CURETTA DI SERVIGLIANO HA LA CHIESA PARROCCHIALE CHE RISALE AL SECOLO X AD OPERA DEI MONACI DI FARFA

A CURETTA DI SERVIGLIANO UNA CHIESA FARFENSE DOCUMENTATA NEL SECOLO X DIVENUTA PARROCCHIALE NEL 1883.

Santa Maria della Strada chiesa antica documentata come proprietà dei monaci di Farfa sin dall’anno 936 esiste nell’attuale Curetta di Servigliano dove è divenuta chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria delle Piagge, nome c he indica il pianoro tra le alture ed è adiacente all’antichissima strada Fermana lungo la quale si vedono le muraglie di un antico acquedotto romano. Questa chiesa che dal secolo X viene utilizzata da oltre mille anni con gli inevitabili restauri architettonici lungo gli undici secoli trascorsi, ha una testimonianza muraria importante nella parete orientale (adiacente alla stessa strada) in un marmo incastonato, scolpito a vitigni, uccelli e foglie che non può essere datato al più tardi del secolo XIII per la sua arte (pure anteriore) come già fu scritto nelle schede d’arte redatte nell’anno 1982 con annesse foto da Carlo Tomassini incaricato dall’allora Soprintendenza a cui queste schede furono consegnate per servire all’Istituto Centrale per il Catalogo del Ministero dei Beni culturali e ambientali (cfr. CROCETTI Giuseppe, “Catalogazione degli oggetti d’arte nella diocesi di Fermo” in «Quaderni dell’archivio storico arcivescovile di Fermo» anno 1987 n. 4 p.16 e nota 9 p. 23). Per identificare il toponimo ‘S. Maria della Strada’ di Servigliano procediamo con il Catasto dell’anno 1817 esistente presso l’Archivio di Stato di Fermo (ASFM.) N. 117 Castel Clementino che registra le proprietà dichiarate appunto in contrada “Santa Maria della Strada”. La chiesa di Santa Maria de Strata è menzionata nei documenti editi del Regesto di Farfa (R. F., vol I) e del Chronicon Farfense sin dall’anno 936 come anche nel 963 ha varie conferme con conferma di sua appartenenza, come fece anche l’imperatore Enrico III nell’anno 1050 (R. F., IV cronologico); si ripete nell’elenco dell’anno circa 1067 dei beni svenduti e tolti ai monaci farfensi e passati ai signori locali e al vescovo di Fermo (R. F., V. num. 1318). Costui nell’anno 1108 fece costruire il castello di Servigliano sulla collina che sale dalla stessa strada creandovi la sua pievania di San Marco (ASFM codice1030 c. 26, c.83). Nell’anno 1270 fu condannata l’aggressione fatta dai santavittoriesi ai danni dei serviglianesi (Antichità Picene, XXIX, p. 214). Tra le pergamene dell’archivio di Montelparo conservate in ASFM. al n. XXXVIII c’è l’atto dell’anno 1277 con cui furono permutate le proprietà immobiliari tra i serviglianesi signori di Chiarmonte con quelli di Belluco nel vico di Santa Maria de Strata. L’«Inventario dei beni ecclesiastici della diocesi di Fermo del sec. XV» (nell’Archivio storico arcivescovile di Fermo, ASAFM) ha un inventario di Servigliano dell’anno 1407 ove sono scritti nella contrada Santa Maria de ‘Strata’ i terreni appartenenti alla chiesa serviglianese di Santa Maria de ‘Castro Firmano’. In questo archivio nel registro delle collazioni dell’anno 1460 un atto notarile contiene la nomina di unico rettore don Bongiovanne di Antonuccio per ambedue le chiese di s. Maria de ‘Strata’, e di S. Maria de ‘Castro Firmano’ (ASAFM. I.B.8. c.56v). Un cambiamento avvenne dopo il Concilio di Trento con la visita pastorale dell’anno 1582 (in ASAFM.) quando la chiesa di Santa Maria della Strada ebbe l’amministrazione trasferita nella pievania serviglianese di san Marco restandovi permanenti le celebrazioni liturgiche festive. Questa chiesa ha pregevoli opere d’arte nelle pale degli altari laterali: a sinistra il dipinto della Madonna della Consolazione o della Cintura (per l’antica confraternita serviglianese dei Centurati) dell’anno 1650 del pittore G. Ruffini e nell’altare a destra il dipinto della Educazione della Vergine Maria dell’anno 1770 del pittore Antonio Liozzi. Nel 1783 fu ampliata la chiesa perché il papa Pio VI la stabilì come nuova parrocchiale di Santa Maria delle Piagge, dividendo il territorio serviglianese in due parti, come risulta dalla visita pastorale diocesana dell’anno 1784 (ASAFM. II.A.15). Altri nuovi ampliamenti seguirono dopo terminata l’occupazione napoleonica dello Stato Romano pontificio, nella prima metà del secolo XIX, costruendo un locale attiguo alla parete occidentale e ancora la torre a lato della facciata che fu rialzata anche dopo l’occupazione savoiarda di questo territorio. Sempre gli abitanti Curettani hanno contribuito con le loro offerte per creare nuove opere d’arte. La volta della stessa chiesa fu dipinta nel 1937.  La studiosa che più ha raccolto e pubblicato documenti e immagini è Clementina BARUCCI nel libro «Servigliano. Primo Atlante delle Marche» (ed. Kappa Roma 1992), con sintesi in lingua inglese. I restauri e le riparazioni realizzate in questa chiesa parrocchiale di Santa Maria della Piagge sono stati documentati consegnando alla specifica Soprintendenza i documenti storici che furono richiesti e sono rimasti giacenti nella stessa Soprintendenza di Ancona.

 

 

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BLASI MARIO PARROCO EVANGELIZZA QUARTA DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO A

Parroco don Mario Blasi evangelizza IV DOMENICA ORDINARIA(Mt.5,1-12)

“BEATI I POVERI IN SPIRITO, PERCHE’ DI ESSI E’ IL REGNO DEI CIELI”.

Gesù chiama beati non quelli che la società rende poveri, ma quelli che per un impulso interiore dello Spirito decidono liberamente e per amore di eliminare le radici della povertà dei fratelli.

E’ l’Amore di Dio accolto nel cuore che spinge il cristiano ad entrare nella condizione della povertà.

Gesù non chiede di spogliarsi dei beni, ma di condividerli. Gesù non impone, ma propone il Suo messaggio di amore e il fedele risponde liberamente e con gioia.

Gesù chiede di mettersi accanto ai poveri per servirli e per risollevarli dalla loro condizione di miseria morale e materiale.

Il cristiano deve saper donare ciò che è e ciò che ha per rialzare chi vive nella misera condizione. Il cristiano può realizzare ciò se comprende che Dio è il Re del suo cuore.

“Quanti accolgono Dio come unico Re della loro vita non vengono governati mediante imposizioni di leggi a cui obbedire, ma con l’incessante comunicazione del Suo Spirito che rende capace ogni uomo di diventare figlio di Dio” (A. Maggi).

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

Il cuore è la coscienza della persona, è la sede dove l’uomo prende le sue decisioni. “La vera purezza, che nasce dal cuore, si traduce in amore e si manifesta sempre attraverso atteggiamenti che trasmettono la vita a chi non la possiede in pienezza”.

I puri di cuore sono le persone sincere, “le persone limpide, le persone trasparenti, le persone cristalline… le persone che hanno rinunciato ad apparire e si preoccupano soltanto di servire gli altri”.

Queste persone, “durante la loro esistenza terrena faranno un’esperienza costante, continua e profonda della presenza di Dio. I puri di cuore, queste persone limpide e trasparenti, si accorgono di una presenza di Dio continua e costante, un Dio che si mette al servizio dei Suoi, un Dio che tutto trasforma in bene.

Chi è trasparente con gli altri, è trasparente anche con Dio, percepisce Dio nella propria esistenza. Altre persone non vedono tutto questo, perché sono occupate da troppe cose”(A.Maggi).

(PURI = Quanti scelgono di condividere tutto quel che hanno: Beati! Perché Dio si prende cura di loro).

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
(Gli oppressi: Beati! Perché terminerà la loro oppressione).

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

(Gli emarginati: Beati! Perché ritroveranno dignità).

Beati gli affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati.

(Quelli che vivono per la giustizia: Beati! Perché questi saranno soddisfatti).

Beati i misericordiosi, perché riceveranno misericordia.

(Quelli che sono sempre pronti ad aiutare: Beati! Perché saranno sempre aiutati da Dio).

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

(Quelli che sono sinceri: Beati! Saranno sempre in presenza di Dio).

Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio.

(Quanti lavorano per la felicità dell’uomo: Beati! Il Padre è con loro).

Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

(I perseguitati per la loro fedeltà al Vangelo: Beati! Perché Dio si prende cura di loro).

Nell’Uomo Gesù le Beatitudini si sono pienamente realizzate. Con le Beatitudini sorge un nuovo rapporto tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e il suo simile, tra l’uomo e il creato!

“Beati i poveri in spirito”.

La vita di ogni uomo è piena di affanni! E’ mai possibile che Gesù dichiari: “Beati i poveri”? La vita dell’uomo ha qualche “sprazzo” di felicità, ne possiede solo qualche frammento. Si è felici solo per alcuni istanti per il successo sul lavoro, per la nascita di un figlio, per lo sposo o per la sposa, per l’amicizia, nel partecipare ad un banchetto di amici o parenti.

In questo mondo l’uomo sperimenta sempre piccoli momenti di felicità! Perché Gesù promette per i poveri una felicità che investe tutta la vita? Gesù dice:

Di essi è il Regno dei Cieli”.

La Beatitudine di Gesù, cioè la felicità che Gesù promette, viene dal fatto che, per mezzo Suo, Dio è Signore della vita e della storia. Gesù dice che il Regno di Dio è alle porte, a portata di mano, ed è accolto da chi ha il cuore buono.

Per Gesù le Beatitudini sono progetti di vita. Per la mentalità presente le Beatitudini sono dei paradossi: inquietano e stupiscono. Per Gesù le Beatitudini ricordano che Dio è presente nella storia e salva per mezzo di Lui.

I poveri sono beati perché, se sulla loro pelle pesa il peccato degli uomini che li fa poveri, con la Signoria di Dio presente in Cristo, saranno i primi ad essere salvati dalla loro condizionela loro vita è beata perché è nelle mani di Dio che ama e che salva”.

Le Beatitudini racchiudono un comportamento di vita veramente nuovo. Se Dio è presente nella storia per mezzo di Gesù, il cristiano deve avere una vita veramente simile a quella di Gesù, il Maestro.

Gesù ha sempre cercato i poveri, li ha amati, li ha preferiti”. Gesù è il povero per eccellenza. Per la giustizia è perseguitato, insultato, calunniato. Egli, di fronte alla coalizione dei potenti, è disarmato, mite e misericordioso, ma di una forza morale straordinaria. E’ uomo di pace e di perdono, ma è sempre sicuro nelle mani di Dio.

Ogni comunità deve guardare al Suo Signore, deve essere sempre in devoto ascolto della Sua Parola, per avere la forza per affrontare le prove.

Le Beatitudini devono raffigurare la fisionomia di ogni comunità, in esse si deve confrontare per vivere povera in spirito. Ogni comunità è chiamata a eliminare le cause che provocano la povertà.

Gesù, “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della Sua povertà” (2Cor 8,9).

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CELIBATO DEL PRESBITERO COME SEGNO DI UNIONE CON DIO CON I CONFRATELLI CON LA GIOVENTU’

CELIBATO nel legame tra sacerdote e comunità. Convegno: “Spiritualità del presbitero diocesano oggi”.

Omelia di Giovanni Paolo II basilica di san Pietro 4 novembre 1980. Estratto riguardante il Celibato dei sacerdoti: “ Un sacerdote che mancasse di un qualsiasi inserimento in una comunità ecclesiale, non potrebbe certamente presentarsi come modello valido di vita ministeriale, essendo essa essenzialmente inserita nel contesto concreto dei rapporti interpersonali della comunità medesima. In questo contesto trova il suo senso pieno lo stesso celibato. Tale scelta di vita rappresenta un segno pubblico di altissimo valore dell’amore primario e totale che il sacerdote offre alla Chiesa. Il celibato del pastore non ha soltanto un significato escatologico, come testimonianza del regno futuro, ma esprime altresì il profondo legame che lo unisce ai fedeli, in quanto sono la comunità nata dal suo carisma e destinata a totalizzare tutta la capacità di amare che un sacerdote porta dentro di sé. Esso, inoltre, lo libera interiormente ed esteriormente, facendo sì che egli possa organizzare la sua vita in modo che il suo tempo, la sua casa, le sue abitudini, la sua ospitalità e le sue risorse finanziarie siano condizionate solo da quello che è lo scopo della sua vita: la creazione intorno a sé di una comunità ecclesiale.” \

Il presidente della Commissione del clero della Conferenza Episcopale Italiana ha scritto a conclusione del predetto convegno: «Il Presbitero realizza il suo ministero di Pastore celebrante ed edifica il popolo di Dio con la grazia che viene dall’alto. Sarà quindi in grado di trarre da queste perenni sorgenti la forza per seguire fedelmente il Cristo nella verginità, nella povertà, nell’obbedienza, segno e condizione insieme di quella carità pastorale che è lo specifico della spiritualità del Presbitero diocesano. Il celibato fa del prete un uomo consegnato per amore alla sua comunità che diviene, così, la sua famiglia. In tal modo egli aderisce più facilmente e totalmente a Cristo Pastore che dà la vita per le sue pecore e si dispone meglio a una più ampia paternità. E’ stato rilevato che questo valore della verginità arricchisce la Chiesa in quanto segno rivelatore dell’amore di Dio e l’avvicina nel servizio al mondo. Convinti che la vita celibe è un dono di Dio, si rileva la convinzione che va chiesto a Dio con insistenza. La vita celibe è parte della particolare ascesi del presbitero e della fraternità sacramentale, e va vissuta in amicizia con i confratelli e col Vescovo.

Ne deriva una spirituale fraternità che induce fortemente il presbitero a discernere tra i figli di Dio quanti Egli ha chiamato a ogni forma di vita consacrata, soprattutto al sacerdozio. Sentirà allora insopprimibile l’amore al luogo di sua formazione, il seminario, ove ritornerà spesso, mente et opere, curerà a tal fine con una pastorale vocazionale, tutta la gioventù.

Ricorderà alla famiglia dei laici la loro specifica vocazione battesimale di vivere secondo Dio per “ordinare secondo Dio” le realtà temporali del mondo e si sentirà, a tal fine, impegnato a dare ad essi quanto ad essi occorre, di verità e di grazia, perché non abbiano mai a separare la vita dalla fede.»

 

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TREBBI FRANCESCO (Mercatello sul Metauro 1824- Fermo 1912) sacerdote canonico della cattedrale valente studioso e scrittore

TREBBI FRANCESCO (Mercatello sul Metauro 1824- Fermo 1912) <notizie derivate e adattate dal Foglio Ufficiale Ecclesiastico di Fermo anno 1912 pagg. 104-105>

Sacerdote arcidiacono della chiesa metropolitana di Fermo, è nato il 2 Aprile del 1824 a Mercatello <sul Metauro> da Vittorio Trebbi medico valente e cristiano piissimo e da Annunziata Rossi santa e gentil donna di Urbania. Nel 1836 entrava nel Seminario di Fossombrone dove compiva con assai lode il corso triennale di Grammatica Latina. Nel 1839, avendo il padre suo trasferito il domicilio in Monte Giorgio per ragioni professionali, il giovanetto Francesco passava al Seminario arcivescovile di Fermo dove fu sempre tra i primi, per studio, bontà e candore di animo. Ebbe gli Ordini minori dal cardinal Gabriele Ferretti arcivescovo e principe di Fermo (1837- 1841) e dal successore cardinal Filippo De Angelis (1842- 1877) ebbe la consacrazione Sacerdotale il 19 dicembre del 1847.Fin dal novembre di quest’anno, destinato da semplice diacono ad insegnare Belle Lettere nel Seminario, iniziava il corso di quel magistero glorioso che tanti uomini egregi per cultura letteraria non men che per virtù doveva preparare alla Chiesa e all’Italia. Zelantissimo, infaticabile, ha portato la sua attività anche nel confessionale e nel pergamo. Rari i paesi della Fermana archidiocesi che non abbiano intesa la sua parola dolce, insinuante, persuasiva e tutti ne conservano la più grata memoria. Corona ai suoi meriti, dall’arcivescovo cardinale Amilcare Malagola (1877-1895) gli è stato conferito l’onore di Canonico, poi di Arcidiacono della Chiesa Metropolitana. Nel Seminario dopo la cattedra ha tenuto l’ufficio importantissimo di Rettore e per rinuncia da questo è passato a quello di Prefetto degli studi che ha continuato sempre a disimpegnare con senno e prudenza. Mansuetudine di cuore, soave semplicità di costumi, compassione e generosa pietà per i poverelli, accoppiata alle altre virtù proprie del sacerdote cattolico hanno fatto di lui l’uomo diletto a Dio e agli uomini; la sua figura fu una delle più amabili e simpatiche della città di Fermo. Ma superiore ad ogni elogio fu certamente la sua modestia. Linguista e scrittore valente negli idiomi italiano e latino, epigrafista di vaglia, poeta gentile tale da meritare stima tra quanti vanno per la maggiore nel campo delle lettere. Un eminente personaggio lo ha dichiarato: “gemma nascosta dell’archidiocesi”. Amò, piuttosto, rimanersene nascosto e noto solo a quel Dio alla cui gloria aveva irrevocabilmente consacrato la vita, le forze, l’ingegno.

 

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MIOLA MONS. GABRIELE SPIEGA LA NOVITA’ DEL CONCILIO nelle relazioni TRA LA COMUNITA’ E IL PRESBITERO

MIOLA GABRIELE mons. Vicario generale dell’arcidiocesi di Fermo – Anno 1980 –

Il Vicario Generale Mons., Gabriele Miola ha partecipato al Convegno Nazionale su “LA SPIRITUALITÀ’ DEL PRESBITERO DIOCESANO, OGGI” dal 3 al 6 novembre organizzato dalla C. E. I. – Commissione Episcopale per il Clero –

Pubblichiamo le INDICAZIONI CONCLUSIVE <proposte> e alcune IMPRESSIONI di Mons. Miola, che riteniamo particolarmente indicative di come, pur nella generale positività dello stesso Convegno, sia difficoltoso affrontare con coraggio e netto spirito conciliare la attualissima questione della spiritualità del Clero diocesano.

.1. –“ Indicazioni conclusive dai Convegno raccolte dal Presidente della Commissione per il Clero. –   La così alta e intensa partecipazione a un Convegno tanto impegnativo, quale questo nazionale sulla “Spiritualità dei Presbitero diocesano, oggi” è già rivelatrice del bisogno ed esigenza, disponibilità e prontezza dei sacerdoti ad approfondire la propria identità di chiamati e convocati da Cristo nel servizio dei fratelli nelle cose che riguardano Dio per l’edificazione della Chiesa.

L’esigenza è imposta: dal desiderio di vivere autenticamente il sacerdozio; dalla realtà pastorale odierna in continua e rapida evoluzione, acuita dalla crisi dei valori del mondo contemporaneo che oggettivamente insidia anche il presbitero.

Il Convegno, attento al filone storico della spiritualità dei sacerdoti che ha saputo esprimere, in ogni luogo e tempo, i tanti testimoni della carità pastorale; accogliente delle motivazioni teologiche della chiamata del Presbitero a essere ministro di Cristo e della sua opera di salvezza, ha ravvisato che il Presbitero diocesano ha una sua propria, specifica spiritualità. Essa si radica nel sacramento dell’ordine e si attua mediante la carità pastorale.

Il Convegno ha quindi indicato le vie che il Presbitero deve percorrere, i mezzi che deve adoperare per essere nel mondo ciò che Dio vuole, cioè la presenza sacramentale del buon Pastore, pronto a impegnarsi, unito al Vescovo e per mezzo del Vescovo al Papa, al Presbiterio e a tutto il popolo di Dio nella evangelizzazione con tutte le forze e a dare la vita per le anime.

Il Convegno, avuto modo così di riflettere sull’esigenza della identità sacerdotale; preso atto delle indicazioni della storia; meditata la dottrina del sacerdozio, le esigenze della carità pastorale, ha raffrontato le opinioni di tutti in ampie discussioni che si configurano non tanto come conclusioni finali, ma piuttosto come una proposta da affidare allo studio e alla esperienza vissuta in vista di una più precisa definizione del volto spirituale del presbitero.

