prima, spero domani, mi accuserò di ciò che ho detto e mi pesa; intanto a te domando perdono di cuore.

Mio Gesù, ho parlato con i miei sul come decidere con la Priora, facendo capire che io avrei chiesto patti più chiari ed impegnativi. E loro mi hanno risposto: «Ma se tu ci starai male?».

Signore, che importa? Non ti ho detto che voglio essere la tua vittima? T’amo, Gesù, diletto mio, t’amo!

6 Agosto 1930

Mio diletto, sposo mio, nemmeno stamane ho potuto purificare l’anima mia. Mi sentivo un po’ indisposta e nemmeno stasera ho trovato il mio confessore. Gesù, con tutta la forza dell’anima mia, io ti domando il perdono … Sono ingrata, Gesù, irriconoscente, infedele … misericordia.

La sento, o mio diletto, la mia misera parte umana, che non vuole lasciarmi, le sue cattive tendenze che cerca, le misere ed abbiette soddisfazioni. Gesù, misericordia! Con tutto il cuore voglio amarti, eppur cado!

Oggi devo accusarmi di aver passata qualche ora senza che il mio pensiero sia corso a te. O mio diletto, perdono …

Leggevo stamane e meditavo sulla durezza dell’uomo peccatore. Mio Gesù, lo sai, ti domando prima la morte che commettere un sol peccato volontario, prima la morte che la durezza e la cecità del peccato. Da qualche tempo leggo la vita della Beata Bartolomea Capitanio e mi sento veramente edificata. Oltre al sublime eroismo di quell’anima, si ammira, in questo libro, la via netta, matematica quasi, della perfezione menata dalla beata e proposta da essa a tutta la gioventù. Il mio confessore mi aveva proposto di fermare alcuni miei pensieri al tal proposito . . . lo ho provato, ma sono ancora in principio, scrivo in un apposito quadernino, perché sarei troppo lunga per poterlo scrivere in un diario.

Mio Gesù, che ne sarà di quella mia povera sventurata figliuola?!

Misere, Domine, miserere.

7 Agosto 1930

Dio, Dio mio, sento il peso delle mie colpe … ancora non sono riuscita a fare la mia confessione . . . Ho fatto ugualmente la comunione, perché non mi sembra di aver commesso peccato grave: pur non mi sento tranquilla! Mio adorato Gesù, sono piena di miseria e son circondata da tanta turpitudine … sorreggimi, mio Gesù, no, non voglio che il fango mi arrivi a toccare … Voglio solo, solo vivere e consumarmi in te. Diletto, diletto mio, ti amo e sono felice di esser tua. Chi ardirà strapparmi dalle tue braccia, quando io, con ogni mia potenza, a te mi afferro? T’amo, diletto mio …

Si fa un gran parlare della povera sventurata … Gesù, mio Gesù, misericordia!

8 Agosto 1930

Mio buono, adorato Gesù, eccomi purificata, eccomi sempre tua, sempre a te avvinta da un amore più intenso, che mi viene consumando … Mio Gesù, sono felice, sì, felice … godo tutta l’ineffabile tua carezza, mi beo dell’amor tuo. Gesù, Gesù, voglio essere la tua Maria, tua in tutto, la Maria di Magdala, che si strugge nell’amor tuo!!!

Gesù diletto mio, non desidero che essere la tua vittima d’amore …

Gesù, Gesù mio, ti rinnovo il mio giuramento, la mia consacrazione, la mia offerta, a te tutto, tutto a tua maggior gloria. A te solo io pensi, te solo brami, a te solo aspiri. Mio Gesù, ti amo tanto, tanto … voglio morire d’amore … Gesù, tu sei la vita mia: Dilectus meus mihi et ego illi …

Vergine santissima, conducimi al tuo Gesù. Mater mea, fiducia mea.

8 Agosto 1930

Grazie, o mio divino, che mi hai permesso di passare una giornata di quasi perfetta unione con te . . . Mio Gesù, ti sento in me, ti godo, ti amo. Perdonami se ancora trascorro qualche mezz’ora senza rivolgerti una parola di amore, di riparazione . . .

Meditavo stamane «sull’IMITAZIONE come non si deve credere a tutti gli uomini e di non dovere tanto facilmente trascendere nelle parole … Mio Gesù, per non cadere nell’errore, nelle delusioni, a te mi attacco sempre più! Sì, il mondo mi si aggira d’intorno, ma ben poco scuote l’animo mio … lo sono unita a Gesù ed egli solo mi basta. Diletto mio, ti amo.

10 Agosto 1930

Gesù, mio Gesù, ti amo con tutte le mie forze … Consumami, Gesù, fa che io scompaia completamente, che tu solo viva in me. Fa ch’io sia crocifissa teco, ch’io muoia teco, dopo aver vissuto in te, per tua gloria …

Mio Gesù, sposo mio, t’amo e sento che di più, di più deve essere il mio amore … Sento che ti dò troppo poco. Gesù mio amabile, adorato Gesù, sono felice … Lo sai, Gesù, sono la tua sposa … La fede che ci siamo giurati, o Gesù, ci lega per sempre … Fio te crocifisso sul mio petto, quale sigillo dell’amore … Gesù, ti amo, son tua … crocifiggimi teco … trafiggimi … coronami di spine, ma fammiti amare pazzamente, follemente …

Gesù, ho potuto farti corteggio, oggi ti ho accompagnato . . . Gesù, ti ho domandato di essere la tua vittima … Gesù, se non mi permetterai attuare nemmeno la mia più santa aspirazione, sii tu benedetto … Tutto sacrifico a te … tutto a tua maggior gloria … Ardentemente ti amo, Gesù, ed altro non cerco che crescere nell’amore!

Mio Gesù, sono lontana dai miei; mio Gesù, non ho più la mamma mia, il mio babbo, non ho un cuore qui che veramente mi comprenda; ho un corpo che va in sfacelo … pur sono felice, perché sono la tua sposa e posseggo te, diletto mio! Mio Gesù, ti amo. Prendo la mia piccola croce e ti seguo, perché teco voglio essere crocifissa per tua gloria …

Mio Gesù, ti amo e permettimi che anche domani possa serrarti al mio petto. Ho tanta sete di te, mio divino … Gesù, ho sete … Gesù, dammi della tua acqua, che mi disseti per sempre! Gesù, ti ho molto offeso, ma ora ti amo, non penso che ad amarti di più, che a consumarmi nell’amor tuo.

11 Agosto 1930

Mio Gesù, sì, con slancio desidero vincolarmi sempre più con te ed ho domandato al mio Direttore il voto dell’obbedienza … Gesù, dolce e cara catena quella che mi lega a te ed io voglio che essa mi venga stretta maggiormente d’intorno .. . Diletto mio vero, sono pur avara con te, mi fo legge di tutto ciò che devo fare, onde arricchirmi di un altro piccolo tesoro da offrire a te … Mi permetti, nevvero, Gesù, di questi atti di avarizia?!!? Ti amo e siccome non ho nulla di mio da poterti-offrire, ti offro ciò che ti appartiene, come il mio corpo … e mi vincolo la mia volontà su tutto ciò che ho il dovere di fare per essere una semplice cristiana …

Mio Gesù, ciò desidero per poter crescere nell’amore. Diletto mio, quale fine più glorioso io posso sperare che vivere d’amore per vivere eternamente nell’amore. Mio Gesù, ti amo e voglio che non cinquanta o sessanta volte al giorno il mio pensiero sia a te e ti faccia atti di riparazione e di amore, ma voglio arrivare a farti un atto di adorazione e di riparazione in ogni minuto … Dio mio, magari poco, ma che io cresca. Gesù, come dice S. Bernardo, voglio essere la vasca di amore e di grazia, non il canale che lascia passare, senza nulla serbare per sé … lo voglio essere colma, anzi traboccare d’amore … Sì, o mio Gesù, che io ti ami e che ti faccia amare, ch’io possa trasmettere in qualche anima il desiderio dell’amore!!! . . .

Gesù, godo molto vedendo le mie compagne dì qui più attente alla loro vita spirituale …

Signore, grazie e tutto a tua maggior gloria; ch’io ami le anime per te, in te, con te.

12 Agosto 1930, mattino

Dolce sposo mio, ti adoro profondamente in me . . . Gesù, ti serro al mio petto, ti amo, mio Gesù, poter passare così la vita, sempre con te … O mio Gesù, s’io potessi sol vivere in te eucaristia! Gesù, diletto mio, ti rinnovo il mio voto, la mia consacrazione totale, l’offerta di tutta me stessa … Gesù, qualsiasi sacrificio vorrai chiedermi io son pronta ad accettarlo per tuo amore e per la salvezza delle anime … II! Mio Gesù, sento tanta pena vedendo che tanti si tengono da te lontani, perché vorrei, Gesù, che tutti ti glorificassero, che tutti godessero della dolcezza dell’amor tuo. E sento, Gesù, che anche il tuo cuore è tanto angustiato per questo! Gesù, ebbene, accetta l’offerta di tutta me stessa, sacrifica me, per la salvezza di tante anime, di tante giovani anime … sacrifica me per la salvezza di quella mia figliuola, di quel vecchio, delle mie figliuole che si tengono lontane da te, per tanti miei parenti che non ti amano! Gesù, mio Gesù, ch’io ti ami anche per loro.

Adveniat regnum tuum.

12 Agosto 1930, sera

Grazie, o mio divino, per avermi dato questa giornata piena delle tue grazie …

Gesù, sono felice, perché ti ho avuto sempre nel mio pensiero … nel mio cuore … Mio Gesù, fa che questo ardore non sia il fuoco di un minuto, fa che mai indietreggi o mi arresti … Mio diletto, voglio ingigantire nell’amore.

Gesù, sono state un po’ con me le compagne di lavoro. Abbiamo parlato di cose spirituali; godo, Gesù, vedere come prendono sempre più interesse per le cose buone. Gesù, sii tu il Re dei loro cuori …

Vorrei fermare le mie mancanze … e non ne trovo … E’ possibile che non sia caduta nell’errore o che almeno non sia venuta meno a tante mie promesse?

Ecco, sì, sono stata un po’ distratta durante la recita del Rosario … ho divagato un pochino il pensiero dal mio centro luminoso … Gesù mio, nel domandarti perdono, io ti supplico, fa che mi conosca; ho paura che proprio sfa la mia superficie che non mi fa scoprire i miei difetti … So bene che io non sono che polvere!!! fango . . . putredine … da sola non sono capace di nulla … Ma Lui è in me, Lui mi ha nutrita stamane di sé ed oggi mi ha sorretta con la sua presenza divina … Lui con la sua grazia mi dà vita, mi dà felicità … mi fa grande … Lui, il mio Gesù, mi ha resa sua, la sua sposa …

Gesù, Gesù mio, è pur troppo poco il consumarsi d’amore per te … dato che tu, molto, molto di più hai dato: hai dato la tua vita umana sì, ma anche la tua divinità…

Gesù, mio Gesù, ti sei crocifisso per me … Crocifiggi anche me! per tua gloria, per la salvezza delle anime.

13 Agosto 1930

Mio Gesù, ti ho tolto ora dal mio petto e ti miro, mio divin crocifisso. Ti ho tolto per rimetterti con maggiore solennità sul mio petto . . . dopo aver purificata la mia anima, dopo aver passato un giorno di meditazione sulle tue infinite misericordie . . . dopo aver meditate le tue sante piaghe. Fa’, o mio caro Gesù, che, riponendoti sul mio cuore, possa dirti: ormai tu sei suggello di due giuramenti che ti ho fatti: la mia verginità perpetua, il mio voto dell’obbedienza al confessore. Mio Gesù, ti amo e desidero essere legata strettamente a te!

Mio Gesù come inizio del mio giorno di ritiro, ho già fatto la mia preparazione alla morte … 0 mio amabile Gesù, sento che la mia fine non sarà tanto lontana e propongo di consumare questo resto della mia esistenza nell’amore . . . Ma, o mio Gesù, pure nell’ultimo punto, quanta amarezza io non sentirò, pensando di averti tanto, tanto offeso, di averti crocifisso? Deh, o mio divino, ora ti domando perdono di tutto con tutto il cuore, ora ti domando d’essere crocifissa con te per riparare e glorificare te … e ti domando in quell’ultimo estremo: Vieni, Gesù mio, vieni e dammi l’ultimo conforto, l’abbraccio che mi congiunga a te per sempre.

Ti amo, Gesù, e ti desidero in me sempre e specie nel mio ultimo momento di vita mortale. Vieni, o mio diletto e santifica queste membra, che dovrebbero sol servirmi per darti gloria e di cui invece io ho fatto strumento di offesa … Mio diletto, possa l’olio che ungerà i miei sensi, toglier via il lezzo di cose mondane, che io ho nei miei sensi . . . Gesù, lo accetto sin d’ora qualsiasi morte vorrai mandarmi … Mio Gesù fammi soffrire finché vuoi, come vuoi … sol ch’io abbia la forza di farti la mia offerta ed un atto d’amore … Gesù, fin d’ora ti offro tutto e fin d’ora ti ripeto che ti amo e tutto accetto dalle tue mani per tua gloria …

Gesù, sposo mio, misericordia delle mie miserie . . . Gesù, l’amore che divora, che mi congiunge a te … questo ti chiedo … Gesù, ti amo.

Oggi ho avuto con me il mio Vincenzino. Gli ho parlato di me e del distacco che forse il Signore ci chiederà. Povero figliolo, non poteva rispondere, le lacrime stavano lì per uscire. Ma alla mia domanda se era più contento di darmi ad un uomo, invece che a Dio, mi ha risposto con veemenza: «a Dio, a Dio! …». Gesù, Gesù, sì a te sospiro, a te mi offre anche il mio buon fratello, benché il cuore sanguini … Che importa, Gesù, ti ho già fatta l’offerta: qualsiasi sacrificio vorrai chiedermi …!

Oggi, benché abbia fatte più comunioni spirituali degli altri giorni, mi sembra essere stata un pochino distratta …e di aver parlato troppo di cose terrene … Gesù, perdono.

Questa mia figliuola s’è sposata … N. soffre. Signore, aiutale ambedue.

14 Agosto 1930

Mio adorato Gesù, è da ieri sera che non ti ho più sul mio petto, ma eccomi prostrata a te dinanzi, ti prego, ti adoro … torna, Gesù, ad ornare il mio corpo della tua immagine divina. No, Gesù, non permettere che la tua sposa sia priva della immagine del suo sposo diletto … Gesù, mio Gesù, ti miri confitto sulla croce … Gesù, mio Gesù, perché hai fatto scempio della tua carne, per chi ti sei tutto dato?! Gesù, Gesù, è per me che ti sei annientato, per me che ti sei ricoperto di tutta una piaga . . . rosse sono le tue vesti- menta … O mio adorato Gesù, eccomi ai piedi della tua croce e piango la mia crudeltà … Gesù, misericordia … piango, Gesù e non potendo fare altro per te, mi ti offro, offro a te le mie qualità fisiche, intellettuali, morali, la mia volontà, le mie sofferenze, e, più di tutto, mi ti offro pregandoti di rendermi simile a te … Gesù, crocifiggimi teco … Gesù, anch’io voglio essere una vittima, la vittima di riparazione, d’amore.

Tu, Vergine Santissima, aiutami a salire il Calvario, a prostrarmi sulla Croce … ad essere inchiodata accanto al tuo Gesù … La sposa deve avere parte alle sofferenze, all’amore del suo sposo; e come egli si immola per l’amore delle anime, così essa deve immolarsi in riparazione e per la salvezza delle anime.

Gesù mio crocifisso, ti appendo ora sul mio petto, sia esso il tuo piccolo calvario: e tu fa scendere il tuo sangue prezioso per accendere sempre più forte il fuoco dell’amore…

Gesù, ti amo, ti stringo a me … prima la morte che demeritare di portare il prezioso gioiello!!!

E’ già passata questa bella giornata ripiena di tesori. Comunione eucaristica, semi-ritiro spirituale, confessione, comunioni spirituali, permesso di fare un nuovo voto … un po’ di febbre da offrire al mio Gesù!

Mi è impossibile fermare i pensieri delle meditazioni, perché è tardi ed il mio somarello non acconsente … Scrivere i miei propositi però lo debbo. Voglio studiare ed amare di più la virtù dell’obbedienza; e domani, esprimendo il mio voto, oltre a farmene legge di ciò che mi comanderà il mio confessore, fo il proposito di praticarla anche a riguardo delle altre persone su tutto ciò che è cristianamente lecito. Voglio far tesoro di tutti i piccoli mali fisici che il Signore si degnerà di mandarmi e voglio studiarmi di sacrificare con gioia tutto ciò che egli vorrà chiedermi.

Voglio che ogni giorno segni un progresso nella via dell’amore e che la mia vita si venga svolgendo sempre più alla presenza di Dio.

Se non nelle cose piccolissime, almeno nelle azioni un po’ moralmente importanti, io penserò sempre che opero alla presenza di Dio, che debbo operare come opererebbe lo stesso Gesù, che debbo agire come se quella fosse la mia ultima azione …

Gesù e tu, mia madre Maria, fate che io abbia sempre presenti I miei propositi e sorreggetemi: io non son che miseria … a voi mi afferro per camminare nella via della santità … Sì, voglio esser santa, grande santa, presto santa .. . per tua gloria, o mio sposo divino.

15 Agosto 1930

« Mio Gesù, diletto sposo dell’anima mia, inginocchiata ai tuoi piedi, con te sacramentato nel mio cuore e stringendo la tua immagine sul petto, alla presenza della Santissima Trinità, della Santissima Vergine, del mio Angelo Custode, di tutti i miei santi avvocati e della corte celeste, onorando l’Assunzione di Maria Vergine, mia Madre celeste, io rinnovo il mio voto perpetuo di verginità, sotto pena di peccato mortale; e con ciò, oltre al rinunciare a tutto ciò che riguarda il matrimonio, io prometto di sfuggire, per quanto mi è possibile, discorsi di cose mondane e di affari matrimoniali.

Sì, o mio Gesù, col permesso del mio confessore, fo voto di obbedienza a lui fino alla fine del mese, sotto pena di peccato veniale per qualsiasi infrazione di tutto ciò che egli si degnerà comandarmi. Vergine Santissima, presenta al tuo Gesù i miei dolci giuramenti e sii la mia madre, che a lui mi guida.

Gesù mio adorato, voglio sentirmi sempre più legata a te, affinché io possa meglio corrispondere all’amore e per poterti dire: Tu solo regni, non sono più io che vivo, sei tu che vivi in me. Tutto a tua gloria, per la santificazione dell’anima mia, per la salvezza delle anime.

16 Agosto 1930

Mio Gesù, avevo tanti moti del mio animo da fermare ieri, ma la mancanza di tempo e la stanchezza me lo hanno impedito.

Gesù, sono stata un po’ distratta ieri ed anche oggi; le molteplici occupazioni e preoccupazioni, le cose care e le persone mi hanno un po’ assorbita. N. che soffre e piange e si strugge; la sorella che, incosciente del suo male e dello strazio prodotto nei cuori, se ne va in giro apparentemente pudica … trafiggendo il cuore dei genitori …, le mie figliuole che si lasciano molto più attirare dall’assistere al gioco del calcio, che dalla funzione e dall’adunanza … il povero Don Luigi che soffre tremendamente per tutto ciò … N. si rende strumento di delitto … a dei giovani: ecco, Signore, il cumulo di cose che mi hanno maggiormente assorbito … Gesù mio, misericordia, tu solo puoi fermare questa farragine che va a precipizio …

Ieri sera abbiamo rinnovato a casa la consacrazione al tuo Divin Cuore. Gesù, Gesù mio, sentivo tremare la mia voce per la troppa commozione … i miei ti hanno eletto per loro capo, ma io ti ho nominato mio sposo! Gesù, commossi, stavamo prostrati a te davanti . . . Gesù, sentivo che anche i miei carissimi defunti non erano assenti in quel momento … Lo sentivo lo spirito del povero babbo mio, della mamma, della mia cara Amalia … Gesù, il capo della famiglia avrebbe dovuto ripetere le formule. Gesù, non abbiamo che te per capo, perciò abbiamo domandato al tuo ministro di farne le veci. Gesù, sii tu solo il centro dei nostri cuori … regna sovrano nella mia famiglia e mi consuma nell’amor tuo! Cuor divino di Gesù, ti amo.

17 Agosto 1930

Mio adorato, io non so come esprimere la felicità, la pace che gode la mia anima!

Gesù, mio Gesù, accresci le mie catene . . . dolce, troppo dolce è il tuo giogo. E come non sentirsene sempre più presi!! Gesù, mio Gesù, io sono felice …

Dilectus meus mihi et ego illi. Diletto mio, io no, non devo esistere più che in te .. . Gesù mio sono legata a te ed altro non desidero che stringere legami sempre più stretti.

Ho avuto stasera l’obbedienza dal mio confessore con questa condizione di essere legata col voto di obbedire a lui e agli altri confessori, dai quali, palesando il mio voto, potrò avere un comando.

Dolce e caro comando quello di stasera … Dio mio, tu per primo me lo hai dato; ed il mio confessore, come tuo ministro, me lo ha ripetuto con comando: «Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente».

Signore, Dio mio, sento che con le mie misere forze non potrò riuscire, ma ho te per mio sposo e tu devi aiutarmi, perché io voglio amarti, sì, pienamente, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente! Dio, Dio mio, sono tua, tutta tua, sempre tua …

L’atto pratico del mio comando però si riduce a ben poco … un atto di amore, di adorazione, di offerta e di preghiera per un istante al mattino ed alla sera, e, se è possibile, anche durante la giornata … Mio Gesù, fa che io mi limiti a questo poco . . . Mio Gesù, tutta, sempre e solo tua …

Mio Gesù, accresci il mio amore ed il desiderio di vincolarmi sempre più a te. Vergine santa, madre del bell’amore, dammi aiuto ed insegnami ad amare il tuo Gesù e tutte le virtù che a lui devono condurmi … Gesù, tu dici che sei venuto in terra per accendere un fuoco e che null’altro desideri se non che questo fuoco si accenda. Ed io in qualità di sposa, ti chiedo: accendilo in me, che mi bruci … ti amo.

18 Agosto 1930

Mio Gesù, no, non mi sento soddisfatta. Ti amo troppo poco e non miro sempre a ciò che è più perfetto. Ho parlato un po’ di persone e cose di mondo, nulla ricavando a pro del mio animo e non pensavo che egli, il mio Gesù, non avrebbe parlato di ciò e che se quella era la mia ultima azione, non mi sarei certo trovata contenta.

Gesù mio, perdonami. Fa ch’io ti abbia sempre più presente!

19 Agosto 1930

Mio Gesù, ti domando perdono e misericordia per avere pure tanta parte a conversazioni poco assai caritatevoli e per essermi tanto trattenuta, che poi, venuta in chiesa troppo tardi, non ho potuto nemmeno leggere la mia visita … Giusta e meritata punizione. Gesù, perdono.

Non voglio spontaneamente più trattenermi in conversazioni di questo genere ed in compagnie poco utili all’anima mia. Gesù, misericordia …

20 Agosto 1930

Gesù, Gesù mio, ti rendo grazie di questa giornata. Ho divagato un po’ meno … Fa ch’io arrivi alla perfetta unione.

Gesù, penso con nostalgia al chiostro e sento come un presagio che non andrò fra le Domenicane di Empoli! Gesù, dove tu vuoi! e se tu vuoi … Altrimenti, fiat … Ti ho data la mia volontà, tu solo devi agire.

21 Agosto 1930

Gesù, ho avuto Vincenzino con me stasera e per questo non ho potuto fare la mia visita col solito libretto, perché, quando, sono venuta in chiesa non si poteva legger più. Eppure, Gesù, mi sembra essere meno colpevole dell’altra sera .. . perché l’altra sera, nella conversazione, venivo perdendo . . . stasera no. Vincenzo aveva fretta di lavorare. Ebbene io sono restata con lui ed abbiamo recitato il rosario. Gesù, vedi, ha piacere di restare con me. Fa ch’io approfitti di ciò per condurlo a te maggiormente.

Gesù, ti amo e desidero che tutti ti amino molto. Ti domando perdono per le mie distrazioni e nel tuo nome, con te crocifisso sul petto, rinnovo l’offerta di me stessa e ti domando la benedizione.

22 Agosto 1930

Gesù, perdono anche oggi per la mia distrazione … Propongo di non intrattenermi mai nei discorsi di cose mondane, di fidanzamenti ecc., e vedo che ci cado con la massima facilità.

Perdono, o mio buon Gesù, tu però, tu solo sei il centro dei miei affetti. T’amo, Gesù.

23 Agosto 1930

O mio adorato Gesù, oggi ho provato un po’ di prostrazione per l’eccessivo caldo. Vedo che lentamente, sì, vengo verso la distruzione di questa misera carcassa . . . Gesù, ora che ne ho la forza e la piena coscienza, oltre la libera volontà, io a te offro tutto ciò che vorrai apparecchiarmi … tutte le sofferenze fisiche e morali … la mia agonia, la mia morte, il dolore del distacco dai miei … tutto, tutto, Gesù, per te, per tua gloria … in riparazione . . . Sono la tua vittima di amore …

Gesù, Gesù, avevo bisogno di fare la confessione, di aprire un po’ il mio cuore al tuo ministro per avere lume, qualche incoraggiamento; ho dubitato delle mie forze.

O Gesù, e perciò non mi sono più trattenuta in chiesa.

Mio adorato Gesù, sento dalla mia stanza persone immorali, che non fanno altro che discorrere di fanghiglia … putredine … Gesù, perdona me che odo e che devo aver presente certe cose, mentre vorrei solo vivere con te … Signore ne sento viva e profonda ripugnanza . . . ma, mio sposo, pure è disgustoso troppo dover sentire …

Gesù, che felicità essere tua nel chiostro! Gesù, la sento la nostalgia, a te l’offro. Gesù, mio Gesù, te solo sopra tutto e la tua volontà, non la mia … Essere tuo strumento, un tuo piccolo giocattolo.

Sto preparando tre bimbe alla prima comunione … Mi seguono con interesse ed io ne sento piacere … ma, Signore, forse v’è, anche qui una qualche soddisfazione personale.

24 Agosto 1930

O mio adorato Gesù, ti amo!!! sì ti amo sopra tutte le cose. Sono felice per avere saputo sì bene scegliere il mio sposo e riguardo con rincrescimento quelle che si tengono lontane da te … Mio Gesù, ho nostalgia di tante tra le mie figliuole, di lavorare tanto per te, per farti amare . . . Gesù, ed un pensiero mi è venuto leggendo la Beata Bartolomea ed era: forse se io guarissi, il Signore mi chiamerebbe fra le figlie della Beata … e non potrei ottenere da lei la mia guarigione? … Eppure, Gesù, io è da tanto tempo che mi sono offerta vittima … Sai, Gesù, che l’amo tanto la mia gioventù, che vorrei tutta condurla a te … ma forse, offrendomi vittima per essa, potrò essere più utile .. . Gesù, sia benedetta la tua santa volontà … T’amo, Gesù …

26 Agosto 1930

Mio Gesù, mi sento sempre più tua .. . tua, sì tua; è quest’anima che ti si è data, che, benché cada nelle miserie e nella freddezza, ti ha sempre di mira sopra tutte le cose … E giovane mi sento, sì, giovane nell’amore, giovane nell’amore, giovane in te, con te, per te sempre.

Ho tanto gustata la tua parola divina, la tua accorata, amorosa richiesta. Il tuo ministro mi ha detto a tuo nome ed io ti ascolto, Gesù: «figliuola, dammi il tuo cuore … ». Gesù, o mio adorabile Gesù, posso restar sorda alla tua richiesta? Ma no, Gesù, no. Sono anzi io che te ne prego … prendilo, Gesù, questo mio cuore, prendilo, Gesù e fallo ardere d’amore; prendilo e squarcialo e … fallo spasimare per il troppo amore . . . O Gesù mio, t’amo, Gesù perché tu sei Gesù … Gesù, mio Gesù, fo mia la tua invocazione e te la ripeterò fino a che non mi avrai fatto morire d’amore … prendilo il mio cuore … tu solo devi regnare in esso, tu solo devi farlo palpitare … tu, tu solo, mio Gesù, mio adorato Gesù, devi vivere in me … Deus meus et omnia …

Mio Gesù, mi resta ancora poca vita forse, ma questa poca tutta, tutta la voglio consumare per amarti, per infiammare ad amarti, per poi poterti amare perfettamente nell’altra vita, per tua gloria … non per mio diletto. Ed io, mio Gesù, propongo di fare e studiare sempre più per crescere nell’amore, facendo sforzo di vedere te solo e di sentire solo l’amor tuo, anche attraverso le mie occupazioni e le mie conversazioni … Te solo soprattutto, Signore.

Ho parlato al mio confessore della messa festiva che ho lasciata ed egli mi ha fatto comando di usarmi riguardi per la mia salute e di non stancarmi, qualunque sia la mia occupazione. Ho parlato poi del mio pensiero, venutomi leggendo la Beata Bartolomea; e mi ha fatto capire che non manco di generosità, chiedendo al Signore la mia guarigione per i meriti della Beata.

