Mario Blasi parroco evangelizza domenica XVI tempo ordinario anno A Matteo 13, 24ss

Domenica XVI tempo ordinario anno A Paroco don Mario Blasi

(Mt 13,24-43)
“APRIRO’ LA MIA BOCCA IN PARABOLE“.

La Parola di Dio viene offerta a tutti. L’uomo, però, la può accogliere o rifiutare.

Il Regno di Dio rivelato attraverso le parabole è il Regno in cui si rivela l’Amore del Padre. E’ un Regno senza confini. E’ un Regno dove Dio non governa imponendo leggi da osservare, ma è un Regno dove si comunica la forza dell’Amore di Cristo.

“Un Regno che non domina gli altri popoli, ma si mette al loro servizio. Un Regno che non accumula ricchezze, ma le condivide. Per far comprendere che il Suo Regno non ha nulla in comune con quelli conosciuti che si fanno avanti a forza di prepotenza e di appariscenza (Gv. 18,36), Gesù insegna la breve ma intensa parabola del granello di senape: è come un grano di senape che quando è seminato sulla terra è il più piccolo dei semi che sono sulla terra, ma quando è seminato cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi“.

Il Regno di Dio “non sarà qualcosa di appariscente e maestoso, come un cedro, lo stupendo albero considerato il re degli alberi. Un cedro non può rimanere nascosto e si impone orgogliosamente alla vista e alla ammirazione di tutti.

Gesù paragona il Regno di Dio ad una pianta comune che cresce in ogni luogo, anche sui muri delle case. Cresce “nell’orto di una casa, tra gli ortaggi e sarà una pianta tanto comune da non attirare l’attenzione dei passanti”.

La Chiesa, popolo santo di Dio, deve essere una casa umile, ma ospitale verso i poveri, gli umili della terra, luogo semplice ma ricco di tenerezza e di protezione.

“Gli uccelli del cielo possono accamparsi sotto la sua ombra”.

Il Regno di Dio è rifugio tranquillo per tutti, è pace e gioia per chi accoglie l’amore di Cristo e lo ridona.

“Con la figura dell’arbusto di senape Gesù avverte che trionfalismo, ricchezza, gloria e splendore non sono frutto del Regno di Dio, ma è opera di Satana, l’avversario al piano del Signore”

(A.Maggi).

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Blasi Mario parroco evangelizza nella XV domenica tempo Ordinario anno A Mt 13, 1ss

Parroco don Mario Blasi Domenica XV tempo ordinario anno A vangelo Matteo 13,1-23
“Il seminatore uscì a seminare”.

Il seminatore è una persona tutta particolare! Getta il seme su quattro campi con larga mano e lo sparge anche là dove non c’è nessuna speranza di raccolta.

Il seminatore rappresenta Dio Padre che, per mezzo di Gesù, dona il Suo Amore a tutti. Ogni uomo ha bisogno del Suo Amore: giusto e ingiusto!

La Parola di Gesù, che rivela la grandezza dell’Amore di Dio, non trova facile accoglienza. Il discepolo di Gesù che incontra difficoltà non deve mai venir meno. Davanti al rifiuto non deve perdere la fiducia; alla fine ci sarà una raccolta straordinaria, inaspettata, supererà ogni immaginazione.

Portare nel mondo il messaggio di Gesù è un compito difficile. Nessun discepolo deve perdere la fiducia: l’insuccesso è sempre parziale. Il Signore, con la Sua potenza, farà sempre emergere la grandezza del Suo Amore. Egli vuole la salvezza di ogni uomo. Il piano di Dio, nonostante le contraddizioni, si realizzerà a pieno. Fiducia dunque sempre in Dio che guida la storia!

L’Amore di Dio sia accolto in un cuore buono!

“A voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei Cielima ad essi non è dato”.

La conoscenza del Regno dei Cieli il Signore la concede all’uomo dal cuore accogliente. Nulla è dato a chi ha cattiva disposizione di animo.

Le parabole di Gesù annunciano il Regno, lo chiariscono, lo dischiudono e lo rendono attuale. Iddio aiuta l’uomo che accoglie il messaggio di Gesù perché, con le proprie forze, non lo può comprendere. Dio dà a coloro che accolgono e toglie a coloro che sono sordi ad accettare la Buona Novella.

“Presso gli uomini avviene che un recipiente vuoto accoglie qualche cosa, ma non uno pieno. Ma con Dio non avviene così, con Lui un recipiente pieno accoglie, ma non uno vuoto”.

Dio affida i Suoi misteri a chi ha piena fiducia in Lui!

Il discepolo, che ha fiducia in Dio, ha occhi che vedono e orecchi che ascoltano.