Emergono intanto con evidenza queste constatazioni:

  1. – Portare avanti, con decisione e fermezza, la permanente formazione dei Presbiteri alla loro specifica spiritualità, nei modi e nelle forme che i singoli presbiteri studieranno insieme con i loro Vescovi. E ciò per sviluppare sempre più nelle forme tipiche della spiritualità presbiteriale le varie dimensioni della vita sacerdotale: la preghiera personale e contemplativa dei misteri; le preghiera che diventa un’unica cosa col servizio pastorale; l’ascolto della Parola di Dio, meditata per sé e spezzata con fedeltà e fervore alle menti, perché orienti la vita e tutto il ministero; un cammino penitenziale permanente di conversione che purifica le intenzioni e rende obbedienti all’iniziativa di Dio (confessione frequente – revisione di vita – periodi di aggiornamento – incontri spirituali di Clero; ecc.).

Soprattutto una intensa vita liturgica, partecipata e vissuta con celebrazioni ben preparate, significative e bene espresse della Messa, dell’adorazione, della pietà mariana, delle “Ore”, e dell’intero anno liturgico.

In questo modo il Presbitero realizza il suo ministero di Pastore celebrante ed edifica il popolo di Dio con la grazia che viene dall’alto. Sarà quindi in grado di trarre da queste perenni sorgenti la forza per seguire fedelmente il Cristo nella verginità, nella povertà, nell’obbedienza, segno e condizione insieme di quella carità pastorale che è lo specifico della spiritualità del Presbitero diocesano.

  1. – Il celibato fa del prete un uomo consegnato per amore alla sua comunità che diviene, così, la sua famiglia. In tal modo egli aderisce più facilmente e totalmente a Cristo Pastore che dà la vita per le sue pecore e si dispone meglio a una più ampia paternità.

E’ stato rilevato che questo valore della verginità arricchisce la Chiesa in quanto segno rivelatore dell’amore di Dio e l’avvicina nel servizio al mondo. Convinti che la vita celibe è un dono di Dio, si rileva la convinzione che va chiesto a Dio con insistenza. La vita celibe è parte della particolare ascesi del presbitero e della fraternità sacramentale, e va vissuta in amicizia con i confratelli e col Vescovo.

Ne deriva una spirituale fraternità che induce fortemente il presbitero a discernere tra i figli di Dio quanti Egli ha chiamato a ogni forma di vita consacrata, soprattutto al sacerdozio. Sentirà allora insopprimibile l’amore al luogo di sua formazione, il seminario, ove ritornerà spesso, mente et opere, curerà a tal fine con una pastorale vocazionale, tutta la gioventù.

Ricorderà alla famiglia dei laici la loro specifica vocazione battesimale di vivere secondo Dio per “ordinare secondo Dio” le realtà temporali del mondo e si sentirà, a tal fine, impegnato a dare ad essi quanto ad essi occorre, di verità e di grazia, perché non abbiano mai a separare la vita dalla fede.

III.          – La povertà evangelica vissuta ad imitazione di Cristo che, si è fatto povero per arricchirci tutti della sua povertà (2 Cor 8-9) diventa segno della gratuità con la quale l’apostolo annuncia quel Vangelo che gratuitamente ha ricevuto; viene così accolto l’invito del Concilio ad abbracciare la povertà “con cui possono conformarsi a Cristo in modo più evidente ed essere in grado di svolgere con maggiore prontezza il sacro ministero”. (PO 17). Dimostra anche di sapere che povertà, è atteggiamento di distacco, di accettazione dei propri limiti, di rinuncia a ogni forma di potere; che povertà vuol dire comunione presbiterale con i confratelli, attenzione ai loro bisogni, condivisione dei beni con essi, e ogni forma di pronta collaborazione nei ministeri e di generosa assistenza.

  1. – L’obbedienza. E’ ciò per avere ed esprimere gli stessi sentimenti di Cristo “fatto obbediente fino alla morte di Croce” (Rom 5,9; PO, 15) e come Lui, secondo la volontà dei Padre, radunare i dispersi. Il Presbitero infatti è colui che ha mani e piedi legati dallo Spirito per giovare alla salvezza di molti. Per essere attuata così, l’obbedienza richiede “uno spirito di fede” (PO, 15) in coloro che Cristo ha posto come reggitori della sua Chiesa che per questo diverrà “responsabile e volontaria”, vissuta con i Pastori in un dialogo fiducioso e aperto, che è punto e luogo di incontro della comunione col Vescovo, nella ricerca comune del disegno di Dio in quanto si sentono corresponsabili col Vescovo nel Presbiterio, della vita cristiana della Chiesa locale; sono infatti membri di Cristo Capo per la vita di tutto il popolo sacerdotale.

Questi i punti principali emersi per lo sviluppo della spiritualità del Presbitero.

Il Convegno presenta e affida questi rilievi ai Vescovi, a tutti i Presbiteri diocesani che sono il luogo dove il Presbitero deve trovare richiamo acuto e stimolo a vivere la propria spiritualità; ai Vescovi perché lo aiutino ad attuarli; ai fedeli perché preghino per i loro sacerdoti. In questo contesto va rinnovato l’apprezzamento per quei movimenti, associazioni, gruppi di spiritualità sacerdotale, per il servizio che offrono alla crescita di tutto il corpo sacerdotale.

Per compiere ed attuare tutti questi suggerimenti il Convegno indica l’esigenza di incrementare e dar vita nella Chiesa locale, a quelle condizioni strutturali che rendono possibile ai Presbiteri di crescere nella loro spiritualità, rispettando ed incrementando tutti i presupposti di un’autentica maturità umana e cristiana.

Anzitutto bisogna assicurare rapporti più intensi e spirituali con il Vescovo e i confratelli uniti all’offerta di mezzi adeguati quali luoghi e sussidi di preghiera, e tutte quelle condizioni che rendono serena la vita del Presbitero, lo aiutano a essere santo.

E’ rilevata la necessità che il Convegno di Roma, così felicemente concluso e che ha avuto momenti di grazia straordinaria nella concelebrazione col Papa e con i Vescovi, sia ora attualizzato, Regione per Regione, Diocesi per Diocesi.

Infine auspica, che la Commissione Episcopale, avvalendosi della Commissione Presbiterale Italiana, porti avanti gli studi sulla teologia del Presbitero Diocesano, affidando il compito a persone e strumenti qualificati.

Il Convegno auspica ancora infine, l’istituzione di una cattedra del Presbitero Diocesano nei seminari teologici e nelle facilità universitarie.

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.2. –  Mons. Gabriele Miola annota le proprie IMPRESSIONI

.1) Il convegno era molto atteso: Io stava a testimoniare la larga partecipazione dei preti da quasi tutte le Diocesi d’Italia: erano presenti circa 500 preti, diocesani per lo più e alcuni religiosi, impegnati direttamente nelle parrocchie. Il convegno ha avuto un momento importante nella concelebrazione con il Papa nel suo giorno onomastico, il 4 novembre, festa di S. Carlo Borromeo, la figura più significativa di pastore della riforma tridentina.

.2)- Alla domanda perché i vescovi italiani hanno voluto ed organizzato questo convegno sono venute diverse risposte. Nel depliant ufficiale del programma le finalità erano così individuate:

“Il convegno si propone di offrire contributi alle attuali esigenze dei presbiteri in Missione nella Comunità ecclesiale italiana … di approfondire l’identità del presbitero come uomo chiamato e consacrato da Cristo per il servizio dei fratelli nelle cose che riguardano Dio”. Negli interventi sono state sottolineate altre finalità o meglio altre occasioni che hanno stimolato al convegno: ritrovare una unità nella figura del prete dopo la discussione acuta e più o meno serena degli anni postconciliari sulla identità del sacerdote; venire incontro ad una evidente richiesta di “spiritualità”, che sfocia in movimenti collaterali di aiuto e di appoggio della vita spirituale del prete; specificare la spiritualità del prete in ordine alla spiritualità tipica degli ordini religiosi.

A questo proposito un lucido intervento di uno dei partecipanti faceva rilevare: dalla fine dei Concilio ad oggi si sono succedute come tre generazioni: una generazione di entusiasti, che pensava di dover superare immediatamente il Vaticano II e già pensava di avere tra le mani il Vaticano III; una generazione di delusi, che riteneva di dover tornare al passato e portava nella Chiesa nostalgie di stampo lefebriano; una terza, che invece dice: non conosciamo il Vaticano II o per lo meno non ne abbiamo assimilato il messaggio e la ricchezza e quindi “evangelizziamo” il Vaticano II. Concludeva: la spiritualità del prete bisogna enunclearla a partire dai documenti del Vaticano II senza fughe in avanti, ma anche senza involuzioni e riflussi che possono nuocere alla vita dei presbiteri e alla pastorale.

3)-Le tre relazioni fondamentali hanno enucleato questa teologia incentrata sulla Chiesa locale, sulla diocesanità quindi, sul rapporto del presbitero con il popolo di Dio e con il vescovo che è il padre ed il vigile custode dell’unità della fede e della carità.

Queste le tre relazioni di base:

  1. Linee storiche della spiritualità presbiterale nell’età moderna (G. Maiali)
  2. Immagine attuale del presbitero nelle sue motivazioni teologiche (P. Colombo)
  3. Indicazioni di spiritualità presbiterale (C. Scanzillo)

La seconda relazione, ottima per la impostazione e la chiarezza, ha attirato l’attenzione di molti perché coglieva il punto nodale della problematica facendo vedere come la teologia manualistica del prete, che sottolineava unilateralmente soltanto un aspetto della teologia tridentina, è stata superata o integrata dalla teologia sul prete del Vaticano II. La prima rispecchiava il modello “dionisiano” del prete, tutta basata sulla costituzione gerarchica delia Chiesa e sul “carattere” sacerdotale e trovava la sua espressione di spiritualità nell’opera del Card. Mercier, “La vie interieure”, da cui emergeva la figura del prete “alter Christus”; la seconda ha avuto una prospettiva più ecclesiologica sulla linea agostiniana ed ha evidenziato alcune esigenze unitarie, proprie del ministero ordinato, ministero di unità del corpo di Cristo che è la Chiesa, da cui emerge la figura del vescovo e del presbitero come “buon pastore”.

  1. Una osservazione critica: il convegno ha suscitato tante speranze, ma ha lasciato, non si può negare, anche profonde delusioni, che si coglievano nelle parole, nel volto, nell’atteggiamento di diversi partecipanti. L’osservazione critica è questa: le tre relazioni avevano ben centrato il problema e particolarmente stimolante era stata la relazione di P. Colombo, però non sono state messe a frutto. A mio modesto parere l’errore è venuto nella impostazione del lavoro dei gruppi. Il lavoro doveva essere sviluppato nella linea ecclesiologica, cioè partendo dalle prerogative del popolo di Dio, come sono state illustrate nei capitoli primo e secondo della Lumen Gentium: popolo profetico, popolo sacerdotale, popolo regale.

Dato per acquisito quanto la L.G. dice al paragrafo 10 e cioè che il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono non solo di grado, ma per essenza, si doveva, secondo me, impostare il lavoro su queste tematiche: il popolo profetico ed il presbitero e quindi tutto il rapporto con la “parola” nell’annuncio, nell’evangelizzazione, nella catechesi ecc.; il popolo sacerdotale ed il presbitero e quindi il rapporto con la preghiera, la liturgia, i sacramenti, la pietà popolare ecc.; il popolo regale e il presbitero e quindi il rapporto con l’animazione della carità, del sociale ecc. E’ qui che si radica la spiritualità specifica dei presbitero diocesano.

A mio avviso il lavoro dei gruppi è stato deviante perché pur ricorrendo spesso questa prospettiva, la riflessione si è spostata sostanzialmente sulla figura de prete in sé e per spiritualità si sono intese ancora le linee tipiche della vita religiosa per cui i gruppi hanno disquisito, come sempre, su: il celibato del prete, la povertà, l’obbedienza del prete, la vita comunitaria, la preghiera, la formazione permanente, i movimenti di sostegno della spiritualità del prete (l’ottavo gruppo: ironia del caso, mentre si faceva un convegno sulla spiritualità del prete, si parlava della spiritualità di sostegno del prete). Povertà, obbedienza, verginità, comunità, conversione continua fanno parte della vocazione del cristiano, cioè sono radicate nel battesimo e quindi nella sequela di Cristo, ma altro è il modo di vivere questi “doni” da parte del laico, altro quello del vescovo e del presbitero, altro quello del religioso. Sembra ancora che questa specificità non sia emersa, per cui i primi, i laici, ne sono esclusi, i secondi, cioè i presbiteri imitano o si appoggiano ai religiosi, e questi, i terzi, sono il modello di ogni spiritualità. Pare ancora che la teologia dei ministeri e dei carismi non sia entrata bene nella riflessione ecclesiologica. Le conclusioni ufficiali auspicano che “il convegno sia ora attualizzato Regione per Regione, Diocesi per Diocesi”, auspica ancora che “si porti avanti gli studi sulla teologia del Presbitero Diocesano” e suggerisce “l’istituzione di una cattedra del Presbitero Diocesano nei seminari teologici e nelle facoltà universitarie”. Già questo sarebbe un ottimo frutto. La pubblicazione “integrale” degli Atti del convegno, promessa tra breve tempo, potrà aiutare ad un maggior approfondimento.                                                                                                     Don Gabriele Miola

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ATTI DEL VII CONGRESSO EUCARISTICO DIOCESANO (C.E.D.). Fermo 1985

E’ bene conservarne memoria scritta perché è stato un momento significativo della vita diocesana. Ci sono stati due anni di preparazione e di animazione pastorale per il C.E.D. Il tema del C.E.D. era lo stesso di quello nazionale, celebrato a Milano l’anno prima: L’Eucaristia al centro della vita della Chiesa. La preparazione è consistita nel riesaminare tutta la vita ecclesiale e la pastorale diocesana alla luce della centralità dell’Eucaristia, che è il Mistero della fede. Chi ha partecipato e vissuto intensamente questi due anni, sa che questo è stato senz’altro il lavoro più proficuo e frutto significativo sono i tanti animatori di gruppo e di centri di ascolto sorti in diverse parrocchie. Di tutto questo lavoro ci sono soltanto pochi cenni in questo volume.

Questi sono soprattutto gli Atti delle celebrazioni conclusive. E’ stato dato poco spazio alla cronaca; si è cercato di riportare invece per intero sia gli interventi dell’Arcivescovo con la lettera di indizione del Congresso e con l’omelia della giornata conclusiva, sia le relazioni degli incontri pastorali perché rimangano come linee orientative per la lettura della nostra situazione pastorale in Diocesi e per un lavoro futuro.

L’ augurio è che queste pagine possano arricchire la nostra memoria e stimolare il nostro impegno pastorale.  don GABRIELE MIOLA    Vicario Generale

 

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Anno 1981 = PRESBITERO E COMUNITA’ NELL’AMBITO DELLA LITURGIA

Riportiamo gli appunti della relazione svolta da don Miola; il relatore ha ampliato notevolmente le tematiche, ha sottolineato particolarmente la proposta di un CATECUMENATO per gli ADULTI

.1 / La situazione

Premessa: nei 10 incontri per paesi che ho tenuto in giugno hanno partecipato 59 preti nelle riunioni di vicaria: a Montefiore 4; Grottazzolina 3; Civitanova 8; Fermo (I) 11; Fermo (II) 1; Altidona 6; Petritoli 9; Piane di Falerone 9; Porto Sant’Elpidio 3; Porto San Giorgio 5.

A dire il vero si è parlato più sulla catechesi che non sulla liturgia; comunque sono emerse considerazioni di un certo rilievo che dividerei così:

.a. –  aspetto positivo: il primo è l‘accettazione piena, toto corde, della riforma liturgica; da noi non ci sono rimpianti per il messale di S. Pio V o il latino e simili. Se si pensa che il primo messale in Italiano approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è del 12 marzo 1965 – messale e letture – ; che i lezionari sono entrati a cominciare dal 1972 ( Natale ‘71 e la traduzione ufficiale CEI della Bibbia ); che i diversi ordines sono entrati man mano in quest’ultimo decennio (cfr. CEI Battesimo 6.5.1970; battesimo adulti 4.3.’979; cresima 1.1.’973; matrimonio 1.1.’976; penitenza 21.4.’974; unzione degli infermi 16.2.’975); che la liturgia delle ore, approvata nel ‘970, ma in italiano è stata approntata nel ‘975; se si tiene presente tutto questo si deve dire che il cammino fatto è breve, che abbiamo fatto pochi passi. Tutti sono stati d’accordo nel dire che la liturgia nella lingua propria è una grande grazia sia per il presbitero sia per i fedeli, anche se né il presbitero né i fedeli ne hanno percepito tutta la ricchezza.

L’ actio liturgica in italiano, qualunque essa sia, costringe il celebrante ad un nuovo rapporto con la comunità, non solo per quanto riguarda il testo, la dizione, il senso, anche e soprattutto come mentalità e svolgimento della celebrazione.

.b.  –  aspetti negativi: – Un’osservazione generale è stata questa: è cambiata la lingua, sono cambiati alcuni riti, ma la partecipazione è scarsa; il linguaggio liturgico e biblico fa difficoltà alla gente, esso richiede un’iniziazione, non è compreso; e questo vale per la Messa e i sacramenti. In questa situazione per forza il rapporto tra prete e comunità non può essere che quello per cui da una parte l’uomo delle cose sacre, attore, celebrante, e dall’altra degli spettatori di pratiche religiose, di gente che fa le devozioni, che compie il suo dovere con Dio, che dà un senso sacro alla sua vita e simili.

– Diversi hanno rilevato che la liturgia è tanto meglio partecipata e vissuta quanto più cresce la comunità: il riferimento in questo caso andava diretto ai gruppi dove si attua un altro rapporto prete-comunità e dove la partecipazione è spontanea e immediata.

– Qualcuno ha detto che il problema è sì quello della liturgia e del rapporto nella liturgia tra prete e comunità, ma prima c’è un altro problema più vero, che è quello della spiritualità del prete sia nella preghiera personale, sia nella celebrazione liturgica. C’è una mediazione del prete nella liturgia che passa attraverso la sua esperienza personale di preghiera: meditazione, lettura spirituale, liturgia delle ore, presenza in chiesa, periodi di ritiro e altro. Perdendo questo non si recupera nemmeno sul piano della liturgia perché allora essa diventa comandata, formale, arida o estetica. Oggi abbiamo più strumenti e contenuti diversi, noi però siamo diventati più attivisti di organizzazione che preti cioè uomini di pietà e della parola; siamo troppo preoccupati delle tecniche e dei risultati pastorali, il prete deve essere l’educatore alla preghiera e c’è da ricreare una “struttura” di preghiera sia nella nostra vita personale, sia nella parrocchia, sia nella famiglia. Se al prete manca questa dimensione non potrà mai essere animatore di vocazioni e favorire vocazioni.

– – Qualcuno ha lamentato come in questo periodo di cambiamenti siano scomparse tante cose e tutto sia stato ridotto alla celebrazione della messa o al mattino o alla sera. E sono scomparsi il rosario, la peregrinatio Mariae nelle famiglie con la statuina, un momento di preghiera in Chiesa che non sia la Messa e altro. In un momento di cambiamento di cultura di massa non siamo stati capaci di trovare forme di trasmissione di preghiera proprio in quell’unico nucleo in certo modo più stabile, che è la famiglia. La famiglia non prega più e per la famiglia il prete non è l’uomo della preghiera, ma forse è l’uomo del culto più di quanto non lo fosse nella mentalità della famiglia di prima, il ricupero della liturgia è stato grande e ancora non ne abbiamo visto i frutti, ma è urgente ricuperare quest’altro aspetto, che media il senso e la partecipazione alla liturgia, cioè la preghiera personale e famigliare.