Sì, o Beata Bartolomea, la tua intercessione io domando, dietro il comando del mio confessore; per i tuoi meriti io ti supplico di ottenermi, dal tuo e mio sposo Gesù, la mia guarigione, o quel tanto di salute necessaria per poter entrare in religione e poter morire sposa di Gesù e fra tante spose morire … ed anche appena entrata … sol ch’io ami tanto Gesù, come lo amasti tu e che mi faccia gran santa, presto santa.

Scriverò alle suore di Empoli molto chiaramente, esponendo la mia condizione e le mie richieste … Signore, Signore, acconsenti … morire fra le tue spose.

27 Agosto 1930

Mio Dio, grazie per questa bella giornata. Che ti ami sempre … sempre di più.

Mio Gesù, sto lavorando un conopeo. Gesù, lo lavoro con tutto l’entusiasmo; è per te e vorrei che ogni nodo ti esprimesse un atto d’amore … t’amo, diletto mio. Vedendo un disegno di ricamo un po’ rozzo, non ho saputo tacere e per superbia perché avrei avuto piacere fosse stato domandato a me.

Nelle conversazioni ho sviato un argomento che poteva condurre alla mancanza di carità; e non mi sono accorta d’essere caduta in un altro del tutto simile.

28 Agosto 1930

Le bambine della dottrina mi hanno detto che le mamme andranno a parlare per la comunione dal parroco Tomassini, invece di andare dal Reverendo della loro Parrocchia. Ne ho sentito un po’ di risentimento nel mio intimo, perché già avevo accennato al suddetto e perché, per un fiI di superbia, avevo piacere farle sentire a lui . . . Non ho approvato ciò che è passato nel mio animo né l’ho manifestato, ma quando devo essere guardinga …

Mio Gesù, ti amo … stamane proprio per me, per me sola, ti sei lasciato prendere, metter fuori dal tabernacolo … O mio adorato, t’amo, sì ti amo perché tu sei Gesù … tu sei il pazzerello d’amore; e non vorrai esaudire la mia supplica? … Fammi morire d’amore per te. L’amore va corrisposto con amore: amore è dedizione, amore è olocausto, come dice la (….) ed io voglio, sì, essere il tuo olocausto, amarti e morire d’amore … perché tu sei Gesù …

Pensavo stamani nella meditazione sulle pene dei dannati … Gesù, quasi temevo d’averti detto talvolta che, se fosse possibile, ch’io potessi amarti, bramerei stare pure nell’inferno . . . Poi ho sentito sì che se io potessi solo amarti, tutto ciò che potrebbe essere doloroso si trasmuterebbe in soave, dolce tormento … Ed ora, Gesù, ti ripeto, sì, dove tu vuoi, anche nell’inferno: sol ch’io ti ami . . . Dolce sposo mio, mia vita, mio tutto!

29 Agosto 1930

Mio sposo, Gesù mio, ho scritto alla Priora, in termini chiari e precisi, che intendo essere accettata subito e non essere ammessa a titolo di prova per la mia salute … e ciò per evitare le naturali disposizioni d’animo nei miei, per evitare cioè disgusti; ed io sto un po’ in aspettativa, ma mi sembra essere certo un rifiuto. Mio Gesù, sia benedetta la tua santissima volontà.

30 Agosto 1930

O mio adorato ed amato Gesù, perdono, anche nella confessione ho potuto essere poco generosa … ho potuto rifiutarti qualcosa che mi chiedevi . . . Gesù, Gesù mio, che ne farai di me …quanto son misera e quanto ingrata …

Mio adorato Gesù, negare a te … cosa debbo negarti? Non è tutto tuo? Eppure, quasi che fosse mia proprietà … rifiuto a te …

Gesù, ti ho rinnovato il mio voto di obbedienza, ma non voglio più negarti nulla, anche se mi chiedessi la cosa più strana di questo mondo … ciò servirà a temprare il mio carattere … ciò a dominare la mia volontà, ciò è sentirmi più tua. Dio, Dio mio, te in tutto, sempre.

Ho ricevuto la santa obbedienza: mi si è ripetuto il comando dell’altra volta e più la meditazione due volte alla settimana; l’esame di coscienza lo stesso due volte la settimana ed i sacramenti due volte al mese. Ciò per comando, ma per virtù io devo intensificare queste pratiche, che sono solita fare tutti i giorni, col farle con maggiore fervore e puntualità.

O mio dolce Gesù, devo sì imparare a vivere come tua suora . . . come tua vera sposa … Mio Gesù, che i miei voti siano sempre più e più forti, ch’io arrivi al voto di castità perfetta … T’amo, mio adorato Gesù, ti rinnovo l’offerta di me stessa, promettendo di non mancar più di generosità.

 

 

 

\seguito in altro brano in: luoghifermani.it\

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GIOIA MARIA VENERABILE SERVA DI DIO – PREGHIERE EUCARISTICHE NEL MANOSCRITTO DEL SUO DIARIO- seguito dal gennaio al maggio 1930

seguito del Diario scritto da Marietta Gioia (1904- 1931) venerabile serva di Dio

22 Gennaio 1930

Il 15 Gennaio ho saputo del triste operato di V. Povera figliola, sento tanto strazio, sento una ferita nel cuore mio, come presidente del Circolo e come sorella tua; ma tu certamente già piangi sulle rovine che da te stessa hai fatte! Quanta amarezza per un momento di debolezza sensuale.

Dio mio, liberami sempre da sì tremendo male. Anche oggi mi dura un po’ del turbamento d’animo; non so il perché, mi sembra di vedere tutto fosco … tutto macchiato.

Fra pochi giorni partirò per Roma per una visita ed una cura, se occorre. Durante il viaggio accompagnerò le Clementi a San Severino <Marche> ove sono per ora stabilite dalle Suore che si trovano nel Ricovero (Divina Provvidenza di Don Orione).Signore, grazie per loro, grazie per V., che fra giorni sposa.

Dio mio, aiutami … vado verso l’ignoto, con chi starò? Quali pericoli incontrerò? Dio mio, confido in Te.

Montegranaro 2 Marzo 1930

(in bianco)

Montegranaro 5 Marzo 1930

Oggi una grazia segnalatissima mi ha concesso nostro Signore: ho potuto assistere alla bella funzione della benedizione e dell’imposizione delle Ceneri ed alla Messa. Sublime tutta la funzione. Oh, la nostra madre, la Chiesa sa comprendere a pieno l’anima umana e sa ricondurla sulle rette vie che i disordini di carnevale hanno molto offuscata. «Ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai!» Belle e salutari parole. Giù la fronte, prostriamoci a terra, siamo polvere … come uomini, sì polvere materialmente. Ma la mia anima è grande, è figlia del Re dei re. Dio mio, Padre mio, mio tutto …

Stamane sentivo il bisogno di una confessione, volevo iniziare bene la mia quaresima. Non era possibile andare da Don Luigi Zega, mio Direttore e poi non appaga completamente la mia anima. Ho scelto il Rev. Don Ottavio Svampa, perché più giovane, perciò addentro nell’Azione Cattolica e credo di quei sacerdoti che sanno comprendere e medicare l’animo umano. Ho fatto la mia confessione, ho domandato la dispensa per i cibi nella quaresima; ed egli mi ha insegnato come riparare con preghiera più assidua e più fervorosa, visita al Santissimo, Comunioni spirituali, meditazione e altro, intensità di vita religiosa. Poi, per la mia superbia e mancanza di carità, cercare di essere sempre di buon esempio, esercitare questo apostolato.

Mi ha fatto sentire la bellezza e la vita del Tabernacolo! Mi ha fatto pensare alla vita e l’ha raffigurata ad un cerchio. La traiettoria parte da un punto e torna al punto sempre equidistante dal centro. Così la nostra vita abbia per centro Dio, il Tabernacolo e sempre equidistante torni al suo punto, quando egli lo vuole. Ardere d’amore, vivere d’amore per Dio. Gesù informerà questo mio cuore.

Gli ho detto che non avevo l’ardire di chiedere a Dio la mia guarigione, perché avevo chiesto tante volte al Signore che provasse l’anima mia. Ed egli mi ha risposto che devo chiederla, anzi invocare qualche santo, che mi aiuti a forzare il cuore di Dio, affinché possa entrare al suo servizio in religione! Mi ha pure detto che forse potrò riuscire anche ad esserlo pur malata. Dunque mi resta ancor un fil di speranza. Mi ha domandato se avevo fatto qualche voto e forse mi permetterà qualcosa. Dio mio, grazie.

Ad imitazione di S. Teresa, mi ha raccomandato di lavorare un pochino per le missioni e di offrire qualche piccola sofferenza per i missionari. Dio mio, grazie, il mio cuore è sereno, tu sei infinitamente misericordioso e buono. L’anima mia è magnificata dal mio Signore.

Per la meditazione mi darà qualche buon libro. Dio mio, grazie.

Pensare poi che il Reverendo ha molto insistito su questo: che sono assolutamente libera di andare da altri confessori e scegliere altri direttori. Ma egli mi ha compresa già. L’ha detto che vuol far correre la mia anima sulla via della santificazione. Ed io ho proprio bisogno di uno che non debba spaventarmi, come dicevo a Don Virgio.

6 Marzo 1930

Oggi la prima meditazione sull’APPARECCHIO ALLA MORTE di S. Alfonso Maria de’ Liguori. Il mio pensiero è che il Signore mi favorisce una grazia speciale, sì, ma preavvisandomi forse della mia fine non lontana. Apprezziamo questo po’ di tempo che ci rimane ancora e facciamone tesoro.

Signore, siimi dappresso, sorreggimi, ché la mia fede e il mio amore si accresca sempre, sempre. Ho paura di cadere nella tiepidezza. Signore ch’io sia tua tutta, non disdegnare la mia piccolezza.

9 Marzo 1930

Il mio Direttore spirituale non mi consiglia di coltivare l’amicizia con F. C., ed io cercherò di conformarmi ai suoi suggerimenti. La capisco anche io, un tipo un po’ strano e credevo di fare apostolato … soffrendola.

9 Marzo 1930

Oggi ho avuto la risposta da (…) … Con slancio quasi accetta di aiutare nella direzione l’anima mia, ma mi raccomanda di essere guardinga alle interferenze che la doppia direzione potrebbe facilmente far sorgere e molte particolarità sui moti del mio animo. Avrei potuto confessarmi stasera, eppure non l’ho fatto. Ho bisogno di meditare meglio su me stessa. Signore, dammi lume.

Ho scritto due parole alle mie figliole, incitandole alla frequenza dei sacramenti e alla disciplina. Signore, fa che sentano Te, che desiderino Te, che lavorino per Te.

(<qui  lungo spazio in bianco>) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

In coscienza mi sembra che avrei potuto farla. Dio mio . . .

20 Marzo 1930

Non mi sono confessata nemmeno ieri come speravo e sento di non essere completamente tranquilla, perché, pur non avendo gravi colpe, (almeno mi sembra), tuttavia vi è bisogno ogni tanto accostarci al divino sacramento.

Anche nel sonno stanotte sentivo una strana e grande apprensione di spirito, tanto che sognavo di trovarmi vicino ad un sacerdote, a Don Virgio e lo vedevo gravemente ammalato; volevo chiedergli di confessarmi e non ne avevo il coraggio, vedendolo tanto oppresso e piangevo, piangevo; ed egli mi ha chiesto se mi sentivo male, lo ho risposto: «Fisicamente no, ma il mio animo è tanto ammalato».

Mio Dio, passano i giorni ed io eccomi fredda, glaciale. Da parecchi giorni non fo la Comunione, e, fino a poi domani, non potrò confessarmi. Dio mio, misericordia di me! Il tempo passa ed io lo vado perdendo!

Montegranaro, 22 Marzo 1930

Finalmente sono riuscita a confessarmi, ne avevo troppo bisogno, l’anima si sentiva tanto turbata. Ora il turbamento è passato, è tornata la calma, una calma celestiale, ardente … il mio cuore è gonfio, rigurgita di commozione, rigurgita dei grandi doni del mio Gesù … si sente incapace di contenerli … Dio mio, mio Gesù, empilo sì questo mio cuore, squarcialo con la sovrabbondanza del tuo amore!

Quante grazie mi dà il mio Signore! ed io come posso restare fredda, come non sentirmi divampare d’amore con S. Teresa del Bambin Gesù!

O cara S. Teresina, tu che in tutto il breve corso della tua vita non hai desiderato altro che ardere e consumarti nell’amore, intercedi per me una fiamma che mi divori …

Dio mio, imploro da Te ardente amore per Te … Ma tu mi hai data una volontà libera, mi hai fatto conoscere la grandezza dell’amor tuo, Ti consumi d’amore per me, Ti sei immolato completamente, Tu Dio! Ed io, misera creatura come posso restare sorda … come posso chiudere l’anima mia all’Amore che mi domanda l’amore?  Dio mio, le Tue finezze d’amore per me sono infinite! Tu creatore onnipotente, onniveggente, infinito, eterno, immenso, Tu tutto ti degni stendere la tua mano a me, che tanto ti ho offeso, a me tanto ingrata e misconoscente ai tuoi benefici divini, per innalzarmi al Tuo trono regale, per farmi Tua sposa!

Possa io avere l’ardore di S. Teresina, di S. Margherita Alacoque, di tanto belle anime … per consumarmi in Te, Dio mio, mio Gesù, sento la Tua soprannaturale, specialissima grazia, sento come mi circondi, mi avvinci a Te … e non ti fo ribrezzo, o mio Gesù?

Quante volte io mi sono offerta a Te, quante volte … e poi il mondo mi ha sorriso ancora; ed io mi sono lasciata sedurre, ho lasciato il mio Sposo divino … per correre dietro ai satanici … Dio mio, mio Gesù … eccomi in ginocchio e scrivo … affinché non mi sfugga ciò che ora sente il mio cuore …

Gesù, il mondo mi circonda ancora con i suoi vani piaceri ed io voglio sfuggirlo. Gesù, Tu m’inviti, vuoi farmi sedere al tuo fianco, al banchetto nuziale, ed io m’appresso a Te, fiduciosa in Te e non nella mia fragilità … Mio Gesù, Ti amo e, benché infermiccia, misera, abietta, mi Ti offro … Mio Gesù, mio sposo, mio tutto.

La voce del mio direttore è quella del mio Gesù ed è per suo tramite ch’egli mi prega quasi, mi supplica di essere sua.

Mio Gesù, a che ti conduce l’eccesso di amore! … Mio Gesù, fra poco mi legherò a Te … E quando avrò giurato la mia fede a Te, Tu mi sorreggerai ed io completamente mi affido ed in Te confido. Grazie, mio Gesù, grazie mio sposo.

Il mio direttore spera, mi ha pregata quasi, od almeno mi ha fatto capire di essere molto contento ch’io mi leghi con voto al Signore, ch’io mi unisca sempre più al mio Gesù; e mi ha proposto di fare il voto, per ora, di verginità per un mese, sotto pena di peccato mortale, per qualsiasi desiderio od atto contrario.

Io alla proposta sono restata un po’ titubante … avevo timore della mia troppa fiacchezza. Poi ho sentito che il mio Signore gradiva lo stesso me, così come l’infima delle sue creature … e penso che il voto mi darà forza per vincere e per maggiormente perfezionarmi. E poi, come trarmi indietro quando il Signore mi si avvicina, mi circonda, mi stringe a se! Le sue carezze s’imprimono nell’anima mia, che saldamente gli si affida …

Quanto è buono il Signore! Anche non essendo nella vita ritirata di Religiosa, mi permette di essere una delle elette sue spose. Dio mio, l’anima mia è magnificata dalla Tua presenza. Mio Gesù, fa ardere d’amore il mio cuore, come arde il Tuo per me!

23 Marzo 1930

Sono stanca, è tardi, pur è necessario ch’io fermi i moti del mio cuore.

Signore, da ieri sera Ti sento a me dappresso, anzi Ti sento in me.

La notte passata è stata tutto un dormiveglia, non agitato però. L’emozione di quanto il Signore mi dà, la grandezza del dono … mi opprime nella piena di affetto. Mio Gesù, come posso essere Tua sposa? … Signore, Tu mi vuoi ed io lo sarò … ma, o mio Gesù, prima la morte che l’essere infedele, prima la morte che un solo peccato mortale.

L’atto ch’io compirò sarà il più alto, il più importante della mia vita e la mia preparazione deve essere profonda. Mi preparo ad essere la sposa del Salvatore e come devo adornare tutto l’essere mio per essere degna … che dico mai, potrò prepararmi sufficientemente, non avrò tanto ardore, tanto amore quanto ne ha Gesù per me. Ebbene se io non potrò adornarmi mai secondo la condizione divina del mio sposo, cercherò di tenere pulita l’anima mia, affinché egli la orni come si conviene ad una sua sposa.

Vergine santa, fa che pienamente ed incondizionatamente, nel giorno della tua Annunciazione, possa dire al Tuo Gesù: ECCE ANCILLA DOMINI.

Stamattina ero ancora a letto e sentivo un povero mendicante che implorava soccorso. Forse la fame lo straziava … Ho sentito rammarico per non poterlo aiutare, perché supponevo che se ne andasse subito … Invece no; appena vestita, mi sono affacciata e l’ho veduto seduto su di uno scalino, sbocconcellando un tozzo di pane: sono scesa e gli ho dato qualcosina … Oh, i suoi ringraziamenti hanno commossa l’anima mia. Non era forse in lui il mio Gesù? …

Come il povero, Gesù ha domandato a me l’amore, ha bussato alla mia porta ed è lì seduto in fondo alla scala ad attendere, non per ricevere però, ma per dare, per darsi tutto a me. Oh le finezze d’amore del mio Gesù …

Ma, o Gesù, la Tua sposa è debole, debole … ha paura della tiepidezza, deh, Tu accendila di fuoco divino, consumala.

24 Marzo 1930 mattino

Signore, Ti ho ancora qui nel mio cuore e mi sento piena di Te. Signore, esaudisci la mia preghiera, fammi ardere d’amore. O mio Signore, mi appresso a Te piena d’imperfezioni, fredda … O Tu purezza per essenza, fuoco ardentissimo, purifica e riscalda il mio essere. Siimi sposo, medico, padre, tutto …

Signore, fa che la mia volontà non venga mai meno! Fa che io possa presentarti sempre il mio cuore vuoto di affetti mondani, affinché tutto possa riempirsi del Tuo amore, dei Tuoi doni … Signore, cos’è la morte dopo una vita di amore per Te? Signore, sento che Tu mi sorreggerai, sento il Tuo amore immenso e mi getto fiduciosa fra le Tue braccia, Dio mio, mio tutto!

Quante volte ho pronunciato questa frase e credevo esprimere sinceramente tutti i miei sentimenti: ma oggi capisco che in essa vi è qualcosa di più! … Oggi, giorno di preparazione al mio sposalizio celeste.

Stamane, la meditazione sull’amor di Dio. Dio mi ha sempre amata, fin dall’eternità. Egli ha fatte tutte le cose per amor mio. Dio si è fatto uomo per me. Dà la sua vita per me. Gesù muore sulla croce per me. E’ finezza d’amore la sua.

Se un uomo mi avesse amato, non dall’eternità, perché gli è impossibile, ma dal mio nascere; se si fosse umiliato sino all’infimo per amor mio, se avesse dato la vita per me, la mia riconoscenza, il mio affetto verso di lui non sarebbe naturalmente di amarlo?

Dio ha fatto infinitamente di più: ed allora non è troppo poco ch’io gli doni tutta me stessa? L’uomo poi, nel suo amore, non può trasformare l’anima mia: Dio invece la ricolma di doni soprannaturali, la divinizza …

Dio mio, e posso ancora pensare di non esser tutta Tua?

24 sera

La commozione, la piena di affetti toglie troppo spesso la capacità di esprimerli: e ciò sembra succedere ora a me … Che gioia! Sento insieme qualcosa che mi porta in alto, che sublima l’essere mio … ed anche se voglio pensare alle cose che umanamente sembrano <di> più, essa non si parte da me. Sento di più la carezza del mio sposo vicino … Egli viene a me … O Signore, Signore, fa che io non demeriti mai il Tuo amore … so che mi è impossibile il rendermene degna … ma Tu ben sai oramai com’è la Tua sposa. Ecco essa si appressa a Te, si getta nelle Tue braccia, Ti fa il suo giuramento, e Tu suggella la sua parola, il suo voto col Tuo bacio divino, ferisci il cuore della Tua sposa con dardi infuocati! Squarcialo quel cuore, fa che si consumi nell’amore, fa che possa ripetere con Santa Teresa: «Voglio consumarmi vittima dell’amore».

Allora, o mio Dio, il giuramento non sarà mai infranto, perché le porte dell’Inferno non prevarranno contro di esso. O mio Dio, è troppo soave la Tua catena d’amore … Già ne pregusto i divini aromi. Mio Gesù, mi vuoi ed io vengo; sono misera, fredda, imperfetta e Tu saprai rendermi ricca, ardente, perfetta.

Mio Gesù, Ti offro me stessa, Ti offro ciò che Ti spetta per diritto, mio Gesù, mio sposo, ch’io non pensi che a Te, che io non viva che in Te, che io muoia con Te …

Fa ch’io possa trovarmi fra il numero delle vergini savie, che la mia lampada sia sempre fornita di olio, in modo che la fiamma non perda mai alimento … e quando Tu, mio sposo, verrai per darmi l’abbraccio eterno, la mia face possa illuminare me fino in fine e condurmi a Te senza mai deviare …

O mio Signore, dammi l’amore! Altro non so chiedere, perché quando io sarò tutto amore per Te, tutto mi sarà dolce …Signore, ch’io Ti comprenda, ch’io Ti corrisponda. Quando Ti avrò pienamente compreso, potrò avere il barbaro coraggio di recarti dispiacere?

O mio Dio, qualsiasi offesa sarebbe orribile e crudele troppo e meriterebbe il più atroce castigo! O Signore, io so che la mia nullità, la mia fragilità potrebbe farmi cadere. Ti supplico sii il sovrano assoluto dell’essere mio ed io non sia altro che la Tua schiava … Signore, son polvere, calpestami coi Tuoi piedi, fa di me ciò che vuoi … ma non Ti allontanare, cioè non ti allontanino mai le mie infedeltà …

No, no, mio Gesù, non sento questa sera di dover parlare così, perché la Tua bontà, pazza d’amore, mi vuol più in alto … io mi sento piena di Te, sento il Tuo amore immenso, sento il mio cuore agitato, commosso dalle Tue dolci carezze. Mio Gesù, mio sposo, mio tutto, mio Gesù. Ti amo, mio Gesù ingigantisci il mio amore, che mi consumi, ch’io ami immensamente tutte le anime, perché in esse sei Tu, ch’io ami la mia Gioventù Femminile Cattolica Italiana, perché è la Tua privilegiata, ch’io mi immoli anche a vantaggio delle mie figliuole … Signore, mio Dio, a Te le presento come un’altra me stessa … Dio mio, dà loro lume, che si mantengano pure, che sentano sempre più il bisogno di Te …

Domani l’Annunciazione … La Vergine Santa si offre al suo Dio: ECCE ANCILLA DOMINI . . .

Anch’io domani, quando avrò Gesù nel mio cuore, dirò: «Mio Gesù, non sono che una misera Tua creatura, non ho nulla che sia mio, ma Tu mi hai lasciata la volontà ed io, nella piena coscienza di quel che fo, fo voto a Te di mantenere illesa la mia verginità sotto pena di peccato mortale per qualsiasi infrazione e ciò da oggi, 25 Marzo sino al 30 Aprile. Mio sposo, fammi degna di Te ed io, con la Vergine Santissima ripeto: ECCE ANCILLA DOMINI».

25 Marzo 1930

Gesù, mio sposo, Ti ho fatto il mio giuramento d’amore. Gesù mio sposo, ingigantisci il mio amore, incatena il mio cuore, che non palpiti che per Te … O mio sposo, sento il Tuo cuore che è fornace d’amore per me … sento … non lo so dire …

La mia felicità è piena, perché tutto è dolce in Te. lo assaporo sì la dolcezza del Tuo amore … Oggi troppo prelibato mi sei, o Signore.

Mio sposo, devi essere il mio padrone assoluto … ne hai tutti i diritti, perché io Ti ho fatto il mio giuramento.

Mio sposo, io appresso le mie labbra assetate d’amore al Tuo costato; succhio quel sangue che sgorga dalla ferita ed esso scenda quale freccia infuocata nel mio cuore e lo dilani, lo squarci, lo faccia spasimare d’amore.

Mio sposo, dammi l’amore, tanto amore, solo l’amore. Mio Gesù, oggi sono nella Tua reggia ed è perciò che ho l’ardire di chiederti il dono più grande, l’amore …

Mio Gesù, sono nella Tua reggia e perciò non temo. Chi può turbarmi … nel palazzo del mio Re divino; la potenza satanica e mondana non può penetrare nei sacri recessi …

Mio Dio, Gesù mio, mio sposo, amor mio, imprimi il Tuo bacio ardentissimo sulla mia bocca; ch’io non desideri che Te, ch’io non veda che Te, ch’io muoia in Te. Signore, qual dolce amplesso sarà quello che mi congiungerà per sempre con Te? Dio mio, mio sposo, oggi hai piene le mani di doni per me. Mio sposo, permettimi di sceglierne uno, uno solo mi basta, l’amore; mio sposo, se è possibile, fa che oggi possano partecipare al mio banchetto nuziale tutte quelle persone che mi stanno a cuore … Mio sposo, la mamma mia, il mio babbo, la cara mia sorella, forse si trovano ancora ad espiare … Signore, una .goccia del Tuo amore scenda nel doloroso carcere e conduca a Te quelle anime. Mio sposo, il mio Vincenzino che viva sempre in Te … La mia seconda madre e Laura e Raffaele comprendano sempre più Te …

Mio Gesù, fra tutti i miei parenti, ADVENIAT REGNUM TUUM. In mezzo alla Gioventù Cattolica Italiana regna, o Gesù. Aiuta, o mio Gesù, la Tua chiesa, tutti i tuoi ministri, tali si sentano sempre, l’Azione Cattolica, la mia Italia, il mondo tutto. Mio Gesù, permettimi che in particolare Ti raccomandi le mie figliuole spirituali, la mia Diocesi, il mio luogo natio. ADVENIAT REGNUM TUUM. Gesù, mio sposo, una particolare preghiera per tante anime che non Ti conoscono e perciò peccano. Signore, che io Ti ami un pochino anche per loro. Signore, su me il Tuo regno sia assoluto. Signor mio, mio Dio, mio sposo … sposo dell’anima mia, mio tutto.

10 antimeridiane

«No, mondo, creature, io non vi posso amare; il mio Dio è stato il primo ad amarmi: è giusto dunque ch’io solo a Dio consacri tutto il mio amore».

Ed aggiungo: nella parte sana di voi debbo vedere l’opera del mio Dio … nella vostra anima gli esseri elevati all’ordine soprannaturale dalla grazia del mio sposo. lo allora debbo anche in voi amare il mio Dio, il mio sposo … O dolce e bella carità cristiana … o grandezza ineffabile dell’amore divino!

Ore 3-1/2  pomeridiane

Mio Gesù, Ti amo, mio Gesù son Tua. Quanta finezza di amore mi usi, o Gesù mio!

Ho potuto assistere senza incomodi alla S. Messa … ho avuto un’immaginetta bellissima della SS. Vergine da Iolanda e Maria lega, con un bellissimo augurio, l’augurio della santità. O mio sposo, sei amabile! Fai sì che anche le persone compartecipino inconsapevoli alla mia gioia celestiale …

Mio Gesù, un’altra corona di Vergini hanno oggi rinnovato il loro trattato d’amore, anime più semplici, più belle, più ardenti di me. Signore, fa che anche io possa arrivare ove loro sono già … possa salire sempre … Excelsior. Dio mio, mio tutto, traimi sempre più a Te.

5-1/2 pomeriggio, 25 Marzo 1930

Ho avuto la visita della Val. (sic) che già mi era stata annunziata e non ho potuto, per questo, assistere alla spiegazione che già è terminata.

Si è discorso del più e del meno, le antiche compagne, il collegio …

Mio Signore, grazie che Tu sei il mio Tutto. Sì Signore, sposo mio, fa ch’io provi gusto solo nelle Tue cose ed in Te …

Sera, ore 9

Signore, con Te crocifisso fra le mani, ho recitato una breve preghiera.

Sposo mio, io Ti ho ferito, io Ti ho tante volte inchiodato sulla croce: ora tocca a Te, Ti supplico, ferire l’anima mia … Signore, sono la Tua sposa … Gesù son Tua … Gesù, Gesù mio, Ti amo … ma quando potrò anch’io ardere di amore, d’amore pazzo come il Tuo? Grazie, o mio sposo, grazie di tutto … io son tutta Tua, sono la Tua sposa … Hai ornato le mie dita con gli anelli nuziali e le mie braccia di splendidi monili.