 

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Nepi Gabriele ricorda gli eventi del papa Pio IX e del principe Umberto di Savoia sulla costa fermana

Le persone dell’entroterra pe la prima volta videro insieme il Papa e il mare

17 maggio 1857, mentre “primavera d’intorno brilla per l’aria e per li campi esulta”, nel maggio che “risveglia i nidi”, che “risveglia i cuori” come canta Carducci, i cuori dei fermani battevano esultanti ed in corale tripudio. Il pontefice Pio IX si trovava a Fermo in visita alla città, una delle più importanti del suo Stato. Venuto la sera precedente, fu accolto a Porto S. Elpidio (il primo comune costiero a nord dell’allora Provincia fermana) dai maggiorenti della città. Spiccavano fra essi Vinci cav. Raffaele; Brancadoro cav. Antonio; Benedetti conte Saverio; Morrone-Mozzi conte Ludovico “tutti vestiti di spada, meno il conte Vinci in uniforme di vice-console della Russia”. A Porto S. Elpidio c’era una folla veramente oceanica. Erano qui convenuti da una vasta zona circostante, stipati come acciughe in lunghe carrette, contadini e contadine, vestiti a festa. Alcuni vedevano il mare per la prima volta. Era una festa di colori, di sole, di mare. Archi ovunque; festoni, drappi. Fra l’altro, sempre a Porto S. Elpidio, era stata eretta una statua dell’Immacolata tutta di cera. Un famelico sciame di api le si avventò sopra, attaccandola da tutte le parti. Fortunatamente qualcuno pensò ad una salutare fumata di zolfo: la statua fu salvata, ma ne uscì deturpata ed i ricami d’argento rovinati.

A Fermo, il Papa restò dalla sera del 16 tutto il 17 e parte del 18. In città scritte, luminarie, fuochi artificiali, bande musicali, canti, popolo tripudiante! Il 17 maggio, giorno di domenica, il Papa celebrò in Duomo quindi tra due fitte ali di popolo, si recò a Villa Vinci e lì benedisse la folla che assiepava il Girfalco. Poi, a piedi, discese lungo lo stradone e si recò nel Palazzo Apostolico. Attraversò la piazza, acclamatissimo e tornò in arcivescovado, accompagnato sempre dall’arcivescovo card. Filippo de Angelis. A sera, fuochi d’artificio, luminarie, suoni di bande musicali. Ripartì il giorno 18 diretto ad Ascoli.

Diciassette maggio 1863 ! In questa data, un altro fausto evento si verificò per Fermo e per il suo antico porto. Alla presenza del principe Umberto (il futuro Re Umberto I) veniva inaugurata la ferrovia e la sta-zione ferroviaria. Come si vede i binari della storia, fissano appuntamenti al 17 del mese di maggio. Le Gazzette e le Effemeridi del tempo, riportarono la notizia il 19 maggio. Anche giornalisticamente la storia si ripete.

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Nepi Gabriele ricorda Cesare Borgia signore di Fermo narrato da Niccolò Macchiavelli

NEPI Gabriele

Cesare Borgia signore di Fermo nel lontano primo maggio

La famiglia Borgia, oriunda dalla Spagna, celebre nella storia, per avere espresso dal suo seno Papa Callisto III (+ 1458) e Papa Alessandro VI (+1503) sotto il cui pontificato venne scoperta l’America, nonché Lucrezia Borgia, Cesare Borgia, detto anche Duca Valentino ed altri.

Cesare, figlio del Cardinale Roderico Borgia (poi Alessandro VI) e di Vannozza Cattanei, fu avviato alla carriera ecclesiastica di arcivescovo e cardinale. Ma rinunciò ad ogni dignità e al diaconato, secolarizzandosi ebbe subito parte importante nelle vicende politiche d’Italia, narrate da Niccolò Machiavelli, autore, tra l’altro della “Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini”. Come è noto occupò la Romagna e poi il Ducato d’Urbino. Machiavelli, che lo conobbe in questa città, ne rimase ammirato. Leonardo da Vinci lavorò per lui, fortificando varie località. Astuto, intelligente, colto, valente nelle armi, era diventato l’incubo dei signorotti dell’Emilia e Romagna. Suo motto era Aut Caesar aut nihil o essere come Giulio Cesare o niente. Sulla sua spada aveva fatto incidere Cum nomine Caesaris omen (il nome di Cesare è un augurio). I regnanti e signorotti dell’Italia centrale, temendo di essere sconfitti ed uccisi, si unirono nella lega di Magione). Vi facevano parte tra gli altri Oliverotto da Fermo. Ma egli li prevenne. Con “il bellissimo inganno” (Macchiavelli) li convocò a Senigallia ed il 31 dicembre 1502 li fece strangolare; più tardi il 18 gennaio 1503 farà strangolare altri.

A Fermo, la notizia dell’uccisione di Oliverotto giunse fulminea il 10 gennaio 1503. Grande l’esultanza dei fermani che vedevano “spento” il loro tiranno. Oliverotto aveva commesso molti delitti e molte uccisioni per giungere alla signoria della città. Le città ed i potenti “trovavano più sicuro aderire a lui che resistergli”, (Machiavelli) e Fermo ben presto manda ambasciatori al Borgia. Tra essi il conte Paccarone e Francesco di Leonardo. Ritornarono in città gli esuli banditi da Oliverotto. Venne il legato pontificio (si ricordi che era Papa il padre di Cesare) e requisì le rocche dello Stato di Fermo; venne anche il conte Giacomo Nardino da Forlì delegato di Cesare Borgia; “homo molto destro che oprò tanto che li cittadini elessero per signore il Duca e così voleva el Papa che se facesse. Il primo de magio in consiglio fu gridato per signore il Duca Valentino e dato lo governo a detto conte Giacomo”.

Ma il 18 agosto 1503 muore Alessandro VI. Gli succede Pio III che aveva retto la Diocesi di Fermo prima di salire al soglio pontificio. Proteggeva Valentino, ma dopo soli 26 giorni di papato, muore il 18 ottobre 1503. Giulio II, che gli succede, esautora il Valentino e lo fa imprigionare. Dopo fortunose vicende e varie peripezie, il 12 marzo 1507 il Valentino muore combattendo sotto le mura di Viana nella Spagna.