.2./ La liturgia – Il prete e la comunità.   Spunti di riflessione

Non si può non partire dai diversi modi di comprendere la liturgia come tale:

.a.)  –  – liturgia come culto reso a Dio, da Lui stabilito sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: culto come ‘ opera compiuta ’ e nei suoi aspetti di adorazione e ringraziamento, di impetrazione e riparazione o espiazione, un opus operatum che però richiede una purità morale (o anche legale): qui il prete è mediatore, uomo del sacro, la comunità è spettatrice, riceve quel che le viene concesso;

.b.)  –  – liturgia come momento, strumento, fonte di grazie cioè di aiuti e interventi divini dall’alto: qui il prete è mediatore e la comunità riceve; viene sottolineata la dignità per chiedere e mediare, cioè la vita morale o santità del sacerdote, e la dignità morale per ricevere;

.c.)  –  – liturgia come consacrazione della vita nelle sue tappe fondamentali: nascita e morte, pubertà e matrimonio, feste ricorrenti (settimanali, mensili, annuali), luoghi e oggetti sacri: il prete qui è colui che ha il potere di consacrare persone, luoghi, tempi, cose; la comunità usufruisce di tutto questo, delle cose sacre;

.d.).. –  – liturgia come celebrazione (ripresentazione e attualizzazione nella comunità) del mistero salvifico che Dio ha operato in Cristo: qui il prete è il segno (sacramento) dell’iniziativa salvifica di Dio per la sua comunità, cioè la chiesa, e la comunità è il segno (sacramento) dell’iniziativa di Dio per il mondo.

L’ultimo aspetto evidentemente è quello specifico cristiano, che non rifiuta gli altri aspetti, ma li ingloba e li realizza in pieno non tanto nei suoi aspetti rituali, ma perché trovano la pienezza in Cristo, che è il vero adoratore dei Padre cui rende il vero culto, è la fonte della grazia e di ogni grazia, consacra, offre tutta la vita nei suoi aspetti di persona, tempi e luoghi a Dio. Ora nella nostra formazione teologica nel presentare la liturgia (Messa e sacramenti) s’era privilegiato come “princeps analogatum”, cioè come riferimento, il fatto religioso nella sua fenomenologia (c’è il sacrificio, il cristianesimo ha il sacrificio; c’è la preghiera, ci sono i riti e simili, il cristianesimo ha la preghiera, i riti e altro). Invece bisogna sottolineare la specificità cristiana e quindi la rivelazione, il messaggio per comprendere la liturgia come tale.

Da notare che nell’ambito delle culture religiose l’aspetto rituale-sacerdotale è in più specifico come servizio reso a Dio (cfr. anche nell’A. T. abodah’, litourgia – servizio cultuale fatto a Dio), mentre nel N.T. è il più inglobante perché liturgia è il servizio a Dio nella vita, che e tutta sacerdotale (ctr. nel NT: iereis, ierautema- la comunità o ogni cristiano; presbiteroi, episcopoi- servizio di annuncio e presidenza). La Chiesa intera, la Chiesa locale meglio, è ‘segno-sacramento ’ per il mondo, l’umanità, la storia della presenza salvifica di Dio; il prete o meglio il vescovo (con il suo presbiterio) è segno sacramento per la chiesa dell’iniziativa salvifica di Dio in Cristo. E’ evidente che questo vale prima di tutto per il vescovo nel rapporto con la comunità; per il presbitero, in quanto collaboratore del vescovo e sua presenza nella parrocchia, si stabilisce un duplice rapporto e cioè con il vescovo e con la comunità. Ora la liturgia pone il prete in un rapporto tutto particolare con la comunità: insieme con la comunità il prete partecipa della dignità e funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo, per la comunità è ‘segno-sacramento’ della gratuita e libera iniziativa di Dio.

Di qui derivano alcune conseguenze primarie molto importanti:

.a.) – a livello personale: se il prete è “segno-sacramento” per la comunità, proprio perché tale egli vive prima di tutto personalmente il rapporto sacramentale, per cui egli è:

–    l’uomo dell’ascolto e della risposta

–    della contemplazione e della mediazione

–    dell’annuncio e della profezia

–    della lode, dell’offerta, dell’impetrazione

–    della sequela del Cristo nelle beatitudini che sono dono di Dio

–    l’uomo della preghiera e delle virtù, con parole di sempre;

.b.)- a livello di comunità : è il segno-sacramento per tutta la comunità, per tutti coloro che in qualche maniera appartengono alla comunità:

-è l’uomo di preghiera per tutta la comunità

–    celebra e presiede per tutta la comunità

–    le celebrazioni particolari sono sempre in vista della comunità.

La dialettica tra gruppi e movimenti e comunità non è mai in senso alternativo, ma di funzionalità e di complementarietà; non a livello di “rifondazione’’ di Chiesa, ma a quello di metodologie o spiritualità che si integrano tra di loro;

c)- il presbitero “presiede” la celebrazione che è di tutta la comunità pur nei ruoli differenti; ora la presidenza è vera saggezza, sapienza, arte nel miglior senso della parola: presiedere è dar senso, spazio, tempo, partecipazione a tutto e in tutto quello che si fa. Il nostro spesso non è un presiedere, ma compiere un rito. Per presiedere bisogna non solo conoscere lo svolgimento della celebrazione, ma possederne tutta la profondità; una celebrazione non la si improvvisa mai, ma deve essere preparata non solo a livello di sviluppo rituale e di ruoli da svolgere, ma soprattutto a livello di consapevolezza o meglio di fede. E’ facile che il “religioso” e il “sacramentale” scada nel “rituale”.

.d.)- Nella situazione odierna un aspetto da non trascurare è il rapporto che c’è nelle celebrazioni liturgiche tra fatto religioso e fatto “misterico ’: è chiaro che le nostre celebrazioni sono più momenti religiosi che fatti di fede. Questo scadimento avviene fatalmente quando c’è mancanza di seria catechesi, ai contenuti di fede; quando la celebrazione è sentita a livello sacro o addirittura di magia fatta per tradizione o convenienza ecc.

Il rapporto tra questi due aspetti è delicato: spesso si è tentati di respingere, rifiutare l’aspetto religioso e di privilegiare e accogliere solo quello specifico cristiano, non bisogna però dimenticare che sotto il primo si nascondono autentici valori umani e aperture cristiane, si tratta quindi di coglierne gli aspetti positivi e le tensioni verso la piena espressione cristiana: far scoprire che solo in Cristo si realizza la pienezza religiosa. Qui si dovrebbe aprire il discorso di “esperienze catecumenali” per la celebrazione dei sacramenti.

3/ Proposte e questionario

1)- La prima preoccupazione deve essere quella del prete maestro della preghiera, al di là di quella che è la presidenza nella celebrazione della Messa e dei sacramenti. Nelle nostre parrocchie manca una dimensione di rapporto ai segni tra vita religiosa-monastica e popolo cristiano. Ma al di là di questo problema rimane vera la missione del prete come ‘maestro di preghiera ‘ e quindi prima di tutto come uomo di preghiera. Fra l’altro non abbiamo saputo utilizzare la presenza in Diocesi di ben 14 monasteri. Sono un grande segno e una enorme ricchezza, ma non ne abbiamo capito la funzione, eppure veramente grande, soprattutto dopo il Vaticano II. Nel passato si era insistito molto sull’aspetto personale della preghiera del prete e negli incontri è emerso spesso il richiamo agli esempi di preti uomini di preghiera nelle parrocchie.

C’è da domandarsi:

–       può recuperare il prete (ad esempio) la liturgia delle ore, soprattutto lodi e vespri con la comunità o meglio come momento specifico di vita parrocchiale? es.: lodi (salmi, lettura biblica, meditazione, preghiera dei fedeli) al mattino ed Eucaristia alla sera (es. nei periodi forti: avvento-natale-Epifania; quaresima-Pasqua-pentecoste) e viceversa: Eucarestia al mattino e vespri alla sera? E il rosario come riproporlo?

–       per il prete personalmente: sono utili ancora mezzi di sostegno come l’Unione Apostolica Clero (U.A.C)? o la “lega mariana” o altro, senza legami a particolari spiritualità? Il prete non è il maestro di quell’unica sorgente che è la proposta ufficiale della Chiesa al popolo cristiano?

–       come può il prete essere maestro di preghiera per i giovani (ritiri? incontri? deserto?), per le famiglie (brevi forme di preghiera per i genitori, per i bambini, momenti di incontro, di ritiro?).

.2.)   L’altro momento fondamentale del prete è la presidenza nella celebrazione del “mistero”.

–   il primo interrogativo è questo: la moltiplicazione delle celebrazioni (particolarmente di Messe) giova ad una vera presidenza? La celebrazione è esperienza di fede e di presenza salvifica di Dio, e catechesi, è fatto comunitario, è annuncio ed apertura alla vita e altro: come “media” tutto questo il prete? o fa solo il rito, un rito affrettato, svolto rubricalmente o abborracciato?

–   è connessa con questo l’altra osservazione: certamente questa presidenza del prete è la sorgente più vera della sua spiritualità. Questo richiede certamente fede profonda, ma anche preparazione: come la si fa?

–     per sé nella parrocchia la celebrazione dovrebbe essere sempre unica come fatto in sé (non moltiplicare le celebrazioni senza gravi necessità) e unica come rapporto gruppi e comunità. Fino a che punto questo è possibile? qual’è la funzione che la celebrazione nei e per i gruppi in rapporto alla comunità intera? di élite, di rifondazione, di divisione? di pedagogia ecc.? che ruolo vi svolge il prete in tutto questo? si sente più compreso? lo realizza di più nella missione sua specifica? lo sostiene spiritualmente? lo mette in posizione critica o di confronto o di animazione di fronte agli altri, cioè alla comunità intera?

.3.)   Il prete ha il compito di trasmettere la fede insieme a tutta la comunità e di essere l’animatore ai questa trasmissione (come detto per la catechesi; ma ci si domanda: per arrivare ad una vera, autentica celebrazione, la chiesa ha tradizionalmente proposto una esperienza di catecumenato: è riproponibile oggi?

Come deve essere allora organizzato perché questo sia cammino, esperienza di fede e di grazia, di rinnovamento? a chi proporlo? per coloro che celebreranno il sacramento del matrimonio o a genitori che chiedono di battezzare i figli? si può proporre per tutti un catecumenato di almeno un anno? è pronta la comunità ecclesiale fermana per una proposta del genere? siamo pronti noi preti ? ci dobbiamo preparare a questo? come? siamo capaci di animare un catecumenato?

Negli “ordines” dei sacramenti si parla sempre di catecumenato, è richiesto esplicitamente per il battesimo degli adulti; ma ancora non si è mosso un passo, non solo da noi, ma in tutta Italia

.4.)   Una situazione che si ripropone sempre è quella del rapporto tra la celebrazione dei sacramenti e le offerte dei fedeli; la materia è in movimento, ma non si è ancora chiarita. Non ancora ci si è sganciati da una teologia impostata sul concetto dei frutti, che senz’altro rispondeva ad una visione privatista. Superato teologicamente questo punto di partenza come si può fare entrare in noi e nei fedeli il concetto della compartecipazione ecclesiale sotto l’aspetto contributivo? in occasione delle celebrazioni? fuori di esse? in quale rapporto per la comunità-parrocchia di cui si fa parte e per la Chiesa, locale-diocesi?

.5.)  Si propone di rivedere dopo cinque anni la notificazione vescovile su catecnesi e celebrazione; vederne l’applicazione, i punti mancanti e altro.

don Gabriele Miola

L’elenco dei diversi riti tradotti in italiano e approvati dalla CEl, classificati in ordine di tempo (fino al 1981).

—           Rito del battesimo, in vigore dal 29 giugno ‘970;

—           Rito della confermazione, in vigore dal 1 gennaio ‘973;

—           Rito della penitenza, in vigore dal 21 aprile ‘974

—           Sacramento dell’unzione e cura pastorale infermi, in vigore dal 16 febbraio ‘975;

_             Rito delle esequie, in vigore dalla pasqua ‘975;

_             Sacramento del matrimonio, in vigore dal 1 gennaio ‘976;

—           Messa e lezionario dei fanciulli, in vigore dal 15 die. ‘976;

—           Preghiere eucaristiche della riconciliazione, in vigore dal 17 febbraio ‘977;

_             Rito della iniziazione cristiana degli adulti, in vigore dal 4 marzo ‘979;

—           Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico, in vigore dal 20 febbraio ‘980

—           Rito di ordinazione del vescovo, presbiteri e diaconi, in vigore dal 1 luglio ‘980;

—           Rito della benedizione Olii e dedicazione chiesa e altari, in vigore dal 16 aprile ‘981;

—           Liturgia delle ore, in vigore dall’avvento ‘975.

Da Foglio Ufficiale Ecclesiastico anno 1981 n. 4

 

 

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MARCO ARMELLINI ONORA IL CULTO DELLA MADRE DEL BUON CONSIGLIO A FALERONE con un libro ricco di documenti e di immagini

ARMELLINI MARCO PER IL CULTO DELLA  MADONNA DEL BUON CONSIGLIO A FALERONE

Il nuovo bel Libro di ARMELLINI MARCO “ La Madonna del Buon Consiglio di Falerone. Storia. Culto. Iconografia“ edito a Fermo nel dicembre 2019 con moltissime immagini.

Si riferiscono qui alcune parti per testimoniare le tradizioni cristiane del territorio. Questo libro valorizza il meglio dell’esperienza cristiana nella fede mariana. Sempre la devozione mariana ha portato riconciliazione e ricostruzione della società. Ecco alcune risultanze documentali della minuziosa ricerca dell’Armellini. Interessanti, tra le diverse carte citate anche i manoscritti di Angelo De Minicis,” Memorie religiose dei Faleronesi” e “Consuetudini vigenti nelle chiese di Falerone”, scritte negli anni 30 dell’ottocento (1830-1839). Lo scrittore Armellini Marco compie un sincero atto di amore ai valori della gente di Falerone sua patria. Si trascrivono alcuni brani.

DEVOZIONE

(Pag. 74) “Molto spesso nel corso dei secoli per scongiurare pestilenze, calamità naturali o solamente per invocare o far cessare la pioggia, i parroci e/o i vescovi, con gran concorso di fedeli, erano soliti indire novene, tridui e processioni con reliquie ed immagini di santi. Di questi avvenimenti, tra i più importanti a livello nazionale, si possono ricordare: la processione con le reliquie di Sant’Agata per fermare la lava che stava per sommergere Catania, le invocazioni a San Gennaro per arrestare le eruzioni del Vesuvio a Napoli, le preghiere e le processioni indette da San Carlo Borromeo per scongiurare la peste a Milano, la processione indetta da San Gregorio Magno per arrestare la peste che mieteva vittime nella città di Roma”.

<cita: https://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-preghiere-e-calamita-naturali.

L’autore ha esplorato diversi siti internet per questo culto mariano ed è stato sostenuto dal Rettore- Parroco del Santuario Basilica della Madre del Buon Consiglio in Genazzano, P. Ludovico Maria Centra. Molte altre persone lo hanno accompagnato amichevolmente coadiuvandolo nella raccolta delle testimonianze storiche. I suoi risultati sono apprezzabili perché verificati, come si nota dalle conclusioni > (pagg. 76-77).

SINTESI DELL’OPERA

Immagine della Madre del Buon Consiglio a Falerone

Scrive: “ Non sono stati rinvenuti documenti, atti parrocchiali, rogiti notarili o memorie orali che potessero aiutarci a conoscere la genesi di questo quadro <databile 1761>. Un punto importante riguarda l’aspetto della primitiva immagine dipinta che permette di ipotizzare una plausibile spiegazione sul destino delle corone del dipinto faleronese. Un reperto lapideo posizionato sul retro della parete d’ingresso della Cappella della Madonna ci dà l’opportunità di formulare qualche ipotesi più precisa sui fatti in questione. Questa lapide dedicatoria certifica che il dipinto faleronese sia stato “d’aurea corona redimito”, nel 1885, da Amilcare Malagola, arcivescovo e principe di Fermo (dal 1877 al 1895), in seguito alla richiesta della comunità dei fedeli, che tutta concorse con devozione alle spese per le corone; ulteriore iscrizione dedicatoria a stampa lo conferma.

Alla prima immagine dipinta nel 1761 vennero quindi apposte, nel 1885, sul capo di Gesù e Maria due preziose corone d’oro, le cui forme sono appena riconoscibili osservando con attenzione la cartolina del baldacchino processionale, edita intorno al 1920/30 e che, come accaduto a tante immagini mariane e molti ex voto in tutta Italia, furono trafugate. L’atto sacrilego sulle corone del dipinto, che rappresentava per i faleronesi il simbolo di una fede antica in cui si riconosce una comunità, suscitò un profondo sgomento in tutto il paese tanto che il prevosto Don Silvio Catalini, nel dicembre del 1983, diede l’incarico al laboratorio orafo faleronese di Giuliana Ferrini di realizzare due corone, in argento sbalzato e cesellato con pietre preziose, per ripristinare l’iconografia della sacra immagine. Verso la fine degli anni ’980, il prevosto di San Paolino, Don Giovanni Crocetti, ritenendo che le due corone fossero sproporzionate rispetto alle figure, fece realizzare, dallo stesso laboratorio, altre due corone più sottili in oro e argento con zaffiri e rubini, esteticamente meno invasive. In seguito al furto delle corone del dipinto, molti quadri di ex voto (Per grazia ricevuta) contenenti cuori d’argento che tappezzavano le pareti della cappella della Madonna del Buon Consiglio, per maggior sicurezza, vennero trasferiti in luogo più sicuro.

E’ opportuno ricordare che la festa della Madonna del Buon Consiglio, secondo la venuta di Genazzano, cade il 25 aprile e sicuramente a Falerone nei primi anni dopo il miracolo si festeggiava in quel periodo; la ricorrenza venne in seguito posticipata a maggio, in concomitanza con il mese mariano.

Questa pubblicazione, che è essenzialmente un atto d’amore nei confronti del mio paese potrebbe rappresentare l’ultima occasione per perpetuare e rinfocolare una devozione ormai sopita e mi offre l’opportunità di porre rimedio ad un falso storico, ripristinando la verità. E un errore che nelle poche immaginette sacre stampate con il nome della Madonna del Buon Consiglio di Falerone, compaia come sottotitolo la dicitura: Autore ignoto-Anno 1600 circa, perché i documenti d’archivio attestano il miracolo nel 1761, quando il quadro era appena stato dipinto e tenendo comunque presente che il monastero di San Pietro Apostolo ha iniziato la sua attività religiosa nel 1683.”

CULTO DELLE IMMAGINI INCORONATE

<Da notare che le incoronazioni con la facoltà concessa dai sommi pontefici al Capitolo Vaticano hanno il valore di culto cristiano delle immagini> L’autore riferisce (pp. 56-57) che dal 1631 al 1881 sono state concesse dal Capitolo Vaticano circa 1300 coronazioni e spiega “Aggiungere una preziosa corona sul capo di Maria significa condividere il suo cammino terreno, gioire con lei per aver sconfitto la morte ed il peccato, ed attraverso l’imitazione del suo esempio aspirare alla regalità dei cieli (…) Maria ha sovvertito il concetto che la corona è sinonimo di potere e supremazia terrena, accettando con il suo atteggiamento devoto e sottomesso nell’ubbidienza del sì dell’Annunciazione di essere strumento dell’azione divina, perché Dio si è servito proprio di una donna umile e servizievole per entrare nel mondo e salvare l’umanità. Osservando l’immagine della Madonna del Buon Consiglio – Regina dell’universo si rimane colpiti dalla molteplicità di sentimenti che il dipinto evoca: fiducia, abbandono, solidarietà, misericordia, amicizia, fede, amore, invitandoci a sperimentare la sua vicinanza materna e a condividerne il suo stesso percorso. Per tutte queste ragioni, voler cingere il capo di Maria con una corona, manifesta, tra gli altri significati, la volontà di assumerla come modello per raggiungere, al termine della nostra vita, la corona celeste.”

TESTIMONIANZE DI PERSONE VIVENTI

<Armellini Marco valorizza il culto delle generazioni dell’ultimo secolo>. Scrive (pagg. 23-24). “L’altare della cappella fu completamente rinnovato nel 1935, in seguito al cinquantesimo anniversario della coronazione del dipinto per opera del vescovo Malagola. L’altare, costruito con le offerte dei fedeli venne riconsacrato da S.E. Mons. Giuseppe Petrelli, arcivescovo titolare di Nisibi l’undici di agosto, all’interno di una grande manifestazione durata un’intera settimana con un variegato programma che comprendeva cerimonie religiose con messe; solenni, convegni e processioni, ma anche momenti di divertimento come corse di cavalli, esibizione di bande musicali, fuochi d’artificio e tombola.

L’altare composto da gradinate, otto colonnine con capitello, il piano di mensa, quattro capitelli, un tabernacolo venne realizzato dal marmista serviglianese Attilio Lardani per una spesa di L. 1280.