Oggi ho dato uno sguardo a tutto il mio diario. Vedo delle lunghe interruzioni, che ora mi dispiacciono, perché lasciar sfuggire parte dei miei sentimenti passati e provati? Vedo che ho scritto quasi solamente nei momenti di maggiore fervore … Dove sono i lunghi periodi di tiepidezza, di preoccupazioni mondane ecc. ? Queste pagine potrebbero troppo illudere.

In questo giorno ho scritto tanto e son contenta d’aver scritto, perché i sentimenti che ho espressi voglio non si spengano più, ma si accrescano.

Ho espresso talvolta come sentimenti del mio cuore le parole del mio direttore spirituale. Ma esse sono talmente scese nel mio animo, che me le sento anche ora, perché sento ciò che dico. Oggi è la più bella giornata della mia vita, od almeno della mia vita passata … Sento quasi di aver goduto di non avere tutte le persone care qui con me, perché nell’isolamento posso stare più intimamente col mio sposo divino, Gesù sposo dell’anima mia . . .

26 Marzo 1930

Stamane ho sentito il suono della campana, era prestino, sono stata un po’ incerta; poi, sperando di poter assistere ad un’altra Messa, sono restata a letto. Sono andata più tardi in chiesa, non vi erano più messe e nemmeno i sacerdoti. Ho atteso un bel pezzo, sono ritornata più tardi e non mi è stato possibile averne uno … Così non ho potuto fare la comunione. Ne ho sentito dispiacere, specie poi per aver prolungato di alzarmi. Ho offerto al mio sposo il sacrificio di non poterlo ricevere sacramentato … Non è forse necessario qualche volta che l’essere amato mi privi della sua presenza reale per accrescere i miei desideri e rafforzare l’amore? Mio Gesù, ho bisogno di ripeterti ogni momento: «sei il mio sposo», «io son Tua». Mio Gesù, spesso non so dirti che «Gesù mio, Gesù mio», ma non basta una semplice parola per dimostrare l’amore?

Respiro un’aria nuova … il mondo è dintorno a me, ma io lo miro attraverso un cristallo … sento che non potrà toccarmi sinché avrò con me il mio sposo … sento quasi una balda sicurezza, il mio sposo è potentissimo, è grandissimo e se io non verrò mai meno (no, non debbo venir meno, non voglio) alla mia fede, egli saprà annientare chi alzerà la sua mano sacrilega contro di me …

27 Marzo 1930

Oggi Dora V. mi ha fatta chiamare ed io sono andata in casa sua. Ho passato un paio d’ore lavorando con lei. Vedo che la nostra conoscenza tende a prendere maggiori proporzioni … e sento che gioverà pochissimo all’anima mia. Ne parlerò al mio Direttore, affinché mi guidi anche in questo. Tutto ciò che tende a togliermi da quest’aura santa che mi aleggia intorno, mi mette raccapriccio. Relazioni più forti, nuove e forse anche con gente del tutto diversa per tendenze ed aspirazioni da me, potrebbero farmi perdere la mia intimità col mio sposo. Via, mondo, non distrarmi, io sono con Lui e disprezzo tutto ciò che vuole allontanarmi.

Anche oggi si è parlato del tempo passato, della bella vita spensierata collegiale ecc. ecc.  L’anima mia si sente di stare in un altro livello. Stimo buona Dora, tanto … ma un po’ superficiale, ancora un po’ bambina.

Mio sposo, guidami Tu, fa che nulla possa distrarmi da Te. Mi ha fatto vedere tutte le sue cose, anche la camera del fratello ed io ho provato un sentimento che non so quasi esprimere … Sento vagamente così senza sapere come, che più intima relazione potrebbe turbarmi e ciò non voglio.

Devo avere, vedere, stare, pensare, respirare solo del mio Dio …

Stamane ho assistito alla S. Messa, ho potuto ricevere il mio Gesù e sono felice nel mio Gesù, non so che desiderare fuori dell’amore.

Non so più nemmeno ora chiedere la mia guarigione. Egli è mio padrone e sposo, egli sa ciò che ne è di me. Egli sa quale sarà il mio compito e faccia lui … La volontà del mio sposo deve essere pienamente la mia volontà. Forse che non basta per me un secondo di vita per compiere la nostra missione sulla terra? Così mi diceva il Rev. Don Virgio …

Mio Dio, mio sposo, fiat voluntas tua, solo che io ti ami immensamente.

28 Marzo 1930

Il mondo con le sue sollecitudini cerca distrarmi, ma io non voglio, voglio solo vivere nell’intimità della mia anima col mio Divino …

Un poco di prostrazione fisica mi ha oggi un pochino assoggettata … ma voglio riuscire veramente a non soffrire nelle sofferenze. O potessi assaporare tutta la dolcezza della sofferenza, nel Signore, per il Signore!

Vedo, o mio sposo, che ho molto da lavorare, ma ho fiducia in Te e nei Tuoi amplessi divini, che mi daranno forza. «Lo sposo mio divino, reggendomi il capo con la sinistra, mi stringerà colla destra al suo seno» ed allora non potrò avere più desideri, non potrò sperare di più …

Ho avuto notizie di una mia figliuola che è una delle migliori ed ella sinceramente mi dice di adempiere i suoi doveri. Dice: «Non mancherò mai, ti avrò sempre presente nelle mie preghiere e ciò farò sempre, sino a che mi dice così la mente».

Ma figliuola mia, non solo t’imploro dal Signore una mente ferma, ma sempre più perfetta! Cara figliuola, mi dice che si farà coraggio e cercherà lavorare lo stesso senza di me, perché è il Signore che ha voluto l’allontanamento.

O Signore, per quattro anni hai permesso che io stessi a contatto di tante carissime e belle anime, Signore, come ho corrisposto alla tua grazia? Fa, o mio Dio, che possa supplire con la preghiera, con l’immolazione di me stessa alle mie deficienze ed a quelle delle mie figliuole.

29 Marzo 1930

S’io potessi esaminare le infinitesime grazie che mi fornisce il mio Sposo, dovrei redigere dei volumi … ma il mio cuore le viene esaminando e mi basta che in esso restino scritte, scolpite, magari con gocce di sangue … Dio mio, amore mio divino, che io non cessi mai di lodarti e di esaminare i tuoi benefici.

Mio Gesù, cosa ho per meritare tanto, per meritare la Tua predilezione? Null’altro che il giuramento di fede, null’altro che iI mio patto d’amore. Gesù mio, prima la morte che un’infedeltà … Il mio Re è il mio sposo … O la grandiosa sovrumana bontà…

29 Marzo 1930, ore 9-1/2

Questa sera ho potuto fare la mia confessione. Quanto lume, quanta forza traggo dal divino sacramento! La parola del mio confessore è quella del mio sposo, è il mio sposo che vede le mie piaghe, che mi medica, che mi incoraggia, che mi supplica, che gli dice l’amore. O Signore, son Tua e voglio darti tutto, tutto l’essere mio, tutto il mio amore … Darmi all’amore, darmi al mio Gesù, consumarmi in lui, ardere di amore in Lui, ecco ciò che io bramo, ecco ciò che devo raggiungere … Cosa sono, o mio Dio, le sofferenze fisiche, le pene della vita, i distacchi, la morte a confronto delle fiamme d’amore? Signore, dammi l’amore ed il resto accetto tutto dalle Tue mani ed il resto mi serva di scala per condurmi in cima al monte, fosse anche il Calvario, ove sarà il mio trionfo. Signore, ch’io l’abbracci la croce, che la stringa qui sul cuore, ch’io l’ami, perché per essa più rapidamente potrò arrivare a Te … Essa mi guiderà per la via regia.

Lo studio continuo della sposa per riuscire amabile al suo diletto si è di affiatare l’animo suo secondo quello dello Sposo … ma io, o Signore, mai potrò arrivare al perfetto affiatamento della mia anima alla Tua, ma caricarmi della mia croce e seguirti … amare la mia sofferenza, immolarmi vittima dell’amore, lo debbo, perché Tu me ne tracci la via, perché Tu lo hai fatto prima di me.

Ricordo, nella mia fanciullezza, di aver nutrito forte affetto per una mia compagna e quanti mai sacrifici non facevo per lei, quanto non mi sforzavo per riuscirle grata … e per ricompensa non avevo forse che un freddo grazie. Ma il mio Gesù mi chiede poco per darmi tutto … O quanto devo studiarmi per essere pienamente generosa?

Avanti, sempre avanti, usque in finem.

No, non indietreggiare, o anima mia, perché allora saresti perduta; avanti, sempre avanti. Oggi dò poco al mio Gesù, un breve giuramento d’un mese; ma devo arrivare ad offrirmigli tutta per sempre. Non devo vivere che in Lui, per Lui, con Lui. Fai, o mio Gesù, che presto possa io dirti: «Signore, la mia volontà non esiste più, ne sei diventato Tu il Padrone».

O mio Gesù, Tu mi hai data una volontà libera ed io Ti supplico, prendila questa mia volontà, questa mia libertà, prendila e rendila Tua schiava. E’ dolce donare l’amore … Mio Gesù voglio che solo Tu regni in me. Mio Gesù, dammi l’amore … Signore, come la folla di Tiberiade, io corro dietro a Te, chiedendoti amore, fammi vittima di amore; e Tu che avesti pietà e sfamasti la turba, non negherai certo di saziare l’anima mia … Domani potrò stare lungamente con Te. Sarai esposto per quaranta ore. O mio sposo, il Tuo trionfo in mezzo alle turbe io Ti domando. Cuor di Gesù, venga il Tuo Regno, Mio Sposo, avrai delle anime elette, angeliche, che Ti adoreranno molto più ardentemente di me. Deh o Signore, fa che, per i meriti di esse le mie suppliche possano giungere accette al Tuo trono … O sì, Gesù, hai accettato il patto d’amore di una misera, imperfetta creatura, accetterai anche la preghiera di adorazione, orrida forse, ma sincera, della Tua sposa.

Mio Gesù, in me ed in tutti ADVENIAT REGNUM TUUM!

30 Marzo 1930, mattino

Mio Gesù, Ti ho ancora nel cuor mio, Ti sento palpitare in me. Mio Gesù, mio sposo, Ti adoro, Ti amo, rinnovo il mio giuramento d’amore, come l’ho rinnovato pochi momenti fa in chiesa.

Mio Gesù, nella piena coscienza di ciò che giuro, fo voto a Te della mia verginità, e ciò sino al primo Maggio, sotto pena di peccato grave, per qualsiasi infrazione. Ma, Gesù mio, Ti prego questo mio primo patto di amore non sia altro che preparazione ad un patto incondizionato ed illimitato.

Mio Gesù, l’anima mia, il mio corpo, la mia volontà, il mio cuore sia tutto, completamente Tuo. Mio Gesù, voglio essere tutta Tua, voglio consumarmi nell’amor Tuo, essere vittima d’amore, mio Gesù, e perciò in Te voglio solo vivere, in Te spero e pongo ogni mia fiducia: cosa potrei sperare di riuscire da me? La polvere non produce che polvere, il fango sa solo imbrattare … Tu, o mio Gesù, sei in me, divinizzi l’essere mio ed allora tutto posso in Te sulla via della perfezione … Mio Gesù, abbraccio con affetto tutto tutto ciò che la Tua mano mi porge, abbraccio la mia croce. Dolce e cara predilezione del mio Sposo, mi vuol rendere affine a sé … che dico, egli per amor mio sì è caricato della croce le sue membra per essere inchiodato per amor mio; ed io, o Signore, non debbo lasciarmi sfuggire il tesoro che mi dai, non debbo volgere le spalle alla strada regia, che più rapidamente mi conduce a Te per l’eternità.

Mio Dio, mio sposo, mio tutto, Ti avrò esposto per quaranta ore nella chiesa vicina: fa che questo breve tempo sia il culmine del Tuo Trionfo, fa che anch’io possa unire la mia preghiera ed adorazione alla bella schiera di angeli e di anime elette per farla salire sino a Te. Mio Dio, che io Ti adori per quelli che non Ti conoscono e che Ti oltraggiano, e, mio Signore, una cosa Ti domando: ADVENIAT REGNUM TUUM, ADVENIAT.

30 Marzo 1930, ore 6 pom.

Sono venuti stamane mia zia Angelina e mio fratello e sono ripartiti alle 5. Dio mio, io non so che dire … zia desidera vedermi presto sana e mi ha chiesto della mia condizione fisica, dicendomi che, se non noterò dei miglioramenti, mi farà fare l’ultimo passo, mi manderà a Bologna …

Dio mio, io non so che desiderare e che dire … Il corpo vorrebbe tante cose, ma l’anima vuole una cosa sola: essere Tua, completamente Tua. O mio Gesù! se io Ti sapessi amare, se potessi ardere e morire consumata d’amore!

Mio Gesù, mi prostro … e ti rinnovo il mio giuramento, sì i patti sono stretti ed io Ti ripeto: Gesù, sono la Tua sposa, fa Tu di me ciò che credi, come credi, finché credi … Signore, voglio venire a Te. Gesù mio, Ti amo, Ti amo, Ti amo, voglio perfezionarmi, voglio arrivare a Te, voglio sacrificarmi, voglio essere tutta Tua!

Oggi ho assistito solamente a mezza messa, ad un po’ di predica e sono stata per poco tempo con Te … Ma, o mio sposo, fa che come una candela l’anima mia arda per consumarsi in Te, non per spegnersi però, ma per ardere sempre più nel Tuo amplesso divino. Potrà spegnersi il corpo, ma l’anima, liberata, acquisterà la sua massima luminosità.

31 Marzo 1930

Mio Gesù, mio sposo, cibo dell’anima mia … Quale dono più alto, o mio Gesù, potevi Tu farmi fuori dell’Eucaristia? O Tu non mi Ti dai una parte, ma tutta la tua umanità e la tua divinità, la tua carne, tutto il tuo corpo … Dio mio, mio Gesù, se il Tuo divin Padre, prescindendo dal mistero della SS. Trinità, avesse domandato un dono a Te, non avresti potuto donargli che quello che dai a me. Il mio Re è Immenso, divino, perfettissimo, il mio Re si è fatto uomo per me, si è lasciato incoronare di spine, sputacchiare, malmenare, crocifiggere da me, e, in ricompensa, per un mio piccolo atto, per un mio desiderio, mi si dona tutto. O la pazzia d’amore! «Prendete e mangiate». Signore, nutrimi di Te … O mio sposo, quale uomo avrebbe potuto nutrirmi con la sua carne e col suo sangue? O amor mio, non desidero altro cibo per la mia anima che Te, Eucaristia, Te, fornace d’amore, Te, da cui attendo, oltre il nutrimento, un ardore che mi divori …

Se il re o il presidente del governo fosse oggi in questo paese, io credo che tutti starebbero tutta la giornata con lui per vederlo, ascoltarlo, ricercarne una parola, un incoraggiamento; nessuno si curerebbe nemmeno dei bisogni materiali … E il Re dei re in mezzo a noi, nel suo trono attende le turbe per largire i doni divini, in compenso di un piccolo omaggio, di un atto di adorazione e d’amore: e poche persone si curano di onorarlo, fargli corona …

Dio mio, mio Gesù, sposo mio, abbi misericordia di questa turba. Mio Gesù, permetti che quelle anime belle, che veramente ti amano, possano riparare alle ingratitudini di tante altre!

Ore 6 pomeridiane

Sono stata un pochino in chiesa, ho recitato il rosario ed ho assistito ad un po’ di predica. Concetto della predica era il frutto che si deve ricavare dalla Comunione. Non ho potuto assistere a tutta la spiegazione e perciò voglio svolgere un pochino da me il concetto.

Gesù, fonte di vita, di vita santa, nutrimento ineffabile per l’anima, scende in noi e trasforma completamente l’essere nostro, perché lo divinizza, sì, divinizza, trasforma, sviluppa; ma è necessario che noi cooperiamo a tutto ciò con l’assimilare quasi la grazia divina, il cibo eucaristico. Dio ci ha lasciata la nostra volontà, ci ha data la ragione, acciocché noi avessimo piena libertà di scegliere il bene o il male, ma nello stesso tempo ci ha elevati allo stato soprannaturale, affinché avessimo la capacità propria di assimilare la grazia, di divinizzarci; ed allora, dato che nella Comunione il Signore sì dà tutto a noi, noi dovremmo ritrarre da una sola di esse tutta la forza per santificare le anime nostre. Ma la nostra miseria è così grande, che lasciamo, il più delle volte, lasciamo che il Signore venga in noi, ma non vogliamo i suoi doni, o, se li accettiamo, li lasciamo presto sfuggire. O miseria umana! O povera e misera me, che dopo avere fatte centinaia e centinaia di comunioni, dopo avere avuto milioni di doni dal mio Signore, mi permetto ancora di offenderlo …

Dio mio, mio sposo, no, non voglio più vivere come una ingrata. Mio Gesù, abbiamo stretto il trattato di amore. Tu mi Ti dai tutto ed io tutta voglio darmi a Te. Tu, fuoco, infiamma questo mio cuore.

1 Aprile 1930

Debbo spesso uscire sola, vedo che qualche sguardo si posa su me. Esaminiamo: vengono forse essi a turbare il mio giuramento al l’Amore? Sento in vero lo sguardo, mi infastidisce, mi fa arrossire, ma in fondo non mi sembra che questo modo di essere non ecciti desiderio e ciò mi sembra che non menomi il mio patto. Non desidero che una cosa sola, l’amore immenso verso il mio Gesù …

O mio divino, ho passato oggi un’ora con Te in sacramento, Ti ho pregato un po’ per tutti, ho goduto con Te, ma, o mio sposo, io ho sete, sì tanta sete di Te: «sitio» è il mio grido, Signore, dammi da bere l’acqua di vita eterna, dammi amore, amore, amore. Oh, essere vittima di amore. Mio Gesù, sitio, sitio, dammi da bere.

Mio sposo, mio tutto … Voglio l’amore, tanto amore. Certi momenti sento di aver un po’ di calore, ma in certi altri, o mio Dio, che aridità … sto lì zitta, non dico, non penso, non m’infiammo. Mi pesa, o Signore, questo e permettimi che Ti offra tutto, tutte le mie aridità, i miei fervori, il mio corpo, la mia anima, sono Tua sposa.

2 Aprile 1930

Grazie, o mio sposo divino, la piccola sofferenza di stasera mi pone a scrivere per avvicinarmi più a Te. Signore, mi chiami per la via della santa croce. Benedetta la Tua volontà. Ho davanti degli sputi sanguigni e son sola sola … Ma ho il mio Dio ed in lui non temo … Purché sia sempre in Lui e con Lui, il resto poco conta …

Dio mio, benedico tutto ciò che mi apparecchi. Mio Gesù, sì, a Tua imitazione, possa io non disdegnare il fiele e l’aceto, come non disdegno le dolcezze del tuo amore, le tue grazie prelibate … Debbo parlare di questi incomodi ai miei? Oh, è bene ch’io taccia! Signore, dammi lume. Mio Dio, fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra … fiat, fiat.

3  Aprile 1930

Sono oggi due anni che il mio corpo lotta. Chi sarà più tenace?

La vittoria, sia del corpo, che del morbo, poco importa, quando tutto avviene per volere di un Essere Supremo, che mi ama immensamente … Solo la vittoria dell’anima voglio!

Signore, soffre è vero il mio corpo, ma o potessi sorridere e dire: «Signore, un piccolo fiore per Te, o mio Sposo» ed essere felice mentre vengo raccogliendo questi fiori strani.

Mio Gesù, questa mia fiacchezza, questo morbo che viene minando l’essere mio possano un po’ servire in riparazione di tante offese che Ti si recano. Cor lesu, adveniat regnum tuum, adveniat.

Ore 11-1/2

Mia madre è venuta ed è già ripartita. Le ho parlato della mia condizione reale … Povera donna, rimane così come una estranea.

Mio Gesù, la gioia che avrei provato, se avessi avuto una visita, una carezza, un bacio della mia mamma vera, io la sacrifico a Te. Benedetta la Tua volontà. In Te, o mio Dio, ripongo ogni mia fiducia, in Te ogni mio affetto, in Te tutto l’essere mio.

Ore 12

Ieri sera, sentendomi un po’ maluccio, pensavo che anche questa notte sarei potuta morire … e non avevo spavento … La mia fiducia è ben riposta, è nel Signore Gesù, mio Sposo. Sicché, facendo la meditazione, non mi spaventa il pensiero della morte. Ecco, se ora avessi l’avviso che tra poco dovrei morire? Abbraccerei forte forte il mio crocifisso, domandandogli perdono per tante sue grazie trascurate e gli direi: «Mio Gesù, Tu sei morto in croce per farmi Tua; io ho riposta ogni mia fiducia in Te ed è mai possibile che mi abbia ad abbandonare in questo momento? Mio Gesù, Ti amo. Ti bacio, Ti stringo al mio cuore, acciocché mai più me ne separi.

Sera

Oggi visite inaspettate: Suor Giuseppina e Santina Molano. Stasera brividi di febbre.

Suor Giuseppina mi ha tanto parlato di Empoli ed io, Signore, ripeto: FIAT VOLUNTAS TUA. Dio mio, mio tutto, ripongo in Te tutto l’essere mio, che io sopporti per amor tuo con gioia il mio male. Assistimi, Signore, in Te mi affido.

6 Aprile 1930

Sono 3 giorni che sono a letto. Oggi sto assai meglio. E’ venuta mia madre ed è ripartita da poco … Sono nuovamente sola col mio Sposo divino. Oh egli non mi abbandona. Egli mi veglia ed io in Lui riposo.

O dolce mio Signore, oggi avrei potuto lavorare, questuare per la Tua Università. Ma Tu gradisci, nevvero, la mia piccola sofferenza, che può essere l’offesa, la solitudine, tutto ciò che umanamente può un pochino pesare.

7 Aprile 1930

Oggi mi sono alzata, benché la febbre non m’abbia completamente abbandonata. E’ venuto zio Giovanni e mi ha pregato di tenerlo al corrente delle mie condizioni di salute, perché anch’egli propone, se non vado bene, di fare l’ultimo tentativo a Bologna. lo per ora lascio fare, bisogna che ne parli al mio Direttore … Se qui sto male, sono di peso moltissimo ai miei … Mia madre, se ho bisogno della sua assistenza, deve abbandonare la casa a mio fratello ed ai bambini …

Dio mio, se è possibile, fa sì che io non sia troppo di danno ai miei! Se debbo soffrire, ch’io soffra sola, da Te ne attendo forza e perseveranza.

8 Aprile 1930 -VIII

Nel sonno stanotte ho fatto un sogno che mi ha fatto un pochino impressione. Mi trovavo in un luogo, simile all’antica Roma; ammiravo i superbi, colossali palazzi, i monumenti e giravo: quando mi sono trovata a fianco della mia cara Amalia (ieri ho pensato a lei), verso la quale mi sono assunta un debito di preghiere e di suffragi. Ci siamo abbracciate, strette in un impeto di affetto; e così unite, commosse, entrambe abbiamo lungamente parlato … E non ci stancavamo di accarezzarci e dirci affettuose parole. Ed io ho fatto conoscere a lei il mio pensiero, se cioè si trovava dispiacente di aver perduta la vita … così nel fiore. E lei: «No », mi ha risposto, «non posso sentire dispiacere di questo, ne ho gioia e non desidero per nulla di essere ancora nel mondo».

Poi sempre strette, vinte dalla commozione, ambedue ci siamo messe a piangere, a piangere, ed io sentivo le lagrime infuocate della mia carissima scorrermi sopra le mani … Sentivamo che dovevamo separarci ed il pianto si accresceva.

Ed io ho chiesto alla mia Amalia che mi lasciasse un ricordo, un segno d’essere stata con me; ed ella non sapeva che darmi. Allora ho subito provato di raccogliere le sue lacrime e con tutta fretta, perché sentivo che a momenti mi avrebbe lasciata, ho allargata la mia mano e nel palmo raccoglievo le lacrime della mia diletta, che, dopo pochi momenti, senza che io me ne avvedessi, si è dipartita da me. Poi ho stretto forte il pugno, per non farmi scorrer via il prezioso liquido, che emanava un profumo soave; e lo tenevo appoggiato al petto, come un prezioso tesoro … Poi con agitazione mi sono svegliata e tosto accorta che non era stato che un sogno … E poi ripenso, perché tanto dolore nel doversi separare da me? Perché essere triste? …

Povera mia cara, ho la ferma convinzione che l’anima tua, nella sua purezza e semplicità non possa trovarsi fra le anime tristi, ma forse dovrà ancora purgare qualche venialità … O Signore, deh per i meriti del Tuo Divin Figliuolo, dona a lei eterno riposo; ed io ti offro in suffragio della sua anima tutto ciò che vi possa essere di meritorio nella mia giornata di oggi e di ieri.

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PRUDENS UT SERPENS, SIMPLEX UT COLUMBA ».

<Prudente come serpe semplice come colomba>                 8 Aprile 1930

Possa io sempre tener presente, in tutte le mie azioni, questa massima, affinché arrivi ad essere la perfetta sposa del mio Signore.

Dal Meschler: «Bella e dolcissima occupazione è quella di intrattenersi con Dio nella preghiera. Degnissimo di lode è altresì il saperci dominare e vincere nella lotta le passioni, per renderci degni di trattare con Dio; nondimeno sia l’una che l’altra cosa, in molte occasioni, sono difficili all’uomo; ma se interviene l’amore ad informarci, riescono più che agevoli».

9 Aprile 1930

Sono parecchi giorni che medito l’APPARECCHIO ALLA MORTE di S. Alfonso Maria de’ Liguori. Nella prima parte si parla della vita, che è breve, degli attaccamenti terreni e della fine del peccatore.

Nella parte che ora sto meditando, della fine del giusto … io non so, forse peccherò, ma sento che la morte non mi dovrà fare gran che di spavento … sento che il Signore non mi abbandonerà, che mi darà forza, che mi farà perseverare usque in finem. Da che traggo questa sicurezza? Non so nemmeno io … certo che ho gran fiducia nel Signore e sento che per i meriti suoi otterrò tutto.

Signore, Ti amo!!!

Montegranaro, 9 Aprile 1930

Mio Gesù. Ti amo e voglio amarti sempre più.

Oggi sono venute Maria Zega, Iolanda e Cristina, tre bellissime anime: l’una ormai tua sposa; l’altra di animo finemente cristiano e la terza, Tua nella croce. Signore, quante anime elette mi amano, quante innalzano per me preghiere. Signore, in Te mi amino e che io non mi attacchi mai alle creature per se stesse, ma solo vedendo Te in loro! Signore, gradisci le loro preghiere, che io Ti offro in riparazione delle mie deficienze. Gesù mio, Ti amo, accresci il mio amore, fa che le anime delle mie carissime figliuole Ti amino sempre più.

10 Aprile 1930

Mio Gesù, medito la Tua dimora nel Tabernacolo … Signore, Signore, fino a che Ti conduce l’amore!  Signore, ch’io lo senta questo Tuo amore umile, nascosto, infinito, divino, per tutti e me ne invaghisca sempre più!

Amarti, o Gesù, solo questo ardentemente desidero, amarti come Ti hanno amato tante belle anime, come Ti amano elette schiere di giovani, come Ti hanno amato Delia Agostini, Renata Carboni, Ida Mattei, Gina Perugini, eletta schiera della nostra Gioventù Femminile Cattolica Italiana.

O anime belle, insegnatemi a darmi, come voi, tutta all’amore!

Sera 10 Aprile 1930, ore 8

Mio Gesù, oggi mi hai concesso di stare lungamente con il mio Vincenzino … Fa, o mio Signore, che la sua anima si mantenga nei suoi splendidi sentieri … Mio Signore, mi hai dato un gioiello di fratello; è un fiore olezzante di purezza a 22 anni, caso raro; deh Signore, fallo Tuo questo fiore! …

Signore, Ti amo, mio Gesù, io sono la Tua sposa, mio Gesù, fammiti amare sempre più, sempre più e, fra i miei cari, ADVENIAT REGNUM TUUM.

12 Aprile 1930

Stasera mi sono confessata e la mia anima sente grande sollievo, perché dalla confessione trae lume e forza per amare sempre più il mio Signore. Sento, o mio Gesù, che nel confessionale mi parli col Tuo linguaggio divino, mi domandi l’amore, mi parli del Tuo immenso amore per me! Riuscire ad amarti fino ad essere consumata d’amore.

«Sii anche Tu una candela che arde e si consuma nell’amore divino, per arrivare ad amare perfettamente nell’eternità. L’amore è vita e vita eterna. Figliuola, lo senti il Tuo corpo che si consuma, si disgrega, ma l’anima, alimentata dall’amore, acquista sempre maggiore vitalità e luminosità. Sì, sì gettati con tutta fiducia, con tutta confidenza ed abbandono in nostro Signore, che è fonte di misericordia, di amore … Devi arrivare all’amore puro, puro, intendi? L’amore puro ama, soffre, si sacrifica per l’essere amato, per la gloria dell’essere amato, non per sua soddisfazione … Se il Signore ti chiedesse (strana ipotesi) di soffrire in paradiso per la sua gloria, cosa risponderesti?»