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Nepi Gabriele ricorda Sisto V di nazione Fermana

Gli ultimi giorni di Sisto V

Faceva caldo, molto caldo in quell’ultima decade di agosto 1590. Sisto V era al quinto anno di pontificato .Lui diceva che Il lavoro febbrile, i dispiaceri causati dalla Spagna, le cure del governo, gli avevano procurato febbri intermittenti. Tuttavia, pur con la febbre, aveva celebrato il pontificale; aveva ricevuto delegazioni di vari Stati ed esplicava un’attività incessante e poliedrica. Soleva dire che “un principe deve morire in mezzo agli affari del suo ufficio”. E così avvenne.

Nonostante il persistere della febbre, il 18 agosto partecipò, a piedi, ad una processione di lunga durata; nei giorni 22; 23; 24 agosto disbrigò affari di Stato. La febbre dapprima scomparve; poi ritornò, violentissima. Il 27 agosto, Sisto V moriva nel palazzo del Quirinale; primo papa ad abitarvi, primo Papa a morirvi. In soli cinque anni, aveva rinnovato Roma, innalzato obelischi, eretto la cupola di S. Pietro, costruito acquedotti, estirpato il brigantaggio, risanato le finanze pontificie.

Prima di essere papa, Sisto V era stato Vescovo di Fermo; era nato nel territorio del suo Stato e amava definirsi natione firmanus: di nazione fermano. Rinunciò alla sede di Fermo nel 1577 per altri ed alti incarichi in Vaticano. Elevò la sede vescovile di Fermo ad arcivescovile, dandole quali Diocesi suffraganee: Macerata, San Severino M., Tolentino, Ripatransone e Montalto. Rinnovò l’università ed accordò a Fermo molti altri privilegi.

Abbiamo parlato di Quirinale dove avvennero quattro conclavi (altri in Vaticano). Tale palazzo fu fortunato per i marchigiani. Nel solo periodo dal 1823 al 1846, vi furono eletti ben tre Papi marchigiani su quattro: Leone XII di Genga di Fabriano (1823); Pio VIII di Cingoli (1829); Gregorio XVI (il solo non marchigiano: di Belluno) e Pio IX di Senigallia (1846).

Altra curiosità è che, quando morì Sisto V, furono celebrate solenni cerimonie funebri in tutto lo Stato pontificio, e specialmente in tutte le Marche, data la sua origine marchigiana. In Ascoli, finite tali celebrazioni, non si trovava chi pagasse le spese. Solo cinque anni dopo la morte di Sisto V, ci fu qualcuno che pagò. Il motivo? Perché Sisto V non aveva elargito ad Ascoli i benefici concessi a Fermo. Ad Ascoli, riferisce lo storico mons. Giuseppe Fabiani, aveva regalato “un bel nulla d’oro rilegato in argento”.

Però Ascoli ha allestito nel 1990 in onore di Sisto una mostra, stupenda.

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Nepi Gabriele ricorda Ettore Fieramosca memorato nelle cronache fermane

Ettore Fieramosca ad Offida combatté nella guerra  tra Ascoli e Fermo

Ettore Fieramosca (o Ferramosca come si legge in una lettera autografa conservata in Ascoli Piceno) è legato alla Disfida di Barletta (ed eternato anche nel romanzo di Massimo D’Azeglio) dove rinverdì dopo secoli le gesta degli Orazi e Curiazi. Potremmo dire che il tredici fu un numero per lui fortunato. Il giorno 13 febbraio 1503 avviene la disfida; ognuno dei due gruppi opposti, italiani e francesi, “l’un contro l’altro armati” è composto di tredici cavalieri. Ecco il gruppo dei nostri: Capitano comandante è il nostro Ettore Fieramosca; gli altri componenti: Fanfulla da Lodi; Giovanni Capaccio di Tagliacozzo; Giovanni Brancaleone e Ettore Giovenale, romani; Francesco Salomone siciliano come Guglielmo Albimonte; Ludovico Annibale da Terni; Marco Carellario da Napoli; Miele da Troia; Mariano Albignate da Sarno; Romanello da Forlì; Riccio da Parma. I tredici francesi sono capitanati da Guy de la Mothe e fra di essi vi è un italiano: Graiano d’Asti. Strano destino che i rinnegati e traditori abbiano il nome che inizia con la “G”: Giuda che tradì Cristo; Gano di Maganza che tradì il paladino Orlando a Roncisvalle; Giunio Bruto traditore di Giulio Cesare, ecc… Abbiamo visto qualche giorno fa che in Offida soggiornò un altro rinnegato, Fabrizio Maramaldo (anche se fa eccezione alla G) l’osteggiato ed inviso uccisore di Francesco Ferrucci. Ora registriamo che nel 1497 Offida “ospitò” l’eroe della Disfida, Ettore Fieramosca. Ciò avvenne in uno degli episodi della lotta tra le due rivali Ascoli e Fermo. Astolfo Guiderocchi, con inaudita ferocia si era impadronito di Offida, nota roccaforte di Fermo; si era poi avventato contro Ripatransone e nonostante i ripetuti assalti, non era riuscito ad espugnarla. Scornato, abbandona Offida e cede il comando delle truppe ad Ettore Fieramosca.