Nel 1936, nelle due pareti laterali, per opera del pittore Ciro Pavisa di Mombaroccio, vennero realizzati due grandi affreschi, quello di destra mostra barrivo della prodigiosa immagine a Genazzano, mentre quello di sinistra fotografa con grande realismo la guarigione della monaca faleronese per l’intercessione della Madonna del Buon Consiglio. Il consiglio comunale, nel 1981, tornò ad occuparsi e deliberare sulla chiesina delle monache in seguito alla richiesta della prepositura di San Paolino, volta ad ottenere un contributo economico per i lavori di restauro alla succitata cappella.”

PRATICHE DI FEDE

<Interessante l’analisi dell’immagine del dipinto faleronese (pagg. 52-54) con le numerose foto di supporto. Inoltre i ricordi dei viventi, espressi per tutti da Anna Antognozzi della contrada Pozzo (citiamo da p. 62) e da Elena de Laurentis del centro storico faleronese>.

“Dai Ricordi di Anna Antognozzi. La festa della Madonna del Buon Consiglio si svolgeva sempre nel mese mariano, approssimativamente nei giorni tra il 20 e il 26. Si cominciava il martedì con la processione dalla contrada Pozzo alla quale si univa la contrada Madonna delle Camminate, poi il mercoledì con la <la partecipazione delle contrade> Croce e San Paolino, il giovedì la contrada santa Margherita alla quale si univa la contrada Salegnano ed il Paese. Queste processioni, con la partecipazione di bambini che portavano mazzi di fiori, si muovevano alla volta del paese fra canti, inni e preghiere per raggiungere la chiesa di San Giovanni. In quel periodo le pareti della chiesa che custodiva la sacra immagine della Madonna erano tappezzate di quadri ex voto rappresentati da cuori d’argento incorniciati, mia madre mi raccontava che nonostante la grande povertà dell’epoca, per ringraziare la Madonna del miracolo ricevuto, i beneficati lasciavano spesso in dono le loro catenine d’oro”.

DOCUMENTAZIONE DEI SECOLI XVIII e XIX

<Riferiamo la documentazione più antica. Nel narrare le consuetudini vigenti nelle chiese di Falerone Angelo De Minicis ricorda le Feste solenni in onore di Maria SS. del Buon Consiglio pagg. 56s> Si legge: “Nella chiesa delle monache, nel mese di maggio, si fa anche il mese mariano nella seguente maniera. Nella sera del 30 aprile, addobbato l’altare maggiore con ceri e fiori e lampade come meglio è possibile, un divoto scrive in molte cartine i fioretti di virtù da recitare in nome di Maria in tutto il mese di maggio e standosi in luogo accessibile di tutti entro la chiesa e lascia che ognuno prenda quel cartellino che crederà. All’ora solita si incomincia la recita del Santo Rosario e detto il Salve Regina si dice «Vieni Santo Spirito», poi si legge una breve meditazione del Canonico Alfonso Muzzarelli con l’ossequio, giaculatoria ed esempio contenuto nel libretto di detto autore, il quale ha scritto con più insinuazione e profitto di quanti io ne abbia letti. Nel 1846 si incomincia a leggere il mio mese mariano. Finita la lettura si cantano le litanie di Maria S.S. e si conchiude con il versetto «Maria del Buon Consiglio, benedicici dal ciel col vostro Figlio». Questo versetto si canta anche ogni volta che si cantano le litanie alla beatissima Vergine Maria. La cera e tutte le cose occorrenti per queste funzioni del Rosario in questo mese mariano vengono somministrate dal depositario delle elemosine che i fedeli offrono a quella immagine di Maria S.S. del Buon Consiglio in cera, denaro e granturco. La cera viene offerta dai diversi figuranti, avendola pregata di qualche grazia poi un mazzo di ceri grandi e piccoli secondo la loro facoltà, li quali ceri, per vari giorni si espongono all’altare di Maria S.S. Si fanno spesso li tridui per gli infermi, essendovi tre orazioni adottate al bisogno e alle altre quattro candele davanti l’immagine di Maria, si accendono altre sei candele di libra e questi tridui si fanno subito dopo il Rosario ed infine alle litanie si aggiunge l’Oremus pro infirmis (=preghiamo per i malati). Gli infermi sanati quasi tutti offrono cera alla Madonna in una domenica che per lo più è la prima di ottobre si porta una offerta di granturco alla Madonna e il tutto si regola come l’offerta del grano che si fa in agosto. A questa offerta presiede il depositario, il quale era prima Don Vito Mandi sacerdote e Vicario Foraneo, poi subentrò il Signor Lucantonio Chiaravalle, li quali con molta premura e delicatezza, hanno amministrato ogni cosa che spetta a questa sacra immagine di Maria del Buon Consiglio. Al suddetto Signor Chiaravalle ora tiene in custodia i ceri e danaro e generi da somministrare al bisogno, secondo le occorrenze, non è stato richiesto da privato o superiore di rendere conto della sua amministrazione per la buona fede pubblica che egli gode. In tempo di troppa siccità, piogge o altri bisogni si fanno tridui alla Madonna del Buon Consiglio e la cera occorrente viene deportata dal detto depositario, allora però l’immagine si porrà nella chiesa matrice, come più capace. Se per gli stessi motivi si facesse il triduo a San Fortunato, la cera viene somministrata dalla Comunità nella chiesa di San Francesco, se si facesse a San Sebastiano o per le anime del purgatorio previa la Congregazione del SS. Sacramento, nella sua chiesa.”

<Dal manoscritto di Angelo De Minicis proviene anche una notizia della sua famiglia riguardante la protezione mariana per la salvezza dell’anima ricordata dal padre Paolo pagg. 75>. “Adì 25 gennaio 1796: giorno di lunedì alle ore 14 e mezza passò agli eterni riposi la Signora Elena De Minicis, mia carissima madre stando esposta l’effige di Maria S.S. del Buon Consiglio, venerata nella chiesa delle monache, stando esposta dissi, nella propria camera ed avendo risposto nelle litanie più volte “Ora pro nobis”. Dio la tenga in cielo. Così spero certamente”.

ASPETTI DEVOZIONALI TRAMANDATI

<pagg. 74-75> “Particolari aspetti devozionali. a Madonna del Buon Consiglio è stata più volte evocata per fare da tramite e chiedere l’aiuto divino per far cessare la furia distruttrice degli agenti atmosferici, due esempi trascritti da: “ Diario domestico manoscritto di Pietro Paolo di Simone De Minicis”, conservato presso gli eredi>. “Nel dicembre 1793 il cielo si fece, come suol dirsi, di bronzo, e fu una siccità tale che non fu mai veduta neve né ghiaccio, né acqua sino alli 7 di maggio del 1794, nel cui giorno fu veduta un poco di acqua, che però fu preceduta da molta e grossa grandine. Il grano per la siccità si trovava in cattivo stato e così tutti gli altri generi di campagna, di modo che si prevedeva una calamità troppo grande. Nel medesimo giorno, 7 maggio fu principiato un triduo del beato Andrea Cacciola, che veramente ci fece subito avere la pioggia e questa si fece dopo due settimane talmente impetuosa, che li fiumi andavano pieni e durò essa pioggia più di 15 giorni di modo che fu dovuto mietere il grano piovendo e nelli covi, cavalletti ed anche nel campo senza recidersi si era nato e cacchito (= germogliato nuovo) in modo, che dava molto a temere e perciò si tornò a pregare il B. Andrea, S. Fortunato e la madonna del Buon Consiglio per la serenità, che poi si ottenne”.

“Nell’anno 1817 Dio ci afflisse con lunga carestia … per le scarse raccolte, tanto del 1816 che del 1817. I poveri si cibavano di erbe, di scorze, di ghiande e persino di noccioli pesti di oliva spremuti dell’olio. Il Governo mise un’imposta pubblica di baj(occhi) 10 per ogni 100 scudi ai ricchi per sovvenire ai poveri. Con questo sussidio si facevano molte caldaie di legumi ogni dì e si dispensava ai poveri affamati, si dispensava pane, ma […] dai cattivi cibi si era cominciata a sviluppare una febbre epidemica, chiamata tifo petecchiale, la quale in pochi giorni toglieva la vita. Si tentarono molti rimedi ma, […] i poveri indeboliti presi dalla convulsione di tutte le membra, in un giorno o due perivano. Furono adunati molti infermi all’ospedale e poiché i letti erano insufficienti, furono collocati due infermi ogni letto. Adunque perché il male non si appiccasse a tutto il popolo, fu stabilito il lazzaretto nel convento di San Francesco, in allora non ripristinato, si entrava al di fuori delle mura castellane, si adunavano tutti gli infermi appena erano attaccati dal male… […] vi entrava il medico tutto coperto di tela incerata, i parrochi assistenti adoperavano suffumigi di sale con spirito di vetriolo. Ma fu tutto inutile, gli infermi perivano, il medico morì, i parrochi tutti si ammalarono e furono vicini a morire, gli infermieri morirono in parte anch’essi. La morte indistintamente troncava la vita ai poveri e ai ricchi e la strage fu tale che in quell’anno perirono qui fra noi 305 persone, quando che comunemente ne muoiono ogni anno sessanta o al più settanta. Furono fatte allora molte processioni di penitenza in onore di San Sebastiano e San Rocco, altre volte fu andato pubblicamente in processione alla Madonna degli Angioli e pare che sin d’allora mediante il patrocinio di Maria S.S. del Buon Consiglio, di San Sebastiano e di San Rocco cessasse il morbo e fu incominciato a respirare”.

<pagg. 75-76> “Anche nelle cappelline private presenti nelle dimore palaziali di alcune aristocratiche famiglie faleronesi non mancano mai iconografie e devozioni riguardanti la Madonna del Buon Consiglio. Nella cappella domestica della nobile casata dei De Minicis, infatti, una devozione a stampa appesa alla parete, dopo la preghiera alla Madonna, presenta un’invocazione finalizzata alla concessione della salute del corpo e della mente con queste parole.

TESTIMONIANZA DI CULTO IN CASA DE MINICIS

<IMMAGINETTA incisa e stampata in una pagina qui trascritta della fine del secolo XVIII o degli inizi del secolo XIX raffigurante la Madonna del Buon Consiglio della cappella privata della nobile famiglia del De Minicis. Ha iscrizione: CONSILIUM IN TEMPORE OPPORTUNO (= Consiglio al momento opportuno cioè quando ne abbiamo bisogno) sotto la figura della Madonna del Buon Consiglio venerata a Genazzano con in più effigiata la colomba dello Spirito Santo in alto sopra al riquadro dell’immagine>.

“Devozione di tre Ave Maria al cuore purissimo di Maria Santissima del Buon Consiglio che si venera in Campiglia nell’oratorio di sant’ Antonio abate della nobile famiglia del Mancino

Vi saluto vergine Santissima del Buon Consiglio, e per i meriti del vostro purissimo cuore vi prego impetrarmi dal vostro divinissimo Figlio vero dolore dei miei peccati passati e la grazia di non peccare mai più.  – Ave Maria

  • Vi saluto Vergine amorosissima del Buon Consiglio e per i meriti del vostro cuore castissimo vi prego impetrarmi dal vostro dilettissimo Figlio vero amore di Dio ed una piena rassegnazione alla sua Santissima Volontà. – Ave Maria
  • Vi saluto Vergine clementissima del Buon Consiglio e per i meriti del vostro cuore innocentissimo vi prego di attenermi dal vostro dolcissimo Figlio la pienezza del vostro Buon Consiglio, la perseveranza nel bene fino alla morte e la grazia che chiedo … se sia espediente per la salute dell’anima mia. Ave Maria.

\ Prega per noi Santa madre di Dio /Affinché siamo resi degni per le promesse di Cristo.

Preghiamo. Concedi, o Signore Dio, che noi tuoi servi godiamo della perpetua salute della mente e del corpo e per la gloriosa intercessione della beata Maria sempre Vergine del Buon Consiglio godiamo dell’eterna (letizia), liberati dalla presente tristezza. Per Cristo nostro Signore. Amen\

<tipogr.> Bologna per Gamberini e Parmeggiani. Con approvazione.”

 

FESTE DELL’ANNO 1843

Oltre al prevosto Angelo De Minicis, autore delle ” Memorie religiose dei Faleronesi” anche suo fratello Gaetano De Minicis ha scritto memorie, come la seguente.<pag.69> “Durante una solenne festa in onore della Madonna del Buon Consiglio tenuta il 14 maggio 1843, vennero scritte nove invocazioni in rima, otto di queste posizionate alcune nella chiesa ed altre in diversi luoghi del paese, la nona si sarebbe recitata durante la processione per le vie di Falerone con l’immagine sacra contenuta nell’artistico baldacchino processionale ligneo. Sopra la porta della chiesa venne invece posizionata una iscrizione dedicatoria più strutturata e forse destinata ad un supporto lapideo. Gaetano De Minicis, fratello del prevosto Don Angelo, ci ha lasciato memoria di queste iscrizioni raccogliendole in un libriccino a stampa. Iscrizioni esposte in Falerone nella solenne festività ad onore della Beata Vergine del Buon Consiglio celebrata il XIV di maggio MDCC CXLIII, Tipografia Ciferri, Fermo 1843, che riporto integralmente.

Sopra la porta della chiesa:

A  \  MARIA VERGINE  \  DEL BUON CONSIGLIO  \  PROTEGGITRICE NOSTRA PERPETUA  \  È SACRO SOLENNE  \  QUESTO Dì  \  PERCHÉ  \  RINNOVELLANDO FAUSTE ANTICHE MEMORIE  \  DI MARAVIGLIOSE GRAZIE  \  AL POPOLO FALARIENSE COMPARTITE  \  ODA BENIGNA LA VOCE DEI FIGLI  \  IMPLORANTI MERCE’  \  CI SOCCORRA E CI SORRIDA  \  E OGNI MANIFESTA E ASCOSA CALAMITA’  \  DA NOI SI DILEGUI  \  PII OSSEQUIOSI ACCORRETE  \  O FEDELI  \  A ONORARE COLEI CHE L’ETERNO EBBE NEL SENO

Voti posti per entro la chiesa e in altri luoghi del Comune

(1) MADRE BEATA SOTTO IL TUO VESSILLO  \  NON PIÙ NUBE D’ERRORE ADOMBRI IL VERO  \  MA DIO CHE IN CIEL RISIEDE  \  ABBIA MAI SEMPRE ONOR LAUDE ED IMPERO

(2) MADRE IMMORTALE CHE D’ AMOR SEI PIENA  \  L’ORME DEI FIGLI TUOI  \  REGGI SU QUESTO ESIGLIO  \  MADRE D’ALTO CONSIGLIO

(3) MADRE SOVRANA CHE VICINA SIEDI  \  AL SOMMO RE SEMPRE DI NOI TI CAGLIA  \  NELL’ETERNA MEMORIA  \  MADRE DELL’ALTA GLORIA

(4) MADRE D’ALTA SPERANZA  \  NOSTRA TI FE’ IL GRAN FIGLIO ARBITRA E GUIDA  \  E MAI MERCE’ NON NIEGA  \  ACHI TI PRIEGA E IN TUA PIETÀ CONFIDA

(5) SALVE SALVE  \  O MARIA  \  A NOI RIVOLGI IL GUARDO TUO SERENO  \  E SAREM DA OGNI MAL PURGATI APPIENO

(6) MADRE PIETOSA  \  DEL DIVINO AMORE  \  RENDI IN NOI  \  PURA L’ALMA E CASTO IL CUORE

(7) QUANTO  \  PUDICA PIU’  \  TANTO PIÙ BELLA

(8) O SANTA SANTA SANTA  \  BENEFATTRICE COSTANTE AMOROSA  \  A TE  \  NOI FALERIENSI TUTTI GIULIVI  \  QUESTE LAUDAZIONI QUESTI VOTI  \  CONSACRIAMO

<pag. 70> In una prospettiva per la processione colla immagine di N.D.

(9) – ECCO LA DONNA ALTISSIMA  \  LA GRAN REINA DE’ CIELI  \  ECCO DI DIO LA MADRE  \  MARIA  \

PROSTRATEVI O GENTI  \  ALLA BELLA IMMAGINE DELLA VOSTRA  \  SIGNORA E FIORI E VOTI E LAGRIME DI GIOIA  \  SPARGETE “ –

FESTA NELL’ANNO 1856   CON IL CARDINAL DE ANGELIS

Iscrizione dell’epoca.

A FILIPPO DE ANGELIS ARCIVESCOVO DI FERMO E PRINCIPE  \  DECORO E ORNAMENTO DELLA CATTOLICA CHIESA  \  PER SENNO E PIETÀ VENERANDO  \  DEL SUO DILETTO GREGGE PASTORE VIGILANTE INSTANCABILE  \  D’ANIMI E CUORI FRA SE’ DISCORDANTI CON AMORE DI PADRE CONCILIATORE SPERTISSIMO  \  CHE ESERCTANDO IL PASTORALE MINISTERO IN QUESTA TERRA  \  DELLO SPLENDORE DI SEDIA EPISCOPALE DA’ VETUSTI SECOLI NOBILITATA  \  NELLA FESTIVITÀ SOLENNISSIMA DI VERGIN MARIA CONSILIATRICE  \  BENIGNAMENTE TERZA VOLTA DEGNAVA DI SUA PRESENZA ONORARE LA PATRIA NOSTRA  \  IL MAGISTRATO GIUBILANTE OSSEQUIOSO AL GRAN PORPORATO  \  ALL’OTTIMO ANTISTITE QUESTA PAGINA CONSACRA  \  UMILE SEGNO DELLA PIU’ ALTA UNIVERSALE GRATITUDINE   \   O MARIA NE INTERCEDI APPRESSO L’ONNIPOTENTE DAL QUALE OGNI GIUSTO BENE PROMANA CHE LUNGHI ANNI E FELICI AL ZELANTISSIMO PONTEFICE NOSTRO DONI E CONCEDA   \   IN FALERONE; IL DI’ XV GIUGNO MDCCCLVI  –  G.D.M “- <=Gaetano De Minicis>

INCORONAZIONE  CON IL CARD. MALAGOLA

<pagg. 71-72 Manifesto dedicatorio dell’incoronazione dell’immagine venerata nel 1885>

“A gloria della Vergine  \  che dal Buon Consiglio si noma  \ augusto solenne rito  \  novello per noi  \  compiesi oggi in questo tempio  \  per mano del padre e pastore nostro  \  mons. Amilcare Malagola  \  aurogemmata corona  \  poniamo in capo  \  a MARIA  \  e nella ebbrezza del gaudio  \  nel tripudio dell’esultanza  \  regina della patria nostra  \  salutiamo colei  \  che donna e signora impera nei cieli  \ Oh, entrate entrate  \  paesani e stranieri  \  nuovo slancio di devozione  \  più accesa la fiamma di amore  \  ci stringa a’ piedi  \  della tenerissima delle madri  \  essa ne darà in ricambio  \  la corona del Paradiso – Fermo 1885.

 

Nella Cappella della Madonna del Buon Consiglio a Falerone lapide a ricordo dell’incoronazione foto nel libro (p. 71)

“Ai più tardi nipoti  \  questo marmo serbi memoria  \  che  \  l’immagine di N(ostra) D(onna) del Buon Consiglio  \  protettrice augusta di Falerone  \  per antichi e recenti miracoli veneranda  \  fu da aurea corona redimita  \  per monsignor Amilcare Malagola  \  Arcivescovo e Principe di Fermo  \ Tutti dì ogni classe  \  con divota gara  \  contribuenti alle spese  \  XXX agosto mdccclxxxv “

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MADONNA DEL BUON CONSIGLIO invocata per ogni momento opportuno come guida materna

Preghiera alla Madonna per il consiglio al momento opportuno

CONSILIUM IN TEMPORE OPPORTUNO = Consiglio al momento opportuno cioè quando ne abbiamo bisogno: è l’iscrizione sotto l’immagine della Madonna del Buon Consiglio con in più effigiata la colomba dello Spirito Santo in alto sopra al riquadro dell’immagine.

“Devozione di tre Ave Maria al cuore purissimo di Maria Santissima del Buon Consiglio che si venera in Campiglia nell’oratorio di sant’ Antonio abate della nobile famiglia del Mancino. <tipogr.> Bologna per Gamberini e Parmeggiani. Con approvazione.