Signore, per bocca del Tuo ministro mi chiedi amore, amore … ed io rispondo con ogni fibra del mio cuore: «Signore, ti voglio dare, Ti dò, Ti ho già dato tutto l’essere mio, il mio corpo, la mia intelligenza, la mia anima, il mio cuore. Signore, con Santa Teresina ti dico: se vi è qualcosa nel mio essere che non è Tuo, se nel mio cuore vi è qualche fibra che non palpiti per Te, ch’io la conosca affinché possa sradicarla. Mio sposo, consumami nell’amor Tuo … Mio Sposo, SE IL MIO MALE E’ DEI PREDESTINATI al Paradiso, ch’io ne soffra tutti i tormenti, affinché si ingrandisca e si raffini il mio amore … ch’io arrivi a meritarlo questo Paradiso …

Signore, per i meriti Tuoi, per l’amore che mi porti, per tutte le grazie che mi largisci, accresci il mio cuore. Amarti, Signore, solo questo mi basta, amarti ora, per amarti più perfettamente nell’eternità.

Signore, dammi da bere, ho sete del Tuo amore, «sitio». Signore, se è possibile, fa ch’io possa riceverti sacramentato in questi giorni; Signore, se è possibile, fa ch’io possa seguire la liturgia pubblica di questa settimana; ch’io canti domani e sempre il mio «Osanna» al mio sposo divino … Tutto ciò Ti chiedo per riuscire ad amarti sempre più.

« Sitio ».

Domenica delle Palme, 13 Aprile 1930

Quale dolcezza, o mio sposo, averti nel mio cuore: stringerti a me, sentire in me i palpiti del Tuo amore! Mio Dio, godo in Te, succhio dalle tue labbra divine il divin nettare d’amore … Mio Dio, vivere in Te sempre, in Te in eterno, amare Te sempre, in eterno …

Mio Gesù, s’io potessi comprendere per un attimo solo ciò che Tu operi in me, il grande amore Tuo per me, la sublime unione Tua con me … dovrei morire in un impeto troppo forte di amore … O dolce mio sposo, sai, io sono la Tua debole creatura, che da sola non si regge, che inciampica ad ogni sassolino che incontra sulla sua via, o dolce mio sposo, io stringo la Tua mano, perché Tu sei il mio sostegno, sono un ramoscello di edera che a Te si avvinghia. Mio dolce Sposo, mi getto fra le Tue braccia e placidamente riposo in Te … Mio dolce Sposo, se qualcuno vorrebbe turbarmi, non sei Tu lì che vigili?!

O amore mio divino, son Tua, dolcezza immensa!

Ore 12

Umile mio Sposo, non in vesti regali, ma con misera cappa, cavalcando una giumenta vai fra la turba, qual mendico d’amore. Stendi la mano, o Re mendico, ch’io ponga in essa tutto il mio cuore.

Osanna filio David.    Osanna in excelsis

Mattino, 14 Aprile 1930

Mio Gesù, Ti ho qui in me e Ti rinnovo il mio patto … Mio Gesù, dammi l’amore, che tutta la mia vita sia un inno d’amore per Te, o mio divino! Ogni mio respiro, ogni palpito del mio cuore, ogni mia parola, ogni mio pensiero, ogni mio movimento siano solamente tanti palpiti d’amore … mirino ed operino solo per Tuo amore e per la Tua gloria.

14 Sera

Stavo in chiesa, quando ho veduto entrare G., seconda moglie di zio T. Il cuore mi ha cominciato a martellare forte forte … Desideravo parlare, chiederle di F., ma la natura si ribellava forse?

Sono uscita mentr’essa usciva e così, con entusiasmo vero ci siam salutate, siamo state un po’ insieme in casa mia, l’ho accompagnata per un buon tratto di strada! Si è parlato di tante belle e buone cose, dell’Azione Cattolica … ma no, non possiamo entrare a parlare di cose intime, famigliari, almeno io non lo posso, vi è un non so che di fosco che vi si para dinnanzi!

Signore, mi sembra di non portare rancore né odio a zio T., pur perché sento tanta ripugnanza, direi, a parlare di lui e a lui? Mio Dio, se v’è qualcosa ancora che m’allontana, che io sradichi … Perdono, o Signore, di cuore, perdono … Mio Dio, mio tutto, mio amore … mio Dio, in tutte le cose ch’io non veda che Te. La mia vita possa essere un cantico d’amore.

14 Aprile 1930

Mio Gesù, a Te il mio pensiero prima di prendere riposo. Mio Gesù, come sono tranquilla, felice, com’è soave il vivere con Te e per Te … Mio Gesù, sono tre giorni che Ti posso ricevere, che mi benefichi più di sempre col Tuo bacio amoroso. Signore, io poso il mio cuore sul Tuo cuore.

Mio Gesù, il Tuo cuore brucia d’amore, o mio Gesù, ho fiducia e speranza che il contatto del Tuo cuore col mio debba equilibrare ed eguagliare l’ardore … O mio divino, brucialo, questo mio cuore, d’amore ….         …     …

Son sola sola e non temo, ho il mio Gesù con me. Nel riposo mi tengo vicino al mio viso, poggiato sul petto il mio crocifisso e dormo tranquilla … se mi sveglio, la sento l’immagine del mio Divino … e penso, magari mezzo insonnolita, al mio Gesù … O mio caro, Tu sei con me, ed io voglio essere sempre, sempre, sempre in Te: Tua in tutto e dappertutto …

17 Aprile 1930, Giovedì Santo

O mio Gesù, desidero ardentemente fare la mia Pasqua oggi, ma forse mi sarà impossibile. Mio Gesù, mio tutto, vieni, vieni, affinché io sappia comprenderti, nutrita dal Tuo amore.

17 Sera

Grazie, o mio Dio, che bella giornata mi hai fatta passare. Disperavo quasi di poter riceverti, invece no, Tu mi hai data la forza, Tu perfettamente bene mi hai fatto assistere a tutte le funzioni di stamane, mi hai permesso di visitare i Sepolcri. O mio Divino, grazie. Tu sai che la Tua sposa è bambina, tanto bambina e, come tale, appaghi i suoi desideri, mio caro, dolce sposo dell’anima mia.

Mio Gesù, in giorno sì bello Tu istituisci il Sacramento di amore. Mio Gesù, Ti dai tutto a me ed io voglio ricambiare per quel poco che posso, voglio essere tutta Tua, tutta.

Mio Divino, Tu ti fai vittima d’amore … ed io Ti supplico, fammi ardere, consumami… O mio Crocifisso, Ti amo, o mio sposo, fammi amare di più, tanto di più, fammi amare per tanti che non Ti conoscono, per tanti che Ti abbandonano.

Mio Dio, oh, la grande dolcezza d’essere Tua! Sono la Tua sposa e Ti amo, accresci il mio amore.

18 Aprile 1930, sera

Mio Sposo, ho paura, la freddezza tenta avviluppare il cuore, che vuol essere tutto Tuo.  O mio Dio, la Tua passione s’imprima nel mio cuore, le stigmate siano in esso impresse … Mio Signore, dammi tanto amore, tanto … che io possa soffrire in Te e per Te, per ogni piccola offesa che Ti vien fatta, ch’io disseti la Tua anima … Ma Tu, mio Dio, dà da bere al mio misero cuore, che non anela che amore … Sitio.

Mio Dio, mio tutto.

19 Aprile 1930, Sabato Santo

Mio Dio, oggi non posso riceverti, sacrifico a Te la dolcezza di averti realmente nel mio cuore. Mio Dio, sacrifico a Te la lontananza dei miei cari e tutto ciò che umanamente può gravarmi.

Mio Gesù, la mia felicità che mi viene direttamente da Te sia un inno a Tua lode. Alleluia, alleluia.

19, ore 5 pomeridiane

Scrivo così per occuparmi. Ho letto le profezie della funzione di stamane, ho recitato l’Ufficio della Madonna, ho letto il Papini sulla risurrezione di Nostro Signore, ma ora, nell’inattività, vedo che la malinconia si viene avvicinando, invece io non ce la voglio nella mia casa … Tu <malinconia> vorresti abbassare il mio essere alle cose puramente materiali e umane. Vattene, lo voglio stare e desiderare solo il mio Dio, voglio oggi godere nella sua gloria. E’ giorno bello del mio Sposo! ed io voglio essere pienamente felice in lui e per lui.

Domani spero di andare alle Casette, starò con i miei e con le mie carissime figliuole.

Signore, la Pasqua fa che segni per me la risurrezione da tutto ciò che è di questa terra; e per i miei e per le mie figliuole una vera risurrezione morale.

22 Aprile 1930

Mio Dio, ancora dolcemente mi parli, per bocca del Rev. Sacerdote, di amore … Sì, o mio Dio, ch’io sia una face d’amore, una face che acquisti sempre maggiore luminosità, sempre maggiore splendore nell’intensità sempre crescente. O mio Sposo Divino! quanto grande è la felicità che mi dai …

Sono felice, pienamente felice, non ho nulla che mi turbi, perché ho con me il mio sposo … ed io sono con Lui. Mio Sposo, quanto mi ami! Come è caro, dolce l’amor Tuo. O mio Sposo, fa ch’io possa corrispondere con ogni potenza dell’essere mio …

Sono stata a Casette e quanti sentimenti, quante emozioni ha provato il mio cuore … rivedere la mia casa, la casa dei miei cari defunti e del mio carissimo Vincenzino! Rivedere tutte le figliuole, sentire la loro commozione … parlare a lungo con Iolanda e Maria Zega di cose che conducono al mio Sposo, imitare Maria Giusti e tante altre … tutte care occupazioni che riempiono il cuore … ma, o mio Signore, tutto in Te, solo in Te.

23 Aprile 1930

Mio Dio, Te solo desidero, Te solo cerco, per Te solo ogni mia azione, ogni mio pensiero. Traimi a Te, o mio sposo, il Tuo amplesso amoroso sia il suggello del mio patto d’amore …

Mi ha scritto la Priora di Empoli e in un punto mi dice: «Come Egli vuole, quanto vuole e per quando vuole». Ed io Te lo ripeto, o mio Divino: «Come vuoi, quanto vuoi, finché vuoi, solo che io arrivi a Te, sia tutta in eterno Tua.

Sono misera, peccatrice … e come ardire di presentarmi allo Sposo? … Ma il mio Sposo mi offre la sua porpora regale e mi incoraggia, mi tira a sé, mi ricopre ed allora le mie brutture non si vedon più. O mio Divino, amor mio, mio tutto …

Il mio Direttore mi consiglia appuntare su apposito quadernetto il numero delle comunioni spirituali d’ogni giorno. Mi proverò, ma mi sembra difficile il poter proprio precisare. Penso al mio Dio, lo desidero, alla notte poggia la sua immagine sul mio cuore o vicino al mio viso … O mio Dio, ogni mio palpito sia un atto d’amore…

Ho scritto una parola di saluto, un augurio a Maria Zega, che domani partirà da Casette per Falerone ed il 26 partirà da Falerone per andare cappuccina … Signore, aiutala nel doloroso momento del distacco, falla completamente Tua. Bell’anima la sua! Il Signore me ne fe’ conoscere tante di belle anime. Ed io a che penso? Ho davanti luminosi esempi e con slancio dovrei cercare d’imitarli. Mio Dio, essere sempre tua ed in tutto …

24 Aprile 1930

A Te, mio Dio, il mio pensiero, il mio cuore, la mia volontà, tutto l’essere mio! Dolce mio Sposo, traimi a Te …

25 Aprile 1930

Oggi è un mese che ho fatto il mio giuramento di amore!!! Il mio sposo mi vien nutrendo di sé, mi alimenta del suo amore … Anche stamane l’ho potuto stringere nel mio cuore, parlargli così cuore a cuore … O mio divino, esaudisci i miei preghi, così come esaudisci tanti altri miei desideri … fammi ardere d’amore, o mio sposo, ardere sì e consumarmi nell’amore … Dolce felicità celeste … il mio Sposo mi ha tratto dal nulla per farmisi amare, per darmi se stesso … per unirmi a sè …

Mio divino, mio tutto. Scolpisci la Tua immagine nel mio cuore, scolpisci in esso le piaghe della dolorosa passione, affinché sempre più possa amarti. Fa di me ciò che vuoi, sono la Tua sposa, un Tuo piccolo strumento …

Mio Gesù, misericordia … misericordia e lume per quelle misere giovinezze …

O mio Gesù … fatti conoscere. Perché gettarsi così a capofitto nella voragine? Potrebbero pur essere fiori olezzanti di purezza! O mio Sposo, misericordia. Ove sono le madri? Non sanno di avere dei figli? Perché abbandonarli a se stessi, al mondo come misera carne in vendita? Signore, misericordia … Mi fa pena vedere i giovani delle Casette (i giovinetti) che vengono a soddisfarsi … Signore, misericordia, dà loro lume ed anche a queste … illumina i genitori. Signore, misericordia.

26 Aprile 1930

Dio mio, mio tutto, fra poco mi sarà permesso di rinnovarti il mio patto d’amore. Signore, mio sposo, grazie. O il mio amore sia sempre più Intenso, sempre, sempre più … Mio Dio, possa io arrivare a non pensare ad altro … Non passi un quarto della giornata che il mio pensiero non sia a te.

Il mio Padre Spirituale si è inteso col Rev. Don Luigi <Zega> a mio riguardo. Mi si prega, quasi mi si comanda di tenermi la mia carica, a meno che non mi sia di preoccupazione e di turbamento …

Domani spero di fare una scappatina alle Casette, spero di parlare alle figliuole. Signore, scuoti un pochino le loro anime. Signore, Signore, a Te le raccomando. Signore, per loro, per la loro purezza, per accrescere il loro amore verso di Te, per fare amare a loro la verginità, oltre che per me è la mia offerta d’amore!

L’anima mia è felice, felice. La mia vita ha uno scopo meravigliosamente sublime. Il mio corpo, benché in sfacelo, è consacrato al Signore, è suo … e che posso desiderare di più per esso? Non è forse nel culmine della gloria … L’anima sì, desidera ancora tanto … si vede ancora lontanissima dalla meta. Quando potrà arrivare a sentirsi tutta piena del suo divino? Quando vivrà solo per Lui ed in Lui, in tutto e per tutto?

Mio Dio, mio sposo, io Ti eleggo sovrano padrone dell’essere mio. Avviassi a Te, oltre il mio corpo, la mia volontà. Dio mio, voglio amarti di più, tanto di più … Voglio essere la Tua schiava, la Tua vittima, il Tuo olocausto. Mio Dio… mio tutto!

27 Aprile 1930

A Te, o mio sposo, il mio lavoro di oggi, le mie soddisfazioni ed i miei dispiaceri … Mio Dio, a Te solo tutto il mio cuore, oltre al mio corpo, tutta l’anima, tutta l’opera mia, a Te raccomando le care mie figliuole, ch’io le ami in Te e per Te.

28 Aprile 1930

Ieri sono stata a Casette, ho partecipato all’adunanza, ho cercato un po’ incitare. Vergine Santa, divina nostra presidente, veglia su quelle anime …

Signore, quale compito bello e delicato mi affidi! Ma, o Signore, come lo svolgo io? In Te confido e m’affido in tutto e per tutto. Signore, mio Sposo, sento la terribile mia nemica, la tiepidezza, che cerca di avvilupparmi … Mio Sposo, tu sai la fragilità della Tua sposa … Veglia, veglia per carità su di lei … A Te offro anche la mia freddezza. Desidero, o mio Dio, di avvampare di amore. Se Tu permetti anche ciò che non vorrei, a Te il piccolo sacrificio. Non manchi però mai, mai, la mia buona volontà. Mio Dio, mi pesa questa tiepidezza, ma la sappia vincere e sopportare per Te, o mio Divino …

29 Aprile 1930

Anche stamane, mio Sposo, Ti ho potuto stringere nel mio cuore; non ho potuto assistere alla Messa. La lunga dimora in chiesa mi riesce un po’ opprimente … Ma quando posso anche solo ricevere il mio Sposo, sono felice, perché egli è forza ed alimento della mia anima. Un giorno in cui lascio la Comunione sento che mi manca ciò che mi dà vita … mi manca la forza … la melanconia cerca farsi strada, e, con essa, tante cose fastidiose, come il non riuscire bene ai miei doveri giornalieri. Ma ecco che il mio Sposo buono e dolce alimenta quasi sempre di sé la sua debole creatura … perché egli sa che, se si tiene lontano, essa è minacciata e da sola non sa far fronte al nemico … Veglia, veglia, mio dolce Sposo, io riposo fra le Tue braccia e sono felice.

Poi domani rinnoverò il mio patto d’amore … però mi sembra di dar poco al mio Divino. La mia verginità, benché senza voto, da un pezzo pensavo donarla al mio Dio e gliela venivo offrendo con tutti i passi che facevo verso la vita religiosa, col rifiutare qualsiasi relazione che mi avrebbe condotto al matrimonio …

Signore, desideravo essere la Tua sposa … Ora lo sono, o mio Divino …

Ed egli, il nuovo Sposo, mi ha preservata da tutto ciò che poteva in tal campo turbarmi … Ed allora dov’è il mio sforzo in merito? Ed è perciò che vengo pensando di dar qualcosa di più, se il mio direttore lo permetterà: ciò che mi richiederà più sforzo ed attenzione. Ed è di sottomettere la mia alla volontà del direttore con voto … Egli mi ha già accennato che, dal canto suo, non mi domanderà questo voto, perché io non potrò sempre essere qui. Ma provare per breve tempo, non potrei proporglielo? … Mio Sposo, dammi lume, forza e amore, amore, amore.

Ore 1-1/2 della notte 30 Aprile 1930

Mio Gesù, non ho potuto svolgere tutte le meditazioni che mi ero prefissa … Ho dovuto aiutare a cucire la veste per una povera madre morta quasi improvvisamente, lasciando 4 creature.

O mio Signore, assistile Tu e dona a lei eterno riposo.

Mio Gesù, domani Ti rinnoverò il mio patto … Mio Gesù, accettami così come sono … io confido e m’affido in Te Mio Gesù, fa che generosamente mi Ti doni … fa che con slancio compia tutti i Tuoi voleri, assecondi i tuoi desideri. Mio Gesù, Ti ho fatto promessa di assecondare tutti i Tuoi voleri … Mio Signore, comanda Tu, solo Tu in me; sii il re del mio cuore. Mio Gesù accresci il mio amore!

Mattino 1 Maggio 1930

O mio dolce Sposo, sono Tua … sono la Tua sposa. Ti dono, o mio Gesù, questo misero corpo che va in frantumi … misera cosa in vero, o mio Divino, ma con esso io Ti dò tutta l’anima mia …

Stamane io Ti ho stretto a me … ho sentito il Tuo bacio divino … Ti ho rinnovato il mio patto di amore … Mio Gesù, ed ora che altro posso desiderare che l’amore … essere la Tua piccolissima vittima, soffrire tutto l’ardore di un amore che divora … O mio Divino, prendilo questo mio cuore freddo, insensibile, ingrato, prendilo e sostituiscilo col Tuo …

O mio Divino, che posso donarti? … Non ho che miseria e ingratitudine; e giacché, o mio Sposo, io sono Tua, prenditi questa anima e dammi l’amore, il resto poco conta. Va in frantumi il mio corpo, che importa? … Possa ciò servirmi per congiungermi prima a Te! …

Ore 10,30 antimeridiane

O mio Gesù, ho veduto Rosetta pronta per venire a Te … sorridente, baldanzosa quasi lascia il mondo, per essere anche essa Cappuccina. Ecco un altro fiore olezzante che mi poni davanti per farmi vedere come si ama e come si corrisponde all’amore …!

Ore 6 pomeridiane

Mio Gesù, prima la morte che una sola infedeltà. Mio Gesù, la vita che mi resta sia tutta un cantico d’amore!

3 Maggio 1930

O mio Gesù, mi prostro a terra e ti domando perdono! Mio Gesù, vedi quando è grande la mia miseria? Vedi quanto sono ingrata? Perdono, o mio Gesù, perdono!

Stamane ero in chiesa, stavo per fare la Comunione, quando, vedendo tutti i preparativi, mi sono ricordata che si doveva fare la processione con la reliquia della S. Croce … Subito un senso di vero rispetto umano m’ha suggerito di non andare … Vi erano soli contadini … si deve girare il paese … e tutti mi vedranno …

Perdono, caro Gesù, perdono! La Tua mano paterna … di sposo mi ha sorretta e mi ha fatto conoscere la mia viltà … Tu hai vinto, mio Divino … ma vedi, o mio Signore, che se non sei sempre lì a sorreggermi, io precipito! … Signore, tieni forte la Tua mano sopra il mio capo, pensa Tu a sorreggermi, io non sono che miseria.

4 Maggio 1930

O mio Divino, nella Messa di oggi mi dici: «lo sono il buon pastore, il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle …». Sì, Signore, Tu sei il mio buon pastore, hai dato la vita per me pecorella ed io pienamente ed incondizionatamente riposo tra le tue braccia e mi dò a Te.

Dolce felicità essere tua ed in Te sempre. Signore possa io arrivare a ciò. Anime elette me lo augurano e mi sorreggono. il Signore lo vuole, solo in me sta l’ostacolo. Mio Sposo, aiutami tu a tutto superare, a toglier via le mie miserie. Mio Gesù, fammi essere una tua piccola vittima d’amore … Anche stasera ho potuto purificare la mia anima…

Il mio Direttore mi promette di farmi fare ancora qualche bel passo, qualcosa da dare al mio Sposo, lo ho promesso di lasciar fare pienamente a lui.

Signore, Tu mi aiuterai sempre e mi darai forza sufficiente, nevvero?

Mio Sposo, mio Dio, Ti magnifichi l’anima … Magnificat anima mea Dominum ed io sono in Te pienamente felice. Signore, traimi a Te, dammi amore, tanto amore.

5 Maggio 1930

Mio Signore, sempre più, sempre più a Te unita. Mio Dio, mio Sposo, mio tutto.

6 Maggio 1930

Mio Gesù, grazie della gioia che mi hai procurata. Ho avuto anche oggi con me il mio Vincenzino. Ho piacere sentirlo parlare con disprezzo di tutto ciò che rivela leggerezza, di tutto ciò che non è serio. La sua anima è bella … tanto bella e di una purezza angelica.

Intravvedo però che sente bisogno di nuovo affetto. Si incomincia a sentire disorientato, isolato. O mio Dio, dagli la luce e che si mantenga sempre nei tuoi sentimenti. O Signore, Tu che mi facesti essere lontana da lui, dagli forza, lume e rettitudine.

E di me, Gesù, che ne farai? Non vedo né il progresso né il regresso del mio male … però sto tranquilla, e, per dir meglio, sono felice. O mio Divino, di quanti prelibati doni mi ricolmi!

Ed io pienamente a Te mi affido … vivo in Te perché sono Tua e mi sento una certa sicurezza, dico anche, mi sento la certezza dell’amorosa Tua vigilanza.

7 Maggio 1930

Dio mio, mio divino, tienimi forte forte avvinta a Te, altrimenti la mia miseria vince…

Mio Sposo, oggi sono stata un po’ distratta e ciò è dipeso dalla mia conversazione con la G… Mio Dio, Ti raccomando mio fratello, se per lui sarà bene, possa stringere relazione col figlio della Marietta, altrimenti no Signore, aprigli la sua strada …

La pace della mia anima è piena e completa … sono tranquilla e felice. Non mi preoccupo e vivo così … nel mio bene ineffabile …

8 Maggio 1930

Mio Dio, mio tutto, che ogni momento della mia vita segni un progresso d’intensità nell’amor Tuo.

La mia vita passata è tutta ripiena delle grazie del Signore …   Oh, egli ha sempre sostenuta la sua debole creatura e l’ha preservata da tante cose, perché egli sapeva che la gran debolezza l’avrebbe fatta cadere … Mio buono e divino Sposo e padre, la mia fiacchezza l’ho ancora con me, l’avrò sempre con me fino a che non sarò a Te giunta … Ma io non temo, non voglio temere, perché ripongo tutto l’essere mio nelle tue mani …

9 Maggio 1930

Oggi ho avuto mia madre con me. Ho passato così una bella mezza giornata con lei. Signore, grazie che anche in essa mi fai trovare una bell’anima, una buon’anima.

Stavo un pochino in pensiero per Fefè <Raffaele> che si sentiva poco bene, ma già si è rimesso.

O mio Dio, io non so dirti che un misero grazie ed offrirti tutto il mio essere per tutto ciò che mi largirai. Vivere così in una famiglia ove Tu regni, ove tutti vivono in Te poter dedicare la nostra attività senza ostacoli … il poterti servire: o mio Dio, che grazie grandi! Siamo tutti Tuoi, o mio Divino, Tu sei il capo della nostra famiglia. Mio Dio, sii sempre il nostro tutto … il resto sia mezzo, non fine. Le difficoltà della vita servano di scalino per salire a Te … O mio Divino, grazie, grazie …

Oggi, per la mia distrazione, non ho potuto ricevere il mio Gesù, sempre ero felice di poterlo stringere a me per tutto il mese di maggio e vedevo che il Signore mi favoriva. O mio Gesù, la mia sbadataggine è stata ben grande; stavo per venire in chiesa per fare la mia comunione, quando ho messo in bocca un uovo, che si era rotto. Dio mio, perdonami! Vedi, son pure di una grande meschinità, devo ancora salire molto, molto, la scala che mi deve congiungere a Te. Questo piccolo episodio me ne mostra la distanza.

10 Maggio 1930

Il mio Dio è il mio tutto! O mio Signore, ho sentito quasi un senso d’invidia, di nostalgia delle tue suore … Signore, che bella e dolce cosa poter essere fra loro! Mio Dio, anche così son Tua, sono legata a Te e non posso considerarmi una piccola indegna religiosa?! O mio Gesù, uniscimi a Te sempre più.

12 Maggio 1930

Mio Dio, mio Sposo, mio tutto, a Te i miei piccoli sforzi e tutto ciò che umanamente e fisicamente mi pesa un pochino.

Ieri proprio disperavo di poterti ricevere, invece Tu, dolce ed accondiscendente in tutto, mi ti sei dato, hai permesso a questa minima tua creatura poter stare sino alla fine della messa, o dolce, o buono sposo dell’anima mia …

Ieri da zia Maria hanno festeggiato gli sposi … Signore, il mio sposalizio è infinitamente più bello, la festa dell’anima mi pacifica, sublime … Sempre, sempre Tua … in eterno, mio Dio.

Il mio carissimo Vincenzino, Fefé e Laurina sono stati con me da zia. Mio Gesù, mantienili sempre coerenti ai tuoi principi. Vincenzino, Umbertina sono stati contentissimi di stare con me. Perché, o mio Signore, permetti che tutti mi vogliono bene? Forse perché la piccolezza della Tua sposa è tanta, che soccomberebbe se fosse altrimenti.

Signore mio, Dio mio, salvami dalla mia nemica, la superbia …

13 Maggio 1930

Mio Gesù, sono la Tua sposa. Voglio far tesoro di tutto il tempo che ancora mi dèi solo per avvicinarmi a Te ed appagare tutti i tuoi desideri. Altro non voglio che Te! ed in Te sono calma e tranquilla, sono felice.

14 Maggio 1930

Stamane mi sono intrattenuta un pezzetto a conversare con la Superiora dell’ospedale e con le altre suore. Signore, come vorrei anch’io essere nella Tua casa! Signore, sono però la Tua sposa, indegna sì, ma lo sono … come loro.

Signore, quanto sei buono e benefico con me! stamane non ho potuto riceverti nel mio cuore, non ho trovato un sacerdote in chiesa, ma, o Signore, il mio desiderio mi ha tenuta più intimamente, più avvinta a Te …

Ti sento in me, o mio Dio, e non temo le procelle … Ti sento in me e Ti amo … e Ti prego, Ti supplico, sii il Signore, il padrone assoluto di tutto il mio essere … Signore, sono la Tua sposa, vigila Tu su di me, che in Te mi affido.

16 Maggio 1930, ore 61/2

Mio Dio, sono in Te e sono felice. A Te la gloria, a Te gli onori, a Te la fede, a Te l’amore.

17 Sera

O mio Gesù, ho potuto purificare l’anima mia. Erano 11 giorni che non sentivo più una parola di incitamento, un consiglio e ne avevo gran bisogno … O mio Sposo divino, Tu vigili, vedi i miei bisogni e sei sempre pronto a soddisfarli! . . . O mio buon Gesù.