“… Astolfo Guiderocco era andato a Napoli per aiuto et negozio tanto con quel Re che ottenne, se disse, per soi denari, settanta cavalli e duecento spagnoli e se ne venne volando, e di notte saltò (sic = assalì) Ripa, ma essendo avisati ne furono rebuttati e ci lasciò parecchi morti e de feriti gran numero e poi vedendo non far niente ne lasciò Ettore Fieramosca in Offida con cavalli e fanti, e di continuo faceva scaramucce e d’ogni banda”. Così l’anonimo fermano negli Annali. Se è vero come è vero che Wellingthon abbia detto che la battaglia di Waterloo fu vinta nei campi di addestramento di Eton (The battle of Waterloo was won in the playing fields of Eton) alludendo agli esercizi praticati in esso, chi può negare che le “scaramucce di Offida” non siano state utili esercitazioni per lo scontro di Barletta? Due sono monumenti importanti di Barletta raffigurano: uno l’imperatore Eraclio e l’atro ricorda la battaglia; ma perenne è la fama del nostro Fieramosca che fu in Offida “ che era un piccolo centro dello Stato di Fermo sito a la sinistra del Tronto con mura e bastioni del sec. XIV, noto per S. Maria della Rocca et Palatio comunale et fabrica di merletti et-dolciumi appellati funghetti” e, aggiungiamo noi, anche per la presenza nel 1497 dell’eroe Ettore Fieramosca.

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Il Parroco don Mario Blasi evangelizza domenica XII tempo ordinario anno A vangelo Mt 10,26s

Domenica XII T. O. A —“Quello che vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio annunciatelo dalle tenebre”.

     discepoli di tutti i tempi sono mandati ad annunciare il messaggio di Gesù dalle tenebre alla luce del giorno e sui punti più alti della città: i tetti.

La Parola di Gesù salva, deve essere diffusa con rapidità in tutto il mondo. La sapienza di Gesù è profondamente diversa da quella degli uomini. La sapienza umana, derivante dall’esperienza, si manifesta lentamente e con incertezza. “Se il saggio, a causa della fugacità della parola, è tenuto piuttosto a tacere, il discepolo deve diffonderre la parola senza timore. Non gli è consentito trattenersi dall’esprimerla o evitare timorosamente il confronto”. Nessuno può fermare di diffondere la Parola di Gesù, in essa agisce lo Spirito di Vita che soffia quando, dove e come vuole. Solo la Parola di Gesù salva e guida l’uomo alla pienezza della vita. “La salvezza sta nel mantenersi saldi fino alla fine”.

Non abbiate dunque paura”.

Chi può ucciderre il corpo non ha il potere di uccidere l’anima. “Dinanzi alla minaccia che la società oppone, non bisogna intimorirsi. Il messaggio non può essere nascosto, e proclamarlo è il compito proprio del discepolo”. Il discepolo sa che la sua sorte è simile a quella del Maestro: dalla morte alla Risurrezione.  Lungo il corso della storia il popolo di Dio non è esente da difficoltà: è rifiutato e perseguitato. Dio però salva. La Parola di Gesù deve essere diffusa, porta l’uomo alla pienezza della vita. La Parola di Gesù trasforma la persecuzione in beatitudine.

La sofferenza non è l’ultima parola della vita degli uomini, ma la RisurrezioneDio non abbandona mai le Sue creature, per questo non bisogna avere paura. Nessuno è dimenticato da Dio.

“Non c’è motivo di vivere nel timore, perché gli uomini possono sopprimere la vita fisica, il corpo, ma non la persona”. Il discepolo di Gesù di ogni tempo deve vivere sereno perché nulla accade all’insaputa di Dio. A Dio nulla sfugge, il Suo Amore abbraccia tutti.

“Se il Padre non perde di vista nemmeno due passeri, figuriamoci i Suoi figli”. Gesù spiega chiaramente i motivi che devono sostenere i discepoli: la certezza di essere nelle mani del Padre, la certezza di condividere la  croce, ma anche la Risurrezione.

Gesù immette nel cuore la certezza che nessuno può far nulla per togliere la vita vera. Ringraziamo con cuore vero per questa certezza che il Signore ci dona.

Non abbiate timore”.

Gesù manda i Suoi discepoli ad annunziare il Regno di Dio. Essi lo devono proclamare alla luce del giorno; devono salire sui tetti, cioè sui punti più alti della città dove la voce può propagarsi al massimo. Sono mandati a diffondere la Parola di Gesù senza timore, la devono proclamare con coraggio e non devono evitare il confronto con alcuno. Non devono avere la paura nel cuore, la parola sia trasmessa con coraggio. Il rifiuto non generi timore! La cattiva volontà dell’uomo non accetta il messaggio di vita di Gesù.

La Parola può subire sconfitte nelle vicende della storia, ma Gesù esorta: “Non abbiate paura“. Egli infonde fiducia anche in virtù di un possibile martirio. Il martirio terrorizza ogni uomo, anche il discepolo di Gesù.

Il male vero, per Gesù, è dentro l’uomo: la cattiveria, l’egoismo. Il discepolo è chiamato a non temere la morte del corpo, ma la perdizione totale della persona: “Non la morte, ma la perdizione“.

La Parola di Gesù ha in sé una forza irresistibile che supera la morte del corpo e, a suo tempo, porta il frutto anche in questo mondo di tenebra.

La Parola di Gesù va accolta nel silenzio e nel raccoglimento, con amore. E’ una Parola che plasma la vita e dà gioia nel cuore; sia donata a tutti con franchezza per costruire una società giusta e fraterna.

“Voi valete più di molti passeri”.