\

Vi saluto vergine Santissima del Buon Consiglio, e per i meriti del vostro purissimo cuore vi prego impetrarmi dal vostro divinissimo Figlio vero dolore dei miei peccati passati e la grazia di non peccare mai più.  – Ave Maria

\

Vi saluto Vergine amorosissima del Buon Consiglio e per i meriti del vostro cuore castissimo vi prego impetrarmi dal vostro dilettissimo Figlio vero amore di Dio ed una piena rassegnazione alla sua Santissima Volontà.  – Ave Maria

\

Vi saluto Vergine clementissima del Buon Consiglio e per i meriti del vostro cuore innocentissimo vi prego di attenermi dal vostro dolcissimo Figlio la pienezza del vostro Buon Consiglio, la perseveranza nel bene fino alla morte e la grazia che chiedo … se sia espediente per la salute dell’anima mia. Ave Maria.

\

Prega per noi Santa madre di Dio –Affinché siamo resi degni per le promesse di Cristo.

Preghiamo. Concedi, o Signore Dio, che noi tuoi famuli godiamo della perpetua salute della mente e del corpo e per la gloriosa intercessione della beata Maria sempre Vergine del Buon Consiglio godiamo dell’eterna (letizia), liberati dalla presente tristezza. Per Cristo nostro Signore. Amen  ”

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LA PENITENZA o Riconciliazione nell’Antico e nel Nuovo Testamento nell’insegnamento di don Gabriele Miola Biblista nel 1978

Miola  don Gabriele docente all’Istituto teologico di Fermo

MIOLA GABRIELE  –  LA PENITENZA NELLA BIBBIA

ARCIDIOCESI DI FERMO – SETTIMANA TEOLOGICA PER IL CLERO FERMANO – ESTATE 1978 – su LA PENITENZA (vedi programma qui alla fine)

Matteo 16, 18-19 “E io a te dico: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Giovanni 20,23 «A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».<traduzicne CEI 2008>

I – Introduzione

Questi brani fondano il potere delle chiavi di aprire e chiudere, di legare e sciogliere, di rimettere i peccati o di ritenerli, potere dato a Pietro e ai dodici, e attraverso loro, ai successori. Senza entrare in problemi storico-critici è chiaro, e tutti l’ammettono, che i passi di Mt. 16,19 e di Gv. 20,23 fondano un potere di Pietro e degli apostoli (e quindi dei loro successori) di legare e di sciogliere, di rimettere i peccati o di non rimetterli, che si può riassumere nel potere generale di garantire la presenza di Dio nella storia dell’uomo, che, attraverso la Chiesa per il ministero di Pietro e degli apostoli, riceve la certezza di essere accolto, perdonato da Dio, liberato dal peccato. Meno evidente è il testo di Mt. 18,18 “ In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” in cui non è precisato il soggetto di questa “potestas” di perdonare, se cioè è la comunità nel suo insieme o gli apostoli nella comunità o la comunità attraverso gli apostoli.

Ma altro è il problema della prassi penitenziale attuale. A mio parere il richiamo dei manuali a questi testi per la prassi penitenziale presuppone un’altra questione cioè quella della natura della “confessione” come atto giudiziale: se la confessione è un “giudizio” in cui il confessore è colui che giudica della gravità o meno dei peccati, della coscienza del peccatore, del suo pentimento o meno, in questa visione i testi detti vengono invocati come fondamento di questo potere di giudizio, di assolvere o non assolvere. Questa lettura dei testi ne restringe di molto la portata generale, ma soprattutto ha il torto di partire da una visione prestabilita e da una prassi che cerca la sua giustificazione.

Nella rivista “La Maison-Dieu”, rivista di pastorale liturgica, n° 117, dedicato a “Penitenza e riconciliazione“, un articolo di B. Rigaux (pag.86-135) su questi testi così conclude: “la Chiesa e i suoi rappresentanti, legano e sciolgono, assolvono o meno. Ma non pare che si possa vedere nei nostri passi evangelici un’istituzione in senso letterale del sacramento della penitenza come direttamente affermato. Bisogna tuttavia notare che la Chiesa post-apostolica non ha falsato il tenore di questi testi estendendoli alla disciplina penitenziale. Essi la contengono in nuce, nella totalità della sua profondità e nell’ampiezza della sua estensione” (pag. 135)»

II – IL TEMA

Il tema della penitenza nella Bibbia non è affatto ristretto all’atto giudiziale, ma è un tema più vasto e generale che attraversa tutta la Bibbia dall’inizio alla fine, perché è il tema fondamentale della parola di Dio, che cerca l’uomo, lo raggiunge, lo porta a conversione, gli ridona la gioia di scoprire, di conoscere, di accedere a Dio, alla sua bontà di Padre; in fondo il tema della Bibbia è unico, la ricerca che Dio fa dell’uomo, è la testimonianza della forza creatrice del suo amore che riprende l’uomo alla dignità di figlio nel Figlio suo Gesù.

Non occorre che ci addentriamo nell’analisi dei termini; è risaputo che la Bibbia preferisce esprimere questo concetto della “penitenza” con quello della “conversione”: e il termine “sub” che lo esprime nell’Antico Testamento e che significa: cambiar rotta, tornare indietro, tornare a Dio, fonte della vita; è il termine (greco)”metanoeite”, che lo esprime nel Nuovo Testamento, che è stato tradotto con “convertitevi”, ma nel senso di cambiar mentalità per ritrovare quella giusta, quella del Vangelo di Gesù. Anche “penitenza può andar bene, se spogliato del senso di cosa penosa da fare, e riportato al senso originario di poenitet (= poena me tenet) cioè mi duole, mi dispiace.

Ma sarebbe bene prendere tutta la ricchezza del linguaggio biblico con altre espressioni: riconciliazione, conversione, celebrazione del perdono, dell’amore, della pace di Dio e altre.

Il tema della penitenza-conversione attraversa tutta la Bibbia; scegliamo ora alcuni aspetti principali a cui il tema si rifà, ben coscienti che ce ne sono tanti altri sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

  1. ANTICO TESTAMENTO
  2. I) La Santità di Dio.

Un tema ricorrente a cui si richiama l’invito alla penitenza- conversione è quello della santità di Dio. Jahweh è il Santo, il Separato, il Diverso, per usare un’espressione moderna, il Totalmente altro, dinanzi a cui ci si può solo prostrare in adorazione con un senso di sgomento, ma nello stesso tempo di attrazione piena e assoluta. Egli abita altezze inaccessibili in una luce abbagliante, che lo sguardo non può sostenere, dinanzi al cui splendore l’uomo si sente nulla; solo tenebra che lo splendore di Dio può vincere. Dinanzi al Santo, l’uomo è sempre impuro, la cui impurità è accresciuta dalla propria ribellione e dal peccato.

I testi biblici sono tanti (vedete la voce “santità” in un dizionario biblico). Vediamo solo tre testi:

.a. – Isaia 6 : è il capitolo che proclama la santità di Jahweh.

Dio si eleva immensamente al di sopra di Israele, del tempio, della storia; Egli riempie ogni cosa, è il ‘tre volte Santo’. E’ circondato dai “serafini”, gli ardenti che bruciano ogni immondezza.  La chiamata di Isaia, avviene in questo contesto teofanico, egli si sente impuro ed ha paura, ma viene sollevato da Colui che chiama e manda, mentre lo purifica dalla sua impurità, perché peccatore e in mezzo ad un popolo di peccatori.

.b. – Esodo 33,  18-23; 34, 5-9 (cfr. anche Esodo 19):

E’ la grande teofania che proclama il nome di Dio sopra Israele dopo che ha fatto l’esperienza del peccato. Mosè vorrebbe poter vedere il volto di Dio, accedere alla sua gloria, ma questa è inaccessibile e il volto di Dio non si può vedere perché Mosè insieme al suo popolo è peccatore. Ma sopra questo popolo Dio proclama il Suo nome: “Jahweh, Jahweh, Dio pietoso e misericordioso lento all’ ira e ricco di amore e di fedeltà”. Ecco, il presupposto della penitenza- conversione è il sapere che Dio proclama sopra di me, sopra il suo popolo la misericordia, la bontà, la gratuità del dono.

.c. – Levitico 17-26: il rapporto con Dio

Il libro del Levitico potrebbe sembrare un testo lontano dalla nostra mentalità con le sue leggi cultuali e il suo rubricismo e invece non fa che proclamare la santità di Dio e le esigenze che essa crea nell’uomo: “siate santi perché io sono Santo” è il ritornello che scandisce queste leggi. La santità è appartenenza al Santo, è separazione, è dono della vita che appartiene a Dio; segno di questa appartenenza è lo stato dì purità legale attraverso le purificazioni e i riti, che acquistano così un alto valore religioso ed etico. Attraverso questi aspetti il credente è richiamato costantemente al suo rapporto con Dio.

.d. – Ezechiele 36,22-32: il popolo santificato

Jahweh mostrerà la sua santità nell’azione, poiché Egli raccoglierà Israele, al di là di ogni aspettativa, lo renderà di nuovo il Suo popolo, gli perdonerà i suoi peccati e lo purificherà. Questo mostrerà dinanzi a tutti i popoli che Dio è il Santo, è l’Unico che può salvare. La santità di Dio è la gloria stessa di Jahweh, che manifesta nel perdono e ricostruisce il Suo popolo.

Questo senso della santità di Dio è pastoralmente importante nell’annuncio e nella prassi penitenziale, molto più importante oggi per uscire da una pratica per molti quasi meccanica della penitenza. Ad essa si oppone il vero peccato dell’uomo, che è il suo orgoglio, la sua autonomia che si erge in una libertà contro o al di fuori dì Dio. Ecco un tema su cui riflettere per il rinnovamento della penitenza. La prassi attuale facilita o oscura questa esperienza della santità di Dio? come la si può vivere nella parrocchia comunitariamente e singolarmente?

.2. –  – L’ alleanza.

Un altro tema che attraversa tutta la Bibbia, più importante anche del primo, è quello dell’alleanza; Dio ha offerto un patto di alleanza al suo popolo, gratuitamente, per libera elezione di Dio e sua bontà (cfr Es 19,4-6; Dt 7,7-10, e altro). L’alleanza è fondata su una azione previa di elezione e di salvezza, che i padri, il popolo hanno sperimentato: Abramo, chiamato da Ur e fatto uscire fuori dalla sua terra; il popolo salvato dalla schiavitù. Questo fonda un diritto di appartenenza, di conquista quasi: rifiutare l’alleanza quindi significa rifiutare i gesti della storia come salvezza. Il popolo accoglie questo patto, legge la sua storia in questa luce, perché questa è la sua esperienza; “tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo” (cfr Es 24,7; Gs 24,21 e altro). L’alleanza non è che la lettura della propria storia in rapporto a Dio; è il tema di tutto il libro dell’Esodo; non solo, ma partendo da qui, è la rilettura della storia dei padri nel libro del Genesi. (12-25) e di tutta l’umanità nella tradizione jahwista (Gen 3). La dimenticanza di Dio (sarebbe importante analizzare anche questo tema della “memoria- dimenticanza”), la rottura dell’alleanza è il vero male di Israele: è la sostanza del peccato. Non potendo, esaminare i testi biblici, né tutti né molti, accenniamo solo a due.

2.1. – Osea 2,3-25; è un capitolo antichissimo e bellissimo, è la prima volta che nella Bibbia viene introdotta la metafora matrimoniale per esprimere il rapporto tra Jahweh e il suo popolo come un rapporto sponsale. Israele come un’adultera ha abbandonato il suo sposo e ne ha sperimentato nella sua vita e nella sua storia, le terribili conseguenze morali, sociali ed economico- politiche. Israele e la terra, che il Signore gli ha dato, formano un tutt’uno, l’aver abbandonato Jahweh è stata la causa di tutto il suo male; Israele si è dimenticato della sua origine, cioè del dono di Dio. Per questo Dio la riprenderà per i suoi adulteri sentirà vergogna e sarà riportata alla sua origine, ai tempi del deserto quando fu conclusa l’alleanza.

2.2. – Geremia 2,1-12; 3,1-13; 31,31-34 e tanti altri brani del profeta riprendono la stessa tematica e la sviluppano mettendo in evidenza la perfidia insita nell’idolatria, che è dimenticanza di Dio e tradimento del suo amore gratuito, chiusura ad una lettura profetica della storia.

Geremia proietta nei tempi escatologici la vera alleanza, quella piena che il Signore rinnoverà con il suo popolo, che Egli stesso renderà capace di essere fedele (cfr il rapporto tra Ger 31,31-34 e Eb 8,8-12 e tra Os 2,3-25 e I Pt 2,1-10).

.3. –        La Legge.

La Legge è la carta base che serve di guida ad Israele per vivere il suo rapporto di alleanza con Dio. Essa è un dono, fatta da Dio al suo popolo per il suo bene e il popolo l’accetta e la sente come giusta e santa. La Legge è la sua felicità. Essa è fondamentalmente formulata con le dieci parole, i dieci comandamenti (Esodo 20 e Deuteronomio 5) e si specifica poi e si concretizza nella vita attraverso le diverse legislazioni.  Israele vede la Legge come data positivamente da Dio, essa viene dalla sua santità (basti pensare alle speculazioni sulla legge e la sua origine nei libri sapienziali: cfr Prov 8 e Sir 24 e altro), ma sa anche che essa corrisponde alle esigenze più profonde dell’uomo e che violare la legge significa distruggere se stesso. Altro è la legge ed altro sono le leggi: la prima è santa ed immutabile, le seconde cambiano attraverso i tempi secondo le circostanze nuove ed occorre un occhio vigile per sentire e cogliere le esigenze della prima sulle situazioni della vita e le singole leggi.

Dio viene a contendere con Israele sulla base della Legge; Egli costituisce un “rib”, cioè un giudizio, chiama in tribunale Israele e gli rinfaccia le sue mancanze e soprattutto mostra che il torto è tutto dalla parte di Israele, che ha deviato e misconosciuto la legge. Questa idea sottostà a tutti i brani di minaccia, così frequenti nei profesti. (cfr ad esempio: Is 1, 24s; 3, 13ss; Ez 16, 38; Ger 25, 30-38; Sal 50, 4ss). Tutto e tutti sono sotto il giudizio di Dio e nulla gli potrà essere sottratto: Egli giudica Israele, giudica i popoli, giudica l’intera storia degli uomini.

I fatti mostrano questo giudizio e bisogna avere occhi per leggerli. Dinanzi all’incombere del giudizio di Dio, Israele è chiamato a conversione; i profeti sono gli annunciatori di questo giudizio (cfr Amos: “Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre e non luce” 5,18ss), mentre l’uomo è chiamato a convertirsi perché Dio ritragga il male che ha minacciato. Qui si dovrebbe analizzare l’altro concetto importante, quello del “Dio geloso”: “io sono un Dio geloso” proclama Jahweh Es 20,5; Dt 5,9; Es. 34,6: geloso dell’uomo di cui punisce la colpa fino alla quarta generazione, ma a cui conserva la benevolenza e la fedeltà fino a mille generazioni, cioè le conseguenze del male, del peccato sono gravi e durano fino alla terza e quarta generazione, ma l’amore di Dio è più grande perché è capace di riprendere l’uomo, di rinnovarlo per mille generazioni, per sempre. La gelosia di Dio esprime l’onnipotenza del suo amore, che è immensamente più grande del peccato dell’uomo.

.4. –         La riflessione sapienziale.

Non mi riferisco ai libri sapienziali e al loro valore etico, ma al capitolo terzo del Genesi, che va letto in chiave sapienziale. Basti soltanto qualche cenno, l’autore jahwista parte dalla concretezza e dalla storia di Israele, che, letta religiosamente, è una storia di idolatria e di peccato: Israele ha continuamente rotto l’alleanza con il suo Dio. L’autore allarga la sua visione e legge in questa chiave tutta la storia dell’umanità: il peccato si è annidato nel cuore dell’uomo e costui si è ribellato a Dio. Con una ricchezza stupenda di simboli, magistralmente lo jahwista ci dà una lettura del mistero del cuore dell’uomo e del suo rapporto con Dio: il peccato radicale dell’uomo è la mancanza di fede, non si fida di Dio, anzi lo percepisce come una potenza avversa, che gli toglie qualcosa, la conoscenza del bene e del male, cioè l’esserne arbitro; vuol sperimentare, si erge contro Dio e fa l’esperienza invece del suo male, da cui soltanto l’intervento misericordioso di Dio potrà liberarlo: l’uomo fa l’esperienza che egli non è e non può essere salvezza a se stesso, ma la sua felicità non può essere che Dio.

E’ questa una tematica quanto mai attuale per l’uomo moderno e va pastoralmente situata nelle celebrazioni della penitenza.

.5. –        L’eschaton.

La promessa, l’attesa, il compimento è la tensione dell’Antico Testamento, il compimento in Cristo, anticipazione prolessi dell’eschaton; – l’arrabon, la caparra dello Spirito nella Chiesa. L’eschaton assoluto è la tensione che va dal Vangelo all’Apocalisse. E’ questa una linea fondamentale che attraversa tutta la Bibbia. La chiamata alla conversione, è tutta basata su questa tensione, che non è che l’espressione della potenza creatrice di Dio, che fa le cose nuove:” non ricordate più le cose passate (…) ecco io faccio una cosa nuova” (Is 43, l8s), a cui fa eco la voce di Colui che siede sul trono: “ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).

La comunità che celebra la penitenza deve essere in ascolto di questa proclamazione, che dona profonda gioia: tutto può cambiare, perché Dio tutto può ricreare. Senza questa fede non si percepisce nemmeno la buona notizia che porta Cristo: “convertitevi perché il regno di Dio è vicino”.

.B. NU0V0 TESTAMENTO

Come per il V.T. così per il N. ci limitiamo solo a qualche spunto unificando alcune riflessioni sulla conversione- penitenza.

.1. – Il regno di Dio e il potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati.

Il punto centrale dell’annuncio di Gesù è la buona notizia della prossimità, della presenza del regno di Dio: “esso è in mezzo a voi” (Lc 17,21). Esso non è che la presenza di Dio, per questo richiede la conversione, l’accoglienza del regno e dove c’è la presenza di Dio, lì c’è la salvezza, la liberazione dal male, con i suoi segni, con il perdono dei peccati, con tutta la sua persona. La presenza di Gesù e la sua parola, accolte nella fede, fanno irrompere il regno di Dio, per questo Gesù dice: “ti sono rimessi i tuoi peccati”.

L’episodio del paralitico (Mc 2, 1-12; Mt 9, 1-8; Lc 5, 17-26) è esemplare a questo proposito: l’uomo da sé non può dire, o fare, né l’una né l’altra cosa, perdonare i peccati o far miracoli, ma Dio può fare l’una e l’altra, anzi la guarigione miracolosa è il segno, la prova della realtà del peccato perdonato e la folla, che ha occhio per leggere, “resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9, 8). In fondo il regno di Dio è il perdono dei peccati, il perdono da parte di Dio e la forza che l’uomo riceve da Dio di perdonare a sua volta. Non dimentichiamo che il celebre capitolo 15 di Luca con le parabole della misericordia comincia presentando lo scandalo dei farisei che protestavano e accusavano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15, 2). Nella terza parabola quella dei due figli si sottolinea che la festa non è completa fino a quando il secondo figlio non ha capito l’atteggiamento del padre, che ha accolto il figlio prodigo. Il perdono tra gli uomini è il segno del perdono di Dio. In ultima analisi la misericordia di Dio si identifica con il suo amore creatore, che rinnova l’uomo e lo rende capace di percepire la novità di Dio in sé e negli altri: questo fa superare ogni legalismo, ogni confronto con gli altri, ogni fariseismo.

L’atteggiamento di Gesù nei confronti dei peccatori ci dà la misura di quello che è il regno: è l’opera di Dio, che si è manifestata in Gesù, è il suo amore creatore, che rinnova e dona pace e felicità: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia voglio e non sacrifici.  Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, mai peccatori” (Mt 9,13).

Pastoralmente è un grosso interrogativo per noi: quale esperienza di Dio c’è nelle nostre confessioni, nella pratica penitenziale delle nostre parrocchie? Non dobbiamo trovare una catechesi e una prassi adeguata nella celebrazione del sacramento della penitenza?

.2.- Il mistero pasquale.

Senz’altro questo aspetto è stato il più sottolineato nella catechesi della confessione, almeno parzialmente sotto la visione: ‘il peccato è la causa della morte di Cristo’. La nostra predicazione ha sempre sottolineato la morte redentrice di Cristo, spesso lasciando in ombra la risurrezione. S. Paolo ai Romani scrive: “il Signore Gesù è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (4, 25).