Medito la mia confessione di stasera … essere trascurata nell’amore, non corrispondere pienamente allorché si sono stretti i patti è apostasia …! Misericordia. O mio Signore: «Vivere sempre in tutto e dappertutto in Te, solo in Te». Amare, ecco quale deve essere tutta la mia vita …

O mio Signore, quando potrò dirti: «ecco Ti amo tanto da non poterti amare di più», quando, o mio sposo divino? Mio Gesù, la mia piccolezza è tanta, che, benché voglia solo l’amore per Te, non riesco a portarlo … Ma Tu sai, mio Gesù, che la mia volontà vuole l’unione d’amore perfetto e Tu puoi farmi divampare d’amore. Ormai, o mio Gesù, non so chiederti altro; nelle mie preghiere Ti domando solo l’amore. Quale importanza ha tutto il resto, cioè salute, ricchezza, bellezza, gloria, affetti terreni? Mio Dio, lo sai, l’amor solo mi basta, il resto mi serva di gradino per salire a Te.

Mio Dio, amore, amore Ti domando, ma forse in esso io cerco ancora una soddisfazione mia, una felicità mia …

Ma Tu, per mezzo del Tuo ministro mi fai capire che questo è amore interessato, egoista. Tu, o mio Signore, mi vuoi più perfetta, nevvero, vuoi che il mio amore sia puro, sia immenso, miri solo alla Tua gloria. O mio Dio, mi sento in cuore che se avessi un affetto fortissimo per una creatura, io farei sacrifici, sopporterei umiliazioni per la sua felicità … lo facevo da giovanetta per una cara compagna, ed allora con quanto maggiore slancio non lo debbo fare per Te, o mio divino? O Signore, avrò tribolazioni, gioie: tutto a Tua gloria, tutto. Se per dare maggior gloria a Te io debba sopportare un lungo e lento Calvario, fiat. Per la Tua maggior gloria tutti i tormenti della vita, tutti i tormenti di un lungo eterno purgatorio sono graditi al cuore di chi ama veramente. O mio Gesù, a ciò fammi arrivare … come santa Teresina, possa io sinceramente e francamente dirti: «se è possibile che un’anima nell’inferno possa glorificarti, io sia quella che, in mezzo ai tormenti ed a quelli che imprecano, possa cantare il cantico d’amore …». Ma, o mio Dio, quando potrò dirti ciò? Quando potrò ripeterti che il mio amore è veramente puro e perfetto? Quando arriverò alla perfetta rassegnazione, alla gioia nella sofferenza per l’amore? Mio Dio, in Te confido … La mia volontà vuol tutto ciò, ma la mia fragilità … la mia meschinità è tanto grande!

Ricevo milioni di grazie dal mio Sposo divino eppur posso avere il barbaro coraggio di offenderlo … Vi è meschinità più grande?

La mia superbia, qual serpe velenoso, si insinua dolcemente anche nelle cose più sante, anche nell’atto della mia consacrazione al Signore! Sono anni che la combatto; e se il Signore non mi tiene continuamente la mano sul capo, chissà dove finirei … Signore, aiutami, Signore, Ti amo, accresci l’amor mio, fa ch’io viva solo in Te.

18 Maggio 1930, mattino

Mio Dio, vivere sol per Te, dove vuoi, finché vuoi, come vuoi!!!

Mio Gesù, una candida schiera di fanciulli stanno per riceverti per la prima volta … Mio Gesù, diventa Tu il re di quei cuori; il Tuo primo bacio s’imprima con sigillo indelebile in quelle anime: adveniat regnum tuum.

18 Maggio 1930, ore 9-1/2 di sera

Ero in chiesa stamane, quando è entrato zio T., che mi ha subito fatto un cenno di saluto. Ho atteso la sua uscita, quasi con insistenza, e poi, domandando di Foscarina e d’altro, l’ho invitato a casa … sono stata contenta ch’egli abbia accettato.

Abbiamo parlato lungamente e proprio di ciò che non vorrei più rimestare … ma era questo che gravava su tutti e due! E’ stato bene così, siamo ritornati in quel triste momento ed abbiamo scandagliato per filo tutto il misfatto, scusandoci ed accusandoci a vicenda. Ora sì mi sembra che posso dire di non sentire rancore né odio verso zio … è stata un’ombra ormai passata. Ma con zia A. quando passerà?! L’odio c’è e forse finirà solo con la morte. Abbiamo rialzato delle crude e brutte realtà. Egli conosce i B. più a fondo di me!

Mio Dio, quante povere miserie umane, quanti attaccamenti ed accanimenti per tutto ciò che rappresenta ricchezza! Mio Dio, perdono … Nel parlare ho manifestato sinceramente la parte che io ne ho avuta. Vi si sarà insinuato un fil di superbia? Un po’ di amor proprio certamente … però ho parlato proprio col cuore in mano, con tutta lealtà, perché così dovevo.

Mio Dio, fa che finiscano ormai questi rancori, queste guerre, fa che il tuo regno sia fra tutti i miei parenti. «Adveniat regnum tuum, adveniat» … Signore, mio Sposo, oggi ti ho avuto un po’ più presente. Mio Dio, io mi affido a Te, non nella mia miseria. Voglio essere solo tua. Mio Dio, mio Sposo, mio tutto.

19 Maggio 1930

Signore, non posso che brevemente stare con te in chiesa ad adorarti e supplicarti, ma desidero che, benché lontana, il mio cuore sia vicino al tuo tabernacolo, acceso dalla fede e dall’amore, sempre … La lampada può spegnersi, ma nel mio cuore, deh ti prego, fa che mai si spenga l’amore … Si consumi, sì, come la candela, ma divorato dall’amore …

Mio Gesù, giacché mi permetti di riceverti quasi tutti i giorni, fa che tutta la mia giornata sia inno di ringraziamento e di preparazione … solo di te nutrisco l’anima mia.

20 Maggio 1930

Mio Gesù, spesse volte mi è dato di sentire delle parolacce, delle offese verso di te … fa che esse feriscano il mio cuore per accenderlo sempre più nell’amore; fa che Ti ami per tanti che non Ti conoscono, che mai conoscono la dolcezza del Tuo amore. Misericordia, o mio Gesù, mio sposo, mio tutto.

21Maggio 1930

I miei m’hanno mandato della roba, cercano di procurarmi tutte le agevolazioni possibili, senza affettazioni, ma con tutto l’affetto. Eppur essi soffrono, lavorano tanto e menano una vita disagiata!

Mio Gesù, tu che permetti che io, invece di sollevarli, sia peso ai miei, tu che sei infinitamente buono, che sei il mio sposo, accetta il sacrificio dell’opera mia per i miei e dà loro forza e benedizioni.

Iolanda mi ha mandato un saluto, non ha scritto, segno che è molto occupata materialmente e moralmente.

22 Maggio 1930, mattino

Mio Gesù, non ho potuto averti nel mio cuore stamane e da dove trarrò forza per sorreggermi oggi? Mio sposo, no, non abbandonare la debole sposa, facilmente potrebbe esserti infedele quando non ti sentisse più dappresso. Mio Sposo, sorreggimi oggi con la maggiore intimità, con frequenti comunioni spirituali, altrimenti pericolo troppo … Sono la tua debole sposa, dammi il tuo braccio affinché mi sostenga.

22 Maggio 1930, sera

O mio Gesù, perdono, ho perduto tanto tempo … non ti ho avuto sempre presente.

Stamane, uscendo di chiesa, ti avevo promesso che il mio cuore sarebbe restato ai piedi del tuo tabernacolo, con l’averti sempre presente, e poi non ho mantenuto la promessa, o mio Gesù. Perdona, o mio sposo, lo vedi bene, non sono che una misera infedele …

E’ venuta suor Giuseppina, la quale mi prega e mi augura poter presto assecondare la mia vocazione … Mio Dio, fa tu di me ciò che meglio credi!

24 Maggio 1930

Oggi ho avuto con me Iolanda. Quanto mi è gradita la sua compagnia!

La nostra conversazione ci raffina e ci avvicina a Dio; non sapremo parlare d’altro che di perfezione spirituale, poiché ella, anima sublime, sa a ciò condurre qualsiasi argomento. Il suo fidanzamento va in via di scioglimento. Ha saputo rendere soprannaturale la relazione col suo fidanzato, tanto che si vengono sciogliendo di comune accordo, in piena pace.

O mio Signore, che anima grande e bella … Quanti di questi fiori spargi sul mio cammino, affinché acquisti io maggior forza … invece quante volte non so trarne profitto.

Mio Gesù, ho appuntato sul quadernino un numero approssimativo delle mie comunioni spirituali, non so precisa- mente enumerarle, mi regolo talora col mio fervore di spirito e con la mia intimità con te, mio Signore, confrontando la giornata presente con quella già passata. Mio Dio non desidero che essere tutta, tutta tua.

26 Maggio 1930

Perdonami, mio Gesù, le tante mie infedeltà; voglio e debbo vivere solo nell’amor tuo … Non riesco, o mio Gesù, perdonami, però in te confido e a te mi affido. Ti offro, o mio Gesù, la leggera sofferenza di stamane … Mio Gesù, tutto per la tua gloria. Mio Gesù, io son tua, mi sento tua, ho nostalgia del tuo amore, son sicura d’ottener, sì, perché Tu me lo dici: «chiedo con insistenza e mi sarà dato, cerco e troverò, picchio e mi sarà aperto …». Signore, Te cerco, picchio alla porta del Tuo amore, domando l’amore!!!

27 Maggio 1930

Mio Gesù, benché mi passi qualche turbamento spirituale, ho la gioia soave di sentirmi tua.

Sono un po’ turbata, o mio Gesù, riguardando la mia vita passata, mi sembra, benché abbia sempre vigilato sul mio cuore, di aver dovuto confessare qualche tendenza di attaccamento al Rev. N.N., benché mi sembra di non aver peccato … Se il cuore sente e non si approva ciò che sente, né si asseconda con la volontà, sarà fare peccato?

Poi altro turbamento mi apporta il pensiero di aver fatto tante, tante comunioni ed il trovarmi tanto imperfetta. Certo, o Signore, che potevo trarne tanto più profitto, ma cosa sarei divenuta lontana da Te? …

Mio Dio, tu sei il Dio di misericordia e di amore, perciò in te sempre confido …

28 Maggio 1930

Oggi non ho avuto Gesù nel mio cuore e nemmeno la visita al SS. Sacramento ho fatto. Gesù mio, perdono … Eppure avevo tanto bisogno di venire a te, o mio sposo, di purificare l’anima mia nella confessione!

29 Maggio 1930

Mio Dio, essere tua in tutto e per tutto! Mio Dio, come mi vuoi, solo che io arrivi a te. Mio Gesù, sono tanto imperfetta ed infedele ardisco riceverti … Ma, o mio sposo, se non mi accosto continuamente a te, sono perduta!

31 Maggio 1930

Grazie, o mio divino, la pace e la tranquillità perfetta è tornata in me … Il mio Dio magnifica l’anima mia … O mio Sposo, sono tua, la tua debole sposa: e sono felice, sì, sì felice, perché ti degni bearti di un misero essere. Il mio Re ha a caro la misera cosa quale io sono, che si offre a lui. E’ ben buono, affettuoso ed umile il mio Re …

Ed io, o mio Divino, mi getto con tutto lo slancio del mio giovane cuore, mi getto fra le tue braccia, ti prego, ti supplico … accettami quale tua sposa per adorarti, per compiacerti, per glorificarti, solo per questo, o mio Signore!

L’amore vero dà senza chiedere, dà senza pretender nulla … ed io così voglio amarti, o mio Divino, amarti solo perché sei il mio Dio.   perché sei il perfettissimo, perché sei l’onnipotente, l’immenso, eterno Dio …

O mio sposo, mi prostro a terra e ti domando perdono per tutte le mie infedeltà …!

Mio sposo, fa che possa arrivare ad amare te in ogni atto della mia vita, in ogni moto del mio cuore!

0 mio Sposo, domani ti rinnoverò il mio patto d’amore, con tutto il cuore e con la piena coscienza di ciò che dico, voglio generosamente donarmi tutta a te. Tu sei il mio sposo e tu solo devi essere il mio tutto. Mio Dio, mio Sposo, mio tutto.

Vergine Santa, aiutami ad andare a Gesù, ti eleggo qual madre amorosa che mi sorregga e mi guidi!

Ho avuti gli auguri, i saluti e l’offerta di preghiere che due angeli innalzano al Signore per me, Rosetta Bordoni e Maria Zega. O Signore, tu poni sul mio cammino rose smaglianti e profumate, gigli candidi di anime che a te tutte si sono date, affinché mi siano di sprone, ed io ancora guardo con occhio indifferente tanta bellezza!

1 Giugno 1930, mattino

Mio Dio, mio Sposo, ecco la tua sposa. O la dolcezza d’esser tua! Ti ho rinnovato il mio patto d’amore; ed ora, o mio Sposo, in te confido per non cadere nell’infedeltà. Mio Sposo, tu colmi coll’amor tuo il mio cuore, santifichi e rendi grande tutto il mio essere … mi elevi a te … O mio sposo, ho un corpo miserrimo, si va frantumando e tu lo glorifichi, accettando l’anima sua con te. Esso non mi permette essere tua in un chiostro: ma la tua divina bontà fa sì, che, anche in mezzo al mondo, io sia a te legata.

 

1 Giugno 1930, sera

Mio sposo, sono felice, fa che io sempre, sempre veda te in tutto il mio operare!

Sono stata a Casette, ho gioito nel vedere il miglioramento spirituale di certe figliuoline … O mio sposo, a te la gioia che provo, a tua lode tutto.

Ho parlato con zia A. che è disposta a pacificarsi con zio N. Signore, fa che domani possa trovare anche lui propenso a riconciliarsi …

Mio sposo, oggi mi hai fatto proprio toccare con mano i tuoi doni regali, nuziali! Signore, se permetti ch’io possa essere strumento, io incondizionatamente mi ti offro e la felicità che provo, sperando di riconciliare gli animi dei miei parenti, sia solo per dar gloria a te e per portare il tuo regno nelle anime.

2 Giugno 1930

Ho parlato con zio N. … Vuol riconciliarsi, ma a condizioni un po’ superbe, dure … Mio Dio, mio Dio, sposo mio, fa che tutto possa appianarsi; e giacché mi permetti essere uno strumento, tutto a te, ogni mia parola a tua gloria, o mio Divino … O mio sposo, sono tua e sono felice. Il mondo mi crede sofferente e per la solitudine e per altre cose: invece tu supplisci a tutto e mi fai pienamente contenta.

Mio sposo, tu sei in me ed io sono tutta tua! Ti amo, ti abbraccio, ti stringo sul mio cuore … mio divino, ti rinnovo il mio patto d’amore e canto il mio cantico di felicità.. Mio sposo, sempre in te e solo in te.

3 Giugno 1930, mattino

Mio sposo, sto facendo la meditazione sull’Imitazione della strada regia per la santa croce. Mio sposo, io voglio seguirti con la mia croce; oh dolce è il peso di essa, perché mi conduce a te. Tu, mio sposo, mi dai il tesoro che deve servirmi per arrivare a te ed io per tua gloria, per te l’amo, l’apprezzo, il mondo mi compiange e non vede che io godo una felicità sublime, mi compiange per la mia solitudine e non sa che è sempre con me il mio sposo; mi compiange per la tristezza, che, secondo esso, regna in me: e non sa che solo il mio Dio occupa la mia giornata. No, mondo, non t’invidio … la mia croce tu la vedi opprimente e tormentosa: ed invece essa è il più bel gioiello, scintillante di pietre preziose … è il solo gioiello che potrò presentare al mio sposo divino …

Ho scritto a zia A. Fa, o mio Gesù, che tutto finisca, che il tuo regno venga fra i miei…

Ieri sono stata lungamente con zio N. … Mio Sposo, tu lo sai, ogni mia parola non voleva mirare che a te solo, mio Gesù, per l’avvento del tuo regno. Il mondo, vedendomi così lungamente con zio e con qual zio, avrà avuto campo di pensare a chissà che cosa, ma tu lo sai, o mio Gesù, ed io solo il tuo giudizio temo …

3 Giugno 1930

Mio Gesù, ti offro la mia piccola oppressione … Mio sposo, ti amo e tutto gradisco dalla tua mano per tua lode e per farti piacere. In te confido ed affido tutto il mio essere … in te … che solo sai riempire e comprendere l’animo mio, mio divino, mio tutto.

4 Giugno 1930

Giorno memorando oggi … Mio Dio, mi permetti esserti strumento, ma io sono indegna di tanto …

E’ venuta zia A., è venuto zio N. e, finalmente, sembrano riconciliati. Zia ha dovuto cedere … Meglio … che importa l’umiliazione, quando tutto rimetto a tua gloria? Non è già troppo la gioia d’essere stata strumento di pacificazione?

Ed ora, o mio buono sposo, fa che non s’accenda la guerra fra gli altri nipoti. lo, dal canto mio tacerò, debbo tacere, voglio tacere; ma temo che zia stessa non si lasci sfuggire qualcosa … Dio mio, venga il tuo regno fra tutti i miei …

Stasera è venuta G.  Cara, non sa la nuda e cruda realtà, ma meglio così, è bene che stimi ed ami suo marito. Io le ho fatto capire che non posso narrarle la verità ed essa ha mostrato piacere di non conoscerla, perché come un’ombra nera si potrebbe frapporre fra lei e il marito.

Mio Dio, io ti ringrazio di tutto e tutto rimetto a tua lode, tutto, tutto. Mio sposo, serviti di me per tutto quello che vuoi.

Mio Dio, oggi non ti ho potuto ricevere né farti una visita, perdonami … Per il mio sposo dovrei sempre trovare il tempo disponibile … a te offro, o mio divino, tutto il lavoro, tutte le emozioni, tutta la stanchezza di oggi.

5 Giugno 1930, mattino

Mio sposo, è vero, è vero, come meditavo sull’«Imitazione», son piena zeppa di miseria, ma tu mi ricolmi del- l’amor tuo, tu magnifichi l’anima mia, tu mi rendi sommamente felice … Mio Signore, non posso desiderare ed attaccarmi ai beni di questo mondo, perché quelli che mi vieni dando tu sono infinitamente più preziosi. Non posso invidiare i mondani, quelli ai quali pare che tutto arrida e a tutto si attaccano, perché il loro cuore non è mai pago, ed io invece sono felice …

Dio, Dio mio, a te solo aspiro, te solo cerco, te solo voglio … Se qualche volta il soffio mondano offusca la mia anima, tu lo sai, o mio Dio, dipende dalla mia miseria, non dalla mia volontà …

5 Giugno 1930, sera

Cuor di Gesù, vi amo; Cuor di Gesù, vi bramo; Cuor di Gesù, vi adoro. Dio, Dio mio, a voi aspiro al primo apparir della luce; di voi ha sete l’anima mia, in quante maniere ha sete di voi il mio essere.

 

 

\Edito il seguito in altro brano\

 

 

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Padre Claudio Corpetti presenta Le sante mani di Madre Speranza operosa Ancella dell’Amore Misericordioso

Libro del Figlio dell’Amore Misericordioso Claudio Corpetti

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

 

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LE MANI SANTE DELLA BEATA MADRE SPERANZA DI GESU’ libro di P. Claudio Corpetti Figlio dell’Amore Misericordioso

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

INDICE

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso più. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt’altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la finestra si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2 Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non nava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

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Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

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  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, se

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DIARIO SPIRITUALE DI MARIA GIOIA DI CASETTE D’ETE DIOCESI DI FERMO Dono di sé a Gesù Cristo

IL DIARIO DI MARIETTA GIOIA Trascritto da Guido Anacleto Piergallina. Edito: Tipografia S. Giuseppe, Macerata 1973

ESTRATTO DALLA PREFAZIONE (…) Diario, scritto in 5 minuscole agendine. (…)

Man mano che leggevamo, scoprivamo l’interiorità di un’anima meravigliosa. A lettura finita, sentimmo di trovarci di fronte ad una santa, immolatasi eroicamente e nascostamente per la salvezza delle anime. Quell’anima doveva essere conosciuta, perciò decidemmo di trascrivere il diario, e, infine, di scriverne la vita.

Il libro, dice la stessa Marietta Gioia, non è un fine, ma un mezzo. Con questo mezzo noi ci auguriamo di risvegliare la spensierata gioventù da sogni alla realtà della vita, dove, diceva Paolo VI in un discorso pronunciato nel Novembre 1972, «incontriamo la debolezza, la fragilità, il dolore, la morte e qualche cosa di peggio, un legge contrastante che vorrebbe il bene e l’altra invece rivolta al male»; onde la necessità di una « grazia salvatrice » nella « lotta al buio che noi cristiani dobbiamo sostenere non con un solo demonio, ma con una paurosa pluralità », e ciò in « un mondo misterioso, sconvolto da un dramma infelicissimo, dove eternamente agisce Satana, principio del male, essere oscuro e conturbante, che esiste davvero . . . nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana . . . insidiatore sofistico dell’equilibrio morale dell’uomo … il perfido ed astuto incantatore che in noi sa insinuarsi per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica e di disordinati contatti sociali nel gioco delle nostre opere, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive, quando all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche e psichiche o alle nostre istintive, profonde aspirazioni ».

Profonda in realtà è la psicologia del male: col quale, presto o tardi, tutti dobbiamo incontrarci, combattere, vincere o soccombere.

Il libro è un mezzo, e con esso abbiamo voluto additare un altro esempio — quello di Marietta Gioia — di come i cristiani sanno combattere e vincere. Il lettore vedrà poi come ella seppe affrontare il dolore, chiedere a Dio il dolore, unire i suoi ininterrotti martiri a quelli del divino Martire del Golgota, per la sua santificazione e per la salvezza di tutte le anime.

Il lettore finalmente vedrà come Marietta seppe consacrare il meglio di sé all’Azione Cattolica. (…) Saremmo ben lieti se il nostro modesto lavoro recasse nuova luce, ardore ed incitamento tra la gioventù, maschile e femminile, specialmente fra quella delle nostre Associazioni Cattoliche, a servire Dio in purezza di vita, ad accettare il sacrificio, a lavorare maggiormente per la propria santificazione e per il bene spirituale degli uomini. Fermo, 31 Gennaio 1973 Guido Anacleto Piergallina

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D I A R I O.

Usque in finem (perseverare fino al compimento finale)

Casette d’Ete, 7 Febbraio 1926

Da qualche giorno sento intensissimo il desiderio di scrivere il mio giornale ed ora eccomi ad appagarlo. Voglio su queste bianche pagine fermare i moti tutti che agitano il mio animo … poi, negli anni che verranno, rileggendo, quali impressioni proverò?

Alla sera, stanca qualche volta, ed insoddisfatta, qualche altra contenta e con animo tranquillo, ripenserò al corso della giornata e trascrivendo su questi fogli le piccole e le grandi contrarierà, le piccole e le grandi gioie, potrò fare un esame schietto, e, servendomi ciò per farmi meglio comprendere me stessa, mi avvedrò più facilmente se sempre avrò avuto di mira il mio ideale.

USQUE IN FINEM è il motto che lessi sul frontespizio di un libro, che tanto bene fece all’anima mia: ed io l’ho posto in prima pagina del mio giornale: «Fino alla fine».

8 Febbraio 1926

L’interesse è il male massimo della società. Per esso la famiglia perde la sua tranquillità, per esso si smembra ed è pur esso causa d’odio fra fratello e fratello …

Se tanto grande è il male che apporta nella minuscola società familiare, quanto maggiore sarà quello che apporta nell’umanità? Tanto male mi fa il vedere zia A. che soffre per tutti i nipoti, specie per zio N., che, non solo le si mostra ostile, ma non le rende il frutto del capitale a lei dovuto, né ha voluto accettare la compera della terra per L. 30.000. Oggi ho voluto far capire a zia M. che fa malissimo a non parlare al fratello, aspettando che esso si inchini. Il vederlo umiliato farebbe piacere anche a zia A., ma loro che lo conoscono, sanno quanto sia iroso, aizzandolo pure col loro contegno non peggiorano la penosa condizione? Non accrescono l’odio?

Poi in fondo io credo che egli ora abbia un po’ di ragione per l’affare della vendita fatta a zio L. per L. 30.000, compreso il doppio appezzamento con un usufrutto vitalizio. Non voglio credere (il)perché; ciò so da terze persone, ma tormentosa mi si affaccia l’idea che la zia si sia lasciata trascinare e non sia stata troppo giusta. Forse ora si viene avvedendo della sua mancanza. Non le dirò possibilmente niente di tutto ciò, ma temo che zia M. alla quale ne ho parlato, non sappia tacere.

8 Febbraio 1926

Ho ripreso Vincenzino (mio fratello), che borbottava per la cena. Vorrei abituarlo a piccoli sacrifici; ma mi riuscirà? Egli ha un animo che facilmente si plasma e ciò fa temere perché è circondato da cattivi esempi e da pregiudizi.

Signore, illuminami. Fa che io possa migliorarlo e fargli intendere bene la tua legge!!!

Febbraio 1926 – pomeriggio

Ho veduto lungo la strada un ragazzo al quale desidero parlare. Ha la mamma moribonda all’ospedale ed egli, in una smorfia dolorosa, andava cantando stamane, per stordirsi forse … per spavalderia … per far credere che non sente dolore!!! Povero ragazzo! Tu lo senti forte il dolore ed esso ti fa fare così! Ieri piangesti, lo so, ed oggi vuoi ostentare allegria.

Più tardi

Quel ragazzo è venuto qui a casa a domandarmi la bicicletta di un suo compagno. Ho sentito subito un tuffo al cuore. Quanto è grande la sventura che pende sul suo capo! ed ho cercato di parlargli. Mi ha detto che la mamma sta un po’ meglio. Gli ho raccomandato di lavorare (gli piace poco assai il lavoro) e di essere buono, e, sentendo forse commozione, è andato via in fretta e furia, mentre io avrei voluto prolungare la conversazione, con tutto che mi sentivo stringere la gola.

Povera madre, quale strazio sarà il suo!!! Sa di lasciare i figli viziati, corrotti, nella più squallida miseria, e, per di più, sa di lasciarne uno piccolo!!!

11 Febbraio sera

Un tremito si era impadronito di me, mentre mi accostavo al Sacramento della Confessione. Mi sentivo tanto, tanto agitata e commossa … Sì, lo sento in me un alito di vita nuova, sento la vanità della mia vita passata, l’egoismo della mia religione mal compresa … e … mi scuoto … Voglio rinnovarmi.

11 Febbraio 1926

Dai libri della Giacomelli, che tanto bene ha recato alla mia anima: «E’ così bella la missione di figliola, di sorella, di ragazza, che, libera, si prepara alla vita, non aspettando nell’inedia e nell’impazienza, ma amando ciò che ha d’intorno e facendo volenterosa la sua parte di bene».

Bello e saggio consiglio alle giovani che, ansiose, frenetiche, non pensano che a trovare uno qualsiasi che le voglia per mogli, io mi sono attenuta alle sagge parole della Giacomelli? Forse in parte sì, ma non completamente.

Ancora: «E’ onesto, è generoso verso le nostre figliole di lasciarle ignorare la corruzione sociale, il lasciarle, di fronte all’altro sesso, in illusioni ingenuamente poetiche? E’ amore della loro dignità il lasciarle adorare ciecamente e ciecamente affidarsi?… Ma ciò che è un vero tradimento è il lasciarle fidanzarsi, e perfino sposare, specie quando non amano, senza che conoscano tutti i doveri cui si impegnano».

11 Febbraio 1926

Mi affaccio alla finestra, l’aria caramente mi accarezza il viso; non è calda, pur mi fa piacere il sentirmene inondata.

Un gruppo di ragazzi accompagna col canto lo stridente suono di un organetto: si preparano per la veglia. Ecco, Signore, dopo essere stati per tutta la giornata beneficiati dal tuo dolce sguardo … dopo aver passate ore di piena pace e di intima emozione con Te, che di sul povero trono esposto ci accoglievi … si va dimenticando … e forse questa notte di carnevale sarà per molti di dissipazione, di corruzione … Signore, Signore, aiutali, fa sentire Te a coloro che, non comprendendoTi, si lasciano trascinare dalla passione …

11 Febbraio 1926

Com’è commovente il vedere dei sacerdoti fra tanti bambini … Mi ricorda Gesù tra i pargoli. Don Peppe, con parola calda e persuasiva, parla a quei bimbi davanti a Gesù in Sacramento. Sa toccare quelle sottili cordicine e farle vibrare in un’armonia dolcissima.

Signore, attirali a Te questi poveri figli che vivono nelle strade, fra bestemmie e turpiloqui, fra irosi ed ubriachi; e fa che si possa effettuare il sogno di un asilo, affinché si possa un po’ migliorarli.

11 Febbraio 1926

Carnevale …

«… Signor, ci libera dal tentatore dal male salvaci, caro Signore». Con dolce melodia Te lo chiedevano oggi quei bimbi; ed io pur, Signore, Te lo ripeto: sì, sì, dal male salvaci, caro Signore …

11 Febbraio 1926

Sacre ceneri. Bella e commovente funzione stamane. Oggi prima lezione di latino del Maestro Mazzoni.

19 Febbraio 1926

Dalla Giacomelli: «Uccidere è distruggere, è sempre delitto … è sempre delitto; ma il maggior delitto lo commette chi distrugge nel popolo la fede e la virtù; e lo uccide coll’esempio dell’ingordigia e de’ vizi; e, dopo averlo affamato e piagato nel corpo e nell’anima, gode e dimentica».  Tremendo e troppo vero.