Il discepolo di Gesù, davanti a Dio, conta moltissimo. Dio Padre, Signore del cielo e della terra, si prende cura di tutto, ma in modo particolare del discepolo di Suo Figlio.

Se la vita e la morte di un passero non sono trascurabili agli occhi di Dio, tanto più sarà preziosa la vita dei Suoi fedeli“.

Anche la morte dei fedeli è preziosa agli occhi di Dio. I veri discepoli siano liberi da ogni timore e fiduciosi nella premura del Padre. “Se cadiamo nelle mani degli uomini, sofferenza e morte ci colpiscono tramite la violenza umana, ma siamo certi che tutto viene da Dio… Siamo nelle mani di DioQuindi, non abbiate timore”.

NON TEMETE… QUELLO CHE VI DICO NELLE TENEBRE DITELO NELLA LUCE”.

Il credente in Cristo è chiamato ad essere luce, cioè vita vera; per essere luce deve accogliere nel cuore l’amore del Maestro; amore che diventa sorgente di vita per superare le prove di ogni giorno.

L’amore di Cristo accolto dona al credente gioia e una vita indistruttibile che supera la stessa morte. L’amore di Cristo ha la capacità di portare l’esistenza umana nella sfera di Dio.

“Non temete”.

Il cristiano deve portare sempre la letizia nel cuore perché il messaggio di Gesù sia rivelato gioiosamente a tutti. “Ciò che ora è nascosto nelle tenebre sarà detto alla luce del sole e rivelato pubblicamente. Ciò che ora si può appena mormorare all’orecchio (a causa dei pericoli esterni) sarà proclamato sui tetti”.

Il cristiano deve sempre avere l’amore di Cristo nel cuore e grande fiducia in Lui. Il cristiano non si deve mai abbattere nelle difficoltà anche se il risultato davanti agli uomini sembra misero o nullo. Come il sole nascente ha ragione sulla notte, così il messaggio di amore di Gesù si diffonde piano piano.

“Non temete”.

Il cristiano deve sapere che la sua vita è sempre nelle mani di Dio, è al sicuro da ogni pericolo. “Gli uomini possono accanirsi contro la vita del corpo, possono anche soffocarla, distruggerla, ma non hanno alcun potere sulla vera vita che sfugge ad ogni attacco”. L’amore di Cristo dà una vita capace di superare la soglia della morte. “La vera vita che Dio assicura in maniera definitiva non può essere diminuita né tolta dagli uomini, neppure attraverso l’annientamento della vita corporale”.

“Non temete”.

Dio è Padre. Egli veglia su tutta la Sua Creazione. Egli è Provvidenza anche per gli esseri più piccoli, anche i passeri. Voi valete più di molti passeri. In qualunque situazione si trovi, il credente deve percepire di essere amato da Dio che veglia, quando esce e quando entra, da ora e per sempre.

 

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Blasi Mario parroco evangelizza il Corpo e Sangue del Signore Giovanni 6,51ss

SS.CORPO E SANGUE DI CRISTO(Gv6,51-58)

“IN VERITA’ IN VERITA’ VI DICO: SE NON MANGIATE LA CARNE DEL FIGLIO DELL’UOMO E NON BEVETE IL SUO SANGUE, NON AVRETE IN VOI LA VITA”.

Gesù è fonte di vita e di Risurrezione.

LA VITA è in mezzo a noi! Gesù è il Dio con noi. Egli non abbandona mai il Suo fedele.

Nel Pane Eucaristico è presente la Sua realtà divina con tutta la sua ricchezza di Amore. Gesù si dona all’uomo. L’Eucaristia è il momento in cui Gesù si mette a servizio della comunità e le dona la Sua forza perché abbia la capacità di ascoltare e di vivere il Suo messaggio.

Ogni fedele, che partecipa all’Eucaristia, deve percepire l’Amore di Dio e lo deve trasmettere agli altri. L’Amore di Dio accolto lo deve far dilagare nel fratello che incontra.

Il cristiano non è colui che ama il fratello per amore di Gesù, ma è colui che con Gesù e come Lui porta il Suo Amore nel cuore di ogni uomo.

L’Eucaristia è dunque l’Amore di Dio donato all’uomo. Ogni cristiano deve partecipare all’Eucaristia per accogliere questo Amore che dona vita e gioia piena. L’Eucaristia è il momento in cui il fedele si sente amato non per i propri meriti, ma perché sente che Dio è Amore. Amore che dona una vita indistruttibile e una gioia che non viene mai meno.

L’Eucaristia è il momento in cui il cristiano ringrazia con gioia Dio perché gli dà la possibilità di partecipare alla festa del Suo Amore e del Suo perdono; è il momento in cui accoglie il dono dello Spirito Santo che aiuta a superare tutte le prove della vita e guida alla pienezza della vita senza fine.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue

dimora in me ed io in lui”.

L’Eucaristia è la dimora di Dio con gli uomini. “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio con loro” (Ap. 21,3).

L’Eucaristia è anche un cibo che nutre, sostiene e guida l’uomo verso la meta. E’ un cibo che, se assimilato, rende l’uomo simile a Cristo

(Gv 6, 51-58)
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Il dono di Gesù agli uomini è la Sua carne! Gesù non dona il Suo Spirito di Amore al di fuori della Sua realtà umana: la Sua carne.

Con la Sua realtà umana, Gesù manifesta e comunica il Suo Spirito di bontà; rende visibile l’Amore di Dio agli uomini. “Non vi è dono dello Spirito dove non c’è dono della carne. Attraverso di essa il dono di Dio si rende concreto, storico e diventa realtà per l’uomo”.