Nella vita di Gesù, il giusto che è passato beneficando e sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (At 10, 38), il peccato ha mostrato la sua forza e la virulenza delle sue strutture, che hanno stroncato la sua vita portandolo alla morte. L’obbedienza di Cristo ha mostrato il mistero del peccato dell’uomo e della sua potenza: “si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 8). Ma nella morte di Cristo si è manifestata la giustizia di Dio, che lo ha risuscitato da morte, perché il Figlio gli è stato fedele in tutto. Ora il risorto dona lo Spirito suo e del Padre per la remissione dei peccati (Gv 20, 22 “ ricevete lo Spirito Santo”), perché noi possiamo essere giustificati, cioè partecipare del dono misericordioso di Dio, che distrugge il peccato e la morte e ci fa risuscitare alla vita: la giustizia di Dio infatti è la sua misericordia.

I sacramenti celebrano il mistero di Cristo e l’Eucaristia ne è il vertice e attraverso essi entriamo in questo mistero di salvezza. Noi dobbiamo domandarci se la nostra prassi penitenziale si svolge in questa atmosfera o se piuttosto non acquista più sovente l’aspetto di una amministrazione vuota e meccanica.

.3. –  La comunità del N.T.

Senza addentrarci in analisi per caratterizzare la specificità e le prerogative della comunità cristiana, un testo, a mio parere fondamentale, fa al nostro tema della conversione- penitenza. Il brano della 2 Corinzi 5,14-21 specifica questa situazione: la comunità cristiana si ritrova intorno a Cristo perché lui è morto per tutti e i cristiani non vivono più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per tutti (v. 15); essi in Cristo sono una creatura nuova, le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove (v. 17). Tutto questo è opera di Dio, “ che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” ed ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione (v. 18). Gli apostoli hanno un potere da Dio perciò essi fungono da ambasciatori per Cristo (v. 20); essi annunciano: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”, cioè oggetto della sua misericordia e bontà (v. 21). Qui giustizia di Dio significa che Dio è giusto perché è fedele alla sua promessa di salvezza e la opera in nostro favore, per cui noi siamo l’espressione di questa giustizia, cioè siamo giustizia di Dio.

Questo è il ministero della riconciliazione affidato alla Chiesa, affidato agli apostoli e ai loro successori, che continuamente gridano con Paolo: lasciatevi riconciliare con Dio (v. 20). E’ il ministero nella sua pienezza che si esprime nell’annuncio della parola, nella celebrazione dei sacramenti, nell’esercizio della carità di creature nuove.

Noi dobbiamo domandarci se tutto questo si esprime nella prassi attuale della confessione. Certamente c’è in luce tutto quel gesto di assolvere da parte del prete e di accostarsi all’Eucaristia da parte del fedele, ma quanta povertà! Credo che c’è da dissotterrare una ricchezza immensa rimasta sotto forme sclerotizzate, frettolose, meccaniche, senz’anima. Il Nuovo Ordo i Poenitentiae ci avvia verso questa riscoperta con la ricchezza della parola di Dio, con il senso sacramentale riportato alla sua espressività specialmente nella seconda e terza formula, che sono capaci di ricostruire piano piano il senso della comunità e della riconciliazione.

Altro è la riconciliazione nel suo aspetto generale ed altro la riconciliazione del singolo cristiano per una colpa singola. La comunità cristiana è chiamata la comunità dei “santi” cioè dei santificati perché c’è Cristo, ma è anche la comunità peccatrice perché c’è il peccato dei cristiani, la Chiesa è ben cosciente di questo (cfr LG n° 8) e S. Paolo ce lo mette bene in luce, soprattutto nella prima lettera ai Corinzi quando deve intervenire per casi concreti come quello dell’incestuoso (5, 1-8), delle liti tra fratelli (6, 1-10), e del buon ordine nella celebrazione della cena del Signore (11, 17-34) e nell’uso dei carismi (cap. 12-14).

Senza analizzare a fondo questi brani si può dire che risulta un potere di Paolo e della comunità insieme (radunati insieme voi e il mio spirito: 5,4) per cui il peccatore viene dato in balia di satana per la rovina della sua carne (v. 5), cioè privato del sostegno della chiesa dei santi e per ciò stesso, esposto al potere che Dio lascia al suo avversario, che ha potere sulla carne cioè sulla debolezza umana, mentre la Chiesa continua a sostenerlo perché ottenga la salvezza nel giorno del Signore, cioè della sua visita.

A questo proposito sottolineo che non tocca a me parlare delle diverse prassi penitenziali adottate dalla Chiesa attraverso i secoli; ma mi interessa evidenziare che altro è la riconciliazione e il perdono nella Chiesa ed altro i modi con cui questa è stata esercitata.

Alcuni testi ci richiamano queste prassi nella Chiesa apostolica: in questa luce va letto forse il brano di Mt 18,15-18 sulla correzione fraterna: i fratelli e la comunità richiamano, correggono, legano e sciolgono. C’è da supporre che la comunità è strutturata e che all’interno si svolge il ruolo dell’apostolato, e, come vediamo da altri testi, dell’episcopo, del presbyteros; ma certo che è tutta la comunità ad esserne interessata.

D’altra parte il ruolo della comunità lo vediamo anche da altri passi come quello di Giacomo: confessate i vostri peccati agli altri (5,16), o anche in I Gv 1, 8s “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi e gli alri … “.

Anche su questo aspetto del ruolo della comunità nella prassi attuale penitenziale c’è da porsi interrogativi e pastoralmente bisogna valorizzare questi aspetti comunitari che l’Ordo Poenitentiae mette in rilievo.

.III. – BREVE CONCLUSIONE.

Dai cambiamenti vistosi di cui siamo testimoni in questi ultimi anni circa la prassi della confessione, non si può non cogliere un certo senso di malessere. Biblicamente si può dire che la prassi attuale, anche nonostante l’Ordo Poenitentae Nuovo, rimane sostanzialmente quella di prima, è molto povera come segno, come celebrazione, come catechesi. La stessa ricchezza delle letture bibliche che l’Ordo stesso indica non è sfruttata.

Il problema della penitenza oggi non è tanto il problema del potere di assolvere o meno i peccati o quello dell’accusa specifica, ma è il problema di senso di Chiesa, di ricostruire la coscienza di essere la Chiesa di Cristo, santa, ma peccatrice e bisognosa di conversione. I temi cui abbiamo sopra, sommariamente accennato: la santità di Dio, l’alleanza, la legge e il peccato, il mistero di Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, la Chiesa comunità dei salvati, lo Spirito creatore, sono tutti aspetti essenziali e primari su un certo persistente sacramentalismo. Bisogna domandarsi quali sono le vie per arrivare a ricreare questa coscienza; catechesi, catecumenato, celebrazione autentica dei sacramenti.

don Gabriele Miola

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*** ECCO IL PROGRAMMA DI QUESTA SETTIMANA TEOLOGICA PER IL CLERO FERMANO

LA PENITENZA

-I.a – PARTE: la situazione di fatto

A – Inchieste: .1. inchiesta tra il clero (relaziono- del Vicario per la pastorale Mons. Rolando Di Mattia)

.2  inchiesta tra gli studenti (relaziono di d. Francesco Monti)

B – Prassi penitenziali nei movimenti e gruppi ecclesiali;

.1- Piccola Comunità Vocazionale (d. Giovanni Crocetti)

.2- Comunità Neocatecumenali (d. Raffaele Canali)

.3- Corsi di Cristianità (d. Vincenzo Antinori)

.4- Comunione e Liberazione (d. Franz Cudini)

.5- Movimento GEN; (d. Pierluigi Ciccaré)

C – Nei santuari:

.1. Santuario dell’Ambro (p. Maurizio, guardiano)

.2. Santuario dell’Amore Misericordioso, Collevalenza (intervento di p. D. Cancian e p. A. Ambrogi)

D – Testimonianza di un laico (Walter Tulli)

-II.a – PARTE: Relazioni teologiche

.1 I testi di Mt 16,185 18,18; Gv 20, 23 o la penitenza nella Bibbia (d. Gabriele Miola) ..QUI TRASCRITTO.

.2 Teologia del peccato e della riconciliazione nella prassi sacramentale ecclesiale (Mons. Duilio Bonifazi)

.3 Crisi attuale del sacramento della penitenza alla luce della storia (d. Romolo Illuminati)

.4 Riflessioni teologiche su: “Chiesa e sacramento della riconciliazione (d. Angelo Fagiani)

.5 Le indicazioni dell’Ordo Poenitentiae di fronte -alla prassi pastorale attuale (d. Giovanni ‘Cognigni)

-III.a  – PARTE: Relazioni dei 4 gruppi di studio

-IV.a   PARTE: Conclusioni- del Vicario per la Pastorale:

  1. a) conclusioni della prima settimana (26-30 giugno 1978)
  2. b) conclusioni della seconda settimana (28/8 – 1/9. 1978)

 

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MADONNA DEL BUON CONSIGLIO PREGHIERE RACCOLTE A FALERONE edite tra altri da Marco Armellini

Orazione a Maria S.S. del Buon Consiglio venerata anche a Falerone

(altrove Madonna di Genazzano)

O gloriosissima Vergine Maria, Madre del Buon Consiglio, ti supplichiamo di guidarci nel difficile cammino della vita.

Dona luce alla nostra mente, ardente carità al nostro cuore, forza alla nostra volontà.

O Vergine del Verbo Incarnato, ripeti a noi le parole di vita eterna che hai ascoltato dal Tuo Figlio Divino e che hai conservato nel tuo cuore.

Fa che viviamo nell’amore di Dio e restiamo sempre nella sua Santa volontà.

Chiedi per noi la perseveranza finale, sì che possiamo godere con te la gioia eterna del Paradiso.

\\  Per chiedere aiuto e grazie

Beatissima Vergine Maria, purissima Madre di Dio, fedele dispensatrice di tutte le grazie, deh! Per l’amore del vostro divin Figliolo illuminate la mia mente, ed assistetemi coi vostri consigli, sicché possa vedere e volere ciò che debbo fare in ogni circostanza della vita.

Spero, o Vergine Immacolata, di ricevere per la vostra intercessione questo celeste favore; dopo Dio, ogni mia confidenza è in voi riposta.

Nel timore però che i miei peccati possano impedire l’effetto alla mia preghiera, li detesto quanto posso, perché dispiacciono infinitamente al vostro Figlio.

Mia buona Madre, io vi domando questa cosa sola: Cosa debbo fare?

(Monastero Agostiniane S. Maria di Betlemme, Sant’Eraclio di Foligno, PG)

\\\

Preghiera alla Madonna del Buon Consiglio del venerabile Papa PIO XII

Vergine Santa,

ai cui piedi ci conduce

la nostra affannosa incertezza

nella ricerca e nel conseguimento

del vero e del bene,

per invocarti col dolce titolo

di Madre del Buon Consiglio,

vieni, te ne preghiamo, in nostro soccorso,

mentre, per le vie del mondo,

le tenebre dell’errore e del male

congiurano alla nostra rovina,

fuorviando le menti e i cuori.

Tu, sede della sapienza e stella del mare,

dà lume ai dubbiosi e agli erranti,

affinché i falsi beni non li seducano;

rendili saldi contro le forze ostili e corruttrici

delle passioni e del peccato.

Ottieni per noi, o Madre del Buon Consiglio,

dal tuo Divin Figliuolo, l’amore della virtù

e, negli incerti e difficili passi,

la forza di abbracciare

ciò che conviene alla nostra salvezza.

Se la tua mano ci sorregge,

cammineremo incolumi per i sentieri segnatici

dalla vita e dalle parole del Redentore Gesù;

e dopo aver seguito liberi e sicuri,

pur nelle lotte terrene,

sotto la tua materna stella,

il Sole della Verità e della Giustizia,

godremo con Te nel porto della salute

la piena ed eterna pace.

Così sia.

\\\\

Supplica alla SS. Vergine Maria Madre del Buon Consiglio

O eccelsa Regina dell’Universo e Madre amorosa del Buon Consiglio, accogli con benevolenza i tuoi figli che in quest’ora solenne si stringono intorno alla tua meravigliosa Immagine in fervorosa preghiera.

Vorremmo aprire il nostro cuore al tuo cuore immacolato di Madre, per dirti i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre angosce, i nostri timori e le nostre speranze.

Tu che sei piena di Spirito Santo e ci conosci nell’intimo, insegnaci a pregare, a chiedere a Dio ciò che il nostro cuore non osa sperare e non sa domandare. Ci spinge il pensiero che fra i tanti luoghi dove hai voluto dare un segno tangibile della tua operosa presenza in mezzo al popolo di Dio, hai scelto anche Genazzano (e Falerone), per essere invocata quale Madre del Buon Consiglio, perché sicuro sia il nostro cammino e retto il nostro operare.

O madre, rendici degni di tanto privilegio! Fa che impariamo a vedere in te il modello dei discepoli del Signore Gesù: docili ai tuoi consigli, obbedienti alle tue parole che ci esortano a fare ciò che il tuo Figlio ci ha insegnato a compiere, o Madre nostra del Buon Consiglio.\                                      Tre Ave Maria, Gloria… «Madre dolcissima del Buon Consiglio, deh ! benediteci col vostro Figlio» (cantata in chiesa).

II

O Madre, tu sai che i nostri pensieri sono instabili e insicuri i nostri passi. Tu conosci le insidie, le suggestioni, le lusinghe che contrastano, oggi, il nostro cammino di fede.

Tu, piena di grazia, da sempre sei stata associata dal Padre, al mistero di Cristo, e in tutta l’estensione del tuo itinerario terreno, ne sei divenuta partecipe, avanzando nella peregrinazione della fede.

Guida, ora, il nostro cammino, perché insieme a te, nella forza dello Spirito Santo, anche noi sappiamo rendere presente agli uomini d’oggi, il mistero del Cristo.

Apri, o Madre, il nostro cuore alla beatitudine dell’ascolto della Parola di Dio, e, nella potenza dello Spirito, fa’ che anche noi diventiamo luogo santo in cui, oggi, si compie la Parola di salvezza, che trovò in te pieno compimento, o Madre nostra del Buon Consiglio. \                                   Tre Ave Maria, Gloria… Madre dolcissima del Buon Consiglio, deh! benediteci col vostro Figlio».

IlI

Vergine potente contro il male, donna del dolore, che ben conosci la sofferenza umana,

e nella libertà dell’amore sei stata associata alla passione del tuo Figlio, e da Gesù morente ti siamo stati affidati come figli: guarda, ora, con amore i poveri, gli infelici, i malati, i morenti. Scuoti il cuore di quanti rimangono insensibili, indifferenti al dolore umano.

Rafforza negli uomini di buona volontà quell’amore operoso che si fa responsabile di ogni gemito che invoca giustizia, amore, pace e salvezza. Fa’, o Madre, che mentre ci facciamo artefici laboriosi della città terrena e temporale, non dimentichiamo mai di essere pellegrini solerti verso quella patria celeste ed eterna, dove tu risplendi quale nostro rifugio, nostra speranza, o Madre dolcissima, Maria del Buon Consiglio.\                                     Tre Ave Maria, Gloria…  «Madre dolcissima del Buon Consiglio, deh! benediteci col vostro Figlio»,

IV

Prima di chiudere quest’incontro di filiale confidenza e di preghiera, desideriamo il conforto della tua benedizione, quale segno sicuro della benedizione del tuo Figlio divino. Questa benedizione sia feconda di beni temporali ed eterni. Guardando alla tua esemplarità, tu ci consigli a fare della nostra vita un’offerta gradita al Padre, per poter cantare l’inno del ringraziamento e della lode, al Dio della vita, con gli stessi accenti, sgorgati dal tuo cuore umile e filiale:

«L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore».

Madre della Chiesa, benedici il sommo Pontefice … perché sia guida sicura del viandante popolo di Dio, e la tua Chiesa sia un cuor solo, un’anima sola.

Benedici i governanti del nostro paese e tutti coloro che reggono le sorti dei popoli, perché collaborino ad edificare un mondo di giustizia, di verità, d’amore e di pace. Benedici il nostro vescovo e tutti i pastori della chiesa, perché la comunità cristiana sia sempre guidata da uomini saggi e generosi. Benedici le autorità e il popolo (di Genazzano e di Falerone), perché memori della tua predilezione, rimangano fedeli alla fede e alle speranze dei padri.

Benedici i religiosi agostiniani custodi del tuo santuario, gli iscritti alla Pia Unione, vivi e defunti, e tutti coloro che con zelo diffondono il tuo culto.

Una particolare benedizione ti chiediamo, o Madre, sull’odierno Movimento Ecumenico. La potenza dell’Altissimo che un giorno ti adombrò a Nazareth, scenda, per la tua benedizione, nel cuore di tutti i cristiani, e renda propizio l’avvento dell’ora in cui i discepoli di Cristo, rivivranno la piena comunione nella fede.

Benedici ancora, o Madre, i nostri parenti, i benefattori di questo santuario, gli amici e i nemici. Su tutti scenda copiosa la tua benedizione, che ci renda degni di chiamarci ed essere veramente tuoi figli, e un giorno poter cantare con tutta la Chiesa celeste:

« sia lodata e ringraziata la Regina del cielo e della terra, la cara nostra Madre Maria del Buon Consiglio».\                                        Tre Ave Maria, Gloria…   «Madre dolcissima del Buon Consiglio, deh! benediteci col vostro Figlio»

\\\\\

Alla Madonna del Buon Consiglio

Rallegrati, o Maria, Immagine della Chiesa e Madre dolcissima del Buon Consiglio. Tu sei il nostro modello, il segno di sicura speranza del nostro pellegrinare.

Per questo nel cammino della vita, reso arido e tortuoso dalle forze divoratrici della violenza e del potere, guardando a Te noi impariamo a far crescere Cristo nel cuore degli uomini, impariamo, nonostante tutto, a seminare il Bene, il Vero, il Bello; perché confidiamo nella forza del Vangelo, la sola che ci fa assomigliare a te, o Maria, Immagine della Chiesa e Madre nostra dolcissima del Buon Consiglio. Amen

\\\\\\

Liturgia

Alla Madonna del Buon Consiglio

Signore, tu sai quanto timidi ed incerti sono i pensieri dei mortali; per intercessione di Maria,

Madre del Buon Consiglio, nel cui grembo verginale il Verbo si è fatto uomo, concedi a noi il tuo Spirito, perché ci faccia conoscere ciò che piace a te e ci guidi nei travagli della vita.

Per Cristo nostro Signore. Amen.

\\\\\\\

Antica preghiera a Maria 

Sotto la tua protezione veniamo a rifugiarci, santa Madre di Dio.

Non respingere le preghiere

che ti rivolgiamo nelle nostre necessità,

ma liberaci sempre da tutti i pericoli,

Vergine gloriosa e benedetta.

\\\\\\\\

Preghiera a Maria \

Vergine Santissima,

che nella chiesa nascente eri presente quale madre orante, e che ora, assunta in cielo, prosegui la tua missione di salvezza, guarda, propizia, le necessità dei tuoi figli, che raccolti in preghiera, si rivolgono con fiducia alla tua materna intercessione.

Madre del Buon Consiglio, piena di Grazia e di Spirito Santo,

per i meriti del tuo Figlio Gesù, accogli la nostra supplica.

Così sia.

\\\\\\\\\\

Orazione (con indulgenza di 100 giorni da Leone XIII PAPA, 10 settembre 1878)

Gloriosissima Vergine scelta dall’Eterno Consiglio per Madre dell’Eterno Verbo umanato, Tesoriera delle divine grazie,

ed Avvocata dei peccatori, io, indegnissimo vostro servo, a Voi ricorro, affinché vogliate essermi guida e consigliera in questa valle di lacrime.

Impetratemi, per il preziosissimo Sangue del Vostro Divin Figliuolo, il perdono dei miei peccati, la salvazione dell’anima mia ed i mezzi necessari per conseguirla.

Ottenete alla Santa Chiesa il trionfo sui suoi nemici, e la propagazione del Regno di Gesù Cristo sulla terra. Così sia.

\\\\\\\\\\\\

PREGHIERA ALLA MADONNA DEL BUON CONSIGLIO

O di regale progenie preclarissima Donna, Vergine Madre, Madre e Vergine; cui il radiente splendore del Sol di Giustizia Cristo Dio nostro, dalle Immacolate Vostre purissime viscere uscito, rende si vaga, si luminosa e si attraente di ogni umano cuore; sì ricca, sì piena di grazia che in eccellenza di prerogative superarVi fa mirabilmente ogni altra pura creatura.

Per quei due estremi di gaudio e di dolore che provaste qui in terra, istantemente vi chiedo di aiutarmi sollecita e pietosa e proteggermi innanzi allo terribilissimo divin tribunale, colle Vostre Sante ed Efficaci preghiere acciò sia liberato da tutti i divini flagelli.