«Beato chi muore per una grande idea; e chi per essa, pur lottando e soffrendo, vive …»

Nelle anime sdegnose l’amore è forse più tremendo.

«Non mi incarico dei pregiudizi del mondo . . . quando sono solo non faccio nulla di male, ma neanche dò adito a sospettarne; sdegno di uniformarmi a ciò che non sono altro che conseguenze delle povere basi che si sogliono mettere ai principi e alla virtù dei giovani…».  Benissimo e bellissimo.

«Gli uomini sono come noi, come noi li vogliamo».

« Il popolo Tuo! Oh! tale esso si senta, Signore, popolo Tuo ci si possa sentir tutti, affratellati nella fede e nella giustizia, confusi nella carità . . . carità che avvicina che compatisce, che ha pazienza, coraggio, longanimità, perché è fede».

22 Febbraio 1926

Ieri, mentre si passava con l’auto Macerata-Fermo davanti al Cimitero di Monte Urano ho visto tutti gli uomini cavarsi il cappello. Loro che indubbiamente erano differenti di condizione come d’indole e d’ideali, erano accomunati nella venerazione verso i trapassati.

20 Marzo 1926

Termine della mia breve supplenza a Casette. Cari figlioli! Già sentivo di aver presa tanta affezione a voi! …

29 Marzo 1926

Ieri in questua per l’Università Cattolica del S. Cuore. Fu commovente l’entusiasmo di tutti.

2 Aprile 1926

I miei sono andati a sentire la predica delle Tre Ore. lo sono restata sola … Un senso di tristezza infinita mi ha invasa per circa un’ora … Una gran voglia di piangere. Fenomeni dell’adolescenza li chiamerebbe il Coiazzi, ma no, non era una fisima la mia: sentivo pungente ed immenso e spaventoso il vuoto lasciato dai miei cari defunti. – O mamma mia! Babbo mio! Mia cara Amalia! …

Stravagante, cattiva, sgarbata mi rende talvolta, come oggi, il dolore. Non ho saputo, e non so, Signore, uniformare i miei sentimenti alla Tua santa legge.

In questo momento forse il predicatore spiegherà al popolo l’ultimo Tuo grido SITIO! Signore, Signore! hai sete del mio amore, Tu che tutto hai dato per me ingrata.

11 Aprile 1926

Ieri si è sposata A. con O. Bellissima era la sposa nel suo candido vestito e con la sua aria sì felice. Essa ha fatto correre il mio pensiero alla mia cara Amalia, che forse avrebbe dovuto occuparne il posto. Ma son sicura che essa dal cielo, ove avrà raccolto, ove godrà il frutto della bontà sua e della innocenza, abbia pregato per gli sposi …

11 Giugno 1926

Riprendo questo quaderno, dopo averlo fatto lungamente riposare. In questo tempo ho molto lavorato, tanto che non ho avuto nemmeno il tempo di studiare.

Riflettendo ed osservando sulla mia vita dall’Aprile al Giugno, trovo una intensità di vita religiosa più profonda, l’anima mia si viene rinnovellando. Noto però un risveglio su tutti gli studi. Sì, si conosce la presenza di un Essere nuovo, che influisce ed eleva: il Signore, che ora è sempre nella nostra Chiesa. Sì, sì, o Signore, seguita a scuotere ed a far sentire Te a questi animi che hai già avviati al miglioramento con la tua presenza fra noi.

Oh sì, sì, è proprio vero che i Casettari sono quel che sono per mancata istruzione religiosa, civile e morale; non per perversità innata d’animo. Sono impulsivi tanto nel bene quanto nel male e parimenti si entusiasmano dell’uno e dell’altro.

Com’era nuda, fredda la nostra chiesa senza di Te! Grazie, Signore, dello zelante, ottimo sacerdote che ci hai dato!!!

12 Giugno 1926

Caldo intenso, soffocante quasi; fa cadere in una indolenza letargica, spesso cado in tristezza; desidero qualcosa a cui afferrarmi con tutte le forze, ma che mi sia di aiuto per salire su, su, su a Dio. Si, è vero: le cose hanno un forte affetto terreno, ma questo qualcosa, posto in un essere elevato e spirituale mi aiuterebbe ad ascendere. Oh! il materialismo mi urta, l’interesse mi fa fredda, mi agghiaccia.

14 Giugno 1926

Don Michele mi dice di mettermi a capo del Circolo Femminile, che si cercherà di formare, io non so rifiutarmi; ma, Dio mio, cosa farò?

25 Giugno 1926

Giorno d’intenso lavoro. Ho fatta una gran sudata nel lavare i pavimenti. Primo pettegolezzo e primo dispiacere datomi da una giovane iscritta alla Gioventù Femminile Cattolica. Sono tutte tanto ignoranti, povere figlie, e, forse prima di comprendere lo scopo e l’alto ideale dell’associazione, si stancano e si allontanano.

29 Giugno 1926

Giorno memorabile. Anniversario …   … (sic)

22 Luglio 1926

Il 29 Giugno accennai ad una data memorabile, senza nulla spiegare. 29 Giugno giorno assai importante per me. 29 Giugno 1925 segna l’ultima fase di un periodo assai critico della mia vita, il periodo del mio fidanzamento con X.

Eravam fidanzati da 10 mesi e con tutto questo tempo non eravamo riusciti ad avvicinare minimamente le nostre anime. Era illusione nostra il credere di amarci; stavamo talmente lontani, talmente estranei l’uno dall’altro …!!! Le nostre anime non avevano quasi un solo punto di contatto.

Mi irritava la sua freddezza, la sua noncuranza per tutto ciò che è bello e santo. La sua indifferenza religiosa m’agghiacciava, la sua febbrile passione per il commercio, quel continuo voler superare gli altri, mi spaventava … Eppur corrotto, cattivo veramente non credo che sia; pur non potrei, non potrò chiamarlo un buon soggetto. Si avvicinava il mese destinato allo sposalizio ed io mi sentivo morire … non avevo il coraggio di rompere decisamente, né quello di proseguire. Che tristi momenti! Non trovavo più pace, specie dopo aver parlato col cognato, che tanto male ne disse e di essermi intrattenuta con la madre … donna assai superficiale e alla grossa in fatto di religione e di morale … da come parlava. Ciò deducevo io. Già da tempo lo riprendevo e gli additavo la via che conduceva al bene. Ma fu mia colpa il non aver saputo rendergliela luminosa, vitale, meravigliosamente bella qual’è. Non seppi con dolci maniere piegarlo a poco a poco, allettarlo al bene; quasi aspramente esposi teorie, forse incomprensibili per lui …

Signore, gran parte di colpa ne ho io. Ora mi avvedo di ciò, ora che, avendo un po’ riaperto gli occhi e la mente, capisco il mio errore, ora che non posso più rimediarvi.

Il 29 Giugno fu il giorno della rottura completa … Con freddezza e con calma dissi un bel pezzo. Dissi, tanto che il dire divenne un battibecco, che finì con la sua dipartita … Signore, perdonami, non ho saputo condurtelo e forse l’avrò allontanato di più!

Tutto finì così … come un sogno, senza lasciare rimpianti nel mio cuore. Sì, ora capisco: non era amore il nostro, ma una fredda relazione … solo arrossisco pensando e ricordando che permisi a quell’uomo di accostare le sue labbra alle mie … Sembravami, allora, amore il suo e forse non era che sensibilità bassa e materiale.

 

17 Agosto 1926

Agosto, mese di tristi memorie. Il 26 Agosto del ’22, morte del babbo mio. Il 5 Agosto del ’23 morte della mia Amalia, cara e buona sorella. La sua dipartita ha lasciato una traccia indelebile, uno stigma profondo nel mio cuore. Amalia mia, ti rivedo ancora stesa, tu pura e candida come il giglio, sul letto pur candido, adorna di fiori come in un nembo di gloria … Ricordo, non ti avevo ancor vista, non mi ti fecero vedere. Era tarda notte, mi condussero fuori; rientrando in casa, corse il mio sguardo alla finestra aperta della tua camera … Giacevi tutta candida in candida veste … i quattro lumi accesi a te dintorno fecero triste, lugubre effetto. Ti portarono via, mia carissima, non mi ti fecero vedere; il male atroce ti aveva ridotta in uno stato brutale …

Un angelo fosti in vita, breve corso di vita la tua: ma bello, pieno di innocenza e di virtù grande; la tua morte fu quella di un essere celestiale. Ed ora t’immagino cantante il Gloria, in un nembo sfolgorante di luce e di purezza … Amen.

4 Novembre 1926

Ha suonato or ora la campana a rintocchi. In questo stesso momento su a Rovereto la vostra campana, o «Martiri d’Italia nuova», vi desta, fa fremere le vostre ossa gloriose … Ma questi rintocchi scuotono anche noi, fanno ritornare la nostra mente su nell’aspro Carso, fra le doline, ove le vostre carni erano rese brandelli dall’aspra roccia, dalle sferze del freddo, dalle micidiali palle nemiche.

Vi ricordiamo e rivediamo, o cari, sull’alte vette del Trentino, baldi di giovinezza, ardenti di amore, saltare di balza in balza, a picco sui precipizi, sotto una pioggia continua di fuoco …

Nulla sentivate voi, e, come i martiri del Cristianesimo, si lasciavano, sorridenti, sbranare dalle fiere: voi, guardando in alto, intrepidi, orgogliosi, superbi, sfidaste la morte per l’Italia, per noi.

Pace, a voi, pace.

Dicembre 1926

Il nostro Assistente, Don Michele Antonini, se ne va. Temo un po’ per il Circolo, per la sua vita. Sinora qualche passo s’è fatto …

14 Dicembre 1926

E’ già venuto il nuovo sacerdote. So che è coltissimo. E’’ giovane, giovane, proprio troppo giovane; e perciò quante ne dovremo, ne dovrò sentire, massimamente io, che necessariamente dovrò esserne in maggior contatto dalle altre. Signore, fa che possa sopportare e superare tutto.

ANNO1927                                                                          19 Gennaio 1927

Piove a dirotto. Vincenzo, mio fratello, è fuori e tornerà tutto bagnato. Domani non potrò andare a Sant’Elpidio per la mia lezione.

Marzo 1927

Da tempo Suor Eletta mi parla assai di un suo fratello: ora mi dimostra il desiderio di lui di conoscermi; sarebbe ciò il primo modo d’iniziare una nuova relazione… Poi, se facesse come il fratello con Emilia?

Marzo 1927

Ho scritto a Sofia (Suor Eletta), che è inutile conoscere suo fratello, dato che io, con fermezza, quasi propongo di non cambiare stato, od almeno non scegliere la via del matrimonio.

Dio mio, zia Marietta, la sorella di mia madre, è a letto ammalata di tubercolosi… farà certamente la fine della povera mamma mia, degli zii Pasquale e Leandro e lascerà la povera sua figliola così piccina …?!

E perché pensare io, a fidanzarmi? Se il Signore vuole che anch’io faccia la fine che purtroppo prevedo per zia, perché mettere al mondo altri esseri, che sarebbero infelici tanto e di peso alla società?

22 Marzo 1927

Sento in me una tristezza immensurabile. Vedo prospettarmisi davanti vie assai scabrose … Mi sento debole, tanto debole ed incapace, da sola, a proseguire il cammino della vita …

Sento il bisogno di un forte affetto che mi sorregga … Il mio animo si dibatte ancora fra opposti sentimenti! Non so e non riesco a vincere me stessa e ciò mi rende maggiormente triste. Scatto, scatto per un nonnulla. La mia natura vuole il sopravvento, anche in certe sciocchezze. Saprò vincerla nelle difficoltà della vita?

Signore, deh aiutami tu a portare la mia croce! Oh che io non me la lasci cadere e sentirne ripugnanza! Signore, fammela amare!

4 Aprile 1927

Emilia è sempre triste, triste. Ha perduta ogni fiducia in se stessa e nel mondo, sente nausea … e, sfido io, non vede che putredine! Povera Emilia, da quando la conosco, e son dieci anni, non mi ha mai detto di essere allegra. E’ un tipo troppo severo e troppo meditativo …

19 Luglio 1927

Che periodo d’intenso studio e di ansiosa aspettativa. Come saranno andati i miei esami di concorso? Temo molto. Pur una calma è subentrata in tutto il mio essere. Non v’è dubbio, essa è prodotta dalla mia fermissima risoluzione di non sposarmi in modo di non aver relazioni con alcuno. (Pensare P. con quale insistenza mi ha richiesta! Curioso poi, lui che non frequenta la Chiesa, venire a cercare me, che ogni giorno vado a Messa, che mi accosto quotidianamente ai sacramenti, che non faccio altro che occuparmi di Circolo e di religione, che continuamente parlo col sacerdote Don Virgio per affari di Circolo e di Chiesa …).

Sento intanto la mia debolezza ed il peso delle lotte … Sento anche bisogno di un forte affetto che mi sia di aiuto, che mi sorregga: eppure radiosa mi appare la meta, quando so per essa tutto sacrificare e tutta darmi ad un amore il più grande, l’Insuperabile.

Bello il sogno dell’altra notte. Andavo con una compagna, ci appressiamo ad un frate, che nella fantastica illusione del sogno mi figuro per P. Pio da Pietrelcina. Parlo al Padre e nella certezza di avere un consiglio infallibile gli espongo il mio pensiero riguardo alla scelta del mio stato. Ed egli risponde approvando.

Io sento sobbalzarmi il cuore di gioia a tale assentimento …

Ebbene: non sarà proprio attuabile il mio sogno? Perché sempre temere e barcollare? Non ha detto il Signore che chiunque abbraccerà uno stato, al quale si è spinto volontariamente, troverà sempre la grazia necessaria e le consolazioni? Signore, che importa dunque se Tu mi caricherai di dolori, di croci? Solo fa che io giunga a Te. Il resto accetto dalla Tua mano divina.

Signore, infiamma il mio cuore, fallo traboccare d’amore e di coraggio!

20 Luglio 1927

Proprio curioso. L’altra notte sogno della scelta del mio stato, e, questa notte, del concorso. Ero riuscita quindicesima. Che gioia! Magari fosse vero! Eppure, come tante volte ho detto al Signore, se ciò dovesse danneggiare l’anima mia, meglio non sia.

Emilia non scrive, vorrà farmi ripagare il mio lungo silenzio. Quanto, quanto la vorrei qui a me vicina!…

9 Agosto 1927

Ormai non v’è più dubbio, certissimo è l’esito negativo dei miei esami. Eppure credo in coscienza di avere studiato, sento dentro di me qualcosa che si schianta, vedo tutto, un calmo, bello, indipendente avvenire, sfumare come una leggera nebbiolina!!!  Cosa sarà di me? Quale via prenderò?

Oh Signore, se io non avessi Te, non Ti sentissi a me vicino, sentirei troppo acre, pungente, trafiggente il mio dolore. Infinite volte Ti ho chiesto che se la buona riuscita poteva avvantaggiare l’anima mia, l’avrei desiderata, altrimenti no; eppure ora provo uno schianto così forte, che quasi mi sembra ci sia un senso di ribellione.

14 Agosto 1927

Oggi, Signore, vedo la Sapienza della Tua mano operante. Grazie, o Signore, che mi hai dato un campo d’umiliazione … Bocciata … Sento almeno forzatamente che son nulla, nulla, nulla.

19 Dicembre 1927

Quanto tempo è trascorso senza che io abbia fermato un pensiero su questo diario … Mi son preso il gusto di rileggere alcune pagine e vi ho trovata discordanza e incoerenza di pensieri. Come posso dire di aver bisogno di un forte affetto terreno, quando ripongo tutto l’essere mio nel Signore, quando fo centro di tutta me stessa Lui solo?

In una pagina dico: «Vorrei un affetto grande grande che mi servisse di aiuto per innalzarmi sino a Dio. Ma, ecco, cerco, sembra, qualcosa di sensibile, di materiale».

Dice bene il mio Direttore Spirituale, che cioè bisogna amare Dio con superiorità di spirito, con animo completamente staccato dalle cose del mondo.

Avanti ieri si è fatto un giorno di ritiro, il primo ritiro. Quali pensieri hanno suscitato in me le meditazioni fatte?

Oh! Gesù che si umilia, che si fa povero, che soffre per noi, non può che destare nel nostro cuore amore verso Lui e disprezzo verso noi stesse … miserrime, che tanto accanitamente ci attacchiamo alle cose di questa terra e ci crediamo d’essere delle semidee.

31 Dicembre 1927

Oggi giorno di ritiro, come chiusura dell’anno. Considero: quanti e quali benefici ho ricevuti dal Signore in quest’anno? Salute, pace in famiglia, mia bravissima direzione spirituale, la fortuna di poter fare tante confessioni, la possibilità di frequentare i sacramenti quasi quotidianamente e di ascoltare la Messa tutti i giorni, l’aver potuto lavorare, per quanto poco, nell’Apostolato, l’appartenere alla Gioventù Femminile Cattolica Italiana, l’aver ascoltato tante belle conferenze … l’aver sentita a me vicina la mano di Dio, che, spingendomi innanzi e fornendomi infinite, minuziose grazie, mi ha fatta acquistare calma, tranquillità d’animo; le gioie intime, le soddisfazioni grandi che ho provate spendendo qualche po’ d’energia a pro del mio prossimo, il sentirmi amata da tante buone figliole, benvoluta da molti … Oh quanti, quanti sono i benefici e le grazie che mi hai dato, o Signore! E forse non sarà pure una grazia che il Signore mi ha concesso con la mia cattiva riuscita al concorso? Posso io dire, intravvedere quali effetti poteva produrre sul mio animo la buona riuscita? La mia superbia sarebbe certamente salita all’empireo e mi avrebbe trascinata alla perdizione …

Signore, io resto confusa, perché capisco di non aver corrisposto pienamente alle grazie che mi hai fornito, né di aver usufruito di tutti i benefici tuoi. Deh Signore, fa che il proposito che fo di sempre cercare il mio miglioramento spirituale, di essere più attiva e zelante nell’apostolato, d’essere lo strumento Tuo in tutto, possa essere attuato nella mia vita avvenire.

22 Gennaio 1928

Dopo un periodo di turbamento spirituale, prodotto in me durante il mio soggiorno da zia, che ora è in Porto Civitanova, ho la grande fortuna di sentirmi a Te vicina, o Signore. Fa che io possa far tesoro di tutto il tempo che mi concedi. Dodici giorni perduti coll’essermi tenuta lontana da Te Eucaristia …

… Ecco la ragione del mio turbamento, della mia fiacchezza.

22 Gennaio 1928

Com’è bello vivere in Te e per Te, Signore!

Potrei io dire di aver perduto un giorno quando l’ho vissuto in intima unione con Te? No, oggi non ho perduta la mia giornata, perché l’ho iniziata con l’intima unione al Salvatore nell’Eucaristia, e mi sono sentita più forte, più attiva, su, su, in alto …

Com’è vero, senza il Signore, non v’è che temere, senza preghiera l’anima si deteriora, si disgrega, si frantuma, marcisce.

Quando fui da zia, sentii quanto grande è la mia fragilità e quanto necessario sia che io sostenga con continua preghiera l’anima mia. Quando vidi quell’uomo, il Dottore, accarezzare e far moine alla povera paziente, sentii fremere il mio cuore, scomporsi tutto l’essere mio … tremare per la mia fragilità … Quell’uomo mi faceva paura, perché troppo seducente …

Cosa sarebbe stato di me e cosa avrei fatto io, se le parole e le carezze fossero state a me rivolte? Signore, sentivo che se Tu non eri lì a sostenermi, sarei caduta, mi sentivo vacillare e fremere, nello stesso tempo, di sdegno.

25 Gennaio 1928

Giorno non perduto, ma di poco poco profitto. Come sarà domani?

28 Gennaio 1928

Questa mattina, parlando con D. Virgio del Circolo, che purtroppo non cammina troppo a gonfie vele, ho veduto lui turbato, sfiduciato, quasi sopraffatto di pessimismo. (Sfido io, la leggerezza delle ragazze è assai compromettente per lui, massimamente dovendoci stare in continuo contatto per le prove del canto), io mi son sentita triste … prevedo la caduta del mio Circolo; poiché radiando quegli elementi che vengono, in certa maniera, a minare il prestigio di esso, verremo a minare del tutto l’edificio …

Non possiamo, è vero, pretendere la perfezione, ma … dopo tante istruzioni, essere così provocanti anche davanti ad un Sacerdote! Il mio cuore soffre e lotta fra sacrifici, disinganni e titubanze. No, Signore, che non dipenda mai da mia inettitudine, fiacchezza, svogliatezza, la caduta; datemi forza di poter sopportare e sostenere, perché, a costo di tutto, credo sia sempre bene mantenere il Circolo in vita.

31 Gennaio 1928

Il mio Assistente è tornato ad interessarsi del Circolo, non è stato che un fuggevole abbattimento. Anch’io sento maggior vigore e per la mia vita intima spirituale e per quella del Circolo.

Signore, ch’io possa spendere tutto quello che la bontà Vostra infinita mi ha dato a Vostro esclusivo servizio. . . Allora solo raggiungerò la felicità.

2 Aprile 1928

Oggi giorno di ritiro. Cosa ho considerato? Cosa ho proposto io?

Nella meditazione di stamane sono apparse nitide e ben distinte alla mia mente le tre figure che per prime s’incontrano nella passione di Gesù: Giuda, Pietro, la Maddalena, tre figure tanto diverse, ma ugualmente scultorie: tremendo, orribile, schifoso Giuda nel suo tradimento, losco addirittura. Pietro vano, fiacco e troppo fiducioso in sé, banderuola che crede resistere da sola alla bufera … Maria Maddalena, la donna uscita dal fango, che sa, nell’amore, sublimarsi, redimersi.

lo, benché non mi sia trovata in condizioni sì pressanti, quante volte in piccole cose non ho ripetuto il tradimento di Giuda? Quello almeno aveva per attenuante l’umanità di Nostro Signore, che poteva in certo qual modo, offuscare la mente … Quante volte non ho ripetuto, come Pietro, «non conosco il mio Signore …». Necessita, senza porre un minuto di mezzo, rivedere il mio carattere, come mi diceva pur la meditazione di questa sera. A che riuscire, se non ho la padronanza di me stessa?

Si diceva oggi che il contegno è manifestazione di carattere, benché possa l’uno, in qualche caso, essere l’opposto dell’altro … ma si sarebbe allora nel caso di maggiore perfezione, poiché un bel carattere solo per umiliarsi può mostrare cattivo contegno … In conclusione, seriamente propongo di tanto rinforzare il mio carattere acciò non cada in traviamenti di sorta e ripongo fiduciosa tutta me stessa in Dio.

4 Aprile 1928

Al mattino meditazione su «La Comunione salute del corpo»; poi Comunione Pasquale in gruppo di tutte le Circoline, Messa.

Adorazione del Santissimo a sera, predica splendida sull’istruzione dell’Eucaristia in rapporto alla bontà.

Bella, splendida giornata, intensa d’insegnamenti e d’incitamenti, che, dopo la bella confessione di ieri sera, acquistano un senso più profondo.

Signore, mi sento il cuore più a Te vicino, riempilo d’amore. Fa ch’io viva per Te, in Te, con Te.

Come mi ha fatto male il vedere stasera in chiesa M. ed A. slanciarsi quasi ad afferrare il distintivo che un uomo aveva trovato. Quel sorriso di leggerezza, quell’aria di spensierate, di franche, com’è a loro dannosa, e non se ne avvedono.

2 Luglio 1928

E’ da parecchio che mi sono alzata, ma la mia convalescenza non fa un passo innanzi. Zia sta malissimo ed io non potrò vederla.

 

15 Luglio 1928

Finite le lunghe sofferenze della mia povera zia. Ho pianto alla notizia, pur ho sentito quasi sollievo, era troppo doloroso saperla in vita così sofferente …

Consolante sentire la bella, calma morte … una candela che si spegne poco a poco! almeno ha ricevuto tutti i conforti religiosi, e di ciò temevo molto, perché essa sempre, sempre sperava (straziante), benché avesse saputa tutta la malvagità del suo male.  Signore, fiat voluntas Tua.

19 Luglio 1928

Spossatezza grandissima.

20 Agosto 1928

Da più di un mese non metto una parola su questo libretto. E ne avrei avute cose da scriverci, di pensieri da fermarci…

Non ho più scritto ad Emilia dopo che le feci sapere d’essere a letto malata; forse penserà ch’io sia assai aggravata, se non pur morta.

La spossatezza dura ancora … mi vado trascinando come uno straccio … Oh la mia salute non è più un minuto costante, un continuo alto e basso … ogni tanto lineette di febbre, dolori di spalle ecc., tanto da farmi credere sulla via della povera zia. O sì, alcuni giorni ho fermamente creduto essere affetta già da tisi. Che momenti tristi ho passati…

Signore, come mi lascio sopraffare da malinconia, da fissazione.

Il Dottore dice che è semplicemente una pleurite non conosciuta durante il mio periodo di febbri. Domani parto per Ancona, a fine di potermi veramente accertare di che si tratta.

Se il Signore mi volesse provare? Oh! con Santa Teresa ripeto: “Signore, sì, provami; ma tu che vedi la mia fralezza, donami la forza e la fede sufficienti per andare al salvamento”.

In tutto questo tempo dall’Aprile ho tanto trascurato il mio Circolo. Vedo alcune figliole allontanarsi, vedendomi tanto mal ridotta, temono forse di avvicinarmi, io sento pressante il mio dovere di dimettermi: perché occupare un posto, quando posso essere dannosa alle altre e quando non posso soddisfare a tutti i doveri che esso m’impone? Oggi ho provato a parlarne a Don Virgio … Ma egli intravvede e legge in me turbamento, dolore ecc. ecc. e fa in modo che io seguiti a tenermi il mio posto, non facendomi mai terminare di parlare… Egli legge troppo bene tutto ciò che passa nell’anima mia e non vuole accondiscendere. Certo che abbandonando tutti e tutto, mi riconcentrerei e fisserei sempre più nel mio male. In tutti i modi se dovrò accertarmi d’essere affetta da tisi, troncherò tutto, a costo di apparire cattiva. Ho cercato di regolare oggi tutte le cosucce di circolo, ho scosso un pochino le figliole. O Signore, le raccomando a Te, come a Te affido tutta me stessa. Fa di me quel che Tu vuoi, ma dammi tanta, tanta forza …

31 Agosto 1928

Il mio polmone destro è affetto in basso da vecchia pleurite; il mio sinistro fa sentire dei rantoli… E’ necessaria una cura d’aria più di tutto … è necessario partire, lasciare le Casette, le figliole, i miei cari, la mia casa, tutto. Dio mio, dammi forza, poiché eccomi nella prova. Fiat voluntas tua.

9  pomeridiane, 12 Settembre 1928

Il corpo langue sotto il morbo occulto, l’anima freme; non vuol essere soggetta a prostrazione, vuol alzare il volo in mistico profumo di dedizione, di amore.

19 Settembre 1928

Domani parto per Monte Monaco.

Monte Monaco, 22 Settembre 1928

Siedo su d’un macigno a 1020 metri sul livello del mare. Ho dietro alle mie spalle un torrione mezzo diroccato d’un castello medievale … e davanti i miei occhi il Vettore, il Rossone, la Sibilla e un’infinità di altre montagne. Mi sembra che con un salto io possa raggiungere le cime, mi sembra che stendendo la mano possa quasi toccarle: illusione, illusione, crediamo avere raggiunto la meta, quando ci accorgiamo che sempre ci si allontana.

Ecco, le cime si nascondono dietro a un nuvolone che passa … sono così indefinite; portano il nostro pensiero su, su, tanto in alto. Qui si sente la mano operante di Dio, qui ci soggioga la grandezza della creazione, della potenza divina, tutto concorre ad elevare l’anima …

Verde cupo, purissimo di boschi e di macchie; verde chiaro di castagneti; strisce bianche di terra improduttiva; strisce scintillanti al sole di pietre, che, essendo permeabili, permettono alle pure acque di scaturire dai loro pori; aria purissima, non intossicata dai fumi di opifici; acqua purissima uscente or ora dalla roccia colla stessa limpidezza e purezza del giorno che uscì dalle mani di Dio. Tutto puro, tutto alto, tutto nobile, tutto maestoso, tutto bello, benché rustico, anzi più bello perché non profanato dalla mano avida dell’uomo, che trasforma le bellezze naturali in qualcosa di artificioso che deprime, che talvolta appesantisce l’anima.

Qui mi sembra d’essere sola al mondo, ma tanto vicina a Dio.

23 Settembre 1928

Oggi termino il 24° anno di vita. Il fior fiore della mia giovinezza è già passato, pur l’anima mia ora solamente sente la purezza, la bellezza di una vigorosa e sana giovinezza.  Fisicamente sto assai bene.

Oggi è Domenica e forse per la prima volta le mie figliole si riuniranno in adunanza con Iolanda, ora vicepresidente. Cosa faranno? Signore, illuminale!