La carne, l’umanità di Gesù, non è solo luogo in cui Dio si rende presente, ma si trasforma nel dono di Gesù al mondo, dono dell’Amore del Padre. Dio instaura con l’uomo una comunione sul piano umano in Gesù e per mezzo Suo.

Dio sempre si avvicina all’uomo e stabilisce con lui una unione profonda di amore. L’uomo, però, molte volte, è indifferente alla bontà di Dio.

Questa piccola creatura Dio la vuol portare nella Sua sfera divina. Gesù è Colui che apre il cielo all’uomo: “Vedete il cielo ormai aperto“.

Dio si rivela in Gesù nella Sua trascendenza. Dio è come Gesù. Dio si rende presente in Gesù. “Non esistono doni divini che non abbiano espressione nella carne, nella realtà umana di Gesù. Dio dona il Suo Spirito, ma lo esprime e lo comunica con la carne di Gesù.

“La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda”.

Solo Gesù rende l’uomo vero uomo: immagine di Dio nel creato.

Solo Gesù, con il Suo Amore, trasforma la realtà interiore dell’uomo.

Solo Gesù stabilisce con l’uomo comunione di vita.

“Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”.

Due sono i pani discesi dal cielo: la manna nel deserto per il popolo ebreo in cammino per la libertà e Gesù Pane disceso dal cielo per la vita del mondo.

“La manna non condusse quelli che la mangiarono fino alla terra promessa. Gesù, Pane vero, porta, a chi gli dà adesione, alla terra promessa.

Chi è vero uomo in Cristo deve essere pane spezzato per i fratelli: Amore di Dio donato!

 

“Io sono il Pane della vita”.

     La festa del Corpo e del Sangue del Signore ricorda il mistero della Sua presenza in mezzo a noi. E’ il mistero della comunione profonda di Dio con gli uomini realizzato nel Corpo e nel Sangue di Gesù “dato per noi”.

La festa del Corpo e del Sangue di Gesù ricorda il dono dello Spirito del Suo Amore attraverso la Sua realtà umana.

Due sono i verbi che Gesù adopera: mangiare e bere. Gesù deve essere assimilato. “Assimilare la carne e il sangue del Figlio è posto in costante rapporto con il dono della vita: vita eterna”. La vita eterna consiste nel rimanere in una unità profonda con Gesù.

Il Corpo di Gesù e il Suo Sangue sono detti vero cibo e vera bevanda: essi nutrono la vera vita dell’uomo in maniera perfetta.

La vera vita dell’uomo è amareLa carne e il sangue di Gesù sono dono del Suo Amore infinito agli uomini. Con la Sua carne Gesù manifesta e comunica il Suo Amore di bontà. Egli rende visibile l’Amore di Dio agli uomini: lo rende concreto e storico.

L’umanità di Gesù non è solo il luogo in cui Dio si rende presente, ma è dono per tutti: Dio instaura, per mezzo di Gesù, una comunione sul piano umano. Dio si avvicina all’uomo e stabilisce con lui una unione profonda per inserirlo nella Sua sfera divina.

Con la Sua carne, dunque, Gesù apre il Cielo agli uomini: “Vedete il cielo ormai aperto”.

Dio si rivela in Gesù nella Sua trascendenza e comunica il Suo Spirito che salva.

“Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”.

L’umanità di Gesù deve essere assimilata. “L’adesione a Gesù non si ferma all’esterno. Egli non è un modello esteriore da imitare, ma una realtà interiorizzata. Questa unione intima cambia la realtà interiore del discepolo. Produce la sintonia con Gesù e fa vivere identificati con Lui”.

Solo Gesù è l’Uomo vero: è l’immagine vera di Dio nel creato. Chi assimila Lui è anche uomo vero. Chi è vero uomo in Gesù deve essere pane spezzato per i fratelli. Deve essere amore di Dio donato.

Dio vuol creare una umanità nuova dove la vita umana sia pienamente realizzata.

Il progetto di Dio sugli uomini è: “L’amore di tutti e di ciascuno per tutti”.

Il “pane della vita” sostiene i cristiani in questo mondo inaridito da ideologie di morte

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Blasi Mario evangelizza la SS. Trinità anno A. Vangelo Giovanni 3, 16s

Il parroco don Mario Blasi domenica della SS. Trinità anno A

giovanni 3,16-18

Gv 3, 16-18)

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito”.

Dio si prende sempre cura dell’uomo. Dio gli va continuamente incontro.

L’uomo, con le sue forze, non può raggiungere Dio. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino per amore del suo nome“.

Dio condivide la storia dell’uomo. Gesù, Buon Pastore, manifesta e rende visibile l’Amore di Dio. Egli prende sempre l’iniziativa per andare verso chi sbagliavuole che l’uomo scopra la gioia di essere amato da Dio; per questo motivo va in cerca della pecorella smarrita.

Dio è come Gesù. Dio manda nel mondo Gesù perché in Lui risplenda il Suo Amore. Amore destinato a tutti gli uomini. Solo il Suo Amore salva. “Salvarsi è passare dalla morte alla vita definitiva”. La salvezza si ottiene per mezzo di Gesù. “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”.

“Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”.

Tutti gli uomini sono pronti davanti ad una scelta: o sono a favore di Gesù o sono contro di Lui.