Voi Regina eletta del Cuore di Dio siete veramente quella parzialissima Difenditrice amorosa di questa Terra coll’allontanare da essa le pestilenze desolatrici, le quali erano già vicine alle nostre contrade, i terremoti, le carestie, le piogge, le quali cadevano senza interruzioni e ci teneste lontani altri divini flagelli, per il che divenuta siete la principale patrona di questa terra di Falerone.

Ah! Su via che la vostra preghiera onnipotente aiuto dei Cristiani, ha sempre avuto ed avrà sempre ragione non d’interpretare ma di comandare; sebbene il Vostro Figlio vuol essere pregato da Voi per nulla negarvi ed affinché vengano esaudite da Voi e dal Vostro Figlio le mie preghiere con viva fiducia e rispetto dico:

Ave Maria (Al termine di ciascuna Ave)  Regina Mater Boni Consilii, Ora pro nobis.  Regina Madre del Buon Consiglio, prega per noi

 

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SINODO DIOCESANO FERMO Il Vicario Miola Gabriele narra il percorso preparativo e le finalità

MIOLA mons. Gabriele nel Foglio Ufficiale Ecclesiastico della diocesi di Fermo anno 1987 n. 2 pp. 25- 38

LA CHIESA FERMANA IN STATO DI SINODO

A modo di premessa

  1. a) Mi trovo a fare questa relazione inaspettatamente. Non nel senso che mi sia stato detto ieri, ma nel senso che fino al giugno scorso ci si aspettava che altra persona l’avesse fatta. Ma appena un mese fa, nell’agosto, mi è stato detto di fare per un anno il presidente della commissione preparatoria del Sinodo e così in questi giorni, tra gli impegni pastorali, ho trovato dei ritagli per raccogliere qualche idea per questa relazione, che vuol essere semplice, non dotta, e anche breve.
  2. b) Ecco una scheda sul percorso dell’idea di un sinodo diocesano.

1 ) La prima idea del sinodo è sorta con la realizzazione della visita pastorale in Diocesi.

Il Foglio Ufficiale (F.U.) dà delle note organizzative sulla visita pastorale e termina dando degli obiettivi. (F. U. 1979 n. 4). L’ultimo è cosi formulato (lettera e): “preparare elementi e condizioni per il sinodo diocesano” (pag. 22).

2)         Nella tre-giorni Dell’anno scorso (19-21 settembre) già si accennava alla Chiesa fermana in stato sinodale, e fu preparata una bozza per un lavoro preparatorio e per la formazione di una commissione pre-sinodale.

3)         Il primo nucleo della commissione preparatoria fu stabilito dal Vescovo il 14 ottobre ’85 e tenne la prima riunione il 21 dello stesso mese.

Si discusse: a) sul concetto di Chiesa locale e di sinodo nella Chiesa; b) sul coinvolgimento più ampio possibile di organismi come il Consiglio Pastorale Diocesano (CPD), il Consiglio Presbiterale (CP), la Consulta dei laici e altri. Si decise: a) di allargare la commissione preparatoria con altri presbiteri e con i laici; b) di preparare un documento da chiamare “Lineamenta” che fosse la base per una presa di coscienza sul sinodo in tutta la Diocesi.

4)         La commissione ampliata (cfr. F.U. 1986 n. 1 – 2 pag. 152) tenne la riunione il 2 dicembre ’85 e discusse la prima “bozza dei lineamenta, preparata da don Paolo Petruzzi e don Giovanni Cognigni, il 20 dello stesso mese. Si dette mandato agli stessi di rifonderla sulla base delle indicazioni emerse.

5)         Il 6 febbraio 1986 fu invitato Mons. Giovanni Conti di Reggio Emilia, segretario del sinodo di quella Diocesi, per illustrare la propria esperienza.

6)         Nella riunione del 17 marzo ’86 fu discussa la seconda bozza dei “ Lineamenta”, che furono in linea di massima approvati con delle indicazioni di miglioramento. Ne è venuto fuori il documento consegnato.

Nota sulle Abbreviazioni dei testi citati: — Testi conciliari: DV (Dei Verbum: sulla Divina Rivelazione), LG (Lumen Gentium: sulla Chiesa), SC (Sacrosanctum Concilium: sulla liturgia), GS (Gaudium et Spes: la Chiesa nel mondo contemporaneo). CD (Christus Dominus: sul ministero dei Vescovi). PO (Presbyterorum Ordinis: sul ministero dei preti), OT (Optatam Totius: sulla formazione sacerdotale), AA (Apostolicam Actuositatem: sull’apostolato dei laici), AG (Ad Gentes: sulle missioni), PC (Perfectae Caritatis: sulla vita religiosa), OE (Orientalium Ecclesiarum: sulle Chiese orientali), UR (Unitatis Redintegratio: sull’ecumenismo), NAE (Nostra Aetate: sulle religioni non cristiane), DH (Dignitatis Humanae: sulla libertà religiosa), GE (Gravissimum Educationis: sull’educazione cristiana), IM (Inter Mirifica: sui mezzi di comunicazione sociale).

—Testi applicativi: ES (Ecclesiae Sanctae: sull’applicazione di alcuni decreti conciliari), EI (Ecclesiae Imago: direttorio pastorale dei Vescovi).

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  1. IL SINODO IN DIOCESI

I- La celebrazione dei Sinodi è un fatto antico nella Chiesa, inizia già dal tempo apostolico (At. 15); i Sinodi hanno segnato le svolte e le epoche della storia della Chiesa. Fa parte potremmo dire della struttura stessa della Chiesa.

Con l’offuscarsi della teologia della Chiesa locale si pensò da qualcuno che l’epoca dei Concili generali e dei sinodi particolari fosse finita.

Il Vaticano II non solo è stato un grande fatto conciliare, ma ha indicato la sinodalità come un elemento portante della vita della Chiesa, sia universale che particolare.

Vediamo alcuni testili. Il decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi (Christus Dominus) così si esprime: “Ora questo santo Sinodo Ecumenico desidera che la veneranda istituzione dei Sinodi (e dei Concili) riprenda nuovo vigore, per provvedere più adeguatamente e più efficacemente all’incremento della fede e alla tutela della disciplina nelle varie Chiese, secondo le mutate circostanze dei tempi” (n. 36b).

Subito dopo il Concilio, nel motu proprio Ecclesiae Sanctae di Paolo VI (1966) per l’applicazione dei decreti conciliari si dice, a proposito del Consiglio Pastorale Diocesano, che ha il compito anche “di cooperare alla preparazione del Sinodo Diocesano e curare l’applicazione degli Statuti del Sinodo” (III, 20).

Nel 1973 la Congregazione dei Vescovi emise il Direttorio Pastorale dei Vescovi (EI), documento ampio e significativo di applicazione soprattutto della CD, dopo aver parlato dell’attività dei Vescovi nelle Diocesi secondo la linea del triplice munus, dedica il cap. VI (III, 6) al Sinodo e alla visita pastorale, come due momenti fondamentali del ministero del Vescovo e della vita della Diocesi.

Vediamo cosa dice il sul Sinodo Diocesano ( EI n. 162 — 163) e la sua preparazione (164):

  1. Secondo una norma di attività pastorale tramandata da secoli e poi codificata dal concilio Tridentino, nel governo pastorale del vescovo trovano un posto di preminenza il sinodo diocesano e la visita pastorale.

Il vescovo deve sentirsi intensamente impegnato alla preparazione, programmazione ed attuazione di entrambi questi momenti pastorali, in forme rinnovate ed adattate alle necessità attuali della Chiesa.

  1. Il sinodo diocesano che viene convocato e diretto dal vescovo e al quale sono chiamati, secondo le prescrizioni canoniche, chierici, religiosi e laici, è l’assemblea nella quale il vescovo, servendosi dell’opera di esperti in teologia, pastorale e diritto, e utilizzando i consigli delle diverse componenti della comunità diocesana, esercita in modo solenne l’ufficio e il ministero di pascere il gregge affidatogli, adattando le leggi e le norme della Chiesa universale alla situazione particolare della diocesi, indicando i metodi da adottare nel lavoro apostolico diocesano, sciogliendo le difficoltà inerenti all’apostolato e al governo, stimolando opere ed iniziative a carattere generale, correggendo, se mai serpeggiassero, gli errori circa la fede e la morale.

Il sinodo offre anche l’occasione di celebrazioni religiose particolarmente adatte all’incremento o al risveglio della fede, della pietà e dello spirito di apostolato in tutta la diocesi.

  1. Perché si svolga bene e risulti veramente proficuo allo sviluppo della comunità diocesana, il sinodo dev’essere preparato con cura, sia con l’elaborazione delle materie da trattare sia con l’interessamento dell’opinione pubblica e delle coscienze dei fedeli per mezzo di idonee informazioni. Il vescovo costituisce tempestivamente le commissioni preparatorie, formate non solo di chierici ma anche di religiosi e laici scelti con cura: esse studieranno sia nel capoluogo della diocesi sia nelle singole foranie gli argomenti da proporre al sinodo, ne esamineranno i vari aspetti (teologia, liturgia, diritto canonico, attività socio-caritativa, apostolato specializzato, vita spirituale) e redigeranno gli schemi dei decreti, risoluzioni, provvedimenti, ecc., che il vescovo insieme al consiglio presbiterale e anche, se egli lo crederà, al consiglio pastorale esaminerà, e quindi deciderà se presentare o meno all’assemblea sinodale.

Al tempo stesso il vescovo ha cura che in tutta la diocesi si diano ai fedeli abbondanti informazioni sull’avvenimento ed una frequente predicazione sull’importanza del sinodo per la vita e le istituzioni della Chiesa, si illustrino i problemi e le proposte che il sinodo dovrà esaminare, si solleciti la consapevole riflessione e la spontanea collaborazione di tutti i membri della comunità diocesana, anche al di fuori delle commissioni preparatorie.

Infine il vescovo non si stancherà di chiamare l’intera Chiesa diocesana a preghiera intensa durante il tempo della preparazione e dello svolgimento del Sinodo, trattandosi di cosa tanto rilevante.

2)         Dopo il Concilio e le indicazioni applicative, il Codex Juris Canonici codifica e disciplina la materia e pone il Sinodo diocesano come la prima nelle strutture interne della Chiesa particolare. Nella sezione riguardante le Chiese particolari al titolo terzo, che tratta della struttura interna delle Chiese particolari, il primo capitolo è riservato al Sinodo diocesano e abbraccia i can. 460 – 468.

Per il momento ci interessano solo i primi due canoni:

460: Il Sinodo diocesano è l’assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana.

461: Il Sinodo diocesano si celebri nelle singole Chiese particolari quando, a giudizio del Vescovo diocesano, sentito il consiglio presbiterale, le circostanze lo suggeriscono.

A venti anni dal Vaticano II, nonostante i mezzi di comunicazione, lo sviluppo dell’informazione anche teologica, le normative venute dalla Santa Sede e dalla CEI, credo che non ci sia strumento migliore per accogliere, recepire e fare nostro lo spirito e la mentalità del Vaticano II, che un Sinodo diocesano, se preparato bene e ben condotto.

3)         Il soggetto del Sinodo diocesano.

Chi celebra il Sinodo è la Diocesi, che si ritrova ad affrontare i problemi della vita diocesana (Sinodo significa proprio “convenire insieme e percorrere insieme la stessa strada”): il pastore con il suo presbiterio e i fedeli nelle diverse componenti. Non parliamo ora di coloro che saranno chiamati a partecipare alle assemblee conclusive, che potremmo indicare fin d’ora con il nome di “sinodali” o “padri sinodali”, ma di coloro che lo debbono preparare. In questo lavoro è coinvolta tutta la Diocesi.

Il decreto CD dice che il Sinodo deve servire a “provvedere più adeguatamente e più efficacemente all’incremento della fede” e il Direttorio dei vescovi dice che il Sinodo deve “adattare le leggi e le norme della Chiesa universale alla situazione particolare della Diocesi”. Ora questo è possibile solo con una larga partecipazione di tutti: dei presbiteri, dei religiosi e religiose, delle parrocchie, dei consigli diocesani e parrocchiali, dei gruppi, associazioni e movimenti.

Il Sinodo non può ridursi ad una serie di decreti imposti dall’autorità e nessuno di noi lo vuole anche perché sappiamo quanto le cose imposte rimangano sulla carta.

4)         Facciamo solo un rapido cenno alla storia dei Sinodi nella nostra Diocesi. Premetto che non ho potuto fare una ricerca accurata né sono uno storico. Ho dato uno sguardo allo scaffale dei Sinodi diocesani nella nostra biblioteca del seminario e vi ho trovato gli atti stampati di otto Sinodi diocesani a partire dal 1680 fino al 1900.

Ho chiesto poi notizie all’archivista dell’archivio diocesano, prof. don Emilio Tassi, che mi ha procurato la fotocopia della posizione dei Sinodi fermani, redatta dal Borgia, e i Sinodi partono dal 1473, quello fatto da Angiolo di Preneste o Palestrina, e poi passa al 1567 quello in cui fu decisa l’erezione del seminario secondo gli statuti tridentini; seguono numerosi Sinodi fatti dai vescovi Giannettini, Bandini, Strozzi, Dini, Rinuccini, Paolo e Giannotto Gualtieri e il Borgia: in questo catalogo dei Borgia, che arriva fino al 1750, risultano venti Sinodi; in una bozza di catalogazione risultano poi nel ‘700 quelli di Minucci; nei 1845 quello del card. De Angelis e nel 1900 quello di Papiri.

Non spetta a me analizzare questo materiale, ma in genere si può dire che riguardano soprattutto la vita del clero, l’amministrazione dei beni, alcuni aspetti della vita religiosa e liturgico-rubricali. Ma sono sempre atti solenni della Chiesa o meglio delle sue autorità; oggi particolarmente, ricuperata la teologia della Chiesa locale, abbiamo una occasione propizia e in un certo senso nuova per un coinvolgimento vero del popolo di Dio sotto la guida del pastore, il vescovo.

La teologia prevalente che vedeva nel vescovo un amministratore della Diocesi a nome del Papa e della Curia Romana ha fatto diradare i Sinodi diocesani, ma oggi invece siamo sollecitati a celebrarli.

5)         Il periodo di preparazione del Sinodo.

A noi interessa ora dare uno sguardo a questo periodo che ci sta dinanzi fino al 1989.

Mons. Arcivescovo ha fissato la celebrazione del Sinodo ai 1989 in occasione del IV centenario della erezione di Fermo a Metropolia.

Abbiamo quindi tre anni di lavoro, che potrebbero essere così suddivisi.

La direzione del lavoro in questo periodo dovrebbe essere tenuta dalla Commissione preparatoria.

  1. anno pastorale 1986 – 87: dovrebbe essere l’anno per una presa di coscienza in tutta la Diocesi del cammino verso il Sinodo: strumento proposto, ma non unico, dovrebbe essere il documento chiamato, sulla scia di altri proposti in questi ultimi anni per Sinodi generali e convegni nazionali, “lineamenta”. Ci ritorneremo sopra.
  2. anno pastorale 1987 – 88: la Commissione preparatoria raccoglie il materiale dalle parrocchie, dai diversi istituti come: consigli parrocchiali, diocesani, e da gruppi ecclesiali, movimenti e associazioni. Un materiale che deve essere elaborato.
  3. anno pastorale 1988 – 89: preparazione degli schemi da sottoporre come materiale di discussione ai “sinodali”, materiale che potranno accettare o respingere, rielaborare o rivedere nel corso dei lavori sinodali.

Fermiamoci un momento a dare uno sguardo a questi tre anni di preparazione.

A questo primo anno dovrebbe essere fondamentale, il più importante. C’è da porsi questa domanda: che cos’è stato il Vaticano II per noi? Sono trascorsi 20 anni: che cosa è passato del Vaticano II nella nostra vita, nella nostra Diocesi?

Un Sinodo diocesano dopo un grande Concilio non può avere altro scopo che quello di calare spirito, direttive, decreti del Concilio Generale nella Chiesa locale, evidentemente non come fatto burocratico, ma come fatto di fede.

Potremmo fare una analogia: come dopo Trento si senti l’urgenza dei Sinodi diocesani per recepirne le direttive, cosi oggi. La “recezione” di un Concilio è fatto essenziale al Concilio stesso.

Certamente questo lavoro non è nuovo in Diocesi. Guardando al periodo post-conciliare dobbiamo dire che di lavoro se n’è fatto! Mi limito a richiamare soltanto le settimane teologiche e/o le tre-giorni pastorali:

1972: in seminario a Fermo: 19-23 giugno

tema: La Chiesa, mistero di salvezza. Come presentare la fede all’uomo d’oggi.

relatori: insegnanti del nostro Istituto Teologico (IT)

1973 : in seminario a Fermo: 22 – 28 giugno

temi: a) L’impegno del cristiano nel mondo: nel campo del lavoro e della politica (22 – 23 giugno)

  1. b) Evangelizzazione e sacramenti: teologia e pastorale del battesimo e della cresima (25 – 27 – 28 giugno)
  2. c) Presentazione del catechismo dei bambini (26 giugno a Loreto: convegno regionale organizzato dalla CEM)

relatori a Fermo: insegnanti del nostro IT

1974: in seminario a Fermo: 16-19 settembre temi: a) La penitenza

  1. b) Il catechismo dei fanciulli relatori: insegnanti del nostro IT

1975: a Villa Immacolata di Pescara: 25 -29 agosto; 15-19 settembre temi:

  1. a) Parola di Dio e vita ecclesiale
  2. b) Chiesa e sacramenti: il matrimonio
  3. c) Seminario e pastorale vocazionale relatori: insegnanti del nostro IT

1976: a villa Immacolata di Pescara: 5 – 9 luglio; 30 agosto – 3 settembre

tema: Crescere nella verità e nel dono di sé: morale fondamentale e questioni speciali (sessualità) relatori: — prof. d. L. Spallacci

— prof. d. E.- Chiavacci (cfr. Dispense)

1977: a Vanezze di Bondone (Trento): 26 giugno – 1 luglio; 28 agosto – 2 settembre

tema: I ministeri nella Chiesa

relatori: 1°. settimana: prof. p. A. Marranzini

2°settimana: insegnanti del nostro IT

1978: a Frontignano di Ussita: 26 – 30 giugno; 28 agosto – 1 settembre tema: La Penitenza (cfr. Dispense) relatori: insegnanti del nostro IT

1979: in seminario a Fermo: 10-13 settembre tema: in preparazione alla visita pastorale

  1. a) La visita pastorale
  2. b) Parrocchia e movimenti
  3. c) Situazione economico-amministrativa: istituzione del FDC relatori: presbiteri diocesani

1980: a Frontignano di Ussita: 23 – 27 giugno; 25 – 28 agosto

temi: a) I beni ecclesiastici (cfr. inserto nel F.U. 1980 n. 6)

  1. b) Piano pastorale diocesano per le vocazioni (cfr. opuscolo stampato)

relatori: a) avv. Boitani, avv. Ciaffi, dott. Centioni, Aprea e presbiteri diocesani

  1. b) d. Giovanni Crocetti

1981 : – ad Aprica (Sondrio): 28 giugno – 3 luglio

–           in seminario a Fermo: 8-11 settembre

tema: Presbitero e comunità (cfr. F.U. 1981 n. 4) relatori: mons. Pino Colombo e presbiteri diocesani

1982: – a Folgarida (Trento): 28 giugno – 2 luglio

–           in seminario a Fermo: 30 agosto – 2 settembre

tema: Fede, morale, laicità (cfr. F.U. 1983 n. 1)

relatori: prof, della Cattolica di Milano: d. G. Grampa e prof. Colasanto

1983: – a Mazzin di Fassa (Belluno): 19-24 giugno

in seminario a Fermo: 29-31 agosto

tema: in preparazione al biennio per il Congresso Eucaristico Diocesano (CED):

Eucaristia, Comunione e Comunità (cfr. F.U. 1984 n. 1 – 2) relatori: mons. C. Ghidelli. prof. A. Degli Espositi, insegnanti del nostro IT

1984: in seminario a Fermo: 29 – 33 agosto.

tema: Il giorno del Signore (cfr. F.U. 1985 n. 2 – 3) relatori insegnanti del nostro IT

1985: in seminario a Fermo: 19-21 settembre.

tema: La Chiesa fermana a 20 anni dal Concilio (cfr. F.U. 1986 n. 1-2) relatori: insegnanti del nostro IT

Non parliamo della visita pastorale e del C.E.D., di cui ha già parlato mons. Arcivescovo.