24 Settembre 1928

La prima neve sul Vettore. Aria quasi rigida. Si fa gustare però, perché satura di ossigeno.

25 Settembre 1928

Aria di primavera, pace deliziosa dell’anima, pace simile a quella che regna su queste immensità. Quanto bella è la natura!!! Quanto pura uscì dalle mani del Signore!!!

Da noi sembra tutto profanato. Vorrei arrampicarmi sino alle cime di questi monti e inebriarmi della vista che di lassù devesi godere.

27 Settembre 1928

Don Virgio prima di partire, mi regalò un bel libretto: LA VITA SPIRITUALE: bellissimo, facile e profondo. Bisogna che io ne lo ringrazio.

\ Reverendo, gusto le bellissime meditazioni del P. Meschler, che, lette su questi dirupi, con davanti la prospettiva grandiosa delle alte cime dei Sibillini, acquistano un senso più profondo, inebriano maggiormente l’anima.

Queste portentose masse, questo verde di macchie, quest’aria purissima, queste acque scorrenti sui massi e scintillanti al sole portano di per se stesse alla mistica, poiché fanno forzatamente quasi sentire l’onnipotenza divina.

Ed io mi trovo pienamente bene e vorrei condurre qui tutte le nostre ragazze che si perdono in tante piccinerie.

Abbia pazienza d’indirizzarle un pochino anche per me ed inciti Iolanda che è un po’ titubante.

Fisicamente sto molto meglio, già noto un considerevolissimo miglioramento.

Mi voglia salutare la sua mamma ed ossequiandola, chiedo a Lei benedizioni e preghiere.  Dev.ma … …

27 Settembre 1928

Oggi mi sono intrattenuta, nella sosta fatta durante la passeggiata, con una pastorella molto rozzamente vestita, con certi scarponi, analfabeta, ma con un bel visetto e certi occhi… Quale non è stata la mia meraviglia allorché, tutta animata, vedendo il mio distintivo, mi ha domandato se anch’io appartenevo alla Gioventù Femminile Cattolica Italiana.

Com’è consolante vedere che la nostra Associazione sa penetrare fra boschi e montagne e sa ingentilire ed accomunare tanti cuori diversi! Forse, anzi, amano più sinceramente e squisitamente Dio queste anime semplici, così lontane dai viventi, che noi, poste nel centro dell’azione.

Cara, cara quella pastorella, che mi ha promesso di pregare pel mio circolo, che col sorriso sulle labbra mi ha raccontato le pene della’ sua vita… che mi ha fatto conoscere con poche parole le grandezze della sua anima. Che preghiera soave deve salire a Dio da quel cuore!

Signore, quanto sei grande, come sai avvincere i cuori! Signore, me, che circondi di grazie gentili, fini, delicate, specie da quando sono a Monte Monaco, me avvinci, incatena con le auree catene d’amore, fa ch’io viva d’amore per Te, in Te.

29 Settembre 1928

Oggi è fiera in paese, la gente è venuta da tutte le vicine Ville. Come è divertente l’osservare. Qui si ritrovano i costumi antichi; al rozzo vestire contrasta la gentilezza del parlare. L’Umbria vicina fa sentire la sua influenza. Sul tardi gli uomini sono avvinazzati. Un vecchio ubriaco cade e mi fa prendere una stretta forte. Una signorina, in serio contrasto con la gente di qui, ultima novità, viso dipinto … passa spesso per la via, ha in sé qualcosa di provocante. Un giovane conoscente le si avvicina e l’accompagna, in lui, galanteria caricata, in lei un non so che di strano, di morboso.

Lungo la strada di Montefortino incontro due signorine, sorelle, accompagnate da un giovane, che suppongo fidanzato di quella delle due che tiene stretta a sé, cingendola con un braccio per la vita; e lei poggia la sua testa alla spalla di lui, sembrano avvinghiati. Tremendo: la mamma li segue e forse si compiace. Se vuol rovinare la sua figliola, perché incitare solleticare i sensi ad altro mettendola in mostra così?!

Io mi son sentita tutta rimescolarmi (purtroppo porto la mia natura con tutte le sue passioni con me) ed ho invocato il Signore.

I sensi s’eccitano tanto facilmente, ecco la prova fragrante della mia fralezza.

30 Settembre 1928

Oggi è festa alle Casette. Signore, fa che la Vergine Santissima, passando per le vie del mio villaggio, sparga benedizioni e grazie, più commuova i cuori e li conduca a Te.

Mi scrive Sofia. E’ tutta contenta ch’io stia assai meglio. A suo riguardo mi scrive che le sembra essere una navicella sperduta nel grande oceano della vita, senza pilota, senza meta, in balia del mare, come stordita dopo i colpi d’una grande tempesta. Povera cara! Dover lasciare il monastero, dopo 10 anni di vita da suora! … Sogna di ritornare fra quelle mura. Ma come tentare ancora?

4 Ottobre 1928

Emilia scrive. E’ felice sul mio conto, ma non a suo riguardo. Mi dice: «Hai ragione di rimproverarmi, ma come fare, se non ho il coraggio né la forza per prendere la penna e dirti di tutto il mio grande sconforto? Tranquillizzata un po’ sul tuo conto, perché mi dicevi di star meglio sempre, ho lasciato trascorrere i giorni in attesa di momenti migliori per scriverti; ma il migliore non viene, lo scoraggiamento e la tristezza non passano … e ti scrivo, tanto per farti sapere che ti penso, che m’interesso vivamente del tuo stato … Vorrei non essere un enigma, ma vedo bene che lo sono anche per me stessa. Fare uno sfogo generale mi farebbe bene, ma non ci riesco mai, perché rifuggo dal fermarmi istintivamente da tutte quelle cose che sono il mio tormento, lo spasimo segreto di tutte le ore … Come potrei riassumerti il mio doloroso stato d’animo? Ecco posso accertarti solo, che, dopo la grande delusione che tu sai, io non sono stata più io, da allora tutto è crollato, tutto è finito, non riesco a trovare un po’ di azzurro, un po’ di roseo sul mio orizzonte. Tutto mi scompiglia e mi addolora: mi sento sperduta e sola, vedo tutto nero e non ho la forza per ricominciare una nuova vita … Ti sembrerò una creatura piccola, a te che sei riuscita ad innalzarti di più; ma forse se tu conoscessi bene da vicino tutta la mia vita, se tu sapessi tutte le cose che son passate in essa e intendessi bene il mio cuore, mi compatiresti. So però che tu hai sofferto e soffri anche più di me … e perciò non ho mai avuto il coraggio dì parlarti a lungo di me. Oggi ti do un accenno per accontentarti, ma sempre con la speranza che tu non abbia a rattristarti troppo, solo perché veda il bisogno di raccomandarmi a Dio, come una povera anima debole e stanca …».

Povera cara, forse il Signore che ti vuole a sé più vicina, ti agita e non ti fa trovare posa. Vai a Lui, cara, e allora solo potrai trovare l’azzurro del tuo orizzonte …

7 Ottobre 1928

Ieri sera mi hanno scritto le mie figliole. Una busta piena di fogli cari. Il loro affetto mi ha commosso. Gesù mio, a Te le raccomando di cuore.

11 Ottobre 1928

Neve al Vettore.

11 Ottobre 1928

Scrive Don Virgio:

« Fo riscontro ora al suo scritto del 22 mese scorso. Ad altro tempo una lettera, ora non posso scrivere! Dopo la perdita della mia indimenticabile mamma, sento inibite tutte le forze della mia intelligenza e l’occuparmi minimamente mi è di gran peso. Mi raccomando, preghi Dio per l’anima della diletta genitrice e più per me, che solo sento più che mai il vuoto e l’amarezza della perdita. Mi sono riposato unicamente nelle alte regioni della fede, che mostra la sua grandezza e il suo valore quando le cose di questo mondo si dichiarano completamente vinte …»

Poveretto, in un anno la perdita di ambedue i genitori; ed ora dover vivere solo in quella casa …

Rispondo: «Tanto inaspettata e dolorosa mi è giunta la triste notizia, che ho dovuto rileggere lo scritto per persuadermene. Che dirLe? Vane e vuote giungono le parole di estranei, quando ci si trova immersi in un dolore così immenso e si sa che gli altri non ne arrivano a comprendere tutta la potenza e la intensità. Chi non ha provato cosa sia la perdita dei genitori, non può assolutamente concepire il gran vuoto ch’essi lasciano intorno a noi, poiché non hanno misurato il valore del loro affetto …  lo, che, bambina, perdei la mamma e non capii allora la mia sventura, poi, goccia a goccia ho assaporato l’amaro calice, maggiormente colmo da triplicate disgrazie, sento ora tutto lo smarrimento che La circonda e tutta l’amarezza che Le riempie l’animo. Ho messa la sua cara fra i miei defunti, per averla sempre presente e raccomando di cuore Lei al Signore, affinché nell’apostolato sempre più intenso e fecondo possa lenire ed addolcire il suo dolore.  Sentitamente La ossequio e Le domando benedizioni, pregandoLa di non accasciarsi sotto le molteplici gravi prove. …

14 Ottobre 1928

Cade la neve a larghi fiocchi.

14 Ottobre 1928

Mi hanno scritto i miei. Cari, cari tutti, quanto bene vi voglio!

In fondo in fondo non vedo l’ora di ritornare per rivedere tutti e dimostrar loro il mio affetto. Sono incerti se farmi ritornare o no. Vogliono persuadersi che io mi sia rimessa proprio bene. Pertanto si sacrificano.

Cari, tanto cari, specie la mamma (mia matrigna) … è forse rude, ma il suo affetto pur è forte. La lettera, piena di buone notizie. Zia Angelina, ammalata d’infiammazione vescicale, è molto migliorata. La raccolta dell’uva abbondantissima. L’altra zia, fuori pericolo. E’ proprio il Signore che ci porta per mano e dice: «Non temete».

lo sento proprio che mi conduce con una premura così delicata, così sottile, che non v’è l’uguale . . .

14 Ottobre 1928

Passeggio e scrivo. Il cielo è di un sereno meraviglioso. Sembrerebbe una giornata di primavera, se la rigidezza dell’aria e la bianca neve che tappezza le cime dei Sibillini non mi facessero ricordare che, a Monte Monaco deve considerarsi l’ottobre quasi come l’inverno.

Se avessi il pennello di Raffaello, la penna di qualche grande, vorrei pitturare a colori o in versi la bellezza di tutto quello che ho davanti.

Dio, quanto grande devi essere, Tu che addirittura meraviglioso sei in tutte le tue manifestazioni creatrici, dalla infima alla più grande cosa.

Bianchezza di neve, azzurro profondo, verde cupo, scroscio delle acque scorrenti e scintillanti al sole, mormorio e fruscio delle foglie; grida e canti di pastorelli, tintinnio di campane: tutto bello e caro, caro, caro.

Qui tutto si oblia, il mondo coi suoi frastuoni, le sue lotte, le sue insidie, i suoi tranelli; qui l’anima si purifica come l’aria che si respira, come l’acqua che si beve. Tutto puro, tutto bello, tutto grande, tutto patriarcale …

14 Ottobre 1928

Mi hanno scritto nuovamente i miei e hanno mandato soldi, dicendo di trattenermi sino al trenta. Poveri cari, quanto si sacrificano, quanto mi vogliono bene!

Signore, quanto grata Ti sono che mi hai donata una famiglia, ove regna, con la pace, l’affetto.

Ha scritto pure Iolanda, dandomi tante buone notizie delle ragazze che si portano egregiamente. Signore, grazie. Cara quella aspirantina di Annetta, mi chiama mamma e mi scrive così graziosamente in dialetto.

14 Ottobre 1928

Passeggio e mi allontano assai, mi siedo all’ombra, riprendendo la passeggiata, ed ecco, vedo quasi presso di me un uomo, che da alcuni giorni noto sul mio cammino. Signore, son sola sola, tremo. Riprendo la via del ritorno e fortunatamente vedo che lui si sdraia su di un masso. Respiro. Ecco però davanti a me due carabinieri che, ad ogni istante, si voltano e rallentano il passo …

Sono sul punto di prendere un’accorciatoia, ma facendo notare di aver notato, potrebbero affrettare il passo e trovarmisi di fronte. Seguito la strada, giungo presso una svolta deserta assai, che non lascia vedere chi mi è causa di timore. Mi fermo, aspetto … ma non vedendo nulla comparire all’altro giro della strada, giudico che anche quei tali si siano fermati. Intanto vedo quello del masso riprendere il cammino … Dio mio, che fare? Mi raccomando di cuore, recito una breve preghiera, e, col nome di Dio, della Vergine e dei miei cari sulle labbra, riprendo la via.

Non vedo più nessuno. Temo molto. Ah sì eccoli, hanno or ora preso un’accorciatoia, sono stati indubbiamente fermi, mi vedono, si fermano, sono sul punto di ritornare.

Dio mio!… allungo il passo ed anche loro riprendono la via … Tutto è passato, non vi è più da temere. Dio, Ti ringrazio. Tu vedi la mia fragilità e sei sempre lì a soccorrermi, mi porti per mano e quindi non devo temere.

27 Ottobre 1928

Con che ansia attendo i miei! Ora qui mi annoio assai.

Casette d’Ete, 1 Novembre 1928

I miei sono andati al Cimitero, io sono restata … ma forse, o miei cari, mi sento a voi più vicina, tanto vicina … Son due giorni che sono ritornata; quanto piacere ho provato e provo ancora nel riveder tutto … Ritrovo qui a me dintorno l’alito dei miei cari, rivedo tutte le cose che loro hanno toccate, che hanno avute care…

Sto con Vincenzino, l’ho qui a me dappresso, caro, buono fratello mio, quanto bene ti voglio!!! Eppure non ce lo manifestiamo. Le mie figliole, le circoline, mi fanno commuovere con il loro affetto. Signore, quanto sei buono.

Tutti prendono interesse a me, tutti mi vogliono bene. Oggi mi hanno tanto raccontato della morte della povera Adele, dello strazio del figlio, lo sento di prendere viva parte al dolore di Don Virgio, sento che lo stimo tanto, sento l’altezza e la finezza dell’animo suo, mi sento di nutrire un certo affetto. Signore, per carità illuminami e fa che il mio cuore rimanga sempre puro … puro come allorché si estasiava sulle altezze dei monti ad ammirare le opere Tue. Su si sentiva più tua quest’anima. Signore, anche qui possa io portare gli alti sentimenti, e, benché tanto vicina al mondo, non mi vi attacchi mai.

Dio mio, mio tutto.

11 Novembre 1928

Questa sera ho dato libertà alle mie circoline di venire a mangiare le castagne.

Un’occasione più chiara per dovermi purtroppo accorgere che il buon accordo non vi è. Le N.N. che tutte le sere son venute, questa sera sono state assenti. Mostrano di essere offese con le altre per il fatto che le prime parlano troppo delle altre. A. si è piccata per una sciocchissima sciocchezza.

M.B., V. e M.G. fanno le vivacissime, saltano, giocano, cercano dare sull’occhio. Non voglio che stiano in saletta, ove ci sono alcuni ragazzi con mio fratello e loro si sbrigliano in terrazza; e in un momento, quando alcuni di quei si sono allontanati, si accostano per giocare alle carte, io parlo forte e secco: «non voglio». Mi ubbidiscono, ma, annotiamo il viso, si sono alterate.

Altro incidente. A., è uscita, chiamata da una ragazza. M. B. mi dice che si è veduta assieme a quel tristissimo soggetto, che la tiene incatenata in un amore di sortilegio. Per vedere e meglio persuadermi, esco assieme alle altre (fo un po’ male forse), ma ho incontrato l’A. tutta sorridente, con in mano dei dolci, regalatile da un tale — dice lei — che la pretende. Perché accettare? Ed io lo dico a lei. – Perché? –

Povera ragazza, la sua leggerezza la perderà …

Non sto a fare altri giudizi ed apprezzamenti. Vedo purtroppo che tutto non cammina come vorrei …

25 Novembre 1928

Stamane abbiamo ripreso A. per quel fidanzamento. Essa ci ha assicurato che ormai è ufficiale, che crede di non aver mai mancato; ma purtroppo notizie di qua e di là dimostrano non esser ciò troppo vero.

Perché raccontar la confessione? Perché nella confessione accusare le altre? Perché dire che M. fa la cara con C. (uomo ammogliato), se ciò non è vero? M. stasera l’ha saputo e ci ha tanto pianto e strepitato.

Dio mio, non so chi credere, non so come contenermi.

28 Novembre 1928

Avanti ieri aprii in confessione tutto l’animo mio al mio Direttore. Mi rimproverò sentendomi chiamarmi spostata, perché, infatti mi sento così, quando non ho il Signore con me, che mi sorregge, mi nutre, riempie l’anima. Signore, sento la tua voce a me vicina, sento che m’inviti al Tuo Banchetto, Signore avvinci il mio cuore, ch’io non viva che per Te. Dio mio, Dio mio, oh quanto bello, luminoso il mio avvenire se io potrò tutta congiungermi a Te. Sento la tua grazia vicina, la tua mano paterna sorreggermi e riempire il mio cuore di affetto … Sento tanto d’amarti … pur sento ancora che il mio amore deve essere più intenso, tanto intenso da gioire nel rompere col mondo e di lasciare i miei cari . . .

Il mio Vincenzino … sì, Signore, gli voglio tanto bene, tanto bene. Ed egli mi si attacca come un bambino alla mamma. Caro fratello mio, tu non hai goduto mai quasi la carezza della mamma, il sorriso del babbo … Egli ha riconcentrato tutto in me il suo affetto … Signore, se mi vuoi con Te, dammi forza sufficiente per lasciarlo … Chiama a Te anche lui … Come sono pretensiosa!!! … Eppure, sì, o Signore, Te lo chiedo con tutto l’animo: fa che Vincenzino senta la necessità di stringersi sempre fortemente a Te …

29 Novembre 1928

Stamane ho dovuto riferire a Don Virgio quella chiacchiera di B., che si diceva amoreggiasse con NN. La mamma di lei ha saputo ciò da certi suoi lontani parenti. La cosa si propaga sempre più. Ho tanto sgridata la figliola, dicendole che invano ho sperato il suo miglioramento, permettendole di stare nel circolo, anzi le ho fatto notare che ormai può andare in un luogo di pubblico disonore … Terribile! Abbiamo mandata Iolanda a chiamare A. e amorevolmente le si è chiesto se veramente lei ha detto ciò. A. subito slagrimata protesta, dicendo che l’ha inteso dire. Temo d’esser sul punto di tutto chiarire, dico temo, perché l’una con l’altra potrebbero scoprire certe cosucce non troppo divertenti. Ed allora ne succederebbe una scena dolorosissima e uno sfacelo per il Circolo. M. si è saputa abbastanza frenare ed ha taciuto anche quando si trovava quasi aizzata.

ASSISTENTE: « lo ti ho sempre accolta bene in casa mia, tu ti sei allontanata da me, come tutte le altre ».

Io proprio temevo rispondesse l’altra. «Sì, proprio come quando ti ho trovata avvinghiata col tuo fidanzato». Fortunatamente ha taciuto, poiché troppo vergognoso era il trattare certi argomenti davanti ad un sacerdote.

Dio mio, raccomando a Te queste figliole! Temo e tremo per l’avvenire del mio circolo. V., povera bambina, si lascia sedurre da divertimenti, da gite, da sorrisi e parole. Va a Montegranaro troppo volentieri, trova su un ambiente non troppo sano per il continuo contatto con giovani e lei si attacca a tutto e a tutti.

Povera bambina, già in casa non trova affetto, bensì solo scene brutali di un patrigno ubriacone … il quale ha saputo assorbire quel po’ che lei ed i fratellini avevano del padre. Vede la madre tutta premurosa per il marito … vede tutto ciò che non dovrebbe e sente nausea della casa: ecco com’è che si attacca a chiunque le mostra un po’ d’interesse …

Dio mio, dammi lume e forza, fa che tutto non crolli con me; soffro, fa che a costo di sacrifici si possa purificare il circolo, fa che io possa scoprire il cattivo germe per toglierlo via!

30 Novembre 1928

Mi sembra che la mia incertezza e titubanza nell’avvenire vada man mano scomparendo. Signore, sempre più chiara e cara mi si mostra la via, Ti sento a me dappresso, sento la tua voce che a sé m’invita …

Mio fratello da stamane alle tre e mezzo tossisce, è stanco e tutto preso da raucedine. Dio mio, come mi sento attaccata a lui! E’ ventenne, eppur tanto bambinone ancora … Dio mio, che non perda quella bontà e candore d’animo che ha ora! Mamma, fallo buono; tu che non hai potuto dare al tuo Vincenzino le carezze e i baci del tuo affetto, veglia su di lui!

2 Dicembre 1928

Mi sembra in coscienza di aver lavorato oggi per le mie figliole. Consolante l’entusiasmo delle piccole. Signore, fate che io possa far sempre più e sempre meglio. Dato uno sguardo scrutatore all’animo mio; trovo sì che ho lavorato con fervore, ma che un fiIo di superbia vi è passato sopra.

Leggevo e spiegavo un piccolo brano di meditazione sull’eccellenza della preghiera; vedevo le socie tutte attente, vedevo che intimamente proprio tutte partecipavano con interesse … ed ho sentito in me una certa compiacenza … l’ho avvertita però e mentre seguitavo a parlare, pensavo e cercavo di scacciare l’importuna … Quanto facilmente mi credo essere qualcosa! Non mi accorgo che nulla è mio, che io non son che polvere, che cado ad ogni minimo soffio! … Signore, che io possa innalzare l’anima mia a Te! Ch’io non viva che degli aromi del tuo amore …

6 Dicembre 1928

Il mio Signore conduce l’anima mia … sento la sua mano a me vicina, sento che egli preserva il mio cuore dalle turbolente passioni. Quanto grande e buono è il mio Signore. Oh! egli che sa la mia miseria, la mia debolezza stragrande, mi preserva con mano paterna da tutto ciò che può condurmi nel baratro. Sento di godere purezza di cuore e di sentimento.

L’anima mia magnifica il Signore: egli solo è buono, egli solo è buono.

7 Dicembre 1928

Don Virgio m’indica un luogo splendido ove esplicare la mia vita religiosa: si tratta di domenicane, dedite all’educazione delle adolescenti, luogo veramente incantevole situato in città. Signore, a Te chiedo lume e forza.

9 Dicembre 1928

Ieri giornata quasi paradisiaca. Ha incominciato con la Messa del mattino ad inebriarsi il mio cuore ed in tutta la giornata ho goduto pace divina.

Ieri mattina nella confessione manifestai al mio Direttore il desiderio di sottomettere la mia volontà a quella degli altri. Non me lo permette che in linea ristrettissima, soltanto cioè quando io credo sia un bene lasciar fare. Mi indica sol-tanto di mostrare sempre, per non mancare di rispetto a mia madre, il mio parere e convincere con gentilezza. I miei mi lasciano fare ed egli mi dice di fare … (sic).

Ebbene, Signore, la parola del mio confessore è parola tua, ed io desidero sottomettermi.

ANNO 1929                                                                         1 Gennaio 1929

Ieri sera dopo il ritiro, il mio cuore rigurgitava di molteplici sentimenti. Era riconoscenza verso Dio, rammarico per la freddezza e l’incostanza mia per non aver saputo usufruire di tutte le infinitesime grazie che il Signore mi ha fatto durante l’anno. Più il tempo trascorre e più sento la mano di Dio a me vicina.

Durante il 1928 poi posso dire che il Signore mi si è fatto continuamente sentire qual padre amoroso che conduce i suoi figli per mano.

Fo oggi, riflettendo ed osservando il passato, fermi e seri propositi, simili a quelli che feci sulla culla del Pargoletto Gesù nella Notte di Natale, così paradisiaca per me. Signore, ho poco e quel che ho è tuo. Ebbene fa che io spenda tutto per te, che io non viva che in te. Dio mio, fammi sentire la tua voce che mi chiama, affinché io sempre risponda prontissima e con tutto l’essere mio …

Dio mio, infinitamente grande e misericordioso, grazie, grazie … ma non abbandonare mai la tua figliola troppo fragile e troppo piccina per comprendere le tue cure minuziose e stragrandi.

3 Gennaio 1929

Dopo tante titubanze finalmente sono riuscita stamane a fare la mia confessione generale. Ne avevo bisogno, dopo tanto tempo. Eppure ero titubante.

Signore, no, non voglio nemmeno più pensarci … Ma, grazie infinite, la tua misericordia, il tuo occhio vigile e paternamente onnipotente, allora più che mai, mi tenne per mano. Oggi mi fa quasi meraviglia pensare ch’io fui lì lì per cadere tanto in basso … Meraviglia come? Perché? Non so ancora bene che sono quel nulla? … Eppure il Signore ha voluto rinobilitare il mio cuore . . . che ora si sente suo, benché tanto deficiente …

Dio mio, grande e buono, grande ed immortale, l’anima mia è magnificata dalla tua grazia costante, l’anima mia quasi baldanzosa si affida, nelle tue braccia. Dio mio, mio tutto, fa che possa tutto vincere, tutto superare per donarmi tutta a Te … Non potrò più darti l’anima candida del battesimo … eppure ti prego non sdegnare per sposa chi propone nell’amor tuo riabilitare l’essere da te datogli.

Il mio Padre spirituale mi ha tanto ripetuto un motto di S. Paolo, dicendomi di averlo sempre presente. Volevo ora scriverlo sul frontespizio di questo libretto, ma mi è sfuggito: mi serviva per combattere la superbia.

19 Marzo 1929

Da tanto tempo non scrivo più una parola sul mio giornale. Che c’è stato di me durante questo periodo? Nulla di straordinario … Si sono susseguiti sì gli alti e bassi della nostra fragile anima. Zia A. ha fatto rottura completa con zio T., ora è dai B. ed io … io penso di non aver usato e di non usare nemmeno presentemente tutta quella carità cristiana che vince i cuori e sa riabilitarli.

Ogni mattina, alzandomi, mi propongo esplicare nella giornata tutta la carità cristiana che mi sarà possibile … amare, far traboccare il mio cuore d’amore. Amare le mie figliole, che si portano bene, ma più quelle che lasciano desiderare … Avvicinare chi si allontana perché in via di deperimento morale … Insomma amare, amare, e non riesco. Signore, quanto sono misera!

19 Marzo 1929

Mia madre mi ha domandato una cosa a riguardo del contadino. Le ho risposto svelta, dicendo il mio parere e non mi sono accorta che potevo essere più gentile. Il «mi pento» non è mai tardi.

25 Marzo 1929

Ieri non si è fatta l’adunanza, perché la maggioranza era assente. A. e M. erano partite alla mattina per Sant’Elpidio e sono tornate tardissimo. Avranno sentito forse un po’ di compiacenza perché, loro assenti, hanno mandato in fumo l’adunanza?

Oggi, dopo aver acconsentito, man mano son tornate … Che stiano combinando qualcosa!!! Nemmeno V. s’è vista! Signore, dammi lume e forza! Cuor di Gesù, confido in voi.

Mi ha irritata un pochino sentire che non sarebbero venute perché non vi era Don Virgio … ed ho risposto un po’ male …

1 Aprile 1929

Le suore di Empoli propongono ch’io vada a visitare il luogo, accompagnata da Don Virgio, che dovrà recarsi nei pressi di suddetta città.

Io sono contenta di andare, di vedere e di abbreviare la mia vita secolare … lo sento ogni giorno che divento un’estranea … che mi stacco dal mondo.

La prospettiva del viaggio mi mette in pensiero, in apprensione; c’è da salvaguardare la morale di un popolo gretto e piccino, che vedendomi partire con un sacerdote, con questo sacerdote … Dio ne liberi, poi temo ancora sempre la mia troppa, troppa, troppa debolezza e fragilità … potrei incontrare chissà quanti e quali pericoli … Eppure il Signore sa sempre e dovunque vigilare sulle sue pecorelle!!!

Le mie figliole vanno a rotta di collo. Povere figliole, hanno una mamma spirituale troppo debole, che non sapendo sufficientemente amare, non sa sacrificarsi e vincere sempre … sì, vincere con l’amore intenso ed alto, senza retorica.

19 Aprile 1929

Don Virgio non mi dice più nulla del viaggio. Certamente egli lo protrarrà parecchio …  E l’anima mia come si sente? Gretta, piccina, piccina ancora. Superba poi tanto, tanto … Signore, che ne farete del mio cuore arido, della mia mente ristretta, della mia coscienza gretta?…

Ogni sera, facendo il mio esame, trovo di non essere caduta in peccato grave ma sento pena di non aver approfittato di tutte le occasioni che mi si sono presentate per avanzare nella perfezione del nuovo spirito, ed allora sento nostalgia del tempo perduto e malcontento di me stessa … Le mie figliole che mi mettono in apprensione maggiore, cioè A. M.-V., si sono (sembra) ufficialmente fidanzate. Cerco di essere affettuosissima con loro, dire parole buone ed incitarle al bene … ma l’animo mio sente che il loro spirito va allontanandosi . . .