L’indifferenza non è possibile. “Davanti all’offerta dell’Amore di Gesù non si può dire che sì o rifiutarsi di accettarlo. L’uomo deve prendere una decisione”. “Se di fatto vi sono degli esclusi dalla salvezza lo si deve al rifiuto dell’offerta che Dio compie in Gesù”.

“Chi dà la sua adesione a Gesù assecondando il piano di Dio, non è sottoposto al giudizio, perché Dio non agisce come un giudice, ma come datore di vitaChi si rifiuta si condanna da sé“.

Chi accetta l’Amore di Dio rivelatosi in Gesù, diventa figlio di Dio. Il cristiano, figlio di Dio, deve praticare nella vita lo stesso amore di Cristo. L’Amore di Cristo deve essere accolto e ridonato.

Il credente, con questo amore accolto e ridonato, è chiamato a continuare una umanità nuova.

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Nepi Gabriele legge l’unico documento reperito del conclave del 1846: papa Pio IX marchigiano

Conclave del 1846: le tabelle dell’elezione di Pio IX

“Il Prof. Gabriele Nepi, il quale rivela precedenti storici sul papato che si riferiscono al Conclave che portò all’ elezione di Pio IX (conclave che si svolse nei giorni 15-16 giugno 1846), nel corso del quale si ebbero soltanto quattro votazioni e fu, pertanto, uno dei più brevi della storia”.

Nonostante tutte le proibizioni, i “bruciamenti” ed i segreti con cui sono coperti i risultati di tali elezioni, abbiamo trovato le tabelle di scrutinio, che portarono all’elezione di Pio IX.

In queste tabelle sono elencati i nomi dei 62 Cardinali che allora componevano il Collegio Cardinalizio. Vi si riporta persino il numero dei Cardinali in conclave: 49; uno assente per malattia, mentre i Cardinali di Curia assenti erano 12. Le tabelle riguardano la votazione al mattino del 15 giugno 1846, quella della sera del 15 giugno, e le successive del mattino e della sera del giorno 16 che portarono all’elezione.

C’è da notare che nell’ultimo scrutinio, fra i tre scrutatori figurava anche il Cardinale Mastai che ha potuto così vedere in prima persona il “crescendo finale” della votazione che lo portò all’elezione. Fra i nomi dei cardinali, spiccano i nomi di Micara, Macchi, Lambruschini Luigi (ligure), Castracane e Mattei. Tutti questi dell’ordine dei vescovi! Dell’ordine dei preti vediamo invece: Opizzoni, Fransoni (di Torino), Barberini, Patrizi, Polidori, Della Genga, Mezzofanti (il famoso poliglotta che conosceva oltre cento lingue, lo dice G. Ricciotti in “Osservatore Romano” del 18-2-1949), De Angelis Filippo (il Cardinale Arcivescovo di Fermo), Ferretti (di Ancona), il nostro Giovanni Mastai-Ferretti, Gizzi, Gagiano de Azevedo, immortalato da Leopardi (Italo ardito a che giammai non posi).

Dell’ordine dei diaconi (ricordiamo solo i più noti): Tommaso Riario Sforza, Tommaso Bernetti, nativo di Fermo, che formò in conclave un forte gruppo e che sarà poi segretario di Stato di Pio IX, come lo fu per Gregorio XIV. E altri.

Le votazioni del primo scrutinio danno i numeri di voti al modo seguente: Cardinale Lambruschini n. 15; Mastai n. 13; Soglia 4; Falconieri n. 4; De Angelis n. 4; Fransoni n. 3; Micara n. 1; Opizzoni n. 3; Polidori n. 2; Della Genga n. 2; Mai n. 1; Orioli n. 1; Ferretti n. 1 ; Pianetti n. 1 ; Gizzi n. 2. Quindi nella prima votazione si fronteggiano il Cardinale Mastai con n. 13 e Lambruschini con n. 15.

Il secondo scrutinio del pomeriggio del 15 giugno dà i risultati seguenti: Lambruschini n. 13; Mastai n. 17; Macchi n. 4; Fransoni n. 3; Soglia n. 2; Patrizi n. 4; Alberghini n. 1; Polidori n. 2; Della Genga n. 2; Mai n. 1; Falconieri n. 4; Orioli n. 1; De Angelis n. 4; Ferretti n. 1; Acton n. 7; Altieri n. 1; Gizzi n. 2.

Terzo scrutinio del 16 abbiamo: Mastai n. 27; Lambruschini n. 11; Macchi n. 4; Ostini n. 1; Opizzoni n. 1; Patrizi n. 3; Mai n. 1; Soglia n. 2; Falconieri n. 6; Orioli n. 2; de Angelis n. 5; Ferretti n. 1; Altieri n. 1; Gizzi n. 2; Antonio Cadolini n. 1 (sono due i Cadolini: Ignazio e Antonio).

La votazione finale che ha luogo nel pomeriggio del 16 giugno, ha per scrutatori i Cardinali Amati, Mastai e Fiaschi. I risultati sono: Mastai voti n. 36; Lambruschini n. 10; Macchi n. 2; Fransoni n. 1; Patrizi n. 3; Falconieri n. 4; Orioli n. 1; De Angelis n. 6; Altieri n. 1; Gizzi n. 1. Così il Cardinale Mastai-Ferretti viene eletto Sommo Pontefice; data l’ora tarda, l’annuncio al popolo viene dato il giorno dopo dal balcone del Quirinale.