Questo lavoro evidentemente non era che un riflesso del lavoro postconciliare: non dimentichiamo che in questi stessi anni sono usciti i catechismi della CEI e tutti i nuovi riti dei sacramenti, che sono stati presentati e commentati nelle riunioni zonali e in altri incontri.

Tutte queste cose sono state richiamate anche anno scorso nella tre-giorni: la Chiesa fermana a 20 anni dal Concilio. E ritorna la domanda: qual’è stata la recezione del Concilio nella nostra Diocesi?

Il problema non è solo nostro: la stessa domanda se l’è fatta la CEI per l’Italia, il Sinodo generale straordinario dell’85 per tutta la Chiesa.

Non per giustificarci, ma sentite cosa dice la CEI nel documento “Il rinnovamento liturgico in Italia: a 20 anni dal Concilio”, documento preparato dopo un’ampia inchiesta in tutta Italia (n. 3 e 5):

  1. Sebbene sia prematuro azzardare una valutazione definitiva dell’opera intrapresa, i cui frutti maturi si potranno cogliere solo tra qualche generazione, è tuttavia possibile offrire riflessioni per un bilancio del lavoro fatto e dei risultati già conseguiti, alla luce dell’esperienza di questi primi anni di rinnovamento. Tra i punti all’attivo si possono indicare i seguenti:

—        l’impegno, mantenuto fedelmente, di completare entro un numero di anni ragionevolmente breve la promulgazione di quasi tutti i nuovi libri liturgici, dotati, ciascuno, di importanti “introduzioni” teologico-pastorali;

—        l’adozione praticamente universale delle nuove forme liturgiche da parte dei presbiteri e delle comunità;

—        il favore assai vasto che la liturgia, cosi rinnovata, semplificata nella forma e resa più intelligibile con l’adozione della lingua volgare, ha incontrato presso

comunità e singoli fedeli.

Esistono tuttavia dei nodi ancora irrisolti, tra i quali ricordiamo:

—        l’adozione dei nuovi libri e dei nuovi riti non è sempre stata accompagnata da un proporzionato rinnovamento interiore nel vivere il mistero liturgico e da quell’aggiornamento culturale, teologico e pastorale che la riforma avrebbe invece richiesto:

—        talvolta si ha l’impressione che un nuovo formalismo, forse meno appariscente ma ugualmente infecondo e illusorio, stia sostituendosi all’antico. In altri casi invece si è dovuta lamentare una smania poco motivata per cambiamenti ingiustificati;

—        non sembra che l’assemblea abbia preso ovunque coscienza della propria funzione nell’azione liturgica.

  1. Se la riforma liturgica non ha prodotto tutti quei frutti che era lecito attendersi, ciò è dovuto sia alla esiguità del tempo trascorso sia alla mancata comprensione dello spirito e dei fini della riforma liturgica da parte dei fedeli e di molti operatori pastorali.

La causa di questa incomprensione è da ricercare nella scarsa familiarità dei fedeli al linguaggio (parole e segni) e alla spiritualità della liturgia e nella carente formazione liturgica degli stessi ministri del culto.

A questo punto bisognerebbe riflettere sul Vaticano II e qualcuno a cui avevo sottoposto lo schema di questa conversazione mi diceva di insistere fortemente sui contenuti: questa persona non aveva molta fiducia che i contenuti del Vaticano II fossero stati recepiti.

In parte ha ragione, ma non credo sia il caso qui di presentare i contenuti che dovrebbero passare negli schemi prima e poi nei decreti del Sinodo; questo sarà il lavoro da fare in questo primo anno: lavoro di approfondimento e di verifica sulla nostra realtà.

Mi limiterei a dire che il Vaticano II ha una sua originalità perché non ha affrontato un solo tema o respinto una eresia, ma, come aveva indicato Papa Giovanni, ha guardato la vita della Chiesa per svelarne il vero volto, come l’ha voluta il Signore. Le quattro Costituzioni Dogmatiche (DV, LG, GS, SC) sono come quattro pilastri, legati strutturalmente tra di loro da una lettura teologica che ha segnato la svolta più profonda del Vaticano II: il passaggio da una teologia prevalentemente dottrinaria e relegata nella manualistica ad una teologia più esistenziale ed ecclesiale che ha come fondamento la parola sovrana di Dio, che è entrata nella storia e raduna il popolo di Dio, forma cioè la Chiesa (DV – LG), che si fa serva e ministra della salvezza donata da Dio al mondo (GS) e ne celebra le opere salvifiche facendo memoria e attualizzando il piano di Dio in Cristo (SC). Il Vaticano II, come del resto tutti i concili, non si esaurisce in una serie di decreti da applicare, ma ha dietro e dentro una mens teologica che bisogna cogliere e vivere: in altre parole per applicare il Concilio bisogna capirne lo spirito.

I decreti e le dichiarazioni girano tutti intorno a quelle problematiche, particolarmente a quelle ecclesiologiche e di vita ecclesiale: la CD riguarda i vescovi e sviluppa il capitolo terzo della LG, la PO e la OT riguardano i preti e la loro formazione e sviluppano il n. 28 dello stesso capitolo; la PC sviluppa il capitolo quinto della LG mettendo in risalto la vita religiosa come dono alla Chiesa e segno escatologico del regno; la AA sviluppa una delle novità più vistose del Vaticano II, i laici, del capitolo quarto della LG; la AG riguarda l’aspetto missionario della Chiesa già accennato nel capitolo secondo n. 13 e 17 e la OE e la UR tocca i problemi dell’ecumenismo sviluppando quanto detto nel capitolo secondo sul popolo di Dio n. 15 e 16.

Le dichiarazioni invece riguardano problemi già trattati nella GS: la DH sulla libertà religiosa, la NAF le religioni non cristiane e il dialogo; la IM e GE, due problemi tipici del nostro tempo cioè i mezzi di comunicazione e il problema educativo.

E’ evidente che ci interessa tutto l’arco dei documenti del Vaticano II, ma soprattutto ci interessa approfondirne lo spirito.

La Diocesi deve lavorare insieme, nelle sue diverse componenti, per modellarsi su questo spirito e la preparazione al Sinodo è un momento quanto mai opportuno per l’approfondimento e il dialogo nelle parrocchie e nei diversi organismi: “il dialogo e la corresponsabilità nella Chiesa trovano una espressione particolarmente intensa negli organismi di comunione diocesani e parrocchiali. Essi sono come il segno rappresentativo della comunità ecclesiale nella articolazione e complementarietà dei ministeri e carismi: sono il luogo nel quale le voci, le necessità, le intuizioni, le prospettive di tutti si fondono in un progetto comune per far crescere la comunità nella verità e nella carità, che è la finalità e l’anima di tutte le strutture (e di ogni associazione, movimento e gruppo) presenti nella vita della Chiesa” (da il Liber Synodalis della Diocesi di Brescia citato da “Settimana” 1986 n. 32). E ora veniamo ai LINEAMENTA. E’ il primo strumento (non runico) che viene offerto per la riflessione sul dopo Concilio nella nostra Chiesa fermana, per mettersi in atteggiamento e spirito di sinodalità, per trovare un punto di riferimento unitario a tutto il lavoro.

La prima parte offre spunti per analizzare i 20 anni del post-concilio in Diocesi, coglierne ombre e luci (cfr. i paragrafi del cap. 1°) e indicare l’importanza di un Sinodo nella vita diocesana, lo spirito sinodale e gli strumenti di operatività (cfr. paragrafi del 2° e 3° cap.): la seconda parte vuol offrire un centro nodale alla cui luce dare unità ai lavori: esso è stato indicato nel concetto e realtà fondamentale della Chiesa, che è l’evangelizzazione: si parte dal primato della parola di Dio, creatrice e rinnovatrice della storia dell’uomo, che illumina la sua attività sociopolitica, la dimensione dialogale e di carità verso i fratelli, per rendere infine testimonianza di questa parola celebrando le opere di Dio nella preghiera e nella liturgia.

Queste pagine sono solo uno strumento e come tutti gli strumenti per lavorare possono essere adattati o cambiati: non pretende di essere uno strumento perfetto, vuol solo aprire la strada. Chiede di essere letto con attenzione e anche con pazienza.

Come articolarne la lettura e l’approfondimento durante l’anno nelle parrocchie, nei consigli parrocchiali, nei distretti e nelle zone, come pure nelle associazioni, movimenti e gruppi è da precisare successivamente, ma certamente bisognerà coniugare l’iniziativa della segreteria del Sinodo con quella della base.

Per ora a livello diocesano sono stati programmati solo due incontri o assemblee diocesane sui temi della Chiesa: uno a gennaio e uno in maggio.

  1. Sull’attività prevedibile nel secondo e terzo anno di preparazione al Sinodo, appena un cenno.

Il secondo anno lo prevederei come il periodo per raccogliere il materiale, suggerimenti, progetti, per gli schemi da sottoporre poi ai “sinodali”.

E’ il tempo della concretezza, di guardare al futuro della nostra Diocesi e di dare delle linee direttive, che possano guidare la vita e l’attività diocesana per un buon

lungo periodo. Unico criterio e punto di riferimento è di calare nella nostra vita lo spirito del Vaticano II, e le norme applicative di esso già date dai diversi organismi a ciò deputati. Non si tratta di inventare tutto, ma di essere attenti ad uno spirito: per questo il lavoro del secondo anno è strettamente legato al primo.

Chi deve presentare questo materiale? Tutti possono farlo, ma certamente prima di tutti: le parrocchie. Il parroco con il Consiglio Pastorale Parrocchiale, con i diversi gruppi o associazioni; i distretti e le zone pastorali; il Consiglio Pastorale Diocesano e la consulta dei laici ecc.

E’ evidente che bisogna farsi osservatori attenti delle cose della nostra Diocesi, sempre in rapporto allo spirito del Vaticano II, e valutare le cose con quel sano senso critico, che sa rilevare le discrepanze tra una prassi e le finalità che si vorrebbero raggiungere.

Si può anche dire che è bene farsi aiutare in questo lavoro anche da persone esperte sia della nostra stessa Diocesi sia chiamate da fuori.

  1. Il terzo anno, l’88 – 89, di questo periodo di preparazione al Sinodo, dovrebbe servire alla preparazione degli schemi dei decreti da sottoporre ai sinodali per la discussione. Questo sarà compito della commissione preparatoria sulla base del materiale raccolto.

Non si può prevedere ora nulla, ma certo bisognerà tener presenti l’ambito pastorale e l’ambito amministrativo: in questo si convoglierà tutta la materia che riguarda p.e. la Curia e i suoi uffici; le zone e i distretti pastorali; il consiglio presbiterale; la vita spirituale, amministrativa, pastorale ed ecclesiologica del clero; in quello, sulla linea cristologica del triplice munus, tutta la pastorale che abbraccia gli ambiti della parola: evangelizzazione, catechesi, dialogo; servizio-carità: nella Chiesa e nel rapporto col mondo; la lode al Signore nella celebrazione della preghiera e dei sacramenti; e i vari ministeri che attuano il progetto.

In conclusione non mi prospetterei grandi sogni, ma come frutto del Sinodo mi aspetterei una crescita nella comunione della Chiesa locale, nella corresponsabilità e nella capacità di collaborazione nella ricchezza dei ministeri e un direttorio come guida della vita delle parrocchie e di tutta la realtà diocesana.

  1. SPIRITUALITÀ’ DEL SINODO

Visti sommariamente alcuni aspetti organizzativi del Sinodo, bisogna spendere alcune parole sulle condizioni ineludibili per una vera celebrazione del Sinodo. Li riassumerei cosi:

  1. Bisogna partire dalla consapevolezza che il Sinodo è un dono, una GRAZIA che il Signore fa alla Diocesi. I doni del Signore, questo è Vangelo, sono dati per essere trafficati: il Sinodo comporta impegno, lavoro, dialogo, collaborazioni, tempo e denaro, aspetti burocratici e legislativi, ma tutto questo non fa che evidenziare il dono. Noi siamo abituati a fare applicazioni sulla parabola dei talenti a livello individuale, ma questo è:
  2. una Grazia fatta alla nostra Chiesa particolare, alla Diocesi. Un Sinodo chiede assolutamente di entrare in una prospettiva diocesana, di avere quello spirito ecclesiale che riconosce nella Chiesa nostra locale, la Chiesa nostra madre che ci ha generato alla fede. Dobbiamo aprire lo sguardo sulla Chiesa tutta, ma che è presente in questa nostra Chiesa locale. La Chiesa locale non è infatti una parte amministrativa della Chiesa universale, ma è la Chiesa qui ed ora.

Il problema della diocesanità è un problema urgente e grave, che trova già la sua risposta e la sua prospettiva nel P e 2A capitolo della LG sulla “De Trinitate Ecclesia” e sul popolo di Dio nelle diverse componenti e non nella frammentarietà di visioni particolari. Una Chiesa che guarda verso il futuro della Chiesa e non il futuro di gruppi particolari.

La Chiesa italiana in questi anni ‘80 ci ha chiamati a riflettere su “Comunione e comunità” proprio per farci crescere nella dimensione di quel dono che è l’apice della vita cristiana, la comunione con Dio e con i fratelli, nelle nostre comunità più o meno distratte o lacerate. Già accogliere il Sinodo come una grazia, e non una grazia fatta ad un singolo, ma a tutti attraverso la Diocesi, è un atteggiamento di apertura e buon presupposto per una buona collaborazione.

D’ altra parte Paolo ci ha insegnato che i doni del Signore sono per il bene di tutti: i carismi personali o di gruppo vanno fatti fruttificare per quel corpo unitario che è la Chiesa locale, la nostra Diocesi. Mi augurerei quello sguardo che era tipico dei. profeti che guardavano lontano non per se stessi, ma per una Gerusalemme rinnovata, per un popolo santificato dall’amore di Dio.

  1. Proprio perché il Sinodo è una “grazia” del Signore, perché questa fruttifichi e abbiamo ad esserne degni, deve sempre essere accompagnata dalla preghiera. Preghiera di lode e di ringraziamento perché ci dona di entrare nel progetto della sua Chiesa, preghiera di impetrazione perché abbiamo a far fruttificare questo dono, di invocazione, di perdono, perché spesso sciupiamo il suo dono.

Il Sinodo deve essere vissuto nella preghiera continua, direi immersi in uno spirito di preghiera, come il pesce nell’acqua. Direi che la preghiera, e solo la preghiera, può creare la vera atmosfera del Sinodo.

Questa preghiera deve essere una preghiera diocesana e in quanto tale va strutturata nei tempi e nei modi.

Penserei a momenti di preghiera unitaria, quasi rappresentativa di tutta la Diocesi, con almeno un’assemblea diocesana in cattedrale, da tutte le parrocchie, proprio come preghiera per il Sinodo; le singole parrocchie come tali dovranno pregare per il Sinodo, nelle diverse occasioni per la preghiera dei fedeli sia nella liturgia sia fuori di essa; le associazioni, i movimenti e i gruppi debbono pregare perché attraverso il Sinodo ognuno trovi il suo vero posto nella Chiesa locale dove sviluppare il proprio carisma; i 14 monasteri della Diocesi e i religiosi e le religiose sentiranno la preghiera per il Sinodo come una deputazione per una presenza continua davanti al Signore; infine i singoli fedeli sappiano che quanto chiedono al Signore per la propria comunità diocesana è accettato ed esaudito.

  1. Da ultimo vorrei dire che il lavoro per il Sinodo è un lavoro che va fatto in umiltà. Il Sinodo non è un’occasione per affermare i propri punti di vista e le proprie proposte, ma è il tempo di grazia concessoci per creare insieme come popolo di Dio, che dà testimonianza in mezzo al mondo del dono ricevuto e della salvezza che il Signore offre a tutti.

Riassumerei cosi questo concetto di un lavoro di umiltà, che riguarda evidentemente la Diocesi come tale e tutti i collaboratori. La Diocesi non può mettersi dinanzi al Sinodo quasi per poter menare un vanto e dire che ha fatto il Sinodo, sarebbe l’atteggiamento più deleterio, né il singolo può prendere il Sinodo come una palestra dove mostrare le proprie capacità. Ma:

  1. a) occorre partire dalla consapevolezza che si lavora per il “Regno”, per il bene spirituale della Diocesi, per la crescita nella fede, nella carità e nella speranza;
  2. b) l’umiltà fa avere il coraggio della proposta, della profezia: non un atteggia-

mento di voler mantenere l’esistente, ma fortemente missionario; non la paura di cambiare ma la gioia della novità del Vangelo;

  1. c) questo richiede capacità di ascolto, o meglio di sapersi ascoltare vicendevolmente; non la pretesa di prevalere, ma di far valere le ragioni del “regno”; la capacità di prendere seriamente le altre proposte e di valutare per il positivo che contengono;
  2. d) Paolo ai Tessalonicesi diceva: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Tes. 5, 21): il periodo del Sinodo è il periodo della critica, in senso positivo, cioè dell’esercizio del giudizio, e dell’autocritica nel saper rivedere le proprie posizioni e con quello spirito di docilità che non dice: voi decidete, poi io faccio quel che voglio; ma nel senso della umiltà che ci fa sottomettere alla Chiesa e allo Spirito.

don Gabriele Miola

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PER LA RICOSTRUZIONE DEL C.S.I. IN DIOCESI

Ai Preti e ai Religiosi parroci

Carissimo,

si è ricostituito il Consiglio provvisorio circoscrizionale del Centro Sportivo Italiano (CSI) della Diocesi di Fermo, di cui comunico i componenti.

Il CSI si propone, come da statuto, di promuovere un movimento sportivo giovanile che vive l’esperienza dello sport come momento di educazione, di maturazione umana e di impegno in una visione ispirata alla concezione cristiana dell’uomo e della realtà.

In Diocesi, realisticamente, il CSI potrebbe contribuire alla sintesi tra pastorale giovanile e pastorale del tempo libero, incluse le iniziative a carattere sportivo e ricreativo.

A questo punto pensiamo bene ristrutturare su nuove basi e con maggiore impegno il servizio del CSI per una maggiore presenza in Diocesi; pertanto alcuni membri del Consiglio verranno a farle visita per un incontro ricognitivo riguardante gli scopi sopra indicati.

Con l’augurio che la proposta del CSI possa aiutare i nostri ragazzi e giovani a maturare come persone e cristiani saluto cordialmente.  \        don Gabriele Miola, vicario generale\ Fermo, li 30 marzo 1987

  1. — Comunico che in data 26 febbraio 1987 mons. Arcivescovo ha nominato Consulente Ecclesiastico Diocesano per il CSI il rev. Taccari don Agostino.

COMPOSIZIONE PRESIDENZA

Sig. Screpanti Marino Via Salette, 92/A Tel. 0734/620762 – 63023 Fermo (AP)

Don Agostino Taccari Via F. Crispi, 1/A Tel. 0733/509220 – 63020 Loro Piceno (MC)

Sig. Sansolini Marco Via Palestro 33 Tel. 0734/993527 – 63018 Porto Sant’Elpidio (AP)

Sig. Vallasciani Primo Via Giacinti 18 Tel. 0734/55211 – 63020 Rubbianello (AP)

Sig. Ceriscioli Carlo C.da S. Valentino Tel. 0733/507370 – 62020 Loro Piceno (MC)

Sig. Trasatti Fabrizio Via Mazzini, 7 Tel. 0734/215315 – 63023 Fermo (AP)

Sig. Frizzo Stefano C.da Salette Tel. 0734/620778 – 63023 Fermo (AP)

Sig. Recchioni Lauro Via Pergolesi, 40 Tel. 0734/993949 – 63018 Porto Sant’Elpidio (AP)

Sig. Lattanzi Mauro C.da Grazie Piastra, 38 Tel. 0733/507094 – 62020 Loro Piceno (MC)

Sig. Minnucci Marco Via Mazzini, 95 Tel. 0734/992685 – 63018 Porto Sant’Elpidio (AP)

Sig. Moreschini Aldo Via Pozzetto Tel. 0734/55291 – 63020 Rubbianello (AP)

Sig. Mazzante Sauro Via Ungaretti, 14 Tel 0734/994171 – 63018 Porto Sant’ Elpidio (AP)

Sig. Spinelli Mauro Via R. Lenzio Tel 0734/55237 – 63020 Rubbianello (AP)

Don Gabriele Moroncini Parrocchia Sacro Cuore Tel. 0734/55223 – 63020 Rubbianello (AP)

 

 

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