Sono stata contenta quasi che si siano fidanzate, poiché incominciano col suggere del nuovo affetto ed essere un pochino più posate. M. ha, in questi giorni, una calma, una tranquillità d’animo … Spero, e ciò sarebbe la loro tavola di salvezza, che gli uomini che hanno preso a trattare, posseggano serietà e rettitudine di principi e carattere fermo.

Dio mio, a voi le raccomando; aprite le loro menti, infiammate i loro cuori, fate che non siano rovina per se stesse e per gli altri …

Ieri il primo ritiro per aspiranti. Quanta consolazione ho provato, vedendo l’entusiasmo e la commozione di tutte …

Mi ha fatto veramente piacere il numero delle intervenute (quasi completo) e l’interessamento che hanno mostrato. Care figliuole! Signore, proteggile tu contro l’aria malsana che le circonda.

25 Aprile 1929

Mio Dio, grazie. Il dado è gettato. Signore, dammi forza. Ormai tutti in famiglia sanno la mia ferma risoluzione e … nel cuore del mio Vincenzino si sta svolgendo la lotta aspra e dolorosa … Ieri ho scritta la domanda alla Madre Priora delle Domenicane di Empoli …

30 Aprile 1929

Dal 21 una pace e una gioia celestiale invade l’anima mia … Grazie, o mio Dio, solo tu sai rendere dolce il sacrificio e la lotta, sacrificio di affetti, di distacchi, che fanno sanguinare il cuore, ma sublimano l’anima.

6 Maggio 1929

Il 1° Maggio mi sono stati rubati due anelli … Mi è tanto dispiaciuto … Sospetto su di un tale e mi nascondo per poter scoprire … Eppure la certezza del sospetto porterebbe tanto dolore a me e a mia madre, perché dovremmo lottare fra il castigo da infliggere e l’affetto. Orribile! Un figliuolo gettare forse l’infamia e il disonore su se stesso e sulla famiglia e trafiggere il cuore di due ormai canuti genitori …

Intanto il Signore mi fa toccare, direi quasi con mano, il fango, affinché più speditamente io vada a lui, affinché senta sempre più nausea di questo mondo basso e volgare.

9 Giugno 1929

Oggi anniversario della morte della mia povera mamma. Sono 19 anni … Quale dolore, quale vuoto nella casa il 9 Giugno 1910!!!…

Mamma mia, io non ricordo … non ricordo nemmeno la tua fisionomia, io ero dai nonni .   giocavo, ridevo, mentre perdevo il tesoro più grande di questa terra …

Mamma mia, tornai nella casa vuota, sentivo che mi mancava qualcosa, ma non capivo … non potevo capire. Dopo, a poco a poco l’acuto spino doloroso penetrava nel cuor mio e lo trafiggeva. Sentii ira contro tutti quelli che non mi ti fecero vedere magari morta, poiché almeno avrei sentito nella forte impressione una chiara memoria …

Mamma mia, ti ho invocata nelle notti di dolore, nelle difficoltà della vita, ho sentito nostalgia della tua carezza, del tuo bacio, la sento tuttora. Eppur mi sembra, e anzi son certa che il tuo spirito mi ha sempre protetta …

Mamma, veglia veglia sempre sui tuoi figli e fa’ che mai e poi mai tradiamo le vie del Signore. Loro imploreranno dal Signore a Te eterno riposo.

Don Virgio mi ha domandato il numero delle presenti all’adunanza e mi ha imposto di tener conto delle assenze per radiare chi manca senza giustificazione.

Io non ho potuto parlare, pure è necessario che io parli. Penso di proporre una sospensione … completa. A. forse tradita nel vero senso della parola.

  1. in via …

M.V., bandiera che gira a tutti i venti.

M.B., non posso precisare, non so.

  1. incostante …

E giù giù. Le C. sbagliano forse un po’ troppo nel parlare. Si dice che abbiano parlato male di M. con la sorella, la quale lo ha riferito alla madre del fidanzato.

Dio mio, non so da quale parte farmi e come agire.

26 Luglio 1929

Signore, io sia olocausto … fiat, fiat voluntas tua. Dammi forza, o Signore, che il mio Calvario mi conduca a Te . . Dio mio … Cadono le illusioni … la realtà è cruda … Dio mio dammi forza, non potrò essere la tua sposa in vita, possa esserlo almeno in cielo. Dio mio, ch’io perseveri fino alla fine. Usque in finem.

La caverna al polmone vi è, perché l’eruzione sanguinea si è manifestata. Credevo godere salute, quando il morbo minava sotto. Dio mio! Usque in finem!

Oggi venerdì sera, quando avrà sofferto Gesù nella dura sua passione? Signore, grazie che mi dai da soffrire un pochino anche a me!!! Signore, datemi forza, fino in fine.

9 Ottobre 1929

Dopo aver girovagato fra montagna e marina, dopo aver sostenuto gli alti e i bassi dell’anima mia, dopo aver conosciuta più o meno la cruda realtà e le brutture della vita mondana, eccomi sola nella mia cameretta a . . meditare su me stessa.

13 Dicembre 1929

Perché non scrivo più sul mio diario? Non so, eppure fa bene all’animo il fermare i moti di esso per meditarli!

0 Signore! Come mi appariva vicina la meta nell’ottobre!!! Come tu vincevi ogni ostacolo da parte dei Superiori, che mi invitavano ad andare!!! Signore, tutto ho provato … ma l’animo mio ancora non ne esce degno e forse ne sarà degno mai!!!

Dio mio, cosa avrà pensato la Superiora sulla mia risposta?

«No», dicevo, «non posso, Madre mia, accettare ciò che mi propone, perché in coscienza debbo dire di non sentirmi sufficientemente bene e mai acconsentirò recare peso e danno a persone sì generose con me»

Lei non ha più risposto, né lo stesso don Virgio. Capisco che altre occupazioni lo assorbono … O forse egli capirà che la corrispondenza, invece d’essere un bene per l’animo, è un turbamento?!

Signore, dammi lume e forza; fa che io possa conoscermi chiaramente, fa che io possa sopportare tutto con gioia; ch’io possa vincere me stessa ed essere tua in tutto e per tutto. Dio mio, mio tutto.

17 Dicembre 1929

Il mio nuovo direttore dice che il Signore vuol ora un po’ baloccarsi con me.

Grazie, Signore, che ti degni giocare con un ninnolo tanto imperfetto!

Ero lì lì per raggiungere la meta: bastava che stendessi la mano ed ora è sfuggita, non lo scorgo più. La Superiora d’Empoli non ha più risposto alla mia lettera …

Le C. hanno avuto la risposta di accettazione. Grazie, o mio Signore, che mi hai permesso di lavorare un pochino per te, che le due figliuole siano presto tue.

23 Dicembre 1929

Siamo verso la fine d’anno. Poi domani, Natale, fra 7 giorni finirà l’anno giubilare per le nozze d’oro di SS. Santità. Ed io, oltre al giubileo, vorrei fare un po’ i conti anche dell’anno con l’anima mia.

La mia vita spirituale è stata in generale un po’ tiepida. Benché avessi sempre cullata nel mio cuore quasi la certezza di essere presto la sposa di nostro Signore, pure non sono riuscita a togliere i miei soliti difetti e le mie imperfezioni: carattere importuno ed irascibile, superbo e perciò tanto poco caritatevole.

Le croci che il Signore mi ha mandate fisicamente mi sembra in fondo di non averle disprezzate, benché spesse volte non abbia saputo frenare le lagrime e gli scoraggiamenti.

Le grazie che il Signore mi ha elargite sono state innumerevoli, specie durante il nuovo soggiorno di montagna. Pensavo da tanto tempo lasciar la mia carica nella Gioventù Femminile Cattolica. Il Signore non me lo ha permesso, ed io, dal canto mio, cercherò di fare quel che potrò, mi metto nelle sue mani e son sua, faccia un po’ Lui di me. Fiat voluntas tua usque in finem.

Ho scritto a Don Virgio ed alla Priora per gli auguri.

1930                                                                                     1 Gennaio 1930

Ecco la prima data che scrivo con l’anno nuovo e desidero che serva a fissare proprio il mio proposito, ciò che mi dovrà servire per avanzarmi nel cammino della perfezione.

Sento che il Signore mi vien chiamando, ed io per tutto il tempo che mi rimane ancora non propongo altro che di essere un suo piccolo strumento. Su me si adempia la sua volontà divina … Ed il mio fiat sia gioioso: ecco quello a cui debbo giungere, sorridere nel dolore, pensando di adempiere la volontà del mio Signore, che largisce a me tanti deliziosi fiori e profumi.

Nota editoriale

<questo diario segue in altre due parti riguardanti gli anni 1930 e 1931>

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Padre Pio da Pietrelcina nel 1927 in un sogno di Maria Gioia da Casette d’Ete (Sant’Elpidio a Madre FM) Cammino verso la perfezione)

Dal Diario di Maria Gioia edito 1973 e riedito varie volte alla data 19 luglio 1927 l’approvazione di Padre Pio da Pietrelcina 19 luglio 1927

\\ Bello il sogno dell’altra notte. Andavo con una compagna, ci appressiamo ad un frate, che nella fantastica illusione del sogno mi figuro per P. Pio da Pietrelcina. Parlo al Padre e nella certezza di avere un consiglio infallibile gli espongo il mio pensiero riguardo alla scelta del mio stato. Ed egli risponde approvando.

Io sento sobbalzarmi il cuore di gioia a tale assentimento . . .

Ebbene: non sarà proprio attuabile il mio sogno? Perché sempre temere e barcollare? Non ha detto il Signore che chiunque abbraccerà uno stato, al quale si è spinto volontariamente, troverà sempre la grazia necessaria e le consolazioni? Signore, che importa dunque se Tu mi caricherai di dolori, di croci? Solo fa che io giunga a Te. Il resto accetto dalla Tua mano divina.

Signore, infiamma il mio cuore, fallo traboccare d’amore e di coraggio!\\

Decise essere sposa di Gesù

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PER LA VENERABILE SERVA DI DIO MARIA GIOIA DI CASETTE D’ETE (1904-1931) preghiera per la beatificazione

Marietta Gioia e il suo Diario. libro edito nel 1973 a cura di Guido Anacleto Piergallina

VENERABILE SERVA DI DIO

28 settembre 1904 – 7 marzo 1931

PREGHIERA PER CHIEDERE LA GLORIFICAZIONE DI MARIA GIOIA <p.334>

Eterno divin Padre che hai concesso molti doni di natura e di grazia a Marietta Gioia concedi che questa tua serva venga glorificata nella Chiesa e sia di esempio a tutti i tuoi figli.

Eterno divin Figlio che hai fatto di Marietta Gioia la tua sposa fedele, degnati di manifestare ai membri della tua Chiesa le virtù di lei in modo che molti desiderino consacrarsi a te.

Eterno divino Spirito che hai santificato Marietta Gioia e l’hai resa apostola della gioventù, glorifica questo tuo mirabile strumento affinché tutti i cristiani come lei sentano il bisogno dell’apostolato.

O Vergine Immacolata, che hai protetto in maniera singolare Marietta Gioia che divenne così imitatrice del tuo amore e della tua purezza chiedi a Gesù la glorificazione di questa tua figlia, affinché la carità e la santità dei costumi si diffonda sempre più tra i cristiani.

PREGHIERA DA RECITARSI SOLO IN FORMA PRIVATA

Eterno divin Padre, ammiriamo la costante e generosa diligenza con cui la vostra serva fedele Marietta Gioia, in tutta la sua vita corrispose ai vostri molti e grandi doni di natura e di grazia e, per i meriti di lei, concedete anche a noi di vivere sempre docili ai vostri comandamenti e donateci la grazia che con fiducia vi domandiamo.

Pater, Ave, Gloria.

Eterno divin Figlio, Gesù benedetto, per i meriti della vostra piccola sposa, Marietta Gioia, che si è consumata in una continua e dolce estasi di amore per Voi, vivente nella SS. Eucarestia, infondete anche in noi un po’ della sua devozione e concedeteci la grazia che per sua intercessione domandiamo.

Pater, Ave, Gloria.

Eterno divino Spirito, per l’attività sempre pronta e costante che mostrò la vostra creatura Marietta Gioia, per cui, nella vostra Fortezza, essa riuscì a compiere grandi cose a gloria di Dio e a bene delle anime, concedete anche a noi di vivere da ferventi cristiani e intanto dateci quella grazia che nel nome di lei, noi vi domandiamo.

Pater, Ave, Gloria.

O Vergine Immacolata, ideale di imitazione, centro di pietà, e oggetto del più tenero amore di’ Manetta Gioia, per i meriti di questa vostra cara e prediletta figliola, dateci l’amore vostro costante, fateci vivere sempre sotto la vostra protezione, e otteneteci la grazia che con fiducia, in nome di lei vi domandiamo.

Tre « Ave Maria ».

-.-.-.-.Schema del libro di Guido Anacleto

LA VITA

. II mondo di Marietta Gioia

. Una stellina tremula nel buio cielo di Casette d’Ete

. L’età preziosa

. II culto della natura

. Marietta Gioia e l’Azione Cattolica

. Il rinnovamento spirituale e l’ultimo quinquennio

. Oltre la tomba

IL DIARIO SPIRITUALE

.-. Usque in finem <fino al compimento finale>

.-. Prudens ut serpens, simplex ut columba <Prudente come serpente, semplice come colomba>

.-. Dilectus mihi et ego illi <A me il mio dilettyo ed io a Lui>

.-. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat <Cristo vince Cristo regna Cristo guida>

Il DIARIO di Maria Gioia è stato più volte riedito

Chi crede aver ricevuto qualche grazia da Dio per intercessione di Maria Gioia, può darne relazione o al Parroco di Casette d’Ete \ o alla Rev.ma Curia Arcivescovile. Via Sisto V .63900 FERMO (FM)

\  Parrocchia SS: Salvatore – Via Garibaldi 76 – Frazione di Sant’Elpidio- 63811 Casette d’Ete (FM)

 

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San Pio da Pietrelcina speciale Patrono della Protezione civile. Dipinto di Salvatore Tricarico donato

Pittore Salvatore Tricarico di Calvello (Potenza)  dona alla Protezione Civile Italiana

il suo dipinto raffigurante il santo del coraggio per il bene della gente

SAN PIO DA PIETRELCINA

La protezione civile italiana nelle dimensioni della territorialità nazionale intende eliminare le discrepanze tra territori protetti e territori abbandonati nel fronteggiare gli eventi disastrosi. Tra tutti i santi italiani il più noto per la personalità che lo accosta al mondo delle sofferenze emergenti per aiutare con disponibilità le persone necessitate è San Pio, Francesco Forgione.

Quotidianamente professionisti e volontari sono le energie importanti a garanzia contro i disastri in modi e in luoghi dove si osservano i pericoli emergenti per predisporre il pronto intervento protettivo a cominciare dalle forme organizzate e strutturalmente efficienti nei supporti operativi. Anche di San Pio si diceva a servizio delle altrui urgenze per le necessità stringenti ed ha creato la “Casa di sollievo della sofferenza” meraviglioso e grandioso sistema di interventi. Il santo ispira l’analisi delle situazioni, la rilevazione dei servizi, lo stato di applicazioni delle leggi vigenti, la formulazione di proposte agli organismi istituzionali, la promozione delle conoscenze pertinenti e la sensibilizzazione della società civile, per la sinergia nelle prestazioni programmate.

Gli operatori della protezione sono ricostruttori della speranza, costruttori di bene con azioni virtuose nel sostenere i diritti dei cittadini disastrati da calamità naturali. La meritoria attività in ogni territorio sta realizzando progetti di risanamento e di affrancamento dallo sfacelo. San Pio costituisce un punto di riferimento e di instancabile presenza nel prendersi cura degli altrui bisogni valorizzando la dignità delle persone calamitante.

Il riconoscimento del patrono San Pio serve a creare una sinergia preziosa tra le realtà operative con la convergenza dei pensatori atei e dei credenti in modo da intervenire assieme a risolvere i problemi e assieme contribuire a contrastare le sofferenze umane e a provvedere alle ricostruzioni.

In ambito europeo le legislazioni assicurano il miglioramento dell’accessibilità dell’erogazione e della diffusione dei servizi istituzionali per gli obiettivi di protezione nelle emergenze.

San Pio da Pietrelcina

IL DIPINTO PER IL CORAGGIO

In Italia il volontariato esprime un chiaro senso di umanità che ha coinvolto moltissime persone. Il pittore Salvatore Tricarico nato a Calvello in Basilicata nella forte passione per l’arte pittorica ha cercato le figure che meglio esprimono la fraternità e la dignità umana. In particolare l’aiuto a chi si trova nella sofferenza porta serenità e pace se manifesta la partecipazione di chi si fa compagno di vita nelle difficoltà.

Un frate cappuccino è stato proclamato patrono delle associazioni di volontariato ad opera dei Vescovi italiani assieme con papa Francesco: san Pio da Pietrelcina molto conosciuto e frequentato a San Giovanni Rotondo perché ha sempre manifestato una forte comprensione nella vicinanza e nella condivisione di fronte alle umane sofferenze. E’ ricordato nella data del 23 settembre dai moltissimi che ne fanno memoria. E’ considerato protettore a sostegno nei momenti quando si attraversano situazioni emergenti.

E’ il frate delle stimmate del Crocifisso nel suo corpo. Ha fondato la Casa “Sollievo della sofferenza” (non voleva fosse detta ospedale) per avvicinare il personale sanitario alla persona sofferente con spirito di coraggiosa fiducia nella vita, spirito di bontà nel cercare le soluzioni e terapie necessarie superando anzitutto il sentimento di smarrimento e l’angoscia grazie alla generosità nell’aiutare gli altri.

Il Dipartimento del servizio della Protezione Civile in Italia si occupa a livello nazionale della previsione, prevenzione, gestione e superamento dei disastri, calamità umane e naturali con interventi di emergenza in cui si coinvolgono i militari, i poliziotti, la Croce Rossa, il Servizio sanitario, la ricerca scientifica, oltre al volontariato.

Il pittore Tricarico Salvatore ha avuto molte richieste per fare dipinti raffiguranti il patrono san Pio e ha creato molte opere. Recentemente ha offerto al Capo del Dipartimento della Protezione Civile Dott. Angelo Borrelli un quadro con la pittura di san Pio da Pietrelcina in atto di significare il coraggio nei pericoli.

Nel dipinto si nota s. Pio che si raccoglie in preghiera appena avverte che dall’etere gli stanno giungendo le onde dell’eco delle calamità e si inginocchia per trovare la luce della bella speranza. Quelle onde sismiche hanno le spine pungenti del terrore angoscioso, ma il santo francescano lascia che la sua umile faccia venga circonfusa dalla luce proveniente dal volto luminoso del Cristo Amore Misericordioso in croce. Prega con il salmo biblico e affida ogni pena al divin Salvatore. Il santo frate patrono stringe nella mano il Rosario e supera lo smarrimento delle umane sofferenze, perché la sua cara Madonna delle Grazie gli infonde il conforto, gli assicura la fiducia che vince l’angoscia dei mali. Al corpo trepidante nel dolore è vicino il Buon Dio con la Mamma celeste. Così è superata ogni solitudine.

Il Dr. Angelo Borrelli ha accolto di buon grado e con gentile disponibilità il dono offerto dal pittore Salvatore Tricarico allo scopo che l’immagine molto significativa del santo protettore rimanga nella sala della Protezione civile nazionale.

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IMMAGINE DELLA VIRGO FIDELIS dipinta da Tricarico Salvatore 2019 a Milano

IL DIPINTO VIRGO FIDELIS marzo 2019

Salvatore Tricarico in quest’opera di pittura dà rilievo all’icona della Virgo Fidelis, su sfondo arcuato a marmo, con raffinatezza d’arte negli accordi dei colori delicati usati identificando la luce con il colore stesso. Il volto della Vergine ha uno rilievo che risalta nelle parole “ – Sii fedele fino alla morte –  Ap 2,10”. Lo sguardo sulla Bibbia connota l’attenzione della divina persona nella carica emotiva e psicologica che rivela la sua dedizione giurata con la mano aperta sopra al cuore come impegno totale.

Il motto “NEI SECOLI FEDELE” è stampato sotto la mensola dove spicca l’acronimo ‘RI’ della Repubblica Italiana assieme con i simboli nazionali dei Carabinieri la cui coccarda ha i colori della bandiera italiana. E’noto che dal novembre 1949 la Virgo Fidelis è la patrona speciale dei Carabinieri e questo settantennio 1949-2019 coincide felicemente con l’età dello stesso pittore nato a Calvello di Potenza nello stesso anno. A lui porgiamo cordialmente i nostri migliori  rallegramenti con felici auspici.

Virgo Fidelis

 

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MIOLA = IL CAMMINO DELLE FEDE NELL’EUCARISTIA DEL CRISTO IMMOLATO E RISORTO PER NOI

MIOLA DON GABRIELE E INSIEME  DON SILVIO PATERNESI SPIEGANO L’ESPERIENZA DELL’UMANITA’ IN CAMMINO CON LA FEDE

= Homo viator = pellegrini

Prendiamo spunti dai discepoli di Emmaus: perché lasciano Gerusalemme e si dirigono verso Emmaus? Forse per uscire da quell’atmosfera di sgomento e di angoscia, forse per poter svuotare il loro cuore ad altri, che potessero capirli, forse per tornare alle loro famiglie che avevano lasciato, per seguire Gesù di cui, dopo la conoscenza di Lui e delle sue opere e le tante speranze fiorite nel loro animo, avevano visto la brutta fine e stavano vivendo anche la fine delle loro speranze e dei loro desideri.

Mettersi in cammino è sempre come avviarsi verso un nuovo inizio e questi due avevano proprio bisogno di buttarsi alle spalle un momento della loro vita, bello per la conoscenza che avevano fatto di Gesù, ma brutto per la conclusione disastrosa, che adesso volevano dimenticare.

Le speranze e le delusioni trasparivano dai loro volti e da quanto si stavano raccontando: le speranze sorte dal contatto di Gesù e con i suoi discepoli, dal vedere la folla attorniare Gesù e forse anche qualche miracolo compiuto dal Maestro e poi la delusione nel constatare il fallimento dì tutto, in quella Pasqua in cui Gesù arrestato al Getsemani, fu ridotto a nulla, condannato alla croce. Un camminare straziato dal buio che avvolgeva il loro cuore e la loro mente e senza alcuna speranza, e mentre camminavano tristi i loro discorsi servivano ad attenuare la sof¬ferenza e le delusioni che portavano in cuore.

Oggi non si cammina più; ci si sposta in macchina, il parlare diventa spezzato e meno sentito, la riflessione quasi sfuggente e meno approfondita e i sentimenti velati e nascosti. Altro è parlare di quanto si è vissuto insieme mentre si fa un tratto di strada e altro è dirsi le esperienze in breve tempo mentre si fanno pochi chilometri in macchina. Si può dire oggi che non esiste più il camminare, l’incontrarsi, il passare del tempo insieme mentre si va parlando. Sono preziose le iniziative di pellegrinaggio in cui si fanno chilometri insieme, pregando, meditando, rileggendo il Vangelo e la vita della Chiesa, è un dialogare con Dio la propria conoscenza con chi ci sta vicino e porta con se gli stessi nostri problemi e le nostre stesse richieste.

I due avevano raccontato che due degli undici che stavano con Gesù, all’annunzio delle donne erano corsi al sepolcro e avevano trovato la tomba vuota e il telo con cui era stato avvolto il corpo di Gesù al suo posto, ma afflosciato come se il corpo si fosse volatilizzato, ma non avevano visto Gesù. Tornati raccontarono tutto alla comunità, ricordarono anche quanto Gesù aveva detto loro, ma non sbocciò la Fede nel loro animo.

Per questo i due si stavano allontanando dagli altri e da Gerusalemme. Forse sarebbero tornati alla vita normale con in cuore amarezza e delusione per le loro aspettative. Il Viandante si fa raccontare quanto era avvenuto, ciò che è accaduto loro a Gerusalemme.

Raccontano anche di alcune donne, che stavano con Gesù: andate alla tomba hanno visto due persone, che hanno detto loro che Gesù è vivo e per questo la tomba era vuota. I due hanno raccontato con passione. Si capiva che gli eventi l’avevano toccati, ma era rimasti freddi dinanzi al racconto delle donne e alle loro affermazioni. Non riuscivano a capire l’affermazione che Gesù era vivo, mentre loro l’avevano visto morto e l’avevano messo nel sepolcro. Contro l’esperienza certa della morte i racconti delle donne non potevano persuaderli e cambiare la loro esperienza diretta del Gesù morto.

Succede anche a noi quando uno ci racconta della conversione e della vita nuova di una persona che avevamo conosciuta lontana dalla Fede, spiritualmente chiusa e morta, bestemmiatore e denigratore della Chiesa e della vita religiosa. Quando cii si dice invece che è cambiata, che fa opere buone di carità, che prega, che frequenta la Chiesa e i sacramenti. Non ci crediamo subito, ma vogliamo rendercene conto personalmente nella realtà. Forse i due ricordano che Gesù aveva predetto loro la sua fine. Non riescono ora a capirlo dal Viandante. Gustano i richiami che il Viandante fa alle Sacre Scritture, ma nel loro cuore dinanzi alla certezza che hanno della morte di Gesù, non riescono a venire alla Fede. La Fede infatti si pone su un altro piano: la Fede è fiducia alla parola che ci viene trasmessa, e superamento delle proprie idee e certezze per accogliere una parola nuova.

La Fede ha sempre un lato oscuro, che non ci fa aderire alla parola di un’altra persona, alla testimonianza altrui. I due sapevano anche che alcuni di quelli che stavano con Gesù erano andati al sepolcro e l’avevano trovato vuoto, ma non avevano visto Gesù. Anche dopo questa esperienza in loro non era sbocciata la Fede, ma piuttosto la delusione. Oggi noi ci stiamo allontanando da Gerusalemme per tornare ai nostri villaggi, alle nostre attività.

A questo punto il Viandante che è intervenuto rimprovera chiaramente i due che raccontavano quel che era avvenuto a Gerusalemme: Il Viandante mostra una visione differente dalla loro. Li rimprovera: “Stolti e lenti di cuore a credere a quel che dicono le Scritture”. Ricorda loro tutto quello che le Scritture dicono sul Messia, che egli doveva passare attraverso il rifiuto, la sofferenza e la morte prima di entrare nella gloria. Ma nonostante questa presa di posizione del Viandante gli occhi dei due discepoli non si aprono e non fioriva la Fede nel loro animo.

Le persone che, anche oggi, non sono più praticanti e si sono allontanate dalla Fede, pur di fronte alle prediche, alle esortazioni dei colleghi, dinanzi a quanti vivono il Cristianesimo in maniera serena ed aperta, anche tra racconti di cose meravigliose fatte o avvenute nella Chiesa, non accettano la Fede e la vita cristiana, la rifiutano. Rimangono nella loro indifferenza e addirittura nella loro ostilità nei confronti di Cristo e della Chiesa. Hanno bisogno di un’esperienza nuova, forte, personale, che li scuota dal torpore ed incredulità loro.

E noi, dopo arrivati in chiesa con un viaggio più o meno comodo a piedi o in macchina, dopo aver ascoltato la parola del celebrante: “Mistero della fede” acclamiamo: «Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione, Signore!». Questa Fede proclamata, ha la forza dell’esperienza vissuta, della gioia condivisa, dell’esultanza che parte dalla mente e dal cuore e ci fa sobbalzare di una gioia vera che inonda il nostro essere e trasforma la vita nella celebrazione e nella realtà. Quello che noi chiamiamo Messa è un rito. Noi corriamo il rischio di biascicare parole senza esultanza, parole che non fanno presa nel nostro cuore e tanto meno le sentiamo come parole di Fede che ci pervadono e trasformano la vita. Cantiamole, gridiamole quelle parole «È risorto il Signore!». Quel pane che spezziamo e quel vino che beviamo sono il Signore vivo in mezzo a noi, sentiamo il Signore che parla e ci unisce.

L’espressione originale “Ite, missio est” significa: andate, ecco comincia la nostra missione di annunciare, di mostrare con la vita, il lavoro, la gioia che ci pervade che Gesù è risorto, che vive accanto a noi, in noi, con noi e con tutti.

Da questa Fede viene la trasformazione della vita e del mondo, fioriscono l’aiuto vicendevole, la comprensione degli uni e degli altri, il perdono, la benevolenza, la speranza, la carità. E così che si vive veramente la vostra Fede, si fa sperimentare la speranza, si pratica la carità che unisce i cuori di tutti.

Nelle nostre parrocchie ci dobbiamo sforzare di vivere e far vivere la celebrazione della Cena del Signore come parte della nostra vita, come forza per il cammino verso la nostra salvezza. Questo ci dice e ci insegna l’Eucarestia che è il Sacramento più grande, l’apice della nostra preghiera e della nostra vita di fede.

Don Gabriele Miola e insieme Don Silvio Paternesi

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