C’è da notare a questo punto che, insieme al Mastai, era in predicato per l’elezione al pontificato un altro marchigiano, il Cardinale Giovanni Soglia. Già sin dal 2 giugno 1846 nei rapporti dei vari ambasciatori ai loro governi sui nomi dei papabili si facevano i nomi di Mastai e del Cardinale Soglia, Vescovo di Osimo (Rassegna Italiana Risorgimento 1940, pag. 40).

Ma ora, l’interrogativo: come mai le tabelle di scrutinio, documento tanto segreto e tanto importante, sono finite nelle Marche e precisamente della biblioteca comunale di Macerata, dove sono custodite gelosamente? Ciò sorprende, data la scrupolosa cura ed il segreto con cui sono coperti tali atti. Forse saranno pervenute a Macerata attraverso canali sconosciuti del palazzo del Quirinale dove, come visto, si sono svolte quelle elezioni (vi si svolsero i conclavi che videro eletti Leone XII (1823), Pio VIII (1829), Gregorio XIV (1831) e il nostro Pio IX).

Dopo la presa di Roma (20-9-1870), tutti gli altri conclavi ebbero luogo in Vaticano e non è escluso che nella confisca di archivi e biblioteche di Roma (oltre 60 raccolte bibliotecarie ecclesiastiche arricchirono quella che è oggi la Biblioteca Nazionale) qualcuno, al fatto del demanio dei beni, abbia preso le tabelle, ora finite nella biblioteca di Macerata. Non sappiamo nulla di certo! Queste sono soltanto ipotesi. Sappiamo però che questo è il solo ed unico documento del conclave del 1846, esistente fuori dal Vaticano dove (sono parole di P. Martina il più profondo conoscitore della vita di Pio IX) non si ritrova la relazione ufficiale del conclave del 1846. Alberto Serafini autore di una voluminosa vita su Pio IX, asserisce che fortunatamente si conserva un resoconto almeno (questo ns.) del conclave… in cui riuscì eletto Pio IX.

Non escludiamo la possibilità che vi possano essere in qualche parte altri documenti, simili al nostro. Tuttavia è certo che Macerata ha l’alto onore di possedere questo documento importantissimo, che registra le fasi che portarono al soglio di Pietro, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il Papa che dal 1846 al 1878 ha avuto il pontificato più lungo di tutti i Pontefici.

Due fermani protagonisti nel conclave che elesse Pio IX

Il 116 ottobre ricorreva l’anniversario dell’elezione al pontificato di Papa Woityla. Un altro Papa fu eletto il 16 di un mese, era il 16 giugno1846 e il Papa si chiamava Pio IX. Nella vicenda dell’elezione furono protagonisti due fermani: uno “purosangue”: il Cardinale Tommaso Bernetti; uno di adozione: il Cardinale Filippo de Angelis, Arcivescovo di Fermo. Come si ricorderà, Pio IX fu uno dei personaggi di spicco del­la storia del Risorgimento. Nato a Senigallia, dopo vari importanti in­carichi, divenne Vescovo di Imola e cardinale.

Morto Gregorio XVI (spirato il le giugno 1846), il Cardinale Ma- stai Ferretti parte per il conclave la sera dell’8 e giunge a Roma il 12. Il mattino del 15 giugno, iniziano le votazioni; subito si delinea una con­trapposta bipolarità: su 52 Cardinali presenti, spiccano due nomi: il Car­dinale Luigi Lambruschini (da non confondere con l’omonimo pedago­gista), genovese ed il “nostro” Cardinale Giovanni Mastai Ferretti. Quattro le votazioni. Nella prima Lambruschini riporta 15 voti; Mastai 13.

Entra allora in scena il Cardinale Tommaso Bernetti, che capeggia una corrente a favore di Mastai Ferretti. Seconda votazione: Lambru­schini ha 13 voti; Mastai Ferretti 17; terza votazione: Lambruschini ot­tiene 11 voti; Mastai Ferretti 27; quarta: Lambruschini scende a 10 vo­ti; Mastai Ferretti sale a 36; ha raggiunto i 2/3: è lui il Papa! Tutto ciò avviene non in Vaticano ma al Quirinale, dove in anni precedenti erano stati eletti altri Papi: Leone XII (1823-1829), conclave durato 18 gior­ni; Pio Vili (1829-1830), conclave durato 36 giorni; Gregorio XVI (1831-1846), conclave durato 50 giorni! Sono tutti Papi marchigiani, eccetto Gregorio XVI.

Come si vede, il conclave di Pio IX fu il più breve: durò soltanto due giorni. Ma in tutta questa vicenda, emerge un protagonista finora sconosciuto: il Cardinale Filippo De Angelis. Dalle tabelle di scrutinio di tale conclave, che grazie ad un colpo di fortuna abbiamo trovato, si può rilevare (anche se le schede vengono bruciate) la “vittoria ’ di tale Cardinale. Egli, nella prima votazione, ottenne 3 voti; nella seconda 4; nella terza 5; nella quarta 6. E il terzo della graduatoria, venendo dopo il neo Pontefice Pio IX che ottiene voti 36 e dopo Lambruschini che ha voti 10. In seguito, De Angelis (che era nato ad Ascoli nel 1792) verrà perseguitato dal governo piemontese per la sua opposizione all’invasio­ne dello Stato Pontificio; per odio a lui, Vittorio Emanuele II toglierà a Fermo la provincia. Nel 1870, sarà presidente del Concilio Ecumenico Vaticano I. Il terzo posto del De Angelis, denota la stima di cui era circondato.